SALMI BIBLICI: “NISI QUIA DOMINUS ERAT IN NOBIS” (CXXIII)

SALMO 123: “NISI QUIA DOMINUS erat in nobis”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 123

Canticum graduum.

[1]   Nisi quia Dominus erat in nobis,

dicat nunc Israel,

[2] nisi quia Dominus erat in nobis: cum exsurgerent homines in nos,

[3] forte vivos deglutissent nos; cum irasceretur furor eorum in nos,

[4] forsitan aqua absorbuisset nos;

[5] torrentem pertransivit anima nostra; forsitan pertransisset anima nostra aquam intolerabilem.

[6] Benedictus Dominus, qui non dedit nos in captionem dentibus eorum.

[7] Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium; laqueus contritus est, et nos liberati sumus.

[8] Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit cœlum et terram.

 [Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXIII.

Esultanza di quei che vennero liberati da gravi tribolazioni: degli Ebrei liberati dalla cattività di Babilonia alla volta di Gerusalemme; dei Cristi liberati dalle persecuzioni degli empii, di viaggio al cielo.

Cantico dei gradi.

1. Se il Signore non fosse stato con noi,  dica adesso Israele: Se il Signore non fosse stato con noi,

2. allorché gli uomini si levaron su contro di noi, ci avrebber forse ingoiati vivi;

3. Allorché il loro furore infuriava contro di noi, forse l’acqua ci avrebbe assorti;

4. L’anima nostra ha valicato il torrente; forse l’anima nostra avrebbe dovuto valicare un’acqua insuperabile.

5. Benedetto Dio, che non ci ha fatti preda loro denti.

6. L’anima nostra è stata sciolta qual passera dal lacciuolo dei cacciatori;

7. Il laccio è stato spezzato, e noi siamo stati liberati.

8. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che fece il cielo e la terra.

Sommario analitico

Solo a Dio si deve la liberazione dalla cattività di Babilonia; è a Dio solo che l’anima, affrancata dai legami del peccato e dell’esilio di questa vita, riconosce dovere la sua liberazione.

I. Il Profeta ricorda la grandezza del pericolo che ha corso.

1° Senza il soccorso di Dio, la sua perdita sarebbe stata certa (1);

2° essa era tanto più inevitabile quanto più numerosi erano i suoi nemici, che si avventavano su di lui – a) come delle bestie feroci pronte a divorarlo, – b) come un torrente che minacciava di inghiottirlo (2-4).

II. Egli benedice Dio per la sua liberazione, che descrive in tre figure diverse:

1° Sotto la comparazione di un torrente che ha attraversato contro ogni speranza (5);

2° sotto la comparazione di bestie feroci, dai denti delle quali Dio lo ha strappato (6);

3° sotto la comparazione di una rete che Dio ha rotto per liberare il suo popolo (7);

4° egli termina con il riconoscere, in termini espressi, che solo Dio è l’autore della sua liberazione (8).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-4.

