SALMI BIBLICI: “INIQUO ODIO HABUI, ET LEGEM” (CXVIII – 7)

SALMO 118 (7): “Iniquos odio habui, et legem”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (7)

SAMECH.

[113] Iniquos odio habui,

et legem tuam dilexi.

[114] Adjutor et susceptor meus es tu, et in verbum tuum supersperavi.

[115] Declinate a me, maligni, et scrutabor mandata Dei mei.

[116] Suscipe me secundum eloquium tuum, et vivam, et non confundas me ab exspectatione mea.

[117] Adjuva me, et salvus ero, et meditabor in justificationibus tuis semper.

[118] Sprevisti omnes discedentes a judiciis tuis, quia injusta cogitatio eorum.

[119] Prævaricantes reputavi omnes peccatores terrae; ideo dilexi testimonia tua. [120] Confige timore tuo carnes meas; a judiciis enim tuis timui.

AIN.

[121] Feci judicium et justitiam, non tradas me calumniantibus me.

[122] Suscipe servum tuum in bonum: non calumnientur me superbi.

[123] Oculi mei defecerunt in salutare tuum, et in eloquium justitiæ tuæ.

[124] Fac cum servo tuo secundum misericordiam tuam, et justificationes tuas doce me.

[125] Servus tuus sum ego, da mihi intellectum, ut sciam testimonia tua.

[126] Tempus faciendi, Domine; dissipaverunt legem tuam.

[127] Ideo dilexi mandata tua super aurum et topazion.

[128] Propterea ad omnia mandata tua dirigebar; omnem viam iniquam odio habui.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (7).

SAMECH.

113. Ho odiato gl’iniqui, ed ho amato la tua legge.

114. Tu se’ mio aiuto e mia difesa, e nella tua parola ho grandemente sperato.

115. Ritiratevi da me, voi maligni; e io dierò attentamente i comandamenti del mio Dio.

116. Sostentami secondo la tua parola, e fa ch’io viva; e non permettere che nella mia aspettazione io resti deluso.

117. Aiutami, e sarò salvo; e mediterò sempre le tue giustificazioni.

118. Tu hai disprezzati tutti coloro che declinano da’ tuoi giudizi, perché ingiusto è il loro pensiero.

119. Prevaricatori riputai tutti i peccatori della terra, perché amai i tuoi giudizi.

120. Inchioda col tuo timore le carni mie; perocché ho temuti i tuoi giudizi.

AIN.

121. Ho esercitata la rettitudine e la giustizia: non darmi in potere de’ miei calunniatori.

122. Aiuta al bene il tuo servo; non mi opprimano colle calunnie i superbi.

123. Gli occhi miei si sono stancati nella espettazione della tua salute, e nelle parole di tua giustizia.

124. Tratta il tuo servo secondo la tua misericordia; e insegnami le tue giustificazioni.

125. Tuo servo son io; dammi intelletto affinché intenda i tuoi precetti.

126. Egli è tempo di operare, o Signore; eglino han rovinata la tua legge.

127. Per questo io ho. amati i tuoi comandamenti più che l’oro e i topazi.

128. Per questo io m’incamminai all’osservanza di tutti i tuoi comandamenti, ed ebbi in odio tutto le vie d’iniquità.

Sommario analitico

VII SEZIONE

113-128.

Alla vista dei numerosi nemici che minacciano di attaccarlo in campo aperto, il Re- Profeta grida verso Dio perché venga in suo soccorso, e si dichiari suo alleato nel combattimento, e perciò gli espone due ragioni per le quali merita di essere esaudito e soccorso:

I Motivo. – L’odio e la profonda lontananza che ha dai suoi nemici, che sono pure i nemici di Dio:

I° Egli dichiara apertamente il suo odio contro i malvagi, odio che ha a causa del suo amore per la legge di Dio (113); e questo odio, così come il suo amore, non lo attribuisce a se stesso, ma al soccorso della grazia divina (114);

2° allontana da sé i malvagi e fugge la loro associazione:

a) per penetrare più facilmente con la purezza del cuore nell’intelligenza dei comandamenti di Dio (115);

b) per vivere della vita soprannaturale, non per se stesso, ma per la grazia di Dio;

c) per non essere frustrato nella sua aspettativa (116);

d) per meditare, con l’aiuto della grazia, le giustificazioni divine (117);

e) per associarsi a Dio nel disprezzo e nella giusta avversione che ha per i malvagi (118).

3° Egli professa adunque un profondo disprezzo per i malvagi, disprezzo fondato:

a) sul suo amore per la legge di Dio (119);

b) sul timore dei suoi giudizi, timore necessario ai giusti come ai peccatori. (120).

II motivo. – La sua fedeltà nel praticare le virtù morali e teologali:

I° Egli ha praticato la giustizia, e chiede come ricompensa di non essere esposto alle calunnie dei superbi (121, 122);

2° ha praticato le virtù teologali:

a) della speranza, aspettando da Dio solo la sua salvezza, in parte dalla giustizia di Dio a causa delle sue promesse, in parte dalla sua misericordia (123, 124);

b) della fede, professando apertamente di essere il servitore di Dio, chiedendogli a questo titolo l’intelligenza della sua legge, e pressandolo ad accordargli al più presto questa grazia, visto che i suoi nemici hanno dissipato la sua legge (125, 126);

c) della carità, amando la legge di Dio ai di sopra di ogni cosa (127); non contentandosi di amarla, ma come conseguenza necessaria, odiando tutto ciò che gli è opposto, seguendo il cammino della virtù e rifuggendo tutte le vie ingiuste (128).

Spiegazioni e Considerazioni

VII SEZIONE — 113-128.

