SALMI BIBLICI: “DEFECIT IN SALUTARE TUO ANIMA MEA” (CXVIII – 5)

SALMO 118 (5): “DEFECIT IN SALUTARE TUO ANIMA MEA”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 118 (5)

CAPH.

[81] Defecit in salutare tuum anima mea,

et in verbum tuum supersperavi.

[82] Defecerunt oculi mei in eloquium tuum, dicentes: Quando consolaberis me?

[83] Quia factus sum sicut uter in pruina; justificationes tuas non sum oblitus.

[84] Quot sunt dies servi tui? quando facies de persequentibus me judicium?

[85] Narraverunt mihi iniqui fabulationes, sed non ut lex tua. 

[86] Omnia mandata tua veritas, inique persecuti sunt me, adjuva me.

[87] Paulo minus consummaverunt me in terra; ego autem non dereliqui mandata tua.

[88] Secundum misericordiam tuam vivifica me, et custodiam testimonia oris tui.

LAMED.

[89] In æternum, Domine, verbum tuum permanet in caelo.

[90] In generationem et generationem veritas tua; fundasti terram, et permanet.

[91] Ordinatione tua perseverat dies, quoniam omnia serviunt tibi.

[92] Nisi quod lex tua meditatio mea est, tunc forte periissem in humilitate mea.

[93] In æternum non obliviscar justificationes tuas, quia in ipsis vivificasti me.

[94] Tuus sum ego; salvum me fac, quoniam justificationes tuas exquisivi.

[95] Me exspectaverunt peccatores ut perderent me; testimonia tua intellexi.

[96] Omnis consummationis vidi finem, latum mandatum tuum nimis.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXVIII (5).

CAPH.

81. Languisce l’anima mia per la brama della salute che vien da te; ma nella tua parola ho riposta la mia speranza.

82. Si sono stancati gli occhi miei nell’aspettazione di tua promessa, dicendo: Quando fia che tu mi consoli?

83. Sebbene io sia divenuto qual oltre alla brinata, non mi son però scordalo delle tue giustificazioni.

84. Quanti sono i dì del tuo servo? Quando farai tu giudizio di quelli che mi perseguitano?

85. Gl’iniqui mi raccontarono delle favole; ma non son elleno qual’è la tua legge.

86. Tutti i tuoi precetti son verità; iniquamente mi hanno perseguitato: tu dammi aiuto.

87. Quasi quasi mi hanno consunto sopra la terra; ma io non ho abbandonati i tuoi insegnamenti.

88. Per la tua misericordia dammi vita, e osserverò i comandamenti della tua bocca.

LAMED.

89. Stabile in eterno ella è, o Signore, la tua parola nel cielo.

90. La tua verità per tutte le generazioni; tu fondasti la terra, ed ella sussiste.

91. In virtù del tuo comando continua il giorno; perocché le cose tutte a te obbediscono.

92. Se mia meditazione non fosse stata la tua legge, allora forse nella mia afflizione sarei perito.

93. Non mi scorderò in eterno delle tue giustificazioni, perché per esse mi desti vita.

94 Tuo son io, salvami tu: perocché avidamente ho cercato le tue giustificazioni.

95. Mi preser di mira i peccatori per rovinarmi; mi studiai d’intendere i tuoi insegnamenti.

96. Vidi il termine di ogni cosa perfetta; oltre ogni termine si estende il tuo comandamento.

Sommario analitico

V SEZIONE

81-96.

Davide riconosce che, in questa via dei Comandamenti di Dio in cui è entrato, ha bisogno di un sostegno, di una medico saggio che ripari le sue forze e gli dia nuovo vigore.

I – Egli confessa la sua debolezza e la sua insufficienza che vengono insieme:

1° Dall’interno:

a) la sua anima cade in un cedimento perché desiderava entrare subito in possesso della felicità che gli era stata promessa (81);

b) La sua intelligenza ed i suoi occhi si affaticano nella considerazione dell’attesa prolungata delle consolazioni divine. Due rimedi egli oppone a questa desolazione spirituale: speranza più forte che mai e fervente preghiera (82, 83);

c) Il suo cuore, la sua volontà, si disseccano in questa attesa (83);

d) Tutte le potenze della sua anima spossate dalla moltitudine e la violenza dei suoi nemici e dalla lunghezza delle prove, e chiede a Dio quando finiranno (84);

2° Dall’esterno:

a) Si dispiace dei discorsi frivoli e menzogneri degli uomini estranei ad ogni sentimento religioso, e che sono lungi dall’essere come la legge di Dio, ove tutto è verità (85, 86);

b) La persecuzione che essi hanno diretto contro di lui è stata così violenta che ha finito per esserne vittima, ma non ha cessato di essere attaccato alla legge di Dio, di implorare la sua misericordia e perseverare nell’osservanza dei suoi comandamenti (87, 88).

II.- Egli domanda a Dio di dargli la sua parola divina, come un medico che fortifichi il suo languore e guarisca le sue ferite. Egli espone successivamente:

1° La sua eccellenza,

a) La sua eternità ed immutabilità. – il Cieloe la terra passeranno, la parola di Dio non passerà mai (89).

b) la sua verità, che dura di generazione in generazione (90);

c) la sua potenza, che non solo ha fondato la terra, ma ha stabilito la successione dei giorni, ed alla quale tutto obbedisce (91);

2° l’applicazione di questa divina parola come un rimedio divino ed efficace: 

a) sull’intelligenza, con una meditazione continua della legge di Dio, rimedio sovrano per non perire, e attingere nuove forze in mezzo alle afflizioni di questa vita (92);

b) Sulla memoria, con un ricordo vivo dei suoi precetti, in cui l’anima giustificata ha ritrovato la vita (93);

c) Sulla volontà, che si applica nell’offrirla interamente;

3° L’effetto di questa divina parola, meditata e compresa:

a) I suoi nemici lo attendono per perderlo; egli si è contentato, per burlarsi dei loro progetti, di fissare gli occhi della sua anima sulla legge di Dio, che glieli ha fatti riscoprire e gli ha dato la forza di disprezzarli (95); 

b) egli dichiara che tutto nel mondo ha i suoi limiti ed il suo fine, è ristretto e limitato, ma che i comandamenti di Dio sono di una estensione infinita e di una ampiezza eccessiva.

Spiegazioni e Considerazioni

V SEZIONE — .81-96.

I. – 81-88.

ff. 81-84. – Se l’anima desidera vivamente una cosa senza poterla ottenere, cade in una debolezza e sembra quasi perdere la vita. Ora, l’anima santa che teme Dio non sa desiderare altra cosa che la salvezza da Dio, che è Nostro Signore Gesù-Cristo. Essa lo desidera ardentemente, tende con tutte le sue forze verso il divino oggetto, trattiene in sé questo desiderio bruciante, si apre e si spande interamente davanti al suo Salvatore e non teme che una cosa: di perderlo. Più dunque quest’anima si esercita in questi santi desideri, più cade in difficoltà, difficoltà che ha per effetto la diminuzione della debolezza e l’accrescimento della virtù (S. Ambr.). – Si tratta dunque di una buona caduta; essa mostra in effetti, il desiderio di un bene che non si è ancora acquisito, ma che si persegue col più grande ardore e con la più grande veemenza. Ma chi esprime questo ardente desiderio, se non la razza scelta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo di acquisizione? (1 Piet. II, 9), chi vi aspira dopo Cristo, ciascuno nella sua epoca, in tutti coloro che hanno vissuto, che vivono e vivranno, dall’origine del genere umano fino alla fine dei secoli? … questo desiderio non è mai cessato nei Santi, e non cessa ancora nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa, fino alla fine dei secoli, « finché non divenga il desiderio di tutte le nazioni, » secondo la promessa del Profeta Aggeo (II, 8): « Ed io ho sperato nella vostra salvezza, » speranza che ci fa attendere con pazienza ciò che noi crediamo ora senza vederlo (Rom. VIII, 25 – S. Agost.). – « I miei occhi languiscono nell’attesa della vostra parola e dicono: Quando mi consolerete? » Ecco dunque che  di nuovo negli occhi per questa volta, ma negli occhi dell’anima, quella doppia e felice debolezza non viene dalla debolezza dello spirito, ma dall’energia del desiderio prodotto dalle promesse di Dio. È questo ciò che vuole dire: « Nella vostra parola. » Ma come questi occhi interiori dicono: « Quando mi consolerete? » se non perché la loro attitudine e la loro attenzione, sono una preghiera ed un gemito? In effetti, è ordinariamente la bocca che parla e non gli occhi, ma l’ardore della supplica è in qualche modo, la voce degli occhi. « Quando mi consolerete? », egli sembra dire che soffra qualche ritardo, come in questo altro Salmo: « E voi, Signore, fino a quando tarderete? » (Ps. VI, 4). Ne è così o perché la gioia differita è più dolce al suo arrivo, o perché, sotto l’impressione di un desiderio ardente, ogni spazio di tempo, corto che sia per Dio che viene in aiuto, è lungo per colui che ama. Ma il Signore, che dispone tutto con misura, con numero e peso, sa quando deve fare ogni cosa. (Sap. XI, 21), (S. Agost.). – Quale è questa debolezza degli occhi? Supponete una sposa che attende che suo marito torni da un lungo viaggio, un padre che spera in ogni istante di vedere arrivare un figlio assente da lunghi anni, forse i loro occhi non saranno fissati sulla strada che deve ricondurre loro questi esseri sì cari? E nel guardare, i loro occhi non si affaticheranno fino ad indebolirsi? Tali erano i desideri dei Profeti di vedere il Salvatore, a testimonianza di Gesù-Cristo (Matth. XIII, 17). Ma questi occhi di cui parla il Profeta non sono gli occhi del corpo, bensì sono gli occhi dell’anima, come spiega aggiungendo: « Quando mi consolerete? Io sono disseccato come l’otre esposto alla brina. » Il Profeta dipinge, sotto un’immagine tratta dagli oggetti esposti al freddo ed al gelo, lo stato di secchezza e di languore in cui cadono talvolta i più perfetti. Essi trovano all’esterno un freddo insopportabile, perché la carità dei più si è raffreddata, e gli scandali si moltiplicano, e sentono dentro di sé un freddo ancora più dannoso che li prende interamente. Quali rimedi opporre a questa secchezza spirituale? – 1° Il ricordo continuo dei Comandamenti di Dio: « Io non ho dimenticato i vostri Comandamenti; » – 2° il ricordo della morte: « Quanti giorni restano ancora al vostro servo? » – 3° il ricordo dei giudizi di Dio: « Quando eserciterete il vostro giudizio, etc. ? » –  « Quanti giorni restano ancora al vostro servo? » vale a dire: Qual è il numero dei giorni della vita dell’uomo? Qual tempo deve misurarne la durata? Quale spazio resta ancora da percorrere? Perché una vita sì corta è oggetto di attacchi così accaniti? Perché in sì breve spazio, coloro che ci perseguitano tendono tante insidie ai nostri passi? Ah, che venga il giudizio, in cui i colpevoli riceveranno il loro castigo, in cui i persecutori riceveranno il degno salario della loro empietà! (S. Ambr.). – Questo linguaggio è quello dei martiri nell’Apocalisse, ed è loro ordinato di attendere pazientemente che il numero dei loro fratelli sia completo (Apoc. VI, 10). Il Corpo del Cristo domanda dunque quanti giorni vivrà nel mondo; e perché nessuno creda che la Chiesa perirà prima della fine del mondo, e che si troverà in questo secolo qualche spazio di tempo durante il quale la Chiesa non esisterà più sulla terra, egli chiede quale sarà il numero dei suoi giorni e parla subito di giudizio, facendo con ciò vedere che la Chiesa sussisterà sulla terra fino al giorno del Giudizio, in cui sarà vendicata dei suoi persecutori (S. Agost.).  

