TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (1)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (1)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S. Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE Par questions et réponses”

[TUTTA LA MESSA in Domande e risposte]

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

Avvertenza per il lettore

TUTTA LA MESSA IN DOMANDE E RISPOSTE, potrebbe portare come sottotitolo “Note di un catechista”. Inizialmente avevo redatto queste note per un corso di liturgia dato alla Scuola Marchand (Montréal). Per l’utilità di un maggior numero di fedeli, le ho pubblicate ad episodi nel nostro giornale parrocchiale, “Il faro”. Hanno fatto evidentemente del bene essendomi stata richiesto di raggrupparle in un volume e così diffonderle. – La dottrina si ritrova nel migliori commentari della Messa, in particolare Gihr, Croegaert, Grimaud, Dom Gaspard Lefebvre, Vandeur ed altri. Ho frequentemente citato i commentari dei Padri della Chiesa per dimostrare che noi preghiamo come i primi Cristiani. Questo libro vi viene offerto innanzitutto come come uno strumento di lavoro: io ho mirato all’utilità di coloro che insegnano e di coloro che vogliono apprendere. Non pretendo di aver detto l’ultima parola circa i soggetti trattati, né di aver detto tutto. Se volete, in aiuto di questa opera, per meglio comprendere, stimare ed utilizzare la Messa, leggete lentamente, poco alla volta, riflettete, meditate durante la Messa stessa, i riti; le parole per voi vuote di senso, saranno alfine luce, gioia e vita. Possano queste righe, che io ho dedicato all’Agnello immolato, farvi meglio gustare la vostra Messa per viverne profondamente.

Aldéric BEAULAC, p.s.s.

PRIMA PARTE

Nozioni generali

CAPITOLO I. NOZIONI GENERALI

a) Preliminari

1 — Che significa la parola MESSA?

La parola Messa significa rinvio. In passato, fin dall’inizio del Sacrificio, all’offertorio, coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati, che erano chiamati catecumeni, venivano rinviati: coloro che erano in penitenza e coloro che non erano stati battezzati – chiamati catecumeni – venivano mandati fuori dalla Chiesa. Alla fine del Sacrificio, il diacono diceva, come fa oggi: ite, missa est, andate, questa è finita, questo è il rinvio. Il popolo si è ricordato di questa parola e l’ha applicata a tutto il rito. – Il nome più antico della Messa era “Ecaristia”: esso significa azione di grazie. Si chiamò anche liturgia, cioè servizio pubblico. Alla Messa sono stati dati altri nomi: Elogio, che significa benedizione, frazione del pane, Cena, per ricordare l’ultimo pasto che Gesù fece con i suoi discepoli e il gesto di distribuire il pane consacrato; Santo Sacrificio, perché la Messa è il Sacrificio della croce rinnovata in mezzo a noi.

2 — Cosa si indica con: le cerimonie della Messa?

Si chiamano « le cerimonie della Messa » gli atti esteriori della Religione e i segni simbolici che la Chiesa usa nella celebrazione del Santo Sacrificio, per elevarne la maestà, istruire i fedeli e alimentare la loro pietà.

3 — Cosa si intende per: liturgia della Messa?

Si chiama « liturgia della Messa » l’ordine delle cerimonie e delle preghiere ufficialmente stabilito per la celebrazione della Messa dall’autorità religiosa competente.

La Messa, liturgia per eccellenza, ufficio pubblico, sempre uguale nella sua essenza, ha ricevuto solo gradualmente la disposizione che oggi vi troviamo. Cristo è stato il primo ad offrire il Sacrificio eucaristico. Nello stesso tempo, Egli diede ai suoi Apostoli e ai loro successori il potere e il comando di fare ciò che Egli stesso fece. Gli Apostoli aggiunsero all’atto essenziale del Sacrificio, varie preghiere ed alcune usanze, secondo le circostanze di tempo, luogo e persona, affinché la celebrazione dei santi Misteri fosse circondata da un maggiore rispetto ed edificazione. Nel corso dei secoli, a seconda della necessità o dell’utilità, questo rito si è sempre di più sviluppato, ordinato e completato. Da ciò sono nate diverse liturgie in tempi diversi, in luoghi diversi e tra popoli diversi. Sono esse però tutte concordi nei punti essenziali; si differenziano più o meno solo per la loro composizione e struttura.

4 — Quali sono le principali liturgie della Messa!

In generale, le varie liturgie sono divise in due gruppi: le liturgie orientali e quelle occidentali. – Le liturgie orientali si differenziano da quelle occidentali non solo per la loro patria d’origine e la loro lingua, ma anche per lo spirito, la forma e la composizione. Le principali liturgie della Chiesa d’Oriente sono: la liturgia di San Giacomo, la liturgia di Alessandria, la liturgia di San Basilio, di San Giovanni Crisostomo, degli Armeni, dei Melchiti, dei Siriani, dei Caldei, dei Bulgari Uniti. Tutte queste varie forme liturgiche sono state approvate dalla Chiesa Romana. Le principali liturgie occidentali sono: quella mozarabica, quella gallicana antica, quella ambrosiana e quella romana.

La liturgia romana ha sempre prevalso su tutte le altre e oggi è diffusa in tutte e cinque le parti del mondo. In Canada, gli orientali seguono la liturgia del loro paese d’origine; i fedeli di altre nazionalità adottano la liturgia romana.

5 — Quali differenze si possono notare nella celebrazione della Messa?

C’è la Messa cantata, in cui i canti liturgici accompagnano l’offerta del Santo Sacrificio, e la Messa bassa, in cui il Sacerdote recita le preghiere, senza alcun canto.

Tutti gli elementi della Messa cantata (o solenne), se spogliati della loro solennità, si ritrovano come raccolti e condensati nella Messa bassa: le parole vi si trovano nella loro interezza, con la differenza che i brani cantati alla Messa solenne sono letti ad alta voce alla Messa bassa.

6 — Siamo noi obbligati ad assistere alla Messa?

La Chiesa ci prescrive di partecipare alla santa Messa la domenica e nelle feste di precetto, non appena compiamo sette anni:

La domenica e nei giorni festivi, ascolterai la Messa.

7 —Come si deve assistere alla Messa?

Al Santo Sacrificio della Messa si deve assistere con la fede e l’amore dimostrato dagli Apostoli nella sua istituzione il Giovedì Santo; lo spirito di sacrificio e di riparazione della Beata Vergine, in piedi della croce, alla consumazione del Sacrificio del Calvario il Venerdì Santo”.

8 — Chi celebra il santo Sacrificio della Messa?

Celebra il Santo Sacrificio della Messa, il Sacerdote. – Il giorno dell’ordinazione, il Vescovo fa sì che l’ordinando tocchi il calice contenente il vino e la patena con l’ostia, dicendo: Ricevi il potere di offrire il sacrificio a Dio e di celebrare la Messa per i vivi e per i morti nel nome del Signore.

9 — Dove si celebra la Messa?

La Messa viene celebrata su un altare, di solito in una chiesa o in un oratorio aperto al pubblico.

10— Che cosa è l’altare?

L’altare è una tavola, sollevata da terra, sulla quale viene offerto un sacrificio. – Si distinguono due tipi di altari: l’altare fisso e l’altare portatile. Il primo è costituito da un grande tavolo di pietra sigillato con una base di pietra, con la quale forma un unico insieme consacrato. L’altare portatile è solo una semplice pietra, ma abbastanza larga per ricevere il calice e  l’ostia, adattandosi a qualsiasi pietra o legno. Che l’altare sia fisso o portatile, viene purificato al momento della sua consacrazione con molte abluzioni; viene unto più volte con l’olio dei catecumeni e del santo Crisma; è marcato con cinque croci; riceve, in una cavità al centro della pietra chiamata sepolcro, le reliquie di alcuni Santi, di cui almeno uno deve essere di un Martire.

11 – Come si addobba l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa?

Per adornare l’altare dove il Sacerdote celebrerà la Messa, è necessario:

1) Coprirlo con tre tovaglie bianche di lino o di canapa;

La ragione di questo triplice rivestimento dell’altare è la convenienza e la necessità di mantenere l’altare pulito, e anche l’evitare qualsiasi profanazione del prezioso Sangue, qualora dovesse essere versato. Una delle ragioni di questa severa prescrizione è da vedere anche nel significato mistico dell’altare e dei suoi teli: l’altare rappresenta Gesù Cristo, e il rivestimento dell’altare ricorda quei teli di stoffa in cui il corpo di Gesù Cristo fu avvolto con profumi dopo la sua discesa dalla croce. – Anche il candore di questi tessuti si adatta molto bene al loro significato. Secondo la Sacra Scrittura, il bisso, una specie di lino finissimo, bianco brillante, designa la rettitudine dei Santi (Apocalisse, XIX, 8). È la figura della purezza del cuore e dell’innocenza della vita, che si può ottenere solo attraverso la preghiera, la vigilanza e la mortificazione, così come la preparazione di questa tela che richiede molto lavoro.