I. – 113-120.

ff. 113, 114. – « Io ho odiato gli uomini di iniquità, ed ho amato la vostra legge. » Il Profeta non dice: io ho odiato gli uomini di iniquità ed ho amato i giusti; né io odio l’iniquità ed ho amato la vostra legge, ma dopo aver detto: « io ho odiato gli uomini di iniquità, » spiega i motivi del suo odio, aggiungendo:  Ed ho amato la vostra legge, » per dimostrare che, negli uomini di iniquità, egli non odiava la natura che li ha fatto uomini, ma l’iniquità che li ha fatti nemici della Legge che egli ama (S. Agost.). – Il Profeta non si mette affatto in contraddizione con il precetto del Vangelo che ci comanda di amare i nostri nemici, perché egli non dice: io ho odiati i miei nemici, ma: io ho odiato gli uomini di iniquità, cioè i trasgressori della Legge (S. Hil.), « ed io ho amato la vostra Legge. » In effetti se noi amiamo la legge di Dio, noi dobbiamo odiare i nemici della Legge che attaccano con le opere le prescrizioni della Legge (S. Ambr.). – « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore » Mio aiuto, perché io faccio il bene; mio protettore perché evito il male (S. Agost.). – Voi siete il mio aiuto con la Legge, il mio protettore con il Vangelo. Coloro che Dio ha aiutato con la Legge, li ha presi in protezione prendendo la loro carne … la parola latina “supersperavi” che non può tradursi alla lettera se non con “supersperato”, si dice di colui la cui speranza non cessa di accrescersi, e si eleva ad una perfezione sempre più grande. – « Io ho riposto tutta la mia speranza nelle vostre parole, » cioè io non ho sperato né nei Profeti, né nella Legge, ma « io ho sperato nella vostra parola, » cioè nella vostra venuta; io ho sperato che voi veniste a soccorrere i peccatori, rimettere i loro peccati, e prendere sulle vostre spalle, come il buon pastore, la pecora errante e stanza (S. Ambr.). 

ff. 115 – 118. – Allontanatevi da me, malvagi, ed io scruterò i comandamenti del mio Dio. » Così  dunque, per studiare con cura e conoscere perfettamente i comandamenti del mio Dio, occorre che i malvagi si allontanino da lui, ed egli li allontana violentemente; in effetti sono i malvagi che ci esercitano a praticare i comandamenti e, al contrario, ci impediscono di approfondirli, non solo quando ci perseguitano e cercano di sollevare qualche dibattito contro di noi, ma anche quando ci trattano con onore ed ossequio, e ci inducono tuttavia ad aiutarli nei loro affari e nei loro cattivi desideri consacrare loro il nostro tempo … Quando ci rifiutiamo di assecondare i loro desideri, essi non si ritirano, né si allontanano da noi, al contrario persistono, pressano, pregano, si agitano con rumore, e ci costringono a occuparci di essi per le cose che amano, piuttosto che occuparci dello studio dei comandamenti di Dio che noi amiamo. Ora, quale  disgusto per le folle tumultuose, quale desiderio della parola divina in questo grido del Profeta: … ritiratevi da me, malvagi, ed i scruterò i comandamenti del mio Dio. » (S. Agost.). – « Guardatevi dai cani, dice S. Paolo, guardatevi dai cattivi operai. » (Fil., III, 2). Chi sono costoro? Gli uomini di questo secolo che non seguono le trace di Gesù-Cristo! Ditemi, vi prego, cosa possono essi insegnare? La castità che non hanno mai praticato? La dottrina che non seguono? Perché la sola cosa alla quale sono fedeli, è la saggezza diabolica di questo mondo (S. Ambr., Tract. de Virg.). – Dopo aver scacciato come dagli occhi del suo cuore, queste mosche che lo assediavano, il Profeta ritorna a Colui al quale diceva. « Voi siete mio aiuto e mio protettore, » e proseguendo la sua preghiera aggiunge: « Prendetemi sotto la vostra protezione, secondo la vostra parola, ed io vivrò, non resto confuso nella mia attesa. » Colui che ha già detto: « Voi siete il mio protettore, » chiede sempre più di prenderlo sotto la sua protezione e di condurlo al fine per il quale sopporta delle cose penose; perché ha la fiducia di trovare là una vera vita, tutt’altro che i vani sogni delle cose umane: « … ed io vivrò, » come se non vivesse in questo corpo di morte, « perché il corpo è morto a causa del peccato. » (Rom. VIII, 10). E nell’attesa della redenzione del nostro corpo noi siamo stati salvati nella speranza, e se speriamo ciò che non vediamo ancora, noi l’attendiamo con pazienza (Ibid. 23-25). Ma la speranza non delude, se la carità di Dio è diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato (Rom. V, 5). Ed è per ricevere più abbondantemente lo Spirito Santo che egli grida al Padre: « Non confondetemi nella mia attesa. » (S. Agost.). – Se il povero Lazzaro gode di una vita eterna nel seno di Abramo, quanto più colui che il Cristo riceve sotto la sua protezione! E come la vita eterna non sarebbe la porzione della ricompensa di colui che riceve ed accoglie la vita eterna, che il Cristo ha preso e si è unito interamente, che appartiene interamente al Verbo, e la cui vita è nascosta in Gesù-Cristo? Ma questo sarebbe un atto di presunzione colpevole il dire a Dio: prendetemi sotto la vostra protezione, se non aggiungesse: « secondo la vostra parola. » Siete voi che ci date questa assicurazione; noi ci presentiamo con il vostro impegno nella mano. Noi abbiamo sottoscritto una obbligazione di morte, voi l’avete sostituita con un’obbligazione di vita (S. Ambr.). – Il Profeta spera ed attende, ma a Dio non piace che queste siano le cose passeggere del tempo. Vi sono molti che combattono questa speranza della nostra fede e se ne ridono dicendo: a che servono i vostri digiuni, la vostra continenza, la vostra castità, la perdita del vostro patrimonio?  Dov’è la vostra speranza, o Cristiani? La morte domina ugualmente su tutti gli uomini; il suo impero si estende su tutti i corpi. Cosa dico? Noi gioiamo di tutti i beni di questo mondo, ed in cosa ci siete superiori per l’attesa della vostra speranza? È dunque di questa attesa che il Profeta chiede a Dio di non arrossire. Benché abbia la vita in Lui, egli sa che non la possiede ancora nella pienezza, perché: « La nostra vita quaggiù è nascosta in Gesù-Cristo. » (Colos. III. 3). È per questo che egli dice: « Prendetemi sotto la vostra protezione ed io vivrò » di questa vita vera ed immortale; perché ciò che egli spera, è l’eternità, è il regno dei cieli, è il regno di Dio, sono le benedizioni spirituali che ci sono state promesse in cielo in Gesù-Cristo. (S. Hil.).- Come se fosse stato risposto al Profeta nel silenzio del cuore: volete non essere confuso nella vostra attesa? Non cessate mai di meditare le mie giuste prescrizioni. Ma sicome egli sente che molto spesso i languori dell’anima fanno ostacolo a questa meditazione, egli esclama: « Aiutatemi ed io sarò salvo, e mediterò senza lena le vostre giuste prescrizioni. »  (S. Agost.). – Colui che spera confida di essere soccorso, ed il soccorso di Dio è un pegno certo di salvezza. Il Profeta ha detto a Dio precedentemente: « Voi siete il mio aiuto ed il mio protettore. » Egli domanda qui di nuovo il soccorso: « Non cessate di venire in mio aiuto. » Non è molto la preghiera che ho fatto, io vi supplico di nuovo di salvarmi. Quaggiù non c’è salvezza completa, vera; io non sarò veramente salvo se non quando sarò in Paradiso, quando comincerò a vivere in mezzo ai vostri santi Angeli, e sarò sfuggito a tutte le insidie, a tutti i pericoli di questa terra. – « Voi avete disprezzato tutti coloro che si separano dalle vostre giuste prescrizioni. » (S. Ambrog.). Perché se ne allontanano? « perché il loro pensiero è ingiusto » Con il pensiero ci si avvicina, con il pensiero ci si allontana. Tutte le azioni buone o cattive procedono dal pensiero. Nel pensiero si trova l’innocenza, nel pensiero si trova il crimine. Ecco perché è scritto: « La santità del pensiero vi custodirà » (Prov. II. 11); ed allora: « L’empio sarà interrogato sui suoi pensieri. » (Sap. I, 9). L’Apostolo dice ugualmente: « I pensieri accusano o difendono. » (Rom. II, 15). Allora come potrà essere felice colui che è infelice nel pensiero, colui che Dio ricopre con il suo disprezzo? (S. Agost.). – Il Profeta non ha detto: « Voi avete disprezzato tutti i peccatori, » perché allora disprezzerebbe tutti gli uomini, perché nessuno è senza peccato; ma Egli disprezza coloro che si allontanano da Lui, coloro che noi chiamiamo apostati. L’allontanamento e la separazione da Dio, differiscono dal peccato, per il fatto che al peccato è riservato il perdono, se il peccatore fa penitenza, mentre l’allontanamento volontario da Dio danna, perché porta con sé l’allontanamento dalla penitenza, allontanamento che viene da una evidente ingiustizia di pensiero e di volontà. (S. Hilar.). 