ff. 85 – 88. – « Gli empi mi hanno raccontato delle piacevoli menzogne, ma esse non somigliano alla vostra legge. » È difficile che il Cristiano fedele non sia obbligato a conversare con gli uomini del mondo, estranei talvolta ad ogni sentimento religioso, e non li intenda, malgrado i loro discorsi, e non li ascolti parlare dei loro piaceri, dei loro divertimenti, o anche dei loro progetti, dei loro disegni, delle loro pretese. Ahimè! Quali frivolezze, quali leggerezze, quali menzogne, quali piccolezze, quali favole! Niente di grave, niente di serio, nulla di costante! Si, il fondo delle conversazioni del mondo, sono le favole; ecco tutto ciò che sostiene il commercio del mondo. Là pure, tutto è vanità e afflizione dello spirito: « essi sono del mondo, ecco perché parlano il linguaggio del mondo ed il mondo li ascolta, » (I Giov. IV, 5) Ma noi che siamo di Dio, ascoltando i discorsi del mondo, ripetiamo con il Profeta: « i malvagi mi hanno raccontato delle favole, ma ciò che dicono non è come la vostra legge. » – Dalle loro conversazioni, dai loro intrattenimenti, passate ai loro scritti: là pure, quante favole, quante menzogne! Essi sono (è il giudizio che portavano Socrate e Platone sugli scritti dei poeti), che non hanno alcuna attinenza con la verità; purché dicano cose piacevoli, sono contenti, ecco perché nei loro versi si troveranno il pro ed il contro, delle sentenze ammirevoli per la virtù, e contrarie alla virtù; i vizi saranno disapprovati e lodati egualmente, e purché si facciano dei bei versi, la loro opera è compiuta … Ecco perché (è ancora il ragionamento di Platone sotto il nome di Socrate), quando nei poeti si trovano grandi ed ammirevoli sentenze, non c’è che da ragionarci sopra e si troverà che essi non le comprendono. Perché? Perché mirando solo a compiacere, non hanno messo nessuna attenzione nel cercare la verità … essi hanno accontentato l’orecchio, hanno fatto bella mostra del loro spirito, del bel suono dei loro versi e della vivacità delle loro espressioni: questo è sufficiente alla poesia; essi non credono che la verità sia loro necessaria (BOSSUET, Traité de la Concup., ch. XVIII). – « Ma questo non è come la vostra legge. Tutti i vostri comandamenti, sono la verità stessa. » Gli empi mi hanno raccontato delle piacevoli menzogne; ma, a queste menzogne, io ho preferito la vostra legge, che mi ha incantato più della vanità che abbonda nei loro discorsi. Essi mi hanno perseguitato ingiustamente con i loro discorsi, perché non perseguivano in me che la verità. « Venite dunque in mio soccorso, » affinché combatta per la verità fino alla morte; perché è in questo uno dei vostri comandamenti, e di conseguenza è la verità (S. Agost.). – « Tutti i comandamenti di Dio, sono verità, » perché troviamo nella legge di Dio una condotta infallibile, una regola certa, ed una pace immutabile, « Io sono, dice il Salvatore Gesù, la via, la verità e la vita. » (Joan. XIV, 6). Io sono la voce sicura che vi conduce senza incertezza, Io sono la verità infallibile, invariabile, senza alcun errore, che vi regola; Io sono la vera vita delle vostre anime, e dono loro un riposo senza agitazione. – « Essi mi hanno perseguitato ingiustamente, venite in mio soccorso. » Colui che perseguita il giusto, lo perseguita necessariamente con ingiustizia, perché l’iniquità è l’effetto di una operazione ingiusta. È a questa ingiustizia che l’Apostolo fa allusione quando dice: « … Tutti quelli che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo, soffriranno persecuzioni (II Tim. III, 12). Ma il Profeta, che sa che i comandamenti di Dio sono verità, sopporta con fermezza queste ingiuste persecuzioni. (S. Hil.) – Sembrerà un soldato coraggioso, che non fugge il combattimento. Non si rifiuta di affrontare gli incidenti spesso molto gravi della guerra; ma pieno di fede e previdenza, egli chiede soccorso dal cielo e prega Dio di venire in aiuto al suo generoso ardore. Egli non chiede la fine delle persecuzioni, ma di essere soccorso in mezzo ai loro attacchi; perché egli sapeva che … tutti coloro che vogliono vivere con pietà in Gesù-Cristo soffriranno persecuzioni. Egli preferisce dunque essere perseguitato per essere del numero di coloro che vivono con pietà in Gesù-Cristo. E, notate che egli non parla di una sola persecuzione, ma di un gran numero di esse; che non indica il nome dei suoi persecutori, perché coloro che ci perseguitano sono troppo numerosi, non solamente coloro che vediamo, ma ancora quelli che non vediamo. (S. Ambr.). « Per poco non mi hanno fatto perire sulla terra. » Non è senza ragione che il Re-Profeta ha implorato il soccorso dal cielo, egli sapeva che doveva lottare contro potenti nemici, e che avrebbe avuto diversi tipi di combattimenti da sostenere, sia contro le potenze spirituali che sono nell’aria, sia contro gli ardori del sangue e del temperamento, contro le seduzioni innumerevoli della carne che, per una sequenza ininterrotta di attacchi, lo avrebbero infallibilmente vinto ed abbattuto, se non si fosse tenuto stretto alla radice della fede. Impariamo a metterci in guardia contro il nemico che ci combatte; è un nemico domestico; questo nemico è l’uso stesso che dobbiamo fare del nostro corpo … Davide aveva coscienza di questa debolezza della carne, ed è per questo che dice: « poco è mancato che non mi abbiano fatto perire sulla terra, » su questa terra ove Adamo ha ceduto per primo ad una vergognosa caduta, e ha legato alla sua posterità la triste eredità di cadute senza numero … Ora, cosa oppone contro questi nemici scatenati contro di lui? « Da parte mia, io non ho dimenticato i vostri comandamenti. » (S. Ambr.). – Egli riconosce che il suo soccorso è venuto da Dio solo; così si rivolge a Lui con fiducia: « Secondo la tua misericordia, dammi la vita. » che cosa è questa vita che egli chiede? Non è la vita presente di cui godeva, ma quella che desiderava, cioè la vita eterna; perché comprendeva che gli era impossibile trovare la felicità in questo corpo inconsistente e mobile, la cui debolezza mette sempre in pericolo le migliori risoluzioni dell’anima. Occorre dunque che la misericordia di Dio venga continuamente ad intrattenere in questo corpo la vita dell’anima, affinché il giusto viva ogni giorno per Dio e sia morto al peccato. Se il peccato muore in noi, la nostra anima vivrà veramente per Dio, e noi osserveremo fedelmente i suoi comandamenti. In effetti, il Re-Profeta comincia con il chiedere a Dio che gli renda la vita, e non è se non in seguito che promette di osservare i suoi comandamenti; l’osservazione delle leggi divine non è la parte di una vita comune e volgare, per questo c’è bisogno di un soccorso soprannaturale che ci è dato dall’operazione della grazia dello Spirito Santo (S. Ambr.).