2) Mettervi, come oggetto principale, una croce con candelieri su entrambi i lati;

3) Collocarvi tre immagini, chiamate canoni, che ricorderanno al Sacerdote le preghiere che non potrebbe facilmente leggere nel messale in certi momenti della Messa.

4) Collocare il messale sul leggio dal lato dell’Epistola;

5) Secondo una pia e lodevole usanza, raccomandata dalla Chiesa, decorare gli altari con fiori, soprattutto nelle feste maggiori.

12—Quali sono i vasi sacri necessari  alla celebrazione della Messa?

I vasi sacri necessari per la celebrazione della Messa sono il calice e la patena.

Nel calice è consacrato il Sangue infinitamente  prezioso di Gesù Cristo, e sulla patena è posto il suo adorabile Corpo. Per questo la Chiesa ha ordinato che questi vasi siano fatti solo con i metalli più nobili e preziosi. Inoltre, il calice e la patena devono essere consacrati, con una cerimonia riservata al Vescovo a causa del santo crisma che vi è utilizzato.

13—Quali sono i teli sacri necessari alla celebrazione della Messa?

I sacri panni necessari per la celebrazione della Messa sono il corporale, la palla ed il purificatoio.

Il corporale è un telo che il Sacerdote stende sull’altare per eseguire la consacrazione della specie santa: porta questo nome per il suo contatto immediato con l’adorabile Corpo di Gesù Cristo. Il purificatoio è un pezzo di stoffa che viene utilizzato per pulire il calice, così come le labbra e le dita del celebrante dopo la Comunione. La palla è un piccolo panno quadrato da cui è ricoperto il calice.

14 — Perché il corporale, il purificatoio e la palla si chiamano teli sacri?

Il purificatoio, il corporale e la palla sono chiamati teli sacri, perché servono  direttamente per l’adorabile Sacrificio della Messa.

Tutti i teli devono essere di lino o di canapa. Solo i sacri Ministri possono lavarli; nessuno può toccarli senza permesso, una volta benedetti e usati.

15— Come si prepara il calice in Sacristia?

Sul calice viene posto dapprima il purificatoio; vi si aggiunge la patena che porta l’ostia; poi vengono la palla, il velo, l’astuccio speciale, detto la borsa, che contiene il caporale.

16 — Cosa fa il Sacerdote prima di preparare il calice?

Prima di preparare il calice, il Sacerdote si lava le dita che non devono essere sporcate da nulla prima di toccare l’ostia, il calice e gli altri oggetti sacri.

17 — Nominate qual sono  i paramenti di cui si riveste il Sacerdote per dire la Messa?

Il Sacerdote nella sacrestia si riveste con i paramenti sacri:

1) Al collo mette un panno bianco chiamato amitto.

L’amitto simboleggia la protezione divina, l’« elmo della salvezza », con cui ogni Cristiano debba essere armato per resistere al diavolo.

2) Si copre con un indumento bianco chiamato alba.

L’alba significa: innocenza, purezza di cuore.

3) Intorno ai suoi fianchi si cinge di un cordone.

Il cordone indica la purezza del corpo e la mortificazione della carne mediante la castità.

4) Al braccio sinistro, pone il manipolo.

Il manipolo è il simbolo del suo lavoro: con esso asciuga il sudore dalla fronte (in passato era usato per asciugare il sudore dal viso) e ci ricorda le opere buone, i dolori e le fatiche del ministero, le lacrime e le sofferenze che meritano il Paradiso.

5) Si sospende al collo e si incrocia sul petto, la stola.

La stola è l’emblema della dignità, del potere sacerdotale e dell’immortalità dell’anima.

6) Si ricopre con una grande veste, chiamata casula.

La casula è solitamente ornata con una croce e rappresenta il giogo di Nostro Signore (De Imit. Christi, L. IV, cap. V, n. 2-4).

7) Si copre la testa con un berretto nero, la berretta.

18 — Di qual colore devono essere i paraenti sacri?

Si distinguono cinque colori liturgici: il bianco, il rosso, il violetto, il verde ed il nero.

19Quale è il significato di ogni colore liturgico?

1) Il bianco è l’emblema della purezza, dell’innocenza e della santità, oltre che della gioia e della gloria.

Serve a celebrare tutti i misteri gioiosi e gloriosi della Madonna, di Tutti i Santi, dei Pontefici, dei Dottori, dei Confessori, delle Vergini e in generale di tutti i Santi che non sono martiri.

2) Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, dell’amore e del sacrificio.

Si usa per celebrare le feste dello Spirito Santo, della S. Croce, della Passione, dei Martiri, comprese quelle degli Apostoli.

3) Il verde è il simbolo della speranza.

Si usa durante il tempo che, nella mistica liturgica, significa il pellegrinaggio in cielo, cioè i Tempi dopo l’Epifania e dopo la Pentecoste.

4) Il viola è il simbolo della penitenza.

Si usa in quei giorni in cui la Chiesa ha più bisogno di gridare a Dio: “Misericordia! Pietà! Perdono”, cioè durante l’Avvento, le Quattro Tempora, le Vigilie, le Rogazioni e le tre solenni benedizioni liturgiche dell’anno, quelle della candelora, delle ceneri e delle palme.

5) Il nero è l’immagine della morte.

Si usa nel grande giorno del Venerdì Santo e nelle messe di requiem.

(2)

b) Divisione della Messa

20 — Quali sono le due grandi divisioni della Messa ?

Le due grandi divisioni della Messa sono: la Messa dei Catecumeni e la Messa dei Fedeli.

21 — Qual è l’origine della Messa dei Catecumeni?

Quando i primi Ebrei si convertirono al Cristianesimo, continuarono a incontrarsi il giorno di sabato, come facevano secondo l’Antica Legge. Ma hanno dato un carattere cristiano ai loro incontri, cantando salmi, leggendo brani dei libri sacri, leggendo le Epistole degli Apostoli e brani del Vangelo del Maestro. Ben presto a queste letture si sono aggiunte preghiere e canti che oggi troviamo sotto forma di Kyrie eleison, Gloria in excelsis, la colletta. Poiché queste letture, preghiere e canti erano molto istruttivi, ma non facevano parte del Sacrificio cristiano, sono stati ammessi all’incontro non solo i Cristiani ma anche i catecumeni, cioè coloro che studiavano la dottrina cristiana in preparazione al Battesimo. All’inizio dell’Offertorio, i catecumeni venivano invitati a ritirarsi. È così che il nome della Messa dei Catecumeni si è imposto alla prima parte dei nostri santi Misteri.

22— Donde viene il nome di Messa dei Fedeli?

La Messa è un Sacrificio al quale si partecipa pienamente attraverso la Comunione. Tuttavia, solo il Battesimo ci dà il diritto di ricevere la Santa Comunione, e di conseguenza di essere presenti al Santo Sacrificio. Poiché coloro che avevano ricevuto questo primo Sacramento erano chiamati Fedeli, questa parte durante la quale il Sacerdote, in unione con i fedeli, offre il Santo Sacrificio, si chiama la Messa dei Fedeli.

23 — Cosa si indica come Ordinario della Messa?

Si chiama « Ordinario della Messa » la parte fissa, o quasi, constituente l’Ordo, vale a dire l’enunciazione delle formule e dei riti abituali della Messa.

24— Cos’è che si chiama il Proprio della Messa?

Si chiama « Proprio della Messa » la parte variabile, appropriata ai misteri o feste celebrate.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/04/14/tutta-la-messa-cattolica-momento-per-momento-2/

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMO 119: Ad Dominum cum tribularer

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 119

Canticum graduum.

[1] Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me.

[2] Domine, libera animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa.

[3] Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam dolosam?

[4] Sagittæ potentis acutæ, cum carbonibus desolatoriis.

[5] Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est! habitavi cum habitantibus Cedar;

[6] multum incola fuit anima mea.