ff. 119, 120. – « Io ho considerate come prevaricatori tutti i peccatori della terra. » Noi chiamiamo prevaricatori coloro che abbandonano la fede e la conoscenza di Dio che essi hanno recepito, e che agiscono contrariamente agli impegni che hanno assunto.  Ma qui il Profeta estende quella denominazione a tutti i peccatori della terra, e non ne eccettua nessuno. (S. Hilar.). – Tutti i peccatori della terra, senza eccezione, sono dunque dei prevaricatori, perché violano tutti la legge di Dio o la legge naturale incisa nella nostra anima e della quale l’Apostolo ha detto: « i Gentili che non hanno la fede, fanno naturalmente ciò che è prescritto dalla Legge; non avendo la Legge, son legge a se stessi. » (Rom. II, 14): o la Legge scritta e data ai Giudei da Mosè … tutti i peccatori della terra, senza eccezione alcuna, sono dunque a buon diritto, considerati prevaricatori; « perché tutti gli uomini hanno peccato, ed hanno tutti bisogno della gloria di Dio. » (Rom. III, 13). La grazia del Salvatore trova dunque tutti gli uomini nello stato di prevaricazione; tuttavia chi più e chi meno. Resta dunque da attendere, per tutti gli uomini, non il soccorso della propria giustizia, ma il soccorso della giustizia di Dio … ed in questo senso il Profeta aggiunge: « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze; » come se dicesse: « La legge data nel paradiso, o naturalmente incisa nel nostro cuore, o promulgata nei libri santi, ha reso prevaricatori tutti i peccatori della terra; « Ecco perché io ho amato le vostre testimonianze » inserite nella vostra Legge, al soggetto della vostra grazia, affinché la vostra giustizia, e non la mia, sia in me. In effetti, l’utilità della legge è di condurre alla grazia (S. Agost.). – Colui che ama le testimonianze del Signore trafigge con chiodi la sua carne, perché sa che il vecchio uomo che è in lui è stato attaccato alla croce per distruggere le passioni della carne e frenare gli ardori indomiti … Trapassate allora la vostra carne con i chiodi, distruggete i focolai del peccato; fate morire nella vostra carne, tutto ciò che attrae, ogni fascino del peccato; negate al piacere delle voluttà ogni libertà di agire, inchiodandolo sulla croce. Prendete il chiodo spirituale per attaccare la vostra carne al patibolo della croce del Signore. L’anima spirituale ha pur essa le sue carni, così come il corpo; le carni dell’anima sono i pensieri carnali. È al timore del Signore e dei suoi giudizi che si inchiodano le carni e si riducono alla servitù (S. Ambr.). – Che significano queste parole: « Crocifiggete con il vostro timore, perché io temo? » Se già aveva temuto, e se temeva, perché ancora prega Dio di trafiggere le proprie carni con il suo timore? Voleva che questo timore aumentasse in lui, al punto che la violenza di questo timore fosse sufficiente a crocifiggere le sue carni, cioè le sue passioni e le sue delizie carnali? … In queste parole c’è un senso più elevato che bisogna trarre con la grazia di Dio, con l’aiuto di un esame serio dei più profondi contenuti delle pieghe del testo. « Trapassate di chiodi le mie carni con il vostro timore, perché io ho temuto, », vale a dire: che i miei desideri carnali siano compressi dal vostro casto timore, che vive nei secoli dei secoli. (Ps. XVIII, 10); perché io ho temuto i vostri giudizi, quando la legge, che non poteva darmi la giustizia, e mi minacciava di castigo. Ma questo timore mi terrorizza con il castigo, che la perfetta carità mette fuori (I Giov., IV, 18), perché esso ci libera, non dal timore del castigo, ma per la felicità della giustizia; perché questo timore non produce l’amore della giustizia, ma lo spavento del castigo è quello dello schiavo, perché esso è carnale; ecco perché non crocifigge la carne … Datemi dunque il timore casto, che io sono stato costretto a chiedervi, condotto come da un maestro, cioè dal timore della Legge che non mi ha fatto temere i vostri giudizi (S. Agost.).