II. — 89- 96.

ff. 89 – 91. – Questa parola che dimora e persevera nel cielo, non deve, a maggior ragione, dimorare e perseverare in voi. Conservate  dunque la parola di Dio, conservatela nel vostro cuore, di modo che non la dimentichiate mai. Osservate la legge di Dio e meditatela, affinché le sue ordinanze piene di giustizia non vengano a sfuggi re dal vostro cuore. È ciò che qui insegna il Profeta, e ciò che continua ad insegnarvi nei versetti seguenti … Ma come la parola del Signore dimora nel cielo, allorché Nostro Signore stesso dichiara che il cielo e la terra passeranno? (Matth. XXIV, 35). Come può sussistere il tetto dell’abitazione se le fondamenta spariscono? Come l’abitante può continuare a restare nella casa, se la casa non esiste più? (S. Ambr.). – Il Profeta dice: « La vostra parola abita nei cieli, » perché essa non può restare sulla terra, a causa della falsità e delle menzogne degli uomini. Egli dice che resta nel cielo, nel senso che nel cielo visibile non c’è trasgressione, né cambiamento, né indebolimento, né inattività. Consideriamo il corso annuale del sole, il ritorno mensile della luna e le rivoluzioni degli astri: forse questi non si mantengono fedelmente nei limiti loro assegnati? Alcuna mutazione, nessun ritardo, alcuna inattività, ma ognuno di essi obbedisce con puntualità alle leggi che gli sono state date da quando sono stati creati. (S. Hil.). –  Forse il Profeta vuol parlare di questo cielo nuovo che succederà al cielo attuale (Isai. LXV, 4-6) … o intende i cieli che sono pure la terra, di cui in altro Salmo dice: « I cieli raccontano la gloria di Dio, » e che benché abitante ancora la terra, osano dire: « La nostra vita è nei cieli. » Questi sono i cieli nei quali abitano la fede, la modestia, la continenza, la dottrina ed una vita tutta celeste … o ancora questo cielo che abitano gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini ed i Serafini, perché gli uomini, malgrado la loro santità, hanno un cuore mobile e soggetto al cambiamento. Noi siamo nella gioia, ed un istante dopo piangiamo, gemiamo … Non è così per le potenze celesti, libere dalla legge del cambiamento (S. Ambr.). – « La verità di Dio sussiste nella sequenza di tutte le razze, senza che la malizia degli uomini o dei demoni possa cambiarla. » –  Immutabilità di questa parola sulla quale il fondamento della terra resta fermo dal momento della sua creazione. Che può temere colui che resta legato a questa verità che rende la terra ed il cielo indistruttibile? – Ordine mirabile di Dio, in virtù del quale il giorno succede invariabilmente alla notte. Immagine di un altro sole e di un altro giorno: del sole di giustizia, che si leva nella anime per formarvi un altro giorno, che è quello della grazia. (Duguet). – Nulla di più ammirevole della luce, ma essa non ha bisogno, per brillare ai nostri occhi, che della volontà di Dio. Questa volontà non dovrebbe essere sufficiente perché la luce brilli agli occhi del nostro cuore? Colui che fa levare il sole della natura nella terra dei morenti, non è lo stesso che fa levare il sole di giustizia nella terra dei viventi? Si, ma noi siamo malauguratamente liberi di chiudere gli occhi a questa luce. –  « Tutte le creature vi obbediscono, solo il peccatore leva contro di voi lo stendardo della rivolta e dice: “io non servirò”. » Tuttavia il Signore non vuole dividere con nessun altro l’impero ed il dominio del mondo (S. Ambr.). – « Per ordine vostro, il giorno sussiste così com’è, perché tutte le cose vi obbediscano. » Ciò che noi chiamiamo il giorno non persevera, interrotto com’è dalla notte che lo divide dal giorno seguente. E se il Profeta aveva voluto parlare del giorno che si misura con il tempo, avrebbe dovuto pur far menzione della notte, che ugualmente sussiste, come un seguito degli ordini di Dio. Ma siccome il giorno porta con sé la luce ed i Santi sono essi stessi la luce, noi crediamo che questo giorno di luce debba perseverare, perché tutto debba obbedire a Dio. Ed i peccatori sono sottomessi ai suoi ordini? Deve essere servito con obbedienza da coloro che Egli deve assoggettare come lo sgabello dei piedi? Dunque il giorno, cioè la luce dei Santi, resterà, persevererà quando tutte le cose saranno interamente sottomesse a Dio (S. Hil.).  

ff. 92-94. – « Se non avessi fatto della vostra legge il soggetto delle mie meditazioni, io sarei forse perito nella mia umiliazione. » Sull’esempio di Davide, quando traversiamo dei giorni di afflizione e siamo sottomessi alle dure lezioni delle avversità, meditiamo la legge di Dio, per timore che la tempesta, abbattendosi su di noi all’improvviso, non venga a sommergerci. L’atleta non osa presentarsi al combattimento prima di essersi per lungo tempo esercitato nella lotta. Esercitiamoci dunque con una pratica continua della meditazione, esercitiamoci prima della battaglia, per essere pronti nell’ora in cui si ingaggia la lotta, perché noi possiamo dire, quando saremo attaccati o dalla povertà, dalla perdita di coloro che ci sono cari, sia dalle malattie, dalla paura della morte, dalle pene amare e crudeli: « Se non avessi fatto una meditazione della vostra legge, io sarei forse perito nella mia umiliazione. (S. Ambr.). – « Non dimenticherò mai la giustizia dei vostri comandi. » La grande causa dell’oblio di Dio, è l’amore delle creature di se stesso, che fa perdere il gusto di Dio e dimenticare la sua legge. – La carità sola, che cancella dai nostri cuori, con un oblio più santo e più religioso, tutto ciò che è del mondo, fa che noi non ci ricordiamo più se non di Colui ci dà la vita e la salvezza. – « Io sono tuo. » Non bisogna comprendere superficialmente queste parole. Cosa c’è in effetti che non sia di Dio? … Perché dunque il Profeta ha pensato a raccomandarsi in qualche modo più familiare a Dio dicendogli: « Io sono vostro, salvatemi », se non ci dà ad intendere con ciò che, per sua disgrazia, egli ha voluto essere a se stesso ciò che è il primo e sovrano male della disobbedienza? E come se avesse detto: io ho voluto essere mio e mi sono perduto: « Io sono vostro, egli dice, salvatemi, perché io cerco i vostri giusti precetti, affinché sia ormai tutto vostro. (S. Agost.). – Sono pochi coloro che possono dire a Dio: « Io sono tutto vostro. » Per parlare così a Dio in tutta verità, bisognerebbe essere attaccati a Dio con tutta l’anima, e porre Lui come centro di tutti i nostri pensieri e le nostre affezioni; bisognerebbe saper dire, come l’Apostolo Filippo: « Mostrateci il Padre e ci basta, » (Giov. XIV, 8), (S. Ambr.); o con S. Paolo: « Il Cristo è la mia vita » (Filip. I, 21), e: « Io vivo, ma non sono più io che vivo, ma Gesù-Cristo che vive in me. » (Galat. II, 20). – È la parola di un’anima costantemente applicata a Dio, di una misericordia infaticabile, castità immutabile, con un digiuno continuo, una liberalità inesauribile (S. Hil.). – « Io sono tutto a tutti » è quanto non può fare chi sia avido di ricchezze, di onori e di dignità. Per un gran numero, non è molto conoscere Dio. Quanti popoli, nazioni, trovano troppo piccolo e stretto Colui che è al di sopra di tutto; il Figlio di Dio, in cui tutto si trova concentrato, non è molto per essi! È così che questo ricco del Vangelo, a cui Gesù diceva: « Se vuoi essere perfetto, vendi tutto ciò che hai e danne il ricavato ai poveri, » (Matth. XIX, 21, 22), non giudicò che Dio gli fosse sufficiente. Egli si rattristò come se gli si comandasse di abbandonare molto più che ciò che doveva scegliere. Solo può dire: « Io sono vostro » chi può dire pure: « Ecco che noi abbiamo lasciato tutto e vi abbiamo seguito. » (Matth. XIX, 27). È la dichiarazione fatta dagli Apostoli, ma non da tutti gli Apostoli; perché anche Giuda era un Apostolo, era seduto con gli altri Apostoli a tavola con Gesù-Cristo; egli pure diceva: « io sono vostro, » ma solo con la bocca e non con il cuore. Satana venne ed entrò nella sua anima (Joan. XIII, 37) e poté dire: egli non è più vostro, Gesù, egli è mio; egli mangia alla vostra tavola, ma è con me che si nutre; egli riceve da voi il pane, da me ottiene la somma di denaro; egli beve alla vostra coppa, ma mi vende il vostro sangue; egli è vostro Apostolo, egli è il mio mercenario … il Re-Profeta aggiunge: « Perché ho cercato i vostri precetti pieni di giustizia; » cioè io non ho chiesto nulla agli altri, ho desiderato solo di essere vostro … è nei vostri comandamenti tutto il mio patrimonio. Io non voglio possedere nulla che non vi appartenga, le vostre parole sono luminose ai miei occhi come l’argento più puro; in una parola: Dio è la mia eredità: « Io sono vostro, perché la parte della mia eredità non è né nell’oro, né nell’argento, ma in Cristo-Gesù. » (S. Ambr.). 