[7] Cum his qui oderunt pacem eram pacificus; cum loquebar illis, impugnabant me gratis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXIX

I quindici Salmi che seguono si dicono graduali, perché da intendersi delle ascensioni dei Giudei da Babilonia in Gerusalemme, o di quelle dei 15 gradi per il Tempio di Salomone; o più veramente, delle ascensioni dei giusti, per i diversi gradi di virtù, alla celeste Gerusalemme che le suddette adombravano.

Cantico dei gradi.

1. Alzai le mie grida al Signore, mentre io era nella tribolazione ed egli mi esaudì.

2. Signore, libera l’anima mia dalle labbra inique e dalla lingua ingannatrice.

3. Che ti sarà egli dato, ovver che riceverai tu per giunta per la tua lingua ingannatrice?

4. Stette acute, vibrate da mano possente, e i carboni divoratori.

5. Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato! son vissuto tra gli abitatori di Cedar; lungamente è stata pellegrina l’anima mia.

6. Fui pacifico con quei che odiavan la pace; quando io parlava con essi, eglino mi si voltavan contro senza ragione.

Sommario analitico (1)

(1): I quindici salmi che seguono, dal CXIX al CXXXIII, sono intitolati Cantici dei gradi. Secondo l’opinione dei Giudei, che sembra il più fondato, questo nome sarebbe stato loro dato perché dopo la cattività era uso il cantarli solennemente salendo i quindici gradini che conducevano al sagrato degli israeliti. – Considerando il contenuto di una parte di questi salmi (CXIX, CXXII, CXXIII, CXXV, CXXVIII), lo stile recente di molti tra essi (CXIX, CXX, CXXI, CXXII, CXXVIII, CXXXIII), si è portati a fissarne l’epoca di composizione, al ritorno dalla cattività; forse sono anche tutti di quest’epoca, eccetto i salmi CXXIX e CXXX, che sembrano essere di Davide, ed i salmi CXXVI e CXXXI, che sembrano avere Salomone come autore. Questi quattro salmi, come la maggior parte di quelli di Davide, che fanno parte delle ultime raccolte o libri dei salmi, sono stati riportati qui per uso liturgico. I salmi CXXI, CXXIII, CXXXII, non sono di Davide, ma gli sono attribuiti per il loro titolo, come il libro della Sapienza è attribuito a Salomone, e questo perché sono composti ad imitazione di quelli del Re-Profeta (Le Hir.).

Il salmista parla qui in nome del popolo ebraico, ed esprime il desiderio di rientrare nella sua patria, ed in senso più elevato, di arrivare alla celeste Gerusalemme;

I. – Egli espone a Dio la sua afflizione, e ne fa conoscere:

1° l’effetto, il gridare verso Dio che lo ha esaudito (1);

2° la causa, le lingue inique e le labbra ingannevoli (2).

II. – Egli dichiara:

1° che non c’è rimedio umano a così grande male (3);

2° che spera solo nel soccorso di Dio (4).

III. – Egli deplora le afflizioni di questa vita,

1° a causa della sua lunga durata (5),

2° a causa della necessità di abitare con uomini pericolosi (5),

3° a causa della miseria della sua anima piombata in sì grandi mali (6),

4° a causa del combattimento continuo ed inevitabile contro i suoi nemici (7).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1, 2

ff. 1, 2. – Dal punto di vista storico, questi salmi sono chiamati salmi graduali, perché c’è la questione del ritorno da Babilonia e la cattività del popolo di Dio, ma in senso più elevato, essi sono chiamati così, perché conducono al cammino della virtù. In effetti il cammino che porta alla virtù è simile a gradini che elevano poco a poco l’uomo saggio e virtuoso fino a ciò che lo conduce fino al cielo. È così che i luoghi troppo elevati e che sono inabbordabili diventano accessibili, cioè per mezzo di gradi o scale. (S. Chrys.). – Tre cose importanti sono racchiuse in questo solo versetto. Il Salmista è nella tribolazione, non è esaudito, perché nessuno è nella tribolazione se non colui che vuol vivere con pietà in Gesù-Cristo. (S. Gerol.). – Il Profeta, nella sua persona, volendo formare l’uomo che, per gradi, vuol salire verso le cose eterne, gli insegna i pericoli dai quali deve soprattutto guardarsi; vale a dire, in primo luogo, di questi uomini che, per il loro credito e l’autorità dei loro consigli, per i loro incitamenti, spesso rinnovati, con la seduzione dei loro discordi, ci precipitano nell’inferno; gli uni ci spingono a perseguire gli onori, gli altri cercano di incatenare la nostra vita con i legami vergognosi della pigrizia, dell’intemperanza e della voluttà; questi, affascinandoci nei sentieri che conducono alle false religioni; questi altri sollecitandoci ad abbracciare delle dottrine scismatiche o eretiche. Contro tutti questi discorsi di cui l’Apostolo ha detto: « i cattivi discorsi corrompono i buoni costumi, la nostra anima è debole ed impotente, » ci resta un’unica speranza: gridare verso il Signore, (S. Hil.). – Utilità della preghiera nella tribolazione: – 1° essa è più pronta, a causa della necessità che abbiamo del soccorso divino: « Nella loro afflizione si affretteranno fin dal mattino verso di me; » (Osea, VI, 1); la tribolazione apre l’orecchio del cuore che spesso chiude la prosperità del secolo. (S. Greg. Moral.); – 2° essa è più costante: Giacobbe, temendo la collera di suo fratello Esaù, prega Dio, e non vuol lasciar partire l’Angelo finché non lo abbia benedetto; – 3° essa è più umile: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? » (Rom. VII, 24); – 4° essa è più fervente; « Signore, io rivolgerò le mia grida verso di Voi; il fuoco ha divorato le dimore nel deserto, e la fiamma ha bruciato tutti gli alberi delle campagne; gli animali dei campi saranno senza fiato verso di Voi, perché i ruscelli sono disseccati, perché il fuoco ha divorato le dimore del deserto; » (Gioel. I, 20); – 5° essa è più pura e gradita a Dio, e la benevolenza di Dio per voi, più grande; fate dunque in modo che tutta la vostra vita sia laboriosa e penosa, e ricordate che tutti coloro che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo saranno perseguitati, e che è con le molte tribolazioni che bisogna entrare nel regno dei cieli (S. Chrys.);  –  6° essa è più soave, perché è allora che l’anima si getta interamente in Dio, che succhia a questo latte celeste delle mammelle divine chiudendo gli occhi a tutte le cose della terra; – 7° « essa è animata da una più grande fiducia, al pensiero che Dio è con noi nella tribolazione; – 8° essa è più efficace: « io ho gridato verso il Signore quando ero nella tribolazione, ed Egli mi ha esaudito. »  Signore, essi vi cercheranno nell’angoscia in mezzo ai dolori ed ai mormorii, Voi li istruirete ed essi riconosceranno la vostra mano, (Isai. XXVI, 16). – Che cos’è dunque la lingua ingannevole? È la lingua perfida che sembra mettervi innanzi il vostro bene e non prepara invece che la vostra perdita. Esse dicono: farete dunque ciò che nessuno fa? Sareste dunque solo voi Cristiano? E se voi mostraste loro che altri agiscono come voi; se leggete loro il Vangelo nel quale Dio ordina di fare così, o pure gli Atti degli Apostoli, cosa vi dicono questi uomini dalla lingua ingannevole e dalle labbra ingiuste? Forse non avrete la forza di andare fino al vostro fine; voi intraprendete una faccenda molto difficile. Gli uni vi allontaneranno dal bene con la loro opposizione formale, gli altri vi fermano ancor più pericolosamente con l’elogio che fanno della virtù (S. Agost.). – Il Profeta distingue le labbra inique dalle lingue ingannevoli. L’iniquità è arrogante e senza pudore, manifesta apertamente la sua impudenza, è in pieno giorno che prepara le sue insidie, e persegue l’adempimento dei suoi cattivi disegni: tali sono coloro che, negando l’esistenza di Dio, dicono che la Religione non ha alcune utilità nelle cose umane, che non c’è che un solo bene sulla terra, e cioè il darsi al lusso, ai piaceri del corpo, negando a Dio ogni cura, ogni provvidenza, ogni volontà, ogni potenza sulla condotta degli uomini. La lingua ingannatrice segue una condotta diversa: essa è cauta, ricorre all’astuzia, a pericolose dissimulazioni; essa cerca di distruggere la Religione nel nome stesso della Religione, ed a condurci alla morte sotto l’apparenza della vita (S. Hil.). – Nessuna tentazione è più pericolosa dell’essere soggetto agli attacchi di un uomo ingannevole. Un animale feroce è da temere di meno, perché esso si mostra qual è, mentre l’ingannevole nasconde accuratamente il suo veleno sotto il velo della dolcezza ed è impossibile scoprire queste insidie … Ora, se bisogna evitare gli uomini furbi e dissimulati, quanto più gli ingannatori e coloro che insegnano le false dottrine. Ma guardate soprattutto come libri ingannevoli quelli che cercano di attaccare la virtù e ad immergersi nel vizio. (S Chrys.).- Come Dio libera dalle lingue ingannevoli: – 1° facendo che colui che ne è l’oggetto non ascolti più (Ps. XXXVIII, 15); – 2° ispirandogli una profonda indifferenza verso tutti questi discorsi artificiosi (I. Cor., IV, 15); – 3° facendo in modo che non si dia fede a ciò che pissono dire; – 4° che le loro parole siano disapprovate; – 5° che l’uomo in preda ai loro attacchi metta tutta la sua fiducia nel testimonio divino che, dall’alto dei cieli, vede il fondo della sua coscienza; – 6° che ricordi tutto ciò che è stato detto contro Gesù-Cristo; – 7° che pensi che sia un mezzo per volgersi verso Dio (Ps. LXXXII, 15); – 8° che si ricordi che egli stesso sovente ha parlato male degli altri (Eccl. VII, 22). 