ff. 1-4. – Questo discorso, imperfetto ed interrotto dall’inizio di questo salmo, indica una sovrabbondanza di gioia sì viva e debordante che non permette al salmista di completare il suo pensiero.- « Che lo dica ora, Israele, » perché Israele può dirlo con certezza: « Se il Signore non fosse stato con noi ». E quando? « Quando uomini si sono levati contro di noi. » Non siamo stati sorpresi, essi sono stati vinti; perché essi erano degli uomini, mentre il Signore era con noi. Gli uomini si erano levati contro di noi, ma non era un uomo che era in noi, perché degli uomini avrebbero potuto opprimere degli uomini se, in coloro che essi non hanno potuto opprimere, non si fosse trovato non un uomo, ma il Signore. (S. Agost.) – Vedete sotto quali tratti egli dipinge la crudeltà dei suoi nemici? Che uomini, in effetti, tanto crudeli, più crudeli delle stesse bestie feroci nei riguardi dei loro simili! Quando la bestia selvaggia è caduta sulla sua preda, la sua furia si calma ed essa si ritira o, se è spossata, non torna più alla carica. Gli uomini al contrario, quando hanno realizzato i loro disegni, raddoppiano i loro attacchi, e giungono fino a desiderare di nutrirsi della carne dei propri simili (S. Chrys.). – Dio è con noi in un modo ben più eccellente che non lo fosse con i giusti stessi della Nazione santa L’Emmanuele o il Dio con noi, è venuto, ed è per Lui che noi siamo fortificati contro tutti gli attacchi dei demoni, del mondo e dei nostri nemici. Non è senza ragione che il Profeta dice: « Se il Signore non fosse stato con noi, o tra noi ». Egli vedeva in spirito questo momento prezioso in cui il Verbo di Dio si sarebbe rivestito della nostra natura ed avrebbe trionfato di tutti i nostri nemici. Noi siamo forti ed invincibili con Lui, come osserva S. Agostino, spiegandoci i caratteri del Cristiano. I tiranni – aggiunge il santo dottore – hanno divorato i martiri, ma erano degli uomini morti, e la persecuzione non ha loro procurato il possesso della eterna felicità, che è la vera vita. Coloro che hanno rinunciato alla fede, hanno divorato ogni vivente; essi non avevano in loro la morte spirituale, la morte alle passioni, che costituisce l’essenza del Cristiano (Berthier). –  « Quando il loro furore si è avventato contro di noi, » noi corriamo il pericolo di essere condotti alla nostra perdita, come con il furore dei flutti del mare o di un fiume che inghiottisce vive le infelici vittime che cadono nelle loro onde in un vortice rapido e profondo. – Le agitazioni e gli attacchi dei malvagi che cercano di inghiottire i Santi di Dio, sono comparate alle acque torrenziali; ma, grazie al Signore che abita nei suoi Santi, queste acque scorrono e passano con rapidità (S. Gerol.). – Sull’esempio del Profeta, diciamo a noi stessi: « Se il Signore non fosse stato con noi quando uomini si levarono contro di noi, essi avrebbero potuto divorarci vivi. » In effetti, quando soffriamo le persecuzioni degli uomini, le empie costituzioni delle potenze del secolo, le seducenti esortazioni dei perfidi consiglieri, e tuttavia restiamo fermi nella fede, noi perseveriamo nel timore di Dio, restiamo attaccati alla speranza dei beni eterni, riconosciamo che dobbiamo questa grazia alla misericordia di Dio, alla fedeltà con la quale ha compiuto questa promessa. « … ecco che io sono con voi fino alla fine dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20). Riportiamo a questo Ospite divino che abita in mezzo a noi, tutta la gioia, tutta la gloria del successo; perché è a Lui che noi dobbiamo tutto ciò che è in noi: « … cos’è che non abbiate ricevuto? » dice l’Apostolo San Paolo (I Cor. IV, 7) (S. Hilar.).