II. — 121-128.

ff. 121, 122. – « Io ho praticato la rettitudine e la giustizia. » Davide non parla quasi mai di rettitudine, sia di Dio nei riguardi dell’uomo, sia degli uomini nei riguardi di loro stessi, senza aggiungervi la giustizia come condizione essenziale ed inseparabile. Del resto, se volete sapere qual differenza dobbiamo porre tra la giustizia e il giudizio, eccola, risponde Sant’Ambrogio: il giudizio, secondo il linguaggio comune, è propriamente l’atto di giudicare, mentre la giustizia è l’abitudine stessa, o infusa o acquisita, che ci porta a ben giudicare; cioè è questa santa disposizione del cuore che ci fa rendere a ciascuno ciò che gli appartiene, e ci libera nei nostri giudizi da ogni affezione e da ogni passione. Davide voleva che mai queste due cose fossero separate; ed ecco la regola di condotta che proponeva: Signore – egli diceva – io ho pronunziato dei giudizi, ma questi giudizi sono stati accompagnati da una giustizia esatta; non mi abbandonate dunque, o mio Dio alla malignità dei miei calunniatori (Bourd. Jug. témér.). – E da parte del Re-Profeta, non è un atto di vanagloria o di presunzione temeraria; egli era troppo versato nella legge per non ricordarsi che è dalla bocca degli altri e non dalla nostra che debba uscire la nostra lode. Egli non vanta dunque affatto le sue virtù, ma afferma, restando nei limiti del diritto, l’innocenza della sua vita, nel timore di non essere abbandonato da Dio per i suoi crimini e consegnato al potere dei suoi nemici … Davanti ad un tribunale, se un accusato si limita, per difendere la sua innocenza, a dichiarare ciò che ha fatto, nessuno di sogna di considerarlo come un atto di arroganza che non oltrepassi i limiti della giusta difesa. Non bisogna confondere colui che si proclami degno di ricompensa con colui che dichiari semplicemente che non merita di essere punito (S. Ambr.). –  « Non mi esponete a coloro che mi calunniano; » cioè non mi consegnate a coloro che mi perseguitano, perché io ho praticato il giudizio e la giustizia … Chiedendo al Signore di non essere consegnato ai suoi nemici, qual preghiera fa il Profeta se non quella che noi stessi facciamo quando diciamo: « Non ci indurre in tentazione? » (Matth. VI, 13). In effetti, il nemico, è colui del quale l’Apostolo ha detto: « Per paura che colui che tenta non venga a tentarvi » (1° Thes, III, 5). Dio gli consegna chi lo abbandona. In effetti, il tentatore non saprebbe sedurre l’uomo che non abbandona Colui che per sua volontà, dà gloria alla virtù dell’uomo … Di conseguenza, chiunque ha la carne crocifissa dal casto timore di Dio, e pratica, senza lasciarsi corrompere da alcuna seduzione carnale, il giudizio e le opere di giustizia, deve domandare di non essere consegnato ai suoi nemici, cioè di non cedere, per timore delle sofferenze, a coloro che lo perseguitano per fargli del male. (S. Agost.). – « Stabilite il vostro servitore nel bene. » Nello stato di coscienza in cui si trova, di aver praticato il giudizio e la giustizia, il Profeta va più lontano e non teme di proclamarsi il servo del Signore: perché un servo del Signore non deve niente agli estranei. Preziosa servitù questa, che consiste interamente nel praticare delle virtù. Ora, perché teme di essere esposto ai suoi nemici? Egli lo dice apertamente: perché questi sono dei calunniatori che odiano la verità ed attaccano l’innocenza, perché sono pieni di orgoglio; perché qual orgoglio non affettano nei riguardi degli umili servitori di Dio coloro che osano elevarsi contro Dio stesso? (S. Ambr.). 