II – 3, 4.

ff. 3, 4. – Questi due versetti sono suscettibili di tre sensi che contengono tutti delle importanti istruzioni: – 1° senso – Cosa si può aggiungere ad un lingua piena di furberia, qual più grande male? In effetti delle labbra ingiuste possono esistere senza una lingua ingannevole, come quando si aprono alla calunnia ed agli oltraggi pubblici; ma quando una lingua ingannevole viene ad aggiungersi a delle labbra ingiuste, non si può aggiungere nulla a questo male. Frecce scoccate da una mano potente e abile che colpisce da lontano, imprevedibile, accompagnate da carboni bruciati, non possono entrare in comparazione con una lingua furba o artificiosa che fa in un istante piaghe che non si possono prevedere, né guarire, che, spinte dal demonio, stendono le loro devastazioni al di là di ciò che si possa immaginare, e accende dei fuochi di dissezioni, di divisioni, di odi ardenti che è impossibile spegnere. « La lingua non è che una piccola parte del corpo, ma quante grandi cose fa! Una scintilla brucia una grande foresta: la lingua pure è un fuoco; è un mondo di iniquità, è uno dei nostri membri che infetta tutto il corpo; essa brucia tutto il corpo della nostra vita, infiammata essa stessa del fuoco dell’inferno (Giac. III, 5, 6). – 2° senso. – Cosa riceverete, o qual frutto vi tornerà dalla vostra lingua ingannevole, cioè qual supplizio sarà degno di un tal crimine? È il linguaggio che Isaia usava con i Giudei: « Come colpirvi di più, voi che non cessate di aggiungere prevaricazioni? » (Isai. I, 5); o meglio, il Profeta vuol dire che l’uomo furbo trova il suo supplizio nel suo crimine, e che previene il castigo che gli è riservato anche quando genera il vizio del proprio fondo. Non c’è in effetti, supplizio più grande per l’anima del vizio, prima che sia punito. Qual castigo dunque sarebbe degno di tale crimine? Non ce n’è uno quaggiù. Dio solo può qui eguagliare il castigo alla colpa. L’uomo resterebbe necessariamente al di sotto perché questo genere di malvagità è al di sopra di ogni castigo. Dio solo può punirlo come merita, ed è ciò che il Profeta vuol fare intendere aggiungendo: « frecce acute, lanciate da mano potente con carboni divoranti. » una di queste espressioni metaforiche fa fuoriuscire la moltitudine di castighi, e l’altra la sua intensità. (S. Chrys.). – Non ci stupiamo allora che il Signore debba lanciare queste frecce acute e questi carboni ardenti contro i furbi. Dio è la verità essenziale; e colui che veste la maschera della verità per accreditare la menzogna, ferisce in qualche modo l’essere di Dio; egli dunque deve aspettarsi tutte le sue vendette. – 3° Senso – Sant’Agostino vede qui un dialogo nel quale l’uomo, in preda alla tribolazione, prega dapprima il Signore; poi il Signore gli risponde: quale rimedio ci sarà dato contro le lingue ingannevoli? Tu ne hai qualcuno a tua disposizione, eccolo: « Le frecce acute di un arciere vigoroso con carboni divoranti; cioè le parole di Dio che trapassano i cuori con gli esempi della carità ardente; perché se a questa parola di Dio, si aggiunge l’esempio della vera carità simile ad un carbone infiammato, nulla potrà resistergli (S. Agost.). – Quest’ultimo senso, benché molto edificante, è il meno letterale. Forse il santo Dottore ha in vista queste parole di San Paolo, invitanti i cristiani a non lasciarsi vincere dal male ed a trionfare del male con il bene, facendo questo, egli dice, voi ammasserete carboni ardenti sulla testa del vostro nemico (Rom. XII, 20).

III. — 5-7.

ff. 5, 6. –  « Me maledetto, perché si è prolungato il mio esilio. » È il grido di dolore dei prigionieri di Babilonia viventi in mezzo a popoli barbari; è anche il grido di dolore di Cristiani sulla terra, e San Paolo, parlando dell’esilio che si prolunga su questa terra, si esprime così: « Mentre siamo in questo corpo come sotto una tenda, gemiamo sotto il suo peso. » (II Cor. V, 4). Ed in altro luogo: « Non solo gemono la creazione, ma pure noi che possediamo le primizie dello Spirito, gemmiamo internamente. » (Rom. VIII, 23). Che cos’è in effetti la vita presente? Un vero esilio. Cosa dico, un esilio? Essa è mille volte più triste di un esilio. La prima cosa, come la più importante per noi da sapere, è che noi siamo in questa vita come dei viaggiatori. Gli antichi Patriarchi lo riconoscevano altamente, ed è ciò che li rende degni della nostra ammirazione. « Ed è per questa ragione – aggiunge l’Apostolo – che Dio non arrossisce di essere chiamato loro Dio. » (Hebr. XI, 15, 16). Qual è questa ragione? Perché essi hanno confessato che erano stranieri e pellegrini su questa terra (S. Chrys.). – Ma c’è di più: Talvolta un uomo in viaggio vive in mezzo ad uomini migliori di coloro con i quali viveva nella sua patria; ma non è così nel nostro esilio fuori della Gerusalemme celeste. In effetti, un uomo lascia la sua patria, e talvolta si trova felice nel suo esilio; egli incontra degli amici fedeli che non aveva potuto trovare in patria. È necessario che egli abbia avuto dei nemici per essere cacciato dalla sua patria, ed ha trovato nell’esilio ciò che non aveva nella patria. Tale non è la celeste Gerusalemme, ove tutti gli abitanti sono buoni; chiunque si trovi fuori da queste sue mura è in mezzo ai malvagi, e non può ritrarsi da essi se non tornando nella società degli Angeli e dei Santi, ove tutti sono buoni e giusti … perché infine, se abita con dei giusti, non direbbe mai: « Me misero! » Me misero … , è il grido della miseria, il grido della sofferenza e dell’infortunio … « La mia anima è stata per lungo tempo errante in terra straniera. » Per timore che non si pensasse ad un viaggio corporale, il Profeta dice che l’anima è stato per lungo tempo errante. Il corpo viaggia cambiando i luoghi; l’anima viaggia cambiando i sentimenti. Se amate la terra, viaggiate lontano da Dio, se amate Dio, salite verso Dio (S. Agost.). – Quando si è considerata con gli occhi della fede la grandezza dei beni del cielo, la terra, con tutti i beni che racchiude, non sembra più degna di coinvolgere il nostro cuore più di questa tenda mobile che il pellegrino monta nel deserto, o di questi mobili preziosi che il viaggiatore incontra nell’albergo dove si ferma qualche istante per il pasto del mattino o il riposo della notte. – Il Profeta annunzia loro la pace, ma questi nemici della pace, non solo non la ricevono, ma attaccano senza motivo, con la loro malvagità, il predicatore della pace (S. Gerol. e S. Hil.). – Finché viviamo in mezzo al mondo, dimoriamo con gli abitanti del Cedar, con i nemici di Dio e della sua Chiesa, perché le tende del Cedar, tende nere e grossolane, sono quelle dello spirito delle tenebre, queste tende che ci offrono un riparo non racchiudono che il vizio, la menzogna, la furbizia, ed il mio cuore è troppo spesso simile, perché esso stesso non dà asilo che a pensieri vani e a colpevoli voluttuosità. Desideriamo dunque, come il profeta e come l’Apostolo, viaggiare lontano dal nostro corpo piuttosto che lontano da Dio, e non siamo come la maggior parte dei Cristiani, che amano talmente i giorni del loro viaggio e le tende del Cedar, che non hanno discorso più triste di quello che  intrattengono circa la partenza prossima da questa vita.