II. – 5-8

ff. 5-8. – Il torrente, nelle Sacre Scritture, è il simbolo della persecuzione e delle afflizioni. L’acqua, in effetti, si precipita senza misura, con una forza ed un’impetuosità che trascina tutto ciò che incontra sul suo cammino. – Si salva dal torrente colui che, fermo nella sua fede, non cede alla violenza dei persecutori o della tribolazione; è invece ingoiato dal torrente, chi soccombe davanti alla loro collera ed alla loro violenza. Ma, se noi non confidiamo che in noi stessi, non possiamo sperare di lottare contro l’acqua del torrente. – Queste espressioni metaforiche non raffigurano solamente la violenta irruzione, ma la breve durata di queste prove. Badiamo dunque di non scoraggiarci quando si abatte su di noi la malasorte. Quale che sia, essa è un torrente che passa, una nube chi si dissipa. Sì, qualunque sia il vostro infortunio, non durerà per sempre; benché amaro sia il vostro calice, non durerà per sempre; se dovesse durare per sempre, la natura non potrebbe resistere. Ma gran numero sono trascinati in questo torrente e la causa non è nella violenza del male, ma dalla debolezza di coloro che si lasciano tanto facilmente abbattere. Vogliamo non essere coinvolti? Discendiamo nelle profondità di questo torrente, consideriamone tutte i luoghi, afferriamoci all’ancora divina per avere ad essere trascinati in alcun naufragio. (S. Chrys.). –  « Benedetto sia il Signore che ci ha liberato dai loro denti come una preda da caccia ». In effetti i cacciatori inseguono la preda, ed hanno posto un’esca nella loro trappola. Quale esca? La dolcezza della vita, affinché attirati dalla dolcezza di questa vita, ciascuno si getti, a testa in giù, nell’iniquità, e la trappola scatti su di lui. Ma coloro in cui era il Signore non sono stati presi in trappola, essi hanno detto: « Benedetto il Signore, etc. » – Quali sono i denti? Sono i denti forti e potenti per afferrare e sbranare la preda; è la collera, la cupidigia, l’impurità, l’odio, l’intemperanza, l’avarizia; è con questi denti, che non mollano facilmente ciò che hanno afferrato, che esercitano la loro dannazione su di noi, volendoci rendere ministri o complici dei loro crimini. (S. Hilar.). – Sì, è perché il Signore era in quest’anima, che essa è stata liberata, come un passero dalla trappola dei cacciatori. Perché questa è comparata ad un passero? Perché essa era caduta nella trappola sconsideratamente come un passero, e poteva dire in seguito: Dio non perdonerà. O passero vagabondo, faresti meglio a piantare i tuoi piedi sulla pietra; bada a non farti prendere in trappola! Tu sarai preso, sarai catturato, sarai ucciso! Che il Signore sia in voi, ed Egli vi libererà dai pericoli più grandi, e dalla trappola dei cacciatori (S. Agost.). – Il mondo intero è pieno di insidie e di reti che tende alle anime per perderle. Ciò che costituisce il pericolo di queste trappole, è l’esca che ricopre: sono i piaceri, gli onori, le ricchezze, che ci incantano fino al momento in cui dobbiamo lasciarle; allora il fascino sparisce, ma non è più tempo di rompere i legami, e noi cadiamo nell’abisso carichi delle catene dell’inferno. È una maledizione, il non riconoscere la nostra schiavitù se non per caderne in un’altra che non avrà mai fine. (Berthier). – Ma affinché non attribuiate la vostra liberazione alla vostre forze, considerate di chi sia l’opera (perché se vi convincete di orgoglio, cadete nella trappola), e dite: « il nostro soccorso è nel Nome del Signore » (S. Agost.). – Considerate non solo la debolezza del Vostro nemico ma la grandezza del soccorso che vi viene dato, e chi sia Colui che presta il suo aiuto. È Colui che ha tratto dal nulla tutto l’universo. Per mezzo di Lui, le ribellioni della carne, sono state contenute, siete stati scaricati dai pesi del peccato, avete ricevuto la grazia dello Spirito-Santo come un’unzione fortificante. Dio vi ha reso padroni della vostra cerne, vi ha dato come armi la corazza della giustizia, la cintura della verità, l’elmo della salvezza, lo scudo della fede, la spade dello Spirito; Egli vi ha dato le armi della vittoria, vi ha nutrito con la sua carne, dissetato con il suo sangue, vi ha messo tra le mani la sua croce come una lancia che non si spezza mai; infine ha incatenato il vostro nemico, lo ha atterrato. Voi non avrete scusanti se sarete vinto, se lasciate al demonio la gloria del trionfo. (S. Chrys.).

TUTTA LA MESSA (LA “VERA” UNICA CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (9)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (9)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S.

Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

13 — Il Memento dei morti

237— Perchè si è separato il Memento dei morti dal Memento dei viventi?

I membri della Chiesa militante, i vivi possono e devono unirsi al Sacerdote per offrire il santo Sacrificio e allo stesso tempo offrire se stessi a Dio: questo viene fatto in modo più adeguato prima della consacrazione. I morti non possono più partecipare all’oblazione del Sacrificio, ma solo partecipare ai suoi frutti, che noi applichiamo loro; è meglio quindi menzionarli alla presenza dell’Agnello sacrificato sull’altare.

Preghiera:

Meménto étiam, Dómine, famulórum famularúmque tuárum N. et N., qui nos præcessérunt cum signo fídei, et dórmiunt in somno pacis. Ipsis, Dómine, et ómnibus in Christo quiescéntibus locum refrigérii, lucis pacis ut indúlgeas, deprecámur. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Ricordati anche, o Signore, dei tuoi servi e delle tue serve N. e N. che ci hanno preceduto col segno della fede e dormono il sonno di pace. Ad essi, o Signore, e a tutti quelli che riposano in Cristo, noi ti supplichiamo di concedere, benigno, il luogo del refrigerio, della luce e della pace. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.]

238 — Cosa bisogna intendere con questa espressione: “Il segno della fede”?

Con l’espressione “segno della fede” si intende prima di tutto il carattere indelebile del Battesimo, che distingue i fedeli dagli infedeli, e poi la professione della fede in parole ed in atti con una vita cristiana, con le opere di carità, l’attaccamento alla Chiesa, la ricezione dei Sacramenti.