ff 123-128. – « I miei occhi sono fiaccati nell’attesa della vostra salvezza. » Quali sono questi occhi che si indeboliscono, che si stancano nell’attesa della venuta del Cristo? Sono gli occhi dell’anima, che è fissata interamente su questo divino oggetto con gli sguardi della fede; perché i nostri occhi si fissano interamente su ciò che amiamo, senza che nessun’altra cosa ci sia più gradevole. Ma per tenere questo linguaggio con il Profeta, bisogna avere staccata l’anima da tutte le sollecitudini del secolo e da tutti i piaceri della terra, e avere detto a Dio, come lui: « distogliete il mio sguardo perché non veda la vanità. » Quali sono questi occhi che si consumano nell’attesa della parola di Dio? Sono gli occhi dell’uomo interiore, questi sguardi spirituali dell’anima che si applicano a vedere il Verbo di Dio (S. Ambr.). Davide, nei versetti che precedono, ha come aperto la strada alle nuove domande che ha fatto a Dio. Egli prega di non consegnarlo nelle mani dei nemici, poi di confermarlo nel bene, poi di non essere esposto alle calunnie degli orgogliosi, come se dicesse a Dio: io non declino il giudizio, ma le calunnie dei malvagi; perché essi non sanno giudicare, e non sanno che calunniare. Io mi rifugio dunque presso di Voi che sapete giudicare con giustizia … In questo versetto, egli chiede a Dio di usare misericordia verso di lui, e di insegnargli le sue giustizie. In un altro salmo egli prega Dio di non entrare in giudizio con il suo servo (Ps. CXLII, 2). E in effetti noi, che la testimonianza della nostra coscienza accusa di tante colpe, noi dobbiamo piuttosto implorare la misericordia di Dio più che rivolgerci alla sua giustizia: la misericordia ci dà il perdono, la giustizia esamina e discute i nostri crimini. Quale speranza di poter trionfare presso Colui al quale nulla è nascosto, e al Quale non possono sfuggire i nostri peccati … Trattate dunque il vostro servo secondo la vostra misericordia, perché anche quando avrò potuto fare qualche cosa di buono, io vi debbo molto di più come vostro servo … Un servo è degno di ricompensa per aver fatto solo ciò che gli viene comandato? Dunque, quando noi abbiamo fatto ciò che ci viene comandato, noi non dobbiamo subito levarci, ma piuttosto umiliarci, perché siamo lontani dall’aver compiuto tutti i doveri della nostra condizione. (S. Ambr.). – « Io sono vostro servitore, datemi l’intelligenza. » L’intelligenza è un dono spirituale; bisogna dunque chiedere a Dio ciò che viene direttamente da Dio. Colui che si riconosce servo non chiede come un estraneo: « Io sono vostro servitore. » Il servitore fa la volontà del suo padrone: il servo cerca di guadagnare il salario col suo impiego e ne spera la ricompensa (S. Ambr.). – Cosa fa dunque di così grande il Profeta, dichiarandosi il servo di Dio, ciò che nessuno uomo oserebbe negare? Egli si dichiara il servitore di Dio, ma in modo tutto differente dagli altri: gli altri si riconoscono servi solo a parole: lui lo è in realtà, e lo prova con le sue opere. (S. Hilar.). – « Io sono il vostro servo. » Male me ne è venuto quando ho voluto appartenermi ed essere libero, invece di essere con Voi e servirvi. « Datemi intelligenza, ed io conoscerò le vostre testimonianze. » Non bisogna mai cessare di far questa domanda; perché non è sufficiente aver ricevuto l’intelligenza ed aver appreso a conoscere le testimonianze di Dio, se non la si riceve costantemente, e se in qualche modo non si beve costantemente alla sorgente della eterna luce. Quanto alle testimonianze di Dio, nella misura che si acquista l’intelligenza, la si conosce di meglio in meglio. (S. Agost.). – « È tempo di agire, Signore, essi hanno rivoltato la vostra legge. » Ah! ha ragione il Re-Profeta nel dire a Dio che è tempo di agire. « In effetti c’è un tempo per fare ed un tempo di parlare. » (Eccles. III, 7). Ora, il tempo di parlare è venuto, e queste parole sono l’annuncio dell’avvento del Signore; perché essendo la legge universalmente trasgredita, bisogna che venga Colui che è il fine, la consumazione e la pienezza della Legge, Nostro Signore Gesù-Cristo, che perdonerà agli uomini tutti i crimini, e che, distruggendo l’obbligazione scritta dai debitori, verrà a liberare tutti i peccatori. « È tempo d agire. » Così quando una malattia si aggrava, voi correte a cercare il medico perché venga al più presto, per paura che tardando le sue cure diventino inutili. Il Profeta dunque vede in spirito le prevaricazioni del suo popolo, la dissolutezza, le brutali voluttà, la vita sensuale, i furti, le frodi, l’avarizia, l’intemperanza, e rendendosi nostro intercessore, ricorre a Gesù-Cristo, il solo che egli sapeva potesse portare rimedio a sì grandi crimini; egli lo spinge a venire, senza soffre il minimo ritardo. « È tempo di agire, Signore; » cioè, è tempo di salire per noi sulla croce e soffrire la morte. Il mondo si precipita con impetuosità verso la sua ultima rovina; venite per cancellare il peccato dal mondo. La vita venga in soccorso dei morenti, la resurrezione venga in aiuto di coloro che sono seppelliti. Soccorreteci con i vostri atti, poiché i vostri precetti sono impotenti … non è più il tempo di comandare, è il tempo di agire (S. Ambr.). Non è l’ora di parlare, è l’ora di fare, perché tutto è stato distrutto nell’ordine materiale e morale. La prevaricazione è più universale che mai. Non tutti ci siamo rivoltati, dissipando la Legge di Dio in tutte le sue parti: la legge dell’umiltà con il nostro orgoglio, la legge della carità con il nostri odi ed animosità verso i fratelli, la legge della vita con tanti peccati che ogni giorno danno la morte, la legge della fede con le nostre empietà, o con una vita tutta sensuale e con grossolani errori ed imperdonabili ignoranze. « È tempo d agire, Signore, venite e non tardate ancora! » – « Per questo io ho amato i vostri comandamenti più che l’oro ed il topazio. » La Legge predice ed annunzia il Cristo; i precetti della Legge contengono dunque e ci apportano la speranza di beni futuri, gli indici della redenzione, i germi della resurrezione; ecco perché il Profeta dichiara che egli li ama più che l’oro ed il topazio; perché sono più dolci della salvezza, più preziosi della resurrezione! … Ma non tutti possono fare questa professione: non è certo l’avaro disteso sul suo oro, che desidera incessantemente nuove ricchezze, ma colui che può dire: « Io non ho né oro né argento; » (Act. III, 6); io non ricerco l’oro, perché non mi è utile, dal momento che i comandamenti di Dio mi hanno riscattato. (S. Ambr.). Coloro che si sforzano, come i Giudei, di praticare i comandamenti di Dio in vista di una ricompensa terrena e carnale, non ne vengono a capo, perché essi amano altra cosa e non amano affatto questi comandamenti; non è l’opera dell’uomo di buona volontà, ma il fardello di uomini di cattiva volontà. Al contrario, quando si amano i comandamenti più dell’oro e le pietre preziose, ogni ricompensa terrestre è vuota in confronto a questi comandamenti (S. Agost.). –  Amiamo la Legge, perché è una legge di amore; amiamo la Legge, perché tanti Santi l’hanno amata; amiamo la Legge, poiché tanti empi e peccatori non l’amano affatto; amiamola per imitare coloro che l’amano, e compensare con un dolore di amore la follia di coloro che non l’amano, (S. Gerol.). – « È per questo che io camminavo dritto nella via di tutti i vostri comandamenti. » A giusto titolo il Profeta camminava dritto nella via dei comandamenti, perché egli li amava. Così egli non si attribuisce questa velocità con la quale corre in questa via, ma a Dio, che lo conduce. Io non camminavo da me stesso – egli dice – ché io ero portato … Io ho odiato ogni via ingiusta. Se colui che ama i precetti della giustizia fa ciò che ama, anche colui che odia l’iniquità si astiene da ciò che sia oggetto del suo odio. È con ragione che il Profeta marciava dritto nella via di tutti i comandamenti, poiché odiava ogni via ingiusta. Assolutamente è necessario che si odi ogni via di iniquità, se si vuol camminare dritto nella via dei comandamenti (S. Ambr.). –  Non si tratta di odiare solo qualche via ingiusta, bisogna odiarle tutte. « Bisogna odiare non solo i grandi peccati, ma pure le minime colpe. » Ci sono taluni che si astengono da certi peccati che fanno loro orrore, ma che si concedono senza scrupoli ad altri per i quali il mondo ha più indulgenza. Il vero Cristiano detesta ogni via di iniquità, qualunque essa sia. – « Io ho preso in odio ogni via ingiusta. » È la conseguenza di ciò che ha detto precedentemente: perché se egli avesse amato l’oro e le pietre preziose, egli avrebbe certamente odiato tutto ciò che poteva farlo perdere. Allo stesso modo, poiché amava i comandamenti di Dio, odiava la via dell’iniquità come una spaventosa scogliera contro la quale non si può urtare, in un viaggio in mare, senza perdere queste cose preziose in un inevitabile naufragio. Per evitare questa disgrazia, fa vela lontano colui che naviga sul legno della croce, avendo come carico i comandamenti di Dio (S. Agost.).