ff. 7. – Il Profeta dice che ha dimorato con gli abitanti del Cedar, ma non nelle abitazioni del Cedar, perché benché i santi vivano nella carne, tuttavia, se le armi con le quali combattono non sono carnali, ma potenti in Dio, essi abiteranno presso le tende, ma non sotto le tende del Cedar; perché separati dal loro corpo con le loro inclinazioni, e già cittadini del cielo con il cuore, essi intendono l’Apostolo dire loro: « Per voi, voi non siete nella carne ma nello spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rom. VIII, 9), (S. Hil.). – « Io ero pacifico con coloro che odiavano la pace .» Chi di noi oggi potrebbe avere questo linguaggio? È già molto per noi essere pacifici con gli amici della pace; ma lui lo era con coloro che odiavano la pace. Come potremo noi arrivare a questo grado di virtù? Se noi viviamo quaggiù come degli estranei, come viaggiatori che non si lasciano fermare da alcuna cosa che si presenti ai loro sguardi. In effetti, la causa principale delle controversie e delle guerre, è l’amore per i beni della terra, la passione per la gloria, per il danaro, i piaceri …  è per questo che Nostro Signore vi invia come pecore in mezzo ai lupi. Egli non vuole che possiamo dire: io ho tanto sofferto che il mio carattere ne sia stato amareggiato. Le vostre sofferenze fossero mille volte più numerose, come voi dite, conservate la dolcezza della pecora, e trionferete facilmente dei lupi. Voi siete in lotta con un uomo perverso e corrotto, ma le forze di cui disponete vi rendono superiore a tutti gli sforzi dei malvagi. Cosa c’è di più dolce di una pecora, cosa più feroce di un lupo? E tuttavia la pecora trionfa del lupo come vediamo nella persona degli Apostoli; perché nulla eguaglia la potenza della dolcezza, né la forza della pazienza … « Quando io parlavo loro, essi si levavano contro di me senza ragione. » È nel momento stesso in cui mi intrattenevo con loro, e che davo loro la mia amicizia, indirizzando loro le parole più benevoli, che essi si scagliavano ed ordivano le loro trame, senza che nulla fosse capace di fermarli; ciò nonostante, nei confronti di queste disposizioni odiose, la mia dolcezza non si smentiva. Tali devono essere i nostri sentimenti: non rispondano essi al nostro amore che con i loro oltraggi e con cattivi trattamenti, tendano insidie, non lasciamo opporre loro la stessa virtù. (S. Chrys.). – Vivere in pace con anime pacifiche, con spiriti moderati, con moti socievoli, sarebbe appena una virtù da filosofo e da pagano; molto meno deve essere per una virtù soprannaturale e cristiana. Il merito della carità, diciamo meglio, il dovere della carità, è conservare la pace con uomini difficili, scontrosi, importuni. Perché? Perché può accadere, ed in effetti tutti i giorni accade, che i più importuni ed i più scontrosi, i più difficili ed i più tristi, siano giustamente coloro con cui dobbiamo vivere in più stretta società, coloro dai quali ci è meno possibile separarci, coloro ai quali, nell’ordine di Dio, noi ci troviamo uniti con i legami più indissolubili. (BOURDALOUE, Sur la Nat. de Notre-Seig.).

PREDICHE QUARESIMALI (2020 – VI)

[P. P. Segneri S. J.: QUARESIMALE – Ivrea, 1844, dalla stamp. Degli Eredi Franco – tipgr. Vescov.]

XXXVI

NEL DI’ SOLENNE DI PASQUA

Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem.

S. Paul. l. ad Cor. XV 53.

I. Tra quante religioni, o antiche o moderne, hanno fiorito fra’ popoli, niuna, fuor della cristiana, ritroverassi, che non sia stata singolarmente piacevole verso il corpo concedendogli tutti i piaceri onesti, e molto consentendogli ancora i vituperosi. La nostra sola gli si è mostrata perpetuamente sì rigida e sì ritrosa, che facilmente potrebbe credersi nata a perseguitarlo. Vien ella al mondo; e sfoderando incontanente una spada di dolorosissimo taglio: guerra, guerra, dic’ella; quest’è quel ch’io vengo a cercare fra’ popoli. Chi mi vuol per amica, non mi ragioni di morbidezze e di agi, di riposo e di ozio, perch’io protestomi apertamente che questo non è ‘l mio fine: non veni pacere mittere, sed gladium (Matt. X. 34). Quindi promulgando con ordine più distinto le sue determinazioni: olà, soggiungo, voi che sposaste così gran turba di mogli, licenziatele tutte, che al più sol una mi contenterò di lasciarvene; e questa di modoche non possiate abusarvene per impeto di libidine, ma sol valervene per desiderio di prole. Che se bramate di essermi più graditi, non vi sia grave rinunziar anche a questo gran privilegio, conceduto alla natura, di perpetuare voi stessi col propagarvi. Date volontario rifiuto ad ogni diletto, il quale abbia del sensuale; e se ribelle vi ricalcitri il senso, ascoltate me. Sottraetegli gli agi con la volontaria mendicità, diminuitegli il cibo con le frequenti astinenze, interrompetegli il sonno con le importune vigilie; e se non basta, rintuzzategli ancora con le sanguigne flagellazioni l’ardire. Evvi boscaglia spaventosa in Egitto? Correte lieti per mio consiglio ad ascondervi in quegli orrori. Allora mi sarete più cari, quando io vedrovvi aver per casa o gli scogli, o le sepolture. Là vi offerisco per compagnia fiere orribili, per vitto radiche amare, per bevanda acque insipide, per vesti setole acute, e per letto rottami tormentosissimi. E perché io so che, non ostante la vostra nota innocenza, avrete molti avversarj, che vi vorranno ostinatamente rimuovere dal mio culto, guardate bene, ch’io non voglio essere abbandonata da voi né per prieghi, né per promesse, né per terrori. Quando alcuno vi tratti di ribellione alla fede da voi giuratami, e voi per risposta offrite subito pronte le carni a’ graffi, i nervi alle torture, l’ossa alle seghe, i denti alle tenaglie, gli occhi alle lesine, e ‘l collo stesso alla scure. Vi mostreranno da un lato fornaci ardenti; e voi accettate d’entrarvi: vi additeranno dall’astro stagni gelati; e voi consentite di seppellirvici: né mai vi siano o precipizi sì cupi, o fiere così fameliche, o ruote sì tormentose, o saette sì acute, o graticole sì roventi, per cui timore voi ritrattiate pur uno di quegli articoli ch’io v’insegno. – Queste sono le pubbliche intimazioni che a’ suoi seguaci ha fatte fin da principio la nostra legge: nolite timere eos, qui occidunt corpus (Matth. X. 28). Ebbene che dite, uditori? Vi basta l’animo di porle in esecuzione? Parmi di vedervi a tal nuova, turbati e taciti, non osar di aprire la bocca per lo spavento. Ma allegramente, signori, si, allegramente, che presto alla ferita succede la panacea, e all’aconito nasce vicino ne’ prati stessi l’antidoto. Quella legge medesima, la qual ordina che si debba odiar questo corpo, e perseguitare, e percuotere, e sospendere ancora, se ciò bisogni, con quello del nostro Cristo su un duro tronco; questa medesima è la prima anche a trattar di restituircelo, come fu renduto oggi a Cristo, di lacero intero, d’infermo sano, di livido risplendente, di caduco immortale, e di affaticato impassibile: mentre, qual grano di frumento disfatto sotto la terra, è vero ch’egli morrà, ma per ravvivarsi; è vero ch’egli marcirà, ma per rifiorire; è vero ch’egli si perderà, ma per ricuperarlo nella ricolta più bello assai che non era, e più rigoglioso. Oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. – Sarà pertanto questa sera mio debito di mostrarvi, ma brevemente, quanto sia giusto che venga chiamato anche egli a parte del premio nel paradiso chi a sì gran parte di patimenti è nel mondo; affinché voi siate corti, che se nel corso di questo sagratissimo tempo quaresimale avete molto nella carne patito, digiunando, disciplinandovi, macerandovi, dovrete poscia eternamente godere ancor nella carne, ma già gloriosa.