239 — Perché la Chiesa dice che i defunti dormono il sonno della pace?

La morte nella grazia e nella carità, nella comunione vivente con Gesù Cristo e la sua Chiesa, può essere chiamata un sonno di pace, un sonno piacevole, perché si attende un lieto risveglio, la gloriosa risurrezione della carne.

Il cimitero cristiano è infatti, secondo il significato primario di questo termine, il dormitorio dove riposano coloro che sono morti nel Signore.

240 — Cosa domanda la Chiesa per le anime del Purgatorio?

La Chiesa chiede, per coloro che dormono il sonno della giustizia, un luogo di ristoro, di luce e di pace. Le anime sofferenti del Purgatorio possiedono la tranquillità e il riposo, essendo sfuggite alle turbe di questo mondo peccaminoso e seduttre, ma finché non godono della vista di Dio e sono trattenute nel luogo del dolore, la loro pace non è perfetta; sono divorate dalle fiamme del desiderio di vedere Dio e dal tormento del fuoco; gemono nell’oscurità di quella notte in cui nessuno può più lavorare.

241— Quale rubrica osserva il prete al termina del Memento?

Il sacerdote unisce le mani e china il capo alle parole: “Per lo stesso Gesù Cristo”, che concludono questa preghiera, poi, un po’ inchinato, guarda Gesù che è presente davanti a lui nell’ostia.

Mentre Cristo moriva sulla croce, chinò il capo e immediatamente scese nel Limbo per annunciare alle anime dei giusti la loro liberazione. Così il sacerdote china il capo e prega per coloro che dormono in Cristo, affinché la grazia dell’espiazione del Santo Sacrificio scenda in Purgatorio per alleviare e abbreviare le loro sofferenze.

242 — Per chi prega la Chiesa al Memento dei morti?

Nel Memento dei morti la Chiesa prega nominatamente, e soprattutto « per coloro che ci hanno preceduto nel segno della fede e dormono il sonno della pace », cioè per chi è morto in comunione con Essa. Prega in generale per tutti coloro che « riposano in Cristo ».

Riposano in Cristo coloro che morti nel Signore (Ap XIV, 13), cioè nella grazia di Dio.

Le due lettere N. e N. ricordano al Sacerdote che deve raccomandare a Dio soprattutto il o i defunti per cui offre il santo Sacrificio, i suoi parenti, i suoi amici, i suoi benefattori defunti che possono soffrire in Purgatorio.

243 — In qual misura la Messa è profittevole alle anime del Purgatorio?

Quando il Sacerdote celebra, dà riposo ai morti. Il Concilio di Trento ha formalmente condannato coloro che avrebbero negato questa verità. (Sess. XXII, can. 3). – Ma fino a che punto questo riposo è loro concesso? Non lo sappiamo. Certo, se Nostro Signore volesse, basterebbe una sola Messa per svuotare tutto il Purgatorio, ma la pratica della Chiesa, fin dai tempi apostolici, ci fa ripetere il santo Sacrificio per i nostri defunti il più spesso possibile, e ci avverte così che la Vittima divina in genere non distribuisce i meriti della sua immolazione alle anime tutte in una volta, ma li misura più o meno abbondantemente secondo le opinioni della sua saggezza. Il santo Curato d’Ars ha detto di un convertito: « Si è salvato, ma è molto basso… pregate molto per lui! »

244 — È meglio far celebrare Messe per noi nella nostra vita?

È certamente più vantaggioso e prudente far celebrare Messe per noi nella nostra vita.

QUI GIÙ:

– Collaboriamo all’offerta del Santo Sacrificio partecipando alla Messa e offrendo un onorario. Questa collaborazione è una fonte di merito.

– Noi soddisfiamo in pieno per la pena dovuta ai nostri peccati.

– Versando l’offerta della Messa, ci priviamo attualmente da noi stessi e compiamo un atto di rinuncia che spesso è molto meritorio.

– Siamo sicuri che le Messe che facciamo dire vengano celebrate.

IN PURGATORIO:

– La nostra collaborazione nell’offerta del Santo Sacrificio sarà limitata all’assistenza a distanza fornita dal pagamento di un onorario prima della nostra morte.

– Non possiamo più meritare.

– La Messa consegnerà i frutti della Passione a Dio che ce li distribuirà, tenendo conto delle esigenze dell’espiazione.