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SPIEGAZIONE DEL PASSIO

SPIEGAZIONE DEL PASSIO

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950).

Vang. sec. S Matteo (Domenica delle Palme). — sec. S. Marco (Martedì Santo). — sec. S. Luca (Mercoledì Santo). — sec. S. Giovanni (Venerdì Santo).

Avvenimenti precedenti la Passione.

Il martedì, dopo aver lasciato il Tempio, Gesù salì verso sera il monte degli Olivi: « Fra due giorni, egli dice, avrà luogo la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocefisso ». Presso i Giudei, di fatti, i giorni cominciano la vigilia a sera, si era dunque al principio del mercoledì, e il venerdì seguente Gesù fu messo a morte. La festa di Pasqua coincideva col plenilunio dell’equinozio di primavera, perché proprio in questo momento gli Ebrei erano usciti dall’Egitto (*). Nella loro fuga precipitosa, non avevano potuto far lievitare il pane, ed in ricordo di questo fatto i Giudei si astenevano, durante questa festa, dal pane fermentato festa degli azzini.(*) Questa luna segnava per gli Ebrei il primo mese dell’anno che essi chiamavano Nisan. « Al 14° giorno del 1° mese (che è il giorno del plenilunio) sarà la Pasqua del Signore e al 15° la festa solenne » (Numeri, XXVIII, 16). Il giorno che, alla maniera dei Giudei, va dal giovedì sera al venerdì sera, e durante il quale ebbero luogo, la Cena e la Crocifissione, era dunque il 14 Nisan o « Vigilia di Pasqua » (S . Giovanni, XIII, 1). Dio, infatti, per mostrare che G. Cristo è il vero agnello della vera Pasqua, volle che fosse mangiato dagli Apostoli e immolato dai Giudei lo stesso giorno nel quale Israele mangiava gli agnelli immolati che ne erano la figura. Di modo che la Pasqua o il passaggio di G. Cristo da questo mondo al Padre e la nostra liberazione dal peccato si compirono al momento nel quale si celebrava l’anniversario del passaggio dell’Angelo e della liberazione d’Israele di cui erano figure. Cosi la Chiesa per affermare che « la nuova Pasqua della nuova legge pone fine all’antica Pasqua, come il giorno pone fine alla notte» (Lauda Sion), decretò che la festa di Pasqua avrebbe luogo sempre, come per la Pasqua giudea, nell’epoca della luna pasquale. Ma volendo celebrare la festa della Risurrezione in Domenica, perché avvenne in questo giorno, essa decise nel Concilio di Nicea, che questa sarebbe ogni anno la domenica seguente al plenilunio dell’equinozio di primavera, che si suppone cadere sempre al 21 di marzo, come s’era presentata nel 325, l’anno di questo Concilio. Se il plenilunio cade prima del 21, la data della Pasqua dipenderà dalla luna seguente, perciò varia fra il 22 Marzo e il 25 Aprile].A

Ultima Cena al Cenacolo.

Quando gli Evangelisti parlano del «1° giorno degli Azimi » intendono il giovedì sera, cioè il principio del venerdì, secondo l’uso ebreo. Il giovedì Pietro e Giovanni sono mandati dal Maestro a preparare la sala al Cenacolo, nel piano superiore di una casa (Act. I, 13). Al calare della notte (Marc. XIV, 17), cioè durante la prima vigilia della sera che dura fino alle 9, Gesù vi si porta con i suoi discepoli, si distendono, secondo l’uso orientale, su letti un po’ elevati, col braccio sinistro appoggiato su cuscini, intorno ad una tavola. Giovanni, che si trovava a destra di Gesù, potè dunque facilmente riposare il capo sul petto del Signore. Durante questo pasto, Gesù dopo aver preso uno dei grossi pani azimi, largo circa 20 centimetri e assai sottile, lo cambiò nel suo Corpo, pronunziando una preghiera eucaristica o di rendimento di grazie, come faceva il padre di famiglia che, prima di mangiare l’agnello pasquale, ringraziava Dio di aver liberato Israele dalla sua schiavitù. Poi, dopo aver cenato, allorché restava ancora, secondo il rito mosaico, da bersi un calice, Gesù lo cambiò, allo stesso modo, nel suo Sangue. Nel far ciò, Egli usò le parole con le quali Mosè suggellò l’antica alleanza nel sangue delle creature: « Questo è il Sangue del Testamento che Dio ha fatto per voi » (Es. XXIV, 8). Gesù vi aggiunse due parole:- « Questo è il mio sangue… del Testamento nuovo ». Parlando della Pasqua, centro di tutta la vita religiosa del popolo ebreo, il legislatore di Israele aveva detto: « Voi serberete il ricordo di questo giorno e lo celebrerete di generazione in generazione, con una istituzione perpetua » IIbid. XII, 14), e il Salvatore ordinò allo stesso modo agli Apostoli, « e per loro a tutti i loro successori nel sacerdozio », aggiunge il Concilio di Trento, di consacrare allo stesso modo questo pane e questo calice di vino in memoria di Lui » (S. Luc. XXII, 19) . L’agnello immolato dai figli d’Israele è, dopo circa 1500 anni, sostituito dall’Agnello di Dio che verrà immolato fino alla fine dei secoli, e la Messa, che si identifica con la Cena e il Calvario, diviene il centro religioso di tutto il popolo cristiano.