II. Pirro, capitan celeberrimo nell’Epiro, sentendosi non so qual volta onorare da’ suoi soldati col nome di Aquila, per la velocità con cui egli volava, combatteva, abbatteva ogni suo nemico: è vero, rispose loro, ch’io sono un’aquila; ma voi, soldati miei, siete l’ale, su cui m’innalzo. L’istesso, s’io non m’inganno, l’istesso l’anima può affermar che a lei sieno tutte le membra del corpo, ciò che al capitano i soldati; che è come dire, l’ale che per lui stanno sempre in perpetuo moto, in agitazione, in faccenda. E vaglia la verità, qual è quell’operazione, quantunque minima, che possa fare ora l’anima senza il corpo? Non può dire parola, non può dar passo, non può formare un pensiero. Se afflitta vuol ella esprimere i suoi dolori, convien che prenda dal corpo in prestito le lagrime ed i sospiri; se lieta gode di palesare i suoi giubili, convien che il corpo ancor egli le somministri i risi e i tripudj. Invano per lei risplendono tante stelle nel firmamento, se il corpo negale occhi da vagheggiarle. Dal corpo ell’ha quel diletto che trae da’ cibi; dal corpo quel che le porgono le armonie: dal corpo quel che le rendono le fragranze; dal corpo quello che le offeriscono i giuochi; dal corpo quelle che le conciliano i sonni; e per restringere il tutto con Tertulliano in brevi parole: quem naturæ usura, quem mundi fructum, quem elementorum saporem, non per camera anima depascitur? (De resurr.carnis); – Or immaginatevi, che amorperò non prende subito l’anima a questocorpo, da cui si trova in progresso breve ditempo sì ben servita! Vien ella tosto ad affratellarsitalmente con esso lui, che nienteal mondo teme più del suo danno, o desidera del suo bene.Quanto difficilmente però contenterebbesi ella di soggettarlo a così gravi strapazzi, quali son quei che la nostra Religione o ne insegna, o ne ordina, o ne consiglia, se non datesse riportarne ancor egli qualche profitto! Considerate un magnanimo capitano. Vedrete che a lui non basta d’essere premiato egli solo per la vittoria che ha riportata pugnando; signori no; rea vuol che il premio ripartasi parimente a que’ guastatori ch’hanno scavate le mine: a quegli assalitori che son saliti su’ merli; a que’ sergenti ch’hanno schierate le file; a quelle scorte ch’hanno guidato l’esercito e sino a que’ fantaccini che sono stati a custodire oziosamente il bagaglio tra i padiglioni.  Così fece al certo Davidde d’allor ch’egli era capitano ancora privato. Uscì egli un giorno con seicento de’ suoi a perseguitare una truppa di Amaleciti, i quali gli avevano divampata la terra di suo ricovero con saccheggiarne le masserizie e gli armenti, e con rapirne le femmine ed i bambini; quando in arrivare a un certo torrente, dugento di quei soldati stanchi e scalmati si abbandonarono su le sponde di esso, né il vollero tragittare; gli altri quattrocento passati animosamente, colsero all’improvviso i nemici baldi e festosi per la fresca vittoria, li ruppero, gli sconfissero, li fugarono, e ne riportarono tutta intera la preda. E già volevano allegramente partirsela tra lor soli; quando: fermate (disse loro Davidde), ch’io mi contento che voi molto bene abbiate la parte vostra; ma dov’èla parte di quegli, i quali sono rimasti si lassi al fiume? Come (ripigliarono gli altri) di que’ codardi? E qual fatica è giammai stata la loro, se non giacersene, mentre noi pugnavamo, all’ombra degli alberi ed alla frescura dell’acque? Non accade altro (replicò tosto Davidde), io voglio che così sia. E così fin d’allora promulgò questo editto, rimasto tra gli Ebrei per legge inviolabile, che di qualsivoglia bottino fosse data eguale la parte e a quo’ soldati ch’eran discesi alla zuffa, e a quegli ch’eransi trattenuti al carriaggio. Æqua pars erit descendentìs ad prælium et remanentis ad sarcinas (1 Reg. XXX. 24). – Ora io v’argomento così: se è ragionevole che sia premiato chi al tempo della battaglia non altro fece che custodir fra le tende la munizione, perché in qualche modo può affermarsi di esso, che cooperò alla vittoria; non sarà giusto che sia premiato ancor egli chi ricevé le ferite, chi sparse il sangue, chi perdette le membra, chi die la vita? Ma queste son le parti del corpo ne’ gran conflitti che noi sosteniamo per la fede, o per la giustizia. Del corpo sono, del corpo quelle ferite che ci formano le zagaglie, non son dell’anima; del corpo è quel sangue, di cui s’inebbria il terreno; del corpo quelle membra, onde saziansi i leopardi; del corpo quella vita, che si consacra alla morte: e poi volete che il corpo solo rimanga senza mercede? Se così fosse, pare che l’anima non avria fronte a richiedere tanto da lui, e per conseguente pochi avrebbe la nostra religione, che la difendesser ne’ tribunali; pochi che la sostenessero nelle carceri; e pochi che con dispendio delie proprie comodità perpetuamente cercassero i suoi vantaggi. – Giustamente dunque ha Dio fatto a voler che corpo venga premiato eternamente ancor egli insieme con l’anima; sicché chi è stato così congiunto nell’opera, non resti poi separato nel guiderdone. Oportet, oportet corruplibile hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem. Ma perché oportet, se noi vogliamo stare al parere del Nazianzeno? (Orat. 10. in laud. Cæs.) se non perché è ragionevole che cum anima cognatam carnem receperit, eam quoque ad gloriæ cœlesiis hæreditatem secum admittat, et jucunditates suas cum ipsa comunicet, quæ ærumnarurn particeps fuit!