– Certamente è più vantaggioso e più prudente far celebrare delle messe per noi in vita.

– Priveremo i nostri eredi del denaro che avremo conservato fino alla fine. Saranno gli eredi a fare la mortificazione.

– Quando i nostri eredi eseguiranno le nostre ultime volontà e il nostro testamento?

14 — Il Nobis quoque peccatoribus

245—Perché il Sacerdote alza la voce nel dire: Nobis quoque peccatoribus

Il sacerdote alza la voce dicendo le prime parole del Nobis quoque peccatoribus per chiedere ai fedeli più attenzione e per invitarli a battere i loro pettS come fa lui stesso. Tutti, sacerdoti e assistenti, dopo aver chiesto a Dio il Paradiso per le anime del Purgatorio, chiederanno per loro lo stesso favore, pur riconoscendosi come poveri peccatori.

Preghiera:

Nobis quoque peccatóribus fámulis tuis, de multitúdine miseratiónum tuárum sperántibus, partem áliquam et societátem donáre dignéris, cum tuis sanctis Apóstolis et Martýribus: cum Ioánne, Stéphano, Matthía, Bárnaba, Ignátio, Alexándro, Marcellíno, Petro, Felicitáte, Perpétua, Agatha, Lúcia, Agnéte, Cæcília, Anastásia, et ómnibus Sanctis tuis: intra quorum nos consórtium, non æstimátor mériti, sed véniæ, quaesumus, largítor admítte. Per Christum, Dóminum nostrum.

[E anche a noi peccatori servi tuoi, che speriamo nella moltitudine delle tue misericordie, dégnati di dare qualche parte e società coi tuoi santi Apostoli e Martiri: con Giovanni, Stefano, Mattia, Bárnaba, Ignazio, Alessandro, Marcellino, Pietro, Felícita, Perpetua, Ágata, Lucia, Agnese, Cecilia, Anastasia, e con tutti i tuoi Santi; nel cui consorzio ti preghiamo di accoglierci, non guardando al merito, ma elargendoci la tua grazia. Per Cristo nostro Signore.]

246 — Quali santi invoca il Nobis quoque peccatoribus?

I Santi Martiri i cui nomi sono menzionati in questa preghiera sono:

San Giovanni Battista.precursore di Nostro Signore.

S. Stefano, primo diacono e primo martire della Nuova Legge.

S. Mattia, l’Apostolo che rimpiazzò Giuda il traditore.

S. Barnaba, compagno d’apostolato di S. Paolo.

S. Ignazio di Antiochia, che fu esposto alle bestie nell’anfiteatro di Roma.

S. Alessandro, quinto Papa dopo S. Pietro.

S. Marcellino, prete e S. Pietro, esorcista, entrambi decapitati sotto Diocleziano.

Santa Félicita et santa Perpetua, martirizzata a Cartagine.

Santa Agata, invocata contri i danni del fuoco, martirizzata in Sicilia.

Santa Lucia, morta colpita da un colpo di spada alla gola.

Santa Agnese, il cui nome significa purezza, martire a 13 anni per conservare l’innocenza.

Santa Cecilia, vergine e martire romana.

« Essa è onorata come patrona della musica religiosa, perché, si dice, che ella stessa conoscesse quest’arte ed intendesse spesso melodie celesti. »

Santa Anastasia, vedova e martire, originaria di Roma.

15 — La conclusione del Canone

247Come termina il Canone?

Il Canone si conclude con una breve e precisa sintesi dell’efficacia della Santa Messa. Nella prima parte riconosciamo che l’Eucaristia ci viene preparata e donata da Dio per mezzo di Gesù Cristo; nella seconda parte riconosciamo che il Santo Sacrificio conferisce all’adorabile Trinità un onore e una gloria incomparabili.

Preghiera:

Per quem hæc ómnia, Dómine, semper bona creas, sancti ficas, viví ficas, bene dícis et præstas nobis. Per ip sum, et cum ip so, et in ip so, est tibi Deo Patri omnipotenti, in unitáte Spíritus Sancti,  omnis honor, et glória. Per omnia saecula saecolorum.
R. Amen.

[Per mezzo del quale, o Signore, Tu crei sempre tutti questi beni li santi ✠ fichi, vivi ✠ fichi, bene ✠ dici e li procuri a noi.  – Per mezzo di ✠ Lui e con ✠ Lui e in ✠ Lui, viene a Te, Dio Padre ✠ onnipotente, nell’unità dello Spirito ✠ Santo ogni onore e gloria. Per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen].