Ultimo discorso di Gesù. — Getsemani.

Dopo la Cena, Gesù pronunziò il sublime discorso che è il suo testamento di amore, la seconda parte del quale (Giov. XV, 1) fu detta mentre dal Cenacolo si recava fuori della città. Passò per la porta che si trova non lontano dalla piscina di Siloe e risali la vallata del Cedron, lungo il sobborgo di Ofel, per andare nel giardino di Getsemani, ai piedi del Monte degli Olivi. I tre Apostoli, testimoni della sua Trasfigurazione, furono anche testimoni di una parte della sua agonia avvenuta nel Getsemani. Giuda, che aveva venduto il suo Maestro per la somma di trenta danari, venne con il capo di una coorte romana e i suoi soldati, e con guardie incaricate della vigilanza del Tempio inviate dal Sinedrio. Costoro entrarono nella notte con Gesù a Gerusalemme, e risalendo il pendio nord-est della città, andarono nel palazzo del Gran Sacerdote.

Processo religioso davanti ad Anna e Caifa

Si stava preparando il processo religioso, perché spettava alla autorità religiosa ebrea interrogare Gesù su ciò che essa chiamava la falsa qualità di Figlio di Dio. Il Sinedrio si componeva di 70 membri, a capò dei quali erano i grandi sacerdoti e il loro capo supremo, il Sommo Sacerdote, Anna era riuscito ad ottenere successivamente questo incarico per i suoi cinque figli, e l’anno della morte del Signore per il suo genero Caifa. Infedeli alla loro missione, i rappresentanti officiali delia religione ebrea, non aspettavano altro per Messia che un re guerriero, il quale li avesse liberati con la forza dal giogo romano. Gesù fu condotto dinanzi ad Anna, suocero del Sommo Sacerdote. Non essendo più pontefice, era incompetente a giudicare G. Cristo. Il divin Redentore fu, perciò, condotto al tribunale dello stesso Sommo Sacerdote, Caifa. Egli attendeva Gesù in un’altra ala del Palazzo. Intorno à lui, seduti in semicerchio su cuscini, si trovavano gli altri sacerdoti. La procedura era illegale, perché doveva farsi di giorno e occorrevano testimoni. Erano circa le due del mattino e i testimoni furono presi in flagrante delitto di impostura. Caifa, pieno di collera, lo scongiura solennemente (cosa del tutto contraria alla legge mosaica che in questo caso annulla la confessione dell’accusato) di dirgli se Egli fosse il Figlio di Dio. E Gesù, che attendeva questo momento per parlare, afferma ufficialmente la sua divinità davanti all’autorità religiosa ebrea riunita in gran consiglio. Lo si giudica allora degno di morte; Egli accetta la sentenza perché è proprio la qualità di Figlio di Dio che dà un valore infinito al sacrifizio che sta per offrire a Dio suo Padre per gli uomini suoi fratelli.

Servi dei Sacerdoti. —. S. Pietro. — Giuda,

Lo si lascia allora per il resto della notte ai motteggi dei servi dei’ Sacerdoti che lo bestemmiano e lo coprono di sputi. Durante questa notte, Pietro, che aveva seguito da lontano Gesù, fu introdotto da Giovanni nella corte del Palazzo del Gran Sacerdote e li, per tre volte rinnegò il suo Maestro. Dopo il secondo canto del gallo, usci dal palazzo e « pianse a voce alta, con singhiozzi.», dice il testo greco. Verso il mattino il Sinedrio si riunì di nuovo per dare alla sua sentenza, che doveva essere data di giorno, una apparenza di legalità. Gesù comparve e, allorché si dichiarò Figlio di Dio, fu di nuovo condannato. Giuda allora comprende tutta la grandezza del suo delitto. Tormentato dal rimorso, si presenta al Consiglio dei Sacerdoti, ancora riuniti e confessa che « aveva peccato consegnando il Sangue del Giusto». Preso dalla disperazione, il traditore getta nel Tempio le monete d’argento che ha ricevute, discendendo verso la piscina di Siloe, si caccia nella gola profonda ove scorre il torrente Innom. E in questo luogo chiamato la Geenna (Ge-hinnom), si impicca » (XXVII, 5); essendosi rotta la corda, il suo corpo precipitò con la faccia verso terra, e ne uscirono i visceri che si sparsero per terra » (Act. I, 18).

Processo civile davanti a Pilato.

Ma Roma sola, da cui dipendeva in questo momento la Palestina, aveva il diritto di vita o di morte. Bisognava deferirlo al procuratore romano e Gesù fu condotto al pretorio di Ponzio Pilato, nella cittadella Antonia, dove i Giudei non entreranno, perché la casa di un pagano avrebbe fatto contrarre loro una macchia legale in queste feste di Pasqua. Il processo civile di G. Cristo stava, a sua volta, per essere iniziato. Ma davanti a questo nuovo tribunale, bisognava essere accusati di un delitto politico. Il Messia, per i Giudei, doveva essere un monarca terreno. Si accusò allora Gesù, che si diceva il Messia, di essere un re competitore di Cesare (La Giudea conquistata da Pompeo, era diventata tributaria dell’imperatore Augusto, al quale si associò più tardi Tiberio-Cesare, Pilato era loro rappresentante nella Giudea ed Erode nella Galilea). Su questo nuovo terreno si riprodusse punto per punto la stessa procedura della notte precedente: il medesimo silenzio di G. Cristo davanti ai falsi testimoni, la stessa affermazione ufficiale della sua regalità spirituale davanti al mondo pagano, rappresentato questa volta da coloro che tenevano l’impero del mondo, e i medesimi cattivi trattamenti da parte dei soldati romani. Ma Gesù, che di fatto dirigeva l’andamento delle cose, non voleva esser condannato che come Figlio di Dio e Re delle anime. Egli riportò la questione i sul terreno religioso. « II mio regno, disse, non è di questo mondo ». Questo non era più di competenza di Pilato, che fino alla fine lo dichiarò perfettamente innocente. I Giudei allora tentano di intimidire Pilato il quale, troppo vile per usare l’autorità davanti una folla che si sarebbe vendicata accusandolo in alto, cerca a forza di espedienti di salvaguardare i suoi interessi, senza disprezzare i morsi di un resto di coscienza pagana superstiziosa che teme vagamente un castigo degli dèi.