III.  Quind’io mi avanzo meglio ancora a discorrere in questa forma. Già voi sapete, uditori, che, mercé la gran dipendenza ch’abbiam da’ sensi, più ci sentiamo noi muovere dagli oggetti sensibili e pateriali, che dagli spirituali ed astratti. Esaminate pur voi la maggior parte degli uomini, ancora non popolari: vedrete che essi per lo più non intendono come possa uno ritrovar nello studio piacer sì grande, chea fin di chiudersi a conversare coi morti in un gabinetto, rinunzii a’ giuochi, sdegni le caccie, si dimentichi di mangiare, non pensi a bere; e quando essi odansi, per cagione di esempio, dir da un Plutarco, scrittore di tanto grido, ch’egli, benché morto di fame, lascerebbe il vero convito, imbandito sì lautamente nella Feacia per leggere il finto, descritto sì elegantemente da Omero, se ne fanno beffe, come d’una di quelle millanterie facili a dirsi, perché sono difficili ad impugnarsi. – Or posto ciò, come avrebbe mai Dio potuto ottenere da tanta moltitudine di uomini rozzi, indisciplinati, grossolanissimi, ch’essi venissero volentieri a privarsi per amor suo di tanti beni corporei, quali sono splendor di ricchezze, abbondanza di agi, molteplicità di delizie, se poi per contraccambio lor promettesse una tal sorte solamente di premj che, quantunque sublimi di qualità, non però fossero comprensibili a’ sensi? Perdonatemi, o mio Signore, s’io tanto ardisco d’inoltrarmi a parlare in questa materia. So ben io che la vera beatitudine, la quale in cielo renderà paghi gli eletti, sarà la vista svelata del vostro volto, e la notizia distinta de’ vostri arcani. Così voi concediate a questi occhi miei, che un dì vi possano vagheggiare a lor agio, com’io di null’altro bene mi curerò. Resterà subito il mio pensiero assorbito in quel vasto oceano di una grandezza infinita, ed ivi non ritrovando né spiaggia dove approdare, né fundo ove ghignerò, amerò di andare eternamente annegandomi in un giocondo naufragio di contentezza. Ammirerò quel Ternario ineffabile di Persone, che forma numero, e non moltiplica essenze. Contemplerò quelle tante sorte di relazioni, ma lungi da ogni subordinazione di dipendenza; quelle tante opposizioni di termini, ma esenti da ogni pericolo di discordia. Vedrò un Primo, che di un Secondo è principio; eppure non lo precede; scorgerò un Secondo, che da un Primo ha l’origine; eppure non ne dipende; mirerò un Terzo, che dal Primo trae l’esser col Secondo eppure né al Secondo è fratello, né figliuolo al Primo. Intenderò come possa essere che in Dio sia la fecondità sì perenne, mentre non può generarsi più di un figliuolo; come la facondia così perfetta, mentre non si può esprimere più di un Verbo; e di scorrendo per quel che di esso avrò letto nelle Scrittore, imparerò com’egli si penta, eppur non cambi volere; com’egli si attristi, eppur non provi afflizione; com’Egli si adiri, eppur non abbia contrasto; come Egli si parta, eppur non alteri sito; come, senza sentire alcun peso, il tutto sempre sostenga, e con un sol dito;come, senza patire alcun tedio, al tutto sempre provveda, e con un sol atto; come sia liberale, ma senza scapito; come libero, ma senza mutazione; come intendente, ma senza specie; come presente, ma senza luogo; come antico, ma senza tempo; come nuovo, ma senza incominciamento. Questo sarà, non lo nego, quel sommo bene, che, s’io sarò degno di tanto, mi renderà perpetuamente felice. – Ma qual concetto voi ne formate, uditori? Là uno sta dormendo; là un altro sta per dormire; e tra queste buone donne non mancano ancora alcune che, censurandomi, stanno quasi quasi per mettersi a dir tra loro ch’io vo tropp’alto. Né me ne meraviglio, vedete; perché io medesimo, il quale di tal bene vi parlo, non io capisco. Balbetto come fanciullo, accozzando termini, quanto tra sé per la opposizion più ammirabili, tanto da me per la profondità meno intesi. Figuratevi dunque ch’altra felicità non avesse Dio promessa in Cielo a’ suoi servi, di questa ch’è la maggiore; quam oculus non vidit, quam auris non audivit(1 ad Cor. II. 9); ahimè, ch’io temo che i più gli avrebbero detto  non la curiamo: nauseat anima nostra super cibo isto levissimo(Num. XXI. 5); e, come fecer gli Ebrei, non avrebbero per la manna voluto lasciar le starne, lasciare le coturnici; ch’è quanto dire, non avrebbero voluto per un tal bene, ch’è astruso ed impercettibile all’istesso intelletto, lasciarne tanti, che son chiari e palpabili ancora a’ sensi. – Che ha fatto però Dio pietosissimo in tollerare i difetti umani? Si è accomodato ad una tal debolezza d’inclinazione, ed ha voluto nel cielo apprestarci beni, i quali non solamente fossero pari per equivalenza a’ corporei, ma simili in qualità; sicché queste mani ancor, queste orecchie, queste nari, questo palato, questi occhi, abbian realmente il suo diletto distinto, con cui sfogare i loro innati appetiti. Oportet, oportet corruptibìle hoc induere in corruptionem, et mortale hoc induere immortalitatem; ch’è ciò che intese il beato Lorenzo Giustiniano, ove lasciò scritto, che caro, benché spiritualis effecta, contuttociò per omnes sensus suos multimtodis exuberavit deliciis(Lib. de discipi. perfect. monast.).

IV. Ed ecco che Dio con questo è insieme venuto a rendere inescusabili tutti quei che non giungeranno a salvarsi. Perocché ditemi: che mi potete voi ora opporre, o Cristiani, quando in suo Nome io v’inviti a mortificarvi, ch’è giusto dire, a rinunziar que’ diletti che solete ora sfrenatamente concedere a’ vostri sensi? Potrete storcervi? me lo potrete negare? – Potrebbe, è vero, parervi cosa durissima il vietar ora a’ vostri orecchi il sollazzo ch’essi ricevono da quelle femminili armonie, di cui risuonano spesso i vostri teatri, o i vostri festini, o le vostre veglie, quando mai più voi non doveste provare un diletto simile. Ma mentre io vi assicuro che goderete questo gener medesimo di trastullo in maniera ancor più perfetta e più lusinghevole, né lo godrete sol per brev’ora, ma per tutta l’eternità con aver sempre ad ogni minimo cenno i musici ubbidienti, i sonatori pagati, e gli organi aperti; perché dovrà parervi ora tanto molesto, non dirò perderlo ma dirò differirlo? Non udiste più volte che il primo suono di un violino toccato per mani angeliche bastò ad affogare l’animo di Francesco febbricitante in un torrente di giubilo così alto, che, rotti gli argini, traboccò ancora nel corpo, e vi traboccò di maniera, che ne portò via rapidamente ogni specie d’infermità, benché contumace, ogni debolezza, ogni doglia? Or questo piacere appunto avranno cotesti medesimi vostri orecchi: e non l’avranno momentaneo e fugace, come fu quello, ma stabile e permanente. E non rinunzierete per esso, finché vivrete, a qualunque musica vana? Non voglio, o ghiotti, che vi priviate in eterno di quel diletto che voi provate fra tante varie saporose vivande; voglio che aspettiate anche un poco, finché finiscasi d’imbandir quella tavola, di cui avendo in un suo ratto gustato l’abate Salvi, masticava poi sempre i cibi nostrali, come aconiti tartarei. Non voglio, ogiovani, che rinunziate in eterno a quel godimento ch’or voi cavate dal vagheggiare una lusinghevol bellezza; voglio che induriate anche un poco, finché veniate introdotti a quelle conversazioni, di cui avendo in una sua visione partecipato l’abate Silvano, fuggiva di poi sempre le facce amane, come visaggi diabolici. Che potete a questo rispondermi? Voglio altr’io, se non che siate contenti di ricevere quello stesso che voi siete sì avidi di ottenere? Questa è la vera maniera di persuadere: esortarvi a quel medesimo appunto che voi vorreste. Vera ratio persuadendi est, cum id poscitur, ut impetremus a vobis quod concupiscitis, diceva il santo vescovo Eucherio (Ep. 1. paraen.); e diceva bene. – Voi vi vorreste saziar di gusti corporei: non è così? Ed io di gusti corporei voglio che vi saziate: con quest’unica differenza, che voi li desiderereste sozzi, ed io voglio darveli puri; voi li desiderereste manchevoli, ed io ve li voglio dare perfetti; voi li desiderereste caduchi, ed io voglio darveli eterni: hoc, quod exiguum amatis, insinuamus, ut ametis æternum. Questo è sol quanto discordiamofra noi: che voi vorreste il meno,e io vi offero il più. Vi par però questaofferta da non curare?

V. È vero che dovete aspettare ancor qualche poco a conseguire ì diletti da me promessivi. Patientia vobis necessaria est, (come già diceva l’Apostolo – ad Heb. X. 36) ut reportetis promissionem. Ma quando il cambio è molto più vantaggioso, chi non lo accetta, benché abbia a rimborsarsi al quanto più tardi? Se voi, per figura, vedeste alcun vignajuolo, che sul principio di agosto, quando ancor l’uva tutta è minuta ed acerba, vuol mettersi a vendemmiare, per aver quanto prima piene le grotte; e che però già chiama i vendemmiatori, già ripartisce i coltelli, già mozza i grappoli, già riempie le corbe, già fa gemere i torchi, già spreme il mosto; che gli direste? Approvereste Voi questa sciocca celerità? questa insensata. ingordigia? Ferma, gli direste: che fai, sconsigliatissimo economo de’ tuoi beni? E non è pur meglio riporre l’istesso vino alquanto più tardi, ma quando sarà già dolce, spiritoso, piccante, e così più atto a durare, che rimetterlo un poco prima, ma mentr’egli è ancora agrestino, fiacco, immaturo, e però più disposto ad infradiciarsi? Il simile voi direste ad un giardiniere, il quale volesse cogliere i pomi, ancora non coloriti; il simile a un mietitore, il quale volesse segare le spighe, ancora non bionde; il simile a un cacciatore, il qual volesse importunare le selve, ancora non popolate. E perché non poss’io dire il simile ancor a voi, mentre con tanto discapito vi volete nella vita presente anticipar que’ diletti che vi potreste alla futura serbar con tanto interesse? Giacché, come pur disse acutissimamente Filone ebreo: oblectamenta præsentis vitæ quid sunt, nisi furia delectationum vitæ futuræ? – Ma s’è così, rispondetemi ora, Cristiani miei: non vi par che Iddio con riserbar anche al corpo i suoi guiderdoni, ch’è appunto dire, con ammetterlo a parte di quella gloria, la qual fu oggi donata al corpo di Cristo; non vi par, dico, che gli abbia tolta ogni scusa, quand’egli nieghi di sottoporsi allo spirito, di cedere alla ragione, e di mortificarsi in onor dello stesso Cristo? Anzi io vi dico, ch’ha tolta ancora in questo modo ogni scusa a chiunque or tema codardamente la morte, non che la mortificazione; e non abbia per sommo de’ desiderj quel che si chiamava già l’ultimo de’ terrori. Ma perché lasciare questa volta al discorso le vele gonfie, sarebbe quasi un volere abusar quell’aura che mi concede la vostra benignità, contentatevi un poco che qui, benché quasi in alto, noi gettiamo l’ancore, finattantoché a favore de’ poveri possa farsi una buona pesca, una buona preda, e poi ci studieremo di prendere tosto terra.