ff. 96. – « I peccatori mi hanno atteso per perdermi; » cioè sull’esempio dei primi persecutori, essi sono ricorsi ad ogni genere di supplizi, a tutti gli artifici della persuasione, ma non hanno potuto far deflettere la mia risoluzione. La fede ha trionfato di tutte le seduzioni del mondo, come pure di tutti i suoi tormenti, di tutte le sue minacce, … orbene ci sono stati molti che si sono sforzati di portarmi al peccato e comunicarmi questo contagio mortale di cui sono affetti … ma io sono rimasto insensibile a tutti gli attacchi, le seduzioni dei peccatori non hanno potuto stornare la mia anima, né la mia intenzione circa lo studio e la meditazione delle vostre leggi divine: « Io mi sono applicato a comprendere la vostra testimonianza; » perché se non l’avessi compresa, i peccatori mi avrebbero infallibilmente perduto. Ma ciò che la mia intelligenza ha compreso, io l’ho tradotta nelle mie opere, perché la vera intelligenza è quella che ha per essa la testimonianza ed il sostegno delle opere (S. Ambr.). – « Io ho visto la consumazione di tutte le cose. » Ci sono diversi generi di consumazione; si dice della malizia che è consumata quando ha riunito tutte le finezze, tutti gli inganni per nuocere e per perdere; si dice della virtù, della saggezza, della giustizia, che sono consumate quando hanno raggiunto il più alto grado a cui possono elevarsi. I peccati hanno pure la loro consumazione, quando sono coperti, espiati dalla misericordia di Dio e dal sangue dell’Agnello che è venuto a cancellare i peccati del mondo (S. Ambr.). – Tutto ciò che c’è di più perfetto in questo mondo ha i suoi limiti e la sua fine, ma i Comandamenti di Dio sono di una estensione infinita, la malizia più raffinata ha questi limiti prescritti dalla giustizia di Dio. Infine tutto sarà consumato un giorno dal Giudizio finale, che sarà la fine di tutte le cose; ma la verità di Dio sussisterà eternamente. –  Il vostro comandamento è estremamente largo. » Noi leggiamo nel Vangelo che la via che porta in cielo è stretta (Matth. VII, 14). Come può dire il Profeta che il comandamento di Dio è estremamente largo? È giusto perché in una via sì stretta, è necessario che il comandamento sia molto largo; è ciò che dice diversamente lo stesso Profeta: « Nella tribolazione, mi avete messo al largo. » (Ps. IV, 2); ed ancora: « Io ho invocato il Signore nella tribolazione, Egli mi ha esaudito e messo al largo. » (S. Ambr.). – È un comandamento largo quello della carità, questo doppio comando che prescrive di amare Dio ed il prossimo; perché c’è nulla di più largo di un precetto dal quale dipende tutta la legge ed i Profeti? (S. Agost.). – Cosa c’è di più largo del precetto della carità, che si estende finanche ai nemici, che ci comanda di essere in pace con tutti gli uomini, di benedire coloro che ci maledicono, di pregare per coloro che ci perseguitano? (S. Ambr.).- Cosa è più largo di un comandamento che si estende come all’infinito ed abbraccia tutti i generi di virtù, tutte le differenti specie di grazia, di doveri, di uffici? Non si domanda a tutti di praticare le stesse virtù, ognuno ha ricevuto da Dio un dono particolare. Il Comandamento di Dio è dunque largo, nel senso che si estende a tutto ciò che fa l’oggetto della nostra speranza, e a cui non è difficile obbedire, purché ne abbiamo la volontà, poiché si adatta e si accomoda a tutte le condizioni, a tutte le circostanze della vita (S. Hil.). – La via stretta è una via larga, e benché sia vero che i santi debbano camminare in questo mondo per un sentiero stretto, essi non lasciano di camminare in un cammino spazioso … « Il vostro comandamento è estremamente largo. » Che vuol dire questo santo Profeta? Certo, il comandamento è la via per la quale dobbiamo avanzare; da dove viene che il Salvatore ha detto: « Se vuoi pervenire alla vita, osserva i comandamenti. » – Le vie di Dio e gli ordini del Signore, sono la stessa cosa nelle Scritture. E come è dunque che è detto che le vie di salvezza sono strette? Ah! Sentiamo in noi stessi ciò che il Signore ha sentito; Egli si è messo allo stretto, al fine di spandersi più abbondantemente; così noi dobbiamo essere in una salutare stretta per dare alla nostra anima la sua vera estensione. Contraiamoci, controllando i nostri desideri, mortificando la nostra carne; mettiamola allo stretto con l’esercizio della penitenza, e la nostra anima sarà dilatata dall’ispirazione della carità. « La carità allarga le vie, dice il mirabile S. Agostino; è essa che dilata l’anima e la rende capace di ricevere Dio. » (BOSSUET. I° Serm. Vêt. d’une nouv. cath.).

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SACRO CUORE DI GESÙ (29): IL Sacro CUORE di GESÙ e il PAPA.

[A. Carmagnola: IL SACRO CUORE DI GESÙ. TORINO, S. E. I. – 1920]

DISCORSO XXIX

Il Sacro Cuore di Gesù e il Papa.

(1) Di questo discorso stampatosi a parte nel 1892, per mezzo dell’Eminentissimo Card. Rampolla Segretario di Stato, fu umiliata copia dall’autore a S. S. LeoneXIII; e n’ebbe in risposta questa consolante lettera:

Bev. mo Signore,

Con molto piacere ho rassegnato al S. Padre uno dei recontissimi esemplari del discorso, al quale si riferisce la lettera da Lei indirizzatami il 2 del corrente mese. Sua Santità si è degnata accoglierlo con espressioni di particolare gradimento e nel commettermi di ringraziarla nell’Augusto Suo nome Le ha con affetto impartita l’Apostolica Benedizione. Mentre mi affretto ad eseguire il venerato incarico, L a ringrazio ben di cuore anche in mio nome dell’esemplare, che gentilmente mi ha Ella favorito, di esso discorso, e con sensi di distinta stima mi dichiaro

Aff.mo nel Signore M. Card. Rampolla

Di V. S.

Rev. D. ALBINO CARMAGNOLA, Sac. Salesiano

Roma, 7 Luglio 1892.

Nel corso di questo mese gettando lo sguardo sopra le opere del Cuore Sacratissimo di Gesù, non ne trovammo certamente alcuna, che non si mostrasse ammirabile, non ci parlasse della sua bontà e della sua misericordia infinita per noi. Ammirabile Vedemmo la sua Chiesa, ammirabili i suoi Sacramenti, ammirabile la sua dottrina, ammirabili i suoi esempi, ammirabili le sue promesse e le sue grazie, e tutto, grazie, promesse, esempi, dottrina, Sacramenti e Chiesa ci hanno fatto esclamare con gratitudine: Oh quanto è buono il Cuore di Gesù con noi! quanto è grande il suo amore, la sua misericordia! Eppure o miei cari, fra tante opere ammirabili del Cuore di Gesù Cristo io ne scorgo ancor una non meno ammirabile delle altre, che anzi più ancor dì ogni altra mi manifesta la sua bontà e la sua misericordia; e voglio dire il Papa. Sì, il Papa! e per poco che consideriate anche voi quest’opera, non penerete a convincervi della verità di questa mia asserzione. Ed invero, donde mai la Chiesa ritrae la essenza di sua unità, la beneficenza dei suoi Sacramenti, l’integrità di sua dottrina, la sicurezza della parola e degli esempi di G. Cristo? … Dal Papa. È il Papa, che in un cuor solo ed in un’anima sola unisce tutti i popoli a Cristo. È il Papa, che ci comunica la grazia per mezzo dei Vescovi e dei Sacerdoti. È il Papa, che custodisce inviolato il deposito del Santo Vangelo. È il Papa, che ci assicura degli insegnamenti di Gesù Cristo. È il Papa insomma quella fonte prodigiosa, che lo stesso Gesù Cristo ha stabilito nella Chiesa per farci gustare perpetuo il benefizio della sua redenzione, per tramandare in eterno l’abbondanza della sua misericordia. Ben ho ragione di asserire che il Papa è un’opera delle più ammirabili uscite dal Cuore ferito di Gesù Cristo, e che con quest’opera il Cuore di Gesù ha fatto alla sua Chiesa uno dei più segnalati benefizi. Ben ho ragione, additandovi il Papa, d’invitarvi con tutte le forze dell’animo mio a benedire questo Cuore Santissimo ed a confessare il suo amore e la sua bontà infinita per noi! Questo per l’appunto è lo scopo del discorso di oggi, questo giorno in cui celebriamo la festa del primo Papa, di S. Pietro, mettervi in qualche luce questo sì grande benefizio, affinché da tale considerazione se ne tragga la natural conseguenza di ricambiare il Cuore di Gesù della conveniente gratitudine.