248 — Si spieghi la prima parte di questa preghiera.

Il pane e il vino per la consacrazione eucaristica sono i primi frutti di tutta la creazione che essi rappresentano. Per mezzo di Cristo, il Padre li ha creati. In virtù delle parole consacratorie, queste oblazioni sono state santificate e trasformate in Corpo vivo e Sangue di Cristo. E questa Vittima eucaristica è anche un cibo divino che sarà fornito a coloro che, attraverso la Comunione, parteciperanno pienamente al sacrificio.

249 — Quale rubrica osserva il Sacerdote dicendo questa preghiera?

Alle parole “santificare, vivificare, benedire”, il Sacerdote fa ogni volta il segno della croce sul Calice e sull’Ostia. Questi tre segni sottolineano il significato delle parole: le parole hanno dato origine al gesto.

Ad ogni parola da Lui, con Lui, in Lui, il sacerdote fa con l’Ostia Santa sul Calice, da un bordo all’altro, il segno della croce. Nominando il Padre e lo Spirito Santo, fa il segno della croce con l’ostia tra il petto e il Calice. Alle parole “ogni onore e gloria”, tiene l’Ostia sopra il Calice e li solleva leggermente.

250 — Cosa indicano i tre segni di croce fatti con l’ostia al di sopra del calice?

Questi tre segni della croce e le parole che li accompagnano vogliono indicare che l’adorazione più alta che possiamo dare a Dio, con Gesù Cristo e in Gesù Cristo, viene dal Sacrificio cruento della croce rappresentato e rinnovato sui nostri altari in modo incruento. L’adorazione di tutte le creature può essere gradita al Padre solo attraverso Gesù Cristo, l’unico Mediatore.

La piccola elevazione dell’Ostia e del Calice in questo momento della Messa è il simbolo della gloria che sale ogni giorno dai nostri altari al cielo con la vittima salutare.

251— Perché i fedeli rispondono amen alla fine di questa cette preghiera?

I fedeli dicono amen alla fine di questa preghiera per sottolineare la loro adesione a tutto ciò che il Sacerdote ha fatto pregando in silenzio durante questa parte della Messa.

CAPITOLO VI

COMUNIONE

252 — Quale è la terza parte della Messa dei fedeli?

La Comunione è l’ultima delle tre parti principali della Messa dei fedeli ed è la conclusione della Messa.

L’Eucaristia è insieme Sacramento e Sacrificio, ed è soprattutto partecipando alla vittima che si partecipa ai frutti della sua immolazione. Questa parte della Messa inizia con il Pater; la Comunione ne è il punto centrale.

1 — Il Pater

253 — Cosa richiama l’introduzione al Pater?

L’introduzione al Padre Nostro ci ricorda che Nostro Signore stesso ci ha insegnato questa preghiera e ci ha ordinato di recitarla.

Preghiera:

Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutione formati audemus dicere:

[Preghiamo Esortati da salutari precetti e ammaestrati da un’istruzione divina, Osiamo dire: Padre nostro.– Pater noster: infatti, ci vuole tutta la sicurezza e l’audacia della nostra fede per chiamare Dio nostro Padre. Non è mai venuto in mente ad un pagano di chiamare Giove o Apollo “mio padre”. I nomi: Nostro Dio, Nostro Maestro, sembrerebbe più conforme alla nostra condizione di creature e a tutta la tradizione ebraica, ma « … il Verbo, è venuto sulla terra, a darci il potere di diventare figli di Dio; abbiamo ricevuto lo spirito dell’adozione dei bambini, per cui gridiamo: “Abba, Padre mio”, ed è questo spirito che testimonia al nostro spirito che siamo i figli di Dio ». (Rom. VIII, 15-16)]

254 — Perchè si dice Padre Nostro, e non Padre mio?

Noi diciamo Padre Nostro e non Padre mio, perché Dio è il Creatore o il Padre di tutti gli uomini e quindi noi [battezzati] siamo tutti figli della stessa famiglia.

255 — Perché nostro Signore ha aggiunto: che siete nei cieli?

Nostro Signore ha aggiunto « che è nei cieli » per elevare i nostri cuori al cielo dove Dio regna nella sua gloria e dove speriamo di possederlo un giorno.