SECONDA PARTE

VI. Ben pare adunque che tra noi più non meriti scusa alcuna chi sa di dovere un giorno col Redentore gloriosamente risorgere a miglior vita, e contuttociò segue ancora a temer vilmente, non pur la mortificazione, ma ancor la morte. Catone il forte, veggendo ormai vicino a spirare nella sua romana repubblica quel quasi fiato  sapremo di Libertà che ancora vi rimaneva, deliberò di finir prima la vita, per dimostrare che non potevan sopravvivere o Catone, mancata la libertà, o la libertà, mancato Catone. Si die pertanto una mortal pugnalata con quella mano che fin allora aveva serbata purissima d’ogni sangue; e perché molti incontanente vi accorsero a trattenerlo, poterono bensì questi levargli il ferro e chiudergli la ferita, ma non però sminuirgli punto l’ardire. Perocché, rimasto alfin solo, raccolse subito quell’estremo di forze che gli restavano, ed adirato quanto dianzi con Cesare, tanto allora con sé, che non aveva saputo presto morire a quel primo colpo, si strappò tutte furiosamente le fasce della ferita, ed al suo spirito, disprezzator d’ogni cosa, ancor di se stesso, non permise l’uscita, gli die la spinta: non emisit, sed ejecit. Forsennato ardimento, non può negarsi; né io pretendo qui di recarlo come lodevole, mentre so che tanto empio è voler morire a dispetto della natura, quanto sarìa voler vivere. Ma se voi chiederete a Seneca, come mai Catone avvalorasse il suo petto di tal coraggio, e ‘l suo braccio di tanta lena, che far potesse sì grave insulto alla morte con provocarla, udirete dirvi, che tutto quanto egli fece leggendo quel si bel libro, intitolato il Fedone, cioè quel libro, in cui Platone dimostra l’immortalità dell’anima umana (Ep. ik. lib. 33). Il ferro fece ch’egli potesse morire, Platone ch’egli volesse: Ferrum fecit ut mori posset; Plato ut vellet. Perocché mentre egli rimaneva persuaso che l’anima non moriva insieme col corpo, stimò facile il perdere di se stesso una sola parte; massimamente allor ch’egli, col divenire prigion di Cesare, la dovea tra poco o lasciare a’ piè di un carnefice, o ricevere in dono da un inimico. Or dite a me: se tanto poté Catone animarsi con tal pensiero, che sarìa stato s’egli avesse creduto che neppur quella qualunque parte di sé egli perdeva propriamente; ma che, lasciandola alla terra in deposito, piuttosto che in abbandono, doveva un dì ripigliarsela assai più bella ed assai più vigorosa, ch’allor non era? Non vogliam credere che gli avrebbe aggiunto gran forze, promettersi ancor del corpo quella immortalità, quella gloria, quel godimento, che dell’anima si prometteva? Matanto è quello che noi possiamo prometter a noi medesimi, massimamente da che risorto in questo dì noi vediamo il nostro Gesù, e temeremo, non dirò già di provocare la morte insolentemente, quando Dio ce la nieghi, ma di accettarla quando Dio ce la mandi? Oh codardia! oh debolezza! oh viltà! – Io so che voi vi sarete messi più volte con gran diletto a mirar l’ecclissi del sole. Eppure, oh se voi sapeste che confusione è mai quella che allor succede tra alcuni popoli semplici del Perù, voi vi stupireste! Tosto tra le donne si leva un pianto sì alto, sì dirotto, sì mesto, sì universale, come se non più dovess’esserci sole al mondo. Si squarcian vesti, si strappano capelli, si graffian gote; ed a fin di smorzare quella grand’ira che stimano accesa in cielo, tutte salassansi acerbamente le vene con acute spine di pesce, facendone a gara piovere largo sangue. Laddove noi ci ridiamo di’ tanto affanno, e nelle ecclissi che accadono, ancorché strane, non temiamo, non ci turbiamo, anzi, a fin di mirarle più attentamente, caviamo subito fuori le conche d’acqua, e quivi, come in laghetti, tanto più limpidi, quanto meno agitati, andiamo a parte a parte osservando ne’ riflessi fedeli ogni moto d’esse, i principj, le declinazioni, i progressi, i decrescimenti; né dubitiamo di chiamare altri in gran numero a contemplare, con ardir simile al nostro, gli scolorimenti funesti di un sì bel volto, e a considerarne i languori. E perché franchezza sì grande? Perché per la molta perizia la quale abbiamo de’ rivolgimenti celesti, sappiam che fra poco d’ora ritornerà agli oscurati pianeti la lor chiarezza, e ch’essi stanno nascosti, non son perduti. L’istesso noi, morendo, sappiamo de’ nostri corpi, e temeremo come iGentili medesimi, che non hanno speranza alcuna di vita eterna, né di resurrezione corporale? Et contristabimur sicut et cæteri, qui spem non habent? (ad Thessal. IV. 13)

VII. Oh quanto inescusabile in noi sarebbe una simile codardia! – Che però vediamo oggidì che femmine imbelli, che teneri fanciulletti si son recati a vergogna di temer punto i visaggi ancor della morte più spaventosi; edo su lecroci han cantati Salmi digiubilo, come Mammete e Vito, bambini amabili; o nelle fiamme hanno spiccati salti ancor di trionfo, come Apollonia e Lucia, donzelle innocenti: per non favellar di un Lorenzo, che su l’istessa graticola ardì scherzare, edoffrire le sue carni arrostite per liuto pascolo a’ suoi tiranni voraci. Ne læteris, inimica mea, super me; sentile come i  giusti sibeffano della morte con quell’insulto bellissimo che impararono dal profeta Michea (VII, 8); ne laeteris, inimica mea, super me, quia cecidi. Lascia pure, o morto, di andare di me superba, quasi che tu m’abbia atterrato. Consurgam, cum sedero in tenebri* (Ibid.) Dappoiché sarò stato per alcun tempo a giacere tra l’alte tenebre d’un sepolcro, sorgerò, sorgerò. Dominus lux mea est(Ibid.). E non so io che il mio Signore ha da essere quel bel sole che mi ravvivi? Iram Domini portabo, quoniam peccavi ei(Ib. VII, 9). Porterò, comepeccatone, ilsuo giusto sdegno, coll’andardi presente disciolto in cenere. Ma ciòfin a quanto? Donec causam meam judicet Sino al didel Giudizio; non più, non più.E allor che sarà? Educet me in lucem(ìb.), educet me in lucem. Oh che gioja, oh che giubilo, o che trionfo! Educet me in lucem.Verrò tratto allor dal sepolcro a goderla luce, non già più corruttibile, ma immortale. Et videbo justitiam ejus(Ibid.);e vedrò quanto Dio sia giusto in premiarenel corpo stesso chiunque avrà punto patitoper amor suo. Chi dunque non ammiracome savissima la determinazione del nostroDio, mentre ha voluto che non sial’anima sola a godersi in cielo la propria immortalità e la propria beatitudine, ma che nesia fatto egualmente partecipe ancora il corpo; e però lo rende oggi a Cristo per avvivare, nella trionfale resurrezione di Lui, le speranze nostre? – Se tanto viene a prometterci, può da noi tutti la nostra fede richiedere quanto vuole. Patisca pure questo misero corpo, si maceri, si mortifichi, e con atti ancora più orribili si distrugga; beato lui! Ben intendiamo che non è crudeltà togliere dai granai la semente,  ed esporla all’acque, a’ venti, alle brine,a’ ghiacci, alle vampe, ed a tutte le ingiuriedella campagna; mentre quel frumentomedesimo che marcisce, quel frumentomedesimo ha a rifiorire; né potrìarifiorire, se non marcisse.