I. — Ogni famiglia, ogni Stato, ogni società abbisognano di un capo. L’anarchia a cui tanti evviva s’innalzano ai giorni nostri non è che il più stupido degli assurdi: imperciocché anche gli anarchici costituiti in partito, come sono oggidì, obbediscono essi pure agli ordini di un capo o per lo meno si lasciano spingere da’ suoi iniqui incitamenti. Se pertanto a non sovvertire l’idea istessa di famiglia, di stato e di società assolutamente si appalesa la necessità di un rispettivo capo, ognuno vede a primo aspetto, che a porre ben salde le fondamenta di quell’ammirabile società, che il Cuore amoroso di Cristo venne a stabilire in sulla terra, era affatto necessario che le donasse un capo; un capo che con rettitudine la governasse, un capo che l’ammaestrasse con sapienza; un capo che per ogni verso la guidasse con sicurezza alla meta sublime, che Cristo le assegnava. Senza di un capo, supremo nella sua autorità, infallibile nel suo magistero, la Chiesa, quest’opera divina uscita dal Cuore squarciato di Cristo, sarebbe andata priva del principio di sua unità e di sua perfezione ed in breve divisa e moltiplicata nel governo, varia e confusa nella dottrina, sarebbe riuscita a quello scompiglio, di cui in ogni tempo l’eresia ha dato al mondo sì triste spettacolo. Ma grazie, infinite grazie sieno rese al Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo! Ripieno per la sua Chiesa di un amore infinito e divino, Egli allontana da Lei un tale pericolo, e pur rimanendo Egli stesso a suo capo invisibile sino alla consumazione dei secoli, le dona un capo visibile nel Romano Pontefice, il cui supremo potere, corrisposto dall’universale sommessione, costituirà sino alla fine del mondo il principio della vita, dello sviluppo e del perfezionamento della Chiesa istessa. Ecco il Divin Redentore a Cesarea di Filippo. Circondato da’ suoi discepoli, a questo modo li interroga: « Chi dicono gli uomini che io sia? » E i discepoli rispondono: « Gli uni dicono che voi siete Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti. » — « Ma voi, soggiunse il Salvatore, voi chi dite ch’io sia? » A questa domanda Simon Pietro, pigliando la parola a nome suo e degli altri Apostoli, esclama: « Tu sei il Cristo, Figliuolo di Dio vivo. » Allora il Salvatore ripiglia: « Beato te, o Simone, figliuolo di Giovanni, perché non è né la carne, né il sangue che ti ha rivelato ciò che tu dici, ma il Padre mio, che è ne’ cieli. Ed io dico a te che tu sei Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa e le potenze d’inferno non prevarranno contro di essa giammai. A te io darò le chiavi dei regno de’ cieli e tutto ciò che avrai legato sopra la terra sarà legato anche ne’ cieli, e tutto ciò che in sulla terra avrai sciolto, sarà sciolto anche nei cieli. » Udiste? Con parole del tutto esplicite Gesù Cristo promette a Pietro di lasciare in lui un capo alla sua Chiesa con autorità suprema di comando. Ed invero, dopo di averlo detto beato per aver parlato conforme l’illustrazione avuta dal Padre celeste, gli cambia il nome di Simone in quello di Pietro o Pietra e soggiunge: « Sopra di questa pietra fonderò la mia Chiesa; » come dicesse: Tu, o Pietro, sei destinato a far nella mia Chiesa quello, che fa il fondamento in una casa. Il fondamento è la parte principale e indispensabile in un edilizio. E tu sarai nella mia Chiesa l’autorità affatto necessaria. E come nella casa le parti che non posano sul fondamento cadono e vanno in rovina, così nella mia Chiesa chiunque si dividerà da te, non ubbidirà a te, non seguirà te, fondamento della mia Chiesa, non apparterrà alla medesima e cadrà nell’eterna rovina. Inoltre Gesù Cristo disse ancora a Pietro: « A te darò le chiavi del regno de’ cieli. » Ma le chiavi non sono per eccellenza il simbolo della padronanza e del potere? Quando il venditore di una casa porge le chiavi al compratore di essa, non intende forse con questo atto mostrargli che gliene dà pieno ed assoluto possesso? Parimenti quando ad un re sono presentate le chiavi di una città, non si vuole forse con tal omaggio significare che quella città lo riconosce per sovrano? Per simile guisa le chiavi spirituali del regno dei cieli, cioè della Chiesa, che Gesù Cristo promette a Pietro, indicano chiaramente che Egli è destinato ad essere signore, principe e reggitore della nuova Chiesa. Laonde Gesù soggiunge allo stesso: « Tutto quello che legherai sulla terra, sarà altresì legato in cielo e tutto quello che scioglierai in terra, sarà pure sciolto in cielo; » vale a dire: Tu avrai l’autorità suprema di obbligare e sciogliere la coscienza degli uomini con decreti e con leggi riguardanti il loro bene spirituale ed eterno. — Né si dica che anche gli altri Apostoli sono stati fatti capi della Chiesa, perché anche a loro Gesù Cristo diede la facoltà di sciogliere e di legare, che tale facoltà Gesù Cristo la diede loro in comune e dopoché già erano state rivolte a Pietro le parole soppradette, affinché capissero che la loro autorità doveva essere sotto ordinata a quella di S. Pietro, divenuto loro capo e principe, incaricato di conservare l’unità del governo e della dottrina. Ma alla promessa tien dietro il fatto. Dopo la risurrezione Gesù Cristo, avendo mangiato co’ suo discepoli per assicurarli vie meglio della realtà del suo risorgimento, si rivolge a Simon Pietro e gli domanda per tre volte: « Simone, mi ami tu più di questi? » Pietro che dopo il fallo della negazione di Cristo è divenuto più modesto, si contenta di rispondere: « Signore, voi sapete che io vi amo. » E due volte il Signore gli dice: « Pasci i miei agnelli. » Ed una terza volta: « Pasci le mie pecorelle. » Per siffatta guisa il Cuore amoroso di Cristo costituiva S. Pietro Principe degli Apostoli, Pastore universale di tutta la Chiesa; conferendogli di fatto il primato di onore e di giurisdizione, ossia quel potere supremo che dapprima avevagli promesso, e non sola sopra i semplici fedeli raffigurati negli agnelli, ma eziandio sopra i sacerdoti e sopra gli stessi vescovi raffigurati nelle pecorelle. Ma il Divin Redentore promettendo e donando a Pietro il supremo potere su tutta la Chiesa, cogli stessi termini gli prometteva egli donava l’infallibilità di magistero. Difatti era possibile che egli dicesse a Pietro: « Tu sei Pietro e sopra di questa Pietra innalzerò la mia Chiesa, e le potenze dell’inferno non prevarranno giammai contro di Essa; — Io ti darò le chiavi del regno de’ cieli: tutto ciò che avrai legato o sciolto su questa terra, sarà legato o sciolto in cielo; — Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle; » — e poi permettesse che Pietro avesse a sbagliare, e tutt’altro che essere agli altri fondamento della Fede, crollasse egli stesso nella medesima; tutt’altro che aprire agli uomini le porte del cielo colle chiavi di esso, li trascinasse alle porte dell’inferno; tutt’altro che pascere della verità e i pastori e gli agnelli, li avesse talora a pascere dell’errore? Ciò non era assolutamente possibile. D’altronde anche per questo riguardo Gesù Cristo ha parlato nei termini più chiari e precisi. Imperocché nell’ultima Cena, rivolto a Pietro, gli dice : « Simone, io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli. » (Luc. XXII) Ora, o bisogna dire che la preghiera di Gesù Cristo non fu esaudita, il che sarebbe una bestemmia, o fa d’uopo ammettere che il suo Cuore amoroso, mediante la sua preghiera, assicurò a Pietro una particolare assistenza, affinché come Maestro universale non avesse mai a venir meno nella fede, epperò con labbro infallibile insegnasse mai sempre la verità in tutto ciò riguarda la fede e la morale cristiana. – Ma qui, o miei cari, procuriamo di farci una idea esatta di questa infallibilità che Gesù Cristo prometteva e donava a Pietro. Perciocché vi hanno di coloro che non possono credere che, per quanto si tratti di un uomo posto alla testa di tutta la cristianità, non possa peccare come tutti gli altri uomini, non possono credere che bisogna aggiustar fede ad ogni parola, ad ogni giudizio che egli esprima, e su qualsiasi soggetto; non possono credere che Gesù Cristo abbia posto nella Chiesa un privilegio tirannico che inceppa la libertà dello spirito umano nelle sue ricerche scientifiche. Ma stolti ed ignoranti che sono! Se fosse questo l’infallibilità! … Ma è così forse? No, assolutamente. L’infallibilità non è affatto l’impeccabilità, perché Pietro in quanto è nomo potrà anch’egli peccare e dovrà perciò anch’egli gettarsi ai piedi di un altro ministro del Signore per implorare il perdono delle sue colpe. L’infallibilità non è legata ad ogni sua parola e ad ogni suo giudizio, che anch’egli come persona privata esprimendo il suo parere o sopra la storia, o sopra la scienza, o sopra la filosofia, o sopra la teologia potrà fallire. L’infallibilità non è un potere tirannico che inceppi la libertà della mente, è anzi un privilegio che l’affranca e la protegge dall’errore. L’infallibilità è quella prerogativa per cui Pietro, come Capo della Chiesa, in virtù della promessa di Gesù Cristo, giudicando e definendo dall’alto della sua suprema cattedra cose riguardanti la fede ed i costumi, non può cadere in errore, né quindi ingannare se stesso o gli altri. Ecco, o miei cari, che cosa è l’infallibilità. Ed una tale infallibilità non era del tutto necessaria alla Chiesa per raggiungere quaggiù il suo fine, la salvezza delle anime, mercé l’insegnamento della dottrina e della pura dottrina insegnata da Gesù Cristo? – Il divin Redentore adunque ha dato a S. Pietro quel potere supremo e quell’infallibile magistero, che come a Principe degli Apostoli e capo di tutta la Chiesa gli erano necessari. E S. Pietro riconobbe d’aver ricevuto tali prerogative, e senz’altro in lui le ammisero e le riverirono gli altri Apostoli e i primitivi fedeli. Difatti, appena salito al Cielo Gesù Cristo, Pietro nel cenacolo piglia il primo posto, parla pel primo e propone egli l’elezione di un altro apostolo in luogo di Giuda, il traditore. Nel dì della Pentecoste è egli che pel primo predica la fede di Gesù Cristo e la conferma coi miracoli. In seguito è ancor egli che pel primo avendo convertiti i Giudei, va pel primo a battezzare i Gentili. Così è egli, Pietro, che stabilisce i primi punti di disciplina e compone qualsiasi dissidio che insorga, tanto che tutta la Chiesa, pastori e fedeli a lui si affidano, lui seguono, lui obbediscono; e lo stesso grande S. Paolo, benché fatto apostolo direttamente da Gesù Cristo non è pago fino a che non ha fatto confermare da Pietro il suo ministero. – Se non che, o miei cari, quelle prerogative che Gesù Cristo donava a Pietro, erano a lui donate come a privato individuo, sicché colla sua morte avessero a perire? No assolutamente. E come poteva ancora sussistere la Chiesa, se per la morte di Pietro veniva a mancarle il fondamento? Come poteva rimanere unito e ordinato il gregge di Gesù Cristo, se per la morte di Pietro perdeva il pastore supremo? Come potevano i Vescovi e i fedeli essere ancora confermati nella fede se per la morte di Pietro veniva a mancare il Maestro infallibile di tutta la Chiesa? Il primato di Pietro adunque non è un privilegio personale, che abbia a perire colla sua morte; è un privilegio che raccoglierà ogni suo successore, un privilegio che rimarrà in tutti quelli che continueranno il suo pontificato sino alla consumazione dei secoli, ascendendo quella stessa cattedra romana, sulla quale per divina ispirazione egli andò ad assidersi e ad esercitare il suo supremo potere ed infallibile magistero; poiché Gesù Cristo colla durata perpetua della Chiesa volendo sino alla consumazione dei secoli trasmettere agli uomini il beneficio della sua redenzione, vuole altresì che sino alla consumazione dei secoli abbia a durare il primato di Pietro. Oh! consumi pur dunque il principe degli Apostoli in un sacrificio di amore il suo governo e magistero glorioso, cada pure ancor esso sotto i colpi di quella morte, che tutti miete implacabile senza eccezioni di sorta; non per questo andrà priva la Chiesa di un capo che la governi, di un dottore che l’ammaestri; le chiavi di S. Pietro passeranno nelle mani di S. Lino in quelle di San Cleto e per una trasmissione non. mai interrotta nel corso di diciannove secoli arriveranno alle mani del glorioso Pontefice regnante, dinnanzi al quale tutto il popolo cristiano prostrato, come dinnanzi a Pietro primo capo visibile della Chiesa, col cuore riboccante di amore e di entusiasmo ripeterà le parole di Cristo: Tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam. – Così da diciannove secoli ha sempre creduto la Chiesa, e così ha sempre riconosciuto col fatto. Tutti i Padri, tutti i Dottori, tutti i Santi, tutti i Concili furono sempre di accordo nel credere e proclamare altamente che il Papa, il pontefice romano è il vicario di Gesù Cristo, il successore di Pietro e il reggitore della Chiesa universale e il suo infallibile Maestro. Ed ogni qualvolta i reggitori e maestri delle Chiese particolari, i Vescovi, si trovarono nel dubbio o nell’incertezza, o nel timore, o nella controversia per riguardo a qualche pratica religiosa, o a qualche punto di dottrina, fu sempre al Papa che si rivolsero siccome all’autorità suprema e al supremo maestro, per essere da lui consigliati, illuminati, rassicurati, e fu sempre alla sua decisione, al suo giudizio, alla sua sentenza, che si affidarono come all’oracolo divino; tanto che quando S. Ambrogio asseriva che dove è Pietro, ossia il Papa, ivi è la Chiesa con tutti i suoi poteri e tutte le sue prerogative; quando S. Agostino tagliava netto sentenziando: Roma ha parlato, la causa è finita; quando S. Girolamo volgendosi a S. Damaso Papa del suo tempo dicevagli: Ohi non è con voi, è contro Gesù Cristo: chi con voi non raccoglie, disperde; non erano altro che la voce di tutta la Chiesa, la quale in tutti i secoli, e negli anteriori a loro e nei posteriori, ha sempre creduto che Pietro rimane e vive in quelli che continuano nel suo pontificato: Perseverat Petrus et vivit in sucessoribus suis. (S. LEO. Serm. II). Sia adunque benedetto Gesù Cristo, che a mantenere incrollabile l’edifizio della sua Chiesa ci ha dato il Papa; quel Papa, che nella persona di Pietro fu stabilito della Chiesa medesima il saldo fondamento, che nella persona di Pietro ricevette le chiavi del supremo potere, che nella persona di Pietro ricevette l’incarico di addottrinare nella fede e pastori e fedeli, che nella persona di Pietro fu dichiarato infallibile nel supremo esercizio del suo ministero, quel Papa insomma che nella persona di Pietro fu costituito Luogotenente di Dio nel governo spirituale del mondo.

II. — Ma l’empietà, o miei cari, riconoscendo al par di noi che il Papa è veramente la base della Chiesa Cattolica, il centro di sua unità e la sorgente della sua vita e delle sue grandezze, contro il Papa mosse ognora i suoi più furiosi assalti, follemente sperando di abbattere il suo trono, e col trono del Papa la Chiesa istessa. Ma qui per l’appunto è dove che il Cuore amoroso di Gesù Cristo ci dà un’altra prova luminosa del suo infinito amore per noi, nel conservare cioè il Papa in tutto il corso dei secoli contro tutti gli assalti che gli furon mossi. Gettate uno sguardo sulle pagine della storia. Nel corso di diciannove secoli le più nobili e potenti dinastie dei regnanti si cangiarono e morirono; ma la dinastia del Papa persistette e persiste tuttora invariabile ed immortale. – La Chiesa, questa figlia di Dio, vagiva ancora in fasce, e i tiranni di Roma si armarono per ispegnerla. La rabbia dei persecutori si scatena più furente contro di coloro che i cristiani riconoscono e venerano per loro augustissimi capi. S. Pietro da Nerone, ventinove altri Pontefici in seguito da altri imperatori son fatti morire e della morte più spietata; gli uni son crocifissi, gli altri sono lapidati, gli altri precipitati nei fiumi, gettati altri in pasto alle fiere. « E si è mai veduto, domanda qui l’illustre Bougaud, una dinastia che cominci con trenta condannati a morte? » E si è mai veduta, soggiungo io, una dinastia che abbia resistito per lo spazio di tre secoli ad un assalto così formidabile? Eppure vi ha resistito il Papato. All’indomani di quel giorno, in cui credevasi di avere spenta colla vita del Papa la cristiana religione, nell’oscurità delle catacombe sorgeva un Papa novello, nelle cui braccia gettavasi fidente la Chiesa perseguitata a sangue. [Da allora nulla è cambiato, come allora anche oggi gli empi usurpanti servi di lucifero, hanno creduto di abbattere la Chiesa impedendone il Papato, ma esattamente come allora, nella Chiesa –  tra l’oscurità delle catacombe, dell’eclissi prodotta dalla sinagoga di satana, e tra la persecuzione delle anime a forza di malefiche eresie e culti diabolici – è sorto il Papa novello a guidare la navicella di Pietro – n.d.r.]. Ed intanto, che più restava delle famiglie di Nerone, di Massimiano, di Diocleziano, di Giuliano l’Apostata? Colla ignominiosa lor morte avrebbesi voluto por fine, non che alla loro discendenza, alla loro stessa memoria. Dopo i persecutori vennero gli Eretici. Il loro assalto contro del Romano Pontefice fu tanto più accanito quanto più astuto e fraudolento. Nel quinto secolo dapprima, e dopo più di mille anni nel secolo decimo quinto e decimo sesto quegli uomini infernali suscitati dall’odio diabolico contro di quella pietra che Gesù Cristo poneva a base della sua Chiesa, lanciaronsi contro di lei con un furore frenetico. E tanto fu l’apparato della forza, tanti gli artifici dell’inganno, tanto il fervore delle passioni, che come dapprima il mondo cristiano pareva essersi staccato dal Romano Pontefice per gettarsi nelle braccia di Ario, così dappoi parve staccarsi dal Romano Pontefice per gettarsi nelle braccia di Lutero, di quel Lutero che nell’ebbrezza del suo immaginario trionfo osava gridare: Pestis eram vivus, mortuus tua mors ero, Papa. Ma gli eretici non furono più forti contro del Papa di quello che furono i tiranni, e mentre Ario e Lutero con tutta la loro sequela finivano di orribile morte la loro vita, il Papato vincitore dell’eresia restava fermo sul suo trono fatto rutilante di luce più viva. Dopo l’eresia e di conserva alla stessa, a combattere il Romano Pontefice sorgono i governanti della terra. Dapprima gli imperatori del basso impero di Costantinopoli, dappoi quelli di Germania con una prepotenza incredibile pretendere di adunare concilii, di dettar articoli di fede, di manipolar i preti a lor capriccio, di conferire essi stessi ai vescovi l’autorità e nel dare loro in mano il pastorale e l’anello, che giurino di dipendere da loro e di servire ciecamente alle loro voglie, e soprattutto che il Papa, il Vicario di Cristo, il successore di Pietro ceda a queste loro pretese, acconsenta alle lor matte proposte, soscriva alle erronee lor formole e ai loro patti iniqui. Oh chi sa dire a che dure prove, a che aspri cimenti, a che gravosi patimenti furono assoggettati i Pontefici nell’una e nell’altra epoca ? Nella prima un Giovanni è gettato in carcere dove soccombe per i cattivi trattamenti; un Agapito è mandato in esilio; un Silverio, spogliato de’ suoi abiti pontificali e raso il capo, vien deportato i n un’isola ov’è lasciato morir di fame; un Vigilio, preso pei capelli e per la barba, è strappato dall’altare che aveva abbracciato ed è fatto perire in esilio; un Martino è tolto da Roma e carico di catene è gettato a languire nel Chersoneso. Nell’altra epoca, sotto gli imperatori di Germania, altri fra i Pontefici sono assediati in Roma, altri rinchiusi in prigione e fatti morir di fame e di miseria, altri avvelenati, altri cacciati in bando dove muoiono esclamando: « Ho amato la giustizia, ho odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio. » E chi mai nell’imperversare di sì furiose tempeste non avrebbe creduto che il Romano Pontificato avesse a perire? Eppure no! Perirono l’un dopo l’altro tutti i suoi assalitori, trascinando nel sepolcro la lor discendenza, ma i Papi restarono ed alla morte dell’uno un altro sempre ne successe a governare, ad ammaestrare quella Chiesa, di cui Iddio lo eleggeva a capo. E ai tempi dei nostri avi e dei nostri padri l’empietà lasciava forse alcun che d’intentato contro dei Romani Pontefici? La rivoluzione, al cui apparecchio avevano lavorato orgogliosi filosofi, dopo aver bandita la croce al Cristianesimo, scannati a decine e a centinaia i Vescovi più venerandi e i sacerdoti più eletti, abbattute nelle chiese le sacre immagini e surrogatavi in lor vece la sozzura vivente della Dea Ragione, finì per gettare le mani sulla veneranda canizie del sesto Pio, strapparlo violentemente dalla sede di Pietro e trascinarlo nella terra d’esilio ed ivi con serie infinita di vessazioni e di dolori procurargli la morte. Più tardi un soldato felice insuperbito dei suoi trionfi, rinnovava le stesse sevizie su Pio settimo, gettandolo a gemere diviso dai suoi più cari in penosissima cattività, dove oltre al privarlo del pane necessario al sostentamento, negavagli persino il conforto della penna. Oh mio Dio! Tutto è pianto per la Sposa di Cristo; più non regna che la ragion del più forte, e quanti non hanno fede credono che a Savona debba alfin morire l’ultimo dei Papi. Ma viva Dio! Un bel giorno, mentre il rombo delle empie e sconsigliate guerre odesi ancora echeggiare per tutta Europa, gli eserciti dell’irrequieto conquistatore sono rotti e dispersi, lo snaturato tiranno vinto e soggiogato è mandato a languire sopra un arido scoglio dell’oceano, mentre il mite e travagliato Pontefice liberato dalla sua prigione e come portato sugli omeri di tutto il popolo cristiano ritorna trionfante nella santa città. Ma l’empietà, o miei cari, si ostina a non profittare delle toccate sconfitte ed anche ai dì nostri ritenta la prova e si getta rabbiosa a cozzare col Papato. Né si è ristretta a dimostrazioni di lingua e di penna. Armi si sono impugnate, atroci violenze si sono commesse, e il Capo Venerabile della Chiesa. Io qui mi arresto…. I fatti ai quali accenno sono accaduti ed accadono tuttora davanti ai vostri occhi, né avete bisogno che io ve li esponga. Vi chiederò piuttosto: Vi ha da temerne? …. Potrà temere colui che non crede o non conosce l’amore di Gesù Cristo per la sua Chiesa. Ma chi getta lo sguardo su quel Cuore tutto i n fiamme, chi porge ascolto ai suoi rinfrancanti detti: Ecce vobiscum sum usque ad consummationem sæculi; allo sforzo degli empi sorride, perché si assicura che, come il Cuore amoroso di Cristo non abbandonò mai il Papa, nel corso dei passati secoli, così non l’abbandonerà neppure nei secoli venturi e conservandolo in mezzo ad ogni sorta di assalti, lo circonderà di universale amore e gli preparerà uno splendido trionfo. Viva, viva adunque il Cuore Santissimo di Gesù che ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura, ed affetto!

III. — Ma altra prova di amore, non meno splendida delle antecedenti, ci ha dato il Cuore Sacratissimo di Gesù nel glorificare il Papa. Conoscendo Egli a perfezione il cuore umano, che tanto facilmente sì lascia attrarre dalle cose sensibili, volle eziandio per la via delle cose sensibili trarre gli uomini all’amore ed alla venerazione del Papa; epperò non pago di conferirgli un’autorità spirituale, in tutto il corso dei secoli, lo circonda ognora di fulgidissima gloria ispirandogli ed aiutandolo a compiere opere, che niun’altra dinastia del mondo potrà mai vantare sì numerose e sì perfette. Ed in vero, o miei cari, a chi la gloria di atterrare i delubri del paganesimo, di raddolcire i costumi, di spezzare le catene della schiavitù, di far risplendere il sole della cristiana civiltà? Al papa! O santi pontefici de’ tre primi secoli, io mi prostro riverente dinanzi alla vostra veneranda persona. La vostra vita non passò che nell’oscurità delle catacombe, ma dal fondo di quei sotterranei il suono della vostra voce uscì per tutta la terra a portare dovunque la serenità e la pace! — A chi la gloria di evangelizzare il inondo, di spargere dappertutto il regno di Cristo, di inalberare per ogni dove lo stendardo della croce, di radunare i popoli in un sol cuore, in un’anima sola? Al Papa! Io vi saluto, o Gregorio Magno, o Nicolò I, o Zaccaria, o Gregorio II e III, o Giovanni XIII, o Gregorio IV; è per opera vostra, pel vostro soffio che sono successivamente evangelizzate l’Italia non solo, ma le Gallie, la Spagna, la gran Bretagna, la Svezia, l’Olanda, la Germania, la Polonia, la Russia, le immense contrade del nord. È per opera vostra, pel vostro soffio, o Sommi Pontefici, che a tutti i popoli del settentrione e del mezzodì, dell’oriente e dell’occidente, dell’antico e del nuovo mondo la fede rifulge, il vero Dio si adora, Cristo è amato. — A chi la gloria di liberarci dalla dominazione dei barbari e dei mussulmani, d’impedire che ricadessimo nella primiera barbarie? Al Papa! O magno Leone! io vi veggo, rivestito del vostro papale ammanto, in trepido, farvi innanzi a chi si noma flagello di Dio, ammansar quella belva e allontanarla d’Italia. Io vi veggo, o S. Leone IV, respingere ad Ostia colle vostre milizie i Saraceni, che vi sbarcarono già sicuri della vittoria. Io vi veggo, o S. Leone IX, combattere, a Civitella per l’indipendenza delle terre italiane e cadendo prigioniero restar tuttavia vincitore. Io veggo voi, o grande Ildebrando, farvi l’energico difensore dell’Italia contro l’influenza straniera ed umiliare a Canossa la prepotenza di un imperatore Germanico. Io veggo voi, o Alessandro III, farvi capo di una lega per allontanare dalle nostre terre il Barbarossa e felicemente riuscirvi, e voi, o Gregorio IX, tentare risolutamente la stessa cosa contro Federico II. Io vi veggo o grande Pio V, destare l’Europa col suono della vostra voce, radunarne i principi, benedire i loro eserciti, spedirli contro le falangi musulmane, e colle vostre preghiere ottener loro la più splendida vittoria. — Ancora. A chi la gloria di vedere suoi figliuoli gli stessi re ed imperatori del mondo, di essere il consigliere nelle loro imprese, l’arbitro nelle loro questioni, il pacificatore nelle loro contese? A chi la gloria di intimare ai prepotenti il dovere e la giustizia, di resistere ai loro capricci, di difendere l’innocenza ed il diritto contro il loro despotismo? Al Papa. Siete voi, o Innocenzo III, che obbligate Filippo Augusto di Francia a ripigliare la sua legittima sposa; voi, o Pio VI, e Pio VII, che forti per coscienza resistete alla volontà degli iniqui; voi, o Gregorio XVI, e Pio IX, che agli imperatori delle Russie ordinate di trattar meglio i Cattolici, — E finalmente, a chi la gloria d’aver protetto le lettere, le scienze, le arti? A chi?. Al Papa, sempre al Papa. È il Papa che nel buio del medio evo, apre scuole a spargervi la luce delle lettere e delle scienze: il Papa, che favorisce e promuove le università, il Papa che raccoglie biblioteche, il Papa che si circonda di dotti, il Papa che chiama ed accoglie onorevolmente nella sua Roma i più celebri artisti. È Giulio II, è Paolo III, èSisto V, è Leone X, èPio VI, èPio VII, è  Pio IX, è il glorioso Leone XIII, la cui splendida munificenza verso le scienze, le lettere e le arti va del pari colla sua altissima sapienza. E dinanzi a tanto splendore, dovrebbesi ancora far conto di quel po’ di nebbia che parvero gettare sul Papato alcuni pochi Pontefici? Io non nego che vi sia stato fra di loro qualcuno di ua vita non dicevole alla sublime dignità. Ma che per questo? Se come persone private fallirono, come Pontefici vennero forse meno al loro gravissimo ufficio? Lo stesso Alessandro VI, di cui tanti scrittori farisaici inorridiscono, dato pure che l a sua vita privata non sia stata sempre buona, non compié in qualità di Pontefice delle grandi cose? Non fu egli, come scrive lo stesso Boterò, che allo scoprimento di tante terre fatte dagli Spagnuoli e dai Portoghesi si adoperò presso i loro re, perché in quelle terre si attendesse anzitutto alla conversione dei popoli? Non fu egli che chiamato arbitro da questi due sovrani nella questione dei confini dell’America pose fine ai loro litigi, con la famosa linea di partizione da lui tracciata sulla carta geografica e che accolta di buon animo prova manifestamente che come Papa era avuto in altissima stima dai principi e dai popoli? E per non dire più di altro, non attese forse come Papa col massimo zelo al bene della Chiesa? Chi vuole adunque giudicare dirittamente dei Papi, distingua bene ciò che in essi vi è di umano e di persona privata, ed allora vedrà, se non vuole esser cieco, che come non vi ha dinastia di una potenza intima più grande, così non vi ha dinastia alcuna di una gloria più splendida e più pura. D’altronde, pur riconoscendo che sulla cattedra di Pietro insieme col supremo potere e col magistero infallibile si è assiso qualche Papa malvagio, il vero Cristiano non rinnoverà mai il delitto di Cham, ma chiudendo gli occhi come Sem e Jafet, si farà invece a coprire le colpe di questi padri col manto della pietà filiale. Benedizione adunque, benedizione eterna al Cuore di Gesù, che non solo ci ha dato il Papa e lo conserva con tanta cura ed affetto, ma lo circonda ancora di tanta gloria a radicare ognor più nei cuori nostri la venerazione e l’amore per lui, a costringere alla sua ammirazione tutti gli uomini del mondo. Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù nel darci il Papa, nel conservarlo e glorificarlo ci ha fatto il più segnalato benefizio e ci ha data una gran prova di amore, nostro dovere per conseguenza è quello di corrispondere a tanto benefizio colla più sincera gratitudine. E il modo migliore di manifestare al Cuore di Gesù la nostra gratitudine in questo caso è quello per l’appunto di obbedire, rispettare ed amare il Papa. Allor quando nel battesimo di Cristo lo Spirito Santo erasi posato sopra il suo capo nella sembianza di colomba, dalle altezze dei cieli era pur scesa la voce dell’Eterno Padre dicendo: « Questo è il mio Figliuolo prediletto, nel quale ho riposto le mie compiacenze; lui ascoltate.» Ebbene, o miei cari, qui avviene un fatto somigliante. Il Cuore Santissimo di Gesù posandosi sulla persona del Papa rivolge a tutti i suoi figli la sua voce e grida: Questi è il mio Vicario: ascoltatelo, rispettatelo, amatelo. Chi ascolta lui, ascolta me: chi disprezza lui, disprezza ine; chi non ama il Papa, non ama neppure me stesso. E vi sarà tra di noi chi si rifiuti a questo comando di Gesù ? Ahimè! se io getto lo sguardo nel mondo, vedo pur troppo di coloro che non ascoltano il Papa, che non lo rispettano, che l’odiano anzi e sino al furore; che vorrebbero, se loro fosse possibile, schiantarne l’ultimo vestigio dalla faccia della terra, e in fondo in fondo non per altra ragione, se non perché il Papa a nome di Dio impone loro una legge, ch’essi non vogliono praticare; perché il Papa svela le loro nequizie e le loro ipocrisie, condanna la loro superbia e la loro corruzione; perché il Papa mette in guardia il mondo dalle loro diaboliche arti; perché infine il Papa pel libero esercizio di quella autorità che ha ricevuto da Dio reclama quel temporale dominio, che la Divina Provvidenza gli ha a tal fine accordato. Sì, per questo, per questo solo tante bocche impure si aprono a bestemmiarlo, tante penne sataniche schizzano veleno a maledirlo, tante sozze caricature s’inventano a coprirlo di fango. Oh infelice Pontefice! Curvo sotto il peso di una responsabilità così grande, qual è quella che emana dalla sua autorità, egli deve per soprappiù gemere sotto il peso della moderna empietà e corruzione, che gli muove una guerra cotanto aspra. Ah deh! per quella gratitudine che ci lega al Cuore Sacratissimo di Gesù, che i suoi gemiti trovino un’eco pietosa nel cuore de’ suoi veri figli. Che noi almeno col rispetto e coll’obbedienza alla sua autorità, in tutto quello che egli ci prescrive per il vero nostro bene ci studiamo di porgere un po’ di conforto alle sue afflizioni. Che da noi almeno non mai si sparli del Papa, non mai si censurino i suoi pensamenti e le sue operazioni, non mai anche solo per rispetto umano si sorrida a chi lo deride: che da noi, da noi almeno si porti sempre alta la bandiera su cui sta scritto: Cattolici e Cattolici col Papa. E quando il Papa nella piena del suo dolore a noi si volge additandoci il cuore che gli sanguina, sempre abbia da noi tale una risposta… Miei cari amici! Allorché nel secolo passato, una grande imperatrice d’Austria, Maria Teresa, viste invase dalle potenze straniere le sue terre, confidata nell’amore dei suoi popoli, ancor sofferente di fresca malattia, presentossi alla dieta e svelate le sue pene chiese protezione per se e pel suo bambino, udì tosto con entusiasmo ripetere: Moriamur prò rege nostro Maria Theresia! Ealle parole s’aggiunsero i fatti: gli abili alle armi si fecero soldati e formossene un numeroso esercito: non mai dalla fertile Ungheria uscirono tante provvigioni: non mai con la violenza si riscossero tanti tributi, quanti allora spontanei, e l’ardore non fe’ mai sì belle prove. Ecco la risposta che dobbiamo dar noi all’appello del Papa: balzare risoluti al cospetto delle sue sofferenze, gettarci ginocchioni a’ suoi piedi, protestando di amarlo e di difenderlo; brandire coraggiosi le armi dell’azione e della preghiera, cooperare per quanto sta in noi e colle parole, e cogli scritti e colla stampa e coll’obolo della nostra carità, a mantenergli la gloria e lo splendore che gli si addice; con gemiti incessanti supplicare il Cuore di Gesù che lo renda libero, che lo conservi, lo vivifichi; lo faccia beato in terra e non lo lasci cadere nelle mani de’ suoi nemici; e piuttosto che vili cedere quest’armi in faccia ai nemici del Papa: Moriamur prò Papa nostro Leone! siamo pronti a soffrir qualsiasi iattura, anche la morte istessa se .le circostante lo richiedessero. Morir per il Papa saria lo stesso che morir per Cristo: perché il Papa è il Vicario di Cristo: e di miglior gratitudine non potremmo ripagare il Cuore di Cristo, né miglior testimonianza potremmo rendere alla sua bontà e misericordia nell’averci dato il Papa. E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, che con l’istituzione del Papa avete dato alla vostra Chiesa il più saldo fondamento, fate che adesso noi siamo mai sempre uniti di mente e di cuore, sicché coll’amore, col rispetto, coll’obbedienza al Papa, Capo visibile della vostra Chiesa, noi siamo pur sempre muti a Voi, che ne siete il Capo invisibile, adesso e nell’eternità. [Oggi più che mai rinnoviamo questo grido di gioia e di fedeltà:

Moriamur prò Papa nostro Gregorio!

n.d.r.]