Erode. — Pilato. — Barabba. — La flagellazione.

Primo espediente:

Pilato venuto a conoscere che Gesù era Galileo, lo mandò ad Erode. Questo tetrarca della Galilea era figlio di Erode il Grande, che ordinò il massacro degli Innocenti, quando i Magi gli annunziarono che «il Re dei Giudei» era nato da poco. Umiliato dal silenzio di Gesù, egli, a sua volta, umiliò i Giudei rivestendo G. Cristo della veste bianca propria dei candidati alla regalità e che essi gli negavano.

Secondo espediente: Barabba. Il confronto fra un omicida e Gesù non riuscì meglio.

Terzo espediente: La Flagellazione. Questo era un supplizio infame riservato agli schiavi. Il paziente, spogliato delle sue vesti, aveva le mani legate ad un anello di una colonna bassa. L’esecutore, armato di una frusta di corregge pieghevoli, terminanti con ossicini, percoteva con una lentezza calcolata il dorso curvo e teso della vittima. Le corregge flessibili flagellavano ora le spalle ora il petto e vi scavavano solchi profondi, dai quali sprizzava il sangue e dai quali si staccavano brani di carne. Gesù è presentato in questo stato alla folla, rivestito di un mantello scarlatto, con la corona di spine e un bastone per scettro.  I Giudei comprendono tutta l’ironia di questa scena. Oseranno essi vedere ancora in questo re un competitore di Cesare?

Condanna di Gesù.

Essi allora sì riportano con dispetto al suo titolo di Figlio di Dio che deve essere la sola causa della sua morte. Pilato, scosso dall’argomento decisivo: « Noi ti denunzieremo a Cesare », cerca di trovare un ultimo espediente per sua tranquillità. Con l’atto simbolico di lavarsi le mani, Pilato mostra ai Giudei che davanti al suo tribunale, Gesù è innocente e che egli non lo consegna ad essi se non Perché essi pretendono che la loro legge lo condanni. Questo egli affermerà fino all’ultimo momento, facendo affiggere nella sua croce una iscrizione, in tre lingue, indicanti, secondo l’uso, il motivo della sua condanna. L’iscrizione portava queste parole: « Gesù Nazareno Re dei Giudei ». Pilato, nella sua viltà, è colpevole di questo omicidio, ma i Giudei, nel loro odio insultano il Figlio di Dio e commettono un deicidio.

La via Crucis. — La crocifissione. — L’agonia.

Verso le ore 11, Gesù lasciò il pretorio. La dolorosa via crucis cominciò con la via che scende nella valle del Tiropeon, quindi risalecon un rapido pendio fino alle porte della città. Lì, fuori delle mura,si trova il Golgota, ove si facevano le esecuzioni. Nella tenebraprofonda che si fece fra mezzogiorno e le tre, come fu constatato intutto l’impero romano, Gesù subì il suo ultimo supplizio. La croceera il più crudele e il più atroce dei tormenti perché la vittima,necessariamente immobilizzata, doveva sopportare, durante varieore, tutto il peso del proprio corpo, con le braccia tese. L’orribiletensione imposta, congestiona il sangue alla faccia e al petto eprovoca un dolore insopportabile che viene caratterizzato spesialmente da una sete bruciante. Morir crocifisso era morir unicamente di dolore nella più crudele delle agonie. Verso sera, si affrettaronoa spezzare le gambe del suppliziato, i cui piedi si trovavano a circaun metro da terra.

Morte di Gesù. — Sua Sepoltura.

Viene ora il momento decisivo che segna per il genere umano l’ora della sua redenzione. Gesù imprimerà col sigillo del suo sangue tutti gli atti della sua vita affinché siano atti di redenzione. Per mostrare che non è per atto forzato, ma per amore verso il Padre suo e verso gli uomini che Egli accetta che la morte compia su di lui l’opera sua, emette un gran grido e spira. Il nostro divin Salvatore è dunque morto. Con Maria sua Madre e con S. Giovanni, rimaniamo ai piedi della sua Croce e come i pochi Giudei che si convertirono in questo momento, battiamoci il petto, perché Gesù ha offerto la sua vita a Dio per espiare i nostri peccati. Erano circa le tre dopo mezzogiorno. Verso le Cinque, fu tolto dalla croce e sepolto in fretta, perché alle sei della sera cominciava il solennissimo Sabato. Coincideva infatti con il 15 di Nisan, giorno più importante delle feste pasquali. Giova ricordar che i Giudei non avevano cimiteri. Essi si preparavano un monumento funerario nella loro proprietà, spesso ai due lati delle grandi strade di comunicazione. Giuseppe, che era di Arimatea, città della Giudea, pose Gesù nel sepolcro, che aveva fatto fare per se stesso e che si trovava in un orto presso il luogo ove il Salvatore mori. Nicodemo aveva portato per imbalsamarlo provvisoriamente una grande quantità di profumi, circa 32 kilogrammi. Di poi chiusero il sepolcro con una grande pietra, assai difficile a rimuoversi. Le sante donne se ne ritornarono in città, vi acquistarono aromi, con l’intenzione di seppellire Gesù con più cura, dopo il riposo del Sabato. Il giorno seguente, ossia il sabato i Giudei sigillarono il sepolcro e vi posero delle guardie. — Amiamo ripetere in questo giorno insieme a Gesù la preghiera del Communio: « Padre, se questo calice non può passare senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà ».