CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2021

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DI LUGLIO 2021

LUGLIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA AL PREZIOSISSIMO SANGUE DI CRISTO

A refrigerio adunque di quest’ardente sete, prodotta dalle cocenti febbri delle smodate passioni, ecco che Gesù Cristo con quelle parole tutti invita a partecipare del Sangue da lui sparso; ed a godere dei dolci frutti del gran Prezzo di nostra Redenzione: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Per questo venne già il Divin Sangue fin da remoti tempi figurato in quell’acqua, che sgorgò in larga vena dalla rupe presso l’Oreb per dissetare gli Ebrei, che camminavano per l’arenoso deserto, giacché niente havvi, che meglio refrigeri, quanto le freschissime acque di una fonte: Illis aqua de petra fluxit, tibi Sanguis Christi… Illud in umbra, hoc in veritate. Così S. Ambrogio. Ma il Sangue, che versò Cristo non farà poi altro che refrigerare la sete delle disordinate passioni? Ah! no; sarebbe questo troppo poco per un Sangue di un infinito valore qual è il Sangue d’un Uomo-Dio. Esso donerà ancora ristoro di grazia e di novella forza per l’acquisto delle più belle virtù, e della più elevata perfezione. E ve n’era certamente bisogno; ché troppo fiacche sono le forze dell’uomo dopo la caduta di Adamo, e non valevoli a far cosa, che loro compri l’eterna gloria: troppo è da faticare nel battere la via, che conduce alla perfezione, ed al cielo. Però quel Gesù medesimo, ch’altra volta avea detto: Venite omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos; oratutto pieno di pietà, di misericordia, e d’amore invita aricever questo conforto con quelle parole: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat; chè bevendo non si sente sol refrigerioall’arsura, ma ristoro, e rinfrancamento dal languoreche provavasi …

[Le sette effusioni del sangue …:D. Massimiliano M. Mesini, Missionario del preziosissimo Sague – Rimini, Tipog. Maolvolti, 1884]

Le feste della Chiesa Cattolica del mese di LUGLIO 2021 sono:

1 Luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis *L1*

2 Luglio In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

1° Venerdì

3 Luglio S. Leonis Papæ et Confessoris  –  Semiduplex

1° Sabato

4 Luglio Dominica VI Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

5 Luglio S. Antonii Mariæ Zaccaria Confessoris    Duplex

7 Luglio Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.    Duplex

8 Luglio S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex

10 Luglio Ss. Septem Fratrum Martyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virginum et   

                       Martyrum

11 Luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

                 S. Pii I Papæ et Martyris    Simplex

12 LuglioS. Joannis Gualberti Abbatis  –  Duplex

13 Luglio – S. Anacleti Papæ et Martyris    Semiduplex

14 LuglioS. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris   – Duplex

15 Luglio S. Henrici Imperatoris Confessoris  –  Semiduplex

16 Luglio  Beatæ Mariæ Virginis de Monte Carmelo    Feria

17 Luglio S. Alexii Confessoris – Feria

18 Luglio  Dominica VIII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                     S. Camilli de Lellis Confessoris    Duplex

19 LuglioS. Vincentii a Paulo Confessoris – Duplex

20 Luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris    Duplex

21 Luglio  S. Praxedis Virginis – Feria

22 Luglio  S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex *L1*

23 Luglio S. Apollinaris Episcopi et Martyris    Duplex

24 Luglio  S. Christinæ Virginis et Martyris    Feria

25 Luglio Dominica IX Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

                S. Jacobi Apostoli  – Duplex II. classis

26 Luglio  S. Annæ Matris B.M.V.    Duplex II. classis

27 Luglio S. Pantaleonis Martyris    Feria

28 Luglio  Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac

Innocentii I Papæ et Confessoris – Duplex

29 Luglio  S. Marthæ Virginis –  Duplex

30 Luglio  S. Abdon et Sennen Martyrum  – Feria

31 Luglio  S. Ignatii Confessoris  –  Duplex majus

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (VIII)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (VIII)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN. DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica, 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M, Viviani, Vic. Gen

SECONDO PRINCIPIO FONDAMENTALE: VINCERE SE STESSO (IV)

CAPITOLO X.

Delle passioni.

Per legare insieme i concetti e comprendere ciò che segue, convien dire qualche cosa sopra le passioni.

1. Le passioni (presa questa parola non come sinonimo d’inclinazioni cattive e disordinate. ma di proprietà naturali) sono moti dell’appetito sensitivo o parte inferiore verso ciò che naturalmente ci piace o dispiace, e che si presenta all’anima per mezzo dei sensi e della fantasia, od anche ordinariamente mediante un’eccitazione materiale ben percettibile. Se l’oggetto è gradevole, risveglia in noi il desiderio; Se sgradevole, orrore e ripugnanza. Si danno, quindi, come due estremi a cui possono ridursi le passioni: amore ed odio. Il primo si suddivide in desiderio, speranza, coraggio e gioia; il secondo in ripugnanza, timore, disperazione e tristezza.

2. Le passioni hanno il loro fondamento nella nostra natura, composta di spirito e di materia, e servono per la conservazione e benessere d’entrambi, in quanto che li aiutano a tendere al loro proprio fine con facilità ed energia, tenendoli lontani dal male. I moti delle passioni che prevengono la riflessione e la volontà non hanno per sé valore morale e sono indifferenti, ma possono, secondo che si decida la volontà, essere occasione e strumento sia del peccato come della virtù, vale a dire, possono essere innocui o pericolosi. In conseguenza del peccato originale, le passioni manifestano le loro tendenze ed attività non solo all’insaputa e senza il consenso della volontà, ma altresì contro di essa e contro la ragione; e sono perciò causa di disordine, di scissura e d’inquietudine, causa di tentazioni e persino di peccato, se la volontà vi aderisce e loro si sottomette. Ma la volontà è sempre libera nel determinarsi, negando o prestando loro il proprio consenso. Le passioni presentano tuttavia i loro vantaggi e sono di grande aiuto al bene, poiché offrono facilità, costanza ed anche slancio per le virtù eroiche, e conferiscono grandi meriti se operano sotto l’influsso della parte superiore della volontà. Cooperando le passioni è tutto l’uomo che opera e con tutte le sue forze. Inoltre, le naturali inclinazioni ben indirizzate sono norma sicura ed infallibile delle sue azioni.

3. Il buon uso è servizio delle passioni torna, quindi, di grandissima utilità alla vita spirituale, in quanto che sono una forza. potente sia pel male che pel bene, Sono, come suol dirsi, cattive consigliere, ma buone ausiliarie. Per questo bisogna tenerle lontane dal male, e farle servire al bene. Passioni ne abbiamo e dobbiamo averne; ciò che importa è di servirci bene di esse. Non è possibile soggiogarle dispoticamente, né violentarle, sradicarle o sopprimerle; fa d’uopo trattarle diplomaticamente, sia col distoglierle da ciò che è vietato e offrir loro occupazioni serie, sia col proporre un bene non proibito e farle servire di alleate nell’adempimento del dovere. La divozione al divin Cuore di Gesù ed allo Spirito Santo riesce di somma utilità per conseguire un retto uso delle passioni.

CAPITOLO XI.

La pigrizia.

Vediamo ora in particolare il modo che dobbiamo tenere circa alcune passioni e difetti.

1. La pigrizia è una certa pesantezza dell’anima e delle sue potenze, che cerca disordinatamente il riposo e l’inazione. V’è anzitutto pigrizia d’intelletto, che consiste in una certa svogliatezza di pensare, nell’occupare lo Spirito in cose vaghe e inutili, nel fare castelli in aria, nel darsi a divagazioni e a idee superficiali o nebulose, nel far pòsa or qua or là, in una certa, vertigine e sonnolenza spirituale che si fa sentire specialmente in tempo di preghiera. – Anche la volontà ha la sua specie di pigrizia, che consiste in una inerzia indolente e melanconica per tutto ciò che non le va a genio e disgusta, nell’indecisione per operare, in un perpetuo rimandar le cose al domani, ed in un vivere senza metodo, senza un piano e norme fisse. Nel corpo la pigrizia si manifesta per la fiacchezza, indolenza e ricerca di comodità. Il pigro preferisce la quiete al moto, il sedere allo star in piedi, lo sdraiarsi allo star seduto. La prediletta sua occupazione è di dormire molto.

2. La pigrizia intellettuale negli esercizî spirituali si supera con fervidi e frequenti colloquî, colla preghiera vocale, con positure rispettose e col variare il modo di far orazione. Nelle nostre azioni in generale dobbiamo essere diligenti, ma non affannosi. Ciò che deve farsi non si deve rimandare. L’occuparsi in cose inutili non è altro che una finta attività. In tutte le occupazioni regni l’ordine, e nell’adempimento dei propositi la rettitudine e la fedeltà. Un mezzo sommamente buono per combattere la pigrizia, sia dell’anima come del corpo, è la pratica di penitenze esteriori ed anzitutto il dominio di se stessi, vincendo così la lentezza del corpo e rinvigorendo lo spirito.

3. Molti motivi abbiamo per allontanare da noi la pigrizia. Essa soprattutto è un nemico universale; più o meno s’infiltra in tutti, perché tutti constiamo in parte di materia. Tende insidie anche ai più avveduti e fervorosi. sebbene in diversa maniera: ad uno lancia addosso l’accidia intellettuale, ad un altro quella della volontà, ad un terzo la corporale. La flemma, la melanconia, l’insofferenza non sono che forme distinte della pigrizia. Inoltre, è un nemico scaltro ed una dolce schiavitù: cresce con noi e senza avvedercene vi ci abituiamo. Sa molto bene nascondersi quando prevede di non essere bene accolta. Il suo peccato è come un peccato che non ha corpo; non farà cadere alla prima, ma userà l’arte di chi ci deruba, fingendosi amico. Finalmente la pigrizia è un nemico cattivo e perverso, che indebolisce e paralizza tutta la vita spirituale. Se uno non sa proporsi nulla né elevarsi a qualche cosa di grande, è colpa della pigrizia che stringe i lacci della volontà e dello spirito, indebolisce l’anima, presta forze alla materia, ci ruba tempo e meriti incalcolabili e cagiona alla vita nostra spirituale molteplici danni. Il peggio è che di solito s’introduce nelle azioni più importanti della vita spirituale, come nella meditazione, negli esami di coscienza, nelle pratiche di pietà. Si rassomiglia molto alla tiepidezza, tarlo dello spirito, compagna ed alleata. Nessuno vuol essere considerato pigro; motivo sufficiente per proporre di non esserlo.

CAPITOLO XII.

La paura

Una certa affinità colla pigrizia ha la paura.

1. La paura è un sentimento d’agitazione e d’inquietudine dell’anima di fronte a un male imminente che può evitarsi, non senza però una notevole difficoltà. L’oggetto e causa della paura, quindi, è un male che s’approssima e la cui rimozione, sebbene possibile, è costosa, La pressione che naturalmente esercita sull’anima e sulla volontà è d’inquietudine, deperimento, spossatezza; influenza che cresce e si fa forte a proporzione del pericolo che si teme e dello sforzo che si richiede per allontanarlo, e secondo che è più o meno debole la persona minacciata. Questa debolezza cresce colla confusione ed oscurità dell’intelletto, coll’esaltazione della fantasia e della sensibilità, e colla eccitazione dei nervi. Perciò sono più soggetti all’influenza della paura i vecchi. le donne ed i fanciulli. Alle volte la paura si comunica anche ai sensi, e può avvenire che cagioni spasimi e svenimenti. Non vogliamo parlare qui di questo potere terribile che ha la paura, ma solo dell’influenza che esercita sulla nostra volontà nella vita ordinaria, nella quale manifesta altresì il suo potere snervante e disordinato. Per questo si associa in certo modo alla pigrizia.

2. Essere colti dalla paura naturalmente non è nessuna debolezza. Si suol dire che solo i pazzi e gli animali non hanno paura; i primi perché sono fuori del loro giudizio, ed i secondi perché ne sono privi e quindi incapaci di conoscere ed apprezzare il pericolo. Una paura moderata può essere segno persino di prudenza e previsione. Ma l’uomo ragionevole e di buon senso deve dominare questo sentimento, e non lasciarsi per esso allontanare dal suo dovere, sotto pena di venire annoverato tra gli esseri più deboli. Questa è la prima ragione che si presenta per opporsi alla paura, per stare all’erta e non lasciarsi dominare da essa; perché può condurre l’uomo a pervertire l’ordine della ragione, il che è peccato. Secondo il retto ordine, devono sottomettersi alla ragione tanto il sentimento come l’appetito sensitivo; però la ragione non ci dice semplicemente che noi dobbiamo evitare questo e cercare quello, ma ci comanda di fuggire e raggiungere alcune cose piuttosto che altre, e di affrontare persino il pericolo per eseguire molte buone imprese. Orbene, se noi per paura d’un male non aspiriamo a un bene necessario; in altre parole, se non adempiamo il nostro dovere, allora cadiamo in una imperfezione, in un peccato, più o meno leggiero, più o meno grave. Così pur troppo nella vita quotidiana la ignobile paura d’un disgusto (è il rispetto umano) ci spinge o trascina a una moltitudine d’infedeltà contro la coscienza e il dovere. È questo un motivo sufficiente per stare in guardia contro la paura, e fare quanto si può per difenderci dalla sua influenza. – Ben più perniciosa si può dire che sia questa influenza della paura in ordine al bene ed allo spirito di perfezione sradicare i difetti e i disordini è la prima condizione per progredire. Un mezzo molto proficuo a tale effetto è la manifestazione e confessione de’ nostri peccati e imperfezioni a chi si deve e da cui possiamo ricevere consigli. Ma la paura vi si oppone; o per un ingiustificabile rossore di far conoscere le nostre miserie, o pel timore di dovercene emendare. Quanto giova inoltre alla perfezione implorare e seguire le divine ispirazioni! Ma chi è che rende vane queste ispirazioni e queste chiamate di Dio così ricolme di grazie se non la paura, la pigrizia e l’orrore della natura nostra per la mortificazione? D’altronde, senza solidi principî e nobili aspirazioni è impossibile parlare di perfezione, che solo può conseguirsi sacrificando le comodità, il benessere materiale e la vita quieta; che tanto si ricercano da questa povera nostra natura. Orbene, la paura è come un peso che ci schiaccia e rende vani in noi tutti i sacrifici e le generose risoluzioni che Dio si degna di chiederci. Da ciò risulta che restiamo sempre nella bassezza d’una vita volgare ed ordinaria. Tuttavia sono ben più deplorabili gli effetti della paura, quando si estendono all’anima e riescono a infondervi orrore ed avversione a qualche impresa grande ed importante per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, come sarebbe la vocazione ad una vita più rigida ed elevata. Il danno allora è incalcolabile. Questo lo vediamo chiaramente in quel giovane del Vangelo, a cui la tristezza, compagna della paura, impedì di seguire l’alta vocazione, che il Signore stesso con mano così liberale e cuore sì generoso aveagli offerta. La talpa è una triste aiutatrice del giardiniere. Nei giardini di Dio, vale a dire della Chiesa, è la paura che fa da talpa e cagiona non piccola strage. La perfezione, a guisa di girasole, non germina se non sotto il chiaro cielo dell’allegria e del valore: sotto la fosca e fredda luce dell’inerzia e della pusillanimità non prospera nulla di grande e di bello. Chi non può dominare la paura, può rinunciare senz’altro alla perfezione. Infine, se vogliamo vivere una vita allegra e veramente felice, dobbiamo bandire da noi la paura. Certamente che vi sono dei mali nel mondo, ed il solo pensarvi ci atterrisce e ci toglie la pace e l’allegria; ma il più delle volte è la paura che ci fa vedere mali dove non sono, e, se ne scorge, li ingrandisce ed esagera. La paura ci fa veder spettri dappertutto: disprezziamo queste novelle da veglia. Il pauroso si tormenta con mali immaginarî, specie di martirio senza gloria ed onore; l’intrepido al contrario che, senza punto lasciarsi si smuovere da vani fantasmi, prosegue tranquillo per la via del dovere, dimostra buon criterio e una volontà ancor più indipendente. Qual cosa può togliere la pace e quiete di spirito a colui che non teme né i mali del mondo né i terrori della paura? Il sole non risplende soltanto per conto suo, ma infonde vigore su quanto gli si avvicina e partecipa de’ suoi raggi; lo stesso opera il valoroso: infonde energia e buon umore in molti altri.

3. Molto bene e presto detto; ma esiste alcun rimedio per bandire la paura ed essere coraggiosi? Quelli che più danno da fare alla volontà perché possa sovrapporsi all’angoscia sono il sentimento e la fantasia; questi sono che mediante mutue influenze tutto esagerano, imponendo alla volontà i loro terrori e difficoltà. Il sentimento stesso è indipendente dalla volontà nostra. Ciò che possiamo fare è di frenare e restringere i suoi eccessi e le sue ribellioni, di modo che non presenti alla volontà tanto pericolo. Dobbiamo procurare altresì che il sentimento obbedisca come un cagnolino ben istruito, il quale, sebbene al primo impeto s’agita ed abbaia, non sì tosto gli fa segno il suo padrone si ritira e s’accuccia. – Tre rimedî molto giovevoli si offrono a questo fine. Il primo è di convincersi che su questa terra, in cento casi, la maggior parte delle cose che possono allietarci o impressionarci, non esistono nella realtà tanto quanto nella nostra fantasia od immaginazione che tutto esagera. Propriamente parlando, il solo pensiero dell’eternità dovrebbe infonderci gaudio o terrore. Imprimiamoci nella mente ben profondamente questo detto: « I tre quarti sono pura immaginazione », e ripetiamolo quando la paura volesse impossessarsi di noi, sicuri che con tale pensiero le toglieremo la forza. Il secondo rimedio è di essere realmente persuasi e praticamente convinti che la cosa è così e non altrimenti. La paura vorrebbe farci credere che, adempiendo un nostro dovere ed operando ciò che si richiede per conseguire la perfezione, ne sentiremo danno; non le diamo retta. Vorrebbe insinuarci l’attaccamento ad una creatura, quasi che non potessimo vivere senza di essa; lasciamola, e vedremo che nulla si perderà per questo e che possiamo vivere ugualmente bene: come prima ed anche meglio. Quante volte ne avremo già fatto esperienza in vita! Quante cose ci si presentarono alla mente con aspetto spaventoso, prima che succedessero, ed avvenute, ci si resero facili! Tutti gli avvenimenti di quaggiù, per quanto ardui, passano; e tutto ciò che dà pena, col tempo si rende lieve. Animiamoci con questi pensieri. È veramente terribile e deplorevole l’influenza che la fantasia ha su di noi, e i danni che cagiona alla vita spirituale. Ci fa vedere gli oggetti attraverso un prisma e ce li fa pesare sopra una bilancia inesatta, di maniera che ci appariscono diversamente da quel che sono, e ne diamo un giudizio erroneo. Di qui derivano tanti falsi pregiudizi, tante impossibilità e timori immaginarî. La fantasia vede fantasmi dappertutto (Prov. XXVI, 13), e trascina l’uomo nelle cose più indegne d’un essere ragionevole. Solo resistendo risolutamente a codesti fantasmi si libera uno dalla loro indegna schiavitù e diviene valoroso, cioè uomo senza paure e imperfezioni. Per questo la prima lezione che gli antichi maestri di vita spirituale davano, era di ridurre a ragione la fantasia: Corrigere phantasiam. – Il terzo rimedio contro la paura e la pusillanimità è la preghiera e fiducia in Dio. Così c’insegnò coll’esempio il nostro Divin Redentore. Il terrore e l’angoscia non fecero ancora sudar sangue a noi; il Signore permise che s’impadronissero di Lui, per insegnarci che il timore non è peccato né disordine, per consolarci, per ottenerci grazia e per indicarci la via che dobbiamo seguire in angustie simili a quelle ch’Ei provò nell’Orto. Dobbiamo pregare come Lui con umiltà e perseveranza. Mediante la preghiera l’umanità sua santissima ricevette grande conforto, non perché n’abbisognasse, ma perché così volle; e con questo sollievo corse eroicamente incontro ai terribili tormenti della sua Passione. Se Dio, per provarci, permettesse un’ora somigliante di desolazione, possiamo esser certi che ci assisterebbe colla sua grazia. E se Egli è con noi, qual cosa vi sarà che non si possa fare e soffrire? (Come fedeli siamo soldati di Cristo, e non c’è cosa più umiliante per un soldato della paura e codardia. Il cristiano nel Battesimo ha dato il nome suo pel combattimento e sacrificio; egli è quell’invitto guerriero sì mirabilmente dipinto da Dürer, che senza timore della morte e del demonio, i quali a guisa di fantasmi gli stanno sempre ai fianchi, prosegue impavido il suo cammino. Solamente il cane, come contrapposto, lascia cadere pauroso la coda. Il Cattolico non teme che Dio ed il peccato; tutto il resto, compresa la morte, ché morendo Gesù Cristo ed i suoi Discepoli vinsero il mondo, reputa guadagno e vittoria (Fil. IV, 21). Nella vita spirituale si suol badare assai poco alla necessità di vivere la paura e la pusillanimità; eppure non è altra l’origine disgraziata di tanti e così gravi mali. La paura è il pungiglione con cui la pigrizia, la mollezza e lo scoraggiamento uccidono in noi ogni nobile aspirazione e ci condannano a una miserabile mediocrità. «Quante volte », scrive santa Teresa, « lo sperimentai! Quando. all’imprendere alcuna opera buona. io vinceva la resistenza nella natura nemica, sempre ne provava conforto. Quanto maggiore era il timore. altrettanto era la dolcezza dell’anima, nel fare ciò che d’altronde sembrava così difficile. Se io dovessi dare un consiglio, direi: Non fate caso della paura naturale, né mai riceviate con sfiducia i doni di Dio, allorché v’ispira qualche impresa grande ed eccellente ». – La paura e la pigrizia sono sorelle che a nulla di buono conducono. Secondo Dante, la turba dei pusillanimi e paurosi, non merita lode né odio; è un cumulo di polvere, che non si sa da qual parte e dove andrà a cadere, sollevata dal vento.

CAPITOLO XIII.

L’ira e l’impazienza

1. Tanto l’ira come l’impazienza sono un disordinato desiderio di vendetta. L’ira presuppone un torto vero o immaginario, fatto a noi od al nostro prossimo, e vuole ristabilire l’ordine per mezzo del castigo e della vendetta. Generalmente si oppone alla mansuetudine, alla moderazione e al dominio di sé stesso.

2. Anche come uomini dobbiamo opporci all’ira ed all’impazienza, perché, data l’eccitazione che cagionano, di solito molto violenta, nulla v’ha che al pari di esse impedisca il retto uso della ragione. Ed avviene che non solo non si ristabilisce la giustizia, ma s’accumula un monte d’ingiustizie, anche contro persone che molte volte sono innocenti e per nulla meritevoli di vendetta. Il principale movente non suole ordinariamente essere lo zelo per la giustizia o il ristabilimento dell’ordine, bensì una passione o voglia di rifarsi, nella qual cosa consiste precisamente il disordine dell’iracondo ed il peccato d’ira. Nello stesso tempo il collerico pregiudica sé medesimo, perché l’ira, come disordine e peccato che è, lo disonora, lo rende abietto e odioso. La brama di vendicarsi lo inviperisce e gli fa credere che il perdonare o cedere sia una debolezza, un abbassamento, una viltà e uno sconfessare se stesso. E la cosa certa è l’opposto; imperocché è lo sfogo d’ira che è una vera debolezza e deficienza di dominio, e quindi una rinunzia alla propria dignità. L’ira si basa sull’accecamento e disordine delle idee, il che, lungi dal nobilitare l’uomo, lo disonora, lo deprime. Come Cristiani abbiamo ancora maggior obbligo di frenare la collera. Ci comandò Gesù Cristo espressamente la mansuetudine e l’amore ai nemici, oltre l’esempio mirabile di pazienza che ci diede e che fu imitato da tutti i Santi e dai veri Cristiani. Il meraviglioso e divino modo di lottare del Cristianesimo consiste in questo, nel trionfare della forza, non colla forza ma colla pazienza e colla morte. Questo spirito è la pietra di paragone della solida virtù e della perfezione cristiana, e per ciò si esige in sì alto grado nei Religiosi. L’ira, che ne’ suoi giusti limiti procede dallo zelo della giustizia, della gloria di Dio e della salvezza delle anime, non solo è buona, ma è virtù del più alto grado.

3. Il rimedio generale contro l’ira e l’impazienza è la mansuetudine, che modera i desiderî sregolati di vendetta ed i moti eccessivi dell’ira stessa. Quello che fa della mansuetudine una virtù non è la naturale insensibilità, indifferenza, apatìa o timidezza, ma l’amore alla stessa per essere così conforme alla ragione, così bella e così nobile.  – E quanti motivi abbiamo per praticare la mansuetudine! Anzitutto è necessaria nella vita, ché senza di essa nulla si può fare (Ebr. X, 36). Non è, di certo, la virtù più eccellente, ma nella vita ordinaria non potrà presentarsene un’altra che sia più necessaria. Lo zucchero è migliore che il sale; ma questo è assai più importante, poiché il suo consumo è continuo e richiesto quasi in tutto. Nulla ci concilia tanto il rispetto, la confidenza e l’amore altrui come la mansuetudine, che presuppone sempre gran discrezione, retto giudizio, matura esperienza della vita e soprattutto forza non comune di volontà, cuore buono, umile e caritatevole. Che si richiede di più per cattivarsi i cuori degli uomini, guadagnarli e farli nostri? La vicinanza d’un vulcano mette in fuga tutti; ora, l’impazienza e la collera rassomigliano non poco a un vulcano. Non fanno nessun bene, ma sì molto male, o, per dir meglio, fanno più male di quel che si crede. Coll’impazienza noi guastiamo anche le cose divine, di maniera che nemmeno Dio può giovarsi di noi per qualche impresa. La impazienza si addice ancor meno alla nuova Legge, che è un vincolo d’amore, di confidenza e di pace. La mansuetudine ci rende cari a Dio ed agli uomini.

4. Per essere costantemente miti è necessaria una perseverante attenzione contro le sorprese dell’impazienza. Bisogna in questo mondo tenerci preparati a tutto, non meravigliarci di nulla, ed armarci di rassegnazione. Dobbiamo conformarci alla massima di sopportare tutte le ingiustizie, quali possano essere e da qualsiasi parte ci vengano, sotto questa o quella forma, da questo o da quel lato; altrimenti non s’avrebbe alcuna croce. Convinciamoci che non c’è alcun motivo d’impazientarci. Manteniamo il silenzio finché dura la irritazione, fosse pure per falli de’ nostri dipendenti, ché la forza della buona disciplina non istà nel correggere immediatamente il colpevole, ma nell’osservare tutto e nulla lasciar sfuggire per rimediarvi a tempo debito. Chiunque, il quale sia dotato di buona e nobile volontà, accetta una ripercussione ragionevole; ma nessuno può sopportare uno sfogo di collera. Giudica i falli altrui come giudichi i tuoi, con pazienza e tolleranza. Trattare dolcemente con uomini di temperamento pacifico, non dimostra mansuetudine in noi ma in loro. La vera mansuetudine, lo stesso che il vero amore, deve soffrire e sopportare qualche cosa. Non manifestare i tuoi disgusti ad altri, ché non conseguirai se non di renderti più impaziente, e fare cattiva impressione in chi ti ascolta. Per riuscire ad essere veramente paziente non solo non bisogna fuggire le occasioni che si presentano, ma è bene affrontarle. L’amore e la pazienza sono il mezzo per conseguire la mansuetudine. Quando cominci a impazientarti, pensa che tutto passa, che il giorno seguente non sentirai più l’ingiustizia; rivolgi la mente ad altro, e sarai lieto d’esserti conservato in pazienza.

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (IX)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (IV)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (IV)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO PRIMO

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

§ II

CAPITOLO II. – VERSETTI 8-11

La seconda età della Chiesa militante, chiamate età d’irrigazione (dal latino irrigativus); comprendente il tempo delle dieci persecuzioni, fino a Costantino Magno.

Et angelo Smyrnæ ecclesiæ scribe: Haec dicit primus, et novissimus, qui fuit mortuus, et vivit: Scio tribulationem tuam, et paupertatem tuam, sed dives es: et blasphemaris ab his, qui se dicunt Judaeos esse, et non sunt, sed sunt synagoga Satanae. Nihil horum timeas quae passurus es. Ecce missurus est diabolus aliquos ex vobis in carcerem ut tentemini: et habebitis tribulationem diebus decem. Esto fidelis usque ad mortem, et dabo tibi coronam vitæ. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Qui vicerit, non lædetur a morte secunda.

[E all’Angelo della Chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, il quale fu morto, e vive: So la tua tribolazione e la tua povertà, ma sei ricco: e sei bestemmiato da quelli che si dicono Giudei, e non lo sono, ma sono una sinagoga di satana. Non temere nulla di ciò che sei per patire. Ecco che il diavolo caccerà in prigione alcuni di voi, perché siate provati: e sarete tribolati per dieci giorni. Sii fedele sino alla morte, e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti quel che lo Spirito dica alle Chiese: Chi sarà vincitore, non sarà offeso dalla seconda morte.]

I. E all’Angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice colui che è il primo e l’ultimo, che era morto ed è vivo: Io conosco la tua afflizione e la tua povertà; ma tu sei ricco e sei calunniato da coloro che dicono di essere ebrei e non lo sono, ma formano la sinagoga di satana. Non abbiate paura di ciò che dovrete soffrire. Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e dovrete soffrire per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: Chi sarà vittorioso non soffrirà la seconda morte, ecc. – La seconda età della Chiesa è chiamata età dell’irrigazione (irrigativus). Infatti, la Chiesa del Signore è una vite che nutre tanti tralci quanti sono i santi che produce. Questa vite, piantata nella prima epoca da Gesù Cristo e dagli Apostoli, fu innaffiata nella seconda da un torrente di sangue dei martiri, che fu come una fontana che sorge dalla terra e innaffia tutta la superficie della Chiesa. Questo spargimento di sangue dei Cristiani durò dieci giorni, cioè avvenne durante i dieci regni dei principali tiranni della terra, che il diavolo sollevò contro il Cristianesimo, cercando di distruggere ed estinguere la fede di Gesù con questo mezzo, fede di Gesù Cristo, che non aveva potuto impedire con la gelosia dei Giudei. Dio permise queste lunghe e terribili persecuzioni per la maggior gloria dei suoi soldati scelti, e per rafforzare meglio la verità della fede cattolica, che rimase pura nonostante queste orribili persecuzioni. Essa fu addirittura elevata e nobilitata dalla crescita che stava procedendo ogni giorno. Allora Dio permise queste persecuzioni per suscitare la Chiesa alla carità perfetta, che, al tempo dei martiri, era davvero perfetta, come si vede da quanto detto sopra. È a questa età della Chiesa che si riferisce la parabola di San Giovanni: « Se il chicco di grano non muore dopo essere stato gettato in terra, rimane solo, ma quando è morto, porta molto frutto. » (Joan. XII, 24). È anche a quest’epoca che si riferisce il Salmo CIX, 8: « Lungo il cammino si disseta al torrente, perciò solleva alta la testa. » Questo significa che il Padre celeste ha voluto che noi bevessimo dal torrente di sangue dei martiri sulla via di questa vita presente, ed è per dare un esempio ai suoi Soldati, che ha esaltato suo Figlio Gesù Cristo, il loro capo, sulla croce!