256 — In quanti parti si divide il Pater noster?

Il Pater è diviso in due parti: nella prima chiediamo a Dio tutto ciò che possa contribuire alla sua gloria; nella seconda, ciò di cui abbiamo bisogno noi per la vita dell’anima e del corpo.

Perché la vera carità ci fa amare Dio più di noi stessi, prima di chiedergli il pane del nostro corpo e la salvezza delle nostre anime, dobbiamo preoccuparci, da buoni figli, degli interessi del Padre Nostro: « servi Dio per primo », ripeteva santa Giovanna d’Arco.

257 — I fedeli devono recitare il Pater con il Sacerdote?

Seguendo la rubrica, il sacerdote recita il Pater a voce abbastanza alta perché i fedeli lo ascoltino e si associno ad esso nel pensiero: la parola oremus, preghiamo, posta all’inizio dell’introduzione, invita i fedeli a pregare con il Sacerdote.

La settima richiesta del Padre Nostro è formulata dal servente a nome dei fedeli. Il sacerdote risponde: Amen. Questo Amen ha un significato particolare: è come la risposta di Dio, che fa sapere che i desideri del popolo sono accettati e esauditi.

258 — Quale rubrica osserva il Sacerdote dicendo il Pater?

Iniziando l’introduzione al Pater, il Sacerdote unisce le mani in umiltà e le alza in atteggiamento di preghiera. Dicendo il Pater egli stesso, tiene le braccia tese: questo è l’atteggiamento della preghiera,

2 — Il Libera nos

259 — Cosa fa il Sacerdote cominciando il Libera nos?

Iniziando il “Libera nos”, il Sacerdote toglie da sotto il corporale la patena sulla quale vi aveva posto l’Offertorio; la pulisce con il purificatoio, poi, prendendola tra il dito indice e il medio, per non separare il pollice e l’indice che hanno toccato l’Ostia sacra, fa con essa un segno della croce su di sé nel momento in cui dice: dateci la vostra pace, e, dopo averla baciata, la pone sul caporale.

Preghiera;

« Líbera nos, quæsumus, Dómine, ab ómnibus malis, prætéritis, præséntibus et futúris: et intercedénte beáta et gloriósa semper Vírgine Dei Genetríce María, cum beátis Apóstolis tuis Petro et Paulo, atque Andréa, et ómnibus Sanctis, da propítius pacem in diébus nostris: ut, ope misericórdiæ tuæ adiúti, et a peccáto simus semper líberi et ab omni perturbatióne secúri. Per eúndem Dóminum nostrum Iesum Christum, Fílium tuum. – Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus.
V. Per omnia sæcula sæculorum. R. Amen. »

[Liberaci, te ne preghiamo, o Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri: e per intercessione della beata e gloriosa sempre Vergine Maria, Madre di Dio, e dei tuoi beati Apostoli Pietro e Paolo, e Andrea, e di tutti i Santi concedi benigno la pace nei nostri giorni: affinché, sostenuti dalla tua misericordia, noi siamo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento. Per il medesimo Gesù Cristo nostro Signore, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo
V. Per tutti i secoli dei secoli. R. Amen.]

260 — Si spieghi il segno della croce con la patena.

Il sacerdote fa il segno della croce con la patena nel momento in cui dice di darci la pace per ottolineare che attraverso la croce viene la pace.

Il sacerdote bacia la patena prima di posarla sul caporale per rispetto a questo sacro vaso dove riposerà Gesù Cristo. Questo bacio simboleggia l’unione con Cristo che è la nostra pace. Essa segna anche l’unione di tutti i fedeli in Cristo.

261 —Di quali mali domandiamo di esser liberati da questa preghiera?

Chiediamo di essere liberati da ogni male, dal peccato, che è il male più grande, e dalle sue conseguenze, dai mali presenti, passati e futuri: dai mali presenti (cioè dai peccati) che agitano le passioni; dai peccati passati a causa delle loro pene non espiate e delle funeste impressioni che hanno lasciato nella nostra immaginazione e nei nostri sensi; dai peccati futuri, cioè da tutto ciò che potrebbe compromettere la nostra salvezza.

3 — La frazione del pane

262 — Quale rubrica osserva il Sacerdote alla frazione del pane?

Mentre pronuncia le ultime parole della preghiera Libera nos, il Sacerdote fa scorrere la patena sotto l’Ostia, poi scopre il Calice e fa una genuflessione per adorare il Sangue divino. Egli rompe l’Ostia Sacra sopra il Calice, in modo che i frammenti che ne cadono possano mescolarsi al prezioso Sangue: Prima divide l’ostia santa in direzione dell’altezza in due parti uguali, di cui colloca quella destra sulla patena; poi stacca in fondo all’altra metà un piccolo pezzo triangolare che tiene nella mano di destra, mentre depone la parte principale sulla patena; dicendo CHE LA PACE + DEL SIGNORE + SIA SEMPRE + CON TE, fa con il pezzo di Ostia, che ha tenuto tra le dita, tre segni di croce da un bordo all’altro del Calice, e i fedeli, attraverso la bocca del servo, rispondono e CON IL TUO SPIRITO. Infine lascia cadere questo frammento nel Calice dicendo a bassa voce:

« Hæc commíxtio, et consecrátio Córporis et Sánguinis Dómini nostri Jesu Christi, fiat accipiéntibus nobis in vitam ætérnam. Amen. »

[Questa mescolanza e consacrazione del Corpo e del Sangue di nostro Signore Gesú Cristo giovi per la vita eterna a noi che la riceviamo. Amen.]

263 — Cosa ricorda la frazione del pane?

La frazione dell’ostia ci ricorda che Nostro Signore, nell’Ultima Cena, spezzò il pane prima di distribuirlo agli Apostoli. I discepoli di Emmaus riconobbero il Maestro allo spezzare il pane. Nei primi tempi della Chiesa, la celebrazione del Santo Sacrificio e della comunione era chiamata la frazione del pane.

La frazione dell’ostia in tre parti ci ricorda che in passato il pane consacrato era diviso in questo modo: Il Sacerdote di comunicava egli stesso con la prima; i diaconi rompevano la seconda e la distribuivano agli assistenti o la portavano ai malati; la terza, che il celebrante attualmente mette nel calice, veniva sia conservata per essere mescolata al prezioso Sangue alla Messa dell’indomani, sia inviata dal Vescovo ai sacerdoti che celebrano in altre chiese, per essere posto nel calice, affermando così l’unità e la continuità del Sacrificio Eucaristico.

264 — Cosa simbolizza la frazione dell’Ostia?

La frazione dell’Ostia simboleggia la morte violenta di Gesù Cristo sulla croce; essa ricorda le sue ferite e le lacerazioni prodotte dalla separazione dell’anima dal corpo (S. Th., q. 77, a. 7). Cristo vi si mostra come un agnello schiacciato a causa dei nostri crimini (Isaia, LIII, 5).

Le tre parti rappresentano sia le tre Persone della Santissima Trinità, sia la vita, la morte e la gloria del Salvatore, sia la Chiesa militante, la Chiesa sofferente e la Chiesa trionfante.

265 — Perché il Sacerdote mette una particella dell’ostia nel prezioso Sangue?

La consacrazione separata del pane e del vino e la frazione dell’Ostia in più parti rappresentano la passione e la morte di Nostro Signore. La commistione di un pezzo dell’Ostia nel calice rappresenta l’unione del Suo Corpo e del Suo Sangue al momento della risurrezione.

4 — L’Agnus Dei

266 — Quale rubrica osserva il Sacerdote dicendo l’Agnus Dei?

Dopo aver coperto il calice con la palla, il Sacerdote si genuflette, unisce le mani e, inchinandosi profondamente, si batte il petto per tre volte, dicendo:

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

[Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi.
Agnello di Dio, che togli i peccati del mondo, dona noi la pace.]

Alla Messa dei defunti, le ultime parole delle tre invocazioni sono sostituite da: date loro riposo, e alla terza si aggiunge la parola eterna. E il prete non si batte il petto.

267 — Da dove viene a Gesù il Nome Agnello di Dio?

Isaia ci presenta il Messia come un agnello che soffre volontariamente e senza lamentarsi. Sotto questo nome fu promesso e raffigurato nell’Antica Alleanza, e sotto questo simbolo fu mostrato da San Giovanni Battista e lodato dagli Apostoli nel Nuovo Testamento.

La Chiesa ha sempre amato rappresentare il Salvatore nei tratti del Buon Pastore e nella figura dell’Agnello. Conclude quasi tutte le sue litanie con una solenne invocazione all’Agnello di Dio, chiedendogli di perdonarci, di ascoltarci, di avere pietà di noi.

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