II. È a quest’epoca che si applica il secondo Spirito o dono del Signore, cioè lo Spirito di Fortezza e di pazienza invincibile nelle difficoltà e nelle avversità. Ed è con questo scudo che i Santi di Dio di entrambi i sessi hanno superato il mondo ed hanno raggiunto il regno celeste. Questa seconda era è anche rappresentata dal secondo giorno della creazione, quando Dio stabilì il firmamento in mezzo alle acque. Questo firmamento rappresenta la fermezza e la forza dei martiri, che Dio ha posto in mezzo alle acque di tutte le tribolazioni che non potevano spegnere la loro carità. Poi, come nel secondo giorno della creazione, il firmamento fu posto nel cielo; allo stesso modo, nella seconda epoca, la Chiesa, che è rappresentata dal cielo, fu stabilita molto saldamente sulla testimonianza dei martiri, che è come il fondamento della Chiesa. È ancora a questa seconda età della Chiesa che si diporta la seconda epoca del mondo, da dopo Noè fino ad Abramo; perché così come Noè ed i suoi discendenti cominciarono in questa seconda età ad offrire vittime a Dio, così nella seconda epoca ecclesiastica i Cristiani furono indistintamente immolati. L’effusione del loro sangue e la loro morte, offerti in odore di soavità, erano molto preziosi e molto graditi a Dio Padre, che è Egli stesso vittima nel suo Figlio Gesù. Questa epoca di tribolazione e di martirio è quindi descritta sotto lo stato della Chiesa di Smirne. Infatti, la parola Smyrne significa canto e mirra. Ora, questa parola, in entrambi i suoi significati, è appropriata a questa epoca di martiri: come “cantico”, poiché i Cristiani di entrambi i sessi correvano, per così dire, al martirio esultando di gioia, come vediamo nella storia della Chiesa e negli Atti degli Apostoli: « E se ne andarono pieni di gioia, fuori dal sinedrio, perché erano stati giudicati degni di soffrire un rimprovero per il nome di Gesù. » (Act. V, 41). Le tribolazioni e la morte dei santi martiri sono anche un inno graditissimo, in cui Dio si diletta, gli Angeli si rallegrano e tutti i Santi lodano il Figlio di Dio. – La parola “mirra” è anche appropriata per questa epoca della Chiesa; perché come la mirra è amara e preserva dalla putrefazione, così le tribolazioni e le persecuzioni sono amare. Essi preservano la Chiesa e i suoi membri dalla putrefazione dei vizi, delle voluttà e del peccato; e rendono robusto il suo corpo mediante la pazienza, la povertà, l’umiltà, il disprezzo di questo mondo, la carità verso Dio e l’amore per i beni futuri. Inoltre, la mirra ha un odore soave, ed è usata nei sacrifici offerti a Dio; e così il sangue dei martiri e la loro morte hanno un odore molto soave, e sono un sacrificio il cui buon odore sale continuamente alla presenza di Dio.

Vers. 8 – Scrivi anche all’Angelo della chiesa di Smirne. Nella lettera questo significa: Scrivi al Vescovo della Chiesa di quel luogo, e, sotto questo tipo, a tutti i Vescovi, Pontefici e prelati, e anche a tutti i Cristiani che che vivranno in quest’epoca dei martiri della Chiesa. Queste sono le parole di colui che è il “primo e l’ultimo”, che è morto ed è vivente. Queste parole devono essere intese nello stesso senso di cui sopra. Sono posti a capo per indicare l’esempio che Gesù Cristo, il Figlio di Dio nostro Re, ci ha dato con le sofferenze che ha dovuto sopportare per entrare nella sua gloria. Allo stesso modo i suoi eletti devono soffrire e morire se vogliono vivere con Lui nell’eternità, e questo è ciò che ha ispirato milioni di martiri di entrambi i sessi nel seguire coraggiosamente l’esempio del loro Sposo e Re Gesù Cristo. Così grande è l’efficacia dell’esempio di un capo!

Vers. 9Conosco la vostra afflizione e la vostra povertà. Queste due espressioni sono messe qui come due proprietà o segni dello stato dei martiri. Perchè la parola tribolazione contiene molta enfasi, e viene dalla parola latina tribula (una specie di traino, che veniva fatto rotolare sulle spighe di grano, per separare il grano dalla pula, prima dell’uso dei vagli), esprimendo avversità di ogni tipo, persecuzioni, oltraggi, tormenti, inganni, che erano per i martiri tanti tipi diversi e orribili di morte. La povertà, invece, significa spoliazione dei beni temporali, l’esilio, l’espulsione dalle sedi episcopali, dalla Chiesa, dalla casa paterna, ecc. Ora, questo è ciò che i Santi di Dio hanno sopportato con gioia per amore del loro Sposo Gesù Cristo, dai tiranni che hanno imperversato contro di loro per più di trecento anni, come vediamo nella storia ecclesiastica. Ma voi siete ricchi di tesori spirituali, nei vostri meriti, nelle vostre virtù eroiche, nell’oro della carità, nel ferro della forza, nell’eredità del regno celeste, o nella gloria eterna che vi è preparata in cielo per aver perso il possesso transitorio dei beni di questo mondo. Voi siete ricchi, perché siete amici di Dio, e i vostri nomi sono scritti nel cielo. Al contrario, i grandi uomini del mondo che vi maltrattano e vi perseguitano sono poveri, perché dopo questa vita di passaggio andranno nei tormenti eterni dove soffriranno orribilmente. E tu sei calunniato da quelli che si chiamano Giudei e non lo sono, ma formano la sinagoga di satana. Per Giudei si intende qui: – a. i resti dei Giudei e della sinagoga dell’Antico Testamento, che furono respinti da Dio e nei quali non c’è salvezza. Per questo aggiunge: Che si chiamano Giudei, cioè eletti, perché sono della razza di Abramo; ma che non sono in realtà eletti, poiché appartengono alla sinagoga di satana, cioè all’assemblea dei reprobi; Dio ha consegnato i Giudei al potere di satana, di cui sono membri, a causa della loro incredulità e della loro ostinazione nel male. Perché questo popolo che ha rinnegato Gesù Cristo non gli apparterrà più. (Dan. IX). – b. Questo nome di Giudei è passato ai Cristiani. Ed è per questo che, per allegoria, indica i cattivi Cristiani che dicono di essere scelti e confessano di conoscere Dio, mentre lo negano con le loro opere. (Rom. I): L’Apostolo dice di entrambi: (Rom. II, 28): « Il giudeo non è colui che è circonciso esteriormente, né la circoncisione è quella che si fa alla carne, che è solo esteriore, ma il giudeo è colui che è circonciso interiormente; la circoncisione del cuore è fatta dallo spirito, non dalla lettera, e questo giudeo deriva la sua gloria non dagli uomini, ma da Dio. » – Queste parole del testo dell’Apocalisse, … che si dicono Giudei, si applicano dunque alla lettera ai veri Giudei della razza di Abramo, secondo la promessa; ma per allegoria dobbiamo intendere che sono dei Cristiani, secondo la promessa in Gesù Cristo (secundum repromissionem in Christo). È attraverso tutti loro che la Chiesa di Dio è blasfemata negli eletti e nei Santi che ne sono membri. Poiché i Giudei dicono che se la fede in Gesù Cristo fosse vera, e se Gesù Cristo fosse veramente il Messia e il vero Figlio di Dio Onnipotente, Egli non permetterebbe che i suoi eletti ed i suoi amici siano afflitti e uccisi come bestiame. I Giudei consideravano la morte di Gesù Cristo come un’ignominia e la sua croce come uno scandalo, secondo San Paolo, (I. Cor. 1,23): « Noi infatti predichiamo Gesù Cristo crocifisso, uno scandalo per i Giudei, una stoltezza per i gentili. » Anche i cattivi Cristiani e gli eretici dei primi secoli bestemmiavano la Chiesa di Dio con le loro azioni malvagie e la loro dottrina perversa. Questo fece apparire la Chiesa ancora più vile agli occhi dei Giudei, dei gentili e dei tiranni. Ecco come i falsi Cristiani hanno esposto i membri della Chiesa ad un gran ridicolo, e questi ultimi sopportarono persecuzioni ancor più crudeli.

Vers. 10 . Non temere nulla di ciò che dovrai soffrire. Con queste parole Gesù Cristo incoraggia la sua Chiesa a sopportare senza paura tutti i mali, per quanto lunghi e crudeli possano essere. E poiché i colpi previsti sono meno pericolosi, e poiché consideriamo come più tollerabili i mali di questo mondo che conosciamo in anticipo, è in questo modo che dobbiamo sopportare le prove che è piaciuto alla volontà divina di permettere, a beneficio della sua Chiesa, per quanto grande e durevole possa essere la tribolazione, e qualunque siano le persone che la infliggono. Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione perché siate giudicati, e soffrirete dieci giorni, etc. ….. Il diavolo metterà presto. Il diavolo è qui rappresentato come la causa determinante, a causa della sua abituale gelosia contro i fedeli, per cui susciterà i re e i principi alla tirannia, ecciterà i Giudei, e farà sì che i falsi e malvagi Cristiani parlino male di voi, per far sì che alcuni, cioè un gran numero di voi siano messi in prigione, e, se fosse possibile, tutti i Cristiani che vivranno in questa seconda età della Chiesa. Tutti questi uomini malvagi saranno come i littori del diavolo: ecco perché il testo latino dice: Il diavolo manderà alcuni di voi in prigione per mezzo dei suoi satelliti che sono i principi di questo mondo, e di cui si serve per soddisfare la sua insaziabile passione di nuocere ai pii membri di Gesù Cristo. I satelliti del diavolo sono anche le opere degli empi sulla terra. In prigione; questa parola significa: 1°. La durata delle tribolazioni a venire; perché chi è messo in prigione non ne esce presto; come quando uno dice di mettere il suo denaro nella cassa pubblica, per dire che vi rimane per lungo tempo. 2°. Questa parola prigione designa anche tutti i tipi di mali che i Santi e gli eletti di Dio dovevano subire. Perché la prigione è come un’officina di tutte le tribolazioni. Infatti chi è messo in prigione è separato dagli uomini come un criminale, e lì può sperimentare la fame, il freddo, il caldo, le catene, la nudità, la spoliazione dei suoi beni, le torture, i tormenti, le fruste, i flagelli, l’obbrobrio, le veglie, la povertà, l’angoscia, i cattivi odori. Dalla prigione si esce per subire la sentenza di una condanna ingiusta e per essere messi su vasi di terracotta rotti, o per essere picchiati, crocifissi, fatti a pezzi, gettati in acqua, mandati in esilio o esposti alle belve, agli orsi, ai leoni, tigri, leopardi, ecc. Ecco perché Gesù Cristo indica la prigione, dicendo: … Il diavolo metterà presto alcuni di voi in prigione. E questo per il permesso del Padre celeste, affinché siate provati come oro nella fornace. Questa prova non è nell’intenzione del diavolo, che non ha in mente il bene di coloro che vengono messi alla prova; ma è Dio, che vuole trarre il bene dal male, e che sa come estrarre dalla crudeltà dei tiranni la pazienza dei martiri, che Egli ricompensa con una corona di gloria. Egli fa ancora subire alla Chiesa queste prove ai nostri giorni, quando i suoi prelati e i suoi membri abbandonano i loro cuori al peccato, alla voluttà e alle ricchezze temporali. E dovrete soffrire per dieci giorni, cioè per dieci regni consecutivi dei principali tiranni, che si susseguiranno come giorni, durante i quali puniranno i Cristiani. Con questi dieci giorni si intende il tempo da Nerone, il primo persecutore della Chiesa, fino a Costantino il Grande, un periodo di trecento anni, durante il quale la Chiesa ha nuotato continuamente nel sangue dei suoi martiri dell’uno e dell’altro sesso, come l’arca di Noè nuotava nelle acque del diluvio, finché finalmente, dopo queste dieci persecuzioni, la Chiesa poté riposare sull’alto monte di Costantino il Grande. La prima persecuzione ebbe luogo sotto Nerone; la seconda sotto Domiziano; la terza sotto Traiano; la quarta sotto Marco Aurelio-Antonio; la quinta sotto Severo; la sesta sotto Massimino; la settima sotto Decio, che fu continuata da Gallo e Volusiano; l’ottava sotto i due Valerio e Gallieno; la nona sotto Aureliano; la decima, infine, sotto Diocleziano e il suo collega Massimiano, che fu la più spaventosa di tutte. Vedere i dettagli nella storia ecclesiastica.

III. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita. Con queste parole, Gesù Cristo esorta la sua Chiesa, mostrandole la ricompensa promessa per la perseveranza nelle tribolazioni; e questa esortazione è una consolazione offerta dalla clemenza divina contro il rigore e la durata dei mali che Dio stava per infliggere ai suoi santi ed amici. Sii fedele fino alla morte; cioè, sii costante e perseverante nella tribolazione fino alla morte. Sii fedeli, ecc., nella fede, nella speranza e nella carità, e guardati dal non scandalizzarti per i molti e lunghi tormenti che Io permetto contro di voi. E Io vi darò la corona della vita, cioè l’aureola del martirio, secondo la misura delle tribolazioni che avete sopportato per causa mia. La corona della vita, la corona di un trionfatore in cielo, che non ti sarà mai tolta. Perché non sarà incoronato nessuno che non abbia combattuto legittimamente. La corona della vita: il regno o la libertà dei figli di Dio, affinché non siate mai più sottomessi ad alcun re terreno.

 Vers. 11. – Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Queste parole sono spiegate come sopra. Con questo vuole sempre stimolare la nostra intelligenza a cercare, in relazione alla sua Chiesa, un significato astratto e pieno di misteri celesti, che deve essere spiegato e chiarito dalla proprietà delle parole e delle cose. Chi è vittorioso non soffrirà la seconda morte, cioè l’inferno o la morte eterna dell’anima. La dannazione è chiamata una seconda morte, perché segue la morte corporale di questa vita passeggera, che è la prima morte. Gesù Cristo aggiunge queste parole come una leva molto potente di perseveranza nell’angoscia delle tribolazioni. Perché se consideriamo gli orribili tormenti dell’inferno e la dannazione eterna degli empi, si sopporteranno volentieri e facilmente tutte le tribolazioni, e anche la morte temporale, per evitare le tribolazioni e la morte eterna. Fu in considerazione di queste verità, che essi avevano sempre davanti agli occhi, che i servi di Dio superarono tutti i tormenti attraverso i quali arrivarono al regno celeste.

§ III.

Della terza età della Chiesa, o dei Dottori; da Papa Silvestro e l’imperatore Costantino, a Leone il Grande e Carlo Magno.

CAPITOLO II. VERSETTI 12-17.

Et angelo Pergami ecclesiæ scribe: Hæc dicit qui habet rhomphæam utraque parte acutam: Scio ubi habitas, ubi sedes est Satanæ: et tenes nomen meum, et non negasti fidem meam. Et in diebus illis Antipas testis meus fidelis, qui occisus est apud vos ubi Satanas habitat. Sed habeo adversus te pauca: quia habes illic tenentes doctrinam Balaam, qui docebat Balac mittere scandalum coram filiis Israel, edere, et fornicari: ita habes et tu tenentes doctrinam Nicolaitarum. Similiter pœnitentiam age: si quominus veniam tibi cito, et pugnabo cum illis in gladio oris mei. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis: Vincenti dabo manna absconditum, et dabo illi calculum candidum: et in calculo nomen novum scriptum, quod nemo scit, nisi qui accipit.

[E all’Angelo della Chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che tiene la spada a due tagli: So in qual luogo tu abiti, dove satana ha il trono: e ritieni il mio nome, e non hai negata la mia fede anche in quei giorni, quando Antipa, martire mio fedele, fu ucciso presso di voi, dove abita satana. Ma ho contro di te alcune poche cose: attesoché hai costì di quelli che tengono la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac a mettere scandalo davanti ai figliuoli d’Israele, perché mangiassero e fornicassero: Così anche tu hai di quelli che tengono la dottrina dei Nicolaiti. Fa parimenti penitenza: altrimenti verrò tosto a te, e combatterò con essi colla spada della mia bocca. Chi ha orecchio, oda quel che dica lo Spirito alle Chiese: A chi sarà vincitore, darò la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca: e sulla pietra scritto un nome nuovo non saputo da nessuno, fuorché da chi lo riceve.]

I. La terza età della Chiesa fu l’età dei dottori. Essa iniziò da Costantino il Grande e Papa Silvestro, e durò fino a Carlo Magno e Leone III. In quest’epoca le eresie furono estirpate e la Religione Cristiana fu stabilita saldamente quasi in tutto l’universo. Quest’epoca è chiamata illuminativa (illuminativus), a causa della purificazione che ebbe luogo in essa dei principali misteri della fede cattolica, della Santa Trinità, della divinità di Gesù Cristo, della sua umanità, della sua filiazione, della processione dello Spirito Santo, etc. E man mano che le cose contrarie furono esposte l’una di fronte all’altra diventano sempre più chiare; Dio, per illuminare la sua Chiesa, le diede i dottori più illustri, come Sant’Ambrogio, Sant’Agostino, San Girolamo, San Giovanni Crisostomo, San Leone, Beda, e molti altri Padri della Chiesa greca e latina; e d’altra parte, permise che si elevassero contro di essi gli eretici più malvagi, come Ario, Donato, Macedonio, Pelagio, Eutiche, Nestorio, ecc. Questi eresiarchi erano sostenuti, per la maggiore prova degli eletti, da potenti principi, come gli imperatori Costantino, Giuliano l’Apostata, Valentino, Leone, Zenone, Enrico, re dei Vandali, Teodorico, re degli Ostrogoti, Anastasio, re dei Daci, Costanzo, Leone III, Costantino V, Leone IV, Costantino VI, e un numero considerevole di arcivescovi e Vescovi, ecc. È a questa terza epoca che si riferisce il terzo Spirito del Signore, lo spirito dell’intelletto, che illuminò la Chiesa e le permise di essere in grado di purificare i più alti misteri della Santa Trinità, l’Incarnazione e altre numerose verità, sulle quali la Chiesa si pronunciò, dopo aver condannate, espulse e rimosse le tenebre degli eretici. – Il terzo giorno della creazione del mondo è anche giustamente considerato in questo capitolo come il vero tipo di questa terza età. Perché come il terzo giorno della creazione le acque dovettero, per volontà di Dio, essere separate dalla terra e riunite in un solo luogo; così le tribolazioni, di cui le acque sono spesso la figura, e che la Chiesa ebbe a subire da parte dei tiranni del paganesimo, dovettero infine cedere al potere di Costantino il Grande, che relegò i loro autori nel fuoco dell’inferno. E ancora, come il terzo giorno della creazione la terra produsse piante verdi con semi e alberi con frutti, ciascuno secondo la sua specie, ed un numero infinito di altre piante che portavano semi, sia per l’ornamento della terra che per l’uso e il godimento degli uomini, così, nella terza età della Chiesa, l’acqua del Battesimo fece nascere erba verde (i bambini e gli adulti che diventarono Cristiani), alberi (i maestri) e alberi da frutto, le entrate assicurate e gratuite della Chiesa, di cui il detto imperatore l’arricchì; poiché la dotò ulteriormente di molti altri beni, come i principati, appropriandosi di poteri anche terrestri, e aiutandola nel costruirne a proprie spese, o permettendo e ordinando di costruire su tutta la superficie del pianeta una moltitudine di edifici sacri. – Un altro tipo di questa terza età della Chiesa si trova nella terza età del mondo, che durò da Abramo a Mosè e Aronne. Perché come in quell’epoca i Sodomiti furono sommersi nel Mar Morto, e gli Egiziani nel Mar Rosso; come Korah, Dathan e Abiron, e gli altri scismatici della casa d’Israele furono distrutti, e fu data al popolo una legge che dichiarava e spiegava meglio la legge naturale; così, nella terza età della Chiesa, il popolo cristiano passò dal martirio alla terra della pace. La concupiscenza del mondo e l’idolatria delle nazioni furono sommerse nel sangue di Gesù Cristo e dei suoi martiri; molti scismatici ed eretici furono cacciati dal seno della Chiesa; la legge del Vangelo e la verità della fede cristiana furono dichiarate e proclamate, etc. Furono stabilite le leggi civili e le costituzioni dei principi, e furono promulgati i sacri canoni dei Concili; e l’imperatore Giustiniano decretò che tutte queste cose avessero forza di legge. Infine, l’ultimo tipo di questa terza età fu la Chiesa di Pergamo. Infatti la parola Pergamo è interpretata come divisione delle corna (dividens cornua): queste corna crebbero alla Chiesa in questa terza età, sotto Costantino il Grande, e queste corna erano il potere temporale e spirituale di cui essa godeva. – Questa doppia potenza è metaforicamente significata dalle corna, in cui si trova la forza degli arieti e degli altri animali. Pergamo significa anche dividere le corna, perché poco dopo questa forza e potenza della Chiesa fu divisa e spaccata da Ario e dagli altri eretici. Le corna combattevano tra loro: la sinistra (gli eretici) contro la destra (i Cattolici). D’altra parte, il primo è il corno della dannazione e il secondo è il corno della salvezza, che Dio ha innalzato nella casa di Davide in suo Figlio (Gesù Cristo), sempre respingendo il corno degli eretici all’inferno.

II. Vers. 12. – Scrivi all’Angelo della chiesa di Pergamo. Queste parole devono essere spiegate come sopra. Questo è ciò che dice colui che porta la spada a due tagli. La spada a due tagli significa la sentenza del Signore, con la quale condannerà i malvagi nel loro corpo e nella loro anima. Le altre parole sono spiegate come sopra, § 3, cap. I, versetto 16. Questa spada a due tagli è posta qui all’inizio della descrizione di questa terza età: 1° per spaventare i malvagi con la spada della vendetta, e per consolare i buoni con la spada della protezione di Cristo; 2°. perché nella sua terza età, la Chiesa ha dovuto combattere con gli eretici. Questo è il motivo per cui furono celebrati molti Concili ecumenici e provinciali. Infatti nella sua terza età la Chiesa ha dovuto combattere con gli eretici; perciò sono stati tenuti molti Concili, sia ecumenici che provinciali, e molti eretici sono stati colpiti con la spada dell’anatema, respinti dalla sentenza di scomunica e tagliati fuori dal corpo della Chiesa, la quale, come giudice delle controversie in materia di fede, porta sulla terra la stessa spada di Cristo suo Sposo nei cieli, come abbiamo visto sopra.

Vers. 13. – So dove vivi: In mezzo alla nazione perversa degli eretici, sia di Ario, di Macedonio e degli altri, che sono membri del diavolo, satelliti di lucifero, amanti delle tenebre, conduttori di ciechi, alberi autunnali o infruttuosi, canne agitate dal vento dell’orgoglio, già proscritti in precedenza a causa della loro malvagità, e relegati all’inferno, dove lucifero ha potere, e dove abita l’antico nemico della verità e della giustizia eterna di Dio. Il diavolo possiede questi eretici, li governa, li istruisce, li ispira e li domina. Ecco perché essi sono il suo regno, ed egli è il loro re e capo, per combattere attraverso di loro (che sono le porte dell’inferno) contro l’amata Chiesa di Dio. Ecco perché il testo aggiunge: Dove si trova il trono di satana. Perché il trono significa il potere reale, o piuttosto la residenza di un re, di un principe, ecc.; un trono che satana possiede negli eresiarchi. Avete conservato il mio Nome, cioè la confessione del mio Nome, e non avete rinunciato alla mia fede nella persecuzione e nei tormenti, ma avete perseverato nella mia fede. È con buona ragione che Cristo loda per appropriazione, nei prelati della sua Chiesa, la confessione del suo Nome e la perseveranza della fede nel suo Nome; infatti in quell’epoca la Divinità e l’Umanità di Cristo, la sua venuta e la sua dottrina dei misteri della paternità, della filiazione e della processione dello Spirito Santo, erano fortemente combattuti da Ario, Macedonio, Nestorio e gli altri eresiarchi. La fede cattolica e i suoi difensori ebbero incredibilmente a soffrire in questo periodo: ne è testimone Sant’Atanasio, un uomo ammirevole e amabile, che, per il Nome di Gesù e la sua divinità, e anche per la Santissima Trinità, fu costretto a nascondersi per anni in una vecchia cisterna, e per un anno e qualche mese nel sepolcro di suo padre. Questo Santo ha dovuto subire grandi prove, come molti altri Vescovi che hanno sopportato la prigione, le catene, l’esilio, la morte, etc, come vediamo nella storia ecclesiastica. Quando Antipa, mio fedele testimone, soffrì la morte tra voi, dove abita satana. Come esempio della confessione lodata sopra, e della perseveranza nella fede del Cristo, San Giovanni cita qui il santo martire Antipa, che fu messo a morte per la confessione della fede di Gesù Cristo, vicino a Costantinopoli, dove si era alzata la tempesta dell’eresia di Ario, sia tra il popolo che tra i Vescovi; poiché l’ambizione, non meno del fuoco della gelosia, era penetrata nelle sedi episcopali. Ecco perché questa città e questo paese sono chiamati la residenza di satana, perché è soprattutto in Oriente che imperversavano gli ariani, i macedoniani e gli empi difensori delle altre eresie Ecco perché si dice: allorquando o, secondo il testo latino, in diebus illis, in quei giorni, cioè in quella tempesta causata dall’eresia di Ario per amore del mio Nome, Antipa fu il mio testimone fedele, fino alla morte e al sangue, con cui suggellò la sua testimonianza per la verità, e perché Io sono il Figlio di Dio, veramente uguale al Padre mio da tutta l’eternità.

Vers. 14. – – Ma ho qualche rimprovero da farti. Ora arriviamo al solito rimprovero, che troviamo nelle seguenti parole:

Vers. 15.C’è che voi permettete che si insegni in mezzo a voi la dottrina di Balaam, che insegnava a Balac a creare scandalo davanti ai figli d’Israele, per far loro mangiare cose impure e farli cadere nella fornicazione. Anche tu soffri assai che si insegni la dottrina dei Nicolaiti. Abbiamo la storia di Balaam… nel libro dei Numeri, dove vediamo che Balac, re dei Moabiti, della setta di Balaam, mandò delle donne vicino all’accampamento degli Ebrei, affinché questo popolo, spinto alla lussuria, fosse sedotto e attratto all’idolatria dalla loro bellezza, per far sì che tutto il popolo offendesse Dio. Questa storia è raccontata solo a titolo di paragone e di esempio, come si può vedere dalle parole che seguono: Tu soffri anche che venga insegnata la dottrina dei Nicolaiti. Ruperto abate, sull’Apocalisse, dice di loro: I Nicolaiti portano i vasi del Signore, e non sono meno incontinenti; essi rigettano il matrimonio legittimo come proibito dalle leggi della Chiesa: essi fanno ancora di peggio, rompono la fede coniugale tanto quanto lor piace, e non avendo un vero talamo nuziale, corrono qua e là, per non essere accusati di aver rotto il vincolo matrimoniale. Ora questi sono colpevoli delle stesse fornicazioni e si consacrano a Belphegor, e che, sull’esempio dei Nicolaiti, si danno audacemente all’incesto e all’adulterio. Dicendo dunque: “Tu soffri anche che si insegni la dottrina dei Nicolaiti“, innanzitutto rivolge un rimprovero alla chiesa di Pergamo, nella quale c’erano alcuni magistrati perversi che seguivano l’errore dei Nicolaiti e scandalizzavano il popolo con la loro conversazione impure e lo seducevano. Sotto il tipo della chiesa di Pergamo, Cristo rimprovera anche la terza età della Chiesa, in cui molti insegnavano e mettevano in pratica la dottrina dei Nicolaiti riguardo alla mescolanza illegale dei sessi. Infatti, quando le tribolazioni dei gentili e dei pagani ebbero fine, la Chiesa era in riposo, e grazie alla munificenza di Costantino il Grande e di altri benefattori, i sacerdoti godevano di un reddito considerevole dai profitti. La Chiesa, diventata così ricca ed ingrandita, abbandonò Dio suo Creatore e trascurò la sua salvezza. Molti dei suoi membri indulgevano nella voluttà delle donne attraverso un commercio illecito, infiammati com’erano dalla loro concupiscenza. Ecco perché Dio afflisse la Chiesa con così tante eresie, la agitava o la tormentava per evitare che si corrompesse tra le delizie e la voluttà. Ed è così che un marito prudente, che conosce la cattiva propensione della sua amata moglie, si sforza di mantenerla in linea con i suoi doveri fornendole un’occupazione moderata nella cura e nel lavoro della casa. Dio, nella sua paterna bontà, agirà con la stessa saggezza verso la sua Chiesa fino alla fine dei tempi, imponendole dei beffardi, degli importuni detrattori, degli agitatori, calunniatori, eretici e tiranni, per evitare che sia corrotta interamente nelle ricchezze, negli onori e nei piaceri della carne.

Vers. 16. Fate penitenza allo stesso modo. Questo passaggio è spiegato come sopra a proposito della chiesa di Efeso. In caso contrario, cioè se si trascura di correggersi con una vera penitenza, Io verrò presto da voi con il flagello ed il castigo che vi è dovuto, sia in vita che in morte, e nell’ultimo giudizio. Per questo usa il tempo futuro, perché, come abbiamo detto sopra, le piaghe di Dio spesso ci minacciano da lontano e cadono su di noi quando meno ce lo aspettiamo. E combatterò contro di loro con la spada della mia bocca, cioè, con la spada della vendetta, la spada della morte, la spada del giudizio particolare e finale, la spada della dannazione eterna, e anche con queste terribili parole, (Matth. XXV): « Andate, maledetti, al fuoco eterno, che è stato preparato per il diavolo e i suoi angeli ».

Vers. 17. Chi ha orecchio, ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese: Io darò a colui che vince la manna nascosta, e gli darò una pietra bianca, ed un nome nuovo scritto sulla pietra, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Alla comminazione della punizione, segue la promessa della ricompensa e della gloria. La prima ricompensa è: gli darò (al vincitore) la manna nascosta, che significa figurativamente la beatitudine celeste, che è lo stato perfetto e la somma di tutti i beni. Perché proprio come la manna conteneva la vita del popolo d’Israele con il sapore di tutti i cibi; così ci viene promessa, nella beatitudine celeste, l’abbondanza di tutti i beni di cui saremo pienamente soddisfatti, e di cui godremo eternamente. – Si dice che questa manna è nascosta, perché, secondo San Paolo, (I Corinzi II: 9), « … l’occhio non ha mai visto, né orecchio mai udito, né il cuore dell’uomo ha mai compreso ciò che Dio ha preparato per coloro che lo amano. » Questa manna è nascosta in Dio. (Colossesi III, 5): « La vostra vita è nascosta in Dio con Gesù Cristo. Quando Gesù Cristo, che è la vostra vita, apparirà, anche voi apparirete con Lui nella gloria. Mettete dunque a morte le membra dell’uomo che è in voi: fornicazione, impurità, passioni disoneste, desideri malvagi e avarizia, che è idolatria ». La seconda ricompensa è la gloria: Io gli darò una pietra bianca, cioè la gloria, cioè lo splendore del corpo, senza macchia né difetto. … e un nuovo nome scritto sulla pietra, che nessuno conosce tranne colui che lo riceve. Con questo nuovo nome, comprendiamo l’eccellenza speciale che Dio concederà a ciascuno, secondo ciò che ha fatto nel suo corpo. Perché la chiarezza delle vergini è diversa da quella dei martiri; la chiarezza degli sposi è diversa ancora; la chiarezza degli Apostoli non è la stessa di quella dei profeti; una vergine differisce da un’altra per luminosità, un Apostolo da un altro, un confessore da un altro, un martire da un altro, un Profeta da un altro, e tutti differiscono tra loro per la luminosità della loro gloria, come vediamo nella prima Lettera di San Paolo ai Corinzi (XV, 41): « Il sole ha la sua luminosità, la luna ha la sua luminosità, le stelle la loro; e tra le stelle l’una è più luminosa dell’altra. Lo stesso vale per la resurrezione dei morti ». Per questo il testo aggiunge: … che nessuno conosce se non colui che lo riceve, cioè l’eccellenza propria di ciascuno. Nessuno vi parteciperà se non colui che l’ha ricevuta, proprio come l’individualità che è propria di ciascuno, senza che nessun altro possa averla e parteciparvi. Questa parola “conoscere” non deve essere presa letteralmente, ma metaforicamente; perché un Santo conoscerà senza dubbio l’eccellenza e la gloria di un altro, come vediamo dalla teologia. … e un nome scritto, cioè stabilito e inciso con il bulino di ferro dell’eternità, in modo tale che non potrà mai essere rimosso.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (V)

29 GIUGNO 2021, FESTA DI SAN PIETRO

FESTA DI SAN PIETRO (2021)

I Santi Apostoli Pietro e Paolo.

Doppio di 1a classe con Ottava comune – Paramenti rossi

Tutta la Chiesa è in festa, perché « Dio ha consacrato questo giorno col martirio degli Apostoli Pietro e Paolo » (Or.) Nelle due grandiose basiliche erette a Roma sulle tombe « di questi Principi che hanno conquistato con la croce e la spada il loro posto nel senato eterno (Inno ai Vespri), come in Catacumbas sulla via Appia, il Papa celebrava oggi solennemente la Messa stazionale. Più tardi, a causa della gran distanza che separa queste due chiese, si divise questa festa, onorando più particolarmente San Pietro il 29 giugno, e San Paolo il 30 giugno. – 1° San Pietro, Vescovo di Roma, è il Vicario, luogotenente, sostituto visibile del Cristo. Come mostrano il Prefazio, l’Alleluia, il Vangelo, l’Offertorio e l’Antifona della Comunione, gli Ebrei avevano respinto Gesù, e fecero lo stesso verso il suo successore (Ep.). Spostando allora il centro religioso del mondo, Pietro lasciò Gerusalemme per Roma, che divenne la città eterna e la sede di tutti i Papi. — 2° San Pietro, primo Papa, « parla a nome del Cristo » che gli ha comunicato la sua infallibilità dottrinale. Quindi non la carne e il sangue lo guidano, ma il Padre celeste, che non permette che le porte dell’Inferno prevalgano contro la Chiesa, di cui egli è il fondamento ( Vang.). — 3° San Pietro ricevendo le chiavi è preposto al « regno dei cieli » sulla terra, cioè alla Chiesa, « e regna in nome del Cristo», che lo ha investito della sua potenza e della sua autorità suprema (Vang.). I nomi di San Pietro e di S. Paolo aprono la lista degli Apostoli nel Canone della Messa. — Con la Chiesa, che non cessava di rivolgere preghiere a Dio per Pietro (Ep.), preghiamo per il suo successore, « il servo di Dio, il nostro Santo Padre, il Papa [Gregorio XVIII – ndr.] » (Canone della Messa)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Acts 12:11
Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]


Ps CXXXVIII: 1-2
Dómine; probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam.

[Signore, tu mi scruti e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio cammino.]


Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti: da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium.

[O Dio, che consacrasti questo giorno col martirio dei tuoi Apostoli Pietro e Paolo: concedi alla tua Chiesa di seguire in ogni cosa i precetti di coloro, per mezzo dei quali ebbe principio la religione.]

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.
Act 12: 1-11

In diébus illis: Misit Heródes rex manus, ut afflígeret quosdam de ecclésia. Occidit autem Jacóbum fratrem Joánnis gládio. Videns autem, quia placeret Judæis, appósuit, ut apprehénderet et Petrum. Erant autem dies azymórum. Quem cum apprehendísset, misit in cárcerem, tradens quátuor quaterniónibus mílitum custodiéndum, volens post Pascha prodúcere eum pópulo. Et Petrus quidem servabátur in cárcere. Orátio autem fiébat sine intermissióne ab ecclésia ad Deum pro eo. Cum autem productúrus eum esset Heródes, in ipsa nocte erat Petrus dórmiens inter duos mílites, vinctus caténis duábus: et custódes ante óstium custodiébant cárcerem. Et ecce, Angelus Dómini ástitit: et lumen refúlsit in habitáculo: percussóque látere Petri, excitávit eum, dicens: Surge velóciter. Et cecidérunt caténæ de mánibus ejus. Dixit autem Angelus ad eum: Præcíngere, et cálcea te cáligas tuas. Et fecit sic. Et dixit illi: Circúmda tibi vestiméntum tuum, et séquere me. Et éxiens sequebátur eum, et nesciébat quia verum est, quod fiébat per Angelum: existimábat autem se visum vidére. Transeúntes autem primam et secundam custódiam, venérunt ad portam férream, quæ ducit ad civitátem: quæ ultro apérta est eis. Et exeúntes processérunt vicum unum: et contínuo discéssit Angelus ab eo. Et Petrus ad se revérsus, dixit: Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum, et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[In quei giorni: Il re Erode mise le mani su alcuni membri della Chiesa per maltrattarli. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E, vedendo che ciò piaceva ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano allora i giorni degli azzimi. Arrestatolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro squadre di quattro soldati ciascuna, volendo farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro, dunque, era custodito nella prigione; ma la Chiesa faceva continua orazione a Dio per lui. Ora, la notte precedente al giorno che Erode aveva stabilito per farlo comparire innanzi al popolo, Pietro, legato da due catene, dormiva fra due soldati, e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Ed ecco apparire un Angelo del Signore e una gran luce splendere nella cella. Toccando Pietro al fianco, lo riscosse, dicendo: Alzati in fretta. E gli caddero le catene dalle mani. L’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e infílati i sandali. Pietro obbedí. E l’Angelo: Buttati addosso il mantello e séguimi. Ed egli uscí e lo seguí, senza rendersi conto di quel che l’Angelo gli faceva fare, parendogli un sogno. Oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che mette in città, ed essa si aprí da sé davanti a loro. E usciti, si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo partí da lui. Pietro, allora, tornato in sé, disse: Adesso riconosco davvero che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode, e da ogni attesa dei Giudei.]

Graduale

Ps XLIV:17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine.
V. Pro pátribus tuis nati sunt tibi fílii: proptérea pópuli confitebúntur tibi. Allelúja, allelúja.

[Li costituirai príncipi sopra tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore.
V. Ai padri succederanno i figli; perciò i popoli Ti loderanno. Alleluia, alleluia.]


Matt XVI:18
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam. Allelúja.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XVI:13-19
In illo témpore: Venit Jesus in partes Cæsaréæ Philippi, et interrogábat discípulos suos, dicens: Quem dicunt hómines esse Fílium hóminis?
At illi dixérunt: Alii Joánnem Baptístam, alii autem Elíam, álii vero Jeremíam aut unum ex Prophétis. Dicit illis Jesus: Vos autem quem me esse dícitis? Respóndens Simon Petrus, dixit: Tu es Christus, Fílius Dei vivi. Respóndens autem Jesus, dixit ei: Beátus es, Simon Bar Jona: quia caro et sanguis non revelávit tibi, sed Pater meus, qui in cœlis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam, et portæ ínferi non prævalébunt advérsus eam. Et tibi dabo claves regni cœlórum. Et quodcúmque ligáveris super terram, erit ligátum et in cœlis: et quodcúmque sólveris super terram, erit solútum et in cœlis.

[In quel tempo: Gesú, venuto nei dintorni di Cesarea di Filippo, cosí interrogò i suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o qualche altro profeta. Disse loro Gesú: E voi, chi dite che io sia? Simone Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. E Gesú: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne o il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli.]

OMELIA

IL PAPA

[G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi – S. Ed. Vita e Pensiero: VI ed., Milano, 1956]

Pietro! quest’uomo dalle larghe spalle di pescatore, dalle mani rosse per l’acqua e per il sole, dalla barba rotonda rischiarata da un sorriso bonario, dagli occhi teneri e azzurri come il lago in cui escava, oggi ci viene davanti all’animo così come noi lo conosciamo dai due episodi più salienti della sua vita: l’uomo della fede e dell’amore. Una volta Gesù si rivolge ai dodici e domanda loro improvvisamente : « Che dice di me la gente ?» – « Dicono che sei Elia », risposero alcuni. « Dicono che sei Geremia, risposero altri.

« Che sei il Battista! che sei un profeta! » risposero altri e altri ancora. – Gesù interruppe quelle discordanti testimonianze, dicendo: « Ma voi, voi che pensate di me? chi sono Io per voi? ». Ci fu un momento di silenzio. Allora Simone, quel Simone che aveva lasciato il suo lago, le reti, la barca, la casa, il padre, non aveva dubitato di balzar dalla barca e camminar sui flutti in mezzo al lago, quel medesimo Simone s’elevò al di sopra dei dodici, al di sopra di tutti gli uomini ed esclamò: « Tu sei il Cristo, Figlio di Dio».

In questa risposta voi vedete Pietro: l’uomo della fede. Ma un’altra volta Gesù lo prende in disparte. Si era sulle rive del lago, uno degli ultimi quaranta giorni che il Redentore, passò sulla terra dopo la sua Risurrezione. Lo fissa negli occhi e gli domanda tre volte: « Pietro mi ami tu? mi vuoi bene più di tutti gli altri? ». Pietro a quella triplice domanda, si ricorda della sua triplice negazione. E cominciò a tremare di dolore e soprattutto d’amore: « Signore! — rispose quasi singhiozzando, – Tu che sai tutto, vedi bene, quanto ti amo! E voleva dire, ma non osava: « Con tutta la vita, fino alla morte ». In quest’altra risposta voi vedete ancora Pietro: l’uomo dell’amore. Fede e amore: luce che illumina, fuoco che riscalda. Questa è l’anima di S. Pietro.

Ma questa è pure l’anima del Papa! Poiché il Papa non è che S. Pietro che si rinnova con perpetua vicenda nei secoli.

1° – Il Papa è la verità che guida tutto il mondo.

2° – Il Papa è l’amore che guida tutto il mondo.

1. IL PAPA È LA VERITÀ CHE GUIDA TUTTO IL MONDO

Torbidi tempi per la giovane Chiesa di Cristo. In Alessandria, un uomo smanioso di dominio, Dioscoro, andava spargendo nel Popolo dottrine false. A Costantinopoli un archimandrita di nome Eutiche con ardente parola sviluppava gli errori di Dioscoro. « Cristo — dicevano — non fu un uomo vero come noi, ma ebbe soltanto una unica natura, la divina ». Ma i Vescovi s’accorsero dell’abisso in cui si stava per cadere: negato Cristo uomo, troppo facilmente si sarebbe negato anche Cristo Dio; e tutta la nostra fede, per cui già milioni di martiri avevano dato il proprio sangue, sarebbe stata rovesciata nell’errore. Per ciò si proclamò un Concilio. E dall’Africa, e dall’Italia e dalla Siria convennero a Calcedonia 630 Vescovi. Già da più giorni si discuteva, quando arrivò una lettera stupenda di papa Leone. Tutti l’ascoltarono in silenzio, poi uno si alzò, in mezzo a tutti, gridando: « Pietro ha parlato per bocca di papa Leone ». Allora da tutti i petti eruppe un grido di vittoria: « Questa è la fede degli Apostoli; così, tutti crediamo ». – Quello che avvenne a Calcedonia ci esprime chiaramente che il Papa è l’infallibile guida di verità. Chi lo segue non cammina nelle tenebre del falso. Quando il Papa parla, ogni questione è finita, disse S. Agostino; perché il Papa ha la parola della verità. Ed è un dogma di fede che il Papa non sbaglia mai quando con tutta la forza della sua autorità definisce qualche dottrina di fede e di morale. – La storia del pensiero umano è qualche cosa di commovente: è l’uomo spinto dal desiderio di sapere che ascende alla cognizione del mondo e alla scoperta dei misteri della natura. Ma quanti spropositi. Quelle dottrine che prima si ritenevano come verità, ora si rigettano come errori. Ai tempi di S. Tommaso tutti i fisici credevano che la terra fosse circondata da una zona d’aria, e la zona d’aria fosse circondata da una zona di fuoco. Oggi queste ingenuità ci fanno sorridere. – Ci furono di quelli che insegnarono che il mondo si è fatto da solo, per un caso; altri non ebbero vergogna di proclamarsi discendenti dalle bestie, altri infine giunsero a negare la propria esistenza per dire che tutto il mondo è un sogno. In quali confusioni non è mai trascinata la superba scienza degli uomini. Ma sulla terra, dove tutto muta, e soprattutto mutano le parole e le teorie degli uomini, vi ha un miracolo d’una Cattedra che da venti secoli non ha mai cambiato una parola: è la cattedra di Roma. Il Credo che imparammo sulle ginocchia materne e che insegnammo ai nostri figliuoli è il Credo che hanno recitato i nostri nonni, i nostri bisnonni, che hanno recitato i primi Cristiani: è il Credo degli Apostoli. E quello che ogni Papa insegna in solenne ammaestramento dei fedeli, non si cancellerà più, ma starà in eterno. So bene che il demonio, più volte, ha cercato di addensare nella Chiesa di Dio le tenebre dell’errore: «Simone! Simone! — aveva detto Gesù si primo Papa — ecco satana che ti agiterà come nel cribio si agita il grano… E satana suscitò Simon Mago che voleva comprare col danaro lo Spirito Santo. Suscitò Cerinto, Valentino, Marcione e tutti gli eretici dei primi secoli. Suscitò Eutiche e i Doceti a negarne la umanità. Suscitò Fozio a dividere in mezzo la Chiesa. Suscitò Lutero a dilaniarla in brani. Ed anche ai nostri giorni suscita i moderni increduli coi loro libri osceni ed atei. [Nei tempi recenti ha suscitato gli antipapi Roncalli e Montini, l’eretico polacco, un eretico tedesco, ed un eretico sudamericano – ndr. -], « .. ma io ho pregato per te, o Pietro! » — La preghiera di Gesù ha reso infallibile il Papa. Passarono e passeranno tutti i nemici della verità come le onde del Tevere passano sotto i ponti di Roma; ma il Papa sta e non cambia. Chi non è col Papa è nell’errore, perché solo il Papa è la verità. E di lui si potrebbero ripetere le parole di S. Paolo: « Se anche un Angelo vi annunciasse qualcosa di diverso di quello che il Papa insegna, non credeteci perché sbaglia ».

2. IL Papa È L’AMORE CHE AMA TUTTO IL MONDO

Un poeta latino scrisse questo verso tremendo: Te regere imperio Populos, Romane, memento! Ricordati, o romano, che tu sei nato a comandare sui Popoli con la forza. Noi, venuti dopo, sappiamo come ha fallito il verso di Virgilio. La Roma conquistatrice e usurpatrice, la Roma della forza brutale, che aggiogava al suo carro i popoli, si è sfasciata sotto le sue rovine. Ma un’altra Roma è sorta che trionfa e trionferà senza fine e senza rovine: la Roma cristiana. Non è più però con la forza che Roma cristian è più con la spada, ma è con i1 cuore, Te regere amore populos, Romane, memento! – O Roma, tu sei nata a vincere i Popoli Quando con l’amore. – Quando l’Italia. fu invasa dai barbari, quando Attila incendiario flagellava le nostre contrade, quando gli Eruli di Odoacre e i Goti di Teodorico Agilulfo uccidevano e devastavano senza pietà, fu l’amore del Papa che ci ha salvato; che ha respinto il barbaro con la maestà del suo volto, che ha raccolto gli orfani, gli ammalati, che ha sostenuto le vedove e i poveri. –  E quando nell’Africa e nell’America persone infami rapivano e mercanteggiavano i poveri negri strappati dalle loro tribù e dai loro villaggi di paglia, chi si è levato a difenderli, a salvarli, se non l’amore del Papa? E quando la Polonia fu perseguitata dai Russi e le volevano imporre una lingua ed una fede che non era la sua, ed i preti erano calunniati di tradimento ed i fedeli feriti e carcerati, fu il Papa che chiamò a Roma lo Czar. L’imperatore delle Russie sale al Vaticano; sulla porta, solo inerme stanco dagli anni  e dai travagli, lo attende un vecchio bianco, il papa Gregorio XVI. Con le lacrime agli occhi dice: « Sire, verrà un giorno in cui entrambi compariremo dinanzi al tribunale di Dio, Io vecchio, prima; ma anche voi, dopo. Sire, pensateci bene: Dio ha istituito i re perché siano padri e non i carnefici dei loro popoli! » – Pallido, muto, smarrito, lo Czar discese e partì. – Un’altra volta è Filippo Augusto re di Francia che, dopo aver sposato Ingelburga, figlia del re di Danimarca, la vuol ripudiare. Raduna a Compiègne un conciliabolo e respinge Ingelburga e sposa Agnese di Merania. L’infelice regina, lontana dai suoi, quando sentì l’amara sorte d’essere scacciata, scoppiò in un grido: « Roma! Roma! ». – Oh, com’è bello questo grido di un’anima oppressa che invoca da Roma la sua giustizia! È una pecora del gregge che, assalita da lupo, col suo belato chiama al pastore. E il Papa ascolta questo lamento di agnello, e lancia la maledizione sul lupo ed il suo regno. E Filippo Augusto dovette rendere giustizia alla sua sposa. O Roma, tu sei nata a vincere con l’amore! Quando però gli uomini non ascoltano la sua voce d’amor ecco il Papa che soffre, non sa resistere e muore, Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. – Si era nella primavera del 1914: l’ultimatum dell’Austria alla Serbia, non lasciava alcun dubbio sopra le intenzioni bellicose degli imperi centrali. Pio X aveva troppa intuizione per non comprendere ciò che sovrastava al mondo. L’Ambasciatore di Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, venne a Roma ed osò domandargli la benedizione sopra le armate austriache. Il Papa lo guardò come indignato e disse: « Io benedico la pace e non la guerra ». – Ma vedendo che ormai ogni suo sforzo era disperato e che per i suoi figli non poteva far niente, fuor che piangere e benedire, sentì la sua salute già scossa peggiorare nell’angoscia e nel dolore. Quando gli portarono le notizie del primo sangue sparso, il suo cuore paterno scoppiò e morì martire d’amore per il suo gregge dilaniato. Bonus pastor animam suam dat pro ovibus suis. Ed anche oggi chi leva la sua voce contro il sangue inutile, gli odi, le ingiustizie, e oppressioni? il Papa! [quello vero -ndr. -]. Solo la sua voce risuona sempre pura e disinteressata fra tanti egoismi e prepotenze. La sua voce viene da un cuore pieno d’infinito amore: il Cuore di Gesù. –   È bello ricordare anche qui l’ardente parola che S. Paolo scrisse a quei di Corinto: «Se qualcuno non ama Nostro Signor Gesù Cristo, sia anatema! ». Scomunicato, fuor della Chiesa, chi non ama Gesù Cristo? Ma il Papa non è il dolce Cristo in terra? Allora, con verità, possiamo applicare a lui il detto paolino: « Se qualcuno non ama il Papa, sia anatema! ». – Non basta amarlo a parole, ma bisogna amarlo in opere e in verità. E il Papa lo si ama quando si prega per lui: egli è nostro padre e ogni figlio deve pregare per suo padre. Il Papa lo si ama, quando lo si ascolta: la sua parola deve essere studiata con amore, creduta con fermezza, praticata con volontà.  Il Papa lo si ama quando il nostro obolo è generoso per Lui. Le Missioni, le chiese povere, i seminari, gli orfanotrofi, tutte le miserie del mondo volgono al Papa la loro voce. E il Papa come le potrebbe soccorrere? Amiamo il Papa.

IL CREDO


Offertorium


Orémus
Ps 44:17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine, in omni progénie et generatióne.

[Li costituirai príncipi su tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore, di generazione in generazione.]

Secreta

Hóstias, Dómine, quas nómini tuo sacrándas offérimus, apostólica prosequátur orátio: per quam nos expiári tríbuas et deféndi

[Le offerte, o Signore, che Ti presentiamo, affinché siano consacrate al tuo nome, vengano accompagnate dalla preghiera degli Apostoli, mediante la quale Tu ci conceda perdono e protezione.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Matt XVI: 18
Tu es Petrus, ei super hanc petram ædificabo Ecclésiam meam.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa.]

Postcommunio

Orémus.
Quos cœlésti, Dómine, aliménto satiásti: apostólicis intercessiónibus ab omni adversitáte custódi.

[Quelli, o Signore, che Tu saziasti di un alimento celeste, per intercessione degli Apostoli, proteggili contro ogni avversità.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

P.S. La redazione tutta in festa, augura all’Augusto Pontefice regnante, S. S. Gregorio XVIII, successore di S. S. Gregorio XVII – G. Siri – ovunque si trovi, una buona Festa di San Pietro, assicurandogli la preghiera di tutti noi, pusillus grex cattolico, per la sua salute e la sua liberazione. Auguri Santità! W il Papa!

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (VII)

I TRE PRINCIPIIDELLA VITA SPIRITUALE (VII)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN. DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica 1922

Nihil obstat quominus imprimatur. Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR Vicetiæ, 25 Martii 1922.  M. Viviani, Vic. Gen

SECONDO PRINCIPIO FONDAMENTALE: VINCERE SE STESSO (II)

CAPITOLO VI.

Mortificazione esterna.

1. L’esterna mortificazione consiste nella forza necessaria, per dominare e tener soggetti i sensi e le potenze corporali e fare di esse quell’uso che è richiesto dalla ragione e dalla coscienza.

2. Il fine della mortificazione esterna in generale è il retto uso dei sensi, preservandoli da ogni eccesso e disponendoli ad operare il bene con costanza. In altre parole: sottrarre ai sensi tutto ciò che li possa mettere in pericolo; rinunziare a tutte le lusinghe sensuali che abbiano per oggetto solo il piacere, ed abituare il corpo a sopportare quanto gli riesce sgradito e faticoso. In particolare, bisogna abituare la vista a non vedere e leggere tutto, specialmente se dovesse riceverne pericolose impressioni, Nemmeno all’udito si deve concedere la soddisfazione d’inutili conversazioni; ed al gusto non si deve permettere che vada alla caccia di squisitezze, ma che si contenti d’ogni cosa, e non si lamenti del cibo, né oltrepassi i limiti della sobrietà. Del bere nulla si dica, nel quale richiedesi somma moderazione. Il tatto deve abituarsi a portare la croce di un lavoro severo, a moderarsi nel dormire, a sopportare la stanchezza, il freddo ed il caldo e rendervisi indifferente. Un mezzo generale, innocuo e durevole, è il tenere esternamente la condotta che corrisponde a ciascuno, giusta lo stato suo e condizione.

3. Anzitutto, nel modo d’esercitare la mortificazione conviene usare moderazione e prudenza. Il fine suo, che è d’aiutare la natura, non di pregiudicarla, è quello che deve regolare e governar tutto. Una regola importante è di non perseverare troppo a lungo in una medesima austerità, ma variarla di quando in quando. Il privarsi di qualche cosa ogni qual tanto non fa danno. Fa d’uopo raccomandare e seguire un metodo di vita, che conservi l’individuo, e particolarmente il giovane, in buone forze. « Poco, ma con costanza », diceva un Santo, parlando della mortificazione esterna.

4. Il primo motivo che si presenta per la pratica di questa virtù, si basa sull’attuale condizione del corpo nostro moralmente considerato. Giusta il principio cattolico, il corpo, dopo la prima caduta, è una fucina di perversità e di peccato; per cui la Sacra Scrittura lo chiama semplicemente: corpo di peccato (Rom. VI, 6), legge di peccato (Ivi VII, 23); e dice che la carne ha desiderî contrari allo spirito (Gal. V, 47). Perciò San Paolo castiga il suo corpo e considera la mortificazione come una prova della sua missione apostolica, Risulta, quindi, da quanto si è detto, che trattare il corpo in questo modo è molto conforme all’idea cristiana. La concupiscenza che ci trascina al peccato, risiede propriamente nell’anima; ma il corpo e l’anima vivono uniti, formando un composto naturale, e per quest’intima unione, ciò che entra per i sensi influisce sull’anima, e può arrivare ad esser peccato, se si aggiunge il consenso. Chi non sa l’impressione e il danno che può cagionare un’occhiata imprudente? La maggior parte delle tentazioni arrivano all’anima mediante i sensi; per questo frenare i sensi equivale a prevenire le tentazioni e togliere forza al male. Bisogna mortificarsi, non solamente per levare al corpo il disordine delle passioni e l’ansia per le impressioni sensuali, ma per liberarlo altresì dalle difficoltà e indecisioni sue ad operare il bene, dalla sua accidia, pigrizia ed amore alle comodità, e per procurargli nello stesso tempo facilità, prontezza buona disposizione e costanza nel compimento d’ogni bene; per il che non c’è via migliore che mortificare il corpo ed i sensi. Da questa mortificazione corporale ne ricava vantaggio altresì l’anima, per conseguire l’umiltà. Imperocchè il trattamento che senza nessun riguardo è obbligata a dare al suo corpo, le ricorda di continuo la sua debolezza ed inclinazione al peccato, e così si guarda dalla superbia, radice di tutti i vizî e schiva umilmente e cautamente ogni pericolo di peccare. Anche lo spirito guadagna forza contro la sensualità, ed acquista prontezza, fervore, animo, gusto alla preghiera e facilità di farla; mediante l’esercizio della penitenza esterna, che consiste nella mortificazione corporale, eleva i suoi pensieri, a guisa d’aquila ringiovanita, dalle miserie di questa terra alle bellezze del cielo.

5. Finalmente, la mortificazione esterna ci viene predicata in tutti i toni dai Santi, anche i più dolci ed amabili; i quali non sono in ciò se non gl’interpreti della vita e degli esempi di Gesù Cristo. Essi parimente praticarono la mortificazione esterna, per quanto lo permettevano il loro stato e condizione. Somma è la stima che di questa mortificazione ha lo spirito cristiano; chi non facesse caso e la disprezzasse, non arriverebbe mai ad essere uomo spirituale.

CAPITOLO VII.

Mortificazione interna.

1. La mortificazione interna, come contrapposta all’esterna, consiste nel governare e indirizzare le interiori potenze dell’anima, per tenerle lontane dal male, conservarle nel bene e renderle atte ad ogni perfezione… Per potenze interne intendiamo l’intelletto, la volontà, l’immaginazione e l’appetito sensitivo.

2. Quanto sia l’importanza dell’interna mortificazione, chiaro apparisce, in primo luogo, comparandola coll’esterna, che non è altro se non un mezzo, una condizione e un frutto dell’interna. Questa è la sorgente ed il fine di quella alla quale comunica tutto il suo valore. Più ancora: mancando l’interna mortificazione non può aver durata l’esterna; senza di quella avremmo al più la religiosità del fakiro, o un’educazione puramente esterna della quale sono suscettibili persino gli animali. L’esterna penitenza può venire supplita in dati casi dall’interna, mediante il ritiro, il raccoglimento di spirito e la purità di cuore. Inoltre, quella dev’essere circoscritta a luogo, tempo e misura; mentre l’interna si può e si deve praticare sempre, dovunque e senza alcuna restrizione.  Si dimostra in secondo luogo l’importanza della interna mortificazione considerando le sue relazioni colla moralità e col progresso nella virtù. L’ordine e il disordine morale, il peccato ed il merito derivano dalle interne potenze dell’anima. Da esse, dall’intelligenza e dalla libera volontà, dipende il valore morale della nostra vita e la responsabilità delle nostre azioni. L’azione esterna. non aggiunge nulla d’essenziale. È nel cuore che si commettono i peccati, come disse il Salvatore: Dal cuore partono i mali pensieri, gli omicidî, gli adulterî, le fornicazioni, i furti, i falsi testimonî, le maldicenze. Queste sono le cose che imbrattano l’uomo (Matt. XV, 18). L’interna mortificazione possiede in grado eminente le vere condizioni e contrassegni che caratterizzano le virtù solide. Solido è anzitutto quello che proviene da un principio vero e stabile, non dalla passione, né dall’utilità propria o impulso naturale, ma da Dio, da motivi soprannaturali, da una retta volontà; solido è inoltre quello che ci costa qualche molestia e difficoltà, poiché il farlo è segno certo che non cerchiamo noi stessi e che va contro la natura; solido finalmente è ciò che ci fa progredire, vale a dire, ciò che rimuove gl’impedimenti che opponiamo alla divina grazia. Orbene; tutte queste condizioni della virtù solida e massiccia si riscontrano unicamente nella mortificazione interna. Per questo è riconosciuta e indicata da tutti i santi e maestri di spirito come la vera e infallibile pietra di paragone della virtù, della perfezione e della santità. Basandosi sulla medesima, il maestro infallibile d’ogni santità, Gesù Cristo, distinse e giudicò le virtù. Gl’ipocriti farisei del giudaismo suoi contemporanei, malgrado l’esteriore loro apparenza di santità, non erano per Lui che dei sepolcri coperti e imbiancati al di fuori, e di dentro pieni d’immondezze e di ossa di morti (Matt. XXIII, 27).

3. Ma, in che cosa dobbiamo noi mortificarci? Anzitutto in ciò che risguarda la nostra vocazione, vale a dire, in quelle cose che c’impediscono di compiere perfettamente i doveri del nostro stato. In secondo luogo, in ciò di che ciascuno abbisogna in modo particolare, ,date le difficoltà sue personali e proprî difetti, siano essi interni od esterni. Finalmente, in ciò che Iddio vuole ed esige da noi.

CAPITOLO VIII.

La mortificazione dell’ intelletto.

Discendiamo a specificare di più l’oggetto della mortificazione.

4. Trattandosi dell’intelletto, è cosa evidente che quanto in esso debbasi mortificare non può essere che qualche disordine o mancanza colpevole, sia per eccesso o per difetto, nell’educazione ed uso del medesimo.

2. L’intelletto è la facoltà che conosce la verità, e siccome questa si consegue quando acquistiamo cognizioni, si deduce che nel raggiungimento di essa ed in quello della scienza consiste la formazione intellettuale. Aver una cura speciale per questa formazione, è la prima cosa e la più importante che dobbiamo fare; poiché l’intelletto è la più elevata e nobile facoltà dell’uomo, ed in un certo senso la più necessaria per la vita. Gl’ignoranti a nulla servono, né a Dio, né al mondo, né al demonio.

3. Nell’acquisto delle cognizioni si può peccare anzitutto per difetto. Esse devono essere certe, chiare e così estese come lo richiede la nostra condizione; bisogna guardarsi dalla superficialità e dalla pigrizia. Tra le cognizioni che dobbiamo acquistare non possono assolutamente mancare le verità religiose, quelle sublimi ed eterne verità (rationes æternæ), che rivelandoci i rapporti che passano tra noi e ciò che ci sta d’attorno, tra il mondo, Dio e l’eternità, ci fanno concepire una retta idea delle cose, idea ché senza dubbio è, l’oggetto più nobile che possa e debba conseguire l’intellettuale formazione; senza quest’idea manca la base ed il laccio d’unione con tutte le altre scienze, e per essa si arriva alla cognizione delle massime cristiane che regolano la vita morale, massime senza le quali l’uomo resterebbe privo di sostegno. Siccome questi fondamenti si basano sulla fede, ne consegue che dessa è ciò che col maggiore impegno dobbiamo conoscere e cercar di tradurre nella vita pratica.

4. D’altra parte, può anche avvenire che qualcuno voglia troppo sapere e studiare, ed allora è necessario reprimere la smoderata brama di penetrar tutto senza distinguere l’utile e necessario dall’inutile, superfluo e pericoloso; come anche di lanciarsi solo per presunzione e vanità in ciò che non si può raggiungere. – Gli antichi designavano in proposito una virtù speciale che chiamavano studiosità, la quale frena e modera la smoderata brama di sapere, ed a ragione; poiché questo vizio trae con sé molti inconvenienti, dei quali il primo è un’eccessiva preponderanza dell’intendimento; e siccome di frequente accade che ciò che pretendiamo di sapere supera le nostre forze intellettuali, risulta o una falsità e disordine di idee e di concetti, o una lamentabile superficialità e confusione. Imperocchè nulla vi ha che preoccupi tanto l’essere nostro, come lo studio e l’investigazione.. Conseguenza d’uno studio esagerato è l’impossessarsi che fa di noi una desolante aridità di cuore, accompagnata da una vera inettitudine di pregare, per nulla dire di un’incresciosa debolezza della volontà, che disgraziatamente patiscono tanti uomini d’ingegno. Dobbiamo, quindi, regolarci colla scienza come coll’alimento corporale; poiché, siccome il troppo mangiare nuoce allo stomaco, così l’esagerato sapere gonfia ed invanisce l’uomo. La scienza non è il bene maggiore che possa darsi; è assai più la verità, senza la quale ogni sapere non è che inganno e menzogna. Perciò alla scienza od all’investigazione non si può concedere incondizionatamente il preteso primato. Insomma, ciò che prima si deve apprendere è il necessario, poi l’utile e finalmente il dilettevole.

5. Guardiamoci, infine, dall’essere rigidi ed inflessibili nei nostri giudizî ed opinioni, poiché alla tenacità non può andare unita la pietà. Questa virtù cammina sempre colla semplicità, col candore e l’umiltà, virtù queste di cui è privo lo spirito pertinace, il quale invece genera dissensioni e rende l’uomo odioso e aborrito. La tenacità di giudizio diventa una specie di fanatismo e non si arrende alla verità; ed è già noto che la cosa migliore che può farsi coi fanatici è di lasciarli soli. – La tenacità di giudizio è nemica d’ogni verità e d’ogni scienza. Non vi fu eresia che in essa non abbia avuto i suoi principî. Non possono frenare l’ostinato né Dio, né la Chiesa; poiché risulta che egli rigetta non soltanto le verità speculative, ma anche le morali, e spesso tutta la scienza della vita pratica che si fonda sul buon senso e la ragionevolezza. Non v’è cosa che sia più opposta alla vita pratica dell’insensatezza, come del pari nulla si dà che più s’avvicini all’insensatezza della tenacità ed ostinazione al proprio parere. – Non crediamo d’essere giunti a far nostre tutte le scienze e di avere l’ultima parola in tutte le questioni; è infinitamente più ciò che ignoriamo di quel che sappiamo. Pensare da sé è buona cosa; ma è anche bene, e spesso meglio, ascoltare ed accettare ciò che dicono gli altri. È buona l’indipendenza, ma a condizione che non sia contro la verità. La conoscenza di sé è il migliore preservativo contro la tenacità di questo giudizio; essa ci rende umili e ragionevoli. I più saggi sono sempre i più docili.

CAPITOLO IX.

La mortificazione della volontà.

I. Si danno tre ragioni per provare l’esistenza somma che ha in sé la mortificazione o formazione della volontà. La prima è perché questa facoltà si presenta tra le principali dell’uomo, il quale, nato per la verità ed il bene, li comprende coll’intelletto e la volontà. La volontà in un certo senso è la facoltà principale; ma cieca in sé e per sé, ha bisogno che l’intelletto le indichi e proponga il bene a cui deve tendere, ed essa ordinariamente vi consente; e dico ordinariamente, perché non è necessità ad abbracciare questo o quel bene, come lo è l’intelletto a conoscere la verità, ma può qualche volta dissentire da ciò che questo le propone. È libera, e come libera che è e dev’esserlo. Nessun uomo e nemmeno Dio potrà mai costringerla. Mercè questa libertà che per scegliere e determinarsi possiede la volontà, essa è così grande ed eccellente, vera immagine dell’indipendenza divina. Il bene ed il male, tutti gli atti morali dipendono dalla volontà e da essa vengono determinati. Per questo la medesima è il pomo di discordia tra Dio e il demonio. Insomma, della felicità o infelicità dell’uomo è la sua propria volontà che decide. – La seconda ragione è la necessità che ha la volontà di essere formata e d’assoggettarsi inoltre ad una severa educazione. Di sua natura è limitata e cieca nelle sue decisioni; in conseguenza del peccato originale fu resa più debole e fiacca. Essa ricevette il primo e principale colpo dal detto peccato e ne sente continuamente gli effetti, parte per la concupiscenza, parte per le tentazioni che le vengono dal di fuori. Or da lacci sì sottili come sono le forze dell’umana volontà stà pendente la felicità dell’uomo. E questa precisamente è la ragione del perché Dio abbia dato molta più virtù alla volontà che non all’intelletto. – La terza ragione è che la volontà umana è sommamente suscettibile di educazione e di formazione; al che si aggiunge che questa educazione riesce molto più utile e vantaggiosa che non quella dell’intelletto. L’uomo può assoggettarsi la volontà, non così l’intelletto. Inoltre, per tutte parti s’incontrano difficoltà che l’intelletto non può superare: la volontà, in cambio, colla grazia di Dio può tutto. E a provarlo abbiamo l’esempio dei Santi, nei quali ciò che vale a canonizzarli è la buona volontà.

2. La mortificazione deve liberare la volontà da tre mancamenti ed eccessi.

Il primo è il disordine e la mancanza di rettitudine nell’intenzione. L’ordine, la rettitudine e la purità d’intenzione consistono nell’assoggettamento e nell’obbedienza della volontà a tutto ciò che la ragione e la coscienza le dettano come buono e necessario; la mancanza di rettitudine, nella resistenza ed insubordinazione contro ciò che come tale riconosce. Questo è il peggior peccato che possa commettere la volontà. Deve, quindi, lasciarsi reggere dalla ragione e dalla coscienza, il che non nuoce alla sua dignità regale. È cieca e deve tener dietro a chi la guida, se non vuol inciampare e cadere; poiché, infine, si assoggetta a Dio, regola suprema di bontà, che le si manifesta mediante la ragione e la coscienza. Sarà perfetta la purità d’intenzione quando la volontà nulla intraprenda né faccia che non sia conforme alla ragione, e operi tutto il bene che le corrisponde.

Il secondo mancamento è la durezza, l’immobilità, l’indecisione, la lentezza nell’operare il bene conosciuto, ed al quale è obbligata. Certamente che bisogna prima pensare ai motivi, ma poi fa d’uopo correre, e correre con sollecitudine ed energia, senza tentennamenti di sorta. Altrimenti potrebbe costar troppo caro il ritardo, poiché può trattarsi talvolta del cielo o dell’inferno.

Il terzo mancamento è la fiacchezza, la poca costanza ed energia, che molte volte derivano da qualche attacco ad alcun bene della terra. E bisogna considerare che questa affezione è sempre una degradante schiavitù, che, oltre ad inceppare la nostra libertà di azione e movimento, ci abbassa e impiccolisce rendendoci ridicoli e degni di compassione. Allora non ci resta altro rimedio che di sradicare e tagliare ciò che ci trattiene. Così si libera il cuore, che ricupera la sua pace e fortezza. L’incostanza della volontà può derivare altresì da pusillanimità o poca energia nel vincere le difficoltà, o dal timore di dover dar mano a maggiori e più difficili imprese. Non ci sfugga dalla memoria: una volontà debole non è fatta per questo mondo, dove non mancano mai croci e contraddizioni; o facciamo noi forse propositi solo per la quiete? Una volontà che non abbia energia per operare e resistere, non è volontà; tutt’al più essa potrebbe servire da banderuola.

3. Mezzo d’educazione della volontà è anzitutto la preghiera, che considerata in sé è una scuola di pazienza, specialmente se si fa in tempo determinato, qualsisiano le circostanze. Oltr’a ciò mediante la preghiera ci viene la grazia, senza la quale non possiamo noi assoggettare la riluttante nostra volontà, né sottrarci alla volubilità e leggerezza sua. – Un altro mezzo è di aver solidi e chiari principî, e di fare propositi risoluti e ben determinati. Se malgrado tali propositi e principî siamo così deboli ed incostanti, che saremmo senza di essi? È anche un buon mezzo avere una norma fissa di vita a cui assoggettarci; poiché ciò che le regole sono pel Religioso, pel secolare è l’orario quotidiano. Ad esso dobbiamo attenerci invariabilmente, e ad esso ritornare se avesse dovuto soffrire qualche turbamento. – Un’ottima occasione per rinvigorire la volontà sono le tentazioni che ci sopravvengono, vere guerre e battaglie in cui si esercita il nostro valore e la nostra costanza; e siccome sono tante e così diverse, possiamo, se sappiamo rintuzzarle con energia, acquistarci col tempo grande fermezza di carattere e copia di solida virtù.  – Un mezzo altresì eccellente per educare la volontà è il vincersi nelle cose piccole e indifferenti che ad ogni passo s’incontrano durante il giorno, le quali, quantunque leggiere, sono molte, e la volontà vi acquista sempre forza. Esigua è la cosa, ma grande l’efficacia.

4. Un’educazione solida, retta e duratura della volontà è oggidì tanto più importante e necessaria, in quanto che si attende più esclusivamente e sovrabbondantemente a formare l’intelletto, lasciando la volontà abbandonata a sé stessa ed a tutte le tempeste, come un arbusto selvatico in campo aperto. E quali ne saranno i risultati? Che più tardi, quando dovrà lottare contro le insorgenti sue passioni, troverassi impotente a resistere. Gli è che nessuno avea pensato di darle un’educazione. Non s’insisterà mai abbastanza sostenendo che non è troppo l’occuparsi nell’educare e rinvigorire la volontà con un metodo chiaro, forte e sodo. Si fa presto ad imparare quello che è necessario per divenire buoni ed utili. Se metà dell’attenzione e fatica che in ciò mettiamo. l’adoperassimo nella formazione della volontà, saremmo presto santi.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO VI – “UBI LUTETIAM”

Questo documento apostolico ha una grande importanza oggi, così come all’epoca, poiché di infiltrati falsi prelati nella Chiesa, almeno in quella apparente, ce n’è a iosa, a cominciare da tutti i falsamente consacrati dai riti sacrileghi e blasfemi di G B. Montini (sedicente Paolo VI), per passare ai fallibilisti gallicani di Ecône senza giurisdizione alcuna e privi di missione canonica, e finire poi nell’arcipelago sedevacantista, luogo variegato popolato da personaggi autoreferenti privi di tutto, ordine, missione, giurisdizione, e nel mondo scismatico dei cani sciolti in talare, girovaganti in cerca di prede da divorare, non solo spiritualmente, ma pure materialmente nei loro beni. Allora c’era un’Autorità liberamente operante che poteva rimuovere censure ed infrazioni varie, ma oggi, che i poteri infernali delle conventicole di perdizione, hanno operato un’eclissi della vera Autorità Apostolica, l’unica che ha potere di rimuovere, come dicevamo, censure o rimettere debiti canonici, per questi poveri disgraziati non resta che fare una dura penitenza per chiedere a Dio, una volta pentiti dei propri misfatti, la grazia di incontrare un delegato pontificio (della vera Chiesa eclissata) capace di assolverli da censure e peccati, possibilmente non in articulo mortis, e far ritorno all’ovile della Chiesa Cattolica, l’unica in cui ci si possa salvare in eterno. Invece la maggior parte di questi poveracci non fa che combattere ancor più la verità evangelica, teologica, canonica, accumulando ogni giorno, in ogni loro atto – come ricorda opportunamente il Sommo Pontefice Pio VI – peccato su peccato, sacrilegio su sacrilegio e coinvolgendo oltretutto i malcapitati loro fedeli settari. Situazione veramente drammatica, nella quale si coglie in pieno la drammatica conseguenza della parola dell’Apostolo delle genti ai fedeli di Tessalonica (2 Tess.: II, 10-11): … mittet illis Deus operationem erroris ut credant mendacio, ut judicentur omnes qui non crediderunt veritati, sed consenserunt iniquitati.

Pio VI
Ubi lutetiam

1. Quando giunse a Parigi l’indulto apostolico relativo ad alcune facoltà straordinarie che Noi concedemmo il 19 marzo scorso a tutti gli Arcivescovi, ai Vescovi e agli amministratori di diocesi di Francia, subito i vostri confratelli abitanti in quella città, che avevano ottenuto quell’indulto a nome di tutto il corpo episcopale, capirono agevolmente che fra le facoltà a loro concesse era stata omessa quella di assolvere gli ecclesiastici estranei e, pensando che questo preciso particolare fosse dovuto ad una dimenticanza, si rivolsero di nuovo a Noi per chiederci che includessimo in una nuova formula anche questa facoltà.

2. Subito dopo i vostri confratelli dichiararono di non sapere se alla facoltà compresa nel primo articolo dello stesso indulto, cioè quella di assolvere chiunque da tutte le censure, sia laici, sia ecclesiastici secolari e regolari dei due sessi, e anche quelli che avevano aderito allo scisma e che avevano prestato giuramento civile perseverando in esso più dei quaranta giorni fissati nella lettera apostolica del 13 aprile dello scorso anno per non incorrere nella sospensione a divinis, fosse aggiunto il potere di assolvere anche gli ecclesiastici intrusi, il crimine dei quali è superiore al delitto di quelli che si sono vincolati soltanto con il giuramento civico e dei quali si è fatta menzione specifica in quell’articolo.

3. In questa incerta situazione, i Vescovi, con devota e scrupolosa cura, dichiararono di non pretendere affatto di superare i limiti delle facoltà loro attribuite, però, ricorrendo di nuovo a Noi per eliminare ogni motivo d’incertezza, Ci fecero capire che desideravano ardentemente che ai Vescovi fosse concessa la facoltà di riottenere per gli intrusi la grazia della Chiesa e di assolverli da ogni condanna, giacché questa facoltà non solo non costituirebbe alcun pericolo, ma potrebbe invece essere di grande utilità per la religione.

4. Questo vostro comportamento, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli è sicuramente degno del più grande apprezzamento, che Noi manifestiamo come già facemmo in altra occasione. Pertanto, pronti e ben disposti ad assecondare le vostre petizioni in tutto ciò che riterremo possa giovare al Signore, siamo venuti nella determinazione di investirvi di un nuovo più ampio potere che corrisponda ai vostri lodevoli intendimenti e contemporaneamente soddisfi alle regole canoniche e alle consuetudini della Chiesa.

5. È tuttavia necessario, prima di ogni cosa, considerare che da ciò che avete puntualmente appreso da Noi nella prima e nella seconda occasione, è evidente che fra le facoltà contenute nell’indulto generale Noi non intendevamo affatto includere quella di assolvere gli ecclesiastici intrusi. L’omissione di questa facoltà non può essere riferita a una dimenticanza. Infatti, rivedendo personalmente la Nostra lettera del 13 aprile 1791, nella quale si faceva menzione non solo del delitto di prestato giuramento civile, ma si era anche parlato dell’altro crimine del quale si erano macchiati gli invasori delle sedi vescovili e parrocchiali, non Ci potevano sfuggire gli aspetti pertinenti sia al primo che al secondo delitto. Se nel primo articolo citato fu da Noi ricordato chiaramente l’uno, e passato sotto silenzio l’altro, si può benissimo arguire che la concessione riguardava il caso di cui avevamo parlato e che quello passato sotto silenzio era riservato unicamente a Noi.

6. D’altra parte non lo cederemo mai ad altri, ma riserveremo solo a Noi il potere di assolvere gl’intrusi; il principale motivo senza dubbio è quello che fra l’una e l’altra infamia si frappone quel divario che è stato avvertito dai vostri stessi confratelli e che è evidente agli occhi di tutti. In realtà, per quanto sia grave il delitto imputato a quelli che, mettendo in mezzo anche il vincolo della Religione, si obbligarono ad osservare una costituzione che, stando al parere di tutto il corpo episcopale francese, così come alla Nostra solenne dichiarazione, è in parte eretica e in parte scismatica, tuttavia un’infamia molto maggiore e ben più grave è perpetrata da chi, deliberatamente e consapevolmente, si accinge ad eseguire ciò che aveva promesso sotto giuramento (cioè sacrilegamente o consacrato secondo il rito, se vescovo; sacrilegamente od ordinato secondo il rito, se prete) ed esercita così una missione e un’autorità illegittime e invade le chiese vescovili o parrocchiali; a tal punto separato da questa Sede Apostolica e dai Vescovi legittimi, accumula giorno per giorno, con velocità inaudita, tanti peccati quanti sono gli atti che compie secondo una giurisdizione illegittima; profana inoltre i più alti Sacramenti; induce miseramente le popolazioni nell’errore; porta nel regno una nuova chiesa costituzionale diversa dalla Chiesa di Gesù Cristo, sia nella sostanza che nelle leggi e nel nome; infine traccia di propria mano un’amplissima strada allo scisma.

Per rimuovere questo stato di cose, era giusto e doveroso ricorrere alla Santa Sede come quella che più di ogni altro subisce ingiustizia, e che può inoltre usare le opportune misure d’indulgenza che non si potrebbero facilmente e regolarmente applicare se la facoltà di assolvere fosse affidata all’arbitrio di molti.

7. Certamente non vi è ignoto, Venerabili Fratelli, quanta severità usava la Chiesa contro i responsabili di tali delitti. Facendo in ogni caso attenzione alla diversità esistente fra quelli che per loro sfortuna discendevano da genitori eretici o scismatici e quelli che, nati da genitori cattolici, passavano volontariamente dalla parte degli eretici, di fronte a quelli nati nell’eresia e nello scisma e a quelli diventati eretici e scismatici, sempre trattò questi ultimi molto più duramente in quanto considerati maggiormente responsabili. Questa severità di comportamento è stata rivolta in modo ancor più rigido contro gli ecclesiastici, tanto che conosciamo le minacce che furono fatte contro di loro, cioè che se qualcuno si fosse rivolto intenzionalmente ad un eretico e ne avesse ricevuto l’ordinazione, sarebbe stato respinto dalla Chiesa.

8. Questa severissima regola della Chiesa ci è ricordata da Sant’Innocenzo I. Scrivendo a Rufo e agli altri Vescovi della Macedonia, egli insegna che il Vescovo o il chierico ordinato nell’eresia o nello scisma o anche che vi sia caduto in seguito, può usufruire solo della comunione laica, secondo le antiche regole che, tramandate dagli Apostoli e dai loro discendenti, la Chiesa Romana custodisce. Anche se i Padri del primo Concilio di Nicea, usato un certo riguardo verso i Novaziani, concessero benevolenza al canone ottavo stabilendo che se i chierici fossero tornati alla Chiesa avrebbero continuato a far parte del clero, e chi era considerato Vescovo nella sua comunità avrebbe mantenuto l’incarico di prete, sempre che al vero Vescovo non fosse piaciuto confermargli la dignità della carica, tuttavia stabilirono che, prima di tutto, avrebbero dovuto, con argomenti più che convincenti, sconfessare il loro errore; inoltre decretarono che da loro fossero rispettate alcune regole, e cioè, in primo luogo: riconoscere, accogliere e seguire tutte le disposizioni e i dogmi della Chiesa cattolica e apostolica; in secondo luogo: riguardo a quelli che nel corso della persecuzione continuarono a cadere in errore fossero osservati gli spazi fissati e i tempi stabiliti per fare la prova del loro ravvedimento, cioè quei quattro gradi di penitenza che, secondo le norme allora vigenti, dovevano precedere la riconciliazione e la riammissione ai Sacramenti; infine, che abbandonassero le chiese occupate e le lasciassero ai legittimi Vescovi. È infatti cosa certa, come dissero i già citati Padri, che solo al Vescovo titolare deve essere riconosciuta la dignità vescovile e che nella stessa città non possono coesistere due vescovi.

9. Quando Rufo, Vescovo di Tessalonica, volle ricevere, in forza di questo canone di Nicea, i chierici ordinati dai Vescovi Fotiniani e, al riguardo, chiese consiglio a Sant’Innocenzo I, il Pontefice rispose: “Posso dire che questa prescrizione si riferisce solo ai Novaziani e che non può riguardare gli altri chierici eretici. Infatti, se avessero voluto comprendere tutti, avrebbero aggiunto ai Novaziani gli altri eretici pentiti per farli riammettere nel loro ordine“.Senza dubbio il Santo Pontefice, in questa occasione, stabilì che non si può presentare con caratteristiche generali un condono applicato una volta tanto, ed è abbastanza evidente che fu quasi un atto amministrativo “come rimedio e necessità del momento“.

10. Non fu diversa l’opinione di San Girolamo. Infatti, parlando al Sinodo di Rimini dei Vescovi caduti in errore, dichiarò che essi, spogliati delle prerogative episcopali, dovessero essere riportati allo stato laicale per piangere in eterno sul loro delitto. Tuttavia il Santo Dottore osservava che si poteva moderare alquanto questo rigore. Perché tale clemenza fosse accompagnata da regole precise, nel Sinodo di Alessandria, al quale intervennero S. Atanasio, S. Ilario di Poitiers S. Eusebio di Vercelli, si ritenne di stabilire che verso i principali delitti e i relativi responsabili, dei quali non si poteva scusare l’errore, si conservasse intatta l’antica regola e che gli altri pentiti sinceri si potessero associare alla Chiesa. Tutta la Chiesa Romana Occidentale diede il suo consenso, come conferma lo stesso San Girolamo.

11. Non ci discosteremo minimamente dall’equità e dall’indulgenza, accettate in seguito dalla Chiesa, se, rispondendo alla vostra domanda generica sulla facoltà di assolvere gli intrusi, distingueremo i preti e gli altri ecclesiastici di ordine inferiore dagli Arcivescovi e dai Vescovi di ordine superiore. Ai preti e agli altri ecclesiastici, in quanto spetti, da Noi inclusi nella quarta e quinta classe della lettera apostolica del 19 marzo scorso, concediamo per un anno, a ciascuno, diletti figli Nostri e Venerabili Fratelli, la facoltà di assolvere direttamente o per mezzo di preti da voi incaricati, tutti coloro che, ordinati sia illegittimamente, sia legittimamente, occuparono un’intera parrocchia o anche una sola parte e, delegati da Vescovi intrusi, vi esercitarono atti ufficiali, e di riportarli in seno alla Chiesa di modo che, rispettando l’indulgenza del predetto canone ottavo del Concilio di Nicea, possano rimanere nel clero.

12. E perché tali assoluzioni non siano elargite inconsultamente o non siano discordanti tra loro. Ci uniformeremo al suddetto Concilio di Nicea e ai principi più favorevoli della disciplina ecclesiastica: ordiniamo che nessuno degli intrusi sia assolto se prima non abbia sconfessato per iscritto il giuramento civico e gli errori contenuti nella Costituzione civile del clero francese e non abbia dichiarato specificamente che le ordinazioni ricevute o concesse dagli intrusi sono sacrileghe, che l’autorità da loro conferita non è valida, che l’intrusione è iniqua e nulla, così come gli atti che ne sono derivati, e non abbia promesso con giuramento di obbedire a questa Sede Apostolica e ai legittimi Vescovi, e infine che abbia realmente rinunciato alla parrocchia o alla parte di essa occupata; rinuncia e abdicazione debbono essere pubbliche così come fu pubblica la colpa, imponendo a ciascuno di essi “secondo ciò che suggeriranno il sentimento e la saggezza – come dicono i Padri Tridentini – delle soddisfazioni salutari e adatte alla qualità del delitto e alla condizione dei penitenti“, in sostituzione dei gradi della penitenza pubblica che, vigente al tempo del Concilio di Nicea, è stata più tardi mitigata dalla benevolenza della Chiesa. Riserviamo a Noi la facoltà di permettere, a quelli che saranno assolti, di avere e di conservare i benefici e le parrocchie da loro occupati e posseduti illegalmente.

13. Mentre vi concediamo questa più ampia facoltà di assolvere anche gli ecclesiastici di ordine inferiore dall’infame sacrilegio dell’intrusione, per la verità non possiamo non rivolgerci ancora paternamente a voi e a quei tali ecclesiastici. A voi, ripetiamo, affinché usiate con cautela la facoltà concessa a scopo di edificazione e osserviate scrupolosamente quelle condizioni che vi sono state prescritte; agli ecclesiastici pentiti, perché si avvalgano con animo riconoscente della nostra indulgenza, senza simulazione alcuna, in quanto non sarebbe per loro di nessun vantaggio, ma li spingerebbe verso una rovina maggiore. Infatti, assolti davanti alla Chiesa, non lo sarebbero affatto davanti a Dio e trasformerebbero il rimedio in veleno. Se quelli che rinnegano se stessi non possiedono lo Spirito Santo, certamente non lo potrà ricevere chi sta falsamente nella Chiesa, poiché sta scritto: “Lo Spirito Santo rifugge dal falso“. Perciò, chi vuole possedere lo Spirito Santo, si guardi dall’entrare nella Chiesa sotto mentite spoglie; ma se già vi entrò così, eviti di persistere in tale simulazione, se vuole rimanere strettamente unito all’albero della vita.

14. Inoltre, al fine di rimuovere ogni ambiguità, aggiungiamo che i poteri compresi nel già citato indulto generale, nonché quelli contenuti in questa lettera, si intendano concessi sia agli Arcivescovi e ai Vescovi francesi, sia agli stranieri le cui popolazioni e diocesi si estendono nel regno di Francia

15. Altresì, per quanto riguarda gli Arcivescovi e i Vescovi dell’ordine ecclesiastico superiore, siano consacratori e assistenti, o essi stessi intrusi o anche solo vincolati dal giuramento civico, fanno tutti parte della prima, seconda e terza classe della Nostra lettera del 19 marzo scorso, e riteniamo sia opportuno riservare unicamente a Noi e ai Nostri successori la facoltà di assolverli. Sulla loro defezione, infatti, ricade un giudizio che è molto più grave degli altri e li supera di gran lunga, dal momento che alcuni di loro sono i capi di tutta l’infame situazione; tutti possono veramente essere considerati gli autori del fatale scisma che imperversa rovinosamente per tutto codesto regno, tanto più che, secondo i ricordati canoni, meritano che contro di loro si proceda con maggior rigore. Tuttavia non vogliamo certamente che per questa riserva il loro animo si abbatta e s’infranga, ma desideriamo ardentemente che la loro fiducia si risollevi tanto da rivolgersi verso la Madre comune e rifugiarsi prontamente nel suo seno. Se poi il loro pentimento sarà sincero e vorranno condannare con convincenti riparazioni i loro misfatti e rinunciare alle chiese occupate, Noi, e l’abbiamo già dichiarato col Papa San Leone e allo stesso modo lo dichiariamo di nuovo, li accoglieremo a braccia aperte e li chiameremo a godere, in concordia, della pace e della Nostra comunione. Le Nostre come le vostre intenzioni non mirano ad altro che a ricondurre all’ovile i dispersi, a porre finalmente termine allo scisma, come ininterrottamente supplichiamo in lacrime Dio Ottimo Massimo.

16. Dopo tutto ciò, se mai ce ne fosse bisogno, vi informeremo su un certo scritto che Ci è stato appena ora trasmesso. Si tratta di uno scritto che gli scismatici, non sperando più di poter difendere oltre la loro autorità, disprezzata da tutti e ormai annientata, hanno avuto l’ardire di divulgare con il Nostro nome sotto il titolo di Breve, redatto in lingua francese e tedesca e, in più, come se fosse dato “a Roma, presso Santa Maria Maggiore, sotto l’anello del pescatore, il giorno 2 aprile del 1792“, cioè quattordici giorni dopo l’ultima Nostra lettera scritta il giorno 19 del marzo scorso. Questo falso Breve, il cui inizio è “Il Nostro cuore paterno“,con inaudita temerarietà dichiara false tutte le lettere apostoliche da Noi redatte e pubblicate contro la Costituzione civile del clero francese; i suoi autori e sostenitori spogliano questa Santa Sede del suo primato giurisdizionale, continuano a celebrare con infinite lodi tutta la Costituzione, esortando le popolazioni ad obbedire ai Vescovi e ai parroci costituzionali.

17. Oh, malaugurata astuzia! come se non fosse evidente a tutti il tono falso e calunnioso di questo scritto, sia guardando il luogo da dove si finge che sia stato emesso – Noi il giorno 2 del mese di aprile abitavamo, come del resto tuttora, non a Santa Maria Maggiore, ma in San Pietro – sia considerando l’intero contesto e il nesso del discorso così come è stato concepito. Infatti, usando il solito linguaggio ingannatore a loro tanto familiare, non aggiungono alcun argomento che non sia stato cento volte controbattuto e respinto e, altrettanto a ragione, si può dire che in quel testo vi sono tanti errori quante sono le parole. Nondimeno, perché gli ingenui non siano ingannati, Noi, coerenti con quello che dicemmo nell’ultima Nostra Lettera contro siffatti documenti perversi, dichiariamo quello scritto falso, immaginario, calunnioso, eretico e scismatico, perciò lo respingiamo, lo riproviamo e lo condanniamo. Quanto più grandi sono le frodi dei Nostri avversari, maggiore deve essere la Nostra e la vostra vigilanza. Questa vi raccomandiamo più che mai e, per il momento, a voi, diletti figli e Venerabili Fratelli e ai greggi affidati alle vostre cure impartiamo con grande affetto l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 13 giugno 1792, anno diciottesimo del Nostro Pontificato

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2021)

DOMENICA V DOPO PENTECOSTE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti venti.

La liturgia di questa Domenica è consacrata al perdono delle offese. La lettura evangelica mette in risalto questa lezione non meno che quella d’un passo delle Epistole di S. Pietro, la cui festa è celebra in questo tempo: infatti la settimana della V Domenica di Pentecoste era in altri tempi detta settimana dopo la festa degli Apostoli.

Quando David riportò la sua vittoria su Golia, il popolo d’Israele ritornò trionfante nelle sue città e al suono dei tamburi cantò: «Saul ha ucciso mille e David diecimila! ». Il re Saul allora si adirò e la gelosia lo colpì. Egli pensava: « Io mille e David diecimila: David è dunque superiore a me? Che cosa gli manca ormai se non d’essere re al mio posto? » Da quel giorno lo guardò con occhio malevolo come se avesse indovinato che David era stato scelto da Dio. Così la gelosia rese Saul cattivo. Per due volte mentre David suonava la cetra per calmare i suoi furori, Saul gli lanciò contro il giavellotto e per due volte David evitò il colpo con agilità, mentre il giavellotto andava a conficcarsi nel muro. Allora Saul lo mandò a combattere, sperando che sarebbe rimasto ucciso. Ma David vittorioso tornò sano e salvo alla testa dell’esercito. Saul allora ancor più perseguitò David. Una sera entrò in una  caverna profonda e scura, ove già si trovava David. Uno dei compagni disse a quest’ultimo: « È il re. Il Signore te lo consegna, ecco il momento di ucciderlo con la tua lancia ». Ma David rispose: « Io non colpirò giammai colui che ha ricevuto la santa unzione e tagliò solamente con la sua spada un lembo del mantello di Saul e uscì. All’alba mostrò da lontano a Saul il lembo del suo mantello. Saul pianse e disse: « Figlio mio, David, tu sei migliore di me ». Un’altra volta ancora David lo sorprese di notte addormentato profondamente, con la lancia fissata in terra, al suo capezzale e non gli prese altro che la lancia e la sua ciotola. E Saul lo benedisse di nuovo; ma non smise per questo di perseguitarlo. Più tardi i Filistei ricominciarono la guerra e gli Israeliti furono sconfitti; Saul allora si uccise gettandosi sulla spada. Quando apprese la morte di Saul non si rallegrò ma, anzi, si stracciò le vesti, fece uccidere l’Amalecita che, attribuendosi falsamente il merito di avere ucciso il nemico di David, gli annunciò la morte apportandogli la corona di Saul, e cantò questo canto funebre: « O montagne di Gelboe, non scenda più su di voi né rugiada, né pioggia, o montagne perfide! Poiché su voi sono caduti gli eroi di Israele, Saul e Gionata, amabili e graziosi, né in vita, né in morte non furono separati l’uno dall’altro » (Bisogna riaccostare questo testo a quello nel quale la Chiesa dice, in questo tempo, che S Pietro e S. Paolo sono morti nello stesso giorno). – Da tutta questa considerazione nasce una grande lezione di carità, poiché come David ha risparmiato il suo nemico Saul e gli ha reso bene per male, così Dio perdona anche ai Giudei; non ostante la loro infedeltà, è sempre pronto ad accoglierli nel regno ove Cristo, loro vittima, è il Re. Si comprende allora la ragione della scelta dell’Epistola e del Vangelo di questo giorno: predicano il grande dovere del perdono delle ingiurie « Siate dunque uniti di cuore nella preghiera, non rendendo male per bene, né offesa per offesa » dice l’Epistola. « Se tu presenti la tua offerta all’altare, dice il Vangelo, e ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia la tua offerta davanti all’altare, e va prima a riconciliarti con tuo fratello ». — David, unto re di Israele, dagli anziani a Ebron, prende la cittadella di Sion che divenne la sua città, e vi pose l’arca di Dio nel santuario (Com.). Fu questa la ricompensa della sua grande carità, virtù indispensabile perché il culto degli uomini nel santuario sia gradito a Dio (id.). Ed è per questo che l’Epistola e il Vangelo ribadiscono che è soprattutto quando noi ci riuniamo per la preghiera che dobbiamo essere uniti di cuore. Senza dubbio la giustizia di Dio ha i suoi diritti, come lo mostrano la storia di Saul e la Messa di oggi, ma se esprime una sentenza, che è un giudizio finale, è soltanto dopo che Dio ha adoperato tutti i mezzi ispirati dal suo amore. Il miglior mezzo per arrivare a possedere questa carità è d’amare Dio e di desiderare 1 beni eterni (Or.) e il possesso della felicità (Epist.) nella dimora celeste (Com.), ove non si entra se non mediante la pratica continua di questa bella virtù.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXVI: 7; 9 Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Ps XXVI: 1 Dóminus illuminátio mea et salus mea, quem timébo?

[Il Signore è mia luce e mia salvezza, chi temerò?]

Exáudi, Dómine, vocem meam, qua clamávi ad te: adjútor meus esto, ne derelínquas me neque despícias me, Deus, salutáris meus.

[Esaudisci, o Signore, l’invocazione con cui a Te mi rivolgo, sii il mio aiuto, non abbandonarmi, non disprezzarmi, o Dio mia salvezza.].

Oratio

Orémus.

Deus, qui diligéntibus te bona invisibília præparásti: infúnde córdibus nostris tui amóris afféctum; ut te in ómnibus et super ómnia diligéntes, promissiónes tuas, quæ omne desidérium súperant, consequámur.

[O Dio, che a quanti Ti amano preparasti beni invisibili, infondi nel nostro cuore la tenerezza del tuo amore, affinché, amandoti in tutto e sopra tutto, conseguiamo quei beni da Te promessi, che sorpassano ogni desiderio.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet III: 8-15

“Caríssimi: Omnes unánimes in oratióne estóte, compatiéntes, fraternitátis amatóres, misericórdes, modésti, húmiles: non reddéntes malum pro malo, nec maledíctum pro maledícto, sed e contrário benedicéntes: quia in hoc vocáti estis, ut benedictiónem hereditáte possideátis. Qui enim vult vitam dilígere et dies vidére bonos, coérceat linguam suam a malo, et lábia ejus ne loquántur dolum. Declínet a malo, et fáciat bonum: inquírat pacem, et sequátur eam. Quia óculi Dómini super justos, et aures ejus in preces eórum: vultus autem Dómini super faciéntes mala. Et quis est, qui vobis nóceat, si boni æmulatóres fuéritis? Sed et si quid patímini propter justítiam, beáti. Timórem autem eórum ne timuéritis: et non conturbémini. Dóminum autem Christum sanctificáte in córdibus vestris.”

“Carissimi: Siate tutti uniti nella preghiera, compassionevoli, amanti dei fratelli, misericordiosi, modesti, umili: non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario benedite, poiché siete stati chiamati a questo: a ereditare la benedizione. In vero, chi vuole amare la vita e vedere giorni felici raffreni la sua lingua dal male e le sue labbra dal tesser frodi. Schivi il male e faccia il bene, cerchi la pace e si sforzi di raggiungerla. Perché gli occhi del Signore sono rivolti al giusto e le orecchie di lui alle loro preghiere. Ma la faccia del Signore è contro coloro che fanno il male. E chi potrebbe farvi del male se sarete zelanti del bene! E arche aveste a patire per la giustizia, beati voi! Non temete la loro minaccia, e non vi turbate: santificate nei vostri cuori Gesù Cristo”.

Anche l’Epistola di quest’oggi è tolta dalla I. lettera di S. Pietro. È naturale che, scrivendo ai Cristiani dispersi dell’Asia minore, tenga sempre presente la condizione in cui si trovano: sono pochi fedeli tra numerosi pagani, e sono sotto la persecuzione di Nerone. Come devono diportarsi? devono vivere in stretta unione fra di loro, mediante la misericordia, la compassione, la condiscendenza; essendo stati chiamati al Cristianesimo a render bene per male, affinché abbiano per eredità la benedizione celeste. Non trattino con la stessa misura quelli che fanno loro del male. La vita felice è per chi raffrena la lingua, evita il male e procura di aver pace con il prossimo. Del resto i giusti non sono abbandonati dal Signore, e nessuno può loro nuocere, se sono zelanti del bene. Quanto alla persecuzione, beati loro se hanno a soffrire qualche cosa per la religione cristiana. Siano, quindi, calmi, senza ombra di timore: onorino, invece, e temano Gesù Cristo. Anche noi, dobbiamo procurare di vivere una vita felice, per quanto è possibile tra le miserie e le persecuzioni di questo mondo. Sforziamoci di vivere in pace, ciò che ci è possibile con l’aiuto di Dio, anche tra le tempeste di quaggiù.

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

Graduale

Ps LXXXIII: 10; 9

Protéctor noster, áspice, Deus, et réspice super servos tuos.

[O Dio, nostro protettore, volgi il tuo sguardo a noi, tuoi servi]

V. Dómine, Deus virtútum, exáudi preces servórum tuórum. Allelúja, allelúja

[O Signore, Dio degli eserciti, esaudisci le preghiere dei tuoi servi. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps XX: 1

Alleluja, alleluja Dómine, in virtúte tua lætábitur rex: et super salutáre tuum exsultábit veheménter. Allelúja.

[O Signore, nella tua potenza si allieta il re; e quanto esulta per il tuo soccorso! Allelúia].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthæum.

Matt. V: 20-24

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Nisi abundáverit justítia vestra plus quam scribárum et pharisæórum, non intrábitis in regnum coelórum. Audístis, quia dictum est antíquis: Non occídes: qui autem occídent, reus erit judício. Ego autem dico vobis: quia omnis, qui iráscitur fratri suo, reus erit judício. Qui autem díxerit fratri suo, raca: reus erit concílio. Qui autem díxerit, fatue: reus erit gehénnæ ignis Si ergo offers munus tuum ad altáre, et ibi recordátus fúeris, quia frater tuus habet áliquid advérsum te: relínque ibi munus tuum ante altáre et vade prius reconciliári fratri tuo: et tunc véniens ófferes munus tuum.”

(In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli: Se la vostra giustizia non sarà stata più grande di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel Regno dei Cieli. Avete sentito che è stato detto agli antichi: Non uccidere; chi infatti avrà ucciso sarà condannato in giudizio. Ma io vi dico che chiunque si adira col fratello sarà condannato in giudizio. Chi avrà detto a suo fratello: raca, imbecille, sarà condannato nel Sinedrio. E chi gli avrà detto: pazzo; sarà condannato al fuoco della geenna. Se dunque porti la tua offerta all’altare e allora ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia la tua offerta all’altare e va prima a riconciliarti con tuo fratello, e poi, ritornato, fa la tua offerta).

Omelia

[da: DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933.

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.]

Sul secondo Comandamento di Dio. Non nominare il nome di Dio invano.

Fa gran meraviglia, F. M., che Dio sia obbligato a farci un comando per proibirci di profanare il suo santo Nome. È possibile concepire che vi possano essere Cristiani i quali si abbandonino talmente al demonio, da diventare nelle sue mani strumento per maledire un Dio sì buono e sì benefico? E possibile che una lingua, consacrata a Dio nel santo Battesimo, bagnata tante volte dal suo Sangue adorabile, sia adoperata per maledire il suo Creatore? Potrebbe fare una cosa simile chi crede davvero che Dio non gliel’ha data che per benedirlo e cantare le sue lodi? Voi converrete meco che questo è un delitto spaventoso che sembra costringere Dio a schiacciarci con ogni sorta di sventure, e ad abbandonarci al demonio, al quale obbediamo con tanto zelo. Questo delitto fa rizzare i capelli a chiunque non abbia ancor perduto interamente la fede. Tuttavia, malgrado la gravità di questo peccato, malgrado il suo orrore e la sua atrocità, vi è forse un peccato più comune del giuramento, della bestemmia, dell’imprecazione, della maledizione? Non abbiamo forse il dolore di sentire spesso uscire dalla bocca di fanciulli, che non sanno ancora bene il Pater noster, bestemmie così enormi da attirare ogni sorta di maledizioni su una parrocchia? Io vi mostrerò adunque, F. M., che cosa s’intenda per giuramento, per bestemmia, rinnegazione, imprecazione e maledizione. E voi intanto dormite, dormite profondamente mentre io parlo, affinché nel giorno del giudizio abbiate la scusa di aver fatto il male senza sapere cosa facevate, e la vostra ignoranza sia il solo motivo della vostra condanna.

I. — Per farvi comprendere la gravità di questo peccato, bisognerebbe, ch’io potessi farvi comprendere la gravità dell’oltraggio ch’esso arreca a Dio; ciò che non sarà mai dato a un essere mortale. No. M. F., non c’è che l’inferno, non c’è che la collera, la potenza e il furore di un Dio, tutti adunati sopra quei mostri infernali, che possano far comprendere la grandezza della sua atrocità. No, no, F. M., più innanzi: per questo peccato ci vuole davvero un inferno eterno. D’altra parte, non è il mio assunto: io voglio soltanto farvi conoscere la differenza che passa tra il giuramento, la bestemmia, la rinnegazione, l’imprecazione, la maledizione e le parole grossolane. Molti le confondono e prendono una cosa per l’altra; ragione per cui non si confessano quasi mai, come si deve, e si espongono perciò a far cattive confessioni e, per conseguenza, a dannarsi.

Il secondo comandamento, suona così: “Non usare invano il Nome del Signore tuo Dio, „ come se il Signore ci dicesse: “Io vi ordino e vi comando di riverire questo Nome, perché santo e adorabile; Io vi proibisco di profanarlo, adoperandolo per autorizzare l’ingiustizia, la menzogna, o anche la verità, ma quando non c’è una ragione sufficiente, „ e Gesù Cristo ci dice di non giurare assolutamente. Io dico in primo luogo, che le persone poco istruite, confondono spesso la bestemmia col giuramento. Uno sciagurato, in un momento di collera, o, meglio, di furore, dirà: “Dio non è giusto facendomi soffrire o perdere questa cosa.„ Con ciò egli ha rinnegato il buon Dio; eppure s’accuserà dicendo: “Padre, mi accuso d’aver giurato, „ invece si tratta di una bestemmia, non di un giuramento. Uno sarà falsamente accusato di un fallo, che non ha commesso: per giustificarsi dirà: “Se io ho fatto ciò, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno,,. Non è un giuramento, ma un’orribile imprecazione. Ecco due peccati non meno gravi del giuramento. Un altro che avrà dato al suo vicino del ladro o del furfante, s’accuserà « d’aver giurato dietro al suo vicino. » Ora, ciò non è un giurare, ma un ingiuriarlo. Un altro, dirà parole sconce e disoneste, e si accuserà “d’aver detto cattive espressioni.„ V’ingannate; bisogna confessare che avete detto delle oscenità. Ecco, F. M., che cosa è il giuramento: è un prendere il buon Dio per testimonio di ciò che si dice o promette; e lo spergiuro è un giuramento falso, cioè quando si giura per garantire una menzogna. Il Nome del buon Dio è sì santo, sì grande, sì adorabile che gli Angeli e i santi, ci dice S. Giovanni, non fanno altro in cielo che cantare: « Santo, santo, santo il Dio degli eserciti: sia benedetto il suo Nome per tutti i secoli dei secoli ! » Quando la santa Vergine andò a visitare la cugina Elisabetta e questa santa le disse: “Quanto sei tu fortunata di essere stata eletta Madre di Dio, „ la santa Vergine le rispose: « Colui che è onnipotente e il Nome del quale è santo, ha operato in me grandi cose. „ Noi dovremmo adunque, F. M., aver gran rispetto per il Nome del buon Dio e non pronunciarlo mai se non colla massima venerazione, e molto meno pronunciarlo invano. S. Tommaso ci dice che pronunciare il Nome di Dio invano, è un peccato grave; e che non è un peccato come gli altri. Negli altri peccati la leggerezza della materia può diminuire l’atrocità e la malizia, e, bene spesso ciò che per sua natura sarebbe peccato mortale non è che veniale; come il furto, che è un peccato mortale; ma se si tratta di poca cosa, come due o tre soldi, non sarà che veniale. La collera e la gola sono peccati mortali, ma una piccola collera o una piccola golosità sono semplicemente veniali. Non è così per il giuramento: qui più la materia è leggiera più la profanazione è grande! (Ogni bestemmia ha in sé la materia d’un peccato mortale, perché essa è un’ingiuria alla Maestà divina, e questa ingiuria non ammette parvità di materia per ragione della sovrana dignità di Dio. Il peccato adunque non può diventar veniale se non per difetto d’attenzione o di consenso). Perché? Perché più leggiera è la materia, e più grande è la profanazione. Se uno pregasse il re di fargli da testimonio in una sciocchezza, non sarebbe un burlarsi dì lui e un disprezzarlo? Il buon Dio ci dice che chi giurerà nel suo Nome sarà rigorosamente punito. Leggiamo nella santa Scrittura che, ai tempi di Mosè, c’erano due uomini, di cui uno giurò nel Nome santo del Signore. Subito fu preso e condotto a Mosè, il quale domandò al Signore che cosa dovesse farne. E il Signore gli disse di condurlo in un campo e comandare a tutti quelli ch’erano stati testimoni di questa bestemmia di mettergli la mano sul capo e ucciderlo, per togliere questo bestemmiatore di mezzo al suo popolo (Lev. XXIV, 14).  Lo Spirito Santo ci dice ancora che la casa di chi è avvezzo a giurare sarà piena di iniquità e non ne uscirà la maledizione fin che non sia distrutta (Eccli. XXIII, 12). Il Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di non giurare ne per il cielo né per la terra, poiché né l’uno né l’altra ci appartengono. Quando vorrete assicurare gli altri di una cosa, dite: “È così, o non è così; sì o no; l’ho fatto o non l’ho fatto; il di più vien tutto dal demonio (Matth. V, 34-37).„ D’altra parte chi ha l’abitudine di giurare è di solito impetuoso, attaccato al proprio giudizio, e giura sempre, per la verità come per la menzogna. — Ma. si dirà, se non giuro, non mi si crede. — V’ingannate; non si crede mai così poco come a uno che giura, perché ciò fa supporre in lui nessuna Religione, e chi non ha religione non è degno di esser creduto. Ci sono alcuni che non sanno vendere la minima cosa senza giurare, quasi che il loro giuramento facesse diventar buona la loro merce. Quando si vede un mercante che, per vendere, giura, bisogna pensar subito ch’egli non ha fede, e quindi mettersi in guardia per non lasciarsi ingannare. I suoi giuramenti fanno orrore e non gli si crede. Invece se uno non giura, noi crederemo a ciò che dice. – Leggiamo nella storia un esempio riportato dal cardinale Bellarmino, il quale ci mostra come il giuramento non giova a niente. C’erano in Colonia, dice egli, due mercanti che pareva non potessero vendere senza giurare. Il loro pastore li esortò fortemente a lasciare quest’abitudine assicurandoli che, ben lungi dal perderci, ci avrebbero guadagnato molto. Essi seguirono il suo consiglio. Ma, per qualche tempo, non vendettero molto. Allora andarono a trovare il loro pastore e gli dissero che non vendevano tanto quanto egli aveva fatto loro sperare. Il pastore disse loro: « Abbiate pazienza, miei figliuoli: siate sicuri che Dio vi benedirà. „ Infatti, dopo qualche tempo il concorso fu sì grande che pareva dessero la merce per niente. Essi stessi riconoscevano che il buon Dio li benediceva in un modo particolare. — Lo stesso cardinale ci dice che c’era una buona madre di famiglia che aveva una gran abitudine di giurare: a forza di farle capire quanto questi giuramenti erano indegni d’una madre e che ella non faceva altro che attirare la maledizione di Dio sulla sua casa, riuscì a correggersi completamente; e allora confessò ella stessa che, da quando aveva perduta questa cattiva abitudine, vedeva che tutto le riusciva bene e che Dio la benediceva in modo affatto particolare. Volete voi, F. M., esser felici nella vostra vita e che Dio benedica le vostre case? Guardatevi dal giurare e vedrete che tutto vi riuscirà bene. Iddio ci dice che, sulla casa in cui regnerà il giuramento, piomberà la maledizione del Signore e la distruggerà. E perché, M. F., v’abbandonerete al giuramento, se il buon Dio lo proibisce sotto pena di renderci infelici in questa vita e riprovarci nell’altra? Ahimè! come conosciamo poco ciò che facciamo! Ebbene: lo conosceremo un giorno; ma troppo tardi! In secondo luogo, dico che vi è un giuramento anche più cattivo, ed è quando al giuramento si aggiungono parole di esecrazione, cosa che fa tremare; come gli sciagurati che dicono: “Se ciò che dico non è vero, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno! „ Ah! disgraziati! voi rischiate purtroppo di non vederla mai. Altri dicono: “Se ciò non è vero, ch’io perda il mio posto in paradiso! Dio mi danni! o che il demonio mi porti via ! … „ Ah! vecchio indurito! il demonio ti porterà con sé purtroppo, senza che tu ti dia anticipatamente a lui. Quanti altri hanno sempre il demonio in bocca, alla minima cosa che non vada loro a genio. – Diavolo d’un ragazzo!… diavolo d’una bestia!… diavolo d’un lavoro!… „ Ahimè! chi ha sì spesso il demonio in bocca, c’è ben da temere l’abbia anche nel cuore. Quanti altri non sanno che dire : “Si, per fede mia!… no, in fede mia! … cane d’un ragazzo!… „ oppure anche: “In verità!… sulla mia coscienza!… sulla mia fede di Cristiano!… „ C’è un’altra specie di giuramenti, di maledizioni, che nessuno pensa di confessare, e sono quelli che si fanno in cuore. C’è di quelli che credono che, perché non lo dicono con la bocca, non ci sia niente di male. Ma v’ingannate assai, amici miei. Avviene che qualcuno faccia qualche danno alle nostre terre o altrove qualche guasto? Voi imprecate loro nel vostro cuore, e li maledite dicendo:  « Almeno il diavolo se li portasse via!… che il fulmine li schiacci!… che queste rape o quelle patate li avvelenino mentre le mangiano!… „ E questi pensieri li conservate a lungo nei vostri cuori! E credete forse che, perché non li manifestate con la bocca, non siano nulla! Sono peccati gravi, miei amici, e bisogna pur che ve ne confessiate, altrimenti andrete perduti! Ahimè! quanto pochi conoscono lo stato della loro povera anima, quale apparisce agli occhi di Dio! In terzo luogo, ci sono altri, ancor più colpevoli, i quali giurano non solo per cose vere, ma anche per cose false. Ah! se voi poteste comprendere quanto la vostra empietà disprezza allora Iddio, non avreste, certo, mai il coraggio di commetterla. Voi vi comportate allora con Dio, come un vile schiavo che dica al suo re: « Sire, è necessario che mi facciate da falso testimonio. » Ciò non vi fa orrore, M. F.? Il Signore ci dice nella santa Scrittura: « Siate santi, poiché Io sono santo. Non mentite, non ingannate il prossimo, non spergiurate prendendo il nome del Signore vostro Dio a testimoniare una menzogna; non profanate il nome del Signore. » S. Giovanni Crisostomo ci dice: « Se è già un gran peccato giurare per una cosa vera, quale sarà la gravità del delitto di colui che giura il falso, per garantire la menzogna? » Lo Spirito Santo ci dice che il bugiardo perirà. Il profeta Zaccaria ci assicura che la maledizione verrà sulla casa di colui che giurerà il falso, e vi resterà finche quella casa sia abbattuta e distrutta. – S. Agostino ci dice che lo spergiuro è un grave delitto, una bestia feroce che fa uno strazio spaventoso. E ciò che rende ancor più grave questo peccato è che ci son di quelli che, al falso giuramento, aggiungono una bestemmia d’imprecazione. « Se ciò non è vero ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno!… che Dio mi danni!… che il demonio mi porti via! … » Ah! sciagurati! se il buon Dio v’avesse preso in parola, dove sareste voi ora? Da quanti anni non brucereste nell’inferno! Dite, F. M., è possibile concepire che un Cristiano possa rendersi colpevole d’un tal delitto, di una così grande mostruosità? O mio Dio! Un verme della terra spingere la sua barbarie a un tal eccesso? No, no, F. M., ciò è assolutamente inconcepibile in un Cristiano. Dovete altresì esaminarvi se abbiate avuto l’intenzione di giurare semplicemente, ovvero di giurare il falso, e quanti giorni abbiate mantenuto questo pensiero; vale a dire quanto tempo siete stati nella disposizione di farlo. Buona parte dei Cristiani a questo non bada neppure, sebbene sia un peccato grave. — Ma, mi direte voi, è vero che ci avevo pensato, ma non l’ho fatto. — Voi non l’avete fatto, ma il vostro cuore sì; e, poiché siete ancora nella disposizione di farlo, voi siete colpevole dinanzi a Dio. Ahimè! Povera religione! quanto poco sei conosciuta! Abbiamo nella storia un esempio terribile del castigo che spetta a coloro che giurano il falso. Ai tempi di S. Narciso, vescovo di Gerusalemme, tre giovani libertini, che s’abbandonavano alla disonestà, calunniarono orribilmente il loro santo Vescovo, accusandolo dei loro propri delitti, nella speranza che egli non avrebbe osato riprenderli delle colpe loro. Si presentarono davanti ai giudici dicendo che il Vescovo aveva commesso tale peccato. Il primo disse: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser soffocato! „ Il secondo: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser bruciato vivo! » Il terzo: « Se ciò non è vero, ch’io perda la vista! » — Ahimè! la giustizia di Dio non tardò a punirli: il primo fu davvero soffocato e morì miseramente; il secondo bruciò vivo nella sua casa, incendiata da un razzo di fuochi d’artifizio durante una festa che si faceva in città; il terzo, benché punito, fu meno infelice degli altri: egli riconobbe il proprio fallo, ne fece penitenza e ne pianse tanto che perdette la vista. — Un altro esempio, non meno terribile. Leggiamo nella storia: essendo re d’Inghilterra S. Edoardo, il conte Gondevino, suo suocero, era sì geloso e orgoglioso che non voleva soffrire alcuno vicino al re. Il re un giorno gli rinfacciò ch’egli aveva partecipato alla morte di suo fratello. « Se ciò è vero, rispose il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Il re prese il pane e lo benedisse senza dubitare di nulla. L’altro mangiò; ma il boccone gli si fermò in gola, lo soffocò, sicché lo spergiuro morì sull’istante. — Dopo questi terribili esempi, convenite meco, F. M., che questo peccato dev’essere ben mostruoso agli occhi di Dio, se Egli lo punisce così terribilmente. Ci sono anche padri e madri, padroni e padrone che hanno sempre in bocca di queste frasi: “Carogna d’un ragazzo!… bestia!… imbecille!… crepa una buona volta, finirai di tormentarmi!… Vorrei esser lontano da te le mille miglia!… Dio ti castighi una buona volta!… „ e aggiungono alle imprecazioni i titoli più sconciamente offensivi, applicandoli alle persone contro cui sono dirette, anche le più care. Sì, F . M., ci sono genitori sì poco Cristiani, che hanno sempre in bocca queste parole. Ahimè! quanti poveri figliuoli sono deboli e infermi, intrattabili, viziosi per le maledizioni dei loro padri e delle loro madri! Leggiamo nella storia che una madre disse a un suo figliuolo: « Non creperai mai dunque, o tormento?… » E il povero fanciullo cadde morto a’ suoi piedi. — Un’altra disse a suo figlio: “Che il diavolo ti porti via! „ e il fanciullo disparve senza che alcuno abbia potuto sapere dove fosse andato. Mio Dio! quale sventura per il figlio, quale sventura per la madre! — Nella provincia di Valesia c’era un uomo rispettabilissimo per la sua condotta. Un dì, tornato da un viaggio, chiamò il suo domestico con modo assai sgarbato. « Vieni adunque, gli disse, diavolo d’un servo, levami le calze! „ All’istante le sue calze cominciarono a togliersi senza che alcuno le tirasse. Allora tutto spaventato, cominciò a gridare: ” Via, via di qua, satana; non è te ch’io chiamo, ma il mio servo, „ di modo che il demonio se ne fuggì tosto lasciandolo mezzo scalzo. Questo esempio ci prova, o F . M., come il demonio s’aggiri sempre attorno a noi per ingannarci e perderci, appena se ne presenti l’occasione. È appunto per questo che i primi Cristiani avevano tanto orrore del demonio che non osavano nemmeno pronunciarne il nome. Guardatevi dunque bene anche voi dal pronunciarlo, e dal lasciarlo pronunciare ai vostri figliuoli e ai vostri domestici; quando li sentite, riprendeteli, finché vediate che si sono corretti. Non solo, F. M., è male giurare, ma anche il far giurare gli altri. S. Agostino ci dice che chi è causa per cui uno giuri il falso in testimonio, è più colpevole di chi commetta un omicidio, « perché – egli dice – chi uccide un uomo non uccide che il corpo; chi invece fa giurare a un altro il falso in testimonio, ne uccide l’anima. » Per darvi un’idea della gravità di questo peccato, vi mostrerò tutta la colpa di chi chiami uno in testimonio, mentre prevede che giurerà il falso. Leggiamo nella storia che a Ippona c’era un possidente, buon uomo, ma un po’ troppo attaccato alle cose terrene. Costui volle citare in giudizio uno che gli doveva qualche cosa. Il miserabile giurò il falso, vale a dire che gli doveva niente. La notte seguente, colui che aveva fatto citare l’altro in giudizio per essere pagato, si trovò egli stesso davanti a un tribunale, in cui vide un giudice che gli parlava con voce terribile e minacciosa, domandandogli perché avesse fatto spergiurare quell’uomo; se non sarebbe stato meglio perdere il suo avere che dannare quell’anima; che per quella volta gli faceva la grazia in vista delle sue buone opere; ma che però lo condannava ad essere fustigato con verghe. Infatti, il giorno dopo vide il suo corpo tutto insanguinato. Ma, mi direte voi, se non lo faccio giurare perdo ciò che mi deve. Preferite dunque rovinare la sua anima e la vostra; anziché perdere il vostro danaro? D’altra parte, F. M., potete stare ben certi che se fate un sacrificio per impedire un’offesa a Dio, vedrete che Dio non mancherà di ricompensarvi in altro modo. Tuttavia questo fatto avviene di raro. Piuttosto bisogna guardarsi bene dal far regali o dal sollecitare quelli che devono deporre in giudizio contro di noi a non dire la verità. Rovinereste loro e voi stessi assieme. Se mai l’aveste fatto e foste riuscito con la vostra menzogna a far condannare un innocente, voi sareste obbligati a riparare tutto il male che ne fosse provenuto e a risarcire quelle persone sia nella roba, sia nella riputazione, fin dove potete, senza di che andrete dannati. Bisogna anche vedere se abbiate mai avuto il pensiero di giurare il falso, e quanto tempo avete nutrito questo pensiero. Ci sono alcuni che appunto perché non l’hanno espresso a parole, non lo credono male. Mio caro, benché non l’abbiate espresso, il vostro peccato è commesso, perché siete nella disposizione di farlo. Vedete ancora se non avete mai dato dei mezzi consigli. Uno vi dirà: “Credo d’essere chiamato in giudizio per un tale; tu che ne dici? Avrei intenzione di non dir tutto quello che ho visto por non farlo condannare: l’altro ne ha di più e può pagare. Vedo però che faccio male.„ Voi gli dite: « Oh, questo non è poi gran male! … All’altro sì faresti troppo danno!… „ Se dopo ciò egli giura il falso, e non ha di che risarcire il danno, siete obbligato a risarcirlo voi. Volete sapere, F. M., che cosa dovete fare in giudizio e altrove? Sentite che cosa dice Gesù: « Piuttosto che litigare, se ti domandano il soprabito, dà anche il vestito (S. Matteo, V, 40); meglio così, che questionare. » Ahimè! quanti peccati fa commettere un processo! quante anime i processi fanno dannare per questi giuramenti falsi, per questi odi, per questi inganni, per queste vendette! Ma ecco. F. M., i giuramenti che si fanno più spesso, o piuttosto a ogni muover di ciglio. Quando diciamo qualche cosa a qualcuno e questi non vuol credere, eccoci a giurare e, se occorre, anche con una bestemmia. Da ciò devono guardarsi bene specialmente i padri, le madri, i padroni e le padrone. Spesso i loro figliuoli o i loro domestici commettono qualche sbaglio ed essi vogliono costringerli a confessarlo. I figliuoli e i domestici, per timore di esser battuti o sgridati, giurano quanto volete che non è vero, che non vorrebbero poter più fare un passo se ciò è vero. Non sarebbe meglio non dir niente e soffrire lo sbaglio, anziché farli dannare? D’altra parte, che cosa ci guadagnate? Offendete Dio tutti, e non altro. Quale rimpianto, F. M., se al giorno del giudizio doveste vedere questi poveri fanciulli dannati per una sciocchezza, per una cosa da nulla! – Ci sono altri che promettono e giurano di fare o di dare questa cosa a un altro, senza aver l’intenzione di farlo davvero. Prima di fare una promessa bisogna veder bene se si potrà mantenerla. Prima di promettere non bisogna mai dire: « Se non lo faccio, possa non veder Dio in eterno, possa non muovermi dal mio posto! » Guardatevene bene, F. M., questi sono peccati ancor più orribili di quanto possiate comprendere. Se, p. es., in un accesso di collera, avete promesso di vendicarvi, senza dubbio non siete obbligati a farlo; anzi dovete domandarne perdono a Dio. Lo Spirito Santo ci dice che chi giurerà sarà punito.

II — 1° Se voi mi domandate che cosa s’intende per questa parola ” bestemmia „ F. M., questo peccato è sì orribile, che non parrebbe vero che un Cristiano possa aver la forza di commetterlo. “Bestemmia„ è una parola che significa “maledire e detestare una bontà infinita, „ ciò che indica che questo peccato colpisce direttamente Dio. S. Agostino ci dice: – Noi bestemmiamo quando attribuiamo a Dio qualche cosa che non ha o non gli conviene, o gli togliamo ciò che gli conviene o, finalmente, quando si attribuisce a se stessi ciò che conviene a Dio, e non è dovuto che a Lui solo. Dunque noi bestemmiamo: 1° quando diciamo che Dio non è giusto, perché fa sì che ci siano alcuni tanto ricchi che hanno tutto in abbondanza, mentre tanti altri sono sì poveri che hanno a mala pena un tozzo di pane: — 2° ch’Egli non è buono, come si dice, poiché lascia tanti nel disprezzo e nelle infermità, mentre altri sono amati e rispettati da tutti; — 3° ovvero dicendo che Dio non vede tutto, non bada a ciò che avviene sulla terra; — 4° o anche dicendo: « Se Dio usa misericordia al tale, non è giusto: ne ha fatte troppe; „ — 5° ovvero quando subiamo qualche danno e ce la prendiamo con Dio, dicendo: « Ah! me infelice! Dio non può farmene di più! Credo ch’Egli non sa ch’io sono al mondo, o, se lo sa, non è che per farmi soffrire. » Parimente è bestemmia ridersi della Vergine e dei Santi, dicendo: « Oh! non hanno gran potere! io ho fatte molte preghiere e non ne ho ottenuto mai nulla!! » S. Tommaso ci dice ancora che la bestemmia è una parola ingiuriosa, oltraggiosa contro Dio o contro i Santi; ciò che si può fare in quattro modi: 1° Per affermazione, dicendo: « Dio è ingiusto e crudele permettendo ch’io soffra tanti mali, che mi si calunni in questo modo, che mi si faccia perdere questo danaro o questo processo. Ah, me infelice! tutto va male in casa mia e non ho nulla, mentre agli altri riesce tutto bene e abbondano » 2° Si bestemmia dicendo che Dio non è Onnipotente, e che potranno fare qualunque cosa senza di Lui. Fu appunto questa bestemmia che pronunciò Sennacherib, re dell’Assiria, quando assediò Gerusalemme, dicendo che, malgrado Dio, avrebbe preso la città. Egli si burlava di Dio dicendo che non era tanto potente da impedirgli d’entrare e di metter tutto a fuoco e a sangue. Ma Dio, per punire questo miserabile della sua bestemmia e mostrargli ch’Egli era davvero onnipotente, gli mandò un Angelo che in una sola notte gli uccise 185 mila uomini. Il giorno dopo il re, vedendo sgozzato tutto il suo esercito senza sapere da chi, se ne fuggì tutto atterrito a Ninive, dove egli stesso fu ucciso da due suoi figli. 3° Si bestemmia quando si attribuisce a una creatura ciò che è dovuto a Dio solo, come quei miserabili che dicono a una creatura infame oggetto della loro passione: « Io vi amo con tutta la tenerezza del mio cuore!… È tanto il mio affetto, che vi adoro!… „ Delitto che fa orrore, e tuttavia tanto comune, almeno in pratica.

4° Si bestemmia dicendo : Ah! S… N. .. di D… „ Ciò fa orrore. Questo peccato è sì grave e sì spaventoso agli occhi di Dio, che attira ogni sorta di sventure sopra la terra. I Giudei avevano tanto orrore della bestemmia che, quando sentivano qualcuno bestemmiare, si squarciavano le vesti. Non osavano neppur pronunciare questa parola; la dicevano invece: « Benedizione. » Il santo Giobbe temeva tanto che i suoi figliuoli potessero aver bestemmiato, che offriva sacrifici a Dio per placarlo se mai l’avessero fatto (Giob. I, 5). S. Agostino dice che quelli che bestemmiano Gesù Cristo che è in cielo, sono più crudeli di quelli che l’hanno crocifisso sulla terra. Il cattivo ladrone bestemmiava Gesù Cristo in croce, dicendo: « S’Egli è onnipotente, liberi se stesso e noi assieme. » Il profeta Nathan disse al re Davide: « Poiché tu sei stato causa per cui si è bestemmiato il Nome di Dio, il tuo figlio morrà, e il castigo non si allontanerà dalla tua casa per tutta la tua vita. » — Dio ci dice: « Chi bestemmierà il Nome del Signore, voglio sia messo a morte. » — Leggiamo nella S. Scrittura che venne condotto a Mosè un uomo che aveva bestemmiato. Mosè consultò il Signore, il quale gli manifestò che bisognava condurlo in un campo e farlo morire; vale a dire, ucciderlo a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14) Possiamo dire che la bestemmia è davvero il linguaggio dell’inferno. San Luigi, re di Francia, aveva tanto in orrore questo delitto che aveva comandato che tutti i bestemmiatori fossero segnati con un ferro arroventato sulla fronte. Un giorno essendogli stato condotto un possidente di Parigi, molti vollero sollecitare la grazia per lui; ma il re disse loro che avrebbe voluto morire egli stesso per distruggere questo maledetto peccato; e comandò che fosse punito. L’imperatore Giustino faceva strappare la lingua a quelli che avevano avuto la disgrazia di commettere un sì grande delitto. Durante il regno di re Roberto, la Francia era oppressa da ogni sorta di sventure: e il buon Dio rivelò a una santa che tanto sarebbero durati i castighi quanto le bestemmie. Allora si sancì una legge che condannava tutti i bestemmiatori ad aver forata la lingua da un ferro infuocato, la prima volta; la seconda, comandava che fossero fatti morire. Badate bene, M. F., che, se la bestemmia regnerà nella vostra casa, tutto andrà a male. S. Agostino ci dice che la bestemmia è un peccato ancor più grave dello spergiuro, perché, dice egli, con lo spergiuro prendiamo il Nome di Dio in testimonio d’una cosa falsa, mentre con la bestemmia diciamo una cosa falsa di Dio stesso. Quale delitto! Chi di noi ha mai potuto comprenderlo? S. Tommaso ci dice ancora che v’ha un’altra specie di bestemmia, quella contro lo Spirito Santo, la quale si commette in tre modi: 1° Attribuendo al demonio le opere di Dio, come facevano i Giudei, i quali dicevano che Gesù Cristo cacciava i demoni in virtù del principe dei demoni; come facevano i tiranni e i carnefici, i quali attribuivano alla magia o al demonio i miracoli dei martiri; — 2° si bestemmia contro lo Spirito Santo, ci dice sant’Agostino, “quando si muore nell’impenitenza finale.„ L’impenitenza è uno stato di bestemmia; poiché la remissione dei nostri peccati si fa con la carità, che è lo Spirito Santo;

— 3° quando facciamo azioni che sono direttamente opposte alla bontà di Dio, come quando disperiamo della nostra salute, o non vogliamo usare tutti i mezzi per ottenerla; come quando ci rodiamo perché altri ricevono più grazie di noi. Guardatevi bene dall’abbandonarvi a questa sorta di peccati, perché sono oltremodo orribili. Noi trattiamo Dio da ingiusto, dicendo che dà più agli altri che a noi. Non avete voi forse bestemmiato, F. M., dicendo che non c’è Provvidenza se non per i ricchi e i birbanti? Non avete forse bestemmiato, quando subiste qualche danno, dicendo: “Ma che cosa ho fatto dunque io al Signore più degli altri, per aver tante disgrazie? „ — Che cosa avete fatto? Mio caro, alzate gli occhi e vedrete che l’avete crocifisso. — Non avete forse bestemmiato dicendo che siete troppo tentato, che non potete far diversamente, che tale è il vostro destino?… Ecché? F. M., voi non pensate a ciò che dite!… Dunque Dio vi ha fatti viziosi, collerici, violenti, fornicatori, adulteri, bestemmiatori! Ma dunque voi non credete nel peccato originale che ha degradato l’uomo dallo stato di rettitudine e di giustizia, in cui eravamo da principio stati creati!… La tentazione è superiore alle vostre forze!… Ma, mio caro, la Religione non vi aiuta dunque per nulla a farvi comprendere tutta la corruzione originale?… E voi osate, infelice, bestemmiare ancora contro Colui che ve l’ha data come il più gran dono che potesse farvi?… Non avete voi altresì bestemmiato mai contro la S. Vergine e i Santi? Non avete mai sorriso delle loro virtù, delle loro penitenze, dei loro miracoli?… Ahimè! in questo secolo sciagurato, quanti empi troviamo che spingono la loro cattiveria fino a disprezzare i santi del cielo e i giusti della terra; quanti che si fanno beffe delle austerità dei santi, e che non vogliono servire Dio per sé, né permettere che lo servano gli altri! Vedete ancora, M. F., se non avete mai lasciato ripetere i vostri giuramenti e le vostre bestemmie ai fanciulli. Ah! infelici! quali castighi vi attendono nell’altra vita!. ..

2° Ma, mi domanderete, che differenza passa tra il bestemmiare e rinnegare Dio? — Una differenza grande, M. F. Osservo che parlando di rinnegazione, non intendo parlare di quelli che rinnegano il buon Dio abbandonando la vera Religione; costoro noi li chiamiamo apostati. Intendo dirvi di quelli che, parlando, hanno la maledetta abitudine di rinnegare, per collera o per impeto, il santo Nome di Dio: come uno che ci rimettesse al mercato o perdesse al gioco, e se la prendesse con Dio, quasi volesse far credere che ne sia stato Lui la causa. Quando vi capita questo, bisogna che il buon Dio sopporti tutti i furori della vostra collera, quasi fosse Lui la causa della vostra perdita o dell’accidente che v’è toccato. Ah, sciagurati! Quegli che vi ha tratti dal nulla, che vi conserva evi ricolma continuamente di benefizi, voi osate ancora disprezzarlo, profanare il suo santo Nome e rinnegarlo; mentre, se non avesse voluto ascoltare che la sua giustizia, da quanto tempo sareste inabissati nell’inferno! Ordinariamente vediamo che chi ha la sventura di commettere questi enormi delitti perisce miseramente. Si legge nella storia che un povero ammalato era ridotto in miseria. Essendo entrato da lui un missionario per vederlo e confessarlo: “Ah, padre! gli disse l’ammalato, Dio mi punisce per le mie collere, per le mie violenze, le mie bestemmie, e rinnegazioni. Io sono ammalato da molto tempo e ridotto estremamente povero. Tutte le mie cose hanno fatto una misera fine. I miei figli mi disprezzano e abbandonano, e non son buoni a nulla per i mali esempi ch’io ho dato loro. È già da tempo che soffro su questo pagliericcio; la mia lingua è tutto corrosa, e non posso inghiottir cosa alcuna senza soffrire dolori incredibili. Ahimè, padre! io ho gran timore che, dopo aver sofferto tanto in questa vita, debba soffrire anche nell’altra.„ Anche ai nostri giorni vediamo che questi uomini soliti a giurare e a rinnegare il santo Nome di Dio finiscono quasi sempre miseramente. Badate bene, M. F., se avete questa malvagia abitudine, dovete correggervene subito, per timore, che se non fate penitenza in questo mondo, non andiate a farla nell’inferno. Non dimenticatevi mai che la vostra lingua non deve servire che a pregare il buon Dio e a cantare le sue lodi, Se avete avuto il mal abito di giurare, dovete pronunciare spesso il santo Nome di Gesù con gran rispetto per purificare le vostre labbra.

3° Se, finalmente, mi domandate che cosa s’intende per maledizione e per imprecazione, vi dirò che s’intende, M. F., maledire, in un momento di collera o di disperazione, una persona, una cosa, o una bestia; s’intende voler annientarla o renderla infelice. Lo Spirito Santo ci dice che chi ha spesso la maledizione in bocca, deve ben temere che Dio non mandi a lui ciò ch’egli augura agli altri. Ci sono alcuni che hanno sempre in bocca il demonio, e a lui mandano tutto ciò che li urta. Se una bestia lavorando non va come deve, la maledicono o la mandano al diavolo. Altri, quando fa cattivo tempo, dicono: “Maledetto tempo! maledetta pioggia! ah, maledetto freddo!., maledetti ragazzi!… „ Non dimenticate mai che lo Spirito Santo ci dice che una maledizione, pronunciata invano e con leggerezza, su qualcuno dovrà cadere. S. Tommaso ci dice che, se pronunciamo una maledizione contro qualcuno, è peccato mortale, se auguriamo davvero ciò che diciamo. E S. Agostino ci narra di una madre che aveva maledetto i suoi figliuoli in numero di sette; ebbene, tutti quanti furono invasi dal demonio. Si sa che molti fanciulli, per essere stati maledetti dai loro genitori, furono infermi e infelici per tutta la vita. Leggiamo di una madre che, essendo andata in collera per colpa di sua figlia, le disse: “Ti s’inaridisse il braccio!„ E quasi all’istante alla povera figlia il braccio s’inaridì. I coniugati devono guardarsi dal maledirsi tra loro. Ci sono alcuni che, se non vanno bene in famiglia, maledicono la moglie, i figli, i genitori e tutti quelli che s’intromisero nel matrimonio. Ahimè, F. M.! tutte le vostre disgrazie provengono dall’esservi entrato con una coscienza tutta nera di peccati. — Gli operai, non devono mai maledire il loro lavoro, né quelli che loro lo danno: d’altra parte tutte le vostre maledizioni non faranno mai andar meglio i vostri affari; se invece aveste un po’ di pazienza, se sapeste offrire tutte le vostre pene a Dio, guadagnereste molto per il cielo. E gli strumenti del lavoro non li avete mai maledetti, dicendo: “Maledetta vanga! maledetta roncola! Maledetto aratro!„ eccetera? Ecco, M. F., ciò che attira ogni sorta di maledizioni sulle vostre bestie, sui vostri lavori, sulle vostre terre, spesso devastate dalla tempesta, dalla pioggia o dal gelo! — Non avete mai maledetto voi stessi, dicendo: « Oh, non avessi mai visto la luce!… fossi morto mentre veniva al mondo!… fossi ancor nel nulla!… „ Ahimè! quanti peccati, di cui molti non si accusano affatto, e non vi pensano neppure! — Dirò ancora che non dovete mai maledire né i vostri figliuoli, né le vostre bestie, né il vostro lavoro, né il tempo, perché in tutto ciò maledite la manifestazione della santa volontà del Signore. — I figliuoli si guardino bene dal dar occasione ai loro genitori di maledirli, ciò che è la più grande di tutte le sventure; poiché troppo spesso un fanciullo maledetto da’ suoi genitori è anche maledetto da Dio. Quando qualcuno vi offende in qualche cosa, invece di mandarlo al diavolo, non sarebbe meglio dirgli: “Che il buon Dio vi benedica? „ Allora sareste davvero i buoni servi di Dio, che rendono bene per male. Riguardo a questo comandamento, ci sarebbe ancor da parlare dei voti. Bisogna guardarsi bene dal far voti a capriccio. Certuni, quando sono ammalati, si votano a tutti i Santi, e una volta guariti, non si danno affatto pensiero di soddisfare i loro voti. Bisogna anche vedere se si son fatti davvero come si doveva, cioè in istato di grazia; se li avete osservati. Ahimè! quanti peccati in questi voti! ciò, che invece di piacere a Dio, non può che offenderlo. Che se mi domandate come mai dunque ci sono tanti che giurano, giurano anche il falso, che pronunciano maledizioni e imprecazioni orribili, che rinnegano Dio, vi dirò, M. F., che quelli che si abbandonano a questi orrori non hanno né fede, né religione, né coscienza, né virtù; sono in gran parte abbandonati da Dio. Quanto noi saremmo più felici se avessimo la grazia di non adoperar mai la nostra lingua, consacrata a Dio col santo Battesimo, se non per pregare un Dio sì buono, sì benefico, e cantare le sue sante lodi! Poiché è appunto per questo che Dio ci ha dato una lingua; consacriamola a Lui, affinché, dopo questa vita, possiamo avere la felicità di andarlo a benedire in cielo per tutta l’eternità. Ciò che vi auguro di cuore

IL CREDO

Offertorium

Orémus

Ps XV: 7 et 8. Benedícam Dóminum, qui tríbuit mihi intelléctum: providébam Deum in conspéctu meo semper: quóniam a dextris est mihi, ne commóvear. [Benedirò il Signore che mi dato senno: tengo Dio sempre a me presente, con lui alla mia destra non sarò smosso.]

Secreta

Propitiáre, Dómine, supplicatiónibus nostris: et has oblatiónes famulórum famularúmque tuárum benígnus assúme; ut, quod sínguli obtulérunt ad honórem nóminis tui, cunctis profíciat ad salútem.

[Sii propizio, o Signore, alle nostre suppliche, e accogli benigno queste oblazioni dei tuoi servi e delle tue serve, affinché ciò che i singoli offersero a gloria del tuo nome, giovi a tutti per la loro salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XXVI: 4 Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. 

[Una cosa sola chiedo e chiederò al Signore: di abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita].

Postcommunio

Orémus.

Quos cœlésti, Dómine, dono satiásti: præsta, quæsumus; ut a nostris mundémur occúltis et ab hóstium liberémur insídiis.

(O Signore, che ci hai saziato col dono celeste; fa che siamo mondati dalle nostre occulte mancanze, e liberati dalle insidie dei nemici.)

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “SUL SECONDO COMANDAMENTO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(DISCORSI DI SAN G. B. M. VIANNEY CURATO D’ARS

Vol. III, Marietti Ed. Torino-Roma, 1933

Visto nulla osta alla stampa. Torino, 25 Novembre 1931.

Teol. TOMMASO CASTAGNO, Rev. Deleg.

Imprimatur. C . FRANCISCUS PALEARI, Prov. Gen.)

Sul secondo Comandamento di Dio.

Non nominare il nome di Dio invano.

Fa gran meraviglia, F. M., che Dio sia obbligato a farci un comando per proibirci di profanare il suo santo Nome. È possibile concepire che vi possano essere Cristiani i quali si abbandonino talmente al demonio, da diventare nelle sue mani strumento per maledire un Dio sì buono e sì benefico? E possibile che una lingua, consacrata a Dio nel santo Battesimo, bagnata tante volte dal suo Sangue adorabile, sia adoperata per maledire il suo Creatore? Potrebbe fare una cosa simile chi crede davvero che Dio non gliel’ha data che per benedirlo e cantare le sue lodi? Voi converrete meco che questo è un delitto spaventoso che sembra costringere Dio a schiacciarci con ogni sorta di sventure, e ad abbandonarci al demonio, al quale obbediamo con tanto zelo. Questo delitto fa rizzare i capelli a chiunque non abbia ancor perduto interamente la fede. Tuttavia, malgrado la gravità di questo peccato, malgrado il suo orrore e la sua atrocità, vi è forse un peccato più comune del giuramento, della bestemmia, dell’imprecazione, della maledizione? Non abbiamo forse il dolore di sentire spesso uscire dalla bocca di fanciulli, che non sanno ancora bene il Pater noster, bestemmie così enormi da attirare ogni sorta di maledizioni su una parrocchia? Io vi mostrerò adunque, F. M., che cosa s’intenda per giuramento, per bestemmia, rinnegazione, imprecazione e maledizione. E voi intanto dormite, dormite profondamente mentre io parlo, affinché nel giorno del giudizio abbiate la scusa di aver fatto il male senza sapere cosa facevate, e la vostra ignoranza sia il solo motivo della vostra condanna.

I. — Per farvi comprendere la gravità di questo peccato, bisognerebbe, ch’io potessi farvi comprendere la gravità dell’oltraggio ch’esso arreca a Dio; ciò che non sarà mai dato a un essere mortale. No. M. F., non c’è che l’inferno, non c’è che la collera, la potenza e il furore di un Dio, tutti adunati sopra quei mostri infernali, che possano far comprendere la grandezza della sua atrocità. No, no, F. M., non andiamo più innanzi: per questo peccato ci vuole davvero un inferno eterno. D’altra parte, non è il mio assunto: io voglio soltanto farvi conoscere la differenza che passa tra il giuramento, la bestemmia, la rinnegazione, l’imprecazione, la maledizione e le parole grossolane. Molti le confondono e prendono una cosa per l’altra; ragione per cui non si confessano quasi mai, come si deve, e si espongono perciò a far cattive confessioni e, per conseguenza, a dannarsi.

Il secondo comandamento, suona così: “Non usare invano il Nome del Signore tuo Dio, „ come se il Signore ci dicesse: ” Io vi ordino e vi comando di riverire questo Nome, perché santo e adorabile; Io vi proibisco di profanarlo, adoperandolo per autorizzare l’ingiustizia, la menzogna, o anche la verità, ma quando non c’è una ragione sufficiente, „ e Gesù Cristo ci dice di non giurare assolutamente. Io dico in primo luogo, che le persone poco istruite, confondono spesso la bestemmia col giuramento. Uno sciagurato, in un momento di collera, o, meglio, di furore, dirà: “Dio non è giusto facendomi soffrire o perdere questa cosa.„ Con ciò egli ha rinnegato il buon Dio; eppure s’accuserà dicendo: “Padre, mi accuso d’aver giurato, „ invece si tratta di una bestemmia, non di un giuramento. Uno sarà falsamente accusato di un fallo, che non ha commesso: per giustificarsi dirà: “Se io ho fatto ciò, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno,,. Non è un giuramento, ma un’orribile imprecazione. Ecco due peccati non meno gravi del giuramento. Un altro che avrà dato al suo vicino del ladro o del furfante, s’accuserà « d’aver giurato dietro al suo vicino. » Ora, ciò non è un giurare, ma un ingiuriarlo. Un altro, dirà parole sconce e disoneste, e si accuserà “d’aver detto cattive espressioni.„ V’ingannate; bisogna confessare che avete detto delle oscenità. Ecco, F. M., che cosa è il giuramento: è un prendere il buon Dio per testimonio di ciò che si dice o promette; e lo spergiuro è un giuramento falso, cioè quando si giura per garantire una menzogna. Il Nome del buon Dio è sì santo, sì grande, sì adorabile che gli Angeli e i santi, ci dice S. Giovanni, non fanno altro in cielo che cantare: « Santo, santo, santo il Dio degli eserciti: sia benedetto il suo Nome per tutti i secoli dei secoli! » Quando la santa Vergine andò a visitare la cugina Elisabetta e questa santa le disse: “Quanto sei tu fortunata di essere stata eletta Madre di Dio, „ la santa Vergine Je rispose: « Colui che è onnipotente e il Nome del quale è santo, ha operato in me grandi cose. „ Noi dovremmo adunque, F. M., aver gran rispetto per il Nome del buon Dio e non pronunciarlo mai se non colla massima venerazione, e molto meno pronunciarlo invano. S. Tommaso ci dice che pronunciare il Nome di Dio invano, è un peccato grave; e che non è un peccato come gli altri. Negli altri peccati la leggerezza della materia può diminuire l’atrocità e la malizia, e, bene spesso ciò che per sua natura sarebbe peccato mortale non è che veniale; come il furto, che è un peccato mortale; ma se si tratta di poca cosa, come due o tre soldi, non sarà che veniale. La collera e la gola sono peccati mortali, ma una piccola collera o una piccola golosità sono semplicemente veniali. Non è così per il giuramento: qui più la materia è leggiera più la profanazione è grande! (Ogni bestemmia ha in sé la materia d’un peccato mortale, perché essa è un’ingiuria alla Maestà divina, e questa ingiuria non ammette parvità di materia per ragione della sovrana dignità di Dio. Il peccato adunque non può diventar veniale se non per difetto d’attenzione o di consenso). Perché? Perché più leggiera è la materia, e più grande è la profanazione. Se uno pregasse il re di fargli da testimonio in una sciocchezza, non sarebbe un burlarsi dì lui e un disprezzarlo? Il buon Dio ci dice che chi giurerà nel suo Nome sarà rigorosamente punito. Leggiamo nella santa Scrittura che, ai tempi di Mosè, c’erano due uomini, di cui uno giurò nel Nome santo del Signore. Subito fu preso e condotto a Mosè, il quale domandò al Signore che cosa dovesse farne. E il Signore gli disse di condurlo in un campo e comandare a tutti quelli ch’erano stati testimoni di questa bestemmia di mettergli la mano sul capo e ucciderlo, per togliere questo bestemmiatore di mezzo al suo popolo (Lev. XXIV, 14).  Lo Spirito Santo ci dice ancora che la casa di chi è avvezzo a giurare sarà piena di iniquità e non ne uscirà la maledizione fin che non sia distrutta (Eccli. XXIII, 12). Il Nostro Signore Gesù Cristo ci dice nel Vangelo di non giurare né per il cielo né per la terra, poiché né l’uno né l’altra ci appartengono. Quando vorrete assicurare gli altri di una cosa, dite: “È così, o non è così; sì o no; l’ho fatto o non l’ho fatto; il di più vien tutto dal demonio (Matth. V, 34-37).„ D’altra parte chi ha l’abitudine di giurare è di solito impetuoso, attaccato al proprio giudizio, e giura sempre, per la verità come per la menzogna. — Ma si dirà, se non giuro, non mi si crede. — V’ingannate; non si crede mai così poco come a uno che giura, perché ciò fa supporre in lui nessuna Religione, e chi non ha religione non è degno di esser creduto. Ci sono alcuni che non sanno vendere la minima cosa senza giurare, quasi che il loro giuramento facesse diventar buona la loro merce. Quando si vede un mercante che, per vendere, giura, bisogna pensar subito ch’egli non ha fede, e quindi mettersi in guardia per non lasciarsi ingannare. I suoi giuramenti fanno orrore e non gli si crede. Invece se uno non giura, noi crederemo a ciò che dice. – Leggiamo nella storia un esempio riportato dal cardinale Bellarmino, il quale ci mostra come il giuramento non giova a niente. C’erano in Colonia, dice egli, due mercanti che pareva non potessero vendere senza giurare. Il loro pastore li esortò fortemente a lasciare quest’abitudine assicurandoli che, ben lungi dal perderci, ci avrebbero guadagnato molto. Essi seguirono il suo consiglio. Ma, per qualche tempo, non vendettero molto. Allora andarono a trovare il loro pastore e gli dissero che non vendevano tanto quanto egli aveva fatto loro sperare. Il pastore disse loro: « Abbiate pazienza, miei figliuoli: siate sicuri che Dio vi benedirà. „ Infatti, dopo qualche tempo il concorso fu sì grande che pareva dessero la merce per niente. Essi stessi riconoscevano che il buon Dio li benediceva in un modo particolare. — Lo stesso cardinale ci dice che c’era una buona madre di famiglia che aveva una gran abitudine di giurare: a forza di farle capire quanto questi giuramenti erano indegni d’una madre e che ella non faceva altro che attirare la maledizione di Dio sulla sua casa, riuscì a correggersi completamente; e allora confessò ella stessa che, da quando aveva perduta questa cattiva abitudine, vedeva che tutto le riusciva bene e che Dio la benediceva in modo affatto particolare. Volete voi, F. M., esser felici nella vostra vita e che Dio benedica le vostre case? Guardatevi dal giurare e vedrete che tutto vi riuscirà bene. Iddio ci dice che, sulla casa in cui regnerà il giuramento, piomberà la maledizione del Signore e la distruggerà. E perché, M. F., v’abbandonerete al giuramento, se il buon Dio lo proibisce sotto pena di renderci infelici in questa vita e riprovarci nell’altra? Ahimè! come conosciamo poco ciò che facciamo! Ebbene: lo conosceremo un giorno; ma troppo tardi! – In secondo luogo, dico che vi è un giuramento anche più cattivo, ed è quando al giuramento si aggiungono parole di esecrazione, cosa che fa tremare; come gli sciagurati che dicono: “Se ciò che dico non è vero, ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno! „ Ah! disgraziati! voi rischiate purtroppo di non vederla mai. Altri dicono: “Se ciò non è vero, ch’io perda il mio posto in paradiso! Dio mi danni! o che il demonio mi porti via ! … „ Ah! vecchio indurito! il demonio ti porterà con sé purtroppo, senza che tu ti dia anticipatamente a lui. Quanti altri hanno sempre il demonio in bocca, alla minima cosa che non vada loro a genio. – Diavolo d’un ragazzo!… diavolo d’una bestia!… diavolo d’un lavoro!… „ Ahimè! chi ha sì spesso il demonio in bocca, c’è ben da temere l’abbia anche nel cuore. Quanti altri non sanno che dire : “Si, per fede mia!… no, in fede mia!… cane d’un ragazzo!… „ oppure anche: “In verità!… sulla mia coscienza!… sulla mia fede di Cristiano!… „ C’è un’altra specie di giuramenti, di maledizioni, che nessuno pensa di confessare, e sono quelli che si fanno in cuore. C’è di quelli che credono che, perché non lo dicono con la bocca, non ci sia niente di male. Ma v’ingannate assai, amici miei. Avviene che qualcuno faccia qualche danno alle nostre terre o altrove qualche guasto? Voi imprecate loro nel vostro cuore, e li maledite dicendo:  « Almeno il diavolo se li portasse via!… che il fulmine li schiacci!… che queste rape o quelle patate li avvelenino mentre le mangiano!… „ E questi pensieri li conservate a lungo nei vostri cuori! E credete forse che, perché non li manifestate con la bocca, non siano nulla! Sono peccati gravi, miei amici, e bisogna pur che ve ne confessiate, altrimenti andrete perduti! Ahimè! quanto pochi conoscono lo stato della loro povera anima, quale apparisce agli occhi di Dio! – In terzo luogo, ci sono altri, ancor più colpevoli, i quali giurano non solo per cose vere, ma anche per cose false. Ah! se voi poteste comprendere quanto la vostra empietà disprezza allora Iddio, non avreste, certo, mai il coraggio di commetterla. Voi vi comportate allora con Dio, come un vile schiavo che dica al suo re: « Sire, è necessario che mi facciate da falso testimonio. » Ciò non vi fa orrore, M. F.? Il Signore ci dice nella santa Scrittura: « Siate santi, poiché io sono santo. Non mentite, non ingannate il prossimo, non spergiurate prendendo il Nome del Signore vostro Dio a testimoniare una menzogna; non profanate il Nome del Signore. » S. Giovanni Crisostomo ci dice: « Se è già un gran peccato giurare per una cosa vera, quale sarà la gravità del delitto di colui che giura il falso, per garantire la menzogna? » Lo Spirito Santo ci dice che il bugiardo perirà. Il profeta Zaccaria ci assicura che la maledizione verrà sulla casa di colui che giurerà il falso, e vi resterà finche quella casa sia abbattuta e distrutta. – S. Agostino ci dice che lo spergiuro è un grave delitto, una bestia feroce che fa uno strazio spaventoso. E ciò che rende ancor più grave questo peccato è che ci son di quelli che, al falso giuramento, aggiungono una bestemmia d’imprecazione. « Se ciò non è vero ch’io non vegga la faccia di Dio in eterno!… che Dio mi danni!… che il demonio mi porti via! … » Ah! sciagurati! se il buon Dio v’avesse preso in parola, dove sareste voi ora? Da quanti anni non brucereste nell’inferno! Dite, F. M., è possibile concepire che un Cristiano possa rendersi colpevole d’un tal delitto, di una così grande mostruosità? O mio Dio! Un verme della terra spingere la sua barbarie a un tal eccesso? No, no, F. M., ciò è assolutamente inconcepibile in un Cristiano. Dovete altresì esaminarvi se abbiate avuto l’intenzione di giurare semplicemente, ovvero di giurare il falso, e quanti giorni abbiate mantenuto questo pensiero; vale a dire quanto tempo siete stati nella disposizione di farlo. Buona parte dei Cristiani a questo non bada neppure, sebbene sia un peccato grave. — Ma, mi direte voi, è vero che ci avevo pensato, ma non l’ho fatto. — Voi non l’avete fatto, ma il vostro cuore sì; e, poiché siete ancora nella disposizione di farlo, voi siete colpevole dinanzi a Dio. Ahimè! Povera religione! quanto poco sei conosciuta! Abbiamo nella storia un esempio terribile del castigo che spetta a coloro che giurano il falso. Ai tempi di S. Narciso, vescovo di Gerusalemme, tre giovani libertini, che s’abbandonavano alla disonestà, calunniarono orribilmente il loro santo Vescovo, accusandolo dei loro propri delitti, nella speranza che egli non avrebbe osato riprenderli delle colpe loro. Si presentarono davanti ai giudici dicendo che il Vescovo aveva commesso tale peccato. Il primo disse: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser soffocato! „ Il secondo: « Se ciò non è vero, ch’io possa esser bruciato vivo! » Il terzo: « Se ciò non è vero, ch’io perda la vista! » — Ahimè! la giustizia di Dio non tardò a punirli: il primo fu davvero soffocato e morì miseramente; il secondo bruciò vivo nella sua casa, incendiata da un razzo di fuochi d’artifizio durante una festa che si faceva in città; il terzo, benché punito, fu meno infelice degli altri: egli riconobbe il proprio fallo, ne fece penitenza e ne pianse tanto che perdette la vista. — Un altro esempio, non meno terribile. Leggiamo nella storia; essendo re d’Inghilterra S. Edoardo, il conte Gondevino, suo suocero, era sì geloso e orgoglioso che non voleva soffrire alcuno vicino al re. Il re un giorno gli rinfacciò ch’egli aveva partecipato alla morte di suo fratello. « Se ciò è vero, rispose il conte, che questo boccon di pane mi soffochi. „ Il re prese il pane e lo benedisse senza dubitare di nulla. L’altro mangiò; ma il boccone gli si fermò in gola, lo soffocò, sicché lo spergiuro morì sull’istante. — Dopo questi terribili esempi, convenite meco, F. M., che questo peccato dev’essere ben mostruoso agli occhi di Dio, se Egli lo punisce così terribilmente. Ci sono anche padri e madri, padroni e padrone che hanno sempre in bocca di queste frasi: “Carogna d’un ragazzo!… bestia!… imbecille!… crepa una buona volta, finirai di tormentarmi!… Vorrei esser lontano da te le mille miglia!… Dio ti castighi una buona volta!… „ e aggiungono alle imprecazioni i titoli più sconciamente offensivi, applicandoli alle persone contro cui sono dirette, anche le più care. Sì, F . M., ci sono genitori sì poco Cristiani, che hanno sempre in bocca queste parole. Ahimè! quanti poveri figliuoli sono deboli e infermi, intrattabili, viziosi per le maledizioni dei loro padri e delle loro madri! Leggiamo nella storia che una madre disse a un suo figliuolo: « Non creperai mai dunque, o tormento?… » E il povero fanciullo cadde morto a’ suoi piedi. — Un’altra disse a suo figlio: “Che il diavolo ti porti via! „ e il fanciullo disparve senza che alcuno abbia potuto sapere dove fosse andato. Mio Dio! quale sventura per il figlio, quale sventura per la madre! — Nella provincia di Valesia c’era un uomo rispettabilissimo per la sua condotta. Un dì, tornato da un viaggio, chiamò il suo domestico con modo assai sgarbato. « Vieni adunque, gli disse, diavolo d’un servo, levami le calze! „ All’istante le sue calze cominciarono a togliersi senza che alcuno le tirasse. Allora tutto spaventato, cominciò a gridare: ” Via, via di qua, satana; non è te ch’io chiamo, ma il mio servo, „ di modo che il demonio se ne fuggì tosto lasciandolo mezzo scalzo. Questo esempio ci prova, o F . M., come il demonio s’aggiri sempre attorno a noi per ingannarci e perderci, appena se ne presenti l’occasione. È appunto per questo che i primi Cristiani avevano tanto orrore del demonio che non osavano nemmeno pronunciarne il nome. Guardatevi dunque bene anche voi dal pronunciarlo, e dal lasciarlo pronunciare ai vostri figliuoli e ai vostri domestici ; quando li sentite, riprendeteli, finché vediate che si sono corretti. – Non solo, F. M., è male giurare, ma anche il far giurare gli altri. S. Agostino ci dice che chi è causa per cui uno giuri il falso in testimonio, è più colpevole di chi commetta un omicidio, « perché – egli dice – chi uccide un uomo non uccide che il corpo; chi invece fa giurare a un altro il falso in testimonio, ne uccide l’anima. » Per darvi un’idea della gravità di questo peccato, vi mostrerò tutta la colpa di chi chiami uno in testimonio, mentre prevede che giurerà il falso. Leggiamo nella storia che a Ippona c’era un possidente, buon uomo, ma un po’ troppo attaccato alle cose terrene. Costui volle citare in giudizio uno che gli doveva qualche cosa. Il miserabile giurò il falso, vale a dire che gli doveva niente. La notte seguente, colui che aveva fatto citare l’altro in giudizio per essere pagato, si trovò egli stesso davanti a un tribunale, in cui vide un giudice che gli parlava con voce terribile e minacciosa, domandandogli perché avesse fatto spergiurare quell’uomo; se non sarebbe stato meglio perdere il suo avere che dannare quell’anima; che per quella volta gli faceva la grazia in vista delle sue buone opere; ma che però lo condannava ad essere fustigato con verghe. Infatti, il giorno dopo vide il suo corpo tutto insanguinato. Ma, mi direte voi, se non lo faccio giurare perdo ciò che mi deve. Preferite dunque rovinare la sua anima e la vostra; anziché perdere il vostro danaro? D’altra parte, F. M., potete stare ben certi che se fate un sacrificio per impedire un’offesa a Dio, vedrete che Dio non mancherà di ricompensarvi in altro modo. Tuttavia questo fatto avviene di raro. Piuttosto bisogna guardarsi bene dal far regali o dal sollecitare quelli che devono deporre in giudizio contro di noi a non dire la verità. Rovinereste loro e voi stessi assieme. Se mai l’aveste fatto e foste riuscito con la vostra menzogna a far condannare un innocente, voi sareste obbligati a riparare tutto il male che ne fosse provenuto e a risarcire quelle persone sia nella roba, sia nella riputazione, fin dove potete, senza di che andrete dannati. Bisogna anche vedere se abbiate mai avuto il pensiero di giurare il falso, e quanto tempo avete nutrito questo pensiero. Ci sono alcuni che appunto perché non l’hanno espresso a parole, non lo credono male. Mio caro, benché non l’abbiate espresso, il vostro peccato è commesso, perché siete nella disposizione di farlo. Vedete ancora se non avete mai dato dei mezzi consigli. Uno vi dirà: “Credo d’essere chiamato in giudizio per un tale; tu che ne dici? Avrei intenzione di non dir tutto quello che ho visto por non farlo condannare: l’altro ne ha di più e può pagare. Vedo però che faccio male.„ Voi gli dite: « Oh, questo non è poi gran male! … All’altro sì faresti troppo danno!… „ Se dopo ciò egli giura il falso, e non ha di che risarcire il danno, siete obbligato a risarcirlo voi. Volete sapere, F. M., che cosa dovete fare in giudizio e altrove? Sentite che cosa dice Gesù: « Piuttosto che litigare, se ti domandano il soprabito, dà anche il vestito (S. Matteo, V, 40); meglio così, che questionare. » Ahimè! quanti peccati fa commettere un processo! quante anime i processi fanno dannare per questi giuramenti falsi, per questi odi, per questi inganni, per queste vendette! – Ma ecco. F. M., i giuramenti che si fanno più spesso, o piuttosto a ogni muover di ciglio. Quando diciamo qualche cosa a qualcuno e questi non vuol credere, eccoci a giurare e, se occorre, anche con una bestemmia. Da ciò devono guardarsi bene specialmente i padri, le madri, i padroni e le padrone. Spesso i loro figliuoli o i loro domestici commettono qualche sbaglio ed essi vogliono costringerli a confessarlo. I figliuoli e i domestici, per timore di esser battuti o sgridati, giurano quanto volete che non è vero, che non vorrebbero poter più fare un passo se ciò è vero. Non sarebbe meglio non dir niente e soffrire lo sbaglio, anziché farli dannare? D’altra parte, che cosa ci guadagnate? Offendete Dio tutti, e non altro. Quale rimpianto, F. M., se al giorno del giudizio doveste vedere questi poveri fanciulli dannati per una sciocchezza, per una cosa da nulla! – Ci sono altri che promettono e giurano di fare o di dare questa cosa a un altro, senza aver l’intenzione di farlo davvero. Prima di fare una promessa bisogna veder bene se si potrà mantenerla. Prima di promettere non bisogna mai dire: « Se non lo faccio, possa non veder Dio in eterno, possa non muovermi dal mio posto! » Guardatevene bene, F. M., questi sono peccati ancor più orribili di quanto possiate comprendere. Se, p. es., in un accesso di collera, avete promesso di vendicarvi, senza dubbio non siete obbligati a farlo; anzi dovete domandarne perdono a Dio. Lo Spirito Santo ci dice che chi giurerà sarà punito.

II — 1° Se voi mi domandate che cosa s’intende per questa parola ” bestemmia „ F . M., questo peccato è sì orribile, che non parrebbe vero che un Cristiano possa aver la forza di commetterlo. “Bestemmia„ è una parola che significa “maledire e detestare una bontà infinita, „ ciò che indica che questo peccato colpisce direttamente Dio. S. Agostino ci dice: – Noi bestemmiamo quando attribuiamo a Dio qualche cosa che non ha o non gli conviene, o gli togliamo ciò che gli conviene o, finalmente, quando si attribuisce a se stessi ciò che conviene a Dio, e non è dovuto che a Lui solo. Dunque noi bestemmiamo: 1° quando diciamo che Dio non è giusto, perché fa sì che ci siano alcuni tanto ricchi che hanno tutto in abbondanza, mentre tanti altri sono sì poveri che hanno a mala pena un tozzo di pane: — 2° ch’Egli non è buono, come si dice, poiché lascia tanti nel disprezzo e nelle infermità, mentre altri sono amati e rispettati da tutti; — 3° ovvero dicendo che Dio non vede tutto, non bada a ciò che avviene sulla terra; — 4° o anche dicendo: « Se Dio usa misericordia al tale, non è giusto: ne ha fatte troppe; „ — 5° ovvero quando subiamo qualche danno e ce la prendiamo con Dio, dicendo: « Ah! me infelice! Dio non può farmene di più! Credo ch’Egli non sa ch’io sono al mondo, o, se lo sa, non è che per farmi soffrire. » Parimente è bestemmia ridersi della Vergine e dei Santi, dicendo: « Oh! non hanno gran potere! io ho fatte molte preghiere e non ne ho ottenuto mai nulla!! » S. Tommaso ci dice ancora che la bestemmia è una parola ingiuriosa, oltraggiosa contro Dio o contro i Santi; ciò che si può fare in quattro modi: 1° Per affermazione, dicendo: « Dio è ingiusto e crudele permettendo ch’io soffra tanti mali, che mi si calunni in questo modo, che mi si faccia perdere questo danaro o questo processo. Ah, me infelice! tutto va male in casa mia e non ho nulla, mentre agli altri riesce tutto bene e abbondano » 2° Si bestemmia dicendo che Dio non è onnipotente, e che potranno fare qualunque cosa senza di Lui. Fu appunto questa bestemmia che pronunciò Sennacherib, re dell’Assiria, quando assediò Gerusalemme, dicendo che, malgrado Dio, avrebbe preso la città. Egli si burlava di Dio dicendo che non era tanto potente da impedirgli d’entrare e di metter tutto a fuoco e a sangue. Ma Dio, per punire questo miserabile della sua bestemmia e mostrargli ch’Egli era davvero onnipotente, gli mandò un Angelo che in una sola notte gli uccise 185 mila uomini. Il giorno dopo il re, vedendo sgozzato tutto il suo esercito senza sapere da chi, se ne fuggì tutto atterrito a Ninive, dove egli stesso fu ucciso da due suoi figli. 3° Si bestemmia quando si attribuisce a una creatura ciò che è dovuto a Dio solo, come quei miserabili che dicono a una creatura infame oggetto della loro passione: « Io vi amo con tutta la tenerezza del mio cuore!… È tanto il mio affetto, che vi adoro!… „ Delitto che fa orrore, e tuttavia tanto comune, almeno in pratica.

4° Si bestemmia dicendo: Ah! S… N. .. di D… „ Ciò fa orrore. Questo peccato è sì grave e sì spaventoso agli occhi di Dio, che attira ogni sorta di sventure sopra la terra. I Giudei avevano tanto orrore della bestemmia che, quando sentivano qualcuno bestemmiare, si squarciavano le vesti. Non osavano neppur pronunciare questa parola; la dicevano invece: « Benedizione. » Il santo Giobbe temeva tanto che i suoi figliuoli potessero aver bestemmiato, che offriva sacrifici a Dio per placarlo se mai l’avessero fatto (Giob. I, 5). S. Agostino dice che quelli che bestemmiano Gesù Cristo che è in cielo, sono più crudeli di quelli che l’hanno crocifisso sulla terra. Il cattivo ladrone bestemmiava Gesù Cristo in croce, dicendo: « S’Egli è onnipotente, liberi se stesso e noi assieme. » Il profeta Nathan disse al re Davide: « Poiché tu sei stato causa per cui si è bestemmiato il nome di Dio, il tuo figlio morrà, e il castigo non si allontanerà dalla tua casa per tutta la tua vita. » — Dio ci dice: « Chi bestemmierà il nome del Signore, voglio sia messo a morte. » — Leggiamo nella S. Scrittura che venne condotto a Mosè un uomo che aveva bestemmiato. Mose consultò il Signore, il quale gli manifestò che bisognava condurlo in un campo e farlo morire; vale a dire, ucciderlo a colpi di pietra (Lev. XXIV, 14) Possiamo dire che la bestemmia è davvero il linguaggio dell’inferno. San Luigi, re di Francia, aveva tanto in orrore questo delitto che aveva comandato che tutti i bestemmiatori fossero segnati con un ferro arroventato sulla fronte. Un giorno essendogli stato condotto un possidente di Parigi, molti vollero sollecitare la grazia per lui; ma il re disse loro che avrebbe voluto morire egli stesso per distruggere questo maledetto peccato; e comandò che fosse punito. L’imperatore Giustino faceva strappare la lingua a quelli che avevano avuto la disgrazia di commettere un sì grande delitto. Durante il regno di re Roberto, la Francia era oppressa da ogni sorta di sventure: e il buon Dio rivelò a una santa che tanto sarebbero durati i castighi quanto le bestemmie. Allora si sancì una legge che condannava tutti i bestemmiatori ad aver forata la lingua da un ferro infuocato, la prima volta; la seconda, comandava che fossero fatti morire. Badate bene, M. F., che, se la bestemmia regnerà nella vostra casa, tutto andrà a male. S. Agostino ci dice che la bestemmia è un peccato ancor più grave dello spergiuro, perché, dice egli, con lo spergiuro prendiamo il nome di Dio in testimonio d’una cosa falsa, mentre con la bestemmia diciamo una cosa falsa di Dio stesso. Quale delitto! Chi di noi ha mai potuto comprenderlo? S. Tommaso ci dice ancora che v’ha un’altra specie di bestemmia, quella contro lo Spirito Santo, la quale si commette in tre modi: 1° Attribuendo al demonio le opere di Dio, come facevano i Giudei, i quali dicevano che Gesù Cristo cacciava i demoni in virtù del principe dei demoni; come facevano i tiranni e i carnefici, i quali attribuivano alla magia o al demonio i miracoli dei martiri; — 2° si bestemmia contro lo Spirito Santo, ci dice sant’Agostino, “quando si muore nell’impenitenza finale.„ L’impenitenza è uno stato di bestemmia; poiché la remissione dei nostri peccati si fa con la carità, che è lo Spirito Santo;

— 3° quando facciamo azioni che sono direttamente opposte alla bontà di Dio, come quando disperiamo della nostra salute, o non vogliamo usare tutti i mezzi per ottenerla; come quando ci rodiamo perché altri ricevono più grazie di noi. Guardatevi bene dall’abbandonarvi a queste sorta di peccati, perché sono oltremodo orribili. Noi trattiamo Dio da ingiusto, dicendo che dà più agli altri che a noi. Non avete voi forse bestemmiato, F. M., dicendo che non c’è Provvidenza se non per i ricchi e i birbanti? Non avete forse bestemmiato, quando subiste qualche danno, dicendo: “Ma che cosa ho fatto dunque io al Signore più degli altri, per aver tante disgrazie? „ — Che cosa avete fatto? Mio caro, alzate gli occhi e vedrete che l’avete crocifisso. — Non avete forse bestemmiato dicendo che siete troppo tentato, che non potete far diversamente, che tale è il vostro destino?… Ecché? F. M., voi non pensate a ciò che dite!… Dunque Dio vi ha fatti viziosi, collerici, violenti, fornicatori, adulteri, bestemmiatori! Ma dunque voi non credete nel peccato originale che ha degradato l’uomo dallo stato di rettitudine e di giustizia, in cui eravamo da principio stati creati!… La tentazione è superiore alle vostre forze!… Ma, mio caro, la Religione non vi aiuta dunque per nulla a farvi comprendere tutta la corruzione originale?… E voi osate, infelice, bestemmiare ancora contro Colui che ve l’ha data come il più gran dono che potesse farvi?… Non avete voi altresì bestemmiato mai contro la S. Vergine e i Santi? Non avete mai sorriso delle loro virtù, delle loro penitenze, dei loro miracoli?… Ahimè! in questo secolo sciagurato, quanti empi troviamo che spingono la loro cattiveria fino a disprezzare i santi del cielo ei giusti della terra; quanti che si fanno beffe delle austerità dei santi, e che non vogliono servire Dio per sé, né permettere che lo servano gli altri! Vedete ancora, M. F., se non avete mai lasciato ripetere i vostri giuramenti ele vostre bestemmie ai fanciulli. Ah! infelici! quali castighi vi attendono nell’altra vita!. ..

2° Ma, mi domanderete, che differenza passa tra il bestemmiare e rinnegare Dio? — Una differenza grande, M. F . Osservo che parlando di rinnegazione, non intendo parlare di quelli che rinnegano il buon Dio abbandonando la vera Religione; costoro noi li chiamiamo apostati. Intendo dirvi di quelli che, parlando, hanno la maledetta abitudine di rinnegare, per collera o per impeto, il santo nome di Dio: come uno che ci rimettesse al mercato o perdesse al gioco, ese la prendesse con Dio, quasi volesse far credere che ne sia stato Lui la causa. Quando vi capita questo, bisogna che il buon Dio sopporti tutti i furori della vostra collera, quasi fosse Lui la causa della vostra perdita o dell’accidente che v’è toccato. Ah, sciagurati! Quegli che vi ha tratti dal nulla, che vi conserva evi ricolma continuamente di benefìzi, voi osate ancora disprezzarlo, profanare il suo santo Nome e rinnegarlo; mentre, se non avesse voluto ascoltare che la sua giustizia, da quanto tempo sareste inabissati nell’inferno! Ordinariamente vediamo che chi ha la sventura di commettere questi enormi delitti perisce miseramente. Si legge nella storia che un povero ammalato era ridotto in miseria. Essendo entrato da lui un missionario per vederlo e confessarlo: “Ah, padre! gli disse l’ammalato, Dio mi punisce per le mie collere, per le mie violenze, le mie bestemmie, e rinnegazioni. Io sono ammalato da molto tempo e ridotto estremamente povero. Tutte le mie cose hanno fatto una misera fine. I miei figli mi disprezzano e abbandonano, e non son buoni a nulla per i mali esempi ch’io ho dato loro. È già da tempo che soffro su questo pagliericcio; la mia lingua è tutto corrosa, e non posso inghiottir cosa alcuna senza soffrire dolori incredibili. Ahimè, padre! io ho gran timore che, dopo aver sofferto tanto in questa vita, debba soffrire anche nell’altra.„ Anche ai nostri giorni vediamo che questi uomini soliti a giurare e a rinnegare il santo Nome di Dio finiscono quasi sempre miseramente. Badate bene, M. F., se avete questa malvagia abitudine, dovete correggervene subito, per timore, che se non fate penitenza in questo mondo, non andiate a farla nell’inferno. Non dimenticatevi mai che la vostra lingua non deve servirò che a pregare il buon Dio e a cantare le sue lodi, Se avete avuto il mal abito di giurare, dovete pronunciare spesso il santo Nome di Gesù con gran rispetto per purificare le vostre labbra.

3° Se, finalmente, mi domandate che cosa s’intende per maledizione e per imprecazione, vi dirò che s’intende, M. F., maledire, in un momento di collera o di disperazione, una persona, una cosa, o una bestia; s’intende voler annientarla o renderla infelice Lo Spirito Santo ci dice che chi ha spesso la maledizione in bocca, deve ben temere che Dio non mandi a lui ciò ch’egli augura agli altri. Ci sono alcuni che hanno sempre in bocca il demonio, e a lui mandano tutto ciò che li urta. Se una bestia lavorando non va come deve, la maledicono o la mandano al diavolo. Altri, quando fa cattivo tempo, dicono: “Maledetto tempo! maledetta pioggia! ah, maledetto freddo!., maledetti ragazzi!… „ Non dimenticate mai che lo Spirito Santo ci dice che una maledizione, pronunciata invano e con leggerezza, su qualcuno dovrà cadere. S. Tommaso ci dice che, se pronunciamo una maledizione contro qualcuno, è peccato mortale, se auguriamo davvero ciò che diciamo. E S. Agostino ci narra di una madre che aveva maledetto i suoi figliuoli in numero di sette; ebbene, tutti quanti furono invasi dal demonio. Si sa che molti fanciulli, per essere stati maledetti dai loro genitori, furono infermi e infelici per tutta la vita. Leggiamo di una madre che, essendo andata in collera per colpa di sua figlia, le disse: “Ti s’inaridisse il braccio!„ E quasi all’istante alla povera figlia il braccio s’inaridì. I coniugati devono guardarsi dal maledirsi tra loro. Ci sono alcuni che, se non vanno bene in famiglia, maledicono la moglie, i figli, i genitori e tutti quelli che s’intromisero nel matrimonio. Ahimè, F. M.! tutte le vostre disgrazie provengono dall’esservi entrato con una coscienza tutta nera di peccati. — Gli operai, non devono mai maledire il loro lavoro, né quelli che loro lo danno: d’altra parte tutte le vostre maledizioni non faranno mai andar meglio i vostri affari; se invece aveste un po’ di pazienza, se sapeste offrire tutte le vostre pene a Dio, guadagnereste molto per il cielo. E gli strumenti del lavoro non li avete mai maledetti, dicendo: “Maledetta vanga! maledetta roncola! Maledetto aratro!„ eccetera? Ecco, M. F., ciò che attira ogni sorta di maledizioni sulle vostre bestie, sui vostri lavori, sulle vostre terre, spesso devastate dalla tempesta, dalla pioggia o dal gelo! — Non avete mai maledetto voi stessi, dicendo: « Oh, non avessi mai visto la luce!… fossi morto mentre veniva al mondo!… fossi ancor nel nulla!… „ Ahimè! quanti peccati, di cui molti non si accusano affatto, e non vi pensano neppure! — Dirò ancora che non dovete mai maledire né i vostri figliuoli, né le vostre bestie, né il vostro lavoro, né il tempo, perché in tutto ciò maledite la manifestazione della santa volontà del Signore. — I figliuoli si guardino bene dal dar occasione ai loro genitori di maledirli, ciò che è la più grande di tutte le sventure; poiché troppo spesso un fanciullo maledetto da’ suoi genitori è anche maledetto da Dio. Quando qualcuno vi offende in qualche cosa, invece di mandarlo al diavolo, non sarebbe meglio dirgli: “Che il buon Dio vi benedica? „ Allora sareste davvero i buoni servi di Dio, che rendono bene per male. Riguardo a questo comandamento, ci sarebbe ancor da parlare dei voti. Bisogna guardarsi bene dal far voti a capriccio. Certuni, quando sono ammalati, si votano a tutti i Santi, e una volta guariti, non si danno affatto pensiero di soddisfare i loro voti. Bisogna anche vedere se si son fatti davvero come si doveva, cioè in istato di grazia; se li avete osservati. Ahimè! quanti peccati in questi voti! ciò, che invece di piacere a Dio, non può che offenderlo. Che se mi domandate come mai dunque ci sono tanti che giurano, giurano anche il falso, che pronunciano maledizioni e imprecazioni orribili, che rinnegano Dio, vi dirò, M. F., che quelli che si abbandonano a questi orrori non hanno né fede, né religione, né coscienza, né virtù; sono in gran parte abbandonati da Dio. Quanto noi saremmo più felici se avessimo la grazia di non adoperar mai la nostra lingua, consacrata a Dio col santo Battesimo, se non per pregare un Dio sì buono, sì benefico, e cantare le sue sante lodi! Poiché è appunto per questo che Dio ci ha dato una lingua; consacriamola a Lui, affinché, dopo questa vita, possiamo avere la felicità di andarlo a benedire in cielo per tutta 1’eternità. Ciò che vi auguro di cuore …

LO SCUDO DELLA FEDE (162)

P. F. GHERUBINO DA SERRAVEZZA Cappuccino Missionario Apostolico

IL PROTESTANTISMO GIUDICATO E CONDANNATO DALLA BIBBIA E DAI PROTESTANTI (30)

FIRENZE – DALLA TIPOGRAFIA CALASANZIANA – 1861

SECONDA PARTE.

Genuino prospetto del Cattolicismo, e del Pretestantismo, delineato dai Protestanti.

PRATTENIMENTO IV

Accusa della Riforma contro la Chiesa Cattolica. – Quanto abbiano di verità, e a chi debbano propriamente applicarsi

PUNTO III.

Vera ragione per cui i Riformatori dichiararono la Santa Scrittura unico giudice della fede, unica regola del cristiano secondo il senso privato. — Effetti della interpretazione privata.

55. Prot. Tale avvenimento sarebbe stato realmente una significante disfida, se i Riformatori avessero conservata e data la vera Bibbia: ma l’essersi appellati alla Bibbia, l’aver data la Bibbia come unica regola, etc. dopo averla travisata, alterata e rifatta a lor modo, come già ti ho detto, (Vedi sopra, N, 31, e la I, parte, N, 72). Tale avvenimento non è più un’onorata disfida, ma una vituperevole trufferia. Oltre a ciò, la vera ragione che a tal partito li spinse, equivale a una solenne condanna della lor causa, quand’anche avessero conservata intatta la Bibbia. Se tu l’ignori, ascoltami, che io ti narrerò il tutto esattamente e per ordine.

« La Tradizione, una prescrizione di tempi lontanissimi, le decisioni date da colui che siede nella sedia di S. Pietro, i pensieri dei Padri della Chiesa e dei Dottori di lei, ed a soprassello di delirio, pur anco la venerabile formola nel primo Sinodo di Gerusalemme — Egli piace allo Spirito Santo ed a Noi pronunziata da’ Concilii ecumenici o generali, vennero reputate cose da nulla, e quasi altrettante quisquilie e superfluità da’ Riformatori e da’ loro seguitatori, allora quando erano contrarie alla prima loro convinzione ed agli argomenti su cui essa saldissima si fondava. E conviene però sapere, tutto questo essere avvenuto a poco a poco.

» Da prima essi medesimi molto dubitavano della strada per la quale avevano mosso il passo; né sapevano fin dove gli avrebbe ella condotti, essendo essi ben lungi dall’iscacciar da sé di primo colpo ogni autorità della sede Romana, dei Padri della Chiesa, dei Concilii e della Tradizione. Si studiavano a tutto uomo, perché le loro interpretazioni riuscissero in guisa, che fossero appoggiate da’ Santi Padri, e dai grandi dottori della Chiesa, dalla Tradizione e dalle decisioni de’ Concilii. Ma non prima addiveniva che coteste autorità dessero, comunque fosse, una testimonianza favorevole a’ loro avversarii, tantosto la negavano, e ne appellavano ad un’autorità superiore. Se un’appellazione veniva spesse fiate riportata ad un futuro Concilio ecumenico, e valeva alcun che più che una segreta mena chiesta imperiosamente dalle loro circostanze, questa riteneva in sé una fiducia nella maggioranza di tal concilio, la quale rispondeva a capello a quel convincimento, che i Riformatori avevano intorno alla bontà della causa loro. Imperocchè, dato che il Concilio avesse presa decisione contro di essi (come poco dopo venne fatto dal Concilio di Trento) che altro rimaneva, se non palesare in aperto, tutta la Gerarchia radunata in consesso non esser che uomini, i quali, quantunque insieme raccolti, pur fossero tanto fallibili ed all’errore propinqui, quanto ciascuno per sé isolatamente lo fosse?

» Per il che prestamente si trovarono in quel punto, donde non si poteva più uscire senza dichiarare, come fecero.,. esser la Scrittura l’unico e perentorio giudice nelle materie pertinenti alla fede, e il solo fonte, da cui si dovesse attingere e derivare la dottrina di Cristo. Quanto poi le cose, di che parliamo, avessero valore rispetto alla Chiesa Cattolica, e questa quali opposizioni avrebbe potuto fare a cosiffatto sistema, non è a dire. Bastaci solamente di qui accennare che separossi a poco a poco vieppiù, il lume, ben dove ognuno avvedersi, che un libro, per quanto infallibile e divino si fosse; allora solamente era da riputarsi siccome giudice infallibile in materia di fede, quando sì assomigliasse ai principii della scienza Geometrica…. La Bibbia non è un tal libro.» (Wieland, Opere varie, T. 1, p. 186).

56. « Per il che abbiam fatto sètte e fazioni, predicando senza alcun discernimento; senza precauzione né prudenza alla canaglia, a plebe insensata e furibonda. Molta gente brava ed esperta vi ha fatto anch’essa naufragio, ed assai predicatori riputati nostri… non sanno ben maneggiarsi; e da uomini frenetici e furibondi non fanno che schiamazzare al popolazzo – Parola di Dio, parola di Dio, parola di Dio, — e dal Vangelo escono (cioè fanno uscire) menzogne diaboliche: per la qual cosa da un Lutero sorge un Munstero, e gli altri fomentatori di turbolenze, gli Anabattisti, i Sacramentarii, e tanti altri falsi fratelli! » (Lutero, Opp. ediz, di Wittemberga, 1573, part. V, p. 5, 6, 75).

« Che razza di gente sono i nostri protestanti, vaganti su e giù portati da ogni vento di dottrina ora da questa, ora da quella parte? Voi potete forse conoscere quali sieno i loro’ sentimenti di oggi in materia di religione; ma non potete certamente dire quali saranno quelli di domani! In quale articolo di religione si accordano quelle Chiese tra loro, le quali hanno rigettato il Vescovo di Roma? Esaminatele tutte da capo a’ piedi, voi appena troverete una cosa affermata da uno, che non sia immediatamente condannata da un altro come empia dottrina! » (Andrea Dudith, nella sua lettera a Reza)

« Tutti tra noi sono Dottori; tutti divinamente addottrinati! Non vi è il più infimo facchino o buffone, il quale non ci spacci i suoi propri sogni per parola di Dio!… Per il che un’immensa caverna sembra che siasi aperta, d’onde si è innalzato un fumo, il quale ha offuscato i cieli e le stelle, e le locuste sono uscite fuori con gli aculei, vale a dire – una numerosa progenie di settari e di eretici, i quali hanno rinnovellate tutte le antiche eresie, ed hanno ritrovate molte mostruose opinioni loro proprie. Questi hanno riempiute le nostre città, villaggi, campagne, case, anzi le nostre chiese ed i pulpiti ancora, ed hanno tirato seco il misero deluso popolo alla fossa di perdizione (Il dott. Wartan, nella prefazione della sua poliglotta).

« Gli eroi della seconda Riforma, erano gran leggitori della Bibbia, e presso che ognuno di essi diventava, all’occasione, predicatore … Ciascheduno interpretava la Bibbia a suo modo, e tutti erano per la Bibbia senza note, o commenti. Ruggièro North (protestante) nel suo Esame dà ragguagli di tutte le specie di bestemmie e di orrori commessi da siffatta gente, che avevano infettati gli animi di tutta quasi l’intiera comunità. Quindi ogni sorta di mostruosi misfatti. A Dover una donna recise il capo ad un suo bambino, adducendo di averne avuto, come Abramo, un particolare comando da Dio. Un’altra donna fu giustiziata a York per aver crocifissa la propria madre. Essa aveva insieme sacrificato un vitello ed un gallo. Questi tra gli orrori di quella compiutamente pia Riforma, non sono che un mero saggio. E come non farsi luogo a simili orrori? Noi troviamo nella Bibbia delle uccisioni; e se uno debbe essere a sé stesso l’interprete di quel libro, chi sarà che dica di agire in modo contrario alla propria interpretazione di quello? E come impedire tutte coteste nuove mostruose sètte? (Gobbet, Op. cit. Lett. 12, § 366). » Sino dal principio io sospirando diceva:

« Se l’interpretazione della Bibbia secondo l’opinare e il sistema di quelle scuole prende il sopravvento, in poco stante, non vi ha dubbio, la Sacra Scrittura si ridurrà in un bel niente, e verrà la ragione dell’uomo in sua vece; questa salirà sul trono, questa diventerà la guida benevola, questa sarà l’unica norma della nostra religione. » (Francesco Turrentino, Ministro e professo di teologia in Ginevra, Lett. a Giov. Heiddeger, 1665). Tutto questo lo vediamo avverato. Il protestantismo è un pretto razionalismo.

PUNTO IV.

L’Inquisizione spagnuola e la protestante.

37. Apost. Checchè sia della vostra Riforma, è certo almeno che essa non è sanguinaria come il Cattolicismo. A chi non son noti gli orrori dell’Inquisizione di Spagna?

Prot. Tu non ignorerai che i Giudei eran singolarmente presi di mira dall’Inquisizione di Spagna. Or dunque senti che cosa. Ne dice un Giudeo Rabbino Tedesco.

« Le ingiustizie di Spagna son cosa affatto speciale e propria del popolo spagnuolo. Quando la Spagna cacciava i Giudei, i Papi (N. B.) accoglievano in Roma e nei loro Stati i perseguitati; quando la Spagna inferociva con barbarie contro di loro, essi trovavano nei Papi protezione e salvezza. » (Rabbino Philipson, nella sua Gazzetta Universale pei Giudei, che esce in Magdeburgo. Vedi il Cattolico (giornale) di Genova, 7 Genn. 1860, N. 3046).

Ecco pienamente giustificata la Chiesa Cattolica su questo punto da un giudice non sospetto di parzialità.

« Tutti professano unanimemente, ed in generale con sincerità, la massima avversione ad ogni genere di persecuzione…. A principio (di persecuzione) i primi Riformatori non rinunziarono. Si lagnavano delle persecuzioni a cui erano esposti, non perché  dubitassero che gli eretici debbano venire perseguitati, ma perché negavano di essere essi eretici. Dichiararono che la persecuzione consiste nelle pene inflitte a coloro che seguono la vera Fede, e tale era secondo essi la loro, ma il mettere a morte i veri eretici era agli occhi loro non persecuzione, ma bensì un atto di giustizia! » (Whately, attuale Arcivescovo Anglicano di Dublino, Introduzione alla storia del culto religioso; Lez. IX, § 5)

Troppo lunga e spaventosa sarebbe la mia narrazione, se riferir ti dovessi le stragi, li orrori commessi a questo’ proposito in Ginevra da Calvino, ed in generale dai protestanti in tutti i paesi di loro dominio in Europa, e singolarmente in Inghilterra. Quindi per non andar troppo in lungo mi ristringerò a darti un saggio delle persecuzioni avvenute contro i Cattolici in questo ultimo paese sotto il regno di Enrico VIII, e di Elisabetta sua figlia, e di quelle avvenute in Olanda. Ascolta.

« L’opera di sangue cominciò (in Inghilterra), e continuò poi di passo costante… E per dare un saggio delle opere del Riformatore (Enrico VIII), contentiamoci di parlare del trattamento usato con Giovanni Houghton priore della Certosa di Londra. (Questo infelice priore, per aver ricusato di prestare il giuramento (di supremazia ecclesiastica), il quale (notate) prestar non poteva senza commettere uno spergiuro, fu trascinato a Tyburn (luogo di supplizio). Appena egli fu appeso, che si tagliò la corda; ond’egli vivo stramazzò sul suolo…. Fu denudato, gli furono stracciati dal corpo gli intestini, i visceri ed il cuore, e gettati sulle fiamme; gli fu troncata dal busto la testa, il fusto fu diviso a quarti fatti sobbollire; i quarti poi tagliati a pezzi, ne furono sospese le membra nelle differenti parti della città, ed uno de’ suoi bracci fu inchiodato al muro sull’ingresso principale del suo Convento!

« Tali sono i mezzi che a talento di Burnet (protestante) furon necessarii ad introdur la Religione protestante! Ahimè! Come differiscono essi da quelli che il Pontefice S. Gregorio e Santo Agostino impiegarono ad introdurvi la Cattolica Religione ! » (Cobbet, Op, cit. Lett. 3, § 97, 98).

« Bettina era una gran Dottoressa di Teologia; era estremamente gelosa delle sue prerogative e del suo potere, ma sopra tutto in ciò che riguardava il suo Primato della Chiesa. Ella volle far sì che tutti i suoi sudditi fossero della sua religione, sebbene alla sua coronazione avesse solennemente giurato di esser cattolica…. è per piegare le coscienze del popolo al suo tirannico volere stabilì un’inquisizione la, più orribile, che si fosse mai udita al mondo. Ella diede una Commissione, come la chiamava, a certi Vescovi ed altri, il cui potere estendevasi su tutto il regno e su tutte le classi e gradi del popolo. Erano coloro autorizzati ad esercitare un assoluto potere sulle opinioni di tutti gli uomini, a punire tutti gli uomini a loro capriccio, eccetto la morte…. Questi mostri subalterni imponevano quelle multe che andavano loro a genio, imprigionavano essi delle persone per quella lunghezza di tempo che loro attalentava. Essi mettevano in campo quantunque nuovi articoli di fede suggeriva loro il capriccio; insomma erasi questa una Commissione che in nome e pei disegni della buona regina Betta esercitava un assoluto potere sui corpi e sugli spiriti di quella gente, che i vili, gli ipocriti ed i rapaci Riformatori pretendevano di aver liberata da una schiava soggezione del Papa….

« Un’occhiata che si dia ai fatti di cotesta indegna Tiranna, nel vedere a quanto abietta schiavitù ridotta ella aveva la nazione, e specialmente nello scorgere questa Commissione, egli è per noi impossibile il non riflettere con vergogna su ciò, che siamo andati sì lungo tempo dicendo contro la Ingiustizia di Spagna, la quale dal primo suo stabilimento fino al giorno d’oggi non ha commessa tanta crudeltà, quanta ne ha commessa questa feroce apostata femmina protestante, in ciascuno dei quarantacinque anni del suo regno. E piacciavi di osservare, e di non mai dimenticare, che i Cattolici quando imponevano delle punizioni le imponevano sul fondamento che i delinquenti eransi dipartiti dalla fede in c 7ui erano stati educati, e che aveano essi professato per tutta la loro vita. E nel caso particolare di questa brutale ipocrita, furon essi puniti poi nel modo più barbaro per aderire appunto a quella religione, che ella aveva manifestamente professata per molti anni di sua vita, ed a cui aveva giurato di appartenere nell’atto stesso della sua coronazione.

« Vi ha bisogno appena il tentar di descrivere gli strazi che ebbero a patire i Cattolici durante questo regno crudele. Niuna lingua, niuna penna esser puote all’uopo adeguata. L’ udir Messa, il ricettare un prete, l’ammetter la supremazia del Papa, il negare a quest’orrida amazzone la spirituale supremazia e cose altre parecchie che un onorato Cattolico poteva a mala pena evitare, lo consegnavano al palco ed al coltello dilaniatore…. I sacerdoti che non erano mai usciti d’Inghilterra, e che. erano preti innanzi al regno di codesta femmina orribile, al ventesimo anno del costei regno erano ridotti a ben pochi; perocchè per legge vietavasi l’ordinarne de’ nuovi sotto pena di morte…. Quindi vessò gli antichi rimanenti sacerdoti per siffatto modo, che all’anno ventesimo del suo regno furono eglino presso che sterminati. E siccome per un sacerdote era morte l’andar fuori del regno, morte il dargli ricovero, morte per lui il far le sue funzioni in Inghilterra, morte il sentir la sagramental confessione, sembrava impossibile l’arrestar colei dall’estirpare, e totalmente estirpar dal suo reame quella religione, sotto i cui auspici l’Inghilterra era stata sì grande e felice per tanti secoli….

« Essendo poi soddisfatta in tutti i suoi progetti di distruggere il tronco di quegli evangelici operarii, ella con più furia che mai si fece addosso alle branche e al fusto di quello. Il dir messa e l’udirla; il far la confessione e l’ascoltarla, l’insegnare la Cattolica Religione e l’esserne ammaestrato, infine l’alienarsi dalla Chiesa di lei, erano questi tutti gran delitti, e tutti puniti con più o meno di severità; per cui le forche, è patiboli e le torture erano in uso continuo; e le carceri, e le segrete erano stivate di vittime. » (Cobbet, Op. cit. Lett. XI, §338, e segg.).

«In Olanda i tormenti ordinarii della tortura la più crudele non furono che i minori mali che si fecero soffrire a questi innocenti (cattolici). Le loro membra slogate, i loro corpi lacerati dalle verghe, venivano in seguito avviluppati in lenzuola bagnate nell’acquavite, vi si appiccava il fuoco, e si lasciavano in questo stato fino a che la lor pelle annerita e rangrinzata scoprisse i nervi nelle parti del loro corpo. S’impiegava lo zolfo, e mezza libbra di candele per abbruciar le ascelle e le piante de’ piedi. Di tal guisa martoriati si lasciavano alcune notti coricati sulla terra senza coperta, ed a furia di colpi si cacciava lungi da essi il sonno. Il lor nutrimento non era che di aringhe ed altri alimenti che loro si porgevano affin di eccitare nelle loro viscere tutto il fuoco di una sete divorante, senza lor permettere l’oso di un bicchier d’acqua per quante suppliche si facessero. Si collocavano dei calabroni sull’ombelico dei pazienti e se estraeva il pungolo che vi avevano immerso, della lunghezza dell’articolazione di un dito. Soni stesso aveva inviato a questo spaventevole tribunale, un certo numero di topi che si collocavano sul petto e sul ventre di questi infelici, sotto uno strumento di pietra, o di legno fatto a tal uopo, e ricoperto di una placca di rame. Il fuoco posto sopra questa placca sforzava questi animali a roder le carni e farsi un passaggio sino al cuore ed alle viscere. Si abbruciavano queste ferite con carboni accesi, si faceva colare del lardo fuso su questi corpi insanguinati! … Altri orrori più ributtanti ancora furono posti in opera con un sangue freddo, de’ quali appena, si potrebbero trovare esempi tra i cannibali; ma la decenza mi proibisce di proseguire! » (Abregé de l’histoire de la Hollande par M. Kerroux, Leyde 1778, T. 2, p. 310).

I TRE PRINCPII DELLA VITA SPIRITUALE (VI)

I TRE PRINCIPII DELLA VITA SPIRITUALE (VI)

LA VITA SPIRITUALE RIDOTTA A TRE PRINCIPII FONDAMENTALI

dal Padre MAURIZIO MESCHLER S., J.

TRADUZIONE ITALIANA PEL SACERDOTE GUGLIELMO DEL TURCO SALESIANO DEL VEN; DON GIOVANNI BOSCO

VICENZA – Società Anonima Tipografica; 1922

Nihil obstat quominus imprimatur.

Vicetiæ, 24 Martii 1922.

Franciscus Snichelotto

IMPRIMATUR

Vicetiæ, 25 Martii 1922.

    M. Viviani, Vic. Gen.

SECONDO PRINCIPIO FONDAMENTALE: VINCERE SE STESSO (I)

Oltre che necessaria, la preghiera è il principio d’ogni bene; ma non più che il principio. Ad essa deve necessariamente unirsi la vittoria di se stesso, che è il secondo dei tre principî fondamentali, e quello che rende sicura ed anche soave la nostra vita spirituale,

CAPITOLO I.

Retta idea dell’uomo.

La preghiera regola e indirizza a Dio i nostri pensieri; per cui riesce facile a chi conosce Dio il pregare. Il vincere sé stessi volge le nostre cure su noi medesimi, e c’insegna come dobbiamo trattarci. Ma, perché  uno si regoli convenientemente, fa d’uopo che prima si conosca ed abbia di sé e della propria natura un giusto concetto. Tre sono le principali dottrine circa l’uomo.

1. Cominciando dalla prima, l’uomo fin dalla sua origine e di sua natura è assolutamente buono e perfetto; la sua depravazione viene più tardi, e nasce non da lui ma dal suo contatto col mondo corrotto e dalla influenza malefica che questo esercita su di lui. Per cui l’uomo non ha da far altro che guardarsi dall’azione perversa del mondo esterno. Quanto al resto, ben può lasciarsi andare e svilupparsi conforme agli impulsi della sua natura. Questo è il concetto che dell’uomo si formano i materialisti di tutte le sfumature. Negano ogni intervento soprannaturale, e non vogliono sentir parlare di peccato originale né delle fatali sue conseguenze nell’uomo. Sovversivo ottimismo, che, non volendo vedere questo disordine e questa desolazione evidenti e palpabili che si manifestano nell’uomo, distrugge tutto il Cristianesimo.

2. La seconda teoria o dottrina è del tutto opposta alla prima. L’uomo fu creato buono da Dio; però il peccato originale l’ha inclinato in tal modo al male, che nel suo essere non c’è nulla di buono ma solo peccati manifesti. Non può nemmeno Dio migliorarlo più interiormente; solamente, obbligato a prescindere dalla di lui malizia, lo riveste all’esterno colla giustizia di suo Figlio, della quale l’uomo s’adorna mediante la fede e la speranza; restando per sé sempre cattivo, anche in cielo. Così la pensavano i riformatori del secolo XVI. È questo un pessimismo infondato e può dirsi anche una specie di manicheismo, nel quale Dio medesimo apparisce incapace di dominare il male che una volta ha permesso. Siccome questo sistema di giustificazione è un controsenso, all’uomo non resta altro rimedio che la disperazione.

3. La terza dottrina insegna che Dio da principio creò l’uomo buono e retto; ma che costui, sedotto dal serpente, cadde, e, in conseguenza del peccato originale e della perdita della grazia santificante, non solo restò privo del suo fine soprannaturale, ma indebolito altresì nella sua natura, sebbene non essenzialmente, per la disordinata concupiscenza. Mediante il santo Battesimo ricupera la grazia santificante, la bontà, la giustizia e santità interne; gli restano nondimeno la concupiscenza e le sregolate passioni, le quali, pur non privandolo della sua libertà, gli muovono una guerra accanita e gli offrono continuo incentivo alla colpa, sempre certo però che, tanto per la grazia di Gesù Cristo e della propria cooperazione, quanto per l’uso dei mezzi offertigli dalla Chiesa, nella preghiera e nell’esercizio del vincere se stesso, può uscire vittorioso.

Questa è la dottrina cattolica unicamente vera e retta rispetto all’uomo. In essa si dà a Dio la parte dovutagli; e così all’uomo, cui al tempo stesso umilia ed eleva, previene, incoraggia ed infonde speranza. Tutto vi stà al suo giusto posto; a Dio, come autore e consumatore della santità, si offre la riconoscenza; all’uomo, l’onore ed il merito di cooperare alla propria salvezza. Qui non v’è alcuna esagerazione. È il pessimismo più moderato, ed il più ragionevole e nobile ottimismo. – Pertanto, è della massima importanza il persuaderci fermamente che il vincere sé stessi è il campo in cui dobbiamo anzitutto manifestare l’attività propria.

CAPITOLO II.

Che cosa sia il rinnegare sé stessi.

Il rinnegare sé stessi, detto altresì mortificazione, è ciò che forma lo spauracchio degli uomini. Nulla v’è di peggio d’una cieca paura, che non sa rendersi ragione; e per toglierla, nessun rimedio migliore del mettere allo scoperto l’oggetto che la produce, e far vedere che è pretta fantasia. Orbene, dicasi altrettanto del vincere sé stessi o mortificarsi: basta osservare ciò che è per allontanare da noi ogni ripugnanza.

1. Che cosa è, dunque, il rinnegare o vincere sé  stessi? Non è altro che l’imposizione o sforzo morale che dobbiamo farci per vivere secondo che lo esigono la ragione, la coscienza e la fede; la fatica che ci costa per operare in conformità del nostro dovere ed essere realmente ciò che dobbiamo e vogliamo: uomini ragionevoli e di carattere. È chiaro che per ciò, richiedesi una non comune energia, conseguenza questa della prima caduta, ed un ricordo che ha lasciato in noi il peccato originale. Anteriormente tutto tornava facile e soave, ed ora non più. A causa della lotta che dobbiamo sostenere, riceve questa virtù diversi nomi: abnegazione, resistenza, dominio, mortificazione, odio di sé stessi, i quali tutti denotano la medesima cosa, che giustamente, attesa la violenza che dobbiamo farci, prendeva i varî titoli seguendo l’esempio della Sacra Scrittura. Tutti questi nomi, infatti, richiamano precisamente l’idea del combattimento, contrasto e forza richiesta, che interiormente ci fa provare un certo malessere. La difficoltà non deriva tanto dalla cosa in sé, poiché possiamo persino volerla ed apprezzarla, bensì da noi, dall’attuale nostra natura, debole e sensibile, che fa d’uopo portare in alto.

2. Qual è propriamente l’oggetto di questa lotta? Che cosa è che dobbiamo combattere e distruggere? La natura? Tutt’altro. Non l’abbiamo creata noi, né ci appartiene: è di Dio. Possiamo farne uso, ma sprecarla no. E tanto meno sono oggetto di mortificazione le potenze naturali; al contrario ne abbiamo bisogno e ci sono indispensabili per vivere e lavorare. Quanto più sono forti e perfette, tanto meglio. Similmente, nemmeno le passioni considerate in sé stesse sono quelle che dobbiamo combattere; le passioni sono parti integranti della natura nostra, e, prese in sé, sono buone od almeno indifferenti; è solo l’uso cattivo che le rende nocevoli. Nessuna di queste cose è oggetto della mortificazione, ma unicamente ciò che in esse v’è di disordinato. Qual cosa, dunque, potremo dire disordinata? Ecco, tutto quello che si oppone direttamente al fine, o ce lo fa perdere, o ci mette in pericolo d’allontanarcene, o finalmente ciò che in nessun modo torna utile a conseguirlo. Disordinato è dunque, secondo questo, anzitutto ciò che è peccaminoso: poi ogni pericolo di peccare cercato od accettato senza necessità; infine tutto quello che è inutile e non necessario e che si oppone alla nostra ragione, alla coscienza ed alla fede. Questo e solo questo è l’oggetto della mortificazione, e contro di esso dobbiamo combattere sino a distruggerlo, se vogliamo condurre una vita pura e degna d’un essere ragionevole.

3. Con ciò resta altresì ben assodato che il fine della mortificazione non è di contrariare, costringere, danneggiare o distruggere la natura, ma di averne cura, di sostenerla, guidarla, ordinarla, educarla, migliorarla, renderla forte, volonterosa, costante e disposta ad ogni cosa buona: di ritornarla per quanto è possibile alla sua primitiva purezza, giustizia e santità, di rinvigorirla e addestrarla nel buon uso delle sue facoltà, al servizio di Dio ed all’aiuto e salvezza degli uomini. Per cui il fine a cui è diretta l’abnegazione propria, non può essere la violenza colle sue difficoltà. – L’uomo non nasce al dolore, ma alla felicità sia dell’anima come del corpo, egli era felice da principio, e solo dopo il peccato cessò di esserlo. Il dolore, quindi, gli è semplice compagno e non fine; è la guida che ha da condurlo gloriosamente alla vittoria ed alla pace. Il dolore stesso e la pena andranno insensibilmente scomparendo, nella proporzione che noi ci consacreremo con energia ed animo virile al rinnegamento di noi stessi e vi persevereremo con costanza.

4. Una luce ancor maggiore avremo circa la natura e l’importanza della mortificazione, nel considerare il posto che questa virtù occupa tra le altre e nel sapere a quale di esse appartenga. Non appartiene propriamente a nessuna in particolare, ma prende posto dovunque occorra energia e buona volontà. Viene in aiuto quasi sempre della temperanza e della fortezza, giusta la necessità di frenare e reprimere l’immoderato zelo d’una passione, o d’infondere vitalità, energia e costanza in un’impresa difficile. Questa, dunque, e non altro è l’abnegazione o dominio di sé stessi. Come si vede, è la cosa più semplice e naturale del mondo, attese le presenti circostanze. – Si tratta unicamente di arrivare coll’aiuto suo ad essere ciò che dobbiamo e vogliamo essere, di renderci, cioè, per quanto è possibile, uomini stimati, nobili, puri e buoni Cristiani. Come in poche parole insegna molto bene S. Ignazio nel libro degli Esercizi, la mortificazione consiste nel diportarsi in maniera da non lasciarsi travolgere da alcuna passione sregolata. Credere che la mortificazione sia qualche cosa di più di quello che abbiamo detto, è pura fantasia, e serve solo a renderla spregevole. Gran parte dell’orrore che essa ispira proviene precisamente dall’errata idea che se ne ha: è proprio il leone del pigro, ricordato dalla Sacra Scrittura (Prov. XXVI, 13), lo spauracchio terribile che spoglia de’ suoi diritti la nobile nostra natura creata da Dio, e che la mette in angustie di morte; e nulla di più falso! Importa moltissimo aver idee giuste in proposito, ché tagliano di colpo il nodo gordiano.

CAPITOLO II.

Perché dobbiamo mortificarci.

I motivi che abbiamo di mortificarci sono innumerevoli.

1. Anzitutto bisogna aver presente che noi viviamo in uno stato di natura decaduta; stato di disordine e di depravazione, come chiaramente ce lo insegna l’esperienza. La natura nostra è simile ad un vecchio albero. traforato ed infetto da una moltitudine di piccoli insetti: sono inclinazioni ed appetiti, piccoli sì ma pericolosi ed anche ripugnanti. i quali ritraendosi dal bene, ci spingono al male e c’inclinano al peccato. Siamo pieni d’amor proprio, di vanità, d’invidia, di pusillanimità, d’impazienza, di sensualità, d’infingardaggine e d’incostanza. L’uomo migliore può cadere miseramente, se non si fa continua violenza. Un sol giorno che lasciassimo campo libero alle passioni, potrebbe bastare perché fossimo trascinati al male in una maniera incredibile. Le bestie feroci si custodiscono in gabbia, e non è da fidarsi del tutto nemmeno degli animali domestici. Non v’ha nulla di così basso e volgare, di cui non sia capace l’uomo, se è trascinato da passioni sfrenate. L’unico rimedio è la grazia di Dio e il dominio di sé stessi.

2. Siamo uomini e viviamo in mezzo agli uomini. Il mondo non è per noi un inferno, ma neppure un paradiso. La vita è un viaggio, però non un semplice viaggio di piacere; è una lotta continua e faticosa, e la fatica stanca; è un servizio militare, di cui non passiamo dispensarci; è una guerra, e guerra di vita o di morte; è un intreccio di dolori e di gioie. di fortune e sfortune, che alle volte c’innalzano fino a renderci superbi, tal altra ci deprimono fino allo scoraggiamento ed alla disperazione; è una società in cui gli uni e gli altri si sostengono mediante una rete d’associazioni, classi, stati e vocazioni distinte, ciascuna delle quali esige particolari sacrifici. sarà capace di soddisfare a tutti quegli obblighi senza farsi violenza, senza sacrificarsi, senza una gran provvista di pazienza? È necessario aver pazienza con tutti: con noi, col prossimo, e persino con Dio medesimo. Ma può darsi pazienza senza mortificazione?

3. Siamo Cristiani e non v’è cosa nel Cristianesimo che non ci obblighi alla mortificazione. Il Salvatore, che fondò la nostra Religione, non ristrette un momento dal predicarcela colla dottrina e coll’esempio. Dalla culla alla croce tutti i misteri della sua vita sono un esercizio continuo di mortificazione; la impone come condizione necessaria ai suoi discepoli e seguaci (Matt. XVI, 24), e ne fa il contrassegno e distintivo della sua Chiesa, La fede cristiana è una croce per l’orgogliosa nostra scienza, ed è l’armeria dove si trovano schierati tutti gli argomenti pel rinnegamento di sé stessi; anche i Comandamenti sono oggetto di mortificazione, e perfino i Sacramenti sono emblemi di abnegazione per ciò che rappresentano, e moventi di essa per la grazia che comunicano; insomma, giusta San Paolo, tutta la vita cristiana è un morire ed essere sepolti con Cristo (Rom. VI, 4 – Col. III, 3). Senza l’essenziale abnegazione, necessaria per evitare tutti i peccati mortali, osservare tutti i Comandamenti e resistere a tutte le tentazioni, il nostro Cristianesimo sarebbe cosa vana ed inutile. Soltanto per la spinosa via e l’angusta porta della mortificazione. Si può arrivare al cielo (Matt. VII, 44). Rigettare per sistema il rinnegamento di noi stessi, è di spiriti nemici di Dio, ed equivale a disertare dal Cristianesimo e dal concetto cristiano del mondo.

4. Più ancora: dobbiamo essere virtuosi; poiché solo per mezzo delle virtù conseguiremo il fine nostro. La via per giungervi sono le buone opere, e siccome per ben operare sono necessarie le forze, e queste precisamente sono le virtù che consistono nell’abituale energia, risulta che, in maggiore o minor grado, ci sono necessarie. Ora: tutte le virtù costano, e perciò dobbiamo abbracciare la mortificazione e lottare contro noi stessi. Da ciò risulta che non è questa un’unica virtù, ma coopera con tutte. La virtù in sé stessa è bella e desiderabile, ma la difficoltà di possederla ed esercitarla ci rimuove ed allontana. Ed ecco, che la abnegazione supera questa difficoltà; quegli che ha imparato a vincersi, possiede la chiave di tutte le virtù. – Questa è la parte importantissima che la mortificazione sostiene nella vita virtuosa.

5. Altrettanto dicasi del merito, senza del quale non si può conseguire la gloria. Non si dà merito più sicuro di quello dell’abnegazione, poiché questa va direttamente contro l’inclinazione nostra naturale, ed è libera perciò d’ogni inganno. Ma v’ha di più. Il dominio di sé stessi non solo ha il merito più certo, ma anche il più grande, in quanto che è la cosa più difficile, e per la quale è necessario esercitare le più alte virtù. Come apprezzeremo qualunque sacrificio, qualunque atto d’abnegazione, ancorché piccola, all’avvicinarsi dell’eternità, quando giungerà il momento in cui si deciderà del merito delle nostre azioni! E quanti atti di mortificazione, grandi e piccoli, potremmo praticare tutti i giorni, mettendo un po’ di cura!

6. Stando così le cose, è evidente che il miglior maestro spirituale è colui che ci anima a dominare noi stessi, il libro migliore d’ascetica quello che c’insegna l’arte della mortificazione. « Tanto sarà il profitto tuo, quanto sarà la violenza che ti farai», dice Tomaso da Kempis. È certo che la vera vita spirituale,. libera d’inganni, consiste nel conservare il cuore mondo dai peccati, nell’esercitare atti virtuosi ed estirpare le sregolate passioni, il che può conseguirsi solamente colla mortificazione, vera pietra di paragone dell’ascetica.

7. Finalmente, noi desideriamo e dobbiamo essere uomini del giorno, uomini moderni, d’attualità. Vale a dire, che, ben intesa la cosa, dobbiamo vivere col tempo, facendo nostre le sue buone idee ed aspirazioni e caldeggiandole in noi. Dio non si oppone a questo; anzi, tali ideali ed eccitamenti, sono mezzi coi quali Egli guida l’umanità sempre verso la mèta assegnatale. Si parla molto presentemente e si tratta della formazione, cultura, incivilimento e progresso in generale; e venendo al concreto, si discute circa la formazione dell’individualità, della personalità e del carattere. E giustamente; imperocchè a che giovano tutti i progressi esteriori, tutta la scienza, tutta la cultura, l’arte di governare i popoli, se l’uomo si presenta come rozzo, barbaro e d’inferiore condizione, come un mendicante, moralmente parlando, e come un misero schiavo delle più basse passioni, in mezzo alla grandezza del mondo, sua dimora, avverandosi così letteralmente il detto del profeta: La terra è piena d’argento, e d’oro, e i suoi tesori sono inesausti… ma in mezzo ad essi c’è l’uomo… incurvato e umiliato (Is. II, 7 sgg.)? Ed in che altro consiste la formazione del carattere personale e dell’individualità propria, se non nel formare, educare e rendere pronta la volontà, per tutto ciò che sa di buono, di nobile ed elevato? E come conseguire questa formazione e perfezionarla? Vincendo sé stessi principalmente. In questo modo si provano le forze della volontà, e bisogna che questa seguiti tal metodo se vuol diventare uno strumento di bene.

8. L’uomo che pratica questi insegnamenti è veramente nel posto d’onore e di grandezza, in cui era stato collocato primitivamente da Dio. Ogni atto vittorioso sulle cattive inclinazioni, l’avvicina di più al modello divino e col tempo arriverà ad essere ciò che Dio si propone di lui: un riflesso della divinità; ; un vero santuario di giustizia, di sapienza; di ordine, di bellezza, di verità e di fede. Notisi bene però: tutto questo potrà solo conseguirsi al prezzo della propria abnegazione.

CAPITOLO IV.

Proprietà dell’ abnegazione propria.

Il fine della propria abnegazione è veramente magnifico; però non ogni abnegazione può conseguirlo; ma solo la vera, che deve avere le proprietà seguenti:

1. Solidità: Non è raro il caso di trovar uomini che consentono di vincersi di quando in quando, in date occasioni, in via eccezionale, quando non possono far a meno. Ma questo non basta. Il dominio di sé dev’essere costante, radicale, premeditato, e sorga naturalmente dallo stesso metodo di vita. È d’uopo proporci seriamente di essere guardinghi, e di non lasciar passare occasione di farci violenza, altrimenti non finiremo mai di vincere le passioni sregolate e le cattive inclinazioni che continuamente ci tendono insidie e minacciano. Non bisogna dimenticare che il disordine ed il mal germe non si trovano in noi soltanto di passaggio e in date circostanze, ma che pur troppo sono l’eredità della natura che portiamo con noi dalla nascita e che saranno il perpetuo martello nostro per tutta la vita. Il male, come dice l’Apostolo S. Paolo, (Rom. VII, 23) è in noi una legge ed un abito radicato, una forza saldamente fondata. E siccome una consuetudine non può vincersi che con altra consuetudine, una legge con altra legge, una forza con altra forza equivalente alla prima, ne viene di conseguenza che chi voglia vivere sicuro bisogna che rammenti questa sentenza: « Se non vuoi che il male s’impadronisca di te, devi farti violenza e vincere ».

2. La forza di mortificarci e vincere deve, in secondo luogo, tenere presente ed abbracciare tutto. Nulla può escludere: bisogna che si estenda al corpo ed all’anima, alle potenze ed alle passioni, all’intelletto ed alla volontà. Una passione a cui non badassimo, sarebbe un nemico di più lasciato alle spalle, che potrebbe assalirci e farci cadere. Chi avrebbe pensato che l’avarizia potesse spingere un Apostolo al tradimento ed al suicidio? Ricordiamoci, infine, che ogni passione disordinata è uno spirito cattivo che può rovinarci.

3. In terzo luogo, il dominio di noi stessi dev’essere costante e senza interruzioni; imperocchè mentre noi lavoriamo d’abnegazione, non riposa il male, ma avanza, come si riproducono le cattive erbe nei giardini. Per questo suol dirsi che fa d’uopo aver sempre alla mano il sarchiello. Inoltre, far contro la propria sensualità e dominarci costa fatica, e solo coll’esercizio e coll’abito può rendersi lieve. È il caso degli animali da tiro, che una volta avviati seguono con facilità; al contrario, quante grida e quante frustate non sono necessarie perché riprendano il cammino dopo una lunga fermata! Ora, lo stesso avviene nella lotta che dobbiamo sostenere noi con noi stessi: se l’interrompiamo per alcun tempo, torniamo a sentire la stessa difficoltà che da principio. E così l’esistenza nostra viene ad essere una fatica ed un lavoro continuo.

4. L’ultima proprietà è che chi vuol riuscire vincitore non deve stare solamente sulla difensiva, ma deve prendere l’offensiva, e tenersi sempre pronto all’attacco. Questo che nelle guerre di quaggiù è un principio fondamentale, ha una non minore applicazione trattandosi della lotta spirituale, nella quale non dobbiamo attendere di essere assaliti, ma dobbiamo noi assalire, altrimenti potrebbe accadere che fossimo sorpresi, e che, quando vorremo resistere fosse troppo tardi. È sempre più facile assalire che difendersi. Nell’attacco, siamo noi che operiamo e godiamo il vantaggio; nella difesa, soffriamo e ci troviamo in condizioni inferiori. Se vuoi la pace, trovati preparato alla guerra. Questa è la tattica che nei suoi Esercizi insegna S. Ignazio: non contentarsi del puro necessario, ma progredire sempre più. Siamo tentati di oltrepassare la giusta misura nel cibo, o d’accorciare alquanto il tempo fissato per la preghiera? Ebbene, mangiamo un po’ meno, e prolunghiamo un po’ più la preghiera. Tal è il soldato che ci descrive nel Regno di Cristo: così diventeremo temibili al nemico. Queste sono le proprietà della vera abnegazione, e queste le armi dei valorosi d’Israele. Con esse, ma solo con esse, potremo tener fronte a qualunque nemico.

CAPITOLO V.

Alcune obiezioni.

Non si può negare che la vera mortificazione non è cosa da potersi prendere in giuoco, ma un’azione seria, grande e santa. Se non fosse così, come potrebbe produrre sì mirabili effetti? Senza fatica, nulla si fa in questo mondo, e ciò che nulla costa, nulla vale. Non c’è, quindi, da meravigliarsi, che in questa materia si suscitino delle obiezioni e difficoltà: è cosa di tutti i tempi, e molto ovvia e naturale.

1. La prima obiezione presenterebbe l’impossibilità di imprendere e mantenere sempre una vita sì mortificata. Il precetto dell’abnegazione fu dato dal divin Salvatore a tutti gli uomini, ed è conseguenza naturale del peccato originale. Non si può fare altrimenti: dobbiamo conformarci alla realtà; vincere o perire. rinnegare sé stessi è considerato anche dagli uomini di buon senso e Cristiani come una vera esigenza della ragione. D’altra parte, le proprietà che abbiamo più sopra numerate, nascono dal fine medesimo del dominio di noi stessi, e senza di esse è impossibile che questo possa conseguirsi. Ma ciò che Dio comanda, e gli uomini di buon senso reputano giusto; ciò che è non solo approvato ma ordinato dalla ragione, deve necessariamente essere non soltanto possibile ma anche facile. E infatti, sono moltissimi coloro che giunsero e giungono pur di presente a conseguirlo. Perché, dunque, non riusciremo noi? Aiuti e mezzi non ci mancano: non siamo soli. Deplora S. Paolo le molteplici miserie interiori che si riscontrano in noi, e termina, non con un grido di scoraggiamento, ma con una preghiera ricolma di speranza e di visione profetica inneggiando alla vittoria: Infelice me! chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù Cristo Signor nostro (Rom. VII, 24-25). Abbiamo la grazia, abbiamo la preghiera, abbiamo una volontà dotata di pieghevolezza e resistenza senza limiti, e non ci manca, infine, la grande fiducia di conseguire in Dio e coll’aiuto di Dio la vittoria.

2. Ma questa continua resistenza alle proprie sregolate passioni, non ci tornerà di nocumento e pericolo alla salute? Ciò potrebbe avvenire, mancando la prudenza; e questa non si avrebbe se si procedesse senza ordine, senza attendere al fine a cui dev’essere diretta la nostra mortificazione. Il fine certamente non è quello di distruggere la natura, ma d’aiutarla. Per cui non sì tosto avvenisse che le si rechi un danno reale, il procedimento dev’essere cambiato. Ora, se si trattasse di una indisposizione insignificante e passeggera, ciò non dovrà reputarsi un danno né un pericolo. Si potrebbe anche essere imprudenti, quando non si avesse riguardo all’oggetto della mortificazione, che è di opporsi soltanto al peccato, al disordine, all’inclinazione pericolosa ed inutile, non alla natura stessa ed a ciò che in essa v’è di buono e di ordinato: ché questo deve sempre conservarsi e favorire. – Altra imprudenza sarebbe il voler conseguire tutto in una volta. Finchè Iddio ci dà vita, diamo tempo al tempo; e la natura e la grazia opereranno insensibilmente. se noi saremo costanti nel lavoro. Finalmente mecchierebbesi d’imprudenza se si volesse procedere di propria testa, senza guida né consiglio. No: lasciamo che un prudente direttore ci determini il come ed il quando, e ci indichi persino fin dove dobbiamo arrivare. Tenendo presenti queste avvertenze, la mortificazione non nuocerà; al contrario, il non mortificarsi è molto più pericoloso e nocevole. Sono in maggior numero quelli che s’ammalano e muoiono per non mortificarsi e vincere sè stessi, che altri pel troppo mortificarsi; e soccombono i primi certamente con assai minor gloria! – « Ma, s’insisterà, è che essa è difficile ». Non dimentichiamo che non è meno gravoso, lasciando da parte la mortificazione, il servire a briglia sciolta le passioni. Breve è il godimento, e non resta che il rimorso. Inoltre, la difficoltà diventa leggera col tempo, e la soddisfazione interiore, la quiete e il gaudio dello spirito rendono più lievi la fatica e l’incomodo. A dire il vero la mortificazione si fa difficile, quando non si esercita con buona volontà e non si continua sempre e in tutto. Il nostro spirito è infermo e se vogliamo guarire bisogna metterci sotto cura. Quante difficoltà ha vinto questa parola: voglio; e che grandi e sublimi imprese non ha compiuto! Vogliamo, dunque; ché volendo, tutto conseguiremo.