TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (45): “INDICE DEGLI ARGOMENTI -IV-“

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (45)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE DEGLI ARGOMENTI -IV-

C. — DIO CREATORE ED ELEVANTE

1. Origine del mondo

C1a a. — PRINCIPIO EFFICIENTE DEL MONDO.

1aa. Dio creatore di ogni cosa, sia del cielo che della terra, delle cose visibili ed invisibili, dei secoli 19 21s 27-30 36 40/151 55 60 125 150 188 191 287 800 3001s 3004 3025 3538 3955; tranne che la SS. Trinità non c’è nulla che non sia creato 285.

1ab. Dio Creatore unico. Non esiste un doppio principio efficiente del mondo, ovvero due dii, a un dio visibile, l’altro invisibile, b l’uno della Vecchia, l’altro della nuova Legge b198 a199 b325 (b685) b790 b854 b1334 a1336 (b1501): anche il diavolo è una creatura di Dio, non quindi un principio increato (del male) 286 457s 800 (1078); al diavolo non va a. attribuita alcuna forza creatrice a2170s 458.

Atto della creazione (ossia dell’onnipotenza) non è comunicabile ad alcuna creatura a2170s 3624.

b. — MODO DI PRODURRE IL MONDO.

C 1b Produzione dal nulla: le cose (a cioè ogni sostanza) sono prodotte dal nulla 285 790 800 1333 a3025; si riprova asserto contrario del panteismo e dell’ontologismo 2846s 3024 3214-3219.

Creazione libera da ogni necessità 1333 2828 3002 3025 3218 93890.

Creazione non dall’eternità, ma quando Dio volle a similmente dall’inizio del tempo (b ctr. gli asserenti il mondo eterno senza inizio) b410 (b565) b951-953 1333 a3202 b3890.

Concetto del “creare” : si riprova la suo riforma postulata dal modernismo 3464; uso insolito (a il Padre “creò” il Figlio; b Gesù “creato” da Maria) a114 b536.

2. Constituzione del mondo.

C 2a a. – DIFFERENZA TRA CREATORE E CREATURA.

Dio è eccelso sopra ogni cosa creata 3001; è trascendente la natura umana e niente esiste tra le cose fatte della stessa natura di Dio 285.

Dio è distinto dal mondo (a come cosa ed essenza) 2901 a3001.

Tra Creatore e creatura vi è maggior dissomiglianza che similitudine 806; tesi tomistiche circa l’essenza metafisica e la composizione dell’ente creato, differenza dal Creatore, analogia dell’ente potenz ed atto p3601- 3604 3608 3622 3624; l’uomo dipende totalmente da Dio Creatore 3008.

Riprov. gli errori del panteismo e dell’ontologismo circa la discriminazione tra Dio e la creatura e285 e722 f976e9771043d2843 a2901a.3023 3221-3216.

C 2b b. – AMBITO E DIVERSITÀ DELLE CREATURE.

Ambito: Riprov.: [Dio fece quanto poté comprendere] 410.

Diversità: si distinguono due generi principali (a entrambe “creatura”) di creatura, cioè: spirituali (invisibili, cielo) e corporali

(visibili, terra) 19 27-30 36 40//51 4.25 150 a800 a3002 3021; tra materia e spirito vi è differenza essenziale (non a identità) a2901 3891.

C2c. c- BONTÀ DELLE CREATURE ED ORIGINE DEL MALE.

2ca. Bontà delle creature. Tutte le creature sono formate buone da Dio 285 287 470 685 1333 1350; si riprova tuttavia l’asserzione ottimistica 1044s 1047.

L’origine del male. Il male di per sé è la privazione del bene 3251; il male non è altra sostanza o natura, ma a penuria di sostanza a286 1333.

Si riprov. gli errori (dei Manichei e Priscill.) circa l’origine del male [principio e sostanza del male è il diavolo] 286 457 874; add. C 1ab; il diavolo (demonio) da Dio fu creato buono (angelo) 286 457 800 1078; il diavolo non per condizione ma per suo arbitrio divenne male 325 797 800, nè tuttavia passò nella sostanza contraria 286.

Le opere del male falsamente sono attribuite al diavolo: – la formazione del corpo 462s; – l’opera coniugale 461 718 802 1012; di cui si nega l’onestà 206 321 461-463 761 794; – : il cibarsi di carni 464; se ne difende la liceità 207 325 795 1350.

C3. 3. Causa esemplare del mondo.

Il Figlio di Dio, immagine di Dio, è la causa esemplare, per cui tutte le cose imitano la forma, la bellezza, l’ordine 3326; anche l’uomo nelle azioni sociali deve conoscere l’immagine della perfezione divina 3772 (3978): le impronte della potenza e della sapienza divina appaiono pure nell’uomo reprobo, le impronte della carità nel giusto. 3331.

4. Causa finale del mondo.

Dio è il fine di ogni cosa. 3004 3538.

Il mondo è fatto per la gloria di Dio. 3025; le opere ad i meriti degli uomini (dei Santi) sono da riferire alla gloria di Dio 243 (675 1824s.) 3325 3743; si riprova: [la gloria di Dio si manifesta egualmente nell’opera buona e nell’opera cattiva, anche nella bestemmia] 954-956. Dio creò il mondo non per aumentare la sua beatitudine o per acquisire perfezione, ma per manifestare la sua perfezione 3002.

C 5. Governo del mondo.

Dio è il dominatore, ossia il governatore dell’universo 1790 3003 3875 è il re dei secoli 21s; governa il mondo con la sua provvidenza 629 290 3003 3251 3875.

Si riprova il deismo che nega ogni azione di Dio presso l’uomo ed il mondo 2902; è riprov. l’affermazione fatalistica [l’anima ed i corpi degli uomini, anche di a Cristo sono guidati dal b fato ossia c dalle stelle, da d necessità assoluta] c283 bc459s d1177 ac1364.

Dio permette il male nel mondo 3251; Dio conosce in anticipo, ma non per questo predestina al male 685; riprov.: [Dio propriamente e per sé opera il male nell’uomo] 1556; [Dio non può impedire il male] 727.

Interpretazioni del male riprovate: [Da Dio è concesso al diavolo fare il male come obbedienza od obbligo] 1156 1223; [le afflizioni degli uomini sono sempre punizioni del peccato, a anche in B. Maria Vg. e nei martiri: oppure sono b purificazioni del peccatore] a1972s b2470.

C6. Angeli.

Natura: gli Angeli sono creati da Dio 800 (1078); non sono da sostanza di Dio 455; sono creature personali 3891; godono di una naturale eccellenza 286; sono dotati di intelligenza (a superiore all’uomo) 475 a2856; tesi tomistiche circa la creatura spirituale 3607 3611; errore circa la propagazione degli Angeli 1007.

Elevazione all’ordine soprannaturale: Gli Angeli in quanto creature razionali godono dell grazia, dei carismi celesti, dell’inabitazione di Dio (633 2800 3815); i loro meriti rettamente sono chiamati grazia 1901 //1905; sono mediatori tra Dio e gli uomini. 3320. Culto degli Angeli: vd. in K 2dd.

7. Uomo

C7a. a. – ORIGINE DEL GENERE UMANO.

Dio creò l’uomo 800 3002 3008 3955; riprov.: [la natura umana non differisce dalla natura del Creatore] 285.

Adamo ed Eva sono i primi uomini, né prima di essi il mondo fu abitato da uomini 443 1363; si riprova il poligenismo: [l’esistenza di uomini, non traenti naturalmente origine da Adamo] 3897.

C 7b. b. – NATURA INDIVIDUALE DELL’UOMO.

7ba. Composto sostanziale dell’uomo. La creatura umana è costituita da un composto a comune di spirito ossia b anima razionale e e dal corpo 250 b272 a80o b900 a3002; add.: Costituzione umana di Cristo: E lb; l’uomo è homo un microcosmo 3771.

C7b. L’Anima umana. Costituzione: c’è un principio vitale dell’uomo 2833: la sostanza dell’anima a razionale è veramente di per sé e b essenzialmente ed c immediatamente la forma del corpo umana b900 a902 abl440 ac2828.

L’anima è a spirituale (b razionale, intellettuale) b657 b902 b1440 b2828 a3771; add.: l’Anima razionale di Cristo: E 1b: l’anima è immortale 1440 2766 3771 3998; è più preziosa del corpo 815.

Nell’uomo c’è solo un’anima, non due 657s; l’anima per la moltitudine dei corpi nei quali è infusa è singolarmente moltiplicabile: errore riprovato: [l’Anima è unica in tutti gli uomini] 1440.

Tesi tomistiche circa l’anima e le sue facoltà 3613-3622; si riprovano gli

errori circa la sua costituzione 977 3220-3224.

Origine dell’anima: è da Dio creata a immediatamente b dal nulla (190 360)

b685 a3896; l’anima non è generata materialmente dai genitori 360s 1007 3220; non si forma da un principio meramente sensitivo 3220; a non è costituita da sostanza divina o b parte di Dio ab190 ab 201 a285 a455 b685;

si riprova: [le anime umane preesistono in cielo e sono precipitate nei corpi perché siano puniti i peccati] 403 456.

7bc. Corpo umano. Su può liberamente disputare circa l’origine dalla materia vivente gia presistente 3896; si riprova l’errore dei Manichei: [La formazione del corpo è opera del diavolo. ] 462s

7bd. Persona umana. Ogni uomo indossa la proprietà della persona.: è di natura impacciato nell’intelligenza e libertà di volontà (3709)

La dignità della persona che possiede la ragione si trova nelle varie sezioni della vita sociale: cf. K 2ad 4ce 4fc 5a 5c; per proteggere tale dignità giova -: la legge di venerare Dio liberamente secondo la propria coscienza 3250.

C7c. c. – NATURA SOCIALE DELL’UOMO.

Destinazione dell’uomo alla vita sociale. L’uomo per natura, a per ordine di Dio, b non per la ibera volontà o c consenso degli uomini deve vivere in comunità ac3151 ab3165 (3168) a3170-3173 3743.

L’uomo fin dalla nascita partecipa alla società domestica, civile, a Ecclesiale 3165 a3685;

Dio provvede alla divisione del genere umano tra potestà ecclesiastica e civile 3168.

7cb. Il fine della società civile è -: suppeditare procurare una vita sufficientemente perfetta che l’uomo da solo non potrebbe ottenere 3165; -: provvedere alla naturale perfezione dell’uomo 3772 3782; -: provvedere al bene comune (a dirigendo le opere private dei singoli) 3772 a3782.

7cc. Bene comune: consiste nei doveri e debiti: vd. K 5ca.

7cd. Natura della società civile. La società civile è perfetta quanto al genere ed al diritto 3168 3170 3685; tuttavia l’uomo è più antico della repubblica, per cui esiste non l’uomo della città, ma la città dell’uomo (rigettata anche l’interpretazione più liberale nei principii) 3265 3728 a3772.

Tutti gli uomini sono uguali per dignità di natura 3130. Tuttavia gli uomini sono uguali per la vocazione alla dignità di figli di Dio, per la medesima legge di vita, e lo stesso giudizio di Dio 3130.

Disparità di diritti e potestà nella società procedono da Dio 3131; facoltà ed uffici civili vd. K 5a 5cb.

Il diritto delle genti è il diritto naturale delle origini divine 3783-3785; le genti possono chiedere per sé l’indipendenza politica 3255;

È necessaria un’Autorità imperante su ogni società 3150 3165; essa deriva a. non dalla volontà del popolo ma b. dalla natura stessa e quindi c. da Dio a3150s bc3165 ac3170. Qualsiasi forma di governo è indifferente alla Chiesa purché non sia di pregiudizio alcuno alla Chiesa. 2769 3150 3165 31733 3254 3982.

C7d. d. – FINE DELL’UOMO.

Fine naturale: perfezionare ed evolvere le facoltà dell’anima e del corpo, e con la sua vocazione donare fedelmente adempiendo al raggiungimento della felicità temporale 3743.

Fine soprannaturale: Supremo fine dell’uomo è unicamente Dio. 3771; Dio ha subordinato l’uomo ad un fine soprannaturale 3005; il cui fine consiste nella partecipazione ai beni divini 3005; cf.: Beatitudine e vita eterna: L 3 e 7e.

Questo ordine di Dio è libero e gratuito: riprov.: [Dio non può istituire nessuna entità razionale se non ordinandola ad una visione beatifica] 3891.

C7e. e. – STATO DELLA NATURA DELL’UOMO INTEGRO.

7ea. Doni naturali. Dio costituisce l’uomo integro, senza peccato 239 389 621; ad Adamo per bene era data una fede chiarissima di natura 396 (400);

Adamo godeva di libero arbitrio 239 (398) 621 (1521 1555).

7eb. Doni soprannaturali. L’uomo è costituito in santità di giustizia 621 (633) 1511; giustizia originale, santità giovanile, era per Adamo un beneficio gratuito (389) 2616 3891; riprov.. l’affermazione ass. contro la gratuità dello stato di integra natura: [la. le opere buone di Adamo furono per loro natura meritorie della vita eterna; b. i suoi meriti e la felicità non rettamente si chiamano grazia c. Dio non si propose all’inizio di creare l’uomo quale nasce ora, senza giustizia naturale] ab1901//1926 a1955 a1979 2434-2437.

7ec. Doni preternaturali. Adamo godeva di immortalità 222 (1511); questa fu per Adamo un beneficio gratuito, non una condizione naturale 1978 2617.

C8. 8. Mondo materiale

Dio ha costituito la creatura mondana 800 3002; non la creò il diavolo cf. C lab 2cb; tesi tomistiche circa la creatura corporale 3608-3613. Riprov. L’affermazione: [il Cielo e le stelle hanno l’anima e le virtù sono ostacolate dalla ragione] 408; [Essere corruttibile implica contraddizione] 1047.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (46): “INDICE DEGLI ARGOMENTI – V”

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (4)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (4)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo secondo (1)

L’ATTIVITA’ MORALE

Dopo d’aver contemplato dalla riva l’oceano dell’Amore nella sua divina bellezza, dobbiamo sfidare le acque. Anche noi col poeta esclamiamo: Necesse est navigare. E per non esser travolti dalle onde, cominciamo ad esaminare la piccola nave, con cui potremo solcare con sicura tranquillità il grande mare della vita. Essa si chiama “l’attività morale”, risultante dalle singole azioni buone, le quali, pur essendo diversissime, concordano tutte nella loro caratteristica essenziale. Se analizziamo accuratamente uno di questi atti morali, in modo da non confonderlo con altri nostri gesti, noi vi distinguiamo con precisione tre aspetti:

1. L’azione morale può essere riguardata in ciò che appare esternamente, nella sua materialità oggettiva, in quanto atto esteriore.

2. Inoltre, la possiamo cogliere nei principi interiori, dai quali procede, in quanto le nostre intime energie spirituali, intellettive e volontarie la producono.

3. Finalmente, possiamo considerare l’elemento soprannaturale, che divinizza il nostro atto morale e lo rende cristianamente buono e soprannaturalmente meritorio. Il bene in sè, l’atto buono, l’atto cristiano: ecco tre problemi, che s’impongono alla attenzione e dalla cui soluzione dipenderà poi la navigazione nostra, ossia la nostra condotta.

I. – IL BENE

Ricordo un episodio, ricco per me di insegnamenti. Tenevo un corso di morale cattolica in un istituto superiore, frequentato da numerosi studenti, che possedevano una cultura generale non del tutto disprezzabile. In una delle prime lezioni, entrato in classe, pregai gli uditori di prendere un foglio di carta, che non doveva portare la firma dello scrivente, e di voler rispondere al seguente problema: « Tutti ammettono che assassinare un amico per derubarlo, bestemmiare Dio, disubbidire ai genitori e così via, sia un male; come, parimenti, tutti riconoscono che è un bene aiutare e soccorrere il povero, ubbidire all’autorità legittima, e via dicendo. Perché mai — secondo il Cristianesimo — alcune azioni sono definite in sé come cattive e poste nella categoria del male, ed altre considerate buone e messe nella categoria del bene?». Raccolsi i fogli, che dovevano rivelarmi in qual modo quel gruppo di studenti mi risolveva la questione. E subito cominciai a leggere ad alta voce ed a commentare le soluzioni proposte. – Uno diceva: « Un’azione è buona in sé o cattiva, perché così la qualifica il Vangelo ». Oh! e perché mai il Vangelo la qualifica in tal modo? forse senza nessun motivo?… E prima che fosse scritto il Vangelo, non si poteva forse distinguere un’azione buona da una cattiva? Un’altra risposta era redatta in questi termini: « Io chiamo buono un atto che la Chiesa mi propone; cattivo un atto che la Chiesa mi proibisce ». Ma, ancora una volta: perché la Chiesa mi comanda o mi consiglia certi atti? e perché me ne vieta altri? Potrebbe forse la Chiesa dichiarare lecito l’omicidio e il furto? Evidentemente no; e perché?… Ed anche quando vieta cose in sé lecite, come il mangiar carne al venerdì, di modo che esse non sono proibite perché cattive, ma son cattive solo perché proibite, per quale motivo la Chiesa fa questo? – Una terza risposta cercava la soluzione nella voce della coscienza: « È la mia coscienza, che mi avverte intorno a ciò che è bene o è male. Ecco la vera norma della moralità. Ed è vero che la voce intima della coscienza mi sussurra: « Assassinare l’amico è un delitto; beneficare questo povero è un bene »; ma perché la coscienza mi dichiara la prima cosa un delitto e la seconda una buona azione? Forse per un istinto cieco ed ingiustificato? O non piuttosto per un’altra ragione? Altri osservava: « Un’azione è in sé buona, se è premiata col paradiso; è cattiva, se è punita con l’inferno ». No, — io esclamai — la verità è semplicemente l’opposto di quanto mi si asserisce: un’azione non è buona, perché è premiata col paradiso; ma è compensata col paradiso, perché in sé è buona; un’azione non è cattiva, perché è punita con l’inferno; ma è punita con l’inferno, perché in sé cattiva. – E frattanto il problema resta. Qualcuno si appellava al consenso universale dei popoli: “Il bene è il bene, e il male è il male, perché tutti ammettono questo ». Oh! e se tutti, domani, con un plebiscito mondiale, dichiarassero lecite la calunnia e la rapina, queste azioni diverrebbero buone? E poi: perché tutti proclamano l’immoralità del calunniatore e del furfante? Qualche altro si rivolgeva al concetto di utilità: « Una leggenda cosa è buona, se è utile a me », oppure « se è utile alla patria e alla società »; in caso contrario è cattiva. Io obbiettavo: che supponete che potessi rubare un milione, senza incappare nelle reti della giustizia; possedere una simile somma, mi sarebbe certo utile; con ciò dichiarerò io il mio furto un bene? Ancora: se una nazione forte e ben agguerrita si trova dinanzi ad una nazione debole, può esser utilissimo alla prima invadere e annettere a sé l’altra terra; battezzeremo noi una tale prepotenza col nome di bene? Per tacere di altre curiosissime risposte, una ve n’era che ricorreva a Dio. « È bene ciò che Dio ha voluto comandarci di fare! È male ciò che Dio ci proibisce’. Chi scriveva questo, quantunque fosse nel vero affermando che Dio è il padrone supremo degli esseri ed in qualche caso può mutare l’ordine delle cose, tuttavia, senza saperlo, aderiva al volontarismo cartesiano, perché, secondo Descartes, la verità degli stessi primi principi e la moralità degli atti dipende dalla volontà divina, la quale avrebbe potuto stabilire che il principio di contraddizione è falso ed il matricidio è una virtù. Ahimè! Tutto ciò ripugna alla nostra ragione ed alla nostra coscienza morale: il matricidio è un male, non perché è stato proibito; ma è stato proibito, perché è un male. Ed il rispetto alla madre è un bene, non solo perché è stato comandato da Dio; bensì è stato comandato, perché è un bene, il quale bene, in ultima analisi, si fonda sull’ordine inteso e voluto da Dio. – Qual è, dunque, la « norma della moralità »? Come si risolve questo problema, che è stato da alcuni chiamato « il Rubicone dell’etica »? Dobbiamo forse dinanzi ad esso ripetere ciò che sant’Agostino confessava a proposito del tempo: « Se non mi chiedi cos’è il tempo, lo so benissimo; ma se me lo chiedi e cerco di spiegarlo, mi confondo »? Per null’affatto. Cerchiamo di elaborare, in modo elementarissimo, tre concetti:

l’Essere, l’essere in quanto è conosciuto e l’essere in quanto è voluto; ed allora vedremo perché un atto è in sé buono o cattivo.

1. – L’Essere e gli esseri.

Nella concezione cristiana, Dio è il centro dell’universo. Da Dio, Essere per essenza, Essere perfettissimo, che è la pienezza dell’essere ed ha in se stesso la ragione della sua esistenza, sgorgano per una libera azione creatrice tutti gli altri esseri. Come da una sorgente zampilla l’acqua, così da quest’unica fonte — Iddio — deriva tutto ciò che esiste. Come da un unico sole discendono innumerevoli raggi, così da Dio provengono tutte le creature. Come in un’unica mente sorgono mille e mille pensieri, così dalla mente divina vengono ideate tutte le cose e la sua volontà decreta il loro passaggio all’esistenza. L’origine di tutti gli esseri dipende quindi dall’Essere; la loro possibilità, la loro esistenza, la loro natura, la loro conversazione, il loro sviluppo ha riferimento all’Essere; il loro fine ultimo è ancora l’Essere, Dio. E si noti. Tutti gli esseri creati non sono ammassati gli uni accanto agli altri in un caotico disordine. Dio è la suprema Ragione e perciò l’ordine è intrinseco a ciò che Egli produce. Gli esseri sono fra loro da concepirsi come le lettere e le parole di un libro, o, se si vuole, come le note in un’opera musicale. La verità delle lettere e delle note, la loro individualità, la loro disposizione, debbono essere riguardate dal punto di vista dell’unico pensiero che le ispira e le vivifica. Quelle lettere, quelle note hanno fra di loro dei rapporti e guai se io turbo l’ordine di essi! Rovino il senso della pagina, o l’armonia della musica. Così anche si dica degli esseri creati: ci si presentano in una splendida coordinazione, che tutti li unifica in Dio. Non c’è nulla al mondo che meriti disprezzo; ogni cosa ha la sua funzione da compiere; ma ogni cosa deve conservare il suo posto. C’è in altre parole, una serie di rapporti fra gli esseri; c’è una gerarchia, derivante dalla loro natura e dal compito che debbono soddisfare; e nessuno ha diritto di turbare e di calpestare questo ordine: nessuno ha diritto di rovesciare ; apporti, perché l’Assoluto, il Necessario, la Causa delle cause, è Dio; noi non siamo se non esseri dipendenti, contingenti, causati, relativi, che veniamo da Lui, esistiamo in Lui, andiamo a Lui. – Questo grande principio della centralità di Dio fu da tutti i secoli cristiani riconosciuto, proclamato ed inculcato.

Paolo di Tarso — come ho rilevato nel mio volume sull’Anima dell’Umanesimo e del Rinascimento — insegnava il suo “nihil sine voce” ed in ogni essere coglieva una parola che orientava l’animo suo a Dio; Agostino d’Ippona concepiva l’universo come una armonia, di cui ogni cosa era una nota osannante alla divinità; Benedetto da Norcia, discorrendo con la sorella Scolastica, si estasiava all’idea di Dio; Francesco d’Assisi, fra il verde della sua Umbria e il gorgheggio degli uccelli, innalzava al cielo il Cantico di Frate Sole; nelle Somme medievali ogni articolo era una pietra di questa stupenda basilica. Poemi quali la Divina Commedia e poemi di marmo come il San Marco di Venezia, il Duomo di Pisa, la chiesa di Amiens, di Chartres e di Strasburgo, il Duomo di Milano e di Colonia; gli Esercizi spirituali di sant’Ignazio col grido programmatico: Ad maiorem Dei gloriam; tutta la dottrina, insomma, e la vita e le opere grandi del Cristianesimo inculcano ed esprimono la stessa idea: Dio è il centro di tutto e come tale deve essere riconosciuto dagli individui e dalla società.

2. – L’essere in quanto è conosciuto

Se questo è l’essere, cos’è la verità? Noi sappiamo che è il pensiero ciò che distingue l’uomo dal bruto. Anche il bruto è un essere, e vive e si muove fra gli esseri. Ma non conosce ciò che è l’essere. Solo il pensiero può scrutare la realtà, studiare le varie categorie degli esseri, cogliere i loro rapporti, la loro subordinazione, la loro relazione con Dio. In questa indagine paziente, mediante la quale si formano le varie scienze e si giunge poi alla loro sintesi ed alla sapienza, noi possiamo cadere nell’errore, quando la nostra intelligenza non coglie la realtà come essa è ed i rapporti che in essa esistono; siamo nella verità, quando la nostra ragione conosce l’essere come realmente è. La verità, quindi, ci dà l’essere in quanto è conosciuto. E tutta la storia della cultura umana, gli sforzi dei filosofi e dei pensatori e le ricerche degli scienziati ci raccontano la splendida battaglia dell’uomo per strappare all’universo il velo oscuro che lo ricopre e per assurgere da esso a Dio. Come lo studioso che vuol decifrare un’iscrizione comincia a ricostruire i caratteri che la compongono e poi risale al pensiero che vi si nasconde e la spiega, così la ragione nostra, con le sue forze e alla luce della rivelazione, dopo di aver esaminati i diversi caratteri nei quali è scritto il volume del mondo (varie scienze), cerca di interpretarli e di leggere in essi l’idea che Dio vi ha espresso (filosofia e religione). Per il Cristiano, di conseguenza, è ridicola una scienza negatrice di Dio. Ed ogni disciplina scientifica, ogni scoperta, ogni progresso culturale è da benedirsi, perché, in una o in altra forma, ci serve a farci penetrare nell’intimo cuore degli esseri ed a farci risalire all’Essere degli esseri.

3. – L’essere in quanto è voluto Ma noi non siamo solo pensiero; siamo anche volontà e libertà. Conosciamo gli esseri ed i loro rapporti; ed, in seguito, la nostra libera attività si svolge. Quand’è allora che la nostra azione è buona? La risposta è semplicissima: quando noi rispettiamo la natura degli esseri ed i loro rapporti. Quando, dopo di aver conosciuto col pensiero tale natura e tali gerarchie, agiamo praticamente secondo tale ordine, noi facciamo il bene. Se al contrario, conoscendo gli esseri e la loro concatenazione, calpestiamo, rovesciamo, infrangiamo l’ordine, noi commettiamo il male.

Ad esempio: perché il furto è un male? Per questo motivo: la nostra ragione conosce noi e gli altri uomini; vede come vi son fra gli uomini rapporti di giustizia, che non debbono essere violati; chi praticamente disconosce tali rapporti e ruba, è reo d’una cattiva azione. Perché la bestemmia è un male? Per questo motivo: la ragione conosce Dio e l’uomo; vede qual è la natura di Dio, l’Essere perfettissimo, nostro principio, nostro fine e nostro aiuto; vede qual è la natura umana, che dipende da Dio e deve amare il suo Creatore e benefattore. Siccome la bestemmia non riconosce praticamente quest’ordine, ma anzi lo capovolge, è in sè un male. La preghiera, al contrario, è in sè un bene, perché è il riconoscimento dell’Essere e dell’ordine. Così si ripeta di ogni qualsiasi legge etica. La regola, il criterio, la norma con cui giudichiamo la moralità o l’immoralità d’un’azione, il metodo pratico per discernere il giusto dall’ingiusto, il lecito dall’illecito, l’onesto dal disonesto, è sempre quella che san Tommaso in parole limpide e profonde sintetizzava così: « Agisci in modo che il tuo atto sia secondo la retta ragione’, la quale è un riflesso, un’immagine della Ragione divina. « Sic age ut actus tuus sit secundum rectam rationem ».

Perciò un desiderio cattivo acconsentito è un male, perché è contro la retta ragione. E si vada dicendo per ogni qualsiasi atto, che si debba o si voglia compiere. – Si noti: per giudicare se un atto è buono, non basta guardarlo nella sua oggettività astratta, ma occorre altresì considerarlo nelle sue circostanze concrete. Ottima cosa è, ad esempio, pregare tenendo le braccia alzate verso il cielo; e se questo lo si fa nella propria stanza, dove solo il Padre divino vede, può servire ad eccitare maggiore devozione; ma che direste voi di chi nella chiesa parrocchiale del suo paese dovesse fare un simile gesto? È un bene che lo studente abbia a… studiare; ma se, mentre è a pranzo, volesse sfogliare un libro, voi glielo togliereste di mano e gli dareste un cucchiaio o una forchetta. È un atto di carità dar da mangiare agli affamati; ma se si tratta d’un convalescente, che non ha ancora del tutto superato il tifo ed al quale il medico ordina una dieta rigorosa, sarebbe un atto di stoltezza offrirgli del pane o dei dolci, poiché vi sarebbe il pericolo immediato d’una ricaduta. Insomma, non si può prescindere dalle circostanze, per valutare una azione morale, quest’ultima non dev’essere riguardata solo astrattamente, bensì nella sua concretezza. – Ancora. Si capisce perché alcuni popoli barbari o pagani, ed alcuni individui, sbagliano certe volte nel ritenere buona un’azione che in sè è cattiva. La verità è la base della morale; e siccome la loro mente erra nel cogliere la natura dei rapporti fra gli esseri, cosicché non si proporziona alla verità, da Dio stampata nell’ordine delle cose, abbiamo i loro spropositi in fatto di etica. Le passioni e l’ignoranza possono oscurare l’intelligenza umana: l’uomo, in tal caso, agisce non secondo la retta ragione, ma secondo un errore. – Gli antropofagi, perciò, non meritano le difese di Benedetto Croce; non giudichiamo della loro coscienza e della loro responsabilità; diciamo solo che, se anche fossero in perfetta buona fede, l’antropofagia sarebbe un male, derivante da una perversione di giudizio. – La risposta al problema, posto all’inizio di questo capitolo, è, quindi, limpidissima: un’azione è in sé buona, quando risponde all’ordine della retta ragione; è in sè cattiva, quando praticamente non riconosce questo ordine stesso. Dire bene è dire razionalità; dire male è dire irrazionalità. Il bene è il rispetto dell’ordine; il male è il disordine. E si noti: non è la Chiesa, non è lo Stato, non è l’individuo che creano la morale ed i suoi principi; tutti li debbono riconoscere e praticare; solo in tal modo si ammette davvero — e non solo a chiacchiere — l’esistenza di Dio e la sua centralità nell’universo, come ordinatore dei singoli esseri. Dinanzi alla evidenza di simili deduzioni, è superfluo insistere sull’obbligo morale che l’uomo ha di fare il bene e di evitare il male. Noi siamo liberi, è vero, e possiamo scegliere fra il bene ed il male; ma il primo principio morale ci grida nella nostra coscienza che il bene è da fare ed il male è da evitare e noi abbiamo il dovere di praticare il primo e di fuggire il secondo. Questo obbligo, questo dovere proviene dalla stessa natura delle cose. Non siamo noi l’Assoluto, come già avvertimmo, né abbiamo il diritto di rovinare l’ordine e la razionalità del reale. Quando stoltamente agiamo in modo diverso, è un’ingiuria che facciamo non solo a Dio, ma altresì alla ragione nostra che viene da Lui; ed è la rovina nostra ed altrui che procuriamo. Chi batte la via dell’ordine e delfa ragione, è sulla strada della moralità ed anche della felicità; chi batte la via del male, si trova sulla strada opposta.

4. – Il bene e l’amore.

Ripensiamo ora un istante questi supremi principi della filosofia perenne in funzione del concetto cristiano di Amore. Dio è Amore, è bontà infinita; e noi, memori sempre della bella parola di san Tommaso che il bene tende a diffondersi: « Bonum est diffusivum sui », non salutiamo Dio soltanto come centro di ogni essere, ma piuttosto come centro d’irradiazione dell’Amore. Prima che le creature siano, Egli le conosce e le ama. E questo solo vero Dio, mi si permetta di usare le espressioni dei Concili, soprattutto del Concilio Vaticano, per sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per acquistare od aumentare la sua beatitudine, ma solo per manifestare la sua perfezione mediante i beni che conferisce alle creature, liberissimamente ha creato. Ogni essere, ognuno di noi è opera del divino Amore. Dovunque c’è un essere, là palpita l’Amore di Dio. L’Esssere e il Bene coincidono, notavano gli antichi sapienti; e noi Cristiani possiamo soggiungere: coincidono l’Essere e l’Amore. Siccome, poi, gli esseri non vivono isolati, separati, ma fra loro si coordinano; siccome ognuno con grido vibrante di amore, tutto il loro complesso è una sinfonia sublime, dove la voce di ciascuno si fonde con la voce di tutti, in un solo canto di gloria, che non solo nulla fa perdere ai singoli, ma fa sì che ognuno si arricchisca delle vibrazioni del tutto. Dio è il vero Bene, l’Essere supremo, il supremo Amore. Ed appunto perché ci ama non può trascurarci, non può disinteressarsi di noi (come sospettava una ridicola obbiezione di alcuni sofisti), come altresì non può non volere la nostra felicità. Egli quindi, anche per l’amore che porta a noi, vuole che osserviamo l’ordine, che rispettiamo le leggi della ragione, che seguiamo la norma del bene. Se c’impone i comandi categorici della morale, è perché ci ama. Se ci permettesse di trasgredirli, non ci amerebbe, perché ci consentirebbe di cadere in un precipizio. Può un padre, un Dio concederci questo? Siccome il suo divino Amore vuole il bene delle sue creature, deve volere inflessibilmente che noi ci conformiamo alla sua volontà. Insomma, la legge morale e la sua obbligatorietà sono un frutto dell’Amore. – Non dobbiamo, dunque, esitare a definire la norma della moralità in termini di amore. La nostra azione è in sè buona, quando noi seguiamo la retta ragione, quando rispettiamo l’ordine, quando cioè la nostra volontà si conforma alla volontà di Dio. E siccome la volontà di Dio è volontà di amore, la nostra azione è buona, quando all’Amore rispondiamo con l’amore. Il bene è la libera rispondenza umana all’amore divino. Il male è il contrario, ossia è la negazione dell’Amore, anche se non giunge ad essere odio. Cominciamo già fin d’ora a spiegarci il fatto dell’immoralità dilagante. L’uomo dovrebbe tendere al divino Amore, centro dell’universo; Dio dovrebbe essere il centro dell’amore delle creature. Allora avremmo ovunque il bene che trionferebbe ed insieme avremmo la vera gioia. Invece, a centro dell’universo, noi praticamente poniamo il nostro piccolo io, l’amore sregolato per noi stessi e per le cose. – Io non so sottrarmi alla tentazione di riportare un altro brano del Tissot, che tolgo ancora dalla sua opera su La vita interiore semplificata. Mi sembra una pagina degna di meditazione:

« La vita naturale, la vita spirituale, press’a poco tutto in me è ispirato, regolato, diretto, dominato dalla mia soddisfazione… Qual terribile esame di coscienza, s’io volessi penetrare i particolari intimi de’ miei pensieri, de’ miei affetti e delle mie azioni… Come in tutto, dappertutto, sempre, vedrei il maledetto istinto della mia soddisfazione egoista soppiantare più o meno la gloria di Dio!… In tutto! Oh! non saprò mai sino a qual segno la mia vita sia un disordine!… L’io dappertutto il primo… Dio continuamente messo al secondo posto o scartato. In ciò che faccio, in ciò che mi succede, in ciò che ricevo od evito, è l’io che vedo in prima linea. Amo per me: detesto per me…

« Questo è anche il gran male della società. Tutto in essa è organizzato per l’uomo, non per Dio; l’interesse umano domina tutto, ispira tutto, dirige tutto, riassume tutto. Che posto tiene la gloria di Dio nelle famiglie, nelle associazioni, nei corpi costituiti? Dov’è l’idea di Dio nell’industria, nel commercio, nelle scienze, nella politica, nella storia, ecc.? Nelle relazioni umane è l’interesse umano che assorbe universalmente le idee, gli affetti, gli sforzi; tutto converge là. L’idea di Dio e della sua gloria va indebolendosi e dileguandosi. L’uomo scaccia Dio.

« Prendo l’esempio della storia, che è forse il più sorprendente. Essa non dovrebbe essere che il quadro della gloria di Dio attraverso le vicissitudini umane, dell’azione divina in mezzo alle agitazioni umane; eppure, non è più che il quadro scolorito delle convulsioni dell’umanità. Così tutto mentisce alle sue origini e al suo fine. Ecco la grande eresia rivoluzionaria; l’uomo al posto di Dio. – Quale contrasto con ciò che mi mostra la Bibbia! Nella vita dei Patriarchi si sente Dio; il loro Dio è tutto per loro. Egli domina, ispira, dirige efficacemente la loro vita; nella loro storia si sente ad ogni istante passare il soffio di Dio. Lo stesso si verifica in tutta la storia del popolo eletto; è Dio il centro di tutto. Se le passioni umane fanno dimenticare il suo ricordo, i castighi lo richiamano; e, sotto la verga, il grido che sfugge e domanda la vittoria sui nemici è sempre in primo luogo l’onore di Dio: « Per la gloria del Nome vostro, liberateci, o Signore! ». E quando la vittoria è ottenuta, si fa festa dovunque, perché Dio è glorificato. Quando Mosè, Giuditta, Ester vogliono ottenere la salute del loro popolo, lo fanno invocando la gloria del Nome di Dio, e per motivo della sua gloria Dio salva il suo popolo. Nei salmi, poi, qual posto occupa la gloria di Dio! Essa è lo scopo supremo e costante di questi canti sublimi.

« Nelle età e nei paesi di fede, quale posto più pratico e più vivente aveva Dio nelle abitudini dei popoli fedeli! Nulla. Lo esprimeva così vivamente come il linguaggio popolare. È nell’intonazione della conversazione familiare che meglio si riflette lo stato dell’anima. E come si parlava di Dio, nei tempi e nei luoghi in cui le idee della fede avevano il loro impero dominante! Il Nome divino si udiva ad ogni istante con opportunità e verità ammirabili. Con quanta semplicità e profondità si diceva: grazie a Dio, Dio sia benedetto, a Dio mercé, a Dio piacendo, con l’aiuto di Dio, ecc. Gli atti privati erano cominciati col segno della croce, gli atti pubblici stessi in nome della SS. Trinità, le leggi decretate in nome di Dio. L’uso delle primizie, retaggio dell’antica legge, che gli consacrava i primogeniti di tutte le cose; l’autorità paterna, giudiziaria, civile, che agiva come per delegazione divina; il rispetto delle persone, delle solennità e delle cose sante; l’orrore e la punizione della bestemmia, e tanti altri usi, purtroppo da noi lontani, dimostrano praticamente come l’idea divina teneva in tutto il primo posto. Dio era vivo nelle idee e nei costumi, negli usi e nelle istituzioni. La miseria umana s’affermava senza dubbio, perché essa si afferma sempre: ma anche Dio si affermava al di sopra della miseria dell’uomo. Si sentiva che Egli era il re degli animi e dei corpi, degli individui e dei popoli, del tempo e dell’eternità, e la sua regalità restava al di sopra di tutto ». – Perché il bene ritorni a fiorire sulla terra, è necessario che il Sole di Dio risplenda e tutto ancora riscaldi coi suoi raggi d’amore.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (5)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (43): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -II-

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (43): INNDICE DEGLI ARGOMENTI-II

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

A. — DIO CHE SI RIVELA

1. Attitudine del naturale intelletto umano.

A 1a a. — ATTITUDINE ALLA  CONOSCENZA IN GENERE

L’ordine della conoscenza umana è duplice: cognizione della ragione naturale e dalla fede 2856 3015.

Scienza naturale: sua libertà di conoscere 3019 (3457); ma  non è da escludere la ragione della rivelazione. 2859 2914 (3405).

La sola ragione — : può acquisire ogni scienza distinta dalla scienza suprannaturale rivelata, e la verità puramente naturale, razionale, morale. 2766; modo in cui essa si acquisisce (sec. Tomismo) 3618-3620.

— si può difendere il valore della cognizione naturale umana in genere e dei principii metafisici 2767 3892; in specie dei principii della ragione sufficiente, della causalità, finalità 3892; peccano per difetto le asserzioni 1028-1042 1048.

— si può dimostrare la aspiritualità dell’anima umana, l’immortalità, la libertà a-b 2766 a-e. 2812.

Nella scienza dei libri dell’occulto e del futuro nulla è da sperare dall’astrologia, dagli auguri, dai sortilegi e simili: cf. K 2de; libri vietati delle cose proibite 1859; sono riprovati il magnetismo e lo spiritismo in qualunque senso applicati. 2825 3642.

A lb.  b. — ATTITUDINE ALLA CONOSCENZA DELLE VERITA’ RELIGIOSE.

1ba. L’Esistenza di Dio si può conoscere con certezza in modo naturale, perfino dimostrarla astraendo dalla rivelazione e pure dall’ausilio della grazia 2441 .2751 2756 ab 2765 ab2812 a2853 2855 3004 3538 3875 abc. 3890 3892; si riprova l’ateismo, l’agnosticismo, gli avversari della teologia naturale.3021s b3026 a3475.

Via di dimostrazione: non a priori 3622; non si può attaccare la fede ctr. atei (2754) 2812; è da arguire a posteriori: dagli effetti alla causa 3538 3622 (qui i vari modi)

Non si può provocare la cognizione immediata o l’intuizione di Dio col lume intellettuale del viatore 2841s 3201 3205.

1bb. L’Essenza di Dio può essere conosciuta secondo alcuni attributi già dalla sola ragione umana (2441) 2853 3875; tra questi la personalità di Dio 3890 3892;

L’infinita perfezione di Dio 2751; Dio principio e fine di ogni cosa 3004.

lbc si può conoscere con certezza l’Efficienza di Dio dalla ragione naturale, per quanto possibile —: creazione come tale 3004 3875; —: legge naturale morale 2866 3875 3892; —: divinità della rivelazione mosaica e cristiana 2752 2756; —: esistenza di Gesù Cristo ctr. asserzione [Chr. è una finzione mitica] 2907 (3540); —: miracoli e profezie a2753 ab2768 ab2907 ab3009 a 3034 a3428 a3436s; a favore del miracolo della Resurrezione di Cristo, si può arguire dalla tradizione 2754 (2768).

A 2 2. Nozione della rivelazi0ne.

Rivelazione (in senso stretto): è la locuzione di Dio agli uomini 2778 3004; determina il corpo della dottrina applicato alla salute per tutti gli uomini di ogni tempo. (800) 3459.

Si riprova: [Riv. Che sia opera meramente umana, invenzione filosofica] 2777 2781 2904 2907 3541; [riv. è se non in relazione con la coscienza dell’uomo rivolta a Dio] 3420 3464 3541.

3. Possibilità e fatto della rivelazione.

Possibilità della rivelatzone in senso stretto. 3027s.

Fatto storico di tale rivelazione (asserto implicito in tutta la dottrina) edtto più solenne solenne 800 3004s; in questo senso si negano: a .Rationalisti e b. Modernisti (2904) b3475 b3477s.

Questa rivelazione fu finita e completata con gli Apostoli (1501 3070) 3421.

4. Fine ed utilità della rivelazione.

L’intenzione di Dio rivelante è, che l’uomo finalizzi la sua elevazione al commercio soprannaturale con Dio. 2854s.

Necessità della rivelazione: è per intuito il fine assoluto soprannaturale dell’uomo (378) 3005; è per intuito morale della presente condizione dell’uomo la via più spedita per conoscere le verità religiose, che di per sé non sono impervie alla ragion 3005 3876.

Utilità: la fede libera la ragione dagli errori ed istruisce in molteplici cognizioni 2776 3019; rev. è stella direttrice per la scienza naturale. Reprob.: [riv. è inutile, di ostacolo alla r agione, nociva] 2903 2906. 3028.

5. Proprietà delle rivelazioni.

a. — SUPRANNATURALITA’

La rivelazione (in senso stretto d.) è suprannaturale (2854) 3004ss (3547); e non può essere desiderata da meri uomini naturali 2618; fede nella rivelazione, è distinta dalla mera fede naturale 3032; la fede è sopra la ragione

b. — IMMUTABILITÀ

La. Rivelazione (e la fede in essa) è immutabile 2802 2829 3020 3043 . (3626 3893); alla comparsa di nuove dottrine, non è assucurata l’assistenza dello Spirito Santo 3070; reprob. le accommodazioni dei dogmi con odiose mutazioni 3340-3342,• 3458-3465; si riprova: [rivelazione di pari passo con la ragione umana deve progredire da uno stato imperfetto 2905. L’immutabilità della dottrina rivelata non esclude l’evoluzione omogenea dei dogmi: vd. A 9bb.

6. Ambito della rivelazione.

a. — MISTERI IN SENSO LATO

Lee rivelazioni sono dovute anche a delle cognizioni delle cose divine che di per sé non sono impervieall’umana ragione 3005 3876, sunt dogmi che la ragione naturale ha in comune con.la fede. 2851 2853 3136.

b. — MISTERI IN SENSO STRETTO

Sono misteri in senso stretto quelli che si possono percepire dalla sola rivelazione (oppure dalla fede) 2853s 3015 3041.

Transcendono l’intelletto umano 824 2851s 2856 3016 3041; restano oscuri e caliginosi anche dopo la rivelazionem 2856 3016; trascendono anche l’intelligenza naturale degli Angeli. 2856.

Non tuttavia ripugnano alla ragione: numquam per quanto potrebbe esservi vero dissenso tra -:fede e ragione 2776 2811 3017-3019 (3287); —: fede e storia 3544s; —: teologo e fisico, rimanendo nel proprio ambito 3287; pertanto ogni asserzione contraria alla fede è falsa 1441 3017 (3895); causa di apparente contraddizione 3017 (3287).

7. Tradizione della revelatione.

A7a. a.— TRADIZIONE DELLA RIVELAZIONE IN GENERE.

7aa Origine. La tradizione delle rivelazioni si deve a:— Cristo revelante agli Apostoli 1501 3006; Spirito Santo veramente inabitante nella Chiesa e dettante agli Apostolis a600 b1501 b3006; reprob.: [la tradizione non contiene nulla di divino] 3548.

7ab. Il modo di comunicare la rivelazione. La Rivelazione è contenuta in libri scritti ed in tradizioni senza scritti 609 1501 3006 CdIC 1323, § 1.

7ac Riconoscimento della tradizione — : richiesta dalla Chiesa 1100 110 186° 1501 1504 1863 2537 2738s 2771 2784 2879 (3012 3540) 3626.

—: conservatata 542 548 600 602s 609 650-652 654 657 705 1510 1600 1637 1648 1750 1764 1766 1800 1820s 3069.

Criteri della tradizione: Consenso universale della Chiesa 1637: Consenso dei Padri: tradizione dei Padri invocata ed introdotta 271 370 396 399 485 501//520 548 550 575 635 710 824 850 1510 1542 1600 1692 1750 1766 1800 1820s 2090 2830 2855s 3284 3541; in particolar come regola per interpretare la S. Scrittura 1507 1863 2771 2784.

Consenso dei teologi: rappresenta la tradizione 824; pertanto si deve guardare indietro 1407 2879.

A 7b   b. TRADIZIONE DELLA RIVELAZIONE MEDIANTE LA S. SCRITTURA.

Esistenza dei libri inspiratori. Esiste il canone dei libri sacri dallo statuto della Chiesa 179s 186 213 (350°) 1335 1502s; si deve accettare quel canone esclusivo e con ogni parte (come contenuto nella Vulgata) a202 a213 a354 b1504 1863 2538 b3006 b3029.

Ragione della interna canonicità non consiste nell’approvazione di un’opera meramente umana né nella inerranza, ma nell’indole ispirata. 3006 3409 3412s 3415 3490.

Fatto dell’inspirazione. I libri canonici hanno Dio come autore. (800) 3006 3293; in particolare inculcato contro i Manichei che l’Autore del Vecchio e del Nuovo Testamento è il medesimo Dio 198 325 685 790 854 1334 1336 1501.

L’inspirazione è appropriazione dello Spirito Santo dettante 1334 1501 3292 3593; Lo Spirito S. parla nella Legge Mosaica, per mezzo dei Profeti (o nei Profeti), mediante gli Apostoli, o gli Evangelisti (s. nei Vangeli) b41s be 46 abed 48 c60 b150 b682.

Modo descritto per l’inspirazione 3293 3650s; riprov. delle spiegazioni dei Modernismi 3409-3411 3413 3491.

Estensione della inspirazione: da tutti i libri recepiti dalla Chiesa con ogni parte. (1504 3006 3029) 3291s.

Questioni circa la canonicità, l’autore, composizione dei vari libri de delle parti: Citazioni implicite 3372 3654; Pentateuco 3394-3397 3862-3864; Genesi 3512-3519; Psalmi 3521-3528; Isaia 3505-3509; Questione sinottica 3577s: Ev. Mt. 3561-3567; Ev. Mc. Et Lc. 3568-3576; Ev. Jo. 3398-3400; Atti degli Apost. 3581-3586; Lettere Pastorali 3587-3590; Lett. agli Ebr. 3591-3593; Lett. di Giov. 180 1811; Comma Giovanneo 3681s; Apocal. 486 1501°; altri libri 1501°.

7bb  Inerranza della S. Scritture. Tutti i libri contengono indubbia 1065: l’inerranza proviene da questo: dall’inspirazione a3292s 3652-3654; non è lecito concedere che l’autore abbia errato 3291.

Riprov. asserto che detrae l’inerranza e professa il mitologismo a2907 a3034 3414 3887.

La S. Scrittura non vuole insegnare la costituzione delle cose naturali. Che descrivono solo sec. La sensibile apparenza 3288; da ciò nessun vero dissenso tra teologo e fisico 3287.

Interpretazione delle S. Scritture deve seguire la regola — : giudizio del Magistero della Chiesa 1507 1863 2538 3007 3281 3401-3408;

— tradizione unanime dei Padri e dei teologi 1507 1863 2771 2784 3007 3284 3546 3887; non è una vera opera se scaturisce da tutte le opinioni dei singoli 3289;

— analogia della fede 3283 3515 3546 3887.

Scienze ausiliari dell’esegeta sperimentato sono cose elevate di critica letteraria e cognizione di cose naturali 3286s.

La libera investigazione ed interpretazione di dottori privati rimane un campo ampio nonostante le regole suddette 3282 3289 3831; così che possa farsi (eccetto le cose che riguardino la fede ed i costumi) un miglioramento ed un’emendazione dell’interpretazione 3294.

Questioni circa l’interpretazione: Generi letterari nella S. Scr. 3829s; Fonti mitologiche 3899; Applicazione del metodo storico alla S. Scrittura 3290; Parti specialmente storiche 3373; Senso letterale e spirituale 325 3792s 3826-3828 3888s; Genesi cap. 1-11: 3898; Ps. 15,10s: 3750; Vangeli: Mt. 16,26 et Lc. 9,25: 3751; Ev. Io. 3416-3418; Altro avvento di Cristo nelle Lett. Paoline 3628-3630; indole della vera profezia (2907) 3505s 3528 3563 3573; rigettata la discrepanza tra Vecchio e Nuovo Testamento pretesa dai Manichei 198 790 854 1334 1336. Si riprova il metodo di interpretare (in genere) dei Razionalisti, Modernisti e delle Società bibliche acattol.. 2784 3546s; pericolo di errare soprattutto dei laici 770s.

Testi originali e versioni della S. Scrittura. Gli esegeti usino massimamente i codici originali 3280.

Traduzioni in altre lingue comportano il pericolo di errori ed abusi 770s 1853s 2710s; per questo motivo la versione della Vulgata è dichiarata autentica 1506 1853 2710 3280; questa autenticità è solo giuridica, in quanto non esclude difetti di versione b3280 3794s 3825; l’esegeta usi altre versioni 3280; ai fedeli tuttavia non sono permesse versioni senza note ed approvazione eccl. 1508 1863 2772 CdIC 1391; si proibiscono le versioni delle Società bibliche acattoliche. 2771 2784.

Lettura della S. Scrittura raccomandata in genere 770s; non invero è utile a tutti 1853s 2712 2771s; infatti non è per tutti obbligatoria 2479-2485. 2667; la lettura presuppone l’uso di edizioni approvate: vd. A 7bd

8. Accettazione della rivelazione per mezzo della fede

a. — NATURA DELLA FEDE

la fede è la virtù soprannaturale per cui si credono le cose da Deo rivelate sull’autorità di Dio rivelante 3008 3542; l’assenso è libero (obediente per grazia, non è necessaria la forza prodotta dalle argomentazioni) 3010 3035; né tuttavia l’assenso è cieco 3010 3542.

Riprov. del concetto di fede dei Modernisti 3484-3486 3542.

Fede in quanto dono di grazia: vd. F 4; come disposizione alla giustificazione: F 3c

b. — PREREQUISITI PER LA FEDE.

Da parte di Dio si richiede l’ausilio della grazia (illuminazione dello Sp. Sancto) 378 396-400 1553 2813 3010 3014 3035.

Da parte dell’intelletto umano si richiede il giudizio di possibilità e l’obbligo di credere: (che è da chiedere) perché si possa acquisire vera certa nozione dei fondamenti della fede (come del fatto della rivelazione) 2121 2752-2754 2756 2768 a2778 2853 3009 3019 3539 3892; fede (Supposto l’ossequio della ragione consentaneo) deve precedere la ragione (che argomenta di essa) 2751 (2754) 2755 2765s 2812s .3009 (3019).

Si deve conoscere la credibilità dell’esistenza dei segni esterni 3033s 3475 3477 3539; quali motivi di credibilità valgono: vaticini, miracoli (tra i quali la resurrezione di Cristo), l’eroismo dei martiri, la mirabile propagazione della religione crist. La Chiesa in sé stimata (segno elevato) 4772 b2753 be2754 abc2768 . abcde 2779 (°2907) ab3009 et3012-3014 b3034 b3539; non vale la sola ispirazione privata o l’interna esperienza 3033.

Si può infirmare il giudizio di credibilità per gli influssi provenienti dall’esterno  3876; l’uomo può faticare anche per l’errore invincibile della vera religione. 2865° 2866. Da parte della volontà si richiede la libertà della coazione nell’accettare la fede: vd. K 4cc. Obbligo di credere: vd. K 2a.

9. Applicazione della ragione umana alle cose rivelate.

A  9a  a. – UTILITÀ DELLA  RAGIONE E SUOI LIMITI.

La ragione dimostra e difende la fede 2776 3019 3135-3138; prepara in parte all’intelligenza dei misteri 2853 3016 3137 3892.

I limiti della ragione nascono dall’indole sovrannaturali e dalla misteriosa rivelazione degli oggetti: cf. A 6b; infatti non si possono trattare i misteri allo stesso modo degli oggetti della scienza naturale 2854 2856s; né la filosofia è immune da errore 2829; esistono anche questioni più profonde della ragioni quasi insolubili 249.

Ragione umana (filosofia) quindi non deve dominare nelle verità rivelate (o in teologia) 824 2829.

Si riprende l’eccessiva stima della ragione umana (razionalismo) 2732 2775-2777 2828s 2850s 2858-2861 2878 2901-2914; riprov. dei principii dell’autonomia della ragione e della piena indipendenza dalla religione 2860 2903s 2911 2914 3031s; riprov. della tendenza a risolvere (ex toto) gli oggetti della fede ad opera della ragione 824 2732 (2738) 2851s 2908s; con tale pretesa si perde il merito della fede 824.

A 8b  b. – TRATTAZIONE SCIENTIFICA DELLE COSE RIVELATE.

9ba Dono della teologia. La ragione considera la teologia come la trattazione scientifica degli oggetti rivelati. 3135-3138.

L’indole del progresso scientifico è l’evoluzione delle dottrine nel medesimo senso (s. evolutio homogenea) 2802 3020 3043 3541 (3626) 3886; si riprova la concezione (massimamemte del modernismo) circa il progresso teologico e dei dogmi 2905 3020 3043 3422-3424 3426 3458-3465 3483 3488 3541; si respinge l’accusa, che il Magistero ecclesiastici impedisca il progresso della scienza teol. 2912 3457; si nega l’oscurazione delle verità nella Chiesa 2495 2601.

9bb Metodo della teologia. La norma principale per conoscere le verità soprannaturali non è la ragione umana 2738; al teologo non è lecito astrarre dall’indole soprannaturale delle cose rivelate (2854 2856s) 3547. Metodo scolastico (s. “vecchia scuola”) si raccomanda (ma con restrizione). E si difende ctr. il fideismo ed il modernismo 2814 2876 2913 3139 3140 3894. Si difende il metodo apologetico 3499s 3879s. Si rigetta il dubbio positivo come principio di inchiesta teologíca 2738. Si comanda di conservare la terminologia coltivata nella tradizione 824 2831 3881-3883.

Preminenza della teologia sulle altre scienze 824 (2829); ordine dei dottori nella Chiesa è del tutto particolare 771.

Dipendenza della teologia dal Magistero eccl. Subordinazione al Magistero in genere; vd. H 1; conformazione alla tradizione: vd. A 7a; La libertà di insegnare al teologo è legata al Magistero: vd. H lbb.

Si spinge al riconoscimento della singolare autorità dei teologi in genere 1328 2871 Gli autori moderni per quanto preferiscano al Magistero le cose più antiche,  904; non tuttavia sono indipendenti dalla Sede Apostolica e devono essere approvati. 2047 3154s.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (44): “INDICE DEGLI ARGOMENTI -III-“

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (3)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (3)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

Capitolo primo

IL CRISTIANESIMO E L’AMORE

Senza esitazione io applicherei al Cristianesimo ciò che Goethe scriveva delle poesie: Sono simili a finestre istoriate le Poesie: finestre che, guardate dalla piazza alla chiesa, apron sui muri una fila di buchi nudi e scuri. E le guarda così la buona gente, e dice poi che non ci vede niente. Ma su, una volta alfine, penetrate per la porta del tempio, e là guardate! Ecco, figure e scene, e cielo e mare, tutto nei vetri luminoso appare.

Creature di Dio, semplici e liete, gli occhi allegrate e l’animo pascete!

(Trad. CROCE)

Chi vuol comprendere il Cristianesimo, deve entrare nella nostra cattedrale, ed allora i dogmi ed i precetti morali che, stando al di fuori, gli restavano incomprensibili e gli parevano ciò che di più strano e di più oscuro si potesse immaginare, gli sembreranno luminosamente belli e veri. Solo vivendo in questa divina cattedrale, eretta da Dio, è possibile intuire il principio di unità che, come riduce le varie scene d’un vetro istoriato ad un tutto unico e mirabile e quasi prisma che ricompone i vari raggi colorati nell’unico raggio solare, così collega insieme armonicamente i dati della rivelazione e le norme della condotta, e tutto vivifica con unico soffio, con un’identica anima. Tale principio di unità ha formato l’estasi soprattutto dei santi. I filosofi ed i teologi nostri l’hanno descritto; e mentre alcuni volgevano lo sguardo indagatore specialmente ai singoli elementi molteplici, altri abbracciavano con una occhiata comprensiva lo spettacolo sublime, ad imitazione di san Francesco di Sales, che nella prefazione del suo celebre Tratté de ramour de Dieu esclama: « Tout est l’amour, en l’amour, pour l’amour et d’amour en la sainte Eglise. – Nella Chiesa di Dio tutto appartiene all’Amore, tutto è fondato sull’Amore, tutto si riferisce all’Amore, tutto parla d’Amore ».

Una mistica moderna, la madre Maria Luisa Margherita Claret de la Touche, nel suo Libro dell’amore infinito, ha egregiamente commentato le parole del Vescovo di Ginevra. Non si tratta — ella scrive — di « un amore snervante, senza vigore, che si appoggia sulla sensibilità ed è incapace di fortificare i cuori e di far loro produrre azioni magnanime e forti virtù »; si tratta dell’Amore di Dio, considerato in Dio stesso… Si è parlato molto d’amore, si è scritto molto sull’amore, da secoli. Ma di quale amore? Sovente della corruzione dell’amore carnale; — qualche volta di quel riflesso del vero Amore, che risplende ancora nel cuore della creatura; — raramente del grande e gratuito Amore, che Iddio versa in benefici sopra la medesima creatura; — ben più raramente ancora dell’Amore eterno ed infinito che è la sostanza di Dio e la Divinità stessa. Dall’Amore di Dio, invece, bisogna partire, perchè il Cristianesimo ci appaia in tutta la sua luce piena e per potere in tal modo cogliere l’anima vera anche della morale cattolica. Bisogna, cioè, ben convincersi che tutto nel Cristianesimo è Amore; che l’Amore è la causa universale della creazione, della redenzione e della santificazione; che l’Amore, per dirla con Dante, « muove il cielo e l’altre stelle »; che il Credo, per usare una felice espressione di mons. Baunard, articolo per articolo è la successione della nostra ascesa continua verso Dio sulle ali dell’Amore, che Dio infonde in noi; che ogni colpa non è se non una volontaria ribellione all’Amore. Con questa chiave d’oro — l’Amore divino — si apre la porta di ogni verità rivelata e di ogni precetto dell’etica.cristiana.

1. – Il dogma e l’amore

Un soave Dottore della Chiesa, san Francesco di Sales, nell’opera ora rammentata, richiama gli insegnamenti sull’amore di Dio di san Paolo, « che li aveva appresi dal cielo stesso., e degli altri grandi scrittori nostri che hanno svolto questo soggetto. Gli antichi Padri, egli ricorda, « servendo amorosamente Dio, parlavano anche divinamente del suo amore… San Tommaso ne ha fatto un trattato degno di san Tommaso ». San Bonaventura, Giovanni Gersone, cancelliere dell’Università di Parigi, il cardinal Bellarmino, santa Caterina da.Genova ed Angela da Foligno, santa Caterina da Siena e santa Matilde, santa Teresa e mille altri hanno dedicato a questo argomento pagine ineffabilmente belle. Non è qui possibile riassumere i grandi principi, che mostrano come nel campo dogmatico l’Amore « è l’anima della dottrina cattolica, il suo centro, è la spiegazione di tutti i misteri di nostra fede ». Solo ci appagheremo di rapidi accenni.

Innanzi tutto, chi è Dio?

« Dio è Amore! Egli vuol essere conosciuto così e vuole che questa conoscenza si diffonda nel mondo, lo infiammi e lo rinnovi… Il suo Amore è Lui stesso. – « Mosè, — prosegue la madre Claret de la Touche — il grande legislatore degli Ebrei, il privilegiato, che con la sua dolcezza e forza aveva attirato gli sguardi di Dio, riconoscendo nel roveto ardente del deserto la presenza della Divinità, Gli aveva domandato il suo nome; e Dio aveva risposto dalle fiamme ardenti: « Io sono Colui che sono! ». Risposta profonda, che rivelava Iddio come l’Essere supremo, essenziale, unico, causa e principio degli esseri, di una stabilità e unità assoluta, senza possibilità di mutamento, di diminuzione o accrescimento. Ma risposta misteriosa, come tutte le manifestazioni divine dell’Antico Testamento, che non rivelava il segreto di Dio e teneva l’anima umana sospesa davanti a questo Essere incomprensibile ». Si camminava ancora in mezzo alle ombre; la luce piena della rivelazione era riservata per più tardi. « Spuntarono finalmente i giorni della Redenzione; la seconda Persona della Santissima Trinità s’incarnò, il Verbo divino si fece uomo, soffrì e morì per noi; poi, asceso al cielo, inviò lo Spirito Santo. È allora che sentiamo sgorgare dal cuore infiammato e dalle labbra verginali dell’Apostolo prediletto le parole rivelatrici: « Deus charitas est! », Dio è Amore! – « Iddio vedendo l’uomo purificato dal grande sacrificio del Calvario, rientrato in grazia, ritornato suo Figliuolo sottomesso e l’erede della sua gloria, non ha più segreti per Lui. « Rivelandogli il suo Nome: « l’Amore », si fa da lui conoscere per intero. Nel medesimo tempo gli svela tutti i suoi misteri, il segreto delle sue divine operazioni e la ragione de’ suoi atti ».

I grandi pensatori cristiani, da sant’Agostino a Bossuet, hanno indicato in questo Amore di Dio il perchè di tutti i misteri. Essi hanno inneggiato all’Amore infinito, che passa e ripassa in un flusso e riflusso divino fra le tre Persone della Santissima Trinità; e, come riassume il loro pensiero mons. Baunard, ci hanno dato questa sintesi degli altri dogmi cristiani: « Dio ama: amare è donarsi; e Dio ha tutto donato a noi e si è dato Lui stesso, cominciando dall’esistenza nostra e di tutti gli esseri: ecco la Creazione. «Dio ama: amare è parlare, è farsi comprendere da quelli che si ama, ed ecco la Rivelazione, la Sacra Scrittura e la sua Legge.

« Dio ama: amare è salvare, a qualunque costo, chi si ama, è morire per chi si ama: ecco la Redenzione. « Amare è voler essere continuamente con chi si ama: ecco l’Eucaristia, la presenza reale, l’altare. « Amare è donarsi a ciascuno di coloro che si amano: ed ecco la divina Comunione, la Cena. « Infine, amare è voler rendere felici, con sè e per sempre tutti coloro che si amano, ed ecco l’eterna beatitudine e il Cielo. – « Vasta sintesi dell’amore, che è pure quella di tutta la nostra fede! ».

Non per nulla l’aquila di Meaux, nella sua Oraison funèbre d’Anne de Gonzague, riferiva e commentava da pari suo un’espressione dell’illustre defunta, la quale aveva detto: « Dal giorno che piacque a Dio di mettermi in cuore che il suo amore è la ragione di tutto quello che crediamo, la risposta mi persuade più di tutti i libri ». Non per nulla i Santi e tutte le anime sentitamente cristiane trovano ovunque una delle strofe dell’Amore eterno, che li lancia in un impeto di riconoscenza verso Dio. Cos’è la natura, per il credente? Cosa dicono al suo cuore e alla sua intelligenza le montagne belle, gli oceani immensi ed il sorriso dei fiori? Risponde la mistica citata: « L’Autore Infinito aveva deciso la creazione dell’uomo per potersi effondere in lui. E come una giovane madre prepara con amore, di propria mano, la culla del bimbo che sta per dare alla luce, e si sforza di renderla, non solo dolce e comoda, ma graziosa e lieta, così Dio, che doveva essere padre e madre, preparò con amore la culla dell’uomo, l’universo, e si compiacque di onorarlo ed arricchirlo di tutto ciò che poteva servire all’utilità, al bene e alla gioia della sua creatura prediletta ». Per questo Gesù le diceva: « Dà il tuo cuore alle creature, affinchè esse amino per mezzo tuo e tu ami in loro, fa che esse glorifichino, esaltino, amino il loro Creatore. Ama con l’uccello che canta, con la nube che va vagando nello spazio, con la foglia che freme alla brezza. Dà a tutti questi esseri creati dall’Amore un’anima che conosca, un cuore che palpiti ». Per questo ella soggiungeva: « Mi pare che la creazione sia come uno strumento musicale, un’arpa; se nessuno la tocca, l’arpa non vibra: ma se il cuore dell’uomo, come un abile artista, tocca le corde di quest’arpa d’oro, allora s’innalza un suono armonioso: è un inno di amore, cantato dall’amore in onore dell’Amore infinito,. Cos’è la nostra elevazione alla stato soprannaturale? I Padri, ad una voce, con mille figure rispondono spiegando la parola dell’Apostolo della carità: « Vedete quale amore ci ha dimostrato il Padre, nel far sì che potessimo avere il nome, e fossimo in realtà figli di Dio ». Com’è stato, in ogni tempo, annunciato nella Chiesa il mistero dell’Incarnazione e della Renzione, se non come il mistero di quell’Amore, del quale san Paolo osservava che sorpassa ogni scienza? Dio ha così amato il mondo, ha esclamato il veggente di Patmos, da dargli il suo Figlio unigenito ». E la mistica di Siena, santa Caterina, ispirandosi a questa nota, eleverà la sua voce: « Da qualunque lato mi volgo, trovo ineffabile amore… L’amore fece discendere l’altezza della Deità a tanta bassezza quanta è la nostra umanità… L’amore lo fece abitare nella stalla in mezzo agli animali. L’amore lo fece satollare di obbrobri. E, per amore, il dolce Gesù sommamente si dilettò di portare la croce di molte tribolazioni… L’amore lo fece correre con pronta obbedienza fino all’obbrobriosa morte della croce… Chi l’ha tenuto fermo in croce? Non chiodi, nè pietra, nè terra tenne ritta la croce, perchè non erano sufficienti a tener ritto l’Uomo-Dio; ma l’amore ». E non aveva detto già Gesù Cristo: « Nessuno ha amore piu grande di chi dà la vita per i suoi amici? ». – Anche Dante, discorrendo nel canto VII del Paradiso del decreto della Redenzione, ha magnificamente scritto:

Questo decreto, frate, sta sepulto

Agli occhi di ciascuno, il cui ingegno

Nella fiamma d’amor non è adulto.

Tutto ciò è evidente. E non solo Betlemme e Nazaret, ma anche le parole cadute dal labbro divino di Gesù sotto gli olivi della Giudea e fra le rose di Gerico, i suoi miracoli ed i suoi esempi, ed il Cenacolo, ed il Calvario, e l’Altare, e la Pentecoste, e tutta la storia della Chiesa sono verità chiuse in sepolcro, per chi trascura la « fiamma d’Amor ». Costui non capirà mai che la Chiesa è il regno dell’Amore; non capirà il Sacerdozio, ossia la schiera dei ministri dell’Amore; non capirà la Comunione frequente e quotidiana, alimento ogni giorno dell’Amore; non capirà Paray e la devozione al sacro Cuore e riterrà quest’ultima come una semplice devozione sentimentale, mentre è la sintesi di tutto il Cristianesimo. In breve: qual è il più bell’atto di fede che il dogma rivelato esige da noi? Non io, non un teologo, neppure un santo lo ha recitato la prima volta. Fu il discepolo che Gesù prediligeva e che posò il capo sopra il suo Cuore nell’ultima Cena, che ci insegnò a dire: « Nos credidimus Charitati!… Noi abbiamo creduto, noi crediamo all’Amore! ».

2. – La morale dell’amore

Su un simile stelo, poteva forse sbocciare il fiore di una morale che non fosse la morale dell’Amore? La rivelazione all’uomo dell’Amore infinito di Dio implica come conseguenza la necessità, il dovere, il bisogno di ricondurre a Dio l’amore dell’uomo, perchè — è sempre san Giovanni che lo proclama — « chi non ama, rimane nella morte ». E sempre nei secoli echeggerà il grido delle Confessioni di sant’Agostino: « Ci hai fatto per Te, o mio Dio, ed il nostro cuore non ha pace, finchè in Te non si riposi! ». – Come l’aquila reale, per usare il paragone del Bauthier nel suo volume su il sacrificio nel dogma cattolico e nella vita cristiana, quando è prigioniera, insanguina le ali alle inferriate della sua gabbia, così il cuore, chiuso nell’egoismo, senza i voli dell’Amore, si sente necessariamente tormentato dal rimorso. – Dalla dogmatica cristiana non poteva sorgere se non la morale della carità. Gesù Cristo, come vedremo, riassumerà la sua etica in un comando: « Diliges! Amerai!.». Nè poteva esser diversamente. Ogni precetto, ogni comandamento, ogni norma dell’etica doveva essere nel Cristianesimo ispirata dall’Amore, perchè ogni dogma della fede aveva lo stesso spirito. Gesù Cristo non è venuto al mondo per sciogliere la legge data sul Sinai ed impressa, prima ancora, nella umana coscienza; è venuto per compierla, per perfezionarla, per vivificarla con l’Amore. Come nel dogma, così anche nella morale, questa è la ragione di tutto, il principio vitale che tutto ci spiegherà. Perché dovremo adorare Dio e Dio solo? perchè non dovremo bestemmiarne il Nome e non pronunciarlo invano? Perché Gli dovremo consacrare un giorno della settimana, e si vada dicendo? Per amore, perché dobbiamo amarlo sopra ogni cosa. Perché, ancora, dobbiamo compiere il nostro dovere, non mentire, non ammazzare, non dire il falso, non profanare con l’impurità la nostra mente ed il nostro corpo, non rubare, e così via? — Perché, risponde l’Apostolo san Giovanni, dobbiamo amare il Signore non con le parale e con la lingua, ma con la realtà dei fatti. Perchè negli altri, anche nei nemici, dobbiamo vedere dei fratelli? E perchè ancora, non contenti dei comandi, ci sentiremo spinti ad attuare i grandi consigli della perfezione? Sempre per amore.

Nella casa di Miriam, Sienkiewicz, nel suo Quo vadis?, ha ritratto artisticamente la figura del tribuno romano Vinicio. Stanco delle orge, del vino, del canto, delle cetre, delle ghirlande di fiori, del palazzo di Cesare, col cuore acceso da un puro affetto, Vinicio, attratto sulla via della conversione, si rivolge a Pietro ed a Paolo di Tarso e con accento rapito e commosso implora la luce:

— Vedete! Mi torturo nell’incertezza: Mi dissero che la vostra dottrina distrugge la vita, la felicità, le leggi, la potenza dell’impero. È vero? Mi dissero che siete dissennati. Istruitemi… Mi fu anche detto: la Grecia creò la sapienza e la bellezza, e Roma la forza; che cosa dunque arrecate voi? Se in voi è la luce, fate che un raggio brilli su di me. — Noi rechiamo l’Amore, disse Pietro. E Paolo di Tarso soggiunse: — Conoscessi pure la lingua degli Angeli, senza la carità io non so più parlare e divengo rame sonoro tintinnante. Così è. La sintesi del dogma è l’Amore di Dio in sè e per l’uomo. La sintesi della morale cristiana, e tutto questo Sillabario ne sarà una dimostrazione, non è altro se non l’amore dell’uomo per Dio.

Riepilogo

Prima di esporre la morale cristiana, occorre affermare il principio di unità che la vivifica e che si può esprimere con una parola: L’Amore.

1. – Tutto nel Cristianesimo è amore. Il dogma ci rivela l’Amore infinito di Dio in sè e l’amore suo per noi.

2. – E’ chiaro che la morale cristiana non poteva, di conseguenza, essere altro se non la morale dell’amore, ossia dell’amore dell’uomo per Dio. Per non confondere l’etica di Cristo con altre dottrine, non bisogna mai perdere di vista quest’anima ispiratrice dell’Amore.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (4)

NOVENA A S. ANNA

NOVENA A S. ANNA

(inizia il 17 luglio, festa il 26 luglio)

[G. Riva: Manuale di Filotea. XXX ed. 1888, Milano.]

La festa, insieme a quella di S. Gioachino, fu instituita da Giulio II nel 1510, e confermata da Gregorio XV nel 1620.

I. Per quell’invitta pazienza con cui pel corso di tanti anni tolleraste, o S. Anna, la vostra penosa sterilità, ottenete a noi pure una costante rassegnazione in tutti i travagli di questa vita. Gloria.

II. Per quella fervorosa ed incessante orazione con cui voi, o sant’Anna, domandavate a Dio di essere consolata colla fecondità, impetrate anche a noi un vero spirito di orazione per poter fecondare il nostro cuore di sante virtù. Gloria.

III. Per quella rigorosa mortificazione che voi, o S. Anna, accoppiaste alle vostre preghiere, ond’essere da Dio più facilmente esaudita, fate che ancora noi a tal fine procuriamo di unire al fervore dell’orazione lo spirito della mortificazione, con cui renderci meritevoli di tutte le grazie celesti. Gloria.

IV. Per quella dolce violenza che faceste al cuore di Dio colle vostre grandi elemosine ed altre opere di carità, impetrate, o S. Anna, anche per noi una carità somigliante alla vostra, onde muovere il Signore ad usare anche a pro nostro le sue infinite misericordie. Gloria.

V. Per quella santa confidenza con cui fermamente speravate, o S. Anna, il compimento dei vostri desideri, impetrate a noi pure una fiducia fermissima con cui ci assicuriamo ogni favore del Cielo. Gloria.

VI. Per quella grande riconoscenza che voi, o S. Anna, mostraste a Dio quando vi vedeste per favore divenuta feconda, fate che ancora noi siamo sempre grati e riconoscenti a Dio pei continui favori che da Lui riceviamo, e così degni ci rendiamo di sempre riceverne dei migliori. Gloria.

VII. Per quel puro e santo amore che voi concepiste, o S. Anna, verso Maria, quando vi vedeste divenuta sua fortunatissima madre, otteneteci di amar sempre questa vostra Figlia sì eccelsa e nostra Madre sì cara, onde meritarci distinta la sua protezione. Gloria.

VIII. Per quel gran sacrifizio che faceste, o S. Anna, della vostra gran Figlia, offrendola fin dai più teneri anni al divino servizio nel tempio, intercedeteci la grazia di poter con santo e nobil coraggio sacrificar a Dio qualunque cosa potesse Egli da noi bramare per acquistarci le sue più distinte beneficenze. Gloria.

IX. Per quella santità fervorosa con cui voi, o S. Anna, serviste a Dio in tutti i giorni di vostra vita, degnatevi di pregar Dio a farci sempre vivere da giusti e da santi sino alla fine dei nostri giorni, e così assicurarci le promesse retribuzioni nel cielo. Gloria.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (42): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -I.-

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (42)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

INDICE SISTEMATICO DEGLI ARGOMENTI

1550 = luogo di maggiore solennità.

2001 = luogo rappresentante l’asserto riprovato.

(355) = luogo che contiene solo implicitamente o imperfettamente il presente argomento.

41//51 = serie di luoghi contenenti in pochi numeri (passim) lo stesso argomento presente.

C.d J.C. 1326 = Codice del Diritto Canonico [C.J.C. 1917], Canone 1326.

PROSPETTO DELLE SEZIONI

A. – DIO CHE SI RIVELA

1. Attitudine naturale dell’umano intelletto (a. per la conoscenza in genere. – b. per la conoscenza delle verità religiose). 2. Nozione della rivelazione. – 3. Possibilità e fatto della Rivelazione. – 4. Fine e necessità della rivelazione. – 5. Proprietà della rivelazione (a. Sorannaturalità. – Immutabilità.). – 6. Ambito della Rivelazione (a. Misteri in senso lato. – b. Misteri in senso stretto.). –  7. Tradizione della Rivelazione (a. In genere, – b. S. Scrittura.) – 8. Accettazione della Rivelazione per la fede (a: Natura della fede; b: Prerequisiti alla fede; c: Obbligo della fede v. K 2a). – 9. Applicazione dell’umana ragione alle cose rivelate (a: utilità dell’umana ragione e suoi limiti; b: trattazione scientifica della rivelazione).

B. DIO SUSSISTENTE UNO E TRINO.

1. Dio uno secondo natura (a: essenza divina. – b. Attributi divini). – 2. Dio trino secondo le Persone (a. Esistenza della Trinità delle Persone in Dio. – b: Processioni divine. – c: Persone divine tra loro comparate. – d. Persone divine comparate con l’essenza divina. – e. Operazione di Dio trino ad extra).

C. – DIO CREATORE ED ELEVANTE.

1. Origine del mundo (a: Principiio efficiente del mondo. – b: Modo di produrre il mondo). – 2. Costituzione del mondo (a: Differenza tra il Creatore e la creatura. – b: Ambito e diversità delle creature. – c: Bontà delle creature ed origine) – 3. Causa esemplare del mondo. – 4. Causa finale del mondo. – 5. Governo del mondo. – 6. Angeli. – 7. Uomo (a: Origine del genere umano. – b: Natura individuale dell’uomo. – c: Natura sociale dell’uomo. – d: Fine dell’uomo. – e: Stato dell’integra natura dell’uomo). – 8. Mondo materiale.

D. – DIO PERMETTE IL PECCATO.

1. Peccato angelico (a: Fatto. – b: Nefaste consequenze). – 2. Peccato umano in generale (a: Natura del peccato. – b: Distinzione del peccato. – c: Cause del peccato. – d: Occasioni di peccato. – e: Remissione dei peccati). – 3. Peccato di Adamo (a: Peccato personale. – b: Peccatuo originale).

E. – DIO SALVANTE PER MEZZO DI GESÙ CRISTO.

I. Costituzione del Salvatore Dio-uomo (a: Natura divina. – b: Natura umana. – c: Unione delle due nature). – 2. Conseguenze dell’unione ipostatica (a: Doti di Gesù Cristo. – b: Modo di parlare di Cristo). – 3. Cause dell’ incarnazione (a: Causa efficiente. – b: Causa finale). – 4. Munera Doni o ufficio del Cristo . – 5. Storia della salvezza (a: Salvezza degli uomini prima dell’avvento del Cristo. – b: Vita Gesù Cristo Salvatore). – 6. Parte della B. Maria Vg. nell’opera della salvezza (a: Preparazione dono della Madre del Salvatore. – b: Dono eccellente di Madre del . – c: Dono eccellente per la salvezza degli uomini.. – d: Glorificazione). – 7. Ruolo di S. Giuseppe nella storia della salvezza.

F. – DIO CHE DONA LA VITA DELLA GRAZIA.

I. Grazia in generale (a: Gratuità. – b: Sopannaturalità). – 2. Grazia attuale (a: Natura della grazia attuale. – b: Necessità. – c: Distribuzione delle grazie. – d: Effetto della gratia). – 3. Grazia della giustificazione (a: Natura della giustificazione. – b: Dono efficiente della giustificazione. – c: Cause della giustificazione. – d: Gratuità della giustificazione. – e: Disposizioni per la giustificazione. – f: Stato della natura riparata). – 4. Virtù infuse (Obligo degli atti di fede, speranza e carità, ed. K 2a-c). – 5. Doni dello Spirito Santo. – 6. Merito dell’uomo gíusto.

G. – DIO CHE RIUNISCE LA CHIESA DELLA SALVEZZA.

I. Fondazione della Chiesa (a: Esistenza del ceto dei fedeli in Cristo. – b: Cristo fondatore della Chiesa. – c: Fondamento della Gerarchia della Chiesa: il Collegio Apostolico. – d: Fondamento monarchico: Pietro principe degli Apostoli).

2. Continuazione della Chiesa (a: Perpetuità della Chiesa. – b: Continuazione della Gerarchia . – c: Continuazione della monarchia. – d: Continuazione del popolo di Dio.). – 3. Unità della Chiesa di Cristo. – 4. Constituzione giuridica della Chiesa (a: Perfezione della Chiesa come societa giuridica. – b: Potestà legiferante, giudiziaria, coercitiva. – c: Membra della Chiesa. – d: Ordine del regime: in genere; Sommo Pontefice; Vescovi; funzione dei laici). – 5. Constituzione tio spirituale carismatica della Chiesa (a: Indole suprannaturale. – b: Indolee vitale-mistica). – 6. Fini della Chiesa (a: Chiesa mezzo esterno di salvezza.- b: Destinazione universale della Chiesa. – c: Conoscibilità della vera Chiesa. – d: Relazione della Chiesa con i fini naturali. – e: Relazione della Chiesa con il potere civile).

H. – DIO DOCENTE MEDIANTE IL MAGISTERO DELLA CHIESA.

1. Legge ed ufficio del Magistero ecclesiastico (a: in generale. – b: in quanto all’oggetto. – c: come in persona del Magistero. – d: come modo speciale di esercitare il Magistero). – 2. Certezza del Magistero ecclesiastico (a: in genere. – b: Infallibilità degli atti sollenni. – c: Certezza degli altri atti).

J. – DIO SANTIFICANTE CON I SACRAMENTI DELLA CHIESA.

I. Sacramenti prima della costituzione della Chiesa. – 2. Sacramenti del Nuovo Testamento, in genere (a: Essenza dei Sacramenti. – b: Origine remota e prossima dei Sacramenti. – c: Fine, effetto, valenza dei Sacramenti. – d: Soggetto dei Sacramenti). – 3. Sacramento del Battesimo (a: Essenza. – b: Origine. – c: Fine, effetto, valore. – d: Soggetto. – 4. Sacramento della Confermazione (a-d: come in 3). – 5. Sacramento dell’Eucaristia. (a:. Istituito da Cristo. – b: Essenza del Sacramento dell’Eucaristia. – c: Dignità dell’Eucharistia. – d: Eucaristia come Sacrificio. – e: Eucaristia come Comunione). – 6. Sacramento della paenitenza (a-d: come in 3). – 7. Sacramento dell’unzione degli infermi (a-d: come in 3). – 8. Sacramento dell’Ordine (a-d: come in 3). – 9. Sacramento del Matrimonio (a-d: come in 3). – 10. Sacramentali (a: in generale . – b: Indulgenze).

K. – DIO PRECETTORE DELLA VITA MORALE.

I. Principi fondamentali della vita morale (a: Requisiti dell’atto morale. – b: Fonti della moralità. – c: Estensione della moralità. – d: Norma oggettiva della moralità. – e: Norma soggettiva della moralità: conscienza. – f: Virtù in genere). – 2. Esercizio delle virtù rispetto a Dio, ossia: i Beni richiesti a Dio (a: Virtù teologale della fede. – b: Virtù teol. della speranza – c: Virtù teol. della carità. – d: Culto di Dio in genere. – e: Culto pubblico di Dio. – f: Riverenza verso Dio . – g: Fedeltà e veracità nei confronti di Dio). – 3. Exercizio delle Virtù rispetto a se stesso, ossia: beni richiesti a se stesso. (a: Beni religiosi dell’anima propria. – b: Beni immateriali terrestri dell’animae. – c: Beni corporali. – d: Beni materiali esterni). – 4. Esercizio delle virtù nei riguardi dei singoli prossimi, ossia: Beni perseguiti del prossimo (a: Principi generali. – b: Beni religiosi. – c: Beni immateriali terrestri. – d: Beni corporali. – e: Beni della vita sessuale. – f: Beni materiali esterni). – 5. Exercizio delle Virtù nei confronti delle supreme società, ossia: Beni perseguiti dell’umana società (a: Beni perseguiti della società in genere. – b: Beni perseguiti della famiglia. – c: Beni persegiiti della società civili. – d: Beni perseguiti della Chiesa). – 6. Vita della perfezione cristiana (a: Natura della perfezione cris. – b: Via della perfezione cris.).

I. – DIO RETRIBUENTE E CONDANNANTE.

1. Morte dell’uomo. – 2. Giudizio particolare dell’uomo. – 3. Sorte dell’uomo beato: Beatitudine celeste (a: Essenza. – b: Proprietà. – c: Ammissione alla beatitudine. – d: Comunicazione tra Chiesa trionfante e militante). – 4. Sorte dell’uomo purgante: purgatorio (a: Esistenza ed essenza. – b: Comunicazione tra Chiesa militante e patente.). – 5. Sorte del defunto col solo peccato originale: limbo. – 6. Sorte dell’uomo che si danna: inferno (a: Esistenza della pena dell’inferno. – b: Natura dell’inferno. – e: Cause della dannazione). – 7. Sorte ultima del mondo (a: Avvento di Cristo giudice. – b: Resurrezione dei morti. – c: Giudizio universale. – d: Fine del mondo. – e: Regno eterno di Dio e di Cristo).

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (43): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -II-

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

LO SCUDO DELLA FEDE (260)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (3)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864

CAPO III.

SCIENZA, PICEDESTINAZIONi E BONTÀ DIVINA

I. Iddio sa se mi salverò. II. Mi salverò se sono predestinato. III. Iddio è buono. IV. Iddio non si vendica.

I. Oltre la giustizia, traggono alcuni in campo anche la scienza divina, per confondere sè ed altri. Si lasciano muovere soprattutto da quel sofisma che Iddio certamente ha già veduto se essi saranno salvi, oppure se andranno dannati: che accade dunque che si affatichino per salvarsi? Ad ogni modo quello che Dio ha veduto tanto accadrà. – Prima di rispondere direttamente a questo sofisma, io farò una domanda simile al mio lettore. Iddio certamente già sa se quest’oggi voi troverete imbandito il desinare, oppure se nol troverete: che accade adunque che spendiate denari, che diate ordini, che impieghiate il cuoco per ammannirlo? Similmente Iddio certamente vede se voi mai giungerete a raccozzare insieme qualche denaro, oppure se sempre sarete al verde: a che adunque struggervi in brighe e contratti e negozii per accumulare? Non sarà mai più di quello che Dio vede. Che cosa rispondereste a chi vi facesse un tal discorso? Sebbene non aveste in pronto la risposta, tuttavia né licenziereste il cuoco, né smettereste perciò il commercio. Or perché non fate altrettanto nel negozio di vostra salute? Perché non ve ne occupate con ogni serietà, come se al tutto dipendesse da voi? – Del resto sappiate che il veder di Dio le cose con la sua infinita sapienza, non fa che esse non siano ancora pienamente dipendenti dalla nostra libera volontà. Vel dichiarerò con una somiglianza. – Se vi trovaste a rimirare da un balcone una piazza tutta gremita di popolo, ché cosa vedreste? Altri, vendere le loro merci, altri comprarle, e cavalli che impennano, e donne che si bisticciano, e fanciulli che ruzzano, e sciagurati che bestemmiano, e così via via. Ora voi vedete certamente tutto quello che accade, ma ne siete voi la cagione? Forse perché voi lo vedete, essi non sono più liberi a proseguire od intrammettere le loro faccende? Nulla meno. Il vostro vedere nulla influisce sulla loro libertà. Ora, osservate, Iddio per la sua infinita sapienza ha un occhio, a cui sta presente tutto il passato, tutto Il presente e l’avvenire, e tutto con le sue circostanze più mirate e particolari. Che però? Sarà Egli la causa di quello che facciamo o diciamo? Niente affatto. Egli ci lascia fare e dire secondo quella libertà che ci ha dato, e non perché d ama, e solo perché Egli vede le cose, ma perché noi facciamo le cose, Egli le vede. – Di che venendo in nostro particolare, io vi dirò, la visione che Dio ha di quello che noi liberamente faremo in ordine alla nostra salute, non impedisce in nessun modo la nostra operazione. Se io osservo la divina legge, se io non pecco, oppur se fo penitenza dei miei peccati, Iddio vede che io mi salvo. Se io pecco, se io la duro nel peccato fino alla morte, Iddio vede che io mi danno. La sapienza di Dio è a guisa d’un tersissimo specchio, dove tutto quello che io fo e farò si trova rappresentato: ma a chi appartiene il fare che sia rappresentata più una cosa che un’altra? Egli è rimesso alla mia libertà. Similmente l’uomo in questa vita è a guisa di un attore sopra di un palco che dà una rappresentazione: che cosa vede il pubblico? Quel solo e quel tanto che l’attore finge: e, sebbene Iddio per la sua infinita sapienza la vegga anche prima che sia alzato il sipario, tuttavia la rappresentazione mai non sarà altra da quella che l’uomo, che è l’attore, la farà.

II. E con questo è spianata la via a sciogliere anche la difficoltà che si trae dalla predestinazione. Se sono predestinato, dicono alcuni, mi salverò; se non sono, qualunque cosa mi faccia, al tutto mi dannerò. Falso, falsissimo, Imperocché che cosa risulta dalla predestinazione? Che Dio ha veduto che voi, valendovi del vostro libero arbitrio ed usando le grazie che ci vi ha concedute, foste per continuare fino alla fine in un tenore di vita santo; e che foste conseguentemente per andar salvo. Se ha veduto per il contrario che voi foste per fare il male e farlo fino alla, morte, abusando della vostra libertà e delle sue grazie, ed Egli allora si è risoluto a lasciarvi perire : ma a quel modo che il veder Lui le cose avvenire non fa che le cose succedano, ed anzi perché succedono Egli le vede, come abbiam dichiarato sopra; così la determinazione divina non è cagione che voi facciate necessariamente il bene od il male, e che così acquistiate o perdiate il cielo. – Né niuno dica che non sa capire come dunque i decreti divini siano infallibili, mentre sta in nostra mano il far tuttavia che sortiscano il loro effetto o non lo sortiscano; perocché una tal difficoltà non ha special forza nella salute dell’anima, più che nella ricuperazione della sanità, nella conservazione della vita, nel conseguimento delle vittorie ed in tutti gli altri eventi da Dio previsti intorno alla nostra persona, ma previsti di modo che ancor dipendano dal nostro libero arbitrio. Or in tutti questi eventi naturali, benché scritti in cielo, noi crediamo che essi ancor dipendano dai nostri sforzi; e perciò per guarire pigliamo la medicina, per vivere usiamo il cibo, per vincere combattiamo; così nell’ordine soprannaturale, benchè sia scritta in cielo la nostra salvezza, tuttavia noi dobbiamo credere che ancora dipenda dalla nostra opera, e dobbiamo perciò orare, vigilare, osservare le divine leggi. E siccome niuno vi sarebbe che ragionevolmente non attribuisse la perdita della sanità, della vita, della vittoria a colui che non si fosse adoperato per conseguirla; sul pretesto che l’esito di essa già stava scritto in cielo; così la perdita della salute sarebbe al tutto da recarsi a colpa di chi sul pretesto medesimo avesse trascurati i mezzi della salute. E la ragione ultima di tutto ciò è che come Iddio, quando ha decretato di renderci la sanità, ha decretato di renderceli a modo debito, cioè con quei medicamenti che sono i proporzionati; così avendo decretato di darci l’eterna vita, non l’ha fatto se non a modo debito, cioè con tutti mezzi che noi avremmo praticati, per ottenere sì alto scopo. – Che se tutte queste ragioni non bastassero per ventura a quietarvi in proposito, e voi prendete quest’altra via, che sarà di richiamare alla mente alcune saldissime verità, dalle quali potrete trarre pieno conforto: 1.° Checché ne sia della divina predestinazione, riman sempre certo che Dio ha una volontà sincerissima di salvarvi, e questa sua volontà ci ha manifestata con ogni chiarezza, mentre è morto non solo per tutti in comune, ma per ciascuno di noi in particolare. Il perché qualunque cosa vi suggerisca la vostra immaginazione, voi e potete e dovete dire quel dell’Apostolo, che Gesù Cristo è morto per voi e per la vostra salute; Propter me et propter meam salutem. 2.° Gesù, per ragione di quella volontà sincerissima che ha di salvarvi, vi ha fornito con abbondanza di tutti quei mezzi che si richiedono per ottenere quell’alto scopo. Vi ha dato grazie interiori, alle quali acconsentendo voi, come potete, sarete salvo. 3.° Tutto il mistero della predestinazione, benché non l’intendiate, non vi toglie per verun modo la libertà che Dio vi ha data per fare il bene e fuggire il male. Così ve ne assicurano le sante Scritture, così le definizioni di santa Chiesa, così lo stesso buon senso, il quale vi fa sapere che sarebbe assurdo infligger castigo a chi ha commesso un male, che non poteva non commettere, come rimunerare con premio chi ha fatto un bene, che non poteva non operare. Finalmente, finché siete in vita, sempre potete col divino aiuto salvare l’anima vostra, mentre durandovi fino alla morte di credere, di sperare, di amare Iddio sopra tutte le cose, forza è il dire, che fino alla morte dovete avere la possibilità di soddisfare quest’obbligo: se già alcuno non volesse affermare stolidamente che si potesse senza colpa né credere, né sperare, né amare Iddio, come avverrebbe in chi non ne avesse la grazia necessaria. Questi principii essendo indubitati presso i Cattolici, son bastevoli a quietare qualunque turbazione dei fedeli più timidi, a chiudere al tutto la bocca ai libertini più impudenti.

III. Finalmente vi è un altro attribuito divino che somministra a non pochi cagion d’errore, e, chi lo crederebbe? questo è la stessa dolcissima divina bontà. Come i ragni cavano il veleno da quei fiori medesimi, dai quali le api suggono il miele, così alcuni iniqui si valgono di stimolo, a peccare più francamente, di quella bontà medesima, che ne allontana sì efficacemente i buoni. Non conviene, dicono essi perversamente, non conviene a quella immensa misericordia di condannare veruno; Iddio non si offende di nostre colpe; Iddio non si vendica; Iddio compatisce perché conosce la nostra fragilità. Nè si valgono già di questi pensieri per eccitarsi a pentimento di loro colpe, per risolversi a non più commetterle: tutto all’opposto; se ne valgono per rimuovere il timor dell’inferno che contrista, per adagiarsi più tranquillamente nel peccato, per attutire ogni rimorso. Il perché vuolsi fare un poco di esame a questi panegirici della divina bontà, che suonano sì alto sulle bocche dei peccatori. Iddio è buono sì, ma è forse solamente buono? Sarebbe non solo un’eresia il pensarlo, ma perfino una stolidità. Iddio è giusto, anzi la stessa giustizia; è santo, anzi la stessa santità; è puro, anzi la stessa purezza; ed i suoi occhi non possono vedere l’ingiustizia ed il suo cuore non può patirla, ed è obbligato dalle sue infinite perfezioni ad odiarla con tutto sè stesso. Il perché se non punisce subito il peccatore, se non istermina tosto il peccato dal mondo con tutte le sue folgori, il fa solo perché aspetta che vi rimedii con la penitenza chi sventuratamente l’ha ricettato nel cuore. Se non fosse così, Iddio non sarebbe buono, sarebbe stupido, sarebbe complice delle umane iniquità. Volete vederlo? Orsù: udite l’ elogio che io ho da farvi di un padre: Ha questi parecchi figliuoli, i quali sono disobbedienti, indisciplinati, protervi. Non danno retta al padre, si beffano della madre, fan mille dispetti ai vicini, sono lo scandalo di tutta la contrada. Il padre però è tanto buono, che non ha cuore di riprenderli e di castigarli; si contenta solo di avvertirli sempre amorevole, di pregarli, di supplicarli, ma poi tolga Iddio che metta mai mano al castigo, benché non si arrendano ai suoi avvisi. Similmente vi ha un giudice, il quale amministra la giustizia ad una città. Or in questa tutto è pieno di ladri, di omicidi, di sanguinarii, di malfattori, e però tutto è stragi ed ammazzamenti. Il giudice lo sa; che anzi gli vengono condotti dinanzi i rei, ma che volete? il giudice è così buono, che non sa indursi mai a castigarne veruno. Al più al più lo avvisa amorevolmente, e poi lo manda in pace rimettendolo in libertà. Ora che dite voi della bontà di questo giudice e di quel padre? Chiunque non abbia perduto il senno dirà certo che quel padre è uno stupido, è uno stolido, che quel giudice è complice di tutte le iniquità che si commettono per cagion sua. Bene sta; ma non è questo mai l’elogio che alcuni fanno a Dio? Se la sua bontà mai non castigasse, se le sue minacce fossero vane parole, se la sua folgore fosse solo un vano strepito per l’aria, dite, vi sarebbe più alcun motivo di temerlo? Quelli che gli fanno un tale elogio non l’onorano, ma l’insultano orribilmente. E poi se Dio è tanto buono, che non gl’importa di quel che facciamo, perché dunque ha dato una legge, perché ha fatto tante prescrizioni? È il colmo del ridicolo e dell’assurdo tanto raccomandare, tanto inculcare quello che non ha nessuna importanza. Più, perché aggiungervi tante minacce di sì severi castighi? O Iddio sarà diventato un vano parlatore, come noi vermi, che tanto parliamo più alto quanto ci sentiamo più impotenti a mantenere le nostre parole? – Il concetto che le sante Scritture ci danno della bontà divina, non va mai disgiunto da quello della sua infinità giustizia: Dulcis et rectus Dominus. Il Signore è buono, à dolce sì, ma è anche giusto, è anche retto. È buono, e perché è tale ha operata l’Incarnazione ed è morto per noi sulla croce; è buono, e perciò ci somministra grazie innumerabili per la salute; è buono, e perciò ci aspetta anche dopo la colpa al perdono; è buono, e perciò, se l’ameremo, ci tien preparato un premio eterno: tutto ciò è verissimo, ma la sua bontà non lo accieca, nol fa stupido, non lo rende complice delle nostre iniquità. È buono, e tuttavia ha creato un inferno a bella posta per migliaia d’angeli prevaricatori, e ve li ha subissati entro. È buono, ma distrugge quando i loro peccati sono giunti al colmo, e popoli e Nazioni. E buono, e tuttavia avventa sulla terra i suoi castighi privati e pubblici. È buono, e colpisce spesso il peccatore in mezzo alla colpa; è buono, ma non lascia per questo di precipitare nell’inferno tutti quelli che prima di morire non hanno placata la sua giustizia. Come il numero grande dei peccatori nol fa traballare sul suo soglio, così non lo smuovono lodi ipocrite, che gli empii tributano alla sua bontà, per rassicurarsi all’ombra di quella della sua tremenda giustizia.

IV. Ma allora, ripigliano certi sciocchi, Iddio si vendicherebbe; e non conviene alla sua infinita eccellenza il vendicarsi. Davvero conviene a noi vermi vili insultarlo, provocarlo ad ogni momento con ogni sorta di offese, e non conviene a Dio farsi portar rispetto! – Avvertite di grazia a quel che dite, quando parlate di vendette, e quando l’attribuite a Dio. A noi miseri mortali è proibita la vendetta privata per molte ragioni: perché mai non possiamo conoscere pienamente il grado di colpa che può avere il nostro prossimo, consistendo essa principalmente nel cuore veduto dal solo Dio. Ci è vietata, perché essa involge un atto di autorità che il privato non può esercitare sopra un altro privato, perché non la possiede. Ci è proibita, perché le passioni, a cui andiamo soggetti, ci travolgono pur troppo il giudizio in causa propria; ci è proibita, perché Iddio vuole per nostra perfezione che imitiamo la mansuetudine, la carità del nostro Gesù, e per altre ragioni gravissime che qui non è luogo di enumerare. Per tutte queste ragioni in noi la vendetta privata è colpa, è mancamento. Ma non avviene già lo stesso nell’altissimo Iddio. La colpa è un disordine gravissimo, perché viola la legge eterna di Dio, e deve essere riparata. Ogni qualvolta l’uomo non la ripara coll’espiazione volontaria, e non la ritratta, deve essere riparata con una pena forzata, e Dio, come autore d’ogni ordine, è obbligato a porvi mano. In Lui è piena cognizione della colpa e delle circostanze di essa, e quindi il può fare con infinita rettitudine; in Lui è suprema autorità, quindi non fa che esercitare il suo diritto; in Lui non cade, né può cadere torbido di passione, epperò giudica con somma tranquillità; punisce la colpa, perché così lo richiede la deformità d’essa e la sua infinita giustizia. – Niuno dunque s’illuda con questo pretesto, che Dio sia solamente buono, perché questo lo esporrebbe al pericolo di trovarlo solamente giusto. Ed a ciò sarebbe bene che ponessero mente soprattutto due sorti di peccatori. Quelli che fanno di ogni erba un fascio sulla fiducia smisurata che hanno nella divina bontà. Iddio dalla sua stessa misericordia è obbligato a colpire questi iniqui, affinché non si venga a stabilire nel mondo un principio così orribile, qual è quello, che sia lecito ornai d’insultare tanto più audacemente il Signore, quanto esso è più buono. L’altra classe è di quelli che guerreggiano ostinatamente i buoni, che li deprimono, che li conculcano, che li spogliano, che li sterminano dalla faccia della terra, perché essi prendono in pazienza tutti gli strapazzi che lor si fanno. Adesso sì i buoni non possono, non debbono vendicarsi: ma giorno verrà in cui, liberi dalle umane passioni, e per puro amore della giustizia, leveranno le mani al cielo e grideranno a Dio: Vindica sanguinem nostrum; e Dio che ha riserbata a sé la vendetta, ascolterà quelle voci e le esaudirà, e farà comprendere ad ognuno che né la sua bontà gli vieta di castigare la colpa, come pretendono gli iniqui, né alla sua giustizia disdice il vendicare le offese, che ne’ suoi servi a Lui sono state fatte.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41): “PIO XII, 1944-1958”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(PIO XII, 1944-1958)

Decreto del Sant’Uffizio, 29 marzo (1° aprile) 1944.

I fini del matrimonio.

3838. Domanda: (In alcuni scritti si afferma) che il fine primario del matrimonio non sia quello di procreare figli, o che i fini secondari non siano subordinati al fine primario. ma sono indipendenti da esso. Il fine primario è indicato in vari modi dai vari autori, ad esempio la realizzazione e il perfezionamento personale degli sposi attraverso una completa comunità di vita e di azione; l’amore reciproco degli sposi da promuovere e realizzare attraverso il dono psichico e corporale della propria persona, ed altre cose simili. In questi stessi scritti, alle parole usate nei documenti della Chiesa (come fine primario o fine secondario) viene talvolta attribuito un significato che non corrisponde a quello che questi concetti hanno secondo l’uso comune dei teologi. Domanda: Possiamo accettare l’opinione di alcuni moderni che negano che il fine primario del matrimonio sia la procreazione e l’educazione dei figli, oppure insegnano che i fini secondari non siano essenzialmente subordinati al fine primario, ma siano anche principali e indipendenti?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 marzo): No.

Decreto del Sant’Uffizio del 19 (21) luglio 1944.

Millenarismo.

3839. Domanda: Che cosa si deve pensare del sistema del millenarismo misto che insegna che prima dell’ultimo giudizio, preceduto o meno dalla risurrezione di molti giusti, Cristo nostro Signore verrà visibilmente sulla nostra terra per regnarvi? (confermata dal Sommo Pontefice il 20 luglio): Il sistema del millenarismo misto non può essere insegnato con certezza.

Lett. Encycl. “Mediator Dei, 20 nov. 1947.

La presenza di Cristo nei misteri della Chiesa.

3840. [Dz 2297] In ogni atto liturgico è presente, insieme alla Chiesa, il suo divino Fondatore; Cristo è presente nell’augusto Sacrificio dell’altare, non solo nella persona del suo ministro, ma soprattutto nelle specie dell’Eucaristia; è presente nei Sacramenti attraverso la sua potenza che trasfonde in essi come strumenti di santità; infine, è presente nelle lodi e nelle suppliche rivolte a Dio, secondo queste parole: “Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono Ko in mezzo a loro” (Mt XVIII,20). . . .

3855. Pertanto, l’Anno Liturgico, che la pietà della Chiesa promuove e segue, non è una fredda ed indifferente rappresentazione di quelle cose che appartengono a tempi passati, od un semplice e scarno ricordo di cose di un’epoca precedente. È piuttosto Cristo stesso che persevera nella sua Chiesa e che persegue la via della sua grande misericordia; infatti, quando si è incamminato per questa vita mortale facendo del bene, vi è entrato con questo scopo, che i suoi misteri penetrassero nelle menti degli uomini e che attraverso di essi potessero in qualche modo vivere; e questi misteri sono certamente presenti e operano continuamente non in quel modo incerto ed oscuro di cui blaterano certi scrittori più recenti, ma nel modo che ci viene insegnato dalla Chiesa; poiché, secondo l’opinione dei Dottori della Chiesa, gli esempi di perfezione cristiana sono preminenti, e le fonti della grazia divina, a causa dei meriti e delle deprecazioni di Cristo e per il loro effetto perdurano in noi, sebbene esistano individualmente a modo loro secondo il carattere di ciascuno per la nostra salvezza.

La nozione completa di liturgia.

[Dalla stessa EnciclicaMediator Dei“, 20 novembre 1947].

3841. [Dz 2298] La sacra Liturgia, dunque, costituisce il culto pubblico che il nostro Redentore, Capo della Chiesa, ha manifestato al Padre celeste; e che la società dei fedeli in Cristo attribuisce al proprio Fondatore, e per mezzo di Lui all’eterno Padre; e, per riassumere brevemente, costituisce il culto pubblico del Corpo mistico di Gesù Cristo, cioè del Capo e delle sue membra.

3843. Pertanto, si allontanano completamente dalla vera e piena nozione e comprensione della Sacra Liturgia coloro che la considerano solo come una parte esterna del culto divino, e presentata ai sensi, o come una sorta di apparato di proprietà cerimoniali; e non meno errati sono coloro che la considerano come un mero compendio di leggi e precetti, con cui la Gerarchia ecclesiastica ordina e dispone i riti sacri.

Il rapporto tra la vita ascetica e la pietà della liturgia.

[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 30 novembre 1947].

3846. [Dz 2299] Perciò nella vita spirituale non ci può essere differenza né conflitto tra l’azione divina che infonde la grazia nelle anime per perpetuare la nostra redenzione, ed il lavoro affine e laborioso dell’uomo che non deve rendere vano il dono di Dio; e così pure tra l’efficacia del rito esterno dei Sacramenti, che nasce ex opere operato (compiuto dall’opera stessa), ed un atto ben meritevole da parte di coloro che partecipano e accettano i Sacramenti. E allo stesso modo tra le suppliche pubbliche e le preghiere private; tra il giusto modo di agire e la contemplazione delle cose superne; tra la vita ascetica e la pietà della Liturgia; e, infine, tra la giurisdizione della Gerarchia ecclesiastica e quel legittimo Magistero e quel potere che sono propriamente chiamati sacerdotali e che sono esercitati nel sacro ministero. – Per questo motivo la Chiesa esorta coloro che servono l’altare come compito affidato, o che sono entrati in un istituto di vita religiosa, a dedicarsi in tempi stabiliti alla pia meditazione, all’autoesame ed alla critica diligenti, e ad altri esercizi spirituali, poiché essi sono preposti in modo speciale alle funzioni liturgiche di celebrare regolarmente il Sacrificio e di offrire le dovute lodi. Senza dubbio la preghiera liturgica, essendo la supplica pubblica dell’illustre Sposa di Gesù Cristo, si distingue con maggiore eccellenza rispetto alle preghiere private. Ma questa maggiore eccellenza non indica affatto che questi due tipi di preghiera siano diversi ed in contrasto tra loro. Infatti, poiché sono animati da un unico e medesimo zelo, si uniscono e sono uniti secondo queste parole: “Cristo è tutto e in tutti” (Col III,11), e si adoperano per gli stessi scopi, affinché Cristo sia formato in noi.

La partecipazione dei fedeli al Sacerdozio di Cristo.

[Dalla stessa Enciclica, “Mediator Dei“, 20 novembre 1947].

3849. [Dz 2300] È opportuno che tutti i fedeli in Cristo comprendano che è loro supremo dovere e dignità partecipare al Sacrificio eucaristico. . . . – Tuttavia, poiché i fedeli in Cristo partecipano al Sacrificio eucaristico, non per questo godono del potere sacerdotale. È anzi necessario che lo teniate ben presente agli occhi del vostro gregge.

3850. Ci sono infatti coloro … che oggi riprendono errori già condannati da tempo ed insegnano che nel Nuovo Testamento il nome “sacerdozio” comprenda tutti coloro che sono stati purificati dall’acqua del Battesimo; e anche che quel precetto con cui Gesù Cristo nell’ultima cena affidò agli Apostoli il compimento di ciò che Egli stesso aveva fatto, si riferivsse direttamente a tutta la Chiesa dei fedeli in Cristo; e che da qui, e solo da qui, è sorto il sacerdozio gerarchico. Pertanto, essi immaginano che il popolo goda del vero potere sacerdotale, ma che il Sacerdote agisca solo in virtù di un ufficio delegato dalla comunità. Perciò ritengono che il Sacrificio eucaristico sia veramente chiamato “concelebrazione” e pensano che sia più opportuno che i Sacerdoti, stando insieme al popolo, “concelebrino” piuttosto che offrire il Sacrificio privatamente in assenza del popolo. – È superfluo spiegare come errori capziosi di questo tipo contraddicano le verità che abbiamo esposto sopra, trattando del rango che il Sacerdote gode nel Corpo mistico di Cristo. Tuttavia, riteniamo di dover ricordare che il Sacerdote agisca al posto del popolo solo per questo motivo, che egli faccia la parte di nostro Signore, Gesù Cristo, in quanto è il Capo di tutte le membra e si offre per loro, e che per questo motivo si accosti all’altare come ministro di Cristo, inferiore a Cristo, ma superiore al popolo. Il popolo, invece, in quanto non fa in alcun modo la parte del Redentore divino e non è conciliatore tra sé e Dio, non può assolutamente godere del diritto sacerdotale. – Tutto questo, infatti, è stabilito dalla certezza della fede; tuttavia, si può dire che anche i fedeli in Cristo offrano la Vittima divina, ma in modo diverso.

3851. Ora, alcuni dei Nostri predecessori e Dottori della Chiesa lo hanno dichiarato molto chiaramente. “Non solo”, dice Innocenzo III di immortale memoria, “i Sacerdoti offrono il Sacrificio, ma anche tutti i fedeli; infatti, ciò che si compie in modo particolare con il ministero dei Sacerdoti, si compie collettivamente con le preghiere dei fedeli”. Ed è piacevole riportare su questo argomento almeno una delle tante affermazioni di San Roberto Bellarmino: “Il Sacrificio – dice – è offerto principalmente nella persona di Cristo. E così l’oblazione che segue la Consacrazione è una sorta di attestazione che tutta la Chiesa acconsenta all’oblazione fatta da Cristo, e la offra contemporaneamente a lui”. – Il rito e le preghiere del Sacrificio eucaristico evidenziano e mostrano non meno chiaramente che l’oblazione della vittima sia compiuta dai Sacerdoti insieme al popolo… . . – Non è sorprendente che i fedeli di Cristo siano elevati a tale dignità. Infatti, con le acque del Battesimo, con il titolo generale di Cristiano essi sono resi membri del Corpo mistico di Cristo, il Sacerdote, e con il “carattere”, per così dire, impresso nelle loro anime, sono assegnati al culto divino; e così partecipano al Sacerdozio di Cristo stesso secondo la loro condizione. . .

3852. Ma c’è anche una ragione molto profonda per cui si dice che tutti i Cristiani, specialmente quelli che sono presenti all’altare, offrano il Sacrificio. – In questo argomento molto importante, per evitare che sorgano errori insidiosi, dobbiamo limitare la parola “offrire” con termini di significato esatto. Infatti, quell’immolazione incruenta, con la quale, quando si pronunciano le parole della Consacrazione, Cristo è reso presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo Sacerdote, perché ha il ruolo di Cristo, e non perché svolga il ruolo di fedele in Cristo. E così, poiché il Sacerdote pone la vittima sull’altare, offre a Dio Padre la stessa vittima con cui offre un’oblazione per la gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutta la Chiesa. Ma i fedeli in Cristo partecipano a questa oblazione in senso ristretto, a modo loro, e in modo duplice, cioè perché offrono il Sacrificio non solo attraverso le mani del Sacerdote, ma anche, in un certo senso, insieme a lui; infatti, a causa di questa partecipazione, anche l’oblazione del popolo è riferita al culto liturgico. – Inoltre, è chiaro che i fedeli in Cristo offrono il Sacrificio attraverso le mani del Sacerdote da questo, che il ministro all’altare fa la parte di Cristo, come del Capo, facendo la sua offerta a nome di tutte le sue membra, per cui in effetti accade che tutta la Chiesa sia giustamente detta offrire l’oblazione della Vittima attraverso Cristo. Ma che il popolo insieme al Sacerdote stesso offra il Sacrificio non è stabilito per questo, perché i membri della Chiesa, proprio come il Sacerdote stesso, compiono un rito liturgico visibile, che appartiene solo al ministro divinamente assegnato a questo; ma perché essi uniscono la loro preghiera di lode, di impetrazione, di espiazione e di ringraziamento alla preghiera o all’intenzione del Sacerdote, persino dello stesso Sommo Sacerdote, affinché nella stessa oblazione della Vittima, sempre secondo un rito esterno del Sacerdote, siano presentati a Dio, il Padre. Infatti, il rito esterno deve per sua natura manifestare il culto interno; ma il Sacrificio della Nuova Legge significa quella suprema fedeltà per mezzo della quale l’Offerente principale stesso, che è Cristo, e insieme a Lui e per mezzo di Lui tutte le sue membra mistiche frequentano e venerano Dio con il dovuto onore.

3853. Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti.

3854. L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il Sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione…. Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consista essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del Sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della Comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente.

3855. Perciò l’anno liturgico, che la pietà della Chiesa alimenta e accompagna, non è una fredda e inerte rappresentazione di fatti che appartengono al passato, o una semplice e nuda rievocazione di realtà d’altri tempi. Esso è, piuttosto, Cristo stesso, che vive sempre nella sua Chiesa e che prosegue il cammino di immensa misericordia da Lui iniziato con pietoso consiglio in questa vita mortale, quando passò beneficando allo scopo di mettere le anime umane al contatto dei suoi misteri, e farle vivere per essi; misteri che sono perennemente presenti ed operanti, non nel modo incerto e nebuloso nel quale parlano alcuni recenti scrittori, ma perché, come ci insegna la dottrina cattolica e secondo la sentenza dei Dottori della Chiesa, sono esempi illustri di perfezione cristiana, e fonte di grazia divina per i meriti e l’intercessione del Redentore, e perché perdurano in noi col loro effetto, essendo ognuno di essi, nel modo consentaneo alla propria indole, la causa della nostra salvezza.

Costit. Apost. “Sacramentum Ordinis” 30 nov. 1947.

La materia e la forma del Sacramento dell’Ordine.

3857. [Dz 2301 1]. Il Sacramento dell’Ordine istituito da Cristo Signore, con il quale si trasmette il potere spirituale e si conferisce la grazia di adempiere correttamente ai doveri ecclesiastici, la fede cattolica lo professa come uno ed unico per la Chiesa universale. . . . E a questi Sacramenti istituiti da Cristo Signore nel corso dei secoli la Chiesa non ha, né potrebbe sostituire altri sacramenti, poiché, come insegna il Concilio di Trento, i sette Sacramenti della Nuova Legge sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo, nostro Signore, e la Chiesa non ha alcun potere sulla “sostanza dei Sacramenti”, cioè su quelle cose che, con le fonti della rivelazione divina come testimoni, Cristo Signore stesso ha decretato di conservare in un segno sacramentale. . . .

3858. 3. È stabilito, inoltre, tra tutti che i Sacramenti della Nuova Legge, in quanto segni sensibili ed efficaci della grazia invisibile, devono e significano la grazia che attuano, ed attuano la grazia che significano. Infatti, gli effetti che dovrebbero essere prodotti e così significati dalla sacra Ordinazione del diaconato, del presbiterato e dell’episcopato, cioè il potere e la grazia, si trovano sufficientemente significati in tutti i riti della Chiesa universale di diversi tempi e regioni dall’imposizione delle mani e dalle parole che la determinano. Inoltre, non c’è nessuno che non sappia che la Chiesa romana abbia sempre considerato valide le Ordinazioni conferite in rito greco, senza la consegna degli strumenti, tanto che nel Concilio di Firenze, in cui si realizzò l’unione dei Greci con la Chiesa di Roma, non fu imposto ai Greci di cambiare il rito di Ordinazione, né di inserirvi la tradizione degli strumenti; anzi, la Chiesa volle che nella stessa Città (Roma) i Greci fossero ordinati secondo il loro rito. Da tutto ciò si deduce che secondo il pensiero del Concilio di Firenze la tradizione degli strumenti non sia richiesta per la sostanza e la validità di questo Sacramento, secondo la volontà di nostro Signore Gesù Cristo stesso. Ma se, secondo la volontà e la prescrizione della Chiesa, un giorno la stessa dovesse essere ritenuta necessaria anche per la validità, tutti saprebbero che la Chiesa sia in grado anche di cambiare e abrogare ciò che ha stabilito.

3859. 4. Poiché le cose stanno così, invocando la luce divina con la Nostra suprema Autorità Apostolica e la Nostra conoscenza certa, dichiariamo e, secondo la necessità, decretiamo e stabiliamo che la materia degli Ordini sacri del Diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato, e solo questa, sia l’imposizione delle mani; ma che la forma, e anch’essa soltanto, sia costituita dalle parole che determinano l’applicazione di questa materia, con le quali gli effetti sacramentali sono significati con un solo significato, cioè il potere degli Ordini e la grazia dello Spirito Santo, e che come tali sono accettati e applicati dalla Chiesa. Ne consegue che, al fine di eliminare ogni controversia e di precludere la via alle inquietudini di coscienza, con la Nostra Autorità Apostolica dichiariamo e, se mai è stato altrimenti legittimamente disposto, decidiamo che la tradizione degli strumenti, almeno per il futuro, non sia necessaria per la validità dei sacri Ordini del diaconato, del Sacerdozio e dell’Episcopato.

3860. 5. Ma per quanto riguarda la materia e la forma nel conferimento di ogni Ordine, con la Nostra stessa suprema Autorità Apostolica decretiamo e stabiliamo quanto segue: Nell’ordinazione dei Diaconi la materia è l’unica imposizione della mano del Vescovo, che avviene nel rito di tale ordinazione. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Manda su di lui, ti preghiamo, o Signore, lo Spirito Santo, con il quale per l’opera di adempiere fedelmente il tuo ministero sia rafforzato dal dono della tua septiforme grazia”. Nell’ordinazione dei Sacerdoti si tratta della prima imposizione delle mani del Vescovo che venga fatta in silenzio, ma non c’è la continuazione della stessa imposizione con l’estensione della mano destra, né l’ultima a cui sono unite queste parole: “Ricevi lo Spirito Santo: a chi rimetterai i peccati, ecc.”. Ma la forma consiste nelle parole del “prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Concedi, ti preghiamo, Padre onnipotente, a questo tuo servo la dignità del Sacerdozio; rinnova nelle sue viscere lo spirito di santità, affinché ottenga il dono del buon merito gradito a Te, o Dio, e possa con l’esempio della sua conversazione introdurre il rigido giudizio dei costumi”. Infine, nell’ordinazione o consacrazione Episcopale si tratta dell’imposizione delle mani da parte del Vescovo consacrante. Ma la forma consiste nelle parole del “Prefazio“, di cui le seguenti sono essenziali e quindi richieste per la validità: “Adempi nel Tuo sacerdote il compimento del Tuo ministero, e adornato con gli ornamenti di ogni glorificazione santificalo con la rugiada dell’unguento celeste“. . . .

3861. 6. Affinché non vi sia occasione di dubbio, ordiniamo che in ogni conferimento di Ordini l’imposizione delle mani sia fatta toccando fisicamente il capo di colui che debba essere ordinato, sebbene anche il tocco morale sia sufficiente per compiere validamente un Sacramento. . . . La disposizione di questa Nostra Costituzione non ha valore retroattivo.

Lettera del segretario della Commissione Biblica all’Arcivescovo di Parigi.

Questioni critiche sul Pentateuco.

3862. La Pontificia Commissione Biblica… desidera corrispondere (al sentimento di fiducia sussidiaria) con uno sforzo sincero per promuovere gli studi biblici assicurando loro, nei limiti dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, la più piena libertà. Questa libertà è stata affermata in termini espliciti dall’Enciclica (di Pio XII)… Divino afflante Spiritu in questi termini: “L’esegeta cattolico… (il testo (3831>3831) è citato in francese)” … Si prega di comprendere e interpretare, alla luce di questa raccomandazione del Sommo Pontefice, le tre risposte ufficiali date in passato dalla Commissione Biblica sulle questioni sopra citate, e cioè il 23 giugno 1905 sui racconti che sarebbero storici solo in apparenza nei libri storici della Sacra Scrittura (cf. 3373), 27 giugno 1906 sull’autenticità mosaica del Pentateuco (cf. 3394-3397), e 30 giugno 1909 sul carattere storico dei primi tre capitoli della Genesi (cf. 3512-3519), e si ammetterà che esse non precludano affatto un successivo esame veramente scientifico di questi problemi sulla base dei risultati acquisiti negli ultimi quarant’anni. Di conseguenza, la Commissione Biblica non ritiene necessario promulgare, almeno per il momento, nuovi decreti su queste questioni.

3863. Per quanto riguarda la composizione del Pentateuco, nel già citato decreto del 27 giugno 1906 la Commissione Biblica riconosceva già che si poteva affermare che Mosè, “nel comporre la sua opera, si sia servito di documenti scritti o di tradizioni orali” e ammetteva anche modifiche e aggiunte successive a Mosè (cf. 3396 ss.). Nessuno oggi dubita dell’esistenza di queste fonti e non ammette un progressivo aumento delle leggi mosaiche a causa delle condizioni sociali e religiose dei tempi successivi, una progressione che si riscontra anche nei racconti storici. Tuttavia, anche nel campo degli esegeti non Cattolici si professano oggi opinioni molto divergenti circa la natura ed il numero di questi documenti, la loro denominazione e la loro datazione. Non mancano autori in diversi Paesi che, per ragioni puramente critiche e storiche, senza alcun intento apologetico, rifiutino risolutamente le teorie finora più in voga e cerchino la spiegazione di certe peculiarità redazionali del Pentateuco, non tanto nella diversità dei presunti documenti, quanto nella speciale psicologia, nei particolari processi, oggi meglio conosciuti, del pensiero e dell’espressione degli antichi orientali, o ancora nel diverso genere letterario postulato dalla diversità dei soggetti. Per questo invitiamo gli studiosi cattolici a studiare questi problemi senza pregiudizi, alla luce di una sana critica e dei risultati di altre scienze interessate a questi argomenti, e tale studio stabilirà senza dubbio la grande parte e la profonda influenza di Mosè come autore e legislatore.

3864. La questione delle forme letterarie dei primi undici capitoli della Genesi è molto più oscura e complessa. Queste forme letterarie non corrispondono a nessuna delle nostre categorie classiche e non possono essere giudicate alla luce dei generi letterari greco-latini o moderni. Non possiamo quindi né negare né affermare la storicità in blocco, senza applicare indebitamente ad essi gli standard di un genere letterario sotto il quale non possano essere classificati. Se siamo d’accordo che questi capitoli non siano storia in senso classico o moderno, dobbiamo anche ammettere che i dati scientifici attuali non ci permettono di dare una soluzione positiva a tutti i problemi che pongono. Il primo dovere dell’esegesi scientifica consiste qui nello studio attento di tutti i problemi letterari, scientifici, storici, culturali e religiosi connessi a questi capitoli; sarebbe poi necessario esaminare da vicino i procedimenti letterari degli antichi popoli orientali, la loro psicologia, il loro modo di esprimersi e la loro stessa nozione di verità storica; in una parola, sarebbe necessario riunire, senza pregiudizi, tutto il materiale delle scienze paleontologiche, storiche, epigrafiche e letterarie. Solo così potremo sperare di vedere più chiaramente la vera natura di alcuni racconti dei primi capitoli della Genesi. – Dichiarare a priori che le loro narrazioni non contengano storia nel senso moderno del termine implicherebbe facilmente che non ne contengano in alcun senso, mentre raccontano in un linguaggio semplice e figurativo, adatto alle intelligenze di un’umanità meno sviluppata, le verità fondamentali presupposte nell’economia della salvezza, nonché la descrizione popolare delle origini della razza umana e del popolo eletto.

Decreto del Sant’Uffizio, 28 giugno (1 luglio) 1949.

Decreto contro il Comunismo.

3865. Domande: 1. È lecito aderire al partito comunista o favorirlo in qualche modo (cf. 3930)?

2. È permesso pubblicare, distribuire o leggere libri, riviste, giornali od opuscoli che sostengano la dottrina o l’azione dei comunisti, o scrivere in essi?

3. I fedeli cristiani che hanno consapevolmente e liberamente commesso gli atti di cui ai punti 1 e 2 possono essere ammessi ai Sacramenti?

(4) I fedeli cristiani che professano la dottrina materialista ed anticristiana dei comunisti, e soprattutto coloro che la difendono o la propagano, incorrono per questo stesso fatto, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica appositamente riservata alla Sede Apostolica?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 30 giugno): Per 1. no: il comunismo è effettivamente materialista ed anticristiano; sebbene i leader comunisti dichiarino talvolta a parole di non attaccare la Religione, essi dimostrano nei fatti, sia con la dottrina che con le azioni, di essere ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo. Per 2. No: sono di fatto proibiti dalla legge (cf. CJC 1399). Per 3. No, secondo i principi ordinari che riguardano il rifiuto dei Sacramenti a coloro che non hanno la disposizione richiesta. Per 4. Sì.

Lettera del Sant’Uffizio all’Arcivescovo di Boston, 8 agosto 1949.

Necessità della Chiesa per la salvezza.

3866. … Ora, tra le cose che la Chiesa ha sempre predicato e non cesserà mai di predicare c’è anche questa affermazione infallibile che ci insegna che “fuori della Chiesa non c’è salvezza”. Questo dogma deve però essere inteso nel senso in cui lo intende la Chiesa stessa. Infatti, non è al giudizio privato che il nostro Salvatore ha affidato la spiegazione delle cose contenute nel deposito della fede, ma al Magistero della Chiesa.

3867. In primo luogo, la Chiesa insegna che in questa materia si tratta di un comando molto severo di Gesù Cristo. Egli, infatti, ha espressamente ordinato ai suoi Apostoli di insegnare a tutte le Nazioni ad osservare tutto ciò che ha comandato. Non ultimo dei comandamenti di Cristo è quello di essere incorporati con il Battesimo al Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa, e di rimanere uniti a Cristo ed al suo Vicario, attraverso il quale Egli stesso governa visibilmente la sua Chiesa sulla terra. Per questo motivo, nessuno si salverà se, sapendo che la Chiesa sia stata divinamente istituita da Cristo, non accetterà tuttavia la sottomissione alla Chiesa o rifiuterà l’obbedienza al Romano Pontefice, Vicario di Cristo sulla terra.

3868. Ora il Salvatore non solo ha disposto che tutti i popoli entrino nella Chiesa, ma ha anche deciso che la Chiesa sia il mezzo di salvezza, senza il quale nessuno può entrare nel Regno della gloria celeste.

3869. Nella sua infinita misericordia, Dio ha voluto che gli effetti, necessari per essere salvati, di questi mezzi di salvezza che sono ordinati al fine ultimo dell’uomo non per necessità intrinseca, ma solo per istituzione divina, possano essere ottenuti anche in determinate circostanze, quando questi mezzi siano messi in atto solo per desiderio o volontà. Lo vediamo chiaramente affermato nel santo Concilio di Trento a proposito sia del Sacramento della rigenerazione sia del Sacramento della penitenza ( cf. 1524, 1543).

3870. Ora lo stesso si deve dire, nel suo proprio grado, della Chiesa in quanto mezzo generale di salvezza. Infatti, perché qualcuno ottenga la salvezza eterna, non sempre si richiede che sia effettivamente incorporato alla Chiesa come membro, ma si richiede almeno che sia unito ad essa con il desiderio e la volontà. Tuttavia, non è sempre necessario che questo voto sia esplicito, come nel caso dei catecumeni, ma, quando l’uomo è vittima di un’ignoranza invincibile, Dio accetta anche un voto implicito, così chiamato perché è incluso nella buona disposizione d’animo con cui l’uomo desidera conformare la sua volontà alla volontà di Dio.

3871. Questo è il chiaro insegnamento dell’Enciclica di Pio XII… sul Corpo Mistico di Gesù Cristo. In essa il Sommo Pontefice fa una chiara distinzione tra coloro che siano realmente incorporati nella Chiesa come suoi membri e coloro che siano uniti alla Chiesa solo per voto. … “Ma sono veramente membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il Battesimo di rigenerazione e professano la vera fede, e che, d’altra parte, non sono, per propria disgrazia, separati da tutto il Corpo, o non ne sono stati tagliati fuori per colpe molto gravi dalla legittima autorità” (cf. 3802). Verso la fine di questa stessa Enciclica, però, invitando molto affettuosamente all’unità coloro che non appartengono al corpo della Chiesa Cattolica, cita “coloro che, per un certo desiderio e per una volontà inconscia, si trovano ordinati al Corpo mistico del Redentore”, che non esclude affatto dalla salvezza eterna, ma di cui – dice – che tuttavia si trovino in uno stato “in cui nessuno può essere sicuro della sua salvezza eterna. … poiché sono privi di tanti e così grandi aiuti e favori celesti, che possono essere goduti solo nella Chiesa Cattolica” (cf. 3821).

3872. Con queste sagge parole, egli condanna sia coloro che escludono dalla salvezza eterna tutti gli uomini che siano uniti alla Chiesa solo da un voto implicito, sia coloro che affermano falsamente che gli uomini possano salvarsi anche in qualsiasi religione (cf. 2865). – Non dobbiamo nemmeno pensare che un qualsiasi desiderio di unirsi alla Chiesa sia sufficiente per essere salvati. È infatti necessario che il voto che ordini qualcuno alla Chiesa sia animato da una perfetta carità. Il voto implicito può avere effetto solo se la persona anbia una fede soprannaturale. (Eb XI,6; Concilio di Trento, 6ª sessione – cf. 2008. Cap. 8).

3873. (Questo numero 3873 comprende una seconda parte riguardante la fecondazione artificiale; vv. 3323 e 3873 A).

Da quanto detto, quindi, è chiaro che ciò che venga proposto nel commentario “From the hausetops” [Dalle cime dei tetti], fasc. III, come autentica dottrina della Chiesa Cattolica ,sia molto lontano da essa, e che sia molto dannoso sia per chi è dentro che per chi è fuori. Per questo è difficile capire come l’ “Istituto San Benedetto” sia coerente con se stesso, dal momento che, pur definendosi una scuola cattolica e volendo essere considerato tale, in realtà non si conforma alle prescrizioni del CJC. (1381 e 1382) e vi si trovi una fonte di discordia e di ribellione all’Autorità ecclesiastica che è causa di problemi per molte coscienze. Né si capisce come un religioso, cioè p. Feeney, possa presentarsi come “difensore della fede” ed allo stesso tempo non esiti ad opporsi all’istruzione catechistica proposta dalle legittime Autorità…

Allocuzione al 4° Congresso dei Medici cattolici, 29 settembre. 1949. (Cf. 3323)

Fecondazione artificiale.

3873– A

1. La pratica della fecondazione artificiale, per quanto riguarda l’uomo, non può essere considerata esclusivamente, o addirittura principalmente, dal punto di vista biologico e medico, tralasciando quello della morale e del diritto. 2. La fecondazione artificiale al di fuori del matrimonio è da condannare puramente e semplicemente come immorale. La legge naturale e la legge divina positiva stabiliscono che la procreazione di una nuova vita può essere solo il frutto del Matrimonio. Solo il Matrimonio salvaguarda la dignità dei coniugi (principalmente la donna in questo caso), il loro bene personale. Solo esso provvede al bene e all’educazione del bambino. Di conseguenza, quando si tratta di condannare la fecondazione artificiale al di fuori dell’unione coniugale, non c’è spazio per il disaccordo tra i cattolici. Un bambino concepito in queste condizioni sarebbe, per questo stesso fatto, illegittimo.

2. La fecondazione artificiale all’interno del Matrimonio, ma prodotta dall’elemento attivo di una terza parte, è immorale e, come tale, da condannare in toto.

3. Solo i coniugi hanno il diritto reciproco di generare una nuova vita, un diritto esclusivo, non trasferibile e inalienabile. E questo deve avvenire nel rispetto del bambino. A chiunque dia vita a un piccolo essere, la natura impone, in virtù di questo stesso legame, l’onere della sua conservazione ed educazione. Ma tra il coniuge legittimo e il figlio, frutto dell’elemento attivo di un terzo (anche se il coniuge acconsente), non c’è il vincolo originario, il vincolo morale e giuridico della procreazione coniugale.

4. Per quanto riguarda la liceità della fecondazione artificiale nel matrimonio, ci basterà, per il momento, ricordare questi principi di diritto naturale: il semplice fatto che il risultato ricercato sia raggiunto con questo mezzo non giustifica l’uso del mezzo stesso; né il desiderio, di per sé legittimo, dei coniugi di avere un figlio è sufficiente a provare la legittimità del ricorso alla fecondazione artificiale, che realizzerebbe questo desiderio. Sarebbe sbagliato pensare che la possibilità di ricorrere a questo mezzo possa rendere valido un matrimonio tra persone incapaci di contrarlo a causa dell’impendimentum impotentiae.- D’altra parte, è superfluo osservare che l’elemento attivo non possa mai essere lecitamente procurato con atti innaturali. Sebbene i nuovi metodi non possano essere esclusi a priori per il solo fatto di essere nuovi, tuttavia, per quanto riguarda la fecondazione artificiale, non solo c’è motivo di essere estremamente riservati, ma deve essere assolutamente esclusa. Parlando in questo modo, non stiamo necessariamente proibendo l’uso di alcuni mezzi artificiali destinati unicamente a facilitare l’atto naturale o ad aiutare l’atto naturale normalmente compiuto a raggiungere il suo fine.

Risposta del Sant’Uffizio, 28 dicembre 1949.

L’intenzione del ministro del Sacramento

3874. Domanda: Ai fini del giudizio sulle cause di Matrimonio, il Battesimo conferito nelle sette dei Discepoli di Cristo, dei Presbiteriani, dei Congregazionalisti, dei Battisti, dei Metodisti – presupponendo la materia e la forma necessarie – può essere considerato invalido perché il ministro non ha l’intenzione di fare ciò che la Chiesa faccia o ciò che Cristo abbia istituito, o al contrario debba essere considerato valido quando nel caso particolare non sia dimostrato il contrario? Risposta: No per il primo punto, sì per il secondo.

Lett. Encycl. “Humani generis” 12 ag. 1950.

Alcune false opinioni che minacciano di minare i fondamenti della dottrina cattolica *

[Dall’Enciclica “Humani generis“, 12 agosto 1950]

3875. [Dz 2305] La discordia e l’allontanamento dalla verità da parte del genere umano nelle questioni religiose e morali sono sempre stati fonte e causa di dolorosissimo dolore per tutti gli uomini buoni, e specialmente per i figli fedeli e sinceri della Chiesa, e più che mai oggi, quando vediamo offesi da ogni parte i principii stessi della cultura cristiana. – Non c’è da stupirsi, infatti, che tali discordie e vagabondaggi siano sempre fioriti al di fuori dell’ovile di Cristo. Infatti, anche se la ragione umana, parlando semplicemente, con i suoi poteri naturali e la sua luce possa arrivare alla conoscenza vera e certa di un Dio personale che nella sua provvidenza custodisce e dirige il mondo, e anche della legge naturale infusa nelle nostre anime dal Creatore, tuttavia non pochi ostacoli impediscono alla ragione dell’uomo di usare efficacemente e fruttuosamente questa facoltà naturale che possiede. Infatti, le questioni che riguardano Dio e che hanno a che fare con le relazioni tra gli uomini e Dio, sono verità che trascendono completamente l’ordine delle cose sensibili e, quando vengono introdotte nell’azione della vita e la modellano, richiedono dedizione di sé e abnegazione. L’intelletto umano, inoltre, nell’acquisire tali verità fatica a causa non solo dell’impulso dei sensi depravati e dell’immaginazione, ma anche dei desideri che hanno la loro fonte nel peccato originale. Perciò accade che gli uomini, in questioni di questo tipo, si convincano facilmente che ciò che non vogliono sia vero, sia falso o almeno dubbio.

3876. Per questo motivo la “rivelazione” divina deve essere considerata moralmente necessaria, affinché quelle verità, che nell’ambito della Religione e della morale non sono di per sé al di fuori della portata della ragione, ma nella condizione attuale del genere umano, possano essere prontamente afferrate da tutti con forte certezza e senza alcuna commistione di errori*. – D’altra parte, però, la mente umana può talvolta incontrare difficoltà nel formarsi un giudizio certo “di credibilità” sulla fede cattolica, sebbene siano stati disposti da Dio tanti meravigliosi segni esteriori, attraverso i quali, anche alla sola luce naturale della ragione, si possa dimostrare con certezza l’origine divina della Religione cristiana. Infatti, l’uomo, sia indotto da opinioni preconcette sia istigato da desideri e volontà malvagie, può rifiutare e resistere non solo all’evidenza dei segni esterni, che è preminente, ma anche alle ispirazioni superne che Dio porta nei nostri cuori. Chiunque osservi coloro che siano al di fuori dell’ovile di Cristo, può facilmente vedere le principali vie in cui sono entrati molti uomini dotti.

3877. C’è chi sostiene che il cosiddetto sistema dell’evoluzione, non ancora dimostrato in modo irrefutabile nell’ambito delle scienze naturali, e ammesso in modo imprudente e indiscreto, si estenda all’origine di tutte le cose, e chi sostiene con coraggio la teoria monistica e panteistica che tutto il mondo sia soggetto ad una continua evoluzione. In effetti, i sostenitori del comunismo si avvalgono volentieri di questa teoria, per far emergere e difendere più efficacemente il loro “materialismo dialettico”, scacciando ogni nozione di Dio.

3878. [Dz 2306] Queste finzioni dell’evoluzione, con le quali si ripudia tutto ciò che sia assoluto, fermo ed immutabile, hanno aperto la strada ad una nuova filosofia errata che, in opposizione all'”idealismo”, all'”immanenza” e al “pragmatismo”, ha ottenuto il nome di “esistenzialismo”, poiché si preoccupa solo dell'”esistenza” delle cose individuali e trascura l’essenza immutabile delle cose. – C’è anche una sorta di falso “storicismo”, che si occupa solo degli eventi della vita umana, e che demolisce le fondamenta di ogni verità e legge assoluta, non solo per quanto riguarda le questioni filosofiche, ma anche per gli insegnamenti cristiani.

[Dz 2307] In una grande confusione di opinioni come questa, ci dà un po’ di conforto notare coloro che non raramente oggi desiderano tornare dai principi del “realismo”, in cui erano stati istruiti un tempo, alle sorgenti della verità rivelate da Dio, e riconoscere e professare la parola di Dio conservata nella Sacra Scrittura. Allo stesso tempo, però, dobbiamo constatare con rammarico che non pochi di loro, quanto più si aggrappano alla Parola di Dio, tanto più sminuiscono la ragione umana; e quanto più esaltano l’autorità di Dio che rivela, tanto più disprezzano il Magistero della Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire ed interpretare le verità rivelate da Dio. Questo infatti non solo è in aperta contraddizione con le Sacre Scritture, ma è dimostrato falso dall’esperienza concreta. Spesso proprio coloro che sono in disaccordo con la vera Chiesa si lamentano apertamente della propria discordia in materia di dogmi, così da confessare a malincuore la necessità del Magistero vivente.

3879. [Dz 2308] In effetti, i teologi ed i filosofi cattolici, sui quali ricade il grave dovere di proteggere la verità divina ed umana e di inculcarla nelle menti degli uomini, non possono ignorare o trascurare queste opinioni che si allontanano più o meno dalla retta via. Inoltre, dovrebbero esaminare a fondo queste opinioni, perché le malattie non possono essere curate se non sono state diagnosticate correttamente; anche perché a volte nelle false invenzioni si nasconde qualcosa di vero; infine, perché queste teorie spingono la mente a scrutare e soppesare meglio certe verità, filosofiche o teologiche. – Ma se i nostri filosofi e teologi si sforzassero di raccogliere solo tali frutti da queste dottrine, dopo un cauto esame, non ci sarebbe motivo per l’intervento del Magistero della Chiesa. Tuttavia, anche se abbiamo constatato che i dottori cattolici in generale stanno in guardia contro questi errori, è assodato che non mancano, oggi come nei tempi apostolici, coloro che, nel loro estremo zelo per le novità e anche nel timore di essere ritenuti ignoranti su quelle questioni che la scienza di un’epoca progredita ha introdotto, si sforzano di allontanarsi dalla temperanza del sacro Magistero; e così vengono coinvolti nel pericolo di allontanarsi gradualmente e impercettibilmente dalla verità rivelata da Dio, e di condurre altri nell’errore insieme a loro stessi. – In realtà, si osserva anche un altro pericolo, più grave, perché più nascosto sotto l’apparenza della virtù. Ci sono molti che, deplorando la discordia del genere umano e la confusione delle menti, e spinti da un imprudente zelo per le anime, sono mossi da una sorta di impulso ed ardono di un veemente desiderio di abbattere le barriere da cui gli uomini buoni e onesti sono reciprocamente separati, abbracciando un tale irenismo che, dimenticando le questioni che separano gli uomini, non solo cercano di confutare l’ateismo distruttivo con la forza comune, ma persino di riconciliare le idee opposte in materia dogmatica.

3880. E come un tempo c’era chi si chiedeva se lo studio tradizionale dell’apologetica costituisse un ostacolo piuttosto che un aiuto alla conquista delle anime per Cristo, così oggi non manca chi osa procedere fino a sollevare seriamente la questione se la teologia e il suo metodo, come fioriscono nelle scuole con l’approvazione dell’Autorità ecclesiastica, debbano non solo essere perfezionati, ma addirittura riformati del tutto, in modo da propagare più efficacemente il regno di Cristo in tutta la terra, tra uomini di ogni cultura e di ogni opinione religiosa. Se questi uomini non mirassero ad altro che ad un migliore adattamento della scienza ecclesiastica e del suo metodo alle condizioni e alle esigenze attuali, introducendo una sorta di nuovo piano, ci sarebbe poco da temere; Ma, con un irenismo imprudente, alcuni sembrano considerare come ostacoli alla restaurazione dell’unità fraterna le questioni che poggiano sulle stesse leggi e principi dati da Cristo e sulle istituzioni da Lui fondate, o che siano i baluardi ed i pilastri dell’integrità della fede, dal cui crollo tutte le cose sono unite, certo, ma solo in rovina. . . .

3881. [Dz 2309] Per quanto riguarda la teologia, alcuni propongono di diminuire il più possibile il significato dei dogmi, e di liberare il dogma stesso dal modo di parlare a lungo accettato nella Chiesa, e dalle nozioni filosofiche che sono comuni tra i maestri cattolici; in modo che nella spiegazione della dottrina cattolica ci sia un ritorno al modo di parlare della Sacra Scrittura e dei Santi Padri. Essi sperano che arrivi il momento in cui il dogma, spogliato degli elementi che, secondo loro, siano estranei alla rivelazione divina, possa essere confrontato proficuamente con le opinioni dogmatiche di coloro che sono separati dall’unità della Chiesa; in questo modo si raggiungerà gradualmente una reciproca assimilazione tra il dogma cattolico ed i principi dei dissidenti.

3882. [Dz 2310] Inoltre, quando la dottrina cattolica è stata ridotta a questa condizione, pensano che sia aperta la strada per soddisfare le esigenze attuali, esprimendo il dogma nei termini della filosofia contemporanea, sia dell'”immanenza” o dell'”idealismo” o dell'”esistenzialismo” o di qualsiasi altro sistema. Alcune persone più audaci sostengono che ciò possa e debba essere fatto per questo motivo, perché sostengono che i misteri della fede non possano mai essere espressi da nozioni adeguatamente vere, ma solo da nozioni cosiddette “approssimative”, sempre mutevoli, con le quali la verità sia indicata in una certa misura, ma sia anche necessariamente deformata. Perciò pensano che non sia assurdo, ma del tutto necessario che la teologia, al posto delle varie filosofie di cui si è servita come strumenti nel corso del tempo, sostituisca nuove nozioni a quelle vecchie, in modo da rendere in modi diversi, e anche in qualche misura opposti, ma con lo stesso valore, come dicono, le stesse verità divine in modo umano. Aggiungono anche che la storia dei dogmi consiste nel presentare le varie forme successive con cui la verità rivelata si siarivestita, secondo le diverse dottrine e opinioni sorte nel corso dei secoli.

3883. [Dz 231] Ma è chiaro da quanto abbiamo detto che tali sforzi non solo conducano al “relativismo” dogmatico, come viene chiamato, ma di fatto lo contengano; infatti, il disprezzo per la dottrina così come viene comunemente tramandata e per la fraseologia con cui la stessa viene espressa, lo dimostrano più che sufficientemente. Non c’è nessuno che non veda che la fraseologia di tali nozioni, non solo come impiegata nelle scuole ma anche dal Magistero della Chiesa stessa, possa essere perfezionata e lucidata; e, inoltre, si nota che la Chiesa non sia stata sempre costante nell’impiegare le stesse parole. È anche evidente che la Chiesa non possa essere vincolata a nessun sistema filosofico che fiorisca per un breve periodo di tempo; infatti, ciò che è stato messo a punto nel corso di molti secoli dal consenso comune dei Maestri cattolici, al fine di raggiungere una certa comprensione del dogma, senza dubbio non poggia su un fondamento così deperibile. Piuttosto si basano su principi e nozioni derivati da una vera conoscenza delle cose create; e sicuramente nel derivare questa conoscenza, la verità divinamente rivelata abbia illuminato la mente come una stella attraverso la Chiesa. Non c’è quindi da meravigliarsi se alcune di queste nozioni siano state non solo impiegate dai Concili Ecumenici, ma anche sancite a tal punto che non sia giusto discostarsene.

[Dz 2312] Pertanto, trascurare, o respingere, o privare del loro valore tante grandi cose, che in molti casi siano state concepite, espresse e perfezionate dopo un lungo lavoro, da uomini di ingegno e santità non comuni, sotto l’occhio vigile del santo Magistero, e non senza la luce e la guida dello Spirito Santo per esprimere sempre più accuratamente le verità di fede, per cui al loro posto si possono sostituire nozioni congetturali e certe espressioni instabili e vaghe di una nuova filosofia, che come un fiore di campo esiste oggi e morirà domani, non solo è la massima imprudenza, ma rende il dogma stesso come una canna scossa dal vento. Inoltre, il disprezzo per le parole e le idee che i teologi scolastici usano abitualmente, tende ad indebolire la cosiddetta filosofia speculativa, che essi ritengono priva di vera certezza, poiché poggia su un ragionamento teologico.

3884. [Dz 2313] Certamente è deplorevole che coloro che sono avidi di novità passino facilmente dal disprezzo per la teologia scolastica alla negligenza e persino alla mancanza di rispetto per il Magistero della Chiesa, che sostiene tale teologia con la sua autorità. Infatti, questo Magistero è considerato da loro come un ostacolo al progresso ed alla scienza; anzi, da alcuni non Cattolici è visto come un’ingiusta costrizione che impedisce ad alcuni dotti teologi di perseguire la loro scienza. E, sebbene questo sacro Magistero, in materia di fede e di morale, debba essere la norma di fede prossima e universale per qualsiasi teologo, in quanto Cristo Signore gli ha affidato l’intero deposito della fede, cioè le Sacre Scritture e la “tradizione” divina, perché lo custodisca, lo conservi e lo interpreti; eppure il suo ufficio, in base al quale i fedeli sono tenuti a fuggire gli errori che tendono più o meno all’eresia, e così pure “ad osservare le sue costituzioni e i suoi decreti, con i quali tali opinioni perverse sono proscritte e proibite”, viene talvolta ignorato come se non esistesse. Vi sono alcuni che trascurano costantemente di consultare quanto esposto nelle Lettere Encicliche dei Romani Pontefici sul carattere e la costituzione della Chiesa, per il motivo che prevale una certa nozione vaga tratta dagli antichi Padri, soprattutto greci. I Papi, infatti, come ripetutamente affermano, non vogliono giudicare le questioni che sono oggetto di controversia tra i teologi, per cui è necessario un ritorno alle fonti antiche, e le costituzioni e di decreti più recenti del Magistero devono essere spiegati dagli scritti degli antichi. – Anche se queste cose sembrano essere state dette con saggezza, tuttavia non sono prive di errori. È vero che, in generale, i Pontefici concedono libertà ai teologi in quelle questioni che sono contestate con opinioni diverse, ma la storia insegna che molte cose, che prima erano soggette a libera discussione, in seguito non possono più essere discusse.

3885. Non si deve pensare che quanto stabilito nelle Lettere Encicliche non richieda di per sé un assenso, perché in questo i Papi non esercitano il potere supremo del loro Magistero. Infatti, questi argomenti sono insegnati dal Magistero ordinario, a proposito del quale è pertinente quanto segue: “Chi ascolta voi, ascolta me”. (Lc X,16); e di solito ciò che viene esposto ed inculcato nelle Lettere Encicliche, appartiene già alla dottrina cattolica. Ma se i Sommi Pontefici nei loro atti, dopo la dovuta considerazione, esprimono un parere su una questione finora controversa, è chiaro a tutti che tale questione, secondo la mente e la volontà degli stessi Pontefici, non possa più essere considerata una questione di libera discussione tra i teologi.

3886. [Dz 2314] È anche vero che i teologi devono sempre ricorrere alle fonti della rivelazione divina; infatti è loro dovere indicare come ciò che venga insegnato dal Magistero vivente si trovi, esplicitamente o implicitamente, nella Sacra Scrittura e nella “tradizione” divina. Inoltre, entrambe le fonti della dottrina, divinamente rivelate, contengono così tanti e così grandi tesori di verità che di fatto non siano mai esauriti. Pertanto, le discipline sacre rimangono sempre vigorose grazie allo studio delle fonti sacre, mentre, al contrario, la speculazione, che trascura l’approfondimento del deposito sacro, come sappiamo per esperienza, diventa sterile. Ma per questo motivo anche la teologia positiva, come viene chiamata, non può essere messa sullo stesso piano della scienza meramente storica. Infatti, insieme a queste fonti sacre, Dio ha dato un Magistero vivo alla sua Chiesa, per illuminare e chiarire ciò che è contenuto nei depositi della fede in modo oscuro ed implicito. Infatti, il divino Redentore ha affidato questo deposito non ai singoli Cristiani, né ai teologi perché lo interpretino autenticamente, ma al solo Magistero della Chiesa. Inoltre, se la Chiesa esercita questo suo dovere, come è stato fatto più e più volte nel corso dei secoli, sia con l’esercizio ordinario che con quello straordinario di questa funzione, è chiaro che il metodo per cui le cose chiare vengano spiegate da quelle oscure sia del tutto falso; ma piuttosto tutto dovrebbe seguire l’ordine opposto. Perciò il Nostro predecessore di immortale memoria, Pio IX, insegnando che la funzione più nobile della teologia sia quella di mostrare come una dottrina definita dalla Chiesa sia contenuta nelle fonti, aggiunse queste parole, non senza una grave ragione: “Per quel senso stesso con cui è definita”. . . .

3887. [Dz 2315] Ma per tornare alle nuove opinioni di cui abbiamo parlato sopra, molte cose vengono proposte o inculcate nella mente (dei fedeli) a scapito dell’autorità divina della Sacra Scrittura. Alcuni travisano audacemente il significato della definizione del Concilio Vaticano, riguardo a Dio come autore della Sacra Scrittura; e fanno rivivere l’opinione, più volte smentita, secondo cui l’immunità delle Sacre Scritture dall’errore si estende solo a quelle questioni che vengono tramandate riguardo a Dio ed a temi morali e religiosi. Inoltre, parlano falsamente del senso umano dei Libri Sacri, sotto il quale si nasconde il senso divino, che essi dichiarano essere l’unico infallibile. Nell’interpretazione della Sacra Scrittura vogliono che non si tenga conto dell’analogia della fede e della “tradizione” della Chiesa, in modo che l’insegnamento dei santi Padri e del santo Magistero sia riferito, per così dire, alla norma della Sacra Scrittura spiegata da esegeti in modo meramente umano, piuttosto che la Sacra Scrittura sia interpretata secondo la mente della Chiesa, che è stata istituita da Cristo Signore come custode ed interprete dell’intero deposito della verità rivelata da Dio.

3888. [Dz 2316] Inoltre, il senso letterale della Sacra Scrittura e la sua esposizione, così come sono stati elaborati da tanti grandi esegeti sotto l’occhio vigile della Chiesa, secondo le loro false opinioni, dovrebbero cedere alla nuova esegesi che essi chiamano simbolica e spirituale; con la quale i Libri Sacri dell’Antico Testamento, che oggi sono come una fonte chiusa nella Chiesa, potrebbero essere aperti a tutti. Essi dichiarano che con questo metodo spariscono tutte le difficoltà, da cui sono incatenati solo coloro che si aggrappano al senso letterale della Scrittura.

3899. Certamente, tutti vedranno quanto tutto ciò sia estraneo ai principii ed alle norme di interpretazione giustamente stabiliti dai Nostri predecessori di felice memoria: Leone XIII nella Lettera Enciclica “Providentissimus“, Benedetto XV nella Lettera Enciclica “Spiritus Paraclitus” e anche da Noi nella Lettera Enciclica “Divino afflante Spiritu“.

3890. [Dz 2317] E non è strano che tali innovazioni, per quanto riguarda quasi tutti i rami della teologia, abbiano già prodotto frutti velenosi. Si dubita che la ragione umana, senza l’aiuto della “rivelazione” divina e della grazia divina, possa dimostrare l’esistenza di un Dio personale con argomenti dedotti dalle cose create; si nega che il mondo abbia avuto un inizio e si contesta che la creazione del mondo sia stata necessaria, poiché procede dalla necessaria liberalità dell’amore divino; si nega a Dio anche la prescienza eterna e infallibile delle azioni libere degli uomini; tutto ciò, in effetti, si oppone alle dichiarazioni del Concilio Vaticano.

3891. [Dz 2318] Alcuni si chiedono anche se gli Angeli siano creature personali e se la materia differisca essenzialmente dallo spirito. Altri distruggono la vera “gratuità” dell’ordine soprannaturale, poiché pensano che Dio non possa produrre esseri dotati di intelletto senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica. Non solo: viene pervertita la nozione di peccato originale, senza tener conto delle definizioni del Concilio di Trento, e allo stesso tempo la nozione di peccato in generale come offesa a Dio, ed anche il concetto di soddisfazione fatta da Cristo per noi. E c’è chi sostiene che la dottrina della transustanziazione, in quanto fondata su un’antiquata presenza filosofica di Cristo nella Santissima Eucaristia, si riduca ad una sorta di simbolismo, per cui le specie consacrate non siano altro che segni efficaci della presenza spirituale di Cristo e della sua intima unione con le membra fedeli nel Corpo mistico.

[Dz 2319] Alcuni pensano di non essere vincolati dalla dottrina proposta qualche anno fa nella Nostra Lettera Enciclica, relativa alle fonti della “rivelazione“, che insegna che il Corpo mistico di Cristo e la Chiesa siano una cosa sola. Alcuni riducono a qualsiasi formula vuota la necessità di appartenere alla vera Chiesa per ottenere la salvezza eterna. Altri, infine, ledono la natura ragionevole della “credibilità” della fede cristiana.

3892. [Dz 2320] È ben noto quanto la Chiesa apprezzi la ragione umana, in ciò che riguarda la dimostrazione definitiva dell’esistenza di un unico Dio personale; ed anche la prova irrefutabile dei segni divini sui fondamenti della stessa fede cristiana; ed, allo stesso modo, l’espressione corretta della legge che il Creatore abbia posto nelle anime degli uomini; e infine, il raggiungimento di una certa comprensione, e di una comprensione molto fruttuosa, dei misteri. Ma la ragione sarà in grado di svolgere questa funzione solo quando sarà stata addestrata nel modo richiesto, cioè quando si sarà imbevuta di quella sana filosofia che si è a lungo distinta come patrimonio tramandato dalle prime epoche cristiane, e che possiede quindi un’autorità di ordine ancora più elevato, perché il Magistero della Chiesa ha soppesato attentamente i suoi principii e le sue affermazioni principali, che sono stati gradualmente chiariti e definiti da uomini di grande ingegno, alla prova della stessa “rivelazione” divina. Infatti, questa filosofia, riconosciuta e accettata all’interno della Chiesa, protegge il valore vero e sincero della comprensione umana, ed i principii metafisici costanti – cioè la ragione sufficiente, la causalità e la finalità – ed, infine, l’acquisizione di una verità certa e immutabile.

3893. [Dz 2321] Certo, in questa filosofia si trattano molte cose che non riguardano né direttamente né indirettamente la fede e la morale e che, pertanto, la Chiesa affida alla libera discussione dei dotti; ma per quanto riguarda altre questioni, in particolare i principii e le affermazioni principali che abbiamo menzionato sopra, la stessa libertà non è concessa. In tali questioni essenziali, si può sì rivestire la filosofia con un abito più adatto e più ricco, fortificarla con parole più efficaci, liberarla da certi sostegni di studiosi che non sono adatti, e anche arricchirla cautamente con certi elementi sani dello studio umano progressivo; ma non è mai giusto sovvertirla, o contaminarla con principi falsi, o considerarla un grande ma obsoleto monumento. Perché la verità e la sua dichiarazione filosofica non possono essere cambiate di giorno in giorno, soprattutto quando si tratta di principii noti alla mente umana in sé, o di quelle opinioni che poggiano sia sulla saggezza dei secoli, sia sul consenso e sul sostegno della rivelazione divina. Qualunque verità che la mente umana, nella sua onesta ricerca, sarà in grado di scoprire, non potrà certo opporsi a verità già acquisite, poiché Dio, la Verità suprema, ha creato e dirige l’intelletto umano non perché possa opporre quotidianamente nuove verità a quelle giustamente acquisite, ma perché, rimuovendo gli errori che eventualmente si siano insinuati, possa costruire verità su verità nello stesso ordine e nella stessa struttura con cui si percepisce essere stata costituita la natura stessa delle cose, da cui la verità è tratta. Perciò il Cristiano, sia esso filosofo o teologo, non adotta frettolosamente e facilmente ogni novità che gli venga in mente di giorno in giorno, ma con la massima attenzione la mette nella bilancia della giustizia e la soppesa, per non perdere o corrompere la verità già acquisita, con grave pericolo e danno per la fede stessa.

3894. [Dz 2322] Se si esaminano a fondo questi argomenti, sarà evidente perché la Chiesa esiga che i futuri Sacerdoti siano istruiti nelle discipline filosofiche “secondo il modo, la dottrina ed i principi del Dottore Angelico”, poiché sa bene, per esperienza di molti secoli, che il metodo ed il sistema dell’Aquinate, sia per la formazione dei principianti che per l’indagine della verità nascosta, spiccano con particolare evidenza; inoltre, che la sua dottrina è in armonia, come in una sorta di sinfonia, con la “rivelazione” divina, ed è efficacissima per gettare basi sicure della fede, ed anche per raccogliere in modo utile e sicuro i frutti di un sano progresso.

[Dz 2323] Per questo motivo è estremamente deplorevole che la filosofia accettata e riconosciuta all’interno della Chiesa sia oggi disprezzata da alcuni, tanto da essere impudentemente rinnegata come antiquata nella forma e razionalistica, come dicono, nel suo processo di pensiero. Infatti, essi insistono sul fatto che questa nostra filosofia difenda la falsa opinione che possa esistere una metafisica assolutamente vera, mentre, d’altra parte, affermano che le cose, soprattutto il trascendente, non possano essere espresse in modo più adeguato che con dottrine diverse, che si completano a vicenda, anche se, in un certo senso, si oppongono l’una all’altra. Quindi, ammettono che la filosofia delle nostre scuole, con la sua chiara descrizione e soluzione delle questioni, con la sua accurata demarcazione delle nozioni e le sue chiare distinzioni, possa sì essere utile per una formazione alla teologia scolastica, ben adattata alle menti degli uomini del Medioevo, ma non offra un sistema di filosofare che corrisponda alla nostra cultura moderna ed alle sue esigenze. Poi sollevano l’obiezione che una filosofia immutabile non sia altro che una filosofia delle essenze immutabili, mentre la mente moderna debba guardare all'”esistenza” dei singoli oggetti ed alla vita, che è sempre in movimento. Mentre disprezzano questa filosofia, ne esaltano altre, antiche o moderne, dei popoli d’Oriente o d’Occidente, tanto che sembrano insinuare che qualsiasi filosofia o credenza, con alcune aggiunte, se necessario, come correzioni od integrazioni, possa essere conciliata con il dogma cattolico. Nessun Cattolico può dubitare che ciò sia del tutto falso, tanto più che si tratta di quelle finzioni che chiamano “immanenza”, o “idealismo”, o “materialismo”, sia storico che dialettico, o anche “esistenzialismo”, sia che professino l’ateismo, o almeno che rifiutino il valore del ragionamento metafisico.

[Dz 2324] E, infine, trovano questo difetto nella filosofia tradizionale delle nostre Scuole, cioè che nel processo di cognizione si occupi solo dell’intelletto e trascuri la funzione della volontà e degli affetti della mente. Questo non è certamente vero. Infatti, la filosofia cristiana non ha mai negato l’utilità e l’efficacia delle buone disposizioni di tutta la mente per comprendere e abbracciare pienamente le verità religiose e morali; al contrario, ha sempre insegnato che la mancanza di tali disposizioni possa essere la causa del fatto che l’intelletto sia affetto da desideri disordinati e da una volontà malvagia, e che sia così oscurato da non vedere bene. D’altra parte, il Dottore comune ritiene che l’intelletto possa in qualche modo percepire i beni superiori che appartengono all’ordine morale, siano essi naturali o soprannaturali, poiché sperimenta nella mente una sorta di “relazione” appassionata con questi beni, siano essi naturali o aggiunti dal dono della grazia; ed è evidente quanto anche una comprensione così oscura possa essere un aiuto alle indagini della ragione. Tuttavia, una cosa è riconoscere la forza della volontà per la disposizione degli affetti nell’aiutare la ragione ad acquisire una comprensione più certa e più solida delle questioni morali; ma questi innovatori fanno una pretesa diversa, cioè assegnano alle facoltà di desiderare e bramare una sorta di intuizione, e che l’uomo, quando non possa, attraverso il processo della ragione decidere con certezza ciò che debba essere accettato come vero, si rivolge alla volontà, con la quale decide liberamente e sceglie tra opinioni opposte, confondendo così stupidamente l’atto della cognizione e della volontà.

[Dz 2325] Non è strano che a causa di queste nuove opinioni siano in pericolo due branche della filosofia, che per loro natura sono strettamente connesse con la dottrina della fede, cioè la teodicea e l’etica. Alcuni ritengono infatti che la funzione di queste discipline non sia quella di dimostrare qualcosa di certo su Dio o su qualsiasi altro essere trascendentale, ma piuttosto di mostrare che ciò che la fede insegni su un Dio personale e sui suoi precetti sia in perfetta armonia con le esigenze della vita, e quindi dovrebbe essere abbracciato da tutti, in modo da evitare la disperazione e raggiungere la salvezza eterna. Poiché tutte queste opinioni si oppongono apertamente agli insegnamenti dei Nostri predecessori, Leone XIII e Pio X, non possono essere conciliate con i decreti del Concilio Vaticano. Certo, sarebbe superfluo deplorare questi allontanamenti dalla verità, se tutti, anche in materia filosofica, accettassero con la dovuta riverenza il Magistero della Chiesa, il cui compito è certamente non solo quello di custodire ed interpretare il deposito della verità rivelato da Dio, ma anche di vigilare su queste discipline filosofiche, affinché il dogma cattolico non subisca alcun danno da opinioni errate.

3895. [Dz 2326] Ci resta da dire qualcosa sulle questioni che, pur avendo a che fare con le discipline abitualmente chiamate “positive”, siano più o meno legate alle verità della fede cristiana. Non pochi chiedono con insistenza che la Religione Cattolica tenga il più possibile conto di queste discipline. Certamente ciò è lodevole quando si tratta di fatti effettivamente provati, ma bisogna essere cauti quando la questione riguarda “ipotesi“, anche se in qualche modo basate sulla conoscenza umana, nelle quali ipotesi si discute di dottrine contenute nelle Sacre Scritture o nella “tradizione“. Quando tali opinioni congetturali si oppongano direttamente o indirettamente alla dottrina rivelata da Dio, allora la loro richiesta non può essere ammessa in alcun modo.

3896. [Dz 2327] Pertanto, il Magistero della Chiesa non vieta che l’insegnamento dell'”evoluzione” sia trattato in accordo con lo stato attuale delle discipline umane e della teologia, mediante indagini e dispute da parte di uomini dotti in entrambi i campi; nella misura in cui, naturalmente, l’indagine riguarda l’origine del corpo umano derivante da materia già esistente e vivente; ed in modo tale che i ragionamenti di entrambe le teorie, cioè di coloro che sono a favore e di coloro che sono contrari, siano soppesati e giudicati con la dovuta serietà, moderazione e temperanza; e purché tutti siano pronti a cedere al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato il compito di interpretare autenticamente le Sacre Scritture e di conservare i dogmi della fede. Tuttavia, alcuni con audacia trasgrediscono questa libertà di discussione, agendo come se l’origine del corpo umano da materia vivente già esistente fosse già certa e dimostrata da alcuni indizi già scoperti e dedotti con il ragionamento, e come se non ci fosse nulla nelle fonti della rivelazione divina che richieda la massima moderazione e cautela in questo pensiero.

3897. [Dz 2328] Quando si tratta di un’altra opinione congetturale, cioè del cosiddetto poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto di tale libertà. I fedeli in Cristo, infatti, non possono accettare questa opinione, secondo la quale o dopo Adamo siano esistiti uomini su questa terra, che non hanno ricevuto la loro origine per generazione naturale da lui, primo genitore di tutti, o che Adamo significhi una sorta di moltitudine di primi genitori; perché non è affatto evidente come una tale opinione possa essere conciliata con ciò che le fonti della verità rivelata e gli atti del Magistero della Chiesa insegnino a proposito del peccato originale, che deriva da un peccato realmente commesso da un solo Adamo, e che si trasmetta a tutti per generazione, ed esistea in ciascuno come proprio.

3898. [Dz 2329] Come nelle scienze biologiche e antropologiche, così anche in quelle storiche c’è chi trasgredisce audacemente i limiti e le precauzioni stabilite dalla Chiesa. E, in particolare, deploriamo un certo modo del tutto troppo liberale di interpretare i libri storici dell’Antico Testamento, i cui sostenitori difendono la loro causa facendo riferimento, senza alcuna giustificazione, ad una lettera data non molto tempo fa dal Pontificio Consiglio per gli Affari Biblici all’Arcivescovo di Parigi. Questa Lettera avverte chiaramente che gli undici primi capitoli della Genesi, sebbene non siano propriamente conformi ai metodi di composizione storica che gli illustri scrittori greci e latini di eventi passati, o i dotti della nostra epoca hanno usato, tuttavia in un certo senso, che deve essere esaminato e determinato in modo più completo dagli esegeti, sono veramente una sorta di storia; e che gli stessi capitoli, con un linguaggio semplice e figurato adatto alla mentalità di un popolo di scarsa cultura, raccontino sia le principali verità da cui dipende il raggiungimento della nostra salvezza eterna, sia la descrizione popolare dell’origine del genere umano e del popolo eletto. Ma se gli antichi scrittori sacri hanno tratto qualcosa dalle narrazioni popolari (cosa che si può ammettere), non bisogna mai dimenticare che lo hanno fatto assistiti dall’impulso dell’ispirazione divina, che li ha preservati da ogni errore nella selezione e nel giudizio di quei documenti.

3899. [Dz 2330] Inoltre, questi argomenti che sono stati accolti nella Letteratura Sacra dalle narrazioni popolari non sono assolutamente da identificare con mitologie o altre cose del genere, che procedano da un’immaginazione indebita piuttosto che da quello zelo per la verità e la semplicità che risplende così tanto nei Libri Sacri dell’Antico Testamento che i nostri scrittori sacri devono evidentemente essere considerati superiori agli antichi scrittori profani.

Costituzione apostolica “Munificentissimus Deus“, 1° novembre 1950.

Definizione dell’Assunzione di Maria in cielo.

3900. Tutte queste argomentazioni e considerazioni dei santi Padri e dei teologi poggiano sulla Scrittura come loro ultimo fondamento; la Scrittura infatti ci mostra in qualche modo l’augusta Madre di Dio molto intimamente unita al suo Figlio divino e sempre partecipe della sua sorte. Sembra quindi impossibile vedere Colei che ha concepito Cristo, l’ha partorito, l’ha nutrito con il suo latte, l’ha tenuto in braccio e l’ha stretto al suo seno, separarsi da Lui dopo questa vita terrena, se non nell’anima, almeno nel corpo. Poiché il nostro Redentore è il Figlio di Maria, Egli, così perfettamente sottomesso alla Legge divina, non poteva non rendere onore non solo all’eterno Padre ma anche alla sua amata Madre. Potendo quindi farle questo grande onore di preservarla dalla corruzione della morte, dobbiamo credere che l’abbia fatto davvero.

3901. Soprattutto, bisogna ricordare che, fin dal secondo secolo, la Vergine Maria sia stata presentata dai santi Padri come la nuova Eva, soggetta senza dubbio al secondo Adamo, ma intimamente unita a Lui, nella lotta contro il nemico infernale, lotta che, come prefigurato nel Vangelo (Gn III,15), doveva portare alla vittoria totale sul peccato e sulla morte, sempre uniti insieme negli scritti dell’Apostolo delle genti (Rm V-6; 1 Cor XV,21-26 1 Cor XV,54-57). – Di conseguenza, come la gloriosa risurrezione di Cristo era parte essenziale ed ultimo trofeo di questa vittoria, così era necessario che il combattimento condotto dalla Vergine Maria unita al Figlio terminasse con la “glorificazione” del suo corpo verginale; lo stesso Apostolo non dice forse: “Quando… questo corpo mortale avrà indossato l’immortalità, allora si compirà la parola della Scrittura: la morte è stata inghiottita nella vittoria” (1 Cor 15,54).

3902. Per questo l’augusta Madre di Dio, … unita da tutta l’eternità a Gesù Cristo in modo misterioso “in un unico e medesimo decreto” di predestinazione Immacolata nel suo concepimento, … Vergine purissima nella sua Maternità divina, … . generosa compagna del divino Redentore che ha ottenuto un trionfo totale sul peccato e sulle sue conseguenze, ottenendo infine, come supremo coronamento dei suoi privilegi, di essere preservata dalla corruzione del sepolcro e, come suo Figlio, avendo vinto la morte, di essere innalzata in anima e corpo alla gloria nell’alto dei cieli, per risplendere lì come una Regina alla destra di suo Figlio, l’immortale Re dei secoli (1Tm 1,17) .

3903 .. Per la gloria di Dio onnipotente, che ha fatto piovere sulla Vergine Maria la generosità di una benevolenza specialissima, per l’onore del suo Figlio, immortale Re dei secoli e vincitore del peccato e della morte, per la maggior gloria della sua augusta Madre e per la gioia e l’esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei beati Apostoli Pietro e Paolo e per la nostra propria autorità, Noi affermiamo, dichiariamo e definiamo come un dogma divinamente rivelato che : l’Immacolata Madre di Dio, Maria sempre vergine, dopo aver completato il corso della sua vita terrena, è stata elevata in anima e corpo alla gloria celeste.

3904. Pertanto, se qualcuno, Dio non voglia, osi deliberatamente dubitare di ciò che sia stato da Noi definito, sappia che ha totalmente abbandonato la fede divina e cattolica.

Enciclica “Sempiternus Rex“, 8 settembre 1951.

L’umanità di Cristo.

3905. Sebbene non vi sia alcuna ragione per cui l’umanità di Cristo non debba essere approfondita – anche secondo i principii e i metodi della psicologia – vi sono tuttavia alcuni che, in una delicata ricerca di questo tipo, abbandonano più del ragionevole ciò che sia vecchio per costruire ciò che sia nuovo, e che abusano dell’autorità e della definizione del Concilio di Calcedonia per sostenere ciò che hanno concepito. Essi enfatizzano a tal punto lo stato e la condizione della natura umana di Cristo da farla sembrare un soggetto sui juris, come se non sussistesse nella persona del Verbo stesso. Ma il Concilio di Calcedonia, in pieno accordo con il Concilio di Efeso, afferma chiaramente che l’una e l’altra natura del nostro Redentore sono unite “in una sola Persona e sussistenza”, e vieta di ammettere due individui in Cristo, in modo che accanto al Verbo sia posto un homo assumptus che gode di completa autonomia.

Monitum del Sant’Uffizio, 30 giugno 1952.

Rapporti sessuali che evitano l’orgasmo.

3907. È con viva preoccupazione che la Sede Apostolica constata che un certo numero di autori, trattando della vita matrimoniale, siano arrivati qua e là a trattarla pubblicamente e senza pudore fino ai dettagli, e che alcuni addirittura descrivano, approvino e consiglino un certo atto chiamato “abbraccio riservato”. In una materia così importante, che riguarda la santità del Matrimonio e la salvezza delle anime,… la Congregazione del Sant’Uffizio, per non venir meno al suo dovere e per espresso mandato… di Pio XII, ammonisce severamente tutti gli autori a rinunciare a questo modo di fare… Quanto ai Sacerdoti, nel ministero delle anime e nella guida delle coscienze, non si avventurino mai, né di propria iniziativa né interrogati, a parlare in modo da far intendere che non ci sia nulla da obiettare da parte della legge cristiana all'”abbraccio riservato”.

Enciclica “Fulgens corona“, 8 settembre 1953.

La redenzione di Maria.

3908. Se consideriamo l’amore ardentissimo e soave che Dio ha indubbiamente avuto per la Madre del suo unico Figlio, come possiamo anche solo immaginare che Ella sia stata, anche solo per un momento, soggetta al peccato e priva della grazia divina? Dio poteva certamente, in considerazione dei meriti del Redentore, farle dono di un privilegio così eccezionale; non possiamo nemmeno immaginare che non l’abbia fatto. Era infatti opportuno che la Madre del Redentore fosse il più possibile degna di Lui; ma non lo sarebbe stata se la macchia del peccato l’avesse raggiunta, anche solo nel primo momento del suo concepimento, sottoponendola così all’esecrabile dominio di satana.

3909. Né si può dire che per tutto ciò la Redenzione sarebbe diminuita, come se non si estendesse più a tutti i discendenti di Adamo, e che persino qualcosa sarebbe sottratto all’opera ed alla dignità del Redentore stesso. In realtà, se consideriamo la questione in modo approfondito e attento, possiamo facilmente vedere che Cristo, il Signore, ha realmente redento sua Madre nel modo più perfetto, anche se, in considerazione dei suoi meriti, era stata preservata intatta da Dio da ogni macchia ereditaria di peccato. Ecco perché l’infinita dignità di Gesù Cristo e la sua opera di redenzione universale non vengono né sminuite né attenuate da questo capitolo della dottrina, ma anzi esaltate al massimo grado.

3910. Non c’è quindi motivo che molti acattolici e innovatori accusino o riprovino la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, come se sottraessimo qualcosa al culto dovuto all’unico Dio e a Gesù Cristo; mentre, al contrario, ogni onore e venerazione accordati alla nostra Madre celeste accresce senza dubbio la gloria del suo Figlio divino, non solo perché da lui scaturiscono, come da una prima fonte, tutte le grazie e i doni, ma anche perché “la gloria dei figli è dei padri” (Pr XVII,6).

Enciclica “Ad caeli Reginam“, 11 ottobre 1954.

La dignità regale di Maria.

3913. La ragione principale della dignità regale di Maria è senza dubbio la sua divina Maternità. Quando nelle Scritture leggiamo del Figlio che la Vergine concepirà: “Sarà chiamato Figlio dell’Altissimo ed il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà nella casa di Giacobbe per sempre ed il suo regno non avrà fine” (Lc 1,32 s.), e che d’altra parte Maria è proclamata “Madre del Signore” (Lc 1,43), è facile vedere che Lei stessa è Regina, poiché ha dato alla luce un Figlio che fin dal suo concepimento, a causa dell’unione ipostatica della natura umana con il Verbo, era come uomo anche Re e Signore di tutte le cose. San Giovanni Damasceno poteva quindi giustamente scrivere: “Ella è diventata veramente la Sovrana di ogni creatura, poiché è diventata la Madre del Creatore”; e allo stesso modo si può affermare che il primo ad annunciare con bocca celeste la dignità regale di Maria fu proprio l’Arcangelo Gabriele.

3914. Tuttavia, non è solo per la sua divina Maternità che la Beata Vergine Maria deve essere chiamata Regina, ma anche perché per volontà di Dio ha avuto una partecipazione eccezionale all’opera della nostra salvezza eterna. “Cosa c’è di più delizioso e dolce per i nostri pensieri… (che sapere) che Cristo regni su di noi non solo per diritto nativo, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti?”. (cf. 3676). Ora, nel compimento di quest’opera di redenzione, la beatissima Vergine Maria fu in verità intimamente associata a Cristo… Infatti, “come Cristo, avendoci redenti, è in questo modo particolare il nostro Signore e il nostro Dio, così anche la Beata Vergine, per il modo unico in cui ha dato il suo contributo alla nostra redenzione, mettendo a disposizione ciò che è, e offrendo volontariamente (Cristo) per noi, desiderando, chiedendo e procurando la nostra salvezza in modo del tutto particolare”.

3915. Da queste considerazioni segue la seguente argomentazione: Se, nell’opera che ha procurato la salvezza spirituale, per volontà di Dio, Maria è stata associata a Gesù Cristo, il principio stesso della salvezza, e ciò in modo simile a quello in cui Eva è stata associata ad Adamo, il principio della morte, cosicché si può dire che l’opera della nostra Redenzione si è compiuta secondo una certa “ricapitolazione” in virtù della quale il genere umano, così come è stato sottoposto alla morte da una vergine, è stato parimenti salvato da una Vergine; se, inoltre, si può dire allo stesso modo che questa gloriosissima Sovrana fu scelta come Madre di Cristo proprio “per essere associata a lui nella Redenzione del genere umano”, e se veramente “fu Lei che, libera da ogni colpa personale o ereditaria, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti e del suo amore materno, come nuova Eva”, per tutti i figli di Adamo sfigurati dalla sciagurata caduta”, allora è possibile concludere senza alcun dubbio che, come Cristo, il nuovo Adamo, debba essere Re non solo perché è Figlio di Dio, ma anche perché è il nostro Redentore, così, in una sorta di analogia, la beatissima Vergine è Regina non solo perché è la Madre di Dio, ma anche perché è stata associata come nuova Eva al nuovo Adamo.

3916. Indubbiamente, in senso pieno e assoluto, solo Gesù Cristo, Dio e uomo, è Re; tuttavia, anche se in modo limitato e per analogia, in quanto Madre di Cristo Dio, associata all’opera del divino Redentore, alla sua lotta contro i nemici e alla vittoria che Egli ha riportato su tutti, anche Maria partecipa alla dignità regale. Grazie a questa unione con Cristo Re, ottiene uno splendore e un’eminenza che la rendono superiore all’eccellenza di tutte le cose. – Da questa congiunzione con Cristo scaturisce la facoltà regale che le dà il potere di dispensare i tesori del Regno del divino Redentore; da questa congiunzione con Cristo deriva l’inesauribile efficacia del suo patrocinio materno del Figlio e del Padre.

3917 (Questo numero ha una suddivisione)

Non c’è dunque dubbio che Maria Santissima superi in dignità tutte le realtà create, e che allo stesso modo abbia un primato su tutte dopo il suo Figlio…. … Per comprendere il grado di dignità così eminente che la Madre di Dio ottenne al di sopra di tutte le creature, è bene considerare che fin dal primo momento in cui fu concepita, la santa Madre di Dio fu ricolma di una tale abbondanza di grazie da superare la grazia di tutti i Santi. … Inoltre, la Beata Vergine non solo ottenne il grado supremo, dopo Cristo, di eccellenza e perfezione, ma anche una certa partecipazione a quell’efficacia per cui si dice giustamente che suo Figlio e nostro Redentore regni sulle menti e sulle volontà degli uomini.

Decreto del Sant’Uffizio, 2 aprile 1955.

Contraccezione.

3917 A

La Sacra Congregazione alza la voce con particolare insistenza per condannare e respingere come intrinsecamente malvagio l’uso dei pessari (IUD, diaframma) da parte delle coppie sposate nell’esercizio dei loro diritti coniugali. Inoltre, gli Ordinari non devono permettere che ai fedeli venga detto o insegnato che non si possa fare alcuna obiezione seria secondo i principi della legge cristiana se un marito collabora solo materialmente con la moglie che usi tale mezzo. I confessori ed i direttori spirituali che sostengono il contrario, e che in tal modo guidano le coscienze dei fedeli, si allontanano dai sentieri della verità e della rettitudine morale.

Istruzione del Sant’Uffizio, 2 febbraio 1956.

Morale situazionale.

3918. Contro la dottrina morale tradizionale della Chiesa Cattolica e la sua applicazione, ha cominciato a diffondersi in molte regioni, anche tra i Cattolici, un sistema di morale che viene generalmente chiamato “morale situazionale“… Gli autori che sostengono questo sistema affermano che la regola decisiva e ultima dell’azione non sia il bene oggettivo determinato dalla legge di natura e conosciuto con certezza da questa legge, ma un certo giudizio ed una certa luce interiore della mente di ogni individuo che gli fanno sapere cosa debba fare nella situazione in cui si trova. Pertanto, secondo loro, la decisione ultima dell’uomo non è l’applicazione della legge oggettiva ad un caso particolare, come insegna la morale oggettiva tramandata da eminenti autori, tenendo conto e soppesando, secondo le regole della prudenza, le condizioni particolari della “situazione“, ma direttamente questa luce interiore e questo giudizio. Questo giudizio, almeno in molti casi, per quanto riguarda la rettitudine e la verità oggettiva, in ultima analisi non deve e non può essere misurato secondo alcuna regola oggettiva stabilita al di fuori dell’uomo e indipendente dalla sua convinzione soggettiva, ma è pienamente sufficiente a se stesso.

3919. Secondo questi autori, il concetto tradizionale di “natura umana” non è sufficiente, ma è necessario ricorrere ad un concetto di natura umana “esistente” che, nella maggior parte dei casi, non ha un valore oggettivo assoluto, ma solo relativo e, di conseguenza, mutevole, con la possibile eccezione dei pochi elementi e principi relativi alla natura umana metafisica (assoluti ed immutabili). Lo stesso valore solo relativo è attribuito al concetto tradizionale di “legge naturale“. Gran parte di ciò che oggi viene presentato come postulato assoluto della legge naturale poggia, secondo la loro opinione e dottrina, sul suddetto concetto di natura esistente, e quindi non può che essere relativo e mutevole, e può sempre essere adattato a qualsiasi situazione.

3920. Questi principi, adottati e applicati, dicono ed insegnano che gli uomini, giudicando ciascuno secondo la propria coscienza ciò che deve fare nella situazione presente, non principalmente secondo leggi oggettive, ma secondo la propria intuizione personale per mezzo di questa luce individuale interna, siano preservati o facilmente liberati da molti conflitti morali che altrimenti sarebbero insolubili.

3921. Molte cose di questo sistema di “morale situazionale” sono contrarie alla verità oggettiva ed alle esigenze della sana ragione, appaiono come vestigia del relativismo e del modernismo e sono lontane dalla dottrina cattolica tramandata nei secoli (segue il divieto di sostenere questa dottrina).

Enciclica “Haurietis aquas“, 15 maggio 1956.

Venerazione del Cuore di Gesù.

3922. (È noto che) il motivo per cui la Chiesa accorda un culto di latria al Cuore del divino Redentore… sia duplice. Il primo, che vale anche per le altre sante membra del Corpo di Gesù Cristo, si basa sul principio per cui sappiamo che il suo Cuore, come parte più nobile della sua natura umana, è unito ipostaticamente alla Persona del Verbo divino; ed è per questo che dobbiamo attribuirgli lo stesso culto di adorazione con cui la Chiesa onora la Persona stessa del Figlio di Dio incarnato… . La seconda ragione che si riferisce in modo particolare al Cuore del divino Redentore e che, per un motivo altrettanto particolare, richiede che gli si renda un culto di latria, deriva dal fatto che il suo Cuore, più di ogni altro membro del suo corpo, è un segno o simbolo naturale della sua immensa carità verso il genere umano. “C’è nel Sacro Cuore… il simbolo e l’immagine espressa dell’amore infinito di Gesù Cristo, un amore che ci spinge ad amarci gli uni gli altri”. …

3923. (Cristo) ha veramente unito alla sua Persona divina una natura umana individuale, completa e perfetta, che è stata concepita nel seno purissimo della Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. A questa natura umana unita al Verbo di Dio non mancava dunque nulla; Rgli stesso l’assunse, in verità, senza alcuna diminuzione o cambiamento, sia per quanto riguarda il corpo che per quanto riguarda lo spirito: dotato cioè di intelligenza e di volontà, e di tutte le facoltà di conoscenza interna ed esterna, delle facoltà sensitive dell’affetto e di tutte le passioni naturali. (cf. 293 ; 301 ; 355). Perciò, come non c’è dubbio alcuno che Gesù Cristo abbia assunto un vero corpo che gode di tutti i sentimenti che gli sono propri, e tra i quali l’amore supera tutti gli altri, così non c’è dubbio che sia stato dotato di un cuore fisico simile al nostro; poiché, senza questa parte eccelsa del corpo, non ci può essere vita umana, nemmeno per quanto riguarda gli affetti….

3924. È a ragione, quindi, che il Cuore del Verbo incarnato sia considerato il segno ed il simbolo principale di questo triplice amore con cui il Redentore divino ama e continua ad amare il suo Padre eterno e tutti gli uomini. È il simbolo, infatti, di quell’amore divino che Egli condivide con il Padre e lo Spirito Santo, ma che tuttavia, solo in Lui, come Verbo fatto carne, si manifesta a noi attraverso il suo corpo umano deperibile e fragile… È anche il simbolo di quell’amore ardentissimo che, riversato nella sua anima, arricchisce la volontà di Cristo, e le cui azioni sono illuminate e dirette da una duplice conoscenza perfettissima, quella benedetta e quella infusa. Infine, è anche – e questo in modo più naturale e diretto – il simbolo del suo amore sensibile, perché il corpo di Gesù Cristo, formato dallo Spirito Santo nel grembo della Vergine Maria, gode di un potere di sentire e percepire molto perfetto, più, certamente, di tutti gli altri corpi umani. …

3925. …Pertanto, da questa cosa corporea che è il Cuore di Gesù Cristo, e dal suo significato naturale, ci è permesso… di salire non solo alla contemplazione del suo amore, che è percepito dai sensi, ma, ancora più in alto, alla contemplazione ed all’adorazione del suo supremo amore infuso; e infine… alla meditazione e all’adorazione dell’amore divino del Verbo incarnato. Alla luce, dunque, della fede con cui crediamo che le due nature, umana e divina, siano unite nella Persona di Cristo, possiamo concepire gli strettissimi legami che esistono tra l’amore sensibile del Cuore fisico di Gesù e il suo doppio amore spirituale, umano e divino. Di questi amori non dobbiamo dire solo che esistano insieme nella Persona adorabile del divino Redentore, ma che siano legati da un vincolo naturale, essendo l’amore umano e sensibile subordinato all’amore divino e riflettendo in sé la somiglianza analogica di quest’ultimo. Non pretendiamo che si debba pensare che nel Cuore di Gesù si debba vedere ed adorare la cosiddetta immagine formale, cioè il segno assoluto e perfetto del suo amore divino, poiché non è possibile rappresentarne l’intima essenza in modo adeguato con alcuna immagine creata; ma i fedeli, nel rendere culto al Cuore di Gesù, adorano con la Chiesa un segno e come un memoriale dell’amore divino. … È dunque necessario, in questo capitolo della dottrina così importante e così delicato, che tutti tengano sempre presente che la verità del simbolo naturale in virtù del quale il cuore fisico di Gesù è attaccato alla Persona del Verbo, poggi interamente sulla verità fondamentale dell’unione ipostatica; se qualcuno lo nega, rinnova gli errori più volte condannati dalla Chiesa, perché contrari all’unità della Persona in Cristo e alla distinzione ed integrità delle due nature.

La maternità di Maria.

3926. …I fedeli devono avere cura di associare strettamente (la venerazione del Cuore di Gesù) al culto del Cuore Immacolato di Maria. Poiché, per volontà di Dio, la Beata Maria è stata indissolubilmente unita a Cristo nell’opera della redenzione umana, affinché la nostra salvezza derivi dall’amore di Gesù Cristo e dalle sue sofferenze intimamente unite all’amore ed alle sofferenze di sua Madre, è perfettamente opportuno che il popolo cristiano, che ha ricevuto la vita divina di Cristo per mezzo di Maria, dopo aver reso la venerazione dovuta al sacratissimo Cuore di Gesù, renda anche al Cuore amabilissimo della sua Madre celeste un analogo omaggio di pietà, amore, gratitudine e riparazione.

Decr. Del S. Officio, 8 marz. (23 mag.1957.

La Concelebrazione valida.

3928. Domanda: Più Sacerdoti concelebrano validamente il Sacrificio della Messa quando uno di loro non lo fa?

Solo uno di loro pronuncia le parole: “Questo è il mio corpo” e “Questo è il mio sangue” sul pane e sul vino, e gli altri non pronunciano le parole del Signore, ma, con la consapevolezza ed il consenso del celebrante, intendono compiere le sue parole e i suoi gesti e mostrarlo? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 18 marzo): No; perché, secondo l’istituzione di Cristo, celebra validamente solo chi pronuncia le parole consacratorie.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA (42): “INDICE DEGLI ARGOMENTI” -I.-

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (2)

FRANCESCO OLGIATI,

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA.

Soc. ed. Vita e Pensiero, XIV ed., Milano – 1956.

Imprim. In curia Arch. Med. Dic. 1956- + J. Schiavini Vic. Gen.

INTRODUZIONE (2)

3. — Finalmente anche i buoni, anche coloro che si proclamano Cristiani, spesso presentano una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la morale che praticano. Per non disturbare l’ombra del vecchio Padre Zappata, soggiungeremo che i buoni troppo sovente rassomigliano ai candidi cigni domestici, cari al Moro, e che i soldati di Luigi XII, di passaggio per Milano, facevan bersaglio delle loro frecce. Alcuni cigni, spaventati e colpiti, nuotavano ancora, dondolandosi sull’acqua insanguinata; altri emettevano flebili lamenti, allungavano il collo in un tremito convulso e tentavano ancora una volta, prima di morire, di sollevarsi sulle povere ali ferite. È il simbolo spesso di coloro, che dovrebbero insegnare a fatti cosa sia la morale cristiana e che, invece, si lasciano colpire dalla freccia della colpa. – Si potrà osservare, non a giustificazione, ma a spiegazione di questo fatto, che tutti noi nasciamo col peccato originale, che mille cattive tendenze cercano di trascinarci al male, che la vita morale è una perpetua battaglia senza un istante di tregua. Tutto questo è da ammettersi come un’innegabile verità. Ma subito bisogna soggiungere che le infrazioni continue alla legge morale creano un ambiente sociale dove le insidie ed i pericoli si incontrano ad ogni passo, formano un’atmosfera dove si cerca di attutire le proteste silenziose delle coscienze col pretesto che tutti cascano fatalmente e che bisogna seguire l’andazzo comune, riempiono il mondo delle anime di stonature disastrose. L’etica cristiana è simile ad una musica splendida ed armoniosa; perché tutti la imparino, la apprezzino, ne rimangano estasiati ed uniscano la loro voce, è necessario che vi sia un coro numeroso, educato e possente, che canti; in questo caso, anche chi non conoscesse le note e non sapesse leggere una pagina di musica intenderebbe ed apprenderebbe. Non per nulla i migliori maestri di morale sono i Santi, che costringono anche gli avversari del Cristianesimo ad ammirare ed a plaudire. Dinanzi a un Vincenzo de’ Paoli o a un Giovanni Bosco, è impossibile rifiutare il consenso entusiastico, anche se si vive sull’opposta sponda. Al contrario, perché oggi non sempre si riesce a trascinare gli spiriti contemporanei alla morale del Vangelo? Perché i valenti maestri di musica, capaci di cantare con la vita loro l’etica nostra, sono piuttosto rari, mentre innumerevoli sono i maestri ed i cantori stonati. Anzi, per uno strano pervertimento di idee, si ritiene dai più che i Santi sian da lasciarsi alla devozione della minuscola schiera dei pii e degli asceti, o, per continuare il paragone, siano soltanto maestri di musica sacra, adatta per le chiese; fuori del tempio, ci vuole un’altra musica, un altro tono, un’altra morale! È vero. Di fronte alle deficenze descritte, per rialzare il livello morale che va sempre più abbassandosi, sono intervenuti i filosofi coi loro sistemi. La filosofia aspirerebbe ad essere il surrogato della Religione nel campo dell’etica e, come tutti i surrogati, per parecchio tempo è riuscita ad illudere l’ingenuità e l’imbecillismo umano. Ma oggi, c’è forse qualcuno ancora, che ritiene, proprio sul serio, di poter sostituire alla morale di Cristo il sistema d’un pensatore? Siete proprio convinti di formare un giovane alla virtù ed all’eroismo con le teorie pullulanti e necessario nel mondo filosofico?… Io vi invito a pensare alla moltitudo che canti; dine di dottrine morali contraddicentisi, che sono sorte nel

e non sa- secolo XIX ed in tutta la prima metà del secolo XX! Gli utilitaristi hanno sostenuto che la morale si fonda sull’utiile; Kant ha insistito sul pensiero che, dove c’è la preoccupazione dell’utile, non c’è la morale e che quest’ultima dev’essere basata sul dovere; Nietzsche ha disprezzato l’etica comune ed ha sognato la morale del superuomo; Marx ha tentato la riduzione della morale all’economia, facendo anche del dovere una questione di stomaco; Ruskin vi ha esaltato la morale della bellezza; Comte ed il positivismo vogliono la morale dei fatti, la morale scientifica; alcuni negano il libero arbitrio e col Taine dichiarano che la virtù è un prodotto necessario come il vetriolo e lo zucchero; Freud deride la morale, perché ogni nostra attività per lui non è se non un prodotto della sessualità. Parecchi amarono rifugiarsi fra le braccia degli antichi stoici ed invocarono Epitteto, Marco Aurelio e Seneca; altri si diedero in braccio al pessimismo o allo scetticismo morale; altri pensarono di portare fra noi le dottrine di Buddha; James ed il pragmatismo anglo-americano vollero fondare il pensiero sulla morale, mentre l’idealismo eresse l’etica sul pensiero ed arrivò ad asserire che, per salvare la morale, bisogna cominciare ad ammettere che tutto è Spirito, tutto anzi è atto di pensiero, dal Monte Bianco all’America… Insomma, questi filosofi moralisti assomigliano ad un gruppo di medici, in stridente contrasto tra loro, che discutono intorno al letto dell’agonizzante. Ed oggi, in tutto il mondo, non c’è più nemmeno un sistema che regga; è il crollo delle ideologie filosofiche, è la confusione babelica delle menti e delle lingue; e se qualcuno dovesse sul serio affermare che la salvezza della morale sarà dovuta, ad esempio, alle correnti esistenzialistiche, problematicistiche, irrazionalistiche e vitalistiche recenti, tutti scoppieranno in una sonora risata allegra. – Con la spudoratezza più sfacciata gli stessi creatori dei recenti sistemi ce lo dichiarano apertamente. Forse nulla di più esplicito c’è, a tale proposito, d’una pagina di Sartre, che nel suo volumetto: “L’existentialisme est un humanisme”;scrive: « Quando verso il 1880 alcuni professori francesi tentarono di costituire una morale laica, essi dissero press’a poco questo: Dio è un’ipotesi inutile e dispendiosa; noi la sopprimiamo; tuttavia è necessario, perché vi sia una morale, una società, un mondo civile, che certi valori siano presi sul serio e considerati come esistenti a priori: è necessario che sia obbligatorio a priori di essere onesti, di non mentire, di non picchiare la propria moglie, di far dei figli ecc. Noi, dunque, faremo un piccolo lavoro che permetterà di mostrare come questi valori esistano egualmente, scritti in un cielo intelligibile, quantunque d’altra parte Dio non esista… Nulla sarà mutato se non esiste Dio: noi ritroveremo le stesse norme di onestà, di progresso, di umanesimo; e noi avremo fatto di Dio un’ipotesi superata, che morrà tranquillamente da se stessa.

« L’esistenzialismo al contrario — prosegue il difensore dell’esistenzialismo ateo francese — pensa che con Dio scompare ogni possibilità di trovare dei valori in un cielo intelligibile. Non vi può essere un bene a priori., perché non v’è coscienza perfetta ed infinita per pensarlo. Non è scritto in nessuna parte che il bene esista, che bisogna essere onesti, che non bisogna mentire, perchè precisamente noi siamo su un piano ove vi sono soltanto degli uomini. Dostojevski aveva scritto: — Se Dio non esistesse, tutto sarebbe permesso. — Ecco il punto di partenza dell’esistenzialismo ». Ed insieme con Sartre, romanzieri francesi, inglesi e di ogni parte del mondo abbandonano la morale alle « anime belle ». Il peggio è che questi edifici filosofici, se da un lato sono impotenti a formare una coscienza, dall’altro, quando crollano, sollevano un nugolo di polvere densissima, che rovina gli occhi, cosicché dinanzi alla morale cristiana vi sono ciechi, presbiti, miopi ed orbi in quantità, divenuti tali per colpa dei sistemi. I filosofi hanno inoculato in tutti un numero immenso di pregiudizi, di idee balorde, di asserzioni infondate a proposito dell’etica cristiana, tanto che non è lieve il compito di far brillare quest’ultima alla mente ed al cuore dei nostri contemporanei. Senza paura di sbagliare, io sono convinto che il presente Sillabario rivelerà un mondo nuovo ad alcuni studiosi moderni. Essi conoscono così poco la morale cristiana, che la ritengono fondata unicamente sul premio o sul castigo, sul paradiso o sull’inferno; e perciò ad essa preferiscono le forme molto più nobili della morale disinteressata! Persino i grandi pensatori, da Emanuele Kant agli idealisti italiani recenti, non vi offrono prove troppo consolanti di conoscenza della morale nostra. Mi voglio limitare ad un esempio. – Prendo fra le mani la Filosofia della pratica di Benedetto Croce e leggo: « L’affermazione che l’atto morale è amore e volizione dello Spirito in universale si trova nell’Etica religiosa e cristiana, nell’Etica dell’amore e della ricerca ansiosa della presenza divina. questo il carattere fondamentale dell’Etica religiosa, la quale ai volgari razionalisti e intellettualisti, ai così detti liberi pensatori, ai frequentatori delle logge massoniche, per angusta passione di parte o per manco di finezza mentale, rimane ignota. Non c’è quasi verità dell’Etica.., che non si possa esprimere con le parole, che abbiamo apprese da bambini, della Religione tradizionale, e che spontanee ci salgono alle labbra come le più elevate, le più appropriate, le più belle; parole, di certo, impregnate ancora di mitologia, ma, insieme, gravi di contenuto filosofico ». Dinanzi a queste espressioni, voi quasi sospettate che il Croce sia un propugnatore dei principi della morale cristiana. Ma no, abbiate pazienza, volgete qualche pagina e leggerete ancora: « Il divorzio (può essere) altamente morale o profondamente immorale, secondo i tempi e i luoghi: e solamente l’angustia mentale o l’ignoranza può mettere fuori dell’umanità, o credere viventi e persistenti nell’immoralità, popoli che praticano il divorzio o il matrimonio indissolubile… Immorale, irrazionale e innaturale non è neppure la poligamia o il libero concubito, una volta che è stata istituzione considerata legittima in certi tempi e luoghi; e neppure, staremmo per dire (per quanto ripugni al nostro cuore, e al nostro stomaco, di europei inciviliti) l’antropofagia, perché, anche tra gli antropofagi, c’erano (speriamo si vorrà convenire) uomini che si sentivano nella più limpida coscienza di sè medesimi, onestissimi, e che, ciò nonostante, mangiavano il loro simile con la stessa tranquillità con cui noi mangiamo un pollo arrosto, senza odio per il pollo, ma sapendo di non poter fare, almeno per ora, altrimenti! ». E si noti: Benedetto Croce, nello stesso volume, non dubita di riconoscere che « dopo il Cristianesimo, a nessuno che non sia parolaio o stravagante, è dato di non essere Cristiano! ». Ahimè! Il Cristianesimo vero sta a questo Cristianesimo crociano, che ammette in certi casi la moralità del divorzio, del libero concubito e dell’antropofagia, come pressappoco l’Amore cristiano sta al libero amore del dissoluto. Ed ancora una volta noi ci domandiamo: è possibile che da simili teorie moderne, che giustificano ogni oscenità ed ogni delitto, possa venire la soluzione del problema morale? A rendere ancora più malagevole il compito di esporre la morale cristiana, si aggiunge finalmente la scarsa conoscenza della morale di Cristo, fra gli stessi credenti. Molti ignorano persino alcuni precetti della morale; moltissimi ignorano il motivo dei precetti. Comandi e divieti della legge etica ad alcuni appaiono cervellotici e non so quanti saprebbero giustificare gli stessi atti buoni che compiono. Ecco, ad esempio, le signore dei giorni nostri, che si stupiscono della lotta del Papa e dei Vescovi contro la moda sguaiata ed i balli immorali; ecco le domande di chi vorrebbe sapere il « perché » della purezza negli anni giovanili ed il « perché » la famiglia non debba essere profanata da vizi obbrobriosi; ecco parecchi Cristiani che mangiano di magro al venerdì, ma non conoscono affatto la ragione per cui la Chiesa impone l’astinenza ed i digiuni; ecco le deliziose pretese di chi crede che la morale cristiana abbia diritto di esistere solo fra le pareti del tempio, mentre fuori, nella vita sociale, nell’economia, nella politica, nella scuola e nell’arte, deve regnare un’altra morale, tutta differente e magari opposta alla prima. Purtroppo, se è immensa l’ignoranza dei dogmi, più vastane più profonda ancora è l’ignoranza della morale; ed il peggio è che tutti si stimano sufficientemente istruiti in materia! Almeno, per ciò che si riferisce al contenuto dogmatico della rivelazione, il credente, ignaro di teologia, rifugge dal dissertare intorno al mistero della Trinità, o alla processione dello Spirito Santo dal Padre e dal Figlio; ma, in morale, tutti si giudicano competenti e scambiano l’amore soprannaturale di Dio e del prossimo con l’amore che per Dio e per il prossimo avremmo avuto in un puro ordine di natura. – La vita pagana che ci circonda, le nubi causate dai sistemi filosofici, l’ignoranza di molti Cristiani in fatto di morale creano mille ostacoli a chi vuol esporre ed inculcare la morale cristiana, tanto più se non vuol racchiuderla in quattro tesi, esattamente formulate, ma necessariamente fredde, o se non vuole spaziare in quel commento dei singoli comandamenti di Dio e dei precetti della Chiesa, che ci dànno i nostri grandi trattatisti di teologia morale, guidati da un santo geniale, sant’Alfonso de’ Liguori, commento necessario, che però presuppone la conoscenza dell’idea-madre della morale di Cristo.

2. – Norme metodiche.

Poche parole riassumono il mio criterio direttivo: questo Sillabario vuol essere soltanto una semplice esposizione sistematica dei principi informatori della morale cristiana. Vi sono molti manuali nostri; vi sono opere egregie (basterà nche accenni alle migliori, quelle del Cathrein e del Tillmannn sulla filosofia morale, tradotte in parecchie lingue ed anche in italiano), dove si può trovare la descrizione dei singoli sistemi di etica, la loro confutazione ed il confronto fra essi e l’etica cristiana; altri volumi sono utilissimi, ma non rispondono alle finalità che io mi sono prefisso. La realtà è che molti ai giorni nostri conoscono a fondo la Critica della ragion pratica di Kant, i Ricordi di Marco Aurelio, il Manuale di Epitteto, le Lettere a Lucilio di Seneca: conoscono Epicuro e Hegel, Giove e Maometto; ma non hanno mai avuto la preoccupazione di esaminare da vicino la morale di Cristo. Un’esposizione semplice ed esatta, senza preoccupazioni d’indole filosofica, e che riguardo ai vari sistemi di etica si limiti ad accenni indispensabili per lumeggiare meglio con qualche raffronto il pensiero cristiano, può essere per loro provvidenziale. Soprattutto, però, io mi indirizzo ai credenti, a coloro che frequentano la Chiesa, ascoltano prediche, si accostano ai Sacramenti; e dico loro: « Questo Sillabario è per voi; meditatelo; forse vi rivelerà per la prima volta non i precetti e le leggi della morale cristiana, ma il loro spirito vivificatore. Forse la morale di Cristo voi la conoscete come un amico, col quale parlate, trattate, discutete, ma che solo avete potuto considerare alla superficie, e non mai avete colto in quell’intimità profonda del suo io e del suo carattere, la quale vi spiegherebbe ogni suo gesto, ogni atteggiamento, ogni sorriso ed ogni frase. Credete a me, che vi parlo in nome dell’esperienza: anche nel campo nostro, spesso si ignora ciò che sarebbe doveroso sapere per vivere cristianamente. E quando si vuol curare una simile piaga, si ricorre non di rado ad un rimedio stranissimo (che risponde al metodo dell’apologia per chi non sa nulla di dogma): si fa, cioè, l’esposizione e la critica di tutti gli altri sistemi di morale! Quale insulsaggine e quale pericolo! Sarebbe come se io avessi bisogno di nutrirmi e morissi di fame, e venisse uno che, invece di darmi subito del cibo buono, cominciasse a farmi gustare e sputare a terra tutti i veleni conosciuti, tanto per dimostrarmi che non sono pane nutriente. A questo modo, mi rovinerebbe il palato, ed io minaccerei di morire per denutrizione! ». Preferisco quindi un altro criterio. E mi spiego. La dottrina morale nostra è il cibo necessario per agire soprannaturalmente bene e per risolvere cristianamente il problema della vita. Invece di ammannire i diversi sistemi errati, ritengo sia indispensabile offrire il pane sicuro. Cominciamo ad avvicinarci a Cristo e ad apprendere da Lui l’insegnamento vitale: in venti secoli ha certamente plasmato più anime e suscitato più energie spirituali il Vangelo, che non tutti gli altri filosofi messi insieme. Non vi pare che io abbia ragione? Anzi, dirò sii più. Una segreta speranza mi sorride nel cuore. Quando avremo ben afferrato l’anima dell’etica cristiana e ne sentiremo il palpito e la coglieremo nella sua forza interiore e nel suo dinamismo, ognuno potrà dare uno sguardo, per conto proprio, ai diversi sistemi morali: ed un fenomeno impreveduto colpirà la nostra gente e ci canterà la verità: l’errore non sussisterebbe senza questo nucleo di vero, che lo rende affascinante e che seduce per un poco lo studioso. Tutte queste particelle di verità esagerate e deformate nei singoli sistemi, la morale cristiana le ha in sè sintetizzate in un mirabile organismo e le integra, le coordina e le vivifica. Se giungeremo a questa conclusione, quale prova intrinseca non avremo mai raggiunto della verità della dottrina nostra! Ad una esposizione soltanto, dunque, io miro con tutti i miei sforzi; ma — soggiungo — ad una esposizione sistematica, che ci faccia intendere la morale cristiana nella sua unità organica. – Tre, di conseguenza, sono gli intenti che mi sono prefisso:

a) La morale cristiana è una pianta, che ha come radice il dogma. Chi volesse capire quella, prescindendo da questo, è un superficiale. E di superficiali, che del Vangelo vorrebbero ritenere i precetti dell’Amore, sacrificando la loro base dogmatica, è pieno il mondo. Il sentimentalismo, imperante anche là dove meno lo si penserebbe, ha messo in voga l’ammirazione per il Sermone della montagna, ma non per la Trinità, per l’incarnazione, per il Calvario, e per l’inferno. « Dalle regioni dell’idea e dei principi — osserva energicamente il P. Giuseppe Tissot nella sua classica operetta La vita interiore semplificata e richiamata al suo fondamento — si è discesi al basso livello delle emozioni e dei sensi. Nella vita pubblica come nella privata, nella vita intellettuale come nella vita morale, nella vita spirituale stessa si cercano troppo sovente le emozioni, si vive troppo facilmente dei sensi. La vita tende ad animalizzarsi e a non essere più che una serie di sensazioni ». Le lacrimucce dei cuoricini teneri tentano di sostituire il soprannaturale; la sdolcinatezza ingannatrice illude molte anime e le persuade di essere seguaci della austera severità della Croce, quando non sono se non le vittime inconsce dei fumi del sentimento. Dobbiamo, a questo punto, confessare la verità dura, insieme con questo uomo di Dio non sospetto, quale è il Tissot. – La colpa del male è « di quei libri di pietà, che pullulano da ogni parte, e la cui scienza consiste nel muover la sensibilità. Guarir l’anima con emozioni, allorché il male è nell’intelligenza!… Veramente è voler guarire una malattia di petto con un po’ d’unguento sul piede! È tutto lì il valore di quei libri. Chi ci ridarà la parte teologica delle grandi età di fede?… È davvero il caso di domandarsi se il fiore, ahimè!, troppo fecondo, della letteratura sentimentale in fatto di pietà, non sia un flagello altrettanto disastroso, quanto la letteratura immonda, che ci insozza coi suoi successi osceni. Poiché, alla fin fine, il libro immondo non si rivolge che alle anime che gracidano nelle paludi. Ma i libri di pietà si rivolgono a quelle anime superiori, a cui Dio ha affidato la missione di attirare in alto e di sollevare i popoli. Forse che non portano un contraccolpo più esteso, più terribile alla società questi libri che sminuiscono e fanno intristire le anime, le quali non potranno più sollevare, perché esse medesime non si elevano?… Sono i dogmi che fanno i popoli, scrisse il De Bonald; ed è questa una delle più profonde sentenze del profondo pensatore. Se essi fanno i popoli, fanno pure gli individui. « Io non cesserò di dirlo come di crederlo — nota il De Maistre, altro gran pensatore —; l’uomo non vale se non per quello che crede. È l’indebolimento della verità, che porta in mezzo agli uomini la scomparsa della santità ». – Bisogna avere anche il coraggio di aggiungere che talvolta, persino nelle nostre chiese, si incontra qualche predicatore che casca nell’identico difetto. Talvolta non si riesce a distinguere certe prediche cristiane dai discorsi di un filosofo sulla bontà, sul dovere, sulle virtù. Spiegano ed illustrano ottime cose, che però uno stoico antico e moderno potrebbe ripetere; sembrano gli araldi non di una morale cristiana, ma puramente d’una morale umana. Il dogma, il soprannaturale esula da questi sermoni, che potrebbero definirsi conferenze quasi filosofiche per gli stomachi deboli, rese brillanti da voli oratori e da scene sentimentali. Tali metodi bisogna lasciarli alle varie Unions pour raction morale, spuntate in Francia ed altrove e che col Desjardins e col Séailles rivolgevano a tutti l’invito di stringersi intorno ad un programma esclusivamente morale. Il Cattolico ed il protestante, colui che crede alla divinità di Cristo e colui che non crede, gli ammiratori di Buddha e di Confucio, gli adoratori di un Dio e l’ateo persuaso che il cielo sia vuoto, i propugnatori dell’immortalità dell’anima ed il positivista, dovrebbero allearsi, d’accordo tutti in un unico proposito: il dovere di riformare se stessi, di educare la propria coscienza, di sacrificarsi con abnegazione al bene degli altri uomini. – Dopo la prima grande guerra, la corrente capitanata dall’arcivescovo luterano di Upsala, il dott. Siiderblom, col grido: « For Life and Work, per la vita e per l’azione», raccolse a Stoccolma la Conferenza per l’Unione delle Chiese. Anche là la stessa illusione d’una morale non fondata sul dogma, che divenisse la piattaforma per riunire le varie sette protestanti, regnò nelle discussioni, coronate dal discorso del Principe ereditario di Svezia, che fra gli applausi dichiarò: « Questa Conferenza di cristianesimo pratico ha dimostrato nel modo più esauriente che l’unità delle credenze non è affatto necessaria per creare uno spirito di reciproca comprensione fra gli uomini». Noi a simili organizzazioni per l’azione morale ed a simile Cristianesimo pratico, non poggiati sulla verità e sul dogma, non crediamo; sono « nubi senz’acqua »; sono piante, ripeto, che possono apparire attraenti, ma prive di radici; sono scimmiottature grossolane. Nulla hanno a che fare con l’etica del Vangelo, la quale si innalza sul dogma ed è ispirata da esso.

b) Unita al dogma, la morale cristiana è da ripensarsi altresì nell’unità dei suoi comandamenti. Come in un albero molti sono i rami, le foglie, i fior ed i frutti, ma unico è l’albero ed unico è il soffio vitale che spiega la molteplicità delle sue manifestazioni, così nella morale nostra vi sono bensì molte leggi, dai comandamenti di Dio ai precetti della Chiesa; e non mancano utilissime illustrazioni e spiegazioni di ognuno di essi. Noi, però, in questo Sillabario non vogliamo fermarci al momento della molteplicità; vogliamo piuttosto risalire all’unità, che è la ragione ultima dei diversi imperativi categorici e dei consigli della morale di Cristo. Al termine di questo libro, dobbiamo vedere, ad es., con chiarezza, perché il furto è proibito, perché anche il pensiero disonesto è da condannarsi, perché dobbiamo evitare lo scandalo e fare elemosina al povero e via dicendo; ed ognuna di queste cose ci apparirà nell’organicità sistematica d’un tutto, dove si comprende il « perché » d’una proibizione, ovvero d’un comando o d’un consiglio. Non si confonda, quindi, lo scopo nostro col programma di altri lavori, lodevolissimi ed indispensabili, che fanno passare in ogni punto ed in ogni parola le tavole della legge di Mosè, le prescrizioni della Chiesa e così via. Noi non vogliamo scrutare, magari col microscopio, ramo per ramo, foglia per foglia, fiore per fiore, frutto per frutto; vogliamo invece penetrare nell’unità dell’organismo, per assistere al suo sviluppo ed alla sua perenne rinnovazione, nella conservazione del suo principio vitale.

c) Finalmente, un’altra esigenza di unità è richiesta da questo Sillabario. Quando nelle scuole del catecumenato dei primi secoli si preparava alla conversione un pagano e lo si orientava alla rigenerazione, non solo al catecumeno veniva insegnata, col dogma, la dottrina morale di Cristo, ma gliela si faceva praticare. Nel tempo che precedeva il Battesimo, il futuro Cristiano cominciava a vivere la nuova vita e metteva in atto la legge etica, che adagio adagio gli veniva spiegata. Era, questa, la miglior disposizione alla conversione è la dimostrazione più chiara della bellezza della fede. – Come oggi per la fisica e per la chimica, io entro in un laboratorio, faccio un esperimento, e, se l’esperimento riesce, resto sicuro d’una legge che regola la natura materiale, così per la morale, io entro nel laboratorio della vita, applico le norme dell’etica cristiana ed ho la prova sperimentale della sua bontà. In altre parole, per capir bene la morale cristiana bisogna viverla; e non senza grande sapienza il santo Curato d’Ars ai peccatori, che accorrevano a lui per proporgli dei dubbi contro la Religione, indicava l’inginocchiatoio e l’invitava dapprima a confessarsi. Purificati dalle loro colpe, venivano subito attratti dal fascino della morale e del Credo; e, vivendo secondo il nuovo programma, non dubitavano più. Non basta l’unità di dogma e di morale; non basta neppure l’unità organica delle varie parti della morale fra loro; occorre l’unità della dottrina morale con la vita vissuta: soltanto con questo metodo si può affrontare con sicurezza il problema che interessa ciascuno di noi, le famiglie, la scuola, la vita sociale, la patria, la Religione, la nostra eternità.

3. – Conclusione.

Il giovane israelita imparava gli elementi della sua lingua nazionale ed i grandi principi regolatori della sua condotta dal salmo 118. È il salmo acrostico od alfabetico, che venne definito l’abbecedario dei figli d’Israele e che, sotto svariate forme, svolgeva un solo pensiero: l’osservanza delle leggi divine. –

Felici gli uomini di condotta integra, che procedono secondo la legge del Signore. Felici quelli che ne osservano le istruzioni e con tutto il cuore cercano Lui, né punto commettono iniquità, ma camminano sulla via di Lui. . . . Osserverò sempre la tua legge, costantemente, fino all’ultimo, e riporrò le mie delizie nei tuoi comandamenti. da me tanto amati… Bramo da Te la salute, o Signore… I tuoi comandi non li ho dimenticati.

(Trad. di P. Vac.)

Noi vorremmo oggi che le coscienze giovanili e le anime tutte intonassero un altro salmo, il salmo della vita cristiana, la cui eco sarebbe più possente delle voci degli antichi leviti e dello squillo delle trombe d’argento, che ne accompagnavano i canti nel tempio di Gerusalemme. Questo Sillabario è un appello fraterno, perché l’inno si elevi.e si diffonda ovunque.

Riepilogo

Molti, oggi, fra i credenti e gli stessi increduli, sentono vivo il bisogno di conoscere e di approfondire la morale cristiana. L’esposizione di essa, però, presenta varie difficoltà, che solo si possono superare, seguendo un metodo opportuno.

1. Le difficoltà attuali che si incontrano nello studio della morale cristiana sono specialmente tre:

a) La morale viene facilmente compresa, quando è cantata dalla vita vissuta, non quando la si medita solo sulle pagine fredde d’un libro. Oggi, invece, la vita che ci circonda non ci ripete l’inno dell’etica cristiana, poiché: 1° alcuni vivono paganamente, senza neppure un soffio di idealità cristiana; 2° altri nella loro vita uniscono in un miscuglio obbrobrioso Cristianesimo e paganesimo; 3° spesso, anche nei buoni, si nota una impressionante incoerenza tra la morale che predicano e la vita che conducono.

b) La filosofia ha cercato di sostituire alla morale cristiana i surrogati dei suoi vari e variopinti sistemi; i quali, non solo sono praticamente inefficaci o dannosi, ma hanno anche diffuso un mondo di pregiudizi a proposito della morale cattolica. Simili pregiudizi, osannando le menti, hanno reso arduo il compito di mostrare ad esse, nella aia vera natura, la morale di Cristo.

c) Finalmente l’ignoranza della morale cristiana è quanto mai grave. Alcuni non ne conoscono i precetti; altri, e moltissimi, non ne sanno Io spirito vivificatore. E tutti credono di averne una nozione esatta e precisa.

2. Per rimediare a queste difficoltà, il presente Sillabario seguirà le norme metodiche seguenti:

a) non esporrà i singoli sistemi filosofici di etica;

b) non commenterà comandamento per comandamento la legge morale nostra.

a) si limiterà ad una esposizione della morale cristiana;

b) procurerà di offrire una esposizione sistematica di essa, tale cioè che appaia chiaramente:

1) l’unità fra la morale ed il dogma, come fra la pianta e le radici;

2) l’unità fra i vari comandamenti e precetti della morale, come fra i rami d’un albero;

3) l’unità che ci deve essere fra la dottrina morale e la vita nostra.

IL SILLABARIO DELLA MORALE CRISTIANA (3)

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (40): “Da BENEDETTO XV a PIO XII, 1914-1944”

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41)

HENRICUS DENZINGER

ET QUID FUNDITUS RETRACTAVIT AUXIT ORNAVIT

ADOLFUS SCHÖNMATZER S. J.

ENCHIRIDION SYMBOLORUM DEFINITIONUM ET DECLARATIONUM

De rebus fidei et morum

HERDER – ROMÆ – MCMLXXVI

Imprim.: Barcelona, José M. Guix, obispo auxiliar

(da BENEDETTO XV, a Pio XII, 1914-1944)

BENEDETTO XV: 3 settembre 1914 22 gennaio 1922.

Lett. Encycl. “Ad beatissimi Apostolorum”, 1 nov. 1914.

L’ambito della libera disputa teologica.

3625. Quindi, qualora la legittima autorità impartisca qualche ordine, a nessuno sia lecito trasgredirlo, perché non gli piace; ma ciascuno sottometta la propria opinione all’autorità di colui al quale è soggetto, ed a lui obbedisca per debito di coscienza. Parimenti nessun privato, o col pubblicare libri o giornali, ovvero con tenere pubblici discorsi, si comporti nella Chiesa da maestro. Sanno tutti a chi sia stato affidato da Dio il magistero della Chiesa; a lui dunque si lasci libero il campo, affinché parli quando e come crederà opportuno. È dovere degli altri prestare a lui, quando parla, ossequio devoto, ed ubbidire alla sua parola. – Riguardo poi a quelle cose delle quali — non avendo la Sede Apostolica pronunziato il proprio giudizio — si possa, salva la fede e la disciplina, discutere pro e contro, è certamente lecito ad ognuno di dire la propria opinione e di sostenerla. Ma in simili discussioni rifuggasi da ogni eccesso di parole, potendone derivare gravi offese alla carità; ognuno liberamente difenda la sua opinione, ma lo faccia con garbo, né creda di poter accusare altri di sospetta fede o di mancata disciplina per la semplice ragione che la pensa diversamente da lui.

3626. Nè soltanto desideriamo che i Cattolici rifuggano dagli errori dei Modernisti, ma anche dalle tendenze dei medesimi, e dal cosiddetto spirito modernistico; dal quale chi rimane infetto, subito respinge con nausea tutto ciò che sappia di antico, e si fa avido ricercatore di novità in ogni singola cosa, nel modo di parlare delle cose divine, nella celebrazione del sacro culto, nelle istituzioni cattoliche e perfino nell’esercizio privato della pietà. Vogliamo adunque che rimanga intatta la nota antica legge: «Nulla si innovi, se non ciò che è stato tramandato»; la quale legge, mentre da una parte deve inviolabilmente osservarsi nelle cose di Fede, deve dall’altra servire di norma anche in tutto ciò che va soggetto a mutamento, benché anche in questo valga generalmente la regola: «Non cose nuove, ma in modo nuovo».

Risposta della Commissione Biblica, 18 giugno 1915.

La seconda venuta di Cristo nelle Rpistole paoline.

3628. Domanda 1: Per risolvere le difficoltà incontrate nelle epistole di san Paolo e degli altri apostoli dove si parla della “Parousia“, come viene chiamata, o della seconda venuta di Nostro Signore Gesù Cristo, è lecito per l’esegeta cattolico affermare che gli Apostoli, pur non insegnando alcun errore sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, esprimano tuttavia sentimenti umani personali nei quali può insinuarsi l’errore o l’illusione? Risposta: no.

3629. Domanda 2: Data l’esatta nozione dell’ufficio apostolico, l’indubbia fedeltà di San Paolo alla dottrina del Maestro ed il dogma cattolico dell’ispirazione e dell’inerranza delle Sacre Scritture, in virtù del quale tutto ciò che lo scrittore sacro afferma, dichiara e insinua debba essere considerato come affermato, dichiarato ed insinuato dallo Spirito Santo; dopo uno studio attento e diretto dei testi delle Epistole dell’Apostolo, riconosciuti come perfettamente conformi al modo di parlare del Signore stesso, è necessario affermare che l’Apostolo Paolo non ha detto nulla nei suoi scritti che non fosse perfettamente conforme all’ignoranza del tempo della Parusia che Cristo stesso ha dichiarato essere propria degli uomini? Risposta: Sì.

3630. Domanda 3: Se consideriamo attentamente la frase greca “noi che siamo vivi e rimaniamo”, se teniamo conto anche delle spiegazioni dei Padri ed in particolare di Giovanni Crisostomo, così esperto nella conoscenza della sua lingua madre e delle Rpistole di san Paolo, è lecito respingere come troppo lontana e priva di solido fondamento l’interpretazione tradizionale nelle scuole cattoliche (che peraltro gli stessi innovatori cinquecenteschi mantennero) che spiega le parole di san Paolo nel capitolo 4 della prima lettera ai Tessalonicesi, versetti 15-17, (1Ts 4,15-17), senza includervi l’affermazione di una Parusia così vicina che l’Apostolo pone se stesso e i suoi lettori tra i superstiti che andranno incontro a Cristo? Risposta: No.

Decreto del Sant’Uffizio del 29 marzo (8 aprile) 1916.

Rifiuto di immagini raffiguranti Maria con paramenti sacerdotali.

3632. Poiché, soprattutto negli ultimi tempi, sono state dipinte e diffuse immagini raffiguranti la Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali,… i cardinali… hanno deciso il 15 gennaio 1913: l’immagine della Beata Vergine Maria in paramenti sacerdotali deve essere respinta.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 aprile 1916.

L’uso onanistico del matrimonio.

3634. Domanda: Può una moglie collaborare all’azione del marito che, per abbandonarsi alla voluttà, vuole commettere il crimine di Onan e dei Sodomiti e che la minaccia di morte o di gravi danni se non si adegua? Risposta: a) Se il marito vuole commettere il crimine di Onan nella consuetudine del Matrimonio, spargendo il seme al di fuori del recipiente dopo l’inizio dell’unione, e minaccia la moglie di morte o di gravi pene se non cede alla sua volontà perversa, secondo l’opinione di teologi provati e sperimentati, ella può in questo caso unirsi al marito in questo modo, poiché da parte sua si sta abbandonando ad una cosa e a un’azione lecita, ma permette il peccato del marito per un motivo serio che lo giustifichi; Infatti, l’amore con cui sarebbe tenuta a impedirlo non è vincolante quando è legato ad un tale danno. b) Ma se il marito vuole commettere con lei il crimine dei sodomiti, dato che questa unione sodomitica è un atto innaturale da parte di ciascuno dei coniugi che si uniscono in questo modo, e un atto gravemente malvagio secondo il giudizio di tutti i dottori, la moglie non può in questo caso cedere lecitamente al marito immorale per nessuna ragione, nemmeno per evitare la morte.

Risposta del Sant’Uffizio a vari Ordinari locali, 17 maggio 1916.

Gli ultimi Sacramenti per gli scismatici.

3635. Domanda 1: Si possono conferire questi Sacramenti, senza abiurare i propri errori, agli scismatici materiali che sono in punto di morte e che chiedono in buona fede l’assoluzione o l’estrema unzione? Risposta: No; al contrario, si richiede che rifiutino gli errori nel miglior modo possibile e che facciano una professione di fede.

3636. Domanda 2: L’assoluzione e l’Estrema Unzione possono essere conferite agli scismatici in punto di morte e privi di sensi? Risposta: Sì, condizionatamente, soprattutto se le circostanze permettono di ipotizzare che essi abbiano almeno implicitamente rigettato i loro errori, ma evitando efficacemente ogni scandalo, cioè facendo capire ai presenti che la Chiesa presume che all’ultimo momento essi siano tornati all’unità.

Risposta della Sacra Penitenzieria, 3 giugno 1916.

L’uso onanistico del matrimonio con mezzi artificiali.

3638. Domande: 1. Se il marito vuole usare uno strumento per praticare l’onanismo, la moglie è obbligata a opporsi positivamente?

3639. 2. Se la risposta è negativa per giustificare la resistenza passiva da parte della moglie, sono sufficienti ragioni dello stesso peso dell’onanismo naturale (senza strumento) o sono assolutamente necessarie ragioni di maggior peso?

3640 3. Se l’intero argomento deve essere sviluppato e insegnato in modo più sicuro, l’uomo che fa uso di tali strumenti deve davvero essere equiparato ad uno stupratore, al quale la donna deve quindi opporre la stessa resistenza di una vergine all’intruso? Risposte: Per 1. sì. – Per 2. Trattata al punto 1 – Per il punto 3. Sì.

Risposta del Sant’Uffizio, 24 aprile 1917.

Spiritismo.

3642. Domanda: È lecito assistere a colloqui o manifestazioni spiritiche, con un medium come si dice, o senza medium, con o senza l’uso dell’ipnotismo, anche quando queste sedute presentano un’apparenza di onestà e di pietà, interrogando le anime o gli spiriti, ascoltando la loro risposta, o semplicemente assistendo, anche protestando tacitamente o espressamente di non voler avere rapporti con gli spiriti maligni? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 aprile): No su tutti i punti.

Decreto del Sant’Uffizio, 5 giugno 1918.

La scienza dell’anima di Cristo.

3645. Domanda: Si possono insegnare con certezza le seguenti proposizioni? 1) Non è certo che ci fosse nell’anima di Cristo, mentre viveva tra gli uomini, la conoscenza che i beati possiedono in visione.

3646. (2) Non si può dichiarare certa l’opinione che l’anima di Cristo non conoscesse nulla, ma che fin dall’inizio conoscesse tutte le cose del Verbo, passate, presenti e future, cioè tutto ciò che Dio conosce attraverso la scienza della visione.

3647. (3) La dottrina di alcuni moderni sulla scienza limitata dell’anima di Cristo non è meno accettabile nelle scuole cattoliche dell’opinione degli antichi sulla sua scienza universale.

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 6 giugno): no.

Risposta del Sant’Uffizio, 16 (18) luglio 1919.

Dottrine teosofiche.

Domanda: Le dottrine che oggi si chiamano teosofiche possono essere messe d’accordo con la dottrina cattolica, ed è quindi lecito appartenere a società teosofiche, essere presenti alle loro riunioni e leggere i loro libri, riviste, giornali e scritti?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 17 luglio): no su tutti i punti.

Enciclica “Spiritus Paraclitus“, 15 settembre 1920.

L’ispirazione della Sacra Scrittura.

3650. Infatti, non si troverà pagina negli scritti del grandissimo dottore (Girolamo) da cui non emerga che con tutta la Chiesa Cattolica egli abbia fermamente e costantemente sostenuto che i libri scritti sotto l’ispirazione dello Spirito Santo hanno Dio come autore, e che come tali sono stati trasmessi alla Chiesa stessa (cf. 3006). Egli afferma, infatti, che i libri della Sacra Scrittura siano stati composti sotto l’ispirazione, o la suggestione o l’insinuazione, o addirittura sotto la dettatura dello Spirito Santo; inoltre, che è stato Lui a scriverli e a pubblicarli; e non dubita affatto che i vari autori, ciascuno secondo il proprio carattere ed il proprio ingegno, abbiano liberamente prestato il loro aiuto all’ispirazione divina. Così non solo afferma in modo generale ciò che è comune a tutti gli scrittori sacri, cioè che nello scrivere hanno seguito lo Spirito di Dio, in modo che Dio debba essere ritenuto la causa principale di ogni pensiero e di tutte le affermazioni della Scrittura, ma discerne anche con attenzione ciò che sia particolare per ciascuno. … Girolamo illustra questa comunanza di lavoro tra Dio e l’uomo in vista della realizzazione di una stessa opera paragonandola ad un operaio che, per realizzare un oggetto, si serve di un attrezzo o di uno strumento. …

PIO XI: 6 Febbraio 1922-10 febbraio 1939.

Decreto del Sant’Uffizio, 22 novembre 1922.

L’atto sessuale coitus interrumptus.

3660. Domande: 1 – È lecito che i confessori stessi insegnino la pratica dell’atto sessuale semicompleto e la raccomandino indistintamente a tutti i penitenti che temono di avere troppi figli?

3661. 2 – Deve essere biasimato il confessore che, dopo aver tentato invano tutti i rimedi per allontanare da questo male un penitente che abusa del Matrimonio, gli insegni a praticare l’atto sessuale a metà per evitare qualsiasi peccato mortale?

3662. (3) – Deve essere biasimato il confessore che, nelle circostanze descritte al punto (2), consigli al penitente di praticare l’atto sessuale semicompleto di cui è a conoscenza, o che, alla domanda se questa pratica sia lecita, risponda semplicemente che sia lecita, senza alcuna restrizione o spiegazione? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 23 novembre): Per 1. no. – Per 2. e 3. Sì.

Enciclica “Studiorum ducem“, 29 giugno 1923.

L’autorità dell’insegnamento di Tommaso d’Aquino.

3665. Da parte Nostra, ordiniamo che le prescrizioni dei Nostri predecessori, in particolare Leone XIII e Pio X, nonché le direttive da Noi impartite l’anno scorso, (cf. 3139; 3601) siano attentamente meditate e scrupolosamente osservate da tutti coloro che occupano specialmente le cattedre più importanti nelle scuole clericali. Siano però convinti di adempiere al loro ufficio e di rispondere alle nostre aspettative se, dopo essersi fatti ferventi discepoli del santo Dottore con uno studio diligente ed approfondito dei suoi scritti, comunichino ai loro alunni il fervore di questo amore commentando il Dottore, e li rendano capaci di suscitare lo stesso zelo negli altri.

3666. Certamente speriamo che tra coloro che venerano San Tommaso – come dovrebbero fare tutti i figli della Chiesa che si dedicano ai migliori studi – ci sia quella nobile emulazione, rispettosa di una giusta libertà, che favorisca il progresso della scienza, ma non la denigrazione, che non giova alla verità e che ha come unico risultato quello di sciogliere i legami della carità. Si attengano dunque tutti fedelmente a quanto prescrive il Codice di Diritto Canonico (CIS 1366 Par. 2), e cioè che “nello studio della filosofia razionale e della teologia, come pure nell’insegnamento di queste scienze agli alunni, i maestri seguano in tutto il metodo, la dottrina e i principi del Dottore Angelico, e si faranno un dovere di coscienza di aderirvi”; e tutti osserveranno questa regola, in modo da poterlo chiamare il loro maestro in tutta verità.

3667. Ma nessuno pretenda da un altro più di quanto la Chiesa, madre e maestra di tutti, pretenda da tutti; e nelle questioni su cui i migliori scrittori delle scuole cattoliche sono soliti disputare secondo opinioni contrarie, nessuno deve essere impedito di seguire l’opinione che gli sembri più probabile.

Lettera apostolica “Infinita Dei misericordia“, 29 maggio 1924.

La rinascita dei meriti e dei doni.

3670. Durante l’anno sabbatico, gli Ebrei recuperavano i beni che avevano alienato e tornavano “alla loro proprietà”; gli schiavi riacquistavano la libertà e tornavano “alla loro famiglia d’origine” (Lv XXV,10); e i debitori ricevevano la remissione del debito: ora tutto questo avviene e si verifica presso di noi in modo ancora più abbondante nell’anno del perdono. Infatti, chi durante il Giubileo si attiene alle prescrizioni della Sede Apostolica con cuore contrito, recupera tutti i meriti e le grazie che il peccato gli ha fatto perdere; e viene liberato dalla crudele tirannia di satana per poter godere nuovamente della libertà “con la quale Cristo ci ha liberati” (Ga IV,31); infine, grazie all’applicazione dei sovrabbondanti meriti di Gesù Cristo, della Beata Vergine Maria e dei Santi, viene pienamente esonerato da tutte le pene subite per le sue colpe e mancanze.

Decreto della Sacra Congregazione del Concilio, 13 giugno 1925.

Quasi-duelli conosciuti come Bestimmungs-Mensuren.

3672. Domanda: Le dichiarazioni della Sacra Congregazione del Concilio del 1890 (9 agosto) e del 1923 (10 febbraio), con le quali i duelli studenteschi in uso nelle università tedesche e chiamati Bestimmungs-Mensuren sono punibili con sanzioni ecclesiastiche, riguardano – secondo l’opinione di alcuni autori recenti – solo i duelli in cui si combatte con il pericolo di ferite molto gravi, o comprendono anche quelli che si svolgono senza pericolo di ferite gravi?

Risposta (approvata dal Sommo Pontefice il 20 giugno): No al primo punto, sì al secondo.

Enciclica “Quas primas“, 11 dicembre 1925.

La dignità ed il potere regale di Cristo uomo.

3675. Che Cristo sia chiamato “Re” in senso metaforico, per quell’alto grado di eccellenza con cui si distingue tra tutte le creature e le supera, è un’usanza che è sempre esistita ed è comune. Così si dice che egli regni sulle menti degli uomini…, e anche sulle volontà degli uomini… . Infine, Cristo è riconosciuto come il Re dei cuori… Tuttavia, per approfondire il nostro argomento, non c’è nessuno che non veda che il nome ed il potere di un re, nel senso proprio del termine, debbano essere attribuiti a Cristo nella sua umanità; infatti, è solo in quanto uomo che si può dire che abbia ricevuto potere e onore dal Padre.., poiché il Verbo di Dio, in quanto della stessa sostanza del Padre, non può non avere tutto in comune con il Padre, e quindi anche la sovranità suprema e più assoluta su tutte le creature. (Si dimostra poi dalle Scritture che Cristo sia Re; si fa riferimento in particolare a Num 24,19 Sal II, Sal XLIV,7; Sal LXXI,7 ss. Is 9,6 Ger XXIII,5 ss. Zac IX,9 Lc 1,32 ss.

3676. Quanto al fondamento di questa dignità e di questo potere, è felicemente indicato da Cirillo di Alessandria: “Per dirla in una parola, la sovranità che Egli possiede su tutte le creature, non l’ha presa con la forza, non l’ha ricevuta da una mano estranea, ma l’ha avuta per la sua essenza e per la sua natura”; la sua preminenza riposa infatti su questa mirabile unione che è chiamata ipostatica. Ne consegue non solo che Cristo debba essere adorato dagli Angeli e dagli uomini in quanto Dio, ma anche che gli Angeli e gli uomini debbano obbedire alla sua autorità ed essergli sottomessi in quanto uomo, perché solo in virtù dell’unione ipostatica Cristo ha potere su tutte le creature. Ma cosa c’è di più delizioso e soave per i nostri pensieri di questo: che Cristo regni su di noi non solo per diritto di nascita, ma anche per diritto acquisito, cioè perché ci ha redenti (cf. 3352)? Che tutti gli uomini smemorati ricordino quale prezzo siamo costati al nostro Salvatore: “Non siete stati infatti riscattati con oro e argento corruttibili… ma con il sangue prezioso di Cristo, come di un agnello senza macchia né difetto” (1P 1,18ss). Non apparteniamo più a noi stessi, poiché Cristo ci ha riscattati “a caro prezzo” (1Co VI:20) ; i nostri corpi stessi “sono membra di Cristo” (1Co IV: 15).

3677. Ma per spiegare brevemente il significato e la natura di questa regalità, è quasi superfluo dire che essa consista in un triplice potere, senza il quale la regalità sarebbe difficile da concepire. … Dobbiamo credere nella fede cattolica che Cristo Gesù sia stato dato agli uomini come il Redentore a cui debbano prestare fede, e allo stesso tempo come il Legislatore a cui debbano obbedire (cf. 1571). I Vangeli, tuttavia, non lo mostrano come Colui che abbia emanato leggi, ma piuttosto come il Legislatore. … – Quanto al potere giudiziario ricevuto dal Padre, Gesù stesso disse ai Giudei che lo accusavano di aver violato il riposo del sabato guarendo miracolosamente un malato: “Il Padre non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio” (Gv V,22). In questo si comprende anche – perché non possa essere separato dal giudizio – che Egli ha il pieno diritto di distribuire premi e castighi agli uomini, anche durante la loro vita. D’altra parte, è necessario attribuire a Cristo anche questo potere che viene chiamato esecutivo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo impero, con le punizioni che si dice saranno inflitte a coloro che si ribellano, e alle quali nessuno potrà sfuggire.

3678. Tuttavia, questo regno è principalmente spirituale e si estende alle realtà spirituali, come dimostrano chiaramente le parole della Scrittura che abbiamo riportato sopra, e come dimostra anche Cristo Signore nel modo in cui agisce. Infatti, non solo in un’occasione, quando i Giudei e persino gli stessi Apostoli pensavano che il Messia avrebbe condotto il popolo alla libertà e restaurato il regno di Israele, egli stesso eliminò e distrusse questa illusione e questa speranza. Quando stava per essere proclamato re dalla folla di ammiratori che lo circondava, rifiutò sia il titolo che l’onore andandosene e nascondendosi; davanti al governatore romano dichiarò di nuovo che il suo regno non fosse “di questo mondo” (Gv XVIII,36). I Vangeli ci presentano questo regno come un regno in cui ci si prepari ad entrare facendo penitenza, ed in cui nessuno possa entrare se non attraverso la fede ed il Battesimo, che, pur essendo un rito esterno, rappresenta e realizza una rigenerazione interiore. Si oppone unicamente al regno di satana ed al potere delle tenebre, ed ai suoi seguaci viene chiesto non solo di staccare il cuore dalle ricchezze e dai beni terreni, di praticare la mitezza e di avere fame e sete di giustizia, ma anche di rinunciare a se stessi e di prendere la propria croce. Ma poiché Cristo, come Redentore, ha acquistato la Chiesa con il suo sangue, e poiché come Dacerdote è offerto e si offre perennemente come vittima per i peccati, chi non vede che la stessa carica regale assuma la natura di questi due uffici e vi partecipi?

3679. Inoltre, sarebbe un errore ignominioso negare a Cristo uomo qualsiasi sovranità sulle società civili, poiché Egli ha dal Padre il diritto più assoluto sulle creature, dato che tutte le cose sono sotto il suo giudizio. Tuttavia, finché è vissuto sulla terra, si è astenuto completamente dall’esercitare questo dominio, e come allora ha disdegnato il possesso e la cura dei beni umani, così oggi li ha permessi e li permette a chi li possiede. Il che è detto nel modo più bello in questo detto: “Non rapisce regni mortali, Colui che dà regni eterni”. Perciò l’impero del nostro Redentore abbraccia l’intera umanità; a questo proposito facciamo volentieri nostre le parole del nostro predecessore di immortale memoria: “Manifestamente il suo impero non si estende solo alle nazioni che portano il nome di cattoliche, o a coloro che, essendo stati battezzati, appartengono alla Chiesa se consideriamo la legge, anche se l’errore delle loro opinioni li porti fuori strada da essa, o se il dissenso li separi dalla carità; ma abbraccia anche tutti coloro che sono considerati fuori dalla fede cristiana, in modo che è in stretta verità l’universalità del genere umano che è soggetto al potere di Gesù Cristo” (cf. 3350). E a questo proposito non c’è bisogno di fare alcuna differenza tra le diverse comunità domestiche o civili, perché gli uomini riuniti in società non sono meno soggetti al potere di Cristo dei singoli individui. Lo stesso Cristo è la fonte della salvezza sia privata che comune: “Non c’è salvezza in nessun altro e non è stato dato agli uomini nessun altro nome sotto il cielo che si debba invocare per essere salvati” (At IV,12).

Istruzione del Sant’Uffizio, 19 giugno 1926.

Cremazione dei corpi.

3680. Poiché vi sono molti, anche tra i Cattolici, che non esitano a celebrare questa barbara usanza che ripugna non solo alla pietà cristiana, ma anche a quella naturale verso i corpi dei defunti, e che la Chiesa, fin dall’inizio, ha costantemente proscritto, come uno dei più lodevoli vantaggi che dobbiamo al progresso civile di oggi, come si dice, e alla conoscenza della protezione della salute,… (i fedeli devono essere avvertiti) che questa cremazione dei cadaveri è lodata e propagata dai nemici del nome cristiano al solo scopo di allontanare gradualmente le menti dalla mediazione della morte, di privarle della speranza nella resurrezione dei morti e di preparare così la strada al materialismo. Di conseguenza, sebbene la cremazione dei cadaveri non sia in sé assolutamente malvagia, e sebbene in alcune circostanze straordinarie, per gravi e consolidate ragioni di interesse pubblico, possa essere autorizzata, e di fatto lo è, non è meno evidente che la sua pratica comune e in qualche modo sistematica, così come la propaganda a suo favore, costituiscono atti empi e scandalosi, e sono quindi gravemente illeciti.

Dichiarazione del Sant’Uffizio, 2 giugno 1927.

Il “Comma Johanneum

3681. Domanda Si può negare o almeno dubitare con certezza dell’autenticità del testo di San Giovanni nella prima epistola, capitolo 5, versetto 7, che dice: “Tre infatti sono i testimoni nei cieli: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo, e questi tre sono uno”? (1Gv V,7) Il 13 gennaio 1897, il Sant’Uffizio ha dato la seguente risposta alla domanda: No. Nella dichiarazione del 2 giugno 1927, il Sant’Uffizio ha affrontato nuovamente la questione:

3682. Questo decreto è stato dato per frenare l’audacia dei dottori privati che si arrogano il diritto o di rifiutare completamente l’autenticità del Comma Johanneum, o almeno di metterlo in dubbio con il loro ultimo giudizio. Tuttavia, non intendeva in alcun modo impedire agli autori cattolici di approfondire la questione e, dopo aver soppesato attentamente le argomentazioni con la misura e con la gravità che la questione richiede, possano propendere per una concezione contraria all’autenticità, purché almeno si riconoscano disposti a conformarsi al giudizio della Chiesa, che ha ricevuto da Cristo il mandato non solo di interpretare la Sacra Scrittura, ma anche di custodirla fedelmente.

Lett.Encycl. “Mortalium animos”. 6 genn. 1928.

3683. … inoltre in materia di fede, non è lecito ricorrere a quella differenza che si volle introdurre tra articoli fondamentali e non fondamentali, quasi che i primi si debbano da tutti ammettere e i secondi invece siano lasciati liberi all’accettazione dei fedeli. La virtù soprannaturale della fede, avendo per causa formale l’autorità di Dio rivelante, non permette tale distinzione. Sicché tutti i cristiani prestano, per esempio, al dogma della Immacolata Concezione la stessa fede che al mistero dell’Augusta Trinità, e credono all’Incarnazione del Verbo non altrimenti che al Magistero infallibile del Romano Pontefice, nel senso, naturalmente, determinato dal Concilio Ecumenico Vaticano. Né per essere state queste verità con solenne decreto della Chiesa definitivamente determinate, quali in un tempo quali in un altro, anche se a noi vicino, sono perciò meno certe e meno credibili? Non le ha tutte rivelate Iddio? Il Magistero della Chiesa — che per divina Provvidenza fu stabilito nel mondo affinché le verità rivelate si conservassero sempre incolumi, e facilmente e con sicurezza giungessero a conoscenza degli uomini, — benché quotidianamente si eserciti dal Romano Pontefice e dai Vescovi in comunione con lui, ha però l’ufficio di procedere opportunamente alla definizione di qualche punto con riti e decreti solenni, se accada di doversi opporre più efficacemente agli errori e agli assalti degli eretici, oppure d’imprimere nelle menti dei fedeli punti di sacra dottrina più chiaramente e profondamente spiegati. Però con questo uso straordinario del Magistero non si introducono invenzioni né si aggiunge alcunché di nuovo al complesso delle dottrine che, almeno implicitamente, sono contenute nel deposito della Rivelazione divinamente affidato alla Chiesa, ma si dichiarano i punti che a parecchi forse ancora potrebbero sembrare oscuri, o si stabiliscono come materia di fede verità che prima da taluno si reputavano controverse.

Decr. del Sant’Uffizio, 24 luglio (2 agosto) 1929.

Masturbazione diretta.

3684. È lecita la masturbazione provocata direttamente per ottenere lo sperma e quindi individuare la malattia contagiosa chiamata “blenorragia” e curarla per quanto possibile? – Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 26 luglio) No.

Let. Encycl. “Divini illius magistri”, 31 dic. 1929.

3685. [Dz 2202]. Poiché ogni metodo di educazione mira a quella formazione dell’uomo che egli deve acquisire in questa vita mortale, per raggiungere il fine ultimo a lui destinato dal Creatore, è evidente che non può chiamarsi veramente tale nessuna educazione che non sia interamente ordinata a questo fine ultimo, nell’ordine attuale delle cose stabilito dalla provvidenza di Dio, cioè dopo che Egli si è rivelato nel suo Unigenito, che solo è “la via, la verità e la vita” (Gv XIV,6), non può esistere un’educazione piena e perfetta se non quella che si chiama cristiana. . . .

3685. [Dz 2203] Il compito di educare non appartiene ai singoli uomini, ma necessariamente alla società. Ora, le società necessarie sono tre, distinte l’una dall’altra, ma armoniosamente combinate per volontà di Dio, alle quali l’uomo è assegnato fin dalla nascita; di queste, due, cioè la famiglia e la società civile, sono di ordine naturale; la terza, la Chiesa, per intenderci, è di ordine soprannaturale. La vita familiare occupa il primo posto e, poiché è stata istituita e preparata da Dio stesso per questo scopo, per prendersi cura della generazione e dell’educazione della prole, per sua natura e per i suoi diritti intrinseci ha la priorità sulla società civile. Tuttavia, la famiglia è una società imperfetta, perché non è dotata di tutte quelle cose con cui può raggiungere perfettamente il suo nobilissimo scopo; ma l’associazione civile, poiché ha in suo potere tutte le cose necessarie per raggiungere il fine a cui è destinata, cioè il bene comune di questa vita terrena, è una società assoluta sotto tutti i punti di vista e perfetta; per questo stesso motivo, quindi, è preminente rispetto alla vita familiare, che in effetti può realizzare il suo scopo in modo sicuro e corretto solo nella società civile. Infine, la terza società, in cui l’uomo con le acque del Battesimo entra in una vita di grazia divina, è la Chiesa, sicuramente una società soprannaturale che abbraccia tutto il genere umano; perfetta in se stessa, poiché tutte le cose sono a sua disposizione per raggiungere il suo fine, cioè la salvezza eterna dell’uomo, e quindi suprema nel suo stesso ordine. – Di conseguenza, l’educazione, che si occupa di tutto l’uomo, dell’uomo individualmente e come membro della società umana, sia essa stabilita nell’ordine della natura o nell’ordine della grazia divina, riguarda queste tre società necessarie, in modo armonioso secondo il fine proprio di ciascuna, in proporzione all’ordine attuale divinamente stabilito.

3686. [Dz 2204]. Ma in primo luogo, in modo più preminente, l’educazione spetta alla Chiesa, cioè per un duplice titolo nell’ordine soprannaturale che Dio ha conferito a lei sola; e quindi con un titolo del tutto più potente e più valido di qualsiasi altro titolo dell’ordine naturale. – La prima ragione di tale diritto risiede nella suprema autorità del Magistero e nella missione che il divino Fondatore della Chiesa le ha conferito con queste parole: “A me è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque ad insegnare… fino alla consumazione del mondo” (Mt XXVIII,18-20). A questo Magistero Cristo Signore ha conferito l’immunità dall’errore, insieme al comando di insegnare a tutti la Sua dottrina; pertanto, la Chiesa “è stata istituita dal suo divino Fondatore come colonna e fondamento della verità, per insegnare a tutti gli uomini la fede divina, per custodire integro e inviolato il deposito che le è stato dato, e per dirigere e modellare gli uomini nelle loro azioni pubbliche e private verso la purezza dei costumi e l’integrità della vita, secondo la norma della dottrina rivelata”. * – La seconda ragione del diritto deriva da quel dovere soprannaturale di madre, con il quale la Chiesa, purissima sposa di Cristo, dona agli uomini una vita di grazia divina, e la nutre e promuove con i suoi Sacramenti e precetti. Degnamente, quindi, Sant’Agostino dice: “Non avrà Dio come padre chi non sarà disposto ad avere la Chiesa come madre”. *

3687. [Dz 2205] Perciò la Chiesa promuove le lettere, le scienze e le arti, nella misura in cui sono necessarie o utili all’educazione cristiana e a tutte le sue attività per la salvezza delle anime, fondando e sostenendo le sue scuole e istituzioni, nelle quali si insegna ogni disciplina e ci si avvicina a tutti i gradi dell’erudizione. E non si deve pensare che la cosiddetta educazione fisica sia estranea al suo Magistero materno, poiché anch’essa ha la capacità di giovare o nuocere all’educazione cristiana. – E questa azione della Chiesa in ogni tipo di cultura della mente, così come è di altissimo beneficio per le famiglie e le nazioni che, allontanate da Cristo, corrono verso la distruzione, – come dice giustamente Ilario: “Cosa può essere così pericoloso per il mondo come non aver accettato Cristo?”. *—La Chiesa, infatti, come madre prudentissima, non impedisce affatto che le sue scuole e le sue istituzioni, in ogni nazione, che educano i laici, si conformino alle leggi prescritte dalle autorità, ma è pronta in ogni modo a collaborare con le autorità e, se per caso dovessero sorgere delle difficoltà, a scioglierle con una reciproca intesa.

3688. Inoltre, è diritto della Chiesa, che non può cedere, e dovere che non può abbandonare, di vigilare su tutta l’educazione che viene impartita ai suoi figli, cioè ai fedeli, sia nelle istituzioni pubbliche che in quelle private, non solo per quanto riguarda la dottrina religiosa che vi viene insegnata, ma anche per quanto riguarda ogni altra disciplina o disposizione di affari, secondo che abbiano qualche relazione con la Religione e i precetti morali. *

3689. [Dz 2206] I diritti della famiglia e dello Stato, persino gli stessi diritti che appartengono ai singoli cittadini in riferimento alla giusta libertà di investigare le cose della scienza e dei metodi della scienza, e di ogni cultura profana della mente, non solo non sono in contrasto con tale diritto speciale della Chiesa, ma sono addirittura in armonia con esso. Infatti, per far conoscere subito la causa e l’origine di tale concordia, l’ordine soprannaturale, da cui dipendono i diritti della Chiesa, lungi dal distruggere e indebolire l’ordine naturale, a cui appartengono gli altri diritti che abbiamo menzionato, piuttosto lo eleva e lo perfeziona; infatti, di questi ordini uno fornisce l’aiuto e, per così dire, il complemento all’altro, coerentemente con la natura e la dignità di ciascuno, poiché entrambi procedono da Dio, che non può essere incoerente con se stesso: “Le opere di Dio sono perfette e tutte le sue vie sono giudizio” (Dt XXXII,4). – In effetti, la questione apparirà più chiara se consideriamo separatamente e più da vicino il dovere di educare, che riguarda la famiglia e lo Stato.

3690. [Dz 2207] E, in primo luogo, il dovere della famiglia concorda meravigliosamente con il dovere della Chiesa, poiché entrambi procedono in modo molto simile da Dio. Infatti Dio comunica direttamente alla famiglia la fecondità, nell’ordine naturale, il principio della vita e quindi il principio dell’educazione alla vita, insieme all’autorità, che è il principio dell’ordine. – A questo proposito il Dottore Angelico, con la consueta chiarezza di pensiero e precisione nel parlare, dice: “Il padre secondo la carne partecipa in modo particolare al metodo del principio che si trova universalmente in Dio. . . Il padre è il principio della generazione e dell’educazione, e di tutte le cose che riguardano la perfezione della vita umana”. La famiglia, dunque, detiene direttamente dal Creatore il dovere ed il diritto di educare la propria prole; e poiché questo diritto non può essere messo da parte, perché è connesso ad un obbligo molto grave, ha la precedenza su qualsiasi diritto della società civile e dello Stato, e per questo nessun potere sulla terra può infrangerlo. . . .

3691. [Dz 2208] Da questo dovere di educare, che appartiene in modo particolare alla Chiesa ed alla famiglia, non solo derivano i maggiori vantaggi, come abbiamo visto, per tutta la società, ma non possono essere lesi i veri e propri diritti dello Stato, per quanto riguarda l’educazione dei cittadini, secondo l’ordine stabilito da Dio. Questi diritti sono assegnati alla società civile dallo stesso Autore della natura, non per diritto di paternità, come per la Chiesa e la famiglia, ma per l’autorità che è in Lui di promuovere il bene comune sulla terra, che è appunto il suo fine.

3692. [Dz 2209] Da ciò consegue che l’educazione non appartiene alla società civile nello stesso modo in cui appartiene alla Chiesa o alla famiglia, ma chiaramente in un altro modo, che corrisponde naturalmente al suo fine proprio. Questo fine, inoltre, cioè il bene comune dell’ordine temporale, consiste nella pace e nella sicurezza, di cui godono le famiglie ed i singoli cittadini esercitando i loro diritti; e allo stesso tempo nella massima abbondanza possibile di cose spirituali e temporali per la vita mortale, abbondanza che deve essere raggiunta con lo sforzo ed il consenso di tutti. Il dovere dell’autorità civile, che è nello Stato, è dunque duplice: custodire e far progredire, ma in nessun modo assorbire la famiglia ed i singoli cittadini o sostituirsi ad essi.

3693. Pertanto, per quanto riguarda l’educazione, è diritto o, per meglio dire, compito dello Stato tutelare con le sue leggi il diritto prioritario della famiglia, come abbiamo detto sopra; cioè, di educare la prole in modo cristiano, e quindi di riconoscere il diritto soprannaturale della Chiesa in tale educazione cristiana. – Lo Stato ha anche il dovere di tutelare questo diritto nel bambino stesso, se in qualsiasi momento le cure dei genitori – a causa della loro inerzia, ignoranza o cattiva condotta – vengano meno fisicamente o moralmente; poiché il loro diritto di educare, come abbiamo detto sopra, non è assoluto e dispotico, ma dipendente dalla legge naturale e divina, e per questo soggetto non solo all’autorità ed al giudizio della Chiesa, ma anche alla vigilanza ed alla cura dello Stato per il bene comune; perché la famiglia non è una società perfetta, che possiede in sé tutto ciò che è necessario per portarsi alla piena e completa perfezione. In questi casi, altrimenti molto rari, lo Stato si mette al posto della famiglia, ma, sempre nel rispetto dei diritti naturali del bambino e dei diritti soprannaturali della Chiesa, considera e provvede alle necessità del momento con un’opportuna assistenza.

3694. [Dz 2210] In generale, è diritto e dovere dello Stato vigilare sull’educazione morale e religiosa della gioventù secondo le norme della retta ragione e della fede, rimuovendo gli impedimenti pubblici che vi si oppongono. Ma è soprattutto dovere dello Stato, come esige il bene comune, promuovere l’educazione e l’istruzione della gioventù in diversi modi; in primo luogo e da solo, favorendo e aiutando l’opera intrapresa dalla Chiesa e dalla famiglia, il cui successo è dimostrato dalla storia e dall’esperienza; laddove quest’opera manca o non è sufficiente, svolgendola in prima persona, anche con la creazione di scuole e istituti; perché lo Stato, più delle altre società, abbonda di risorse che, essendogli state date per i bisogni comuni di tutti, è giusto ed opportuno che le spenda a beneficio di coloro da cui le ha ricevute. Inoltre, lo Stato può prescrivere e poi fare in modo che tutti i cittadini apprendano i doveri civili e politici; anche che vengano istruiti nelle scienze e nell’apprendimento della morale e della cultura fisica, nella misura in cui sia opportuno e il bene comune ai nostri tempi lo richieda. Tuttavia, è chiaro che lo Stato è tenuto a rispettare, pur promuovendo l’istruzione pubblica e privata in tutti questi modi, i diritti intrinseci della Chiesa e della famiglia ad un’educazione cristiana, ma anche ad avere riguardo per la giustizia che attribuisce a ciascuno il proprio. Pertanto, non è lecito che lo Stato riduca a sé l’intero controllo dell’educazione e dell’istruzione, in modo che le famiglie siano costrette fisicamente e moralmente a mandare i loro figli alle scuole dello Stato, contrariamente ai doveri della loro coscienza cristiana od alla loro legittima preferenza.

3695. Tuttavia, ciò non impedisce allo Stato di istituire scuole che possano essere definite preparatorie per i doveri civici, specialmente per il servizio militare, per la corretta amministrazione del governo o per il mantenimento della pace in patria e all’estero; tutte attività che, essendo così necessarie per il bene comune, richiedono una particolare competenza e una speciale preparazione, purché lo Stato si astenga dall’offendere i diritti della Chiesa e della famiglia nelle questioni che li riguardano.

3696. [Dz 2211] Spetta alla società civile fornire, non solo alla gioventù, ma anche a tutte le età e a tutte le classi, un’educazione che si può chiamare civica, e che consiste, in positivo, come si dice, nel fatto che le questioni siano presentate pubblicamente agli uomini che appartengono a tale società, i quali, impregnando le loro menti con la conoscenza e l’immagine delle cose, e con un appello emotivo, spingano le loro volontà verso l’onorevole e le guidano con una sorta di costrizione morale; ma in negativo, nel fatto che essa protegge e ostacola le cose che vi si oppongono. Ora, questa educazione civica, così ampia e complessa da includere quasi l’intera attività dello Stato per il bene comune, deve essere conforme alle leggi della giustizia e non può essere in contrasto con la dottrina della Chiesa, che è la maestra divinamente costituita di queste leggi.

[Dz 2212]. Non bisogna mai dimenticare che nel senso cristiano l’uomo intero deve essere educato, grande com’è, cioè riunito in una sola natura, attraverso lo spirito e il corpo, e istruito in tutte le parti della sua anima e del suo corpo, che procedono dalla natura o la superano, come finalmente lo riconosciamo dalla retta ragione e dalla rivelazione divina, cioè l’uomo che, decaduto dalla sua condizione originaria, Cristo ha redento e restituito a questa dignità soprannaturale, per essere figlio adottivo di Dio, ma senza i privilegi preternaturali grazie ai quali il suo corpo era prima immortale e la sua anima giusta e sana. Per questo motivo, è accaduto che i difetti che sono confluiti nella natura dell’uomo dal peccato di Adamo, in particolare l’infermità della volontà e i desideri sfrenati dell’anima, sopravvivono nell’uomo. – E, certamente, “la follia è legata al cuore del bambino e la verga della correzione la scaccerà” ( Pr XXII,15). Pertanto, fin dall’infanzia l’inclinazione della volontà, se perversa, deve essere frenata; ma se buona, deve essere promossa, e soprattutto le menti dei bambini devono essere impregnate degli insegnamenti che vengono da Dio, e le loro anime rafforzate dagli aiuti della grazia divina; e, se questi venissero a mancare, nessuno potrebbe essere frenato nei suoi desideri né guidato alla completa perfezione dalla formazione e dall’istruzione della Chiesa, che Cristo ha dotato della dottrina celeste e dei divini Sacramenti per essere l’efficace maestra di tutti gli uomini.

[Dz 2213]. Pertanto, ogni forma di insegnamento ai bambini che, limitandosi alle sole forze della natura, rifiuta o trascura le questioni che contribuiscono, con l’aiuto di Dio, alla giusta formazione della vita cristiana, è falsa e piena di errori; ed ogni modo e metodo di educazione della gioventù che non tenga conto, o lo faccia a malapena, della trasmissione del peccato originale dai nostri primi genitori a tutti i posteri, e quindi si affida interamente alle sole forze della natura, si allontana completamente dalla verità. La maggior parte dei sistemi di insegnamento che vengono apertamente proclamati ai nostri giorni tendono a questo obiettivo. Hanno vari nomi, a dire il vero, ma la loro caratteristica principale è quella di basare quasi tutta l’istruzione sul fatto che sia giusto che i bambini si istruiscano da soli, evidentemente con il proprio genio e la propria volontà, ignorando i consigli degli anziani e degli insegnanti e mettendo da parte ogni legge e risorsa umana e persino divina. Tuttavia, se tutti questi aspetti sono così circoscritti dai loro stessi limiti che i nuovi maestri di questo tipo desiderano che anche i giovani prendano parte attiva alla loro istruzione, tanto più correttamente quanto più avanzano negli anni e nella conoscenza delle cose, e allo stesso modo che tutta la forza e la severità, di cui, tuttavia, la giusta correzione non fa assolutamente parte, questo è vero, ma non è affatto nuovo, poiché la Chiesa lo ha insegnato e i maestri cristiani, in modo tramandato dai loro antenati, lo hanno mantenuto, imitando Dio che ha voluto che tutte le cose create e soprattutto tutti gli uomini cooperassero attivamente con Lui secondo la loro natura, poiché la Sapienza divina “giunge da un capo all’altro e ordina tutte le cose con dolcezza” (Sg VIII,1). . . .

3697. [Dz 2214] Ma molto più perniciose sono quelle opinioni e quegli insegnamenti che riguardano il seguire assolutamente la natura come guida. Questi entrano in una certa fase dell’educazione umana che è piena di difficoltà, cioè quella che ha a che fare con l’integrità morale e la castità. Infatti, qua e là molti sostengono e promuovono stoltamente e pericolosamente il metodo di educazione che viene disgustosamente chiamato “sessuale”, poiché pensano stupidamente di poter mettere in guardia i giovani dalla sensualità e dall’eccesso con mezzi puramente naturali, dopo aver scartato ogni aiuto religioso e pio, iniziandoli e istruendoli tutti, senza distinzione di sesso, anche pubblicamente, in dottrine pericolose; e, quel che è peggio, esponendoli prematuramente alle occasioni, affinché le loro menti, abituate, come dicono, si induriscano ai pericoli della pubertà. – Ma in questo sbagliano gravemente, perché non tengono conto della debolezza innata della natura umana e di quella legge piantata nelle nostre membra che, per usare le parole dell’Apostolo Paolo, “combatte contro la legge della mia mente” (Rm VII,23); e inoltre negano avventatamente ciò che abbiamo imparato dall’esperienza quotidiana, ossia che i giovani certamente più degli altri cadono più spesso in azioni disdicevoli, non tanto a causa di una conoscenza imperfetta dell’intelletto, quanto a causa di una volontà esposta alle lusinghe e non sostenuta dall’assistenza divina. – In questa materia estremamente delicata, tutto sommato, se alcuni giovani devono essere consigliati al momento opportuno da coloro ai quali Dio ha affidato il compito, unito alle grazie opportune, di educare i bambini, sicuramente si devono usare quelle precauzioni e abilità che sono ben note agli insegnanti cristiani.

3698. [Dz 2215] Sicuramente, altrettanto falso e dannoso per l’educazione cristiana è quel metodo di istruzione dei giovani che viene comunemente chiamato “coeducazione”. I due sessi sono stati istituiti dalla sapienza di Dio a questo scopo, affinché nella famiglia e nella società si completino a vicenda e si uniscano in ogni cosa; per questo motivo esiste una distinzione del corpo e dell’anima che li differenzia l’uno dall’altro, che di conseguenza deve essere mantenuta nell’educazione e nell’istruzione, o, piuttosto, dovrebbe essere favorita da una giusta distinzione e separazione, in accordo con l’età e le circostanze. Tali precetti, in accordo con quelli della prudenza cristiana, devono essere osservati al momento giusto e in modo opportuno non solo in tutte le scuole, soprattutto durante gli anni inquieti della giovinezza, da cui dipende interamente il modo di vivere per quasi tutta la vita futura, ma anche nei giochi e negli esercizi ginnici, in cui si deve prestare particolare attenzione alla modestia cristiana delle ragazze, in quanto è particolarmente sconveniente per loro esporsi ed esibirsi sotto gli occhi di tutti.

[Dz 2216] Ma per ottenere un’educazione perfetta bisogna fare in modo che tutte le condizioni che circondano i bambini durante la loro formazione corrispondano al fine proposto. – E sicuramente, per necessità di natura, l’ambiente del bambino per la sua corretta formazione deve essere considerato come la sua famiglia, istituita da Dio proprio a questo scopo. Perciò, infine, considereremo giustamente stabile e sicura l’istituzione che si riceve in una famiglia ben ordinata e ben disciplinata; e tanto più efficace e stabile quanto più i genitori e gli altri membri della famiglia si presentano ai figli come esempio di virtù.

[Dz 2217] Inoltre, per le debolezze della natura umana, resa più debole dal peccato ancestrale, Dio nella sua bontà ha fornito gli abbondanti aiuti della sua grazia e quell’abbondante assistenza che la Chiesa possiede per purificare le anime e per condurle alla santità; la Chiesa, diciamo, quella grande famiglia di Cristo, che è l’ambiente educativo più intimamente e armoniosamente connesso con le singole famiglie.

[Dz 2218] Poiché, tuttavia, le nuove generazioni dovevano essere istruite in tutte quelle arti e scienze grazie alle quali la società civile progredisce e fiorisce, e poiché la famiglia da sola non bastava a questo scopo, nacquero le scuole pubbliche; ma all’inizio – si noti bene – attraverso gli sforzi della Chiesa e della famiglia che lavoravano insieme, e solo molto più tardi attraverso gli sforzi dello Stato. Così le sedi e le scuole di apprendimento, se consideriamo la loro origine alla luce della storia, erano per loro natura un aiuto, per così dire, e quasi un complemento sia alla Chiesa che alla famiglia. Ne consegue che le scuole pubbliche non solo non possono essere in opposizione alla famiglia e alla Chiesa, ma devono sempre essere in armonia con entrambe, per quanto le circostanze lo permettano, in modo che questi tre elementi, cioè la scuola, la famiglia e la Chiesa, sembrino realizzare essenzialmente un unico santuario dell’educazione cristiana, a meno che non si voglia che la scuola si allontani dal suo chiaro scopo e si trasformi in una malattia e nella distruzione della gioventù.

[Dz 2219] Da ciò consegue necessariamente che attraverso le scuole dette neutrali o ludiche, l’intero fondamento dell’educazione cristiana viene distrutto e rovesciato, in quanto la Religione è stata completamente rimossa da esse. Ma non si tratta di scuole neutrali se non in apparenza, perché in realtà sono o saranno chiaramente ostili alla Religione. – È un compito lungo e non c’è bisogno di ripetere ciò che hanno dichiarato apertamente i Nostri predecessori, in particolare Pio IX e Leone XIII, durante i cui regni si verificò soprattutto la grave malattia di tale laicismo che invase le scuole pubbliche. Ripetiamo e confermiamo le loro dichiarazioni e anche le prescrizioni dei Sacri Canoni, secondo le quali ai giovani Cattolici è proibito frequentare per qualsiasi motivo le scuole neutre o miste, cioè quelle che Cattolici e non Cattolici frequentano per l’istruzione; ma sarà permesso frequentarle, purché a giudizio di un ordinario prudente, in certe condizioni di luogo e di tempo, si prendano speciali precauzioni. Non si può infatti tollerare una scuola (soprattutto se è l'”unica” scuola e tutti i bambini sono tenuti a frequentarla) in cui, sebbene i precetti della sacra dottrina siano insegnati separatamente ai Cattolici, i maestri non siano Cattolici, e che impartiscano ai bambini cattolici e non cattolici una conoscenza generale delle arti e delle lettere.

[Dz 2220] Perché, poiché l’insegnamento della Religione è impartito in una certa scuola (di solito con troppa parsimonia), tale scuola per questo motivo non soddisfa i diritti della Chiesa e della famiglia; né è così resa adatta alla frequenza degli alunni cattolici; Perché, affinché qualsiasi scuola sia all’altezza di questo, è necessario che tutta l’istruzione e la dottrina, l’intera organizzazione della scuola, cioè i suoi insegnanti, il piano di studi, i libri, in realtà, tutto ciò che riguarda qualsiasi ramo dell’apprendimento, sia così permeato e così forte nello spirito cristiano, sotto la guida e l’eterna vigilanza della Chiesa, che la Religione stessa costituisca sia la base che il fine dell’intero schema di istruzione; e questo non solo nelle scuole in cui si insegnano gli elementi dell’apprendimento, ma anche in quelle di studi superiori. “È necessario”, per usare le parole di Leone XIII, “non solo che la gioventù venga educata alla Religione in determinati momenti, ma che tutto il resto della sua istruzione sia pervaso da un sentimento religioso. Se questo manca, se questa sacra condizione non permea e non stimola le menti degli insegnanti e degli istruiti, si otterrà poco beneficio da qualsiasi apprendimento, e spesso ne seguirà un danno non piccolo “.

[Dz 2221] Inoltre, tutto ciò che viene fatto dai fedeli di Cristo per promuovere e proteggere la scuola cattolica per i loro figli, è senza dubbio un’opera religiosa, e quindi un dovere importantissimo dell'”Azione Cattolica”; di conseguenza, sono molto graditi al Nostro cuore paterno e degni di particolare lode tutti quei sodalizi che in molti luoghi si impegnano in modo speciale e con grande zelo in un’opera così essenziale. – Pertanto, sia proclamato in alto, ben notato e riconosciuto da tutti che i fedeli di Cristo, nel richiedere una scuola cattolica per i loro figli, non sono in nessun luogo del mondo colpevoli di un atto di dissenso politico, ma compiono un dovere religioso che la loro stessa coscienza richiede perentoriamente; e questi Cattolici non intendono sottrarre i loro figli alla formazione e allo spirito dello Stato, ma piuttosto formarli proprio a questo scopo, nel modo più perfetto e più adatto all’utilità della nazione, poiché un vero Cattolico, in effetti, ben istruito nell’insegnamento cattolico, è per questo stesso fatto il miglior cittadino, un sostenitore del suo paese e obbediente con una fede sincera all’autorità pubblica sotto qualsiasi forma legittima di governo.

[Dz 2222] La salutare efficienza delle scuole, inoltre, va attribuita non tanto alle buone leggi, quanto ai buoni insegnanti, che, ben preparati e ciascuno con una buona conoscenza della materia da insegnare agli studenti, veramente adorni delle qualità di mente e di spirito che il loro dovere più importante ovviamente richiede, brillano di un amore puro e divino per i giovani loro affidati, proprio come amano Gesù Cristo e la sua Chiesa, di cui sono i figli più amati, e proprio per questo hanno sinceramente a cuore il vero bene della famiglia e della patria. Perciò ci consoliamo molto e riconosciamo la bontà di Dio con cuore grato, quando vediamo che oltre agli uomini e alle donne delle comunità religiose che si dedicano all’insegnamento dei bambini e dei giovani, ci sono tanti ed eccellenti insegnanti laici di entrambi i sessi, e che questi – per il loro maggiore progresso spirituale si uniscono in associazioni e sodalizi spirituali, che vanno lodati e promossi come un nobile e forte aiuto all'”Azione Cattolica” – incuranti del proprio vantaggio, si dedicano strenuamente e incessantemente a quello che San Gregorio di Nazianzo chiama “il bene”. Gregorio di Nazianzo chiama “l’arte delle arti e la scienza delle scienze”, ossia la direzione e la formazione della gioventù. Tuttavia, poiché le parole del Maestro divino si applicano anche a loro: “La messe è molta, ma gli operai sono pochi” (Mt IX,37), questi insegnanti di educazione cristiana – la cui formazione dovrebbe essere di particolare interesse per i pastori d’anime e i superiori degli Ordini religiosi – esortiamo il Signore della messe con preghiere supplichevoli a fornire tali insegnanti in maggior numero.

[Dz 2223] Inoltre, l’educazione del bambino, in quanto “molle come la cera per essere plasmato nei vizi” in qualsiasi ambiente viva, deve essere diretta e sorvegliata rimuovendo le occasioni di male e fornendo opportunamente occasioni di bene nei momenti di rilassamento della mente e di godimento dei compagni, perché “le cattive comunicazioni corrompono i buoni costumi” (1Cor XV,33). – Tuttavia, la vigilanza e l’attenzione che abbiamo detto dovrebbero essere applicate non richiedono affatto che i giovani siano allontanati dalla frequentazione di uomini con i quali devono vivere la loro vita e che devono consultare per quanto riguarda la salvezza delle loro anime; ma solo che siano fortificati e rafforzati cristianamente – soprattutto oggi – contro gli allettamenti e gli errori del mondo, che, secondo le parole di Giovanni, sono interamente “concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e orgoglio della vita” (1Gv II,16), in modo che, come scrisse Tertulliano dei primi Cristiani: “I nostri si mantengano come Cristiani che devono essere sempre partecipi del possesso del mondo, non del suo errore”.

[Dz 2224] L’educazione cristiana mira propriamente e immediatamente a fare dell’uomo un vero e perfetto cristiano cooperando con la grazia divina, cioè a plasmare e modellare Cristo stesso in coloro che sono rinati nel battesimo, secondo la chiara affermazione dell’Apostolo: “Figlioli miei, di cui sono di nuovo in travaglio, finché non sia formato Cristo in voi” (Ga IV,19). Infatti, il vero cristiano deve vivere una vita soprannaturale in Cristo: “Cristo è la nostra vita” (Col III,4), e manifestarla in tutte le sue azioni, “affinché la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2Cor IV,11). – Per questo motivo, l’educazione cristiana abbraccia la totalità delle azioni umane, perché riguarda il funzionamento dei sensi e dello spirito, dell’intelletto e della morale, degli individui, della società domestica e civile, non per indebolirla, ma per elevarla, regolarla e perfezionarla, secondo l’esempio e l’insegnamento di Gesù Cristo. – Così il vero Cristiano, plasmato dall’educazione cristiana, non è altro che l’uomo soprannaturale che pensa, giudica e agisce costantemente e coerentemente secondo la retta ragione; ispirato soprannaturalmente dagli esempi e dagli insegnamenti di Gesù Cristo; cioè un uomo eccezionale per forza di carattere. Infatti, chi segue la propria inclinazione e agisce ostinatamente, intento ai propri desideri, non è un uomo di carattere forte; ma solo colui che segue i principi eterni della giustizia, come riconosce anche lo stesso ospite pagano quando loda l’uomo “giusto” insieme all'”uomo tenace di propositi”; ma queste idee di giustizia non possono essere pienamente rispettate se non si attribuisce a Dio ciò che gli spetta, come fa il vero Cristiano. – Il vero Cristiano, lungi dal rinunciare alle attività di questa vita e dal sopprimere i suoi talenti naturali, al contrario li promuove e li porta a perfezione, cooperando con la vita soprannaturale in modo tale da abbellire il modo naturale di vivere e da sostenerlo con aiuti più efficaci, che sono in accordo non solo con le cose spirituali ed eterne, ma anche con le necessità della vita naturale stessa.

Lett. Encycl. “Casti connubi”, 31 dic. 1930.

3700. [Dz 2225] In primo luogo, dunque, questo rimanga come base immutabile e inviolabile: il matrimonio non è stato istituito o restaurato dall’uomo, ma da Dio; non dall’uomo, ma dall’autore stesso della natura, Dio; e dal restauratore della stessa natura è stato fortificato, confermato ed elevato attraverso le leggi; e queste leggi, pertanto, non possono essere soggette ad alcuna decisione dell’uomo e nemmeno ad alcun accordo contrario da parte degli sposi stessi. Questa è una dottrina della Sacra Scrittura (Gen 1,27 s.; Gen 2,22 s.; Mt 19,3 s.; Eph V,23 s.); questa è la tradizione continua e unanime della Chiesa; questa è la solenne definizione del sacro Concilio di Trento, che dichiara e conferma [v. 24; cfr. n. 969 s.] che il vincolo perpetuo e indissolubile del matrimonio, l’unità e la stabilità dello stesso emanano da Dio come loro autore.

3701. Ma, sebbene il Matrimonio per sua natura sia stato istituito da Dio, tuttavia la volontà dell’uomo ha il suo ruolo, ed un ruolo nobilissimo in esso; infatti, ogni singolo Matrimonio, in quanto unione coniugale tra un certo uomo e una certa donna, nasce solo dal libero consenso di entrambi gli sposi, ed in effetti questo libero atto della volontà, con cui entrambe le parti si consegnano e accettano i diritti propri del Matrimonio, è così necessario per costituire un vero Matrimonio che non può essere fornito da alcun potere umano. Eppure tale libertà ha solo questo scopo, stabilire che i contraenti desiderano realmente contrarre Matrimonio e desiderano farlo o meno con una certa persona; ma la natura del Matrimonio è del tutto lontana dalla libertà dell’uomo, tanto che non appena l’uomo ha contratto matrimonio è soggetto alle sue leggi divine e alle sue proprietà essenziali. Il Dottore Angelico, infatti, parlando della buona fede nel Matrimonio e della prole, dice: “Queste cose sono talmente realizzate nel Matrimonio dal patto coniugale stesso che se nel consenso che lo costituisce fosse espresso qualcosa di contrario, non sarebbe un vero Matrimonio”. Con il Matrimonio, dunque, le anime sono unite e rese una cosa sola, e le anime sono influenzate prima e più fortemente dei corpi; non da un affetto transitorio dei sensi o dello spirito, ma da una decisione deliberata e ferma della volontà; e da questa unione delle anime, con il decreto di Dio, nasce un legame sacro ed inviolabile. – Questa natura del tutto propria e peculiare di questo contratto lo rende completamente diverso non solo dai legami degli animali eseguiti dal solo cieco istinto della natura, in cui non c’è ragione né libero arbitrio, ma anche da quelle unioni sfrenate degli uomini, che sono ben lontane da ogni vero e onorevole legame di volontà, e prive di qualsiasi diritto alla vita familiare.

3702. [Dz 2226] Da ciò risulta ormai assodato che l’autorità veramente legittima ha il potere per legge e quindi è costretta dal dovere a frenare, impedire e punire i Matrimoni infimi, che sono contrari alla ragione ed alla natura; ma poiché si tratta di una questione che si rifà alla stessa natura umana, non è meno assodato che il Nostro predecessore, Leone XIII, di felice memoria, ha chiaramente insegnato: * “Nella scelta dello stato di vita non c’è dubbio che è in potere e discrezione degli individui preferire una delle due cose: o adottare il consiglio di Gesù Cristo riguardo alla verginità, o legarsi con i vincoli del Matrimonio. Togliere il diritto naturale e primordiale del matrimonio, o in qualsiasi modo circoscrivere lo scopo principale del matrimonio stabilito all’inizio dall’autorità di Dio: “Crescete e moltiplicatevi” (Gen 1,28), non è in potere di alcuna legge dell’uomo”.

3703. [Dz 2227] Ora, mentre ci accingiamo a spiegare quali sono queste benedizioni, concesse da Dio, del vero Matrimonio, e quanto siano grandi, Venerabili Fratelli, ci vengono in mente le parole di quel famosissimo Dottore della Chiesa, che non molto tempo fa abbiamo commemorato nella nostra Lettera Enciclica, Ad Salutem, pubblicata al compimento del XV secolo dopo la sua morte. Sant’Agostino dice: “Tutte queste sono benedizioni, per le quali il Matrimonio è una benedizione: la prole, la fede coniugale e il Sacramento”. Il Santo Dottore mostra chiaramente come questi tre titoli contengano una splendida sintesi di tutta la dottrina sul Matrimonio cristiano: “Per la fede coniugale si fa attenzione che non ci siano rapporti con un altro uomo o un’altra donna al di fuori del vincolo matrimoniale; per la prole, che i figli siano generati nell’amore, nutriti con bontà ed educati religiosamente; per il Sacramento, che il Matrimonio non sia rotto e che l’uomo o la donna separati non abbiano rapporti con un altro uomo o donna nemmeno per la prole. Questa è, per così dire, la legge del Matrimonio, con cui si abbellisce la fecondità della natura e si controlla la depravazione dell’incontinenza”.

3704. [Dz 2228] [1] Così il figlio occupa il primo posto tra le benedizioni del Matrimonio. È chiaro che lo stesso Creatore del genere umano, che per la sua bontà ha voluto usare gli uomini come aiutanti nella propagazione della vita, lo ha insegnato in Paradiso, quando ha istituito il Matrimonio, dicendo ai nostri primi genitori, e attraverso di loro a tutti gli sposi: “Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra” (Gen 1,28). Questo pensiero Sant’Agostino lo deduce molto bene dalle parole dell’apostolo Paolo a Timoteo (1Tm V,14), quando dice: “Così l’Apostolo è testimone che il Matrimonio è compiuto per la generazione. Desidero, dice, che le giovani si sposino. E come se qualcuno gli dicesse: perché? Perché? aggiunge subito: Per generare figli, per essere madri di famiglia” (1Tm V,14).

3705. [Dz 2229] In effetti, i genitori cristiani dovrebbero comprendere ulteriormente che non sono destinati solo a propagare e a preservare la razza umana sulla terra, anzi, non ad allevare alcun tipo di adoratori del vero Dio, ma a generare una prole della Chiesa di Cristo; a procreare “concittadini dei santi e membri della casa di Dio” (Ep II,19), affinché il popolo dedito al culto di Dio e del nostro Salvatore aumenti ogni giorno. Infatti, anche se i coniugi cristiani, pur essendo essi stessi santificati, non hanno il potere di trasfondere la santificazione nella loro prole, sicuramente la generazione naturale della vita è diventata una via di morte, attraverso la quale il peccato originale passa nella prole; tuttavia, in qualche modo, partecipano a quel Matrimonio primordiale del Paradiso, poiché è loro privilegio offrire la propria prole alla Chiesa, affinché da questa fecondissima madre dei figli di Dio siano rigenerati attraverso il lavacro del Battesimo fino alla giustizia soprannaturale, e diventino membra vive di Cristo, partecipi della vita immortale e, infine, eredi della gloria eterna che tutti desideriamo con tutto il cuore. . . .

[Dz 2230] Ma la benedizione della prole non si completa con la buona opera della procreazione; occorre aggiungere qualcos’altro che è contenuto nella doverosa educazione della prole. Certo, Dio sapientissimo non avrebbe provveduto a sufficienza per il bambino che nasce, e quindi per l’intero genere umano, se non avesse assegnato anche il diritto e il dovere di educare agli stessi a cui ha dato il potere e il diritto di generare. Infatti, non può sfuggire a nessuno che la prole, non solo per quanto riguarda la vita naturale, ma ancor meno per quella soprannaturale, non può bastare a se stessa o provvedere a se stessa, ma ha bisogno per molti anni dell’assistenza di altri, di cure e di educazione. Ma è certo che, quando la natura e Dio lo richiedano, questo diritto e dovere di educare la prole spetta soprattutto a coloro che hanno iniziato l’opera della natura generando, ed è loro assolutamente vietato esporre quest’opera alla rovina lasciandola incompiuta e imperfetta. Di certo, nel Matrimonio sono state prese le migliori disposizioni possibili per questa necessaria educazione dei figli, nella quale, poiché i genitori sono uniti l’uno all’altro da un vincolo insolubile, c’è sempre a disposizione la cura e l’assistenza reciproca di entrambi. . . . – Né si può tacere che, poiché il dovere affidato ai genitori per il bene della prole è di così grande dignità e importanza, ogni uso onorevole di questa facoltà data da Dio di procreare una nuova vita, per ordine del Creatore stesso e delle leggi della natura, sia diritto e privilegio del solo Matrimonio e deve essere confinato entro i sacri limiti del matrimonio.

3706. [Dz 2231] [2] Un’altra benedizione del matrimonio, di cui abbiamo parlato come menzionata da Agostino, è la benedizione della fede, che è la reciproca fedeltà dei coniugi nell’adempimento del contratto matrimoniale, in modo che ciò che per questo contratto, sancito dalla legge divina, è dovuto solo a un coniuge, non possa essere negato a lui né permesso a nessun altro; né si può concedere al coniuge ciò che non può mai essere concesso, poiché è contrario ai diritti e alle leggi divine e si oppone soprattutto alla fede coniugale. – Così questa fede esige in primo luogo l’unità assoluta del Matrimonio, che il Creatore stesso ha stabilito nel Matrimonio dei nostri primi genitori, quando ha voluto che esistesse solo tra un uomo e una donna. E anche se in seguito Dio, il legislatore supremo, ha un po’ attenuato questa legge primordiale per un certo periodo, tuttavia non c’è dubbio che la Legge evangelica abbia ripristinato interamente quell’unità originaria e perfetta ed ha eliminato tutte le dispense, come mostrano chiaramente le parole di Cristo e il modo uniforme di insegnare o di agire da parte della Chiesa [cfr. nota 969]. . . .

Cristo Signore non ha voluto condannare solo la poligamia e la poliandria, successive o simultanee, come vengono chiamate, o qualsiasi altro atto disonorevole; ma, affinché i sacri legami del Matrimonio siano assolutamente inviolati, ha proibito anche i pensieri e i desideri intenzionali su tutte queste cose: “Ma io vi dico che chi guarda una donna per concupirla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore” (Mt V,28). Queste parole di Cristo Signore non possono essere annullate nemmeno dal consenso di un coniuge, perché esprimono la legge di Dio e della natura, che nessuna volontà dell’uomo potrà mai infrangere o piegare. – Anche i reciproci rapporti familiari tra i coniugi, affinché la benedizione della fede coniugale risplenda con il dovuto splendore, devono essere contraddistinti dal marchio della castità, in modo che marito e moglie si comportino in tutto secondo la legge di Dio e della natura, e si sforzino di seguire sempre la volontà del sapientissimo e santissimo Creatore, con grande riverenza per l’opera di Dio.

3707. [Dz 2232] Inoltre, questa fedeltà coniugale, chiamata molto giustamente da Sant’Agostino * la “fede della castità”, fiorirà più facilmente, e anche molto più piacevolmente, e come nobilitante proveniente da un’altra fonte più eccellente, cioè dall’amore coniugale, che pervade tutti i doveri della vita matrimoniale e detiene una sorta di primato di nobiltà nel matrimonio cristiano. “Inoltre, la fedeltà coniugale esige che marito e moglie siano uniti da un amore particolarmente santo e puro, non come si amano gli adulteri, ma come Cristo ha amato la Chiesa; infatti l’Apostolo ha prescritto questa regola quando ha detto: “Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa” (Ep. 5,25; cfr. Col. 3,19); la quale Chiesa Egli ha certamente abbracciato con immenso amore, non per il proprio vantaggio, ma tenendo davanti a sé solo il bene della sua sposa”. *

Parliamo quindi di un amore che non poggi solo su un’inclinazione carnale che scompare molto presto, né solo su parole piacevoli, ma che è anche fissato nell’affetto più intimo del cuore; e, “poiché la prova dell’amore è una manifestazione di fatti”, * questo è dimostrato da fatti esteriori. Ora, questi atti nella vita domestica non includono solo l’assistenza reciproca, ma dovrebbero estendersi anche a questo, anzi dovrebbero mirare soprattutto a questo, che marito e moglie si aiutino quotidianamente a formare e a perfezionare sempre più l’uomo interiore, in modo che attraverso la loro collaborazione nella vita possano progredire sempre più nelle virtù, e possano crescere soprattutto nel vero amore verso Dio e verso il prossimo, dal quale infatti “dipende tutta la Legge e i Profeti” (Mt 22,40) *.Manifestamente l’esempio più perfetto di tutta la santità posta da Dio davanti agli uomini è Cristo Signore. Tutti, in qualsiasi condizione e in qualsiasi modo onorevole siano entrati nella vita, con l’aiuto di Dio dovrebbero anche arrivare al più alto grado di perfezione cristiana, come dimostrano gli esempi di molti santi.

Questa mutua formazione interiore del marito e della moglie, questo costante zelo per portarsi reciprocamente alla perfezione, in un senso molto vero, come insegna il Catechismo Romano, si può dire che sia la prima ragione e il primo scopo del matrimonio; se, tuttavia, il matrimonio non viene accettato in modo troppo ristretto come istituito per la corretta procreazione ed educazione dei figli, ma in modo più ampio come partecipazione reciproca a tutta la vita, alla compagnia e all’associazione.

Con questo stesso amore devono essere regolati i restanti diritti e doveri del matrimonio, in modo che non solo la legge della giustizia, ma anche la norma dell’amore sia quella dell’Apostolo: “Il marito renda il debito alla moglie e la moglie allo stesso modo al marito” (1Cor 7,3).

3708. Dz 2233 Infine, dopo che la società domestica è stata confermata dal vincolo di questo amore, deve necessariamente fiorire in essa quello che Agostino chiama l’ordine dell’amore. Quest’ordine comprende sia la supremazia del marito sulla moglie e sui figli, sia la sottomissione e l’obbedienza pronta e non riluttante della moglie, che l’Apostolo raccomanda con queste parole: “La donna sia sottomessa al marito come al Signore, perché il marito è il capo della moglie, come Cristo è il capo della Chiesa” (Eph V,22 s.).

3709. Tuttavia questa obbedienza non nega o toglie la libertà che spetta di diritto alla donna, sia per la sua dignità di essere umano, sia per i suoi nobili doveri di moglie, madre e compagna; né esige che essa obbedisca a ogni desiderio del marito, che non sia conforme alla retta ragione o alla sua dignità di moglie; né, infine, significa che la moglie debba essere messa sullo stesso piano di coloro che la legge chiama minori, ai quali non è abitualmente concesso il libero esercizio dei propri diritti per mancanza di giudizio maturo o per inesperienza nelle faccende umane; ma proibisce quella libertà esagerata che non ha alcuna cura per il bene della famiglia; proibisce che in questo corpo della famiglia il cuore sia separato dalla testa, con grande danno di tutto il corpo e con il pericolo prossimo della rovina. Infatti, se l’uomo è la testa, la donna è il cuore, e così come lui detiene il primato nel governare, lei può e deve rivendicare il primato nell’amore per se stessa come proprio. – Inoltre, questa obbedienza della moglie al marito, per quanto riguarda il grado e il modo, può essere diversa, a seconda delle persone, dei luoghi e delle condizioni del tempo; anzi, se il marito viene meno al suo dovere, è responsabilità della moglie sostituirsi a lui nella direzione della famiglia. Ma la struttura stessa della famiglia e la sua legge principale, così come sono state costituite e confermate da Dio, non possono mai e in nessun luogo essere stravolte o contaminate. – Su questo punto del mantenimento dell’ordine tra marito e moglie il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, ha saggiamente insegnato nella sua Lettera Enciclica sul mondo Matrimonio cristiano che abbiamo citato: “L’uomo è il capo della famiglia e il capo della donna; tuttavia, poiché essa è carne della sua carne e osso del suo osso, sia sottomessa ed obbediente all’uomo, non alla maniera di una serva ma di una compagna, affinché naturalmente non manchi né l’onore né la dignità nell’obbedienza prestata. Ma che la carità divina sia la guida indefettibile del dovere in colui che è a capo e in colei che obbedisce, poiché entrambi portano l’immagine, l’uno di Cristo, l’altra della Chiesa… . . ” *

3710. Dz 2234 [3] Tuttavia, l’insieme di questi grandi benefici è completato e, per così dire, portato a compimento da quella benedizione del Matrimonio cristiano che abbiamo chiamato, con le parole di Agostino, Sacramento, con cui si indica l’indissolubilità del vincolo e l’elevazione e la consacrazione da parte di Cristo del contratto a segno efficace della grazia. – In primo luogo, a dire il vero, Cristo stesso pone l’accento sull’indissolubilità del vincolo nuziale quando dice: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra commette adulterio, e chi sposa colei che è stata allontanata dal marito commette adulterio” (Lc XVI,18). – Inoltre, Sant’Agostino colloca in questa indissolubilità quella che chiama “la benedizione del sacramento”, con queste chiare parole: “Ma nel Sacramento si vuole che il Matrimonio non sia rotto, e che l’uomo o la donna licenziati non si uniscano ad un altro, nemmeno per la prole.

3711. [Dz 2235]. E questa stabilità inviolabile, sebbene non sia della stessa misura perfetta in ogni caso, riguarda tutti i veri Matrimoni; perché quel detto del Signore: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”, sebbene, detto del Matrimonio dei nostri primi genitori, sia il prototipo di ogni Matrimonio futuro, deve applicarsi a tutti i veri Matrimoni. Perciò, sebbene prima di Cristo la sublimità e la severità della legge primordiale fossero così mitigate che Mosè permise ai cittadini del popolo di Dio, a causa della durezza del loro cuore, di concedere una legge di divorzio per determinate cause; tuttavia Cristo, in accordo con il suo potere di Legislatore supremo, revocò questo permesso di maggiore licenza e restaurò la legge primordiale nella sua interezza attraverso quelle parole che non devono mai essere dimenticate: “Ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo separi”. Così, molto saggiamente, Pio Vl, Nostro predecessore di felice memoria, scrivendo al Vescovo di Agria, disse: “Da ciò risulta chiaramente che il Matrimonio, anche nello stato di natura, e sicuramente molto prima che fosse elevato alla dignità di Sacramento propriamente detto, è stato stabilito da Dio in modo tale da portare con sé un vincolo perpetuo e indissolubile, che, di conseguenza, non può essere sciolto da alcuna legge civile. E così, anche se l’elemento sacramentale può essere separato dal Matrimonio, come è vero in un Matrimonio tra infedeli, tuttavia in tale Matrimonio, in quanto vero Matrimonio, deve rimanere e sicuramente rimane quel legame perpetuo che per diritto divino è così inerente al Matrimonio fin dal suo inizio che non è soggetto ad alcun potere civile. Perciò, qualsiasi Matrimonio si dica che è stato contratto, o è così contratto da essere un vero Matrimonio, e allora avrà quel vincolo perpetuo che è insito per diritto divino in ogni vero Matrimonio, o si suppone che sia stato contratto senza quel vincolo perpetuo, e allora non è un Matrimonio, ma un’unione illecita che ripugna per il suo scopo alla legge divina, e quindi non può essere stipulato o mantenuto.

3712. [Dz 2236] Se questa stabilità sembra soggetta ad eccezioni, per quanto rare, come nel caso di alcuni matrimoni naturali contratti tra infedeli, o se tra fedeli di Cristo, quelli validi ma non consumati, tale eccezione non dipende dalla volontà dell’uomo o da un potere meramente umano, ma dalla legge divina, il cui unico custode e interprete è la Chiesa di Cristo. Tuttavia, nemmeno tale potere potrà mai intaccare per nessuna ragione un Matrimonio cristiano valido e consumato. Infatti, poiché in questo caso il contratto matrimoniale è pienamente compiuto, ne risultano anche l’assoluta stabilità e indissolubilità per volontà di Dio, che non possono essere attenuate da alcuna autorità umana. – Se vogliamo indagare con la dovuta riverenza l’intima ragione di questa volontà divina, la scopriremo facilmente nel significato mistico del Matrimonio cristiano, che si ha pienamente e perfettamente nel Matrimonio consumato tra fedeli. Infatti, come testimonia l’Apostolo nella sua Lettera agli Efesini (Eph V,32) (a cui abbiamo fatto riferimento all’inizio), il Matrimonio dei Cristiani richiama l’unione più perfetta che esiste tra Cristo e la Chiesa: “Questa è un grande sacramento, ma io parlo in Cristo e nella Chiesa”, la cui unione, infatti, finché Cristo vivrà e la Chiesa attraverso di Lui, sicuramente non potrà mai essere sciolta da alcuna separazione. . . .

3713. [Dz 2237]. In questa benedizione del Sacramento, oltre alla sua indissolubile fermezza, sono contenuti anche emolumenti ben più alti, indicati molto opportunamente dalla parola “Sacramento”; Per i Cristiani, infatti, non si tratta di un nome vuoto e vacuo, poiché Cristo Signore, “l’istitutore e il perfezionatore” * dei Sacramenti, elevando il Matrimonio dei suoi fedeli a vero e proprio Sacramento della Nuova Legge, lo ha reso di fatto segno e fonte di quella peculiare grazia interiore con cui perfeziona l’amore naturale, conferma l’unione indissolubile e santifica gli sposi. – E poiché Cristo ha stabilito un valido consenso coniugale tra i fedeli come segno di grazia, la natura del Sacramento è così intimamente legata al Matrimonio cristiano che non può esistere un vero Matrimonio tra battezzati “se non è, per l’appunto, un Sacramento”. – Quando poi i fedeli con animo sincero prestano tale consenso, aprono per sé un tesoro di grazia sacramentale, da cui attingono forza soprannaturale per adempiere ai loro obblighi e doveri con fedeltà, nobiltà e perseveranza fino alla morte.

3714. Questo Sacramento, nel caso di coloro che, come si dice, si pongono sulla sua strada, non solo accresce il principio permanente della vita soprannaturale, cioè la grazia santificante, ma elargisce anche doni particolari, buone disposizioni d’animo e semi di grazia, aumentando e perfezionando le potenze naturali, in modo che gli sposi siano in grado non solo di comprendere con la ragione, ma di conoscere intimamente, di tenere saldamente, di desiderare efficacemente e di compiere, in effetti, tutto ciò che riguarda lo stato matrimoniale, sia i suoi fini che i suoi obblighi; infine, concede loro il diritto di ottenere l’assistenza effettiva della grazia tutte le volte che ne abbiano bisogno per adempiere ai doveri di questo stato.

[Dz 2238]. Tuttavia, poiché è una legge della Provvidenza divina nell’ordine soprannaturale che gli uomini non raccolgano il pieno frutto dei Sacramenti che ricevono dopo aver acquisito l’uso della ragione, a meno che non cooperino con la grazia, la grazia del Matrimonio rimarrà in gran parte un talento inutile nascosto nel campo, a meno che gli sposi non esercitino la forza soprannaturale e coltivino e sviluppino i semi della grazia che hanno ricevuto. Ma se faranno tutto il possibile per rendersi docili alla grazia, saranno in grado di sopportare i pesi del loro stato e di adempiere ai suoi doveri, e saranno rafforzati e santificati e, per così dire, consacrati da un così grande Sacramento. Infatti, come insegna Sant’Agostino, così come con il Battesimo e l’Ordine sacro un uomo viene messo a parte ed assistito sia per condurre la sua vita in modo cristiano, sia per adempiere ai doveri del Sacerdozio, e non è mai privo dell’aiuto sacramentale, quasi allo stesso modo (anche se non con un segno sacramentale) i fedeli che sono stati uniti dal vincolo del Matrimonio non possono mai essere privati dell’assistenza e del legame sacramentale. Anzi, come aggiunge lo stesso Santo Dottore, essi portano con sé quel santo vincolo anche quando possono essere diventati adulteri, anche se non più per la gloria della grazia, ma per il crimine del peccato, “come l’anima apostata, come se si ritirasse dall’unione con Cristo, anche dopo che la fede è stata persa, non perde il sacramento della fede che ha ricevuto dal lavacro della rigenerazione”. – Ma questi stessi sposi, non frenati ma ornati dal vincolo d’oro del Sacramento, non ostacolati ma rafforzati, lottino con tutte le loro forze per questo fine, affinché il loro Matrimonio, non solo per la forza e il significato del Sacramento, ma anche per la loro mentalità ed il loro carattere, sia e rimanga sempre l’immagine vivente di quella fecondissima unione di Cristo con la Chiesa, che certamente è da venerare come il mistero dell’amore più perfetto.

L’abuso del matrimonio.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].

3716. [Dz 2239] Parliamo della prole, che alcuni hanno l’audacia di chiamare il fastidioso fardello del matrimonio, e che dichiarano debba essere evitata non con l’onorevole continenza (permessa anche nel Matrimonio quando entrambi i coniugi sono d’accordo), ma con la frustrazione dell’atto naturale. In effetti, alcuni si giustificano per questo abuso criminale adducendo il fatto che siano stanchi di figli e desiderino semplicemente soddisfare i loro desideri senza il conseguente “fardello“; altri adducono il fatto che non possono osservare la continenza, o che a causa di difficoltà della madre o di circostanze familiari non possano avere una prole. – Ma di certo nessuna ragione, nemmeno la più grave, può far sì che ciò che sia intrinsecamente contro natura diventi conforme alla natura ed onorevole. Poiché, inoltre, l’atto coniugale per sua natura è destinato alla generazione della prole, coloro che nell’esercitarlo deliberatamente lo privano della sua forza e del suo potere naturale, agiscono contro natura e fanno qualcosa di vergognoso ed intrinsecamente cattivo. – Non c’è quindi da meravigliarsi se la stessa Sacra Scrittura testimoni che la Maestà divina guardi a questo nefasto crimine con il più grande odio, e talvolta lo ha punito con la morte, come racconta Sant’Agostino: “È illecito e vergognoso per uno giacere anche con la moglie legittima, quando è impedito il concepimento della prole. Onan fece questo; per questo Dio lo uccise”.

3717. [Dz 2240]. Poiché, dunque, alcune persone, discostandosi palesemente dalla dottrina cristiana tramandata dall’inizio senza interruzioni, hanno recentemente deciso che si debba predicare un’altra dottrina su questo modo di agire, la Chiesa Cattolica, alla quale Dio stesso ha affidato l’insegnamento e la difesa dell’integrità e della purezza dei costumi, posta in mezzo a questa rovina dei costumi, affinché conservi la castità del contratto matrimoniale immune da questo basso peccato, ed in segno della sua missione divina alza alta la sua voce attraverso la Nostra bocca e proclama nuovamente: Qualsiasi uso dell’atto coniugale, nel cui esercizio esso viene intenzionalmente privato del suo potere naturale di procreare la vita, viola la legge di Dio e della natura, e coloro che hanno commesso un tale atto, si macchiano della colpa di un peccato grave. – Perciò ammoniamo i Sacerdoti che si dedicano all’ascolto delle Confessioni e gli altri che hanno la cura delle anime, in accordo con la Nostra suprema Autorità, a non permettere che i fedeli a loro affidati errino in questa gravissima legge di Dio, e ancor più a mantenersi immuni da false opinioni di questo tipo, e a non conniverci in alcun modo. Se un confessore o un pastore d’anime, cosa che Dio non voglia, conduce egli stesso i fedeli a lui affidati in questi errori, o almeno li conferma con l’approvazione o con il colpevole silenzio, sappia che deve rendere conto a Dio, Giudice supremo, del tradimento della sua fiducia, e consideri le parole di Cristo rivolte a loro: “Essi sono ciechi, e i ciechi li guidano; e se i ciechi guidano i ciechi, entrambi cadono nella fossa” (Mt XV,14).

3718. [Dz 2241] La Santa Chiesa sa bene che non raramente uno dei coniugi pecchi piuttosto che commettere un peccato, quando per un motivo molto grave permette una perversione del giusto ordine, che egli stesso non vuole; e per questo è senza colpa, purché poi si ricordi della legge della carità e non trascuri di impedire e dissuadere l’altro dal peccare. Non si può dire che agiscano contro l’ordine della natura quei coniugi che usano il loro diritto in modo corretto e naturale, anche se per ragioni naturali di tempo o di alcuni difetti non possa nascere una nuova vita. Infatti, nel Matrimonio stesso, come nella pratica del diritto coniugale, si considerano anche i fini secondari, come l’aiuto reciproco, la coltivazione dell’amore reciproco e il placamento della concupiscenza, che i coniugi non sono affatto proibiti di tentare, purché sia preservata la natura intrinseca di quell’atto, e quindi il suo giusto ordinamento sia verso il suo fine primario. . . . – Bisogna fare attenzione che le condizioni calamitose degli affari esterni non diano occasione ad un errore molto più disastroso. Infatti, non possono sorgere difficoltà che annullino l’obbligo dei mandati di Dio che proibiscano atti che sono cattivi per la loro natura interiore; ma in tutte le circostanze collaterali i coniugi, rafforzati dalla grazia di Dio, possono sempre compiere fedelmente il loro dovere e conservare la loro castità nel Matrimonio senza macchie vergognose; perché la verità della fede cristiana è espressa nell’insegnamento del Sinodo di Trento: “Nessuno affermi avventatamente ciò che i Padri del Concilio hanno posto sotto anatema, cioè che vi siano precetti di Dio impossibili da osservare per il giusto. Dio non chiede l’impossibile, ma con i suoi comandi vi istruisce a fare ciò che siete in grado di fare, a pregare per ciò che non siete in grado di fare, e vi assiste affinché siate in grado” [cfr. n. 804]. Questa stessa dottrina fu di nuovo solennemente ripetuta e confermata nella condanna dell’eresia giansenista, che osava pronunciare questa bestemmia contro la bontà di Dio: “Alcuni precetti di Dio sono impossibili da adempiere, anche per gli uomini giusti che vogliono e si sforzano di osservare le leggi secondo le forze che hanno; manca loro anche la grazia che lo renderebbe possibile” [cfr. n. 1092].

L’uccisione del feto.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii”, 31 dicembre 1930].

3719. [Dz 2242]. È da notare anche un altro gravissimo delitto, con il quale si tenta di uccidere la vita della prole nascosta nel grembo della madre. Inoltre, alcuni desiderano che questo sia permesso secondo il piacere della madre o del padre; altri, invece, lo chiamano illecito a meno che non vi siano ragioni molto gravi, che chiamano con il nome di “indicazione” medica, sociale, eugenetica. Poiché questa si riferisce alle leggi penali dello Stato, secondo le quali è vietata la distruzione della prole generata ma non ancora nata, tutti questi chiedono che l'”indicazione”, che difendono individualmente in un modo o nell’altro, sia riconosciuta anche dalle leggi pubbliche e sia dichiarata esente da ogni pena. Anzi, non mancano coloro che chiedono che i magistrati pubblici diano una mano a queste operazioni di morte, cosa che purtroppo sappiamo tutti avvenire con grande frequenza in alcuni luoghi.

3720. [Dz 2243]. Ora, per quanto riguarda l'”indicazione” medica e terapeutica, per usare le loro parole, abbiamo già detto, Venerabili Fratelli, quanto siamo dispiaciuti per la madre, la cui salute e persino la vita sono minacciate da gravi pericoli derivanti dal dovere della natura; ma quale ragione può mai essere abbastanza forte da giustificare in alcun modo l’omicidio diretto di un innocente? Questo è il caso in questione. Che si tratti della madre o della prole, è contrario al precetto di Dio ed alla voce della natura: “Non uccidere!” (Es XX,13). La vita di ogni persona è un bene altrettanto sacro e nessuno potrà mai avere il potere, nemmeno l’autorità pubblica, di distruggerla. Di conseguenza, è molto ingiusto invocare il “diritto di spada” contro l’innocente, poiché questo vale solo contro il colpevole; né esiste in questo caso un diritto di difesa cruenta contro un aggressore ingiusto (perché chi chiamerebbe un bambino innocente un aggressore ingiusto?); né esiste un “diritto di estrema necessità”, come viene chiamato, che possa estendersi anche all’uccisione diretta dell’innocente. Pertanto, i medici onorati ed esperti si sforzano lodevolmente di proteggere e salvare la vita sia della madre che della prole; d’altro canto, si dimostrerebbero indegni del nobile nome di medico e della lode quanti pianificano la morte dell’uno o dell’altro sotto l’apparenza di praticare la medicina o per motivi di falsa pietà. . . .

3721. [Dz 2244] Ora, ciò che viene proposto a favore di un’indicazione sociale ed eugenetica, con mezzi leciti ed onorevoli ed entro i dovuti limiti, può e deve essere ritenuto una soluzione per queste questioni; ma a causa delle necessità su cui poggiano questi problemi, cercare di procurare la morte dell’innocente è improprio e contrario al precetto divino promulgato dalle parole dell’Apostolo: “Non si deve fare il male perché ne venga un bene” (Rm III,8). – Infine, coloro che ricoprono alte cariche tra le Nazioni e promulgano leggi non possono dimenticare che spetta all’autorità pubblica, attraverso leggi e sanzioni appropriate, difendere la vita degli innocenti, tanto più che coloro la cui vita è in pericolo e vengono attaccati sono meno capaci di difendersi da soli, tra i quali sicuramente i bambini nel grembo delle madri occupano il primo posto. Ma se i magistrati pubblici non solo non proteggono questi piccoli, ma con le loro leggi e ordinanze lo permettono, consegnandoli così alle mani di medici ed altri per essere uccisi, ricordino che Dio è il giudice ed il vendicatore del “sangue innocente che grida dalla terra al cielo” (Gen IV,10).

Il diritto al matrimonio e la sterilizzazione.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930]

3722. [Dz 2245]. Infine, si deve condannare quella pratica perniciosa che è strettamente legata al diritto naturale dell’uomo di contrarre Matrimonio, e che riguarda anche in modo reale il bene della prole. Ci sono infatti coloro che, eccessivamente preoccupati per i fini dell’eugenetica, non solo danno alcuni consigli salutari per procurare più sicuramente la salute ed il vigore della futura prole – il che non è certo contrario alla retta ragione – ma antepongono l’eugenetica ad ogni altro fine di ordine superiore; e con l’autorità pubblica vogliono proibire il Matrimonio a tutti coloro dai quali, secondo le norme e le congetture della loro scienza, pensano che verrà generata una prole difettosa e corrotta a causa della trasmissione ereditaria, anche se queste stesse persone sono naturalmente adatte a contrarre Matrimonio. Anzi, vogliono addirittura che queste persone, anche contro la loro volontà, siano private per legge di questa facoltà naturale attraverso l’intervento dei medici; e questo lo propongono non come una pena severa per un crimine commesso, da ricercare da parte dell’autorità pubblica, né per scongiurare futuri crimini della colpa, ma, contrariamente ad ogni diritto e pretesa, arrogando ai magistrati civili questo potere, che non hanno mai avuto e non potranno mai avere legittimamente. – Chi agisce in questo modo dimentica completamente che la famiglia è più sacra dello Stato e che gli uomini sono generati principalmente non per la terra e per il tempo, ma per il cielo e l’eternità. E, certamente, non è giusto che uomini, per altri versi capaci di sposarsi, che secondo le congetture, anche se si applica ogni cura ed diligenza, genereranno solo una prole difettosa, siano per questo motivo gravati da un grave peccato se contraggono Matrimonio, anche se a volte dovrebbero essere dissuasi dal Matrimonio.

3723. [Dz 2246] In effetti, i magistrati pubblici non hanno alcun potere diretto sui corpi dei loro sudditi; pertanto, non possono mai nuocere direttamente o intaccare in alcun modo l’integrità del corpo, se non c’è stato un crimine e se non c’è una causa per una grave punizione, né per motivi di eugenetica, né per qualsiasi altro scopo. San Tommaso d’Aquino ha insegnato lo stesso, quando, chiedendo se i giudici umani abbiano il potere di infliggere qualche male all’uomo per scongiurare i mali futuri, ammette che ciò sia corretto in riferimento ad alcuni altri mali, ma giustamente e degnamente lo nega per quanto riguarda il ferimento del corpo: “Mai nessuno, secondo il giudizio umano, dovrebbe essere punito, quando non è colpevole, con una pena di fustigazione a morte, o di mutilazione, o di percosse”. – La dottrina cristiana ha stabilito questo, ed alla luce della ragione umana è abbastanza chiaro che i privati non hanno altro potere sulle membra del loro corpo, e non possono distruggerle o mutilarle, o in qualsiasi altro modo renderle inadatte alle funzioni naturali, se non quando non si può provvedere altrimenti al bene dell’intero corpo.

L’emancipazione della donna.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].

[Dz 2247]. Chiunque, poi, offuschi il lustro della fede e della castità coniugale scrivendo e parlando, questi stessi maestri dell’errore minano facilmente l’obbedienza fiduciosa e onorevole della donna all’uomo. Molti di loro blaterano anche che si tratti di una forma indegna di servitù da parte di un coniuge nei confronti dell’altro; che tutti i diritti tra i coniugi siano uguali; e quando questi vengano violati dalla servitù di uno dei due, proclamano con orgoglio che una sorta di emancipazione sia stata o dovrebbe essere realizzata. Questa emancipazione, inoltre, la stabiliscono in un triplice modo: nel governo della società domestica, nell’amministrazione degli affari familiari e nell’impedire o distruggere la vita della prole, che chiamano sociale, economica e fisiologica: fisiologico, in quanto desiderano che la donna si liberi o sia liberata dai doveri di moglie, sia coniugali che materni, per sua libera scelta (ma abbiamo già detto abbastanza che questa non sia emancipazione, ma un miserabile crimine); economiche, naturalmente, in quanto desiderano che la donna, anche all’insaputa o con l’opposizione dell’uomo, possa liberamente possedere, portare avanti e amministrare i propri affari, trascurando i figli, il marito e l’intera famiglia; infine, sociali, in quanto sottraggono alla moglie le cure domestiche, sia dei figli che della famiglia, affinché possa, trascurandole, seguire le proprie inclinazioni e persino dedicarsi agli affari e agli affari pubblici.

[Dz 2248]. Ma questa non è una vera emancipazione della donna, né una libertà conforme alla ragione, né degna di lei e dovuta all’ufficio di nobile madre e moglie cristiana; è piuttosto una corruzione della natura femminile e della dignità materna, ed una perversione dell’intera famiglia, per cui il marito è privato di una moglie, la prole di una madre, e la casa e l’intera famiglia di un guardiano sempre vigile. Anzi, questa falsa libertà e l’innaturale uguaglianza con l’uomo sono volte alla distruzione della donna stessa; infatti, se la donna scende dal seggio regale a cui è stata innalzata tra le mura domestiche dal Vangelo, sarà presto ridotta all’antica servitù (se non in apparenza, ma di fatto) e diventerà, come lo era tra i pagani, un mero strumento dell’uomo. – Ma quell’uguaglianza di diritti che è così esagerata ed estesa, dovrebbe essere riconosciuta naturalmente tra quelli che sono propri della persona e della dignità umana, e che seguono il contratto nuziale e sono naturali al Matrimonio; e in questi, certamente, entrambi i coniugi godono assolutamente dello stesso diritto e sono tenuti agli stessi obblighi; in altre questioni deve esistere una sorta di disuguaglianza e di giusta proporzione, che il bene della famiglia e la dovuta unità e stabilità della società domestica e dell’ordine richiedono. – Tuttavia, laddove le condizioni sociali ed economiche della donna sposata, a causa dei mutati modi e pratiche della società umana, debbano essere in qualche modo modificate, spetta all’autorità pubblica adattare i diritti civili della donna alle necessità ed ai bisogni di questo tempo, tenendo in debita considerazione ciò che richiedano le diverse disposizioni naturali del sesso femminile, la buona morale ed il bene comune della famiglia; a condizione, inoltre, che rimanga intatto l’ordine essenziale della società domestica, che si fonda su un’autorità ed una saggezza superiori a quelle umane, cioè divine, e che non possano essere modificate dalle leggi pubbliche e dal piacere degli individui.

Divorzi.

[Dalla stessa Enciclica, “Casti Connubii“, 31 dicembre 1930].

3724. [Dz 2249] I sostenitori del neopaganesimo, non avendo imparato nulla dall’attuale triste situazione, continuano ogni giorno ad attaccare più aspramente la sacra indissolubilità del Matrimonio e le leggi che la sostengono, e sostengono che si debba decidere di riconoscere i divorzi, che altre leggi più umane debbano essere sostituite a quelle obsolete. – Essi adducono molte cause diverse per il divorzio, alcune derivanti dalla malvagità o dal peccato delle persone, altre basate sulle circostanze (le prime le chiamano soggettive, le seconde oggettive); infine, tutto ciò che rende più dura e sgradevole la vita matrimoniale individuale. . . . – Quindi si dice che le leggi debbano essere fatte per conformarsi a queste esigenze ed alle mutate condizioni dei tempi, alle opinioni degli uomini, alle istituzioni ed ai costumi civili, che singolarmente, e soprattutto se riunite, testimoniano chiaramente che la possibilità di divorziare debba essere immediatamente concessa per determinate cause. – Altri, proseguendo con notevole impudenza, ritengono che, essendo il Matrimonio un contratto puramente privato, debba essere lasciato direttamente al consenso ed all’opinione privata dei due che lo hanno contratto, come avviene per gli altri contratti privati, e quindi possa essere sciolto per qualsiasi motivo.

[Dz 2250]. Ma a tutte queste farneticazioni si oppone l’unica legge certa di Dio, confermata pienamente da Cristo, che non può essere indebolita da nessun decreto degli uomini o decisione del popolo, da nessuna volontà dei legislatori: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi” (Mt XIX,6); e se un uomo, contrariamente a questa legge, separa, è immediatamente illegale; così giustamente, come abbiamo visto più di una volta, Cristo stesso ha dichiarato: “Chiunque abbandona la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi sposa la donna che è stata abbandonata, commette adulterio” (Lc XVI,18). E queste parole di Cristo si riferiscono a qualsiasi Matrimonio, anche a quello puramente naturale e legittimo; perché l’indissolubilità è propria di ogni vero Matrimonio, e qualsiasi cosa riguardi l’allentamento del vincolo è completamente sottratta al beneplacito delle parti interessate e ad ogni potere secolare.

Educazione sessuale ed eugenetica.

[Dal Decreto del Sant’Uffizio, 21 marzo 1931]

[Dz 2251 I]. Domanda: Si può approvare il metodo che si chiama “educazione sessuale” o anche “iniziazione sessuale”?

Risposta: Negativamente, e che il metodo debba essere conservato interamente come è stato esposto fino ad oggi dalla Chiesa e dai santi uomini, e raccomandato dal Santissimo Padre nella Lettera Enciclica “Sull’educazione cristiana della gioventù”, data il 31 dicembre 1929 [vedi n. 2214]. Naturalmente, si deve avere cura di impartire alla gioventù di entrambi i sessi un’istruzione religiosa piena e solida, senza interruzioni; in questa istruzione si deve suscitare la considerazione, il desiderio e l’amore per le virtù angeliche; e in particolare si deve inculcare loro di insistere nella preghiera, di essere costanti nei Sacramenti della penitenza e della Santissima Eucaristia, di essere devoti alla Beata Vergine, Madre della santa purezza, con devozione filiale e di affidarsi completamente alla sua protezione; di evitare accuratamente le letture pericolose, i giochi osceni, le frequentazioni con i malvagi e tutte le occasioni di peccato. – Non possiamo quindi assolutamente approvare quanto sia stato scritto e pubblicato in difesa del nuovo metodo soprattutto in questi ultimi tempi, anche da parte di alcuni autori cattolici.

[Dz 2252 II]. Cosa pensare della cosiddetta teoria dell'”eugenetica”, sia essa “positiva” o “negativa”, e dei mezzi da essa indicati per portare la progenie umana ad uno stato migliore, ignorando le leggi naturali o divine o ecclesiastiche che riguardano i diritti dell’individuo al Matrimonio?

Risposta: Che questa teoria sia da disapprovare completamente, e da ritenere falsa e da condannare, come nella Lettera Enciclica sul matrimonio cristiano, “Casti connubii“, del 31 dicembre 1930 [cfr. n. 2245 s.].

Lett. Encycl. “Quadragesimo anno”, 15 mag. 1931.

L’autorità della Chiesa negli affari sociali ed economici.

3725. Dz 2253 Bisogna ribadire il principio che Leone XIII ha chiaramente stabilito molto tempo fa, e cioè che in noi risiede il diritto ed il dovere di giudicare con suprema Autorità questi problemi sociali ed economici . . . Infatti, sebbene gli affari economici e la disciplina morale si avvalgano di principi propri, ciascuno nella propria sfera, tuttavia è falso affermare che l’ordine economico e quello morale siano così distinti ed estranei l’uno all’altro che il primo non dipenda in alcun modo dal secondo.

La proprietà o il diritto di proprietà.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]

3726. [Dz 2254]. La sua natura individuale e sociale. In primo luogo, dunque, si consideri riconosciuto e certo che né Leone XIII, né i teologi che hanno insegnato sotto la guida e la direzione della Chiesa hanno mai negato o messo in discussione la duplice natura della proprietà, che si chiama individuale e sociale, a seconda che riguardi i singoli o guardi al bene comune; ma hanno sempre unanimemente affermato che il diritto alla proprietà privata sia stato assegnato agli uomini dalla natura, o dal Creatore stesso, sia perché essi possano provvedere individualmente a se stessi ed alle loro famiglie, sia perché per mezzo di questa istituzione i beni che il Creatore ha destinato all’intera famiglia umana possano realmente servire a questo fine, che non può essere raggiunto se non attraverso il mantenimento di un ordine definito e fisso. . . .

3727. [Dz 2255] Obblighi inerenti alla proprietà. Per porre dei limiti precisi alle controversie che hanno cominciato a sorgere sulla proprietà e sui doveri ad essa inerenti, dobbiamo innanzitutto stabilire il principio fondamentale che Leone XIII ha stabilito, ossia che il diritto di proprietà si distingue dal suo uso. La giustizia detta “commutativa“, infatti, impone agli uomini di mantenere sacra la divisione dei beni e di non ledere i diritti altrui oltrepassando i limiti della proprietà; ma che i proprietari facciano un uso onorevole dei loro beni non è affare di questa giustizia, bensì di altre virtù, i cui doveri “non è giusto ricercare con l’emanazione di una legge”. Pertanto, alcuni dichiarano ingiustamente che la proprietà ed il suo uso onorevole siano delimitati dagli stessi limiti; e, cosa molto più in contrasto con la verità, che a causa del suo abuso o del suo mancato uso il diritto alla proprietà sia distrutto e perso. . . .

3728. [Dz 2256] Qual è il potere dello Stato. Dalla natura stessa della proprietà, che abbiamo chiamato sia individuale che sociale, deriva che gli uomini debbano di fatto tenere conto in questa materia non solo del proprio vantaggio, ma anche del bene comune. Definire questi doveri in dettaglio, quando la necessità lo richieda e la legge naturale non li prescriva, è compito di coloro che sono a capo dello Stato. Pertanto, ciò che è permesso a coloro che possiedono una proprietà in considerazione della vera necessità del bene comune, ciò che è illecito nell’uso dei loro beni l’autorità pubblica può deciderlo più accuratamente, seguendo i dettami della legge naturale e divina. Infatti, Leone XIII insegnava saggiamente che la descrizione dei beni privati è stata affidata da Dio all’industria dell’uomo e alle leggi dei popoli. … Tuttavia è chiaro che lo Stato non può svolgere il suo compito in modo arbitrario. Infatti, il diritto naturale di possedere la proprietà privata e di trasmettere i beni per eredità deve sempre rimanere intatto e non violato, “perché l’uomo è più antico dello Stato” * e inoltre “la casa domestica è anteriore sia nell’idea che nei fatti alla comunità civile”. – Così il sapientissimo Pontefice aveva già dichiarato illegittimo che lo Stato esaurisse i fondi privati con il pesante fardello di tasse e tributi. L’autorità pubblica non può abolire il diritto di proprietà privata, poiché questo non deriva dalla legge dell’uomo ma dalla natura, ma può solo controllarne l’uso e armonizzarlo con il bene comune “*. . .

3729. [Dz 2257] Obblighi relativi ai redditi superflui. I redditi superflui non sono lasciati interamente all’arbitrio dell’uomo, cioè le ricchezze di cui non ha bisogno per sostenere la vita in modo adeguato e decoroso; ma d’altra parte la Sacra Scrittura ed i santi Padri della Chiesa dichiarano continuamente e con parole chiarissime che i ricchi sono tenuti con la massima serietà al precetto di praticare la carità, la beneficenza e la liberalità. L’investimento di redditi piuttosto cospicui affinché abbondino le opportunità di lavoro retribuito, a condizione che questo lavoro sia applicato alla produzione di prodotti veramente utili, deduciamo dallo studio dei principi del Dottore Angelico, è da considerarsi un’azione nobile di magnifica virtù, e particolarmente adatta alle necessità del tempo.

3730. [Dz 2258]. Titoli di acquisto della proprietà. Inoltre, non solo la tradizione di tutti i tempi, ma anche la dottrina del Nostro predecessore, Leone, testimoniano chiaramente che la proprietà in primo luogo si acquista con l’occupazione di una cosa che non appartenga a nessuno, e con l’industria, o specificazione che dir si voglia. Infatti non si arreca alcun danno a nessuno, checché se ne dica, quando si occupa una proprietà che non sia reclamata e che non appartenga a nessuno; ma l’industria che viene esercitata dall’uomo in nome proprio, e con la quale si aggiunge un nuovo tipo o un aumento alla sua proprietà, è l’unica industria che dà al lavoratore un titolo sui suoi frutti”.

Capitale e lavoro.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931].

3731. [Dz 2259] Ben diversa è la natura del lavoro che viene affittato ad altri e che viene esercitato sul capitale altrui. Questa affermazione è particolarmente in armonia con ciò che Leone XIII dice essere più vero, “che le ricchezze dello Stato sono prodotte solo dal lavoro dell’uomo che lavora”. – Nessuno dei due senza l’altro è in grado di produrre qualcosa. Ne consegue che, a meno che uno non svolga un lavoro sulla propria proprietà, la proprietà dell’uno debba essere associata in qualche modo al lavoro dell’altro; perché nessuno dei due produce nulla senza l’altro. E questo Leone XIII aveva in mente quando scrisse: “Non ci può essere capitale senza lavoro, né lavoro senza capitale”. Pertanto, è del tutto falso attribuire all’uno o all’altro da solo ciò che sia stato ottenuto dallo sforzo congiunto di entrambi; ed è del tutto ingiusto che l’uno neghi l’efficacia dell’altro, e si arroghi il merito di ciò che è stato realizzato. . . .

3732. [Dz 2260]. Il principio direttivo della giusta distribuzione. Senza dubbio, per evitare che con queste false decisioni blocchino l’avvicinamento alla giustizia e alla pace, entrambi avrebbero dovuto essere avvertiti dalle sagge parole del Nostro predecessore: “Anche se divisa tra proprietari privati, la terra non cessa di servire all’utilità di tutti”. Pertanto, la ricchezza che viene continuamente accresciuta grazie al progresso economico e sociale dovrebbe essere distribuita in modo tale da preservare il bene comune di tutta la società. In base a questa legge di giustizia sociale, ad una classe è vietato escludere l’altra dalla partecipazione ai profitti. Tuttavia, la classe ricca viola questa legge di giustizia sociale quando, per così dire, libera da ogni ansia per la sua fortuna, consideri giusto quell’ordine di cose per cui tutto spetta a lei e niente all’operaio; e la classe senza proprietà viola questa legge quando, fortemente incattivita dalla giustizia violata e troppo incline a rivendicare a torto l’unico diritto proprio di cui è consapevole, pretenda tutto per sé, con la motivazione che sia stato fatto dalle proprie mani, e quindi attacchi e si sforzi di abolire la proprietà e il reddito, o i profitti che non siano stati ottenuti con il lavoro, di qualsiasi tipo essi siano, o di qualsiasi natura essi siano nella società umana, per nessun altro motivo se non perché sono tali. E non dobbiamo trascurare il fatto che in questa materia alcuni si appellano, in modo inopportuno ed indegno, all’Apostolo quando dice: “Se uno non vuole lavorare, non lo lasci mangiare” (2Ts III,10); infatti l’Apostolo pronuncia questa affermazione contro coloro che si astengono dal lavoro, anche se possono e devono lavorare; e ci consiglia di fare un uso zelante del tempo e delle forze, sia del corpo che della mente, e di non gravare sugli altri, quando possiamo provvedere a noi stessi. Ma in nessun modo l’Apostolo insegna che il lavoro è l’unico titolo per ricevere un sostentamento e dei profitti (cfr. 2Ts III,8-10). – A ciascuno, dunque, va assegnata la propria parte di proprietà; e si deve fare in modo che la distribuzione dei beni creati sia conforme alle norme del bene comune o della giustizia sociale. . . .

Il giusto salario o stipendio del lavoro.

[Dalla stessa Enciclica]

Consideriamo la questione del salario, che Leone XIII disse “essere di grande importanza”, enunciando e spiegando la dottrina ed i precetti dove necessario.

3733. [Dz 2261] Il contratto di salario non è ingiusto nella sua essenza. In primo luogo, infatti, coloro che dichiarano che il contratto di affitto e di accettazione di manodopera a pagamento sia ingiusto nella sua essenza, e che quindi al suo posto debba essere sostituito un contratto di società, sono completamente in errore, e calunniano gravemente il Nostro predecessore, la cui Lettera Enciclica “Sul salario” non solo ammette un tale contratto, ma lo tratta a lungo secondo i principi della giustizia

3734. [Dz 2262] (Su quale base debba essere stimata una giusta remunerazione). Leone XIII ha già saggiamente dichiarato, con le seguenti parole, che la giusta misura del salario debba essere stimata non in base ad una sola ma a diverse considerazioni: “Affinché si possa stabilire una giusta misura del salario, si devono considerare molte condizioni. . . . “

La natura individuale e sociale del lavoro. Sia per la proprietà che per il lavoro, soprattutto per quello dato in affitto, si deve osservare che, oltre alle preoccupazioni personali o individuali, si deve considerare anche l’aspetto sociale; infatti, se non c’è un corpo veramente sociale ed organico, se l’ordine sociale e giuridico non protegge il lavoro, se i vari mestieri che dipendono l’uno dall’altro, uniti in reciproca armonia, non si completano a vicenda e se, cosa più importante, l’intelletto, il capitale ed il lavoro non si uniscono come in un’unità, gli sforzi dell’uomo non possano produrre i frutti dovuti. Pertanto, gli sforzi dell’uomo non possono essere valutati giustamente né adeguatamente ripagati se si trascura la loro natura sociale e individuale. – Tre questioni fondamentali da considerare. Inoltre, da questo duplice carattere, che è la natura profonda del lavoro umano, derivano le conclusioni più serie in base alle quali i salari dovrebbero essere regolati e determinati.

3735. [Dz 2263]. a) Il sostentamento del lavoratore e della sua famiglia. È giusto, infatti, che il resto della famiglia contribuisca, secondo le proprie capacità, al sostentamento comune di tutti, come si può vedere soprattutto nelle famiglie dei contadini ed anche in molte famiglie di artigiani e piccoli negozianti; ma è sbagliato abusare della tenera età dei bambini e della debolezza delle donne. Soprattutto in casa o nelle questioni che riguardano la casa, lasciate che le madri di famiglia svolgano il loro lavoro occupandosi delle cure domestiche. Ma l’abuso peggiore, che deve essere eliminato con ogni sforzo, è quello delle madri costrette a svolgere un’attività remunerativa lontano da casa, a causa dell’esiguità del salario del padre, trascurando le proprie cure e i propri doveri speciali, e soprattutto l’educazione dei figli. Occorre quindi fare ogni sforzo affinché i padri ricevano un salario sufficientemente ampio da soddisfare adeguatamente le ordinarie esigenze domestiche. Ma se allo stato attuale delle cose questo non può essere sempre realizzato, la giustizia sociale richiede che vengano introdotti al più presto dei cambiamenti che permettano ad ogni lavoratore adulto di essere garantito da un tale salario. Non sarà inutile elogiare tutti coloro che, in modo molto saggio ed utile, hanno tentato vari piani per adeguare il salario del lavoratore agli oneri della famiglia, in modo che quando gli oneri aumentano, il salario venga aumentato; sicuramente, se questo dovesse accadere, si farebbe abbastanza per soddisfare i bisogni straordinari.

3736. [Dz 2264] b) La condizione dell’azienda. Si deve tenere conto anche di un’azienda e del suo proprietario; infatti, ingiustamente verrebbero richiesti salari smisurati, che l’azienda non possa sopportare senza la sua rovina e la conseguente rovina dei lavoratori. Tuttavia, se l’azienda produce meno profitti a causa della diligenza, della pigrizia o della negligenza nei confronti del progresso tecnico ed economico, questo non è da considerarsi una giusta causa per abbassare i salari dei lavoratori. Tuttavia, se ad un’impresa non torna una quantità di denaro sufficiente a pagare agli operai un giusto salario, perché è oppressa da oneri ingiusti o perché è costretta a vendere il suo prodotto a un prezzo inferiore a quello giusto, coloro che vessano un’impresa si rendono colpevoli di un grave reato; perché privano del giusto salario gli operai che, costretti dalla necessità, sono obbligati ad accettare un salario inferiore a quello giusto. . . .

3737. [Dz 2265] c) Le esigenze del bene comune. Infine, la scala dei salari deve essere adeguata al benessere economico del popolo. Abbiamo già mostrato come sia utile al benessere del popolo che gli operai e i funzionari, accantonando la parte del loro salario non utilizzata per le spese necessarie, acquisiscano gradualmente un modesto patrimonio; ma non bisogna trascurare un’altra cosa, di importanza appena minore, e particolarmente necessaria nel nostro tempo, ossia che venga fornita un’opportunità di lavoro a coloro che siano in grado e disposti a lavorare. . . . Un’altra cosa, poi, è contraria alla giustizia sociale, ovvero che, per motivi di guadagno personale e senza alcuna considerazione del benessere comune, si abbassino o si alzino eccessivamente i salari dei lavoratori; questa stessa giustizia esige che con una pianificazione concertata e con la buona volontà, per quanto si possa fare, si regolino i salari in modo tale che il maggior numero possibile di persone possa avere un impiego e ricevere mezzi adeguati per il mantenimento della vita.

Molto opportunamente, è importante anche una ragionevole proporzione tra i salari, con la quale è strettamente connessa la giusta proporzione dei prezzi di vendita dei beni prodotti dai vari gruppi come l’agricoltura, l’industria ed altri. Se tutti questi aspetti sono mantenuti in armonia, le varie competenze si combineranno e si uniranno come in un unico corpo e, come le membra di un corpo, si aiuteranno e si perfezioneranno a vicenda. Allora l’ordine economico e sociale sarà veramente stabilito e raggiungerà i suoi scopi, se verranno forniti a tutti ed a ciascuno tutti quei benefici che possono essere forniti dalle ricchezze e dalle risorse della natura, dalle competenze tecniche e dalla costituzione sociale degli affari economici. Anzi, questi benefici dovrebbero essere tanto numerosi quanto sono necessari per soddisfare le necessità e le convenienze onorevoli della vita, e per elevare gli uomini a quel modo di vivere più felice che, a condizione che sia condotto con prudenza, non solo non è un ostacolo alla virtù, ma un grande aiuto ad essa.

Il giusto ordine sociale.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno”, 15 maggio 1931].

3738. [Dz 2266] – [Il dovere dello Stato]. Quando ora parliamo di riforma delle istituzioni, abbiamo in mente soprattutto lo Stato, non come se tutta la salvezza fosse da aspettarsi dalla sua attività, perché a causa del male dell’individualismo, di cui abbiamo parlato, le cose sono arrivate ad un punto tale che la vita sociale altamente sviluppata, che un tempo fioriva compostamente in diverse istituzioni, sia stata abbassata e quasi cancellata; e i singoli uomini e lo Stato sono rimasti quasi soli, con un danno non indifferente per lo Stato che, avendo perso la sua forma di regime sociale ed avendo assunto tutti gli oneri precedentemente sostenuti dalle associazioni ora distrutte, è stato quasi sommerso e sopraffatto da un numero infinito di funzioni e doveri. – Pertanto, l’autorità suprema dello Stato dovrebbe affidare ai gruppi più piccoli l’espletamento di affari e problemi di minore importanza, dai quali altrimenti sarebbe fortemente distratta. In questo modo, tutte le questioni che riguardano lo Stato saranno eseguite in modo più libero, vigoroso ed efficiente, dal momento che esso è l’unico abilitato a svolgerle, dirigendo, sorvegliando, sollecitando e obbligando, a seconda delle circostanze e delle necessità. Pertanto, coloro che sono al potere si convincano che quanto più il principio del dovere del “sussidiario” sia perfettamente rispettato ed un ordine gerarchico graduale fiorisca tra le varie associazioni, tanto più eccezionali saranno l’autorità e l’efficienza sociale, e più felice e prospera la condizione dello Stato.

3739. [Dz 2267]. L’armonia reciproca degliordini“. Inoltre, sia lo Stato che ogni cittadino di spicco, dovrebbero guardare e sforzarsi soprattutto per questo, che con la soppressione dei conflitti tra le classi possa essere suscitata e promossa una piacevole armonia tra gli ordini. . . . – Perciò la politica sociale deve lavorare per il ripristino degli “ordini” …, “ordini”, cioè, in cui gli uomini sono collocati non in base alla posizione che occupano nel mercato del lavoro, ma in base ai diversi ruoli sociali che esercitino individualmente. Infatti, come accade per impulso naturale che coloro che sono uniti dalla vicinanza del luogo fondino dei comuni, così anche coloro che esercitano lo stesso mestiere o la stessa professione – sia essa economica o di altro tipo – formano corporazioni o determinati gruppi (collegia seu corpora quaedam), cosicché questi gruppi, essendo veramente autonomi, siano abitualmente indicati, se non come essenziali alla società civile, almeno come naturali ad essa. . . . – È appena il caso di ricordare che ciò che Leone XIII ha insegnato sulla forma di governo politico sia ugualmente applicabile, con le dovute proporzioni, alle corporazioni od ai gruppi, e cioè che sia lecito agli uomini scegliere la forma che preferiscono, purché si tenga conto delle esigenze della giustizia e del bene comune.

3740. [Dz 2268] [Libertà di associazione]. Ora, come gli abitanti di un comune sono soliti fondare associazioni per scopi molto diversi, alle quali ciascuno ha piena facoltà di aderire o meno, così coloro che esercitano lo stesso mestiere si associano tra loro in modo altrettanto libero per scopi in qualche modo connessi all’esercizio del loro mestiere. Poiché queste libere associazioni sono state spiegate in modo chiaro e lucido dal Nostro predecessore, riteniamo sufficiente sottolineare questo punto: che l’uomo ha piena libertà non solo di formare tali associazioni, che sono di diritto e ordine privato, ma anche di scegliere liberamente all’interno di esse quell’organizzazione e quelle leggi che sono considerate particolarmente favorevoli al fine che è stato proposto”. * La stessa libertà deve essere mantenuta nell’istituire associazioni che si estendono oltre i limiti di un singolo commercio. Inoltre, queste libere associazioni che già fioriscono e godono di frutti salutari, secondo il pensiero della dottrina sociale cristiana, si prefiggano di preparare la strada a quelle corporazioni o “ordini” più importanti di cui abbiamo fatto menzione sopra, e lo realizzino con impegno.

3741. [Dz 2269]. Il principio guida dell’economia da ripristinare. Un’altra questione, strettamente connessa alla prima, deve essere tenuta presente. Come l’unità della società non può poggiare sulla reciproca opposizione delle classi, così il giusto ordinamento degli affari economici non può essere affidato alla libera competizione delle forze. . . Perciò si devono cercare principi più alti e più nobili con cui controllare questo potere in modo fermo e solido: la giustizia sociale e la carità sociale. Pertanto, le istituzioni del popolo, e di tutta la vita sociale, devono essere impregnate di questa giustizia, in modo che sia veramente efficiente, o stabilire un ordine giuridico e sociale, con il quale, per così dire, l’intera economia possa essere modellata. La carità sociale, inoltre, dovrebbe essere l’anima di questo ordine, e un’autorità pubblica attenta dovrebbe mirare a proteggerla e custodirla efficacemente, compito che potrà svolgere con meno difficoltà, se si libererà di quei pesi che abbiamo dichiarato prima non esserle propri. – Inoltre, le varie Nazioni dovrebbero sforzarsi di raggiungere questo obiettivo unendo il loro zelo e le loro fatiche, in modo che, poiché negli affari economici dipendono per la maggior parte l’una dall’altra ed hanno bisogno dell’aiuto reciproco, possano promuovere con saggi patti e istituzioni, una favorevole e felice cooperazione nel mondo dell’economia.

Socialismo.

[Dalla stessa Enciclica, “Quadragesimo anno“, 15 maggio 1931]

3742. [Dz 2270] Dichiariamo quanto segue: Sia che si consideri il socialismo come dottrina, sia che lo si consideri come fatto storico, sia che lo si consideri come “azione”, se veramente rimane socialismo, anche dopo aver ceduto alla verità e alla giustizia nelle questioni che abbiamo menzionato, non può essere conciliato con i dogmi della Chiesa cattolica, poiché concepisce una società umana completamente in contrasto con la verità cristiana.

3743. Il socialismo concepisce una società ed un carattere sociale dell’uomo completamente in contrasto con la verità cristiana. Secondo la dottrina cristiana, l’uomo, dotato di una natura sociale, è posto su questa terra affinché, conducendo una vita in società e sotto un’autorità ordinata da Dio (cfr. Rm XIII,1), possa sviluppare e far evolvere pienamente tutte le sue facoltà a lode e gloria del suo Creatore; e compiendo fedelmente il dovere del suo mestiere, o di qualsiasi altra vocazione, possa acquisire per sé la felicità temporale ed eterna. Il socialismo, invece, ignorando completamente questo fine sublime dell’uomo e della società, e non preoccupandosene, afferma che la società umana sia stata istituita per i soli vantaggi materiali. . . .

3744. Cattolico e socialista hanno significati contraddittori. Ma se il socialismo, come tutti gli errori, contiene in sé qualche verità (che, del resto, i Sovrani Pontefici non hanno mai negato), tuttavia si basa su una dottrina della società umana, peculiare a se stessa, ed in contrasto con il vero Cristianesimo. “Socialismo religioso”, “Socialismo cristiano” hanno significati contraddittori: nessuno può essere allo stesso tempo un buon Cattolico ed un socialista nel vero senso della parola”.

3447. Che se il socialismo, come tutti gli errori, ammette pure qualche parte di vero (il che del resto non fu mai negato dai Sommi Pontefici), esso tuttavia si fonda su una dottrina della società umana, tutta sua propria e discordante dal vero Cristianesimo. Socialismo religioso e socialismo cristiano sono dunque termini contraddittori: nessuno può essere buon Cattolico ad un tempo e vero socialista. 

Risposta della Sacra Penitenzieria, 20 luglio 1932.

Ricorso esclusivo ai periodi sterili.

3748. Domanda: È di per sé lecita la pratica dei coniugi che, poiché per giusti e gravi motivi preferiscono evitare onestamente la prole, si astengano di comune accordo e per onesti motivi dalla consuetudine del Matrimonio se non in quei giorni in cui, secondo le teorie di alcuni autori recenti (Ogino-Knaus), non possa esserci concepimento per motivi naturali? Risposta: Trattata nella risposta della Sacra Penitenzieria del 16 giugno 1880 (cf. 3148.)

La maternità universale della Beata Vergine Maria.

[Dall’Enciclica “Lux veritatis“, 25 dicembre 1931]

[Dz 2271] Ella (a ben vedere), per il fatto di aver portato in grembo il Redentore del genere umano, è in un certo senso la Madre più benigna di tutti noi, che Cristo Signore ha voluto avere come fratelli (cfr. Rm VIII,29). Il nostro predecessore di felice memoria, Leone XIII, così si esprime: “Così ce l’ha mostrata Dio che, per il fatto stesso di averla scelta come Madre del suo Unigenito, l’ha chiaramente dotata di sentimenti materni che non esprimono altro che amore e bontà; così l’ha mostrata Gesù Cristo con il suo stesso atto, quando ha voluto di sua volontà essere sottomesso ed obbediente a Maria, come il figlio alla madre; così l’ha dichiarata dalla Croce quando l’ha affidata, come l’intero genere umano, a Giovanni il discepolo, perché fosse da lui curata e custodita” (Gv XIX,26 s.); così, infine, l’ha mostrata a tutti noi come una madre benigna (cfr. Rm VIII,29). ); tale, infine, si è data Lei stessa, che ha accolto con il suo grande spirito l’eredità di grande lavoro lasciata dal Figlio morente, ed ha iniziato subito a esercitare i suoi doveri materni verso tutti.

Risposta della Commissione Biblica, 1 luglio 1933.

3750. Domanda 1: È lecito per un Cattolico, soprattutto alla luce dell’interpretazione autentica del Principe degli Apostoli (At 2,24-33 At 13,35-37) interpretare le parole del Sal XVI,10-11: “Non lascerai la mia anima nello Sceol, né permetterai che il tuo Santo veda la corruzione; mi hai fatto conoscere i sentieri della vita”, come se l’autore non intendesse parlare della risurrezione di nostro Signore Gesù Cristo? Risposta: No.

3751. Domanda 2: È lecito affermare che le parole di Gesù Cristo che leggiamo in Mt XVI, 26: “E che giova all’uomo se guadagna il mondo intero e perde la propria anima? O che cosa darà un uomo in cambio della sua anima?”, così come le seguenti, che leggiamo in San Luca: “Che cosa giova ad un uomo guadagnare il mondo intero se poi rovina o perde se stesso? “non riguardano letteralmente la salvezza eterna dell’anima, ma solo la vita temporale dell’uomo, nonostante il contenuto delle parole stesse e il loro contesto, nonché l’unanime interpretazione cattolica?

Risposta: No.

Lett. Encycl. “Ad catholici sacerdotii“, 20 dic. 1935.

3755. Gli effetti dell’Ordine del sacerdozio.

[Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935]

3755. [Dz 2275] Il ministro di Cristo è il Sacerdote; pertanto, egli è, per così dire, lo strumento del divino Redentore, affinché egli possa continuare nel tempo la sua opera meravigliosa che, con la sua divina efficacia, ha restaurato l’intera società degli uomini e l’ha portata a un più alto perfezionamento. Piuttosto, come siamo soliti dire in modo giusto ed appropriato: “Egli è un altro Cristo”, poiché svolge il suo ruolo secondo queste parole: “Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi” (Gv XX,21); e allo stesso modo e attraverso la voce degli Angeli il suo Maestro canta: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli” ed esorta alla pace “gli uomini di buona volontà” (cfr. Lc II,14). . . .

3756. Tali poteri, conferiti con lo speciale Sacramento del Sacerdozio, poiché si imprimono nella sua anima con il carattere indelebile per cui, come Colui di cui condivide il Sacerdozio, egli diventa “Sacerdote per sempre” (Sal CIX,4), non sono fugaci e transitori, ma stabili e permanenti. Anche se per la fragilità umana dovesse cadere in errori e disgrazie, non potrà mai cancellare dalla sua anima questo carattere sacerdotale. Inoltre, attraverso il Sacramento dell’Ordine il Sacerdote non solo acquisisce il carattere sacerdotale, non solo gli alti poteri, ma è anche reso più grande da una nuova e speciale grazia e da speciali aiuti, grazie ai quali, se solo si conformerà fedelmente, con la sua libera e personale cooperazione, alla potenza divinamente efficace di questi doni celesti, sicuramente sarà in grado di affrontare degnamente e senza sconforto di spirito gli ardui doveri del suo ministero. . . . – Dai santi ritiri [degli esercizi spirituali] di questo tipo può anche scaturire a volte una tale utilità, che uno, entrato “in sortem Domini” non per chiamata di Cristo stesso ma indotto dai suoi motivi terreni, possa essere in grado di “suscitare la grazia di Dio” (cfr. 2Tm 1); infatti, essendo ormai legato a Cristo ed alla Chiesa da un vincolo eterno, non può far altro che far proprie le parole di San Bernardo: “Per il futuro, fa’ buone le tue vie e le tue ambizioni e santifica il tuo ministero; se la santità della vita non l’ha preceduta, almeno la segua”. La grazia che è comunemente concessa da Dio e che viene data in modo speciale a chi accetta il Sacramento dell’Ordine, lo aiuterà senza dubbio, se lo desidera veramente, non tanto a modificare ciò che all’inizio fosse stato progettato in modo sbagliato da lui, quanto ad eseguire ed a prendersi cura dei doveri del suo ufficio.

Dall’Enciclica “Ad catholici sacerdotii“, 20 dicembre 1935.

3757. [Dz 2276]Infine, anche in questa materia il Sacerdote, compiendo l’opera di Gesù Cristo, che “passò tutta la notte nella preghiera di Dio” (Lc VI,12), e “visse sempre per intercedere per noi” (Heb VII,25), è per ufficio l’intercessore presso Dio per tutti; tra i suoi mandati c’è quello di offrire non solo il vero e proprio Sacrificio dell’altare a nome della Chiesa alla Divinità celeste, ma anche “il Sacrificio di lode” (Sal XLIX,14) e le preghiere comuni; Egli, infatti, con i salmi, le suppliche ed i cantici, mutuati in gran parte dalla Sacra Scrittura, assolve quotidianamente e ripetutamente al dovere dell’adorazione dovuta a Dio, e compie il necessario ufficio di tale adempimento per gli uomini. . . .

3758. Se la supplica privata è così potente a causa delle solenni e grandi promesse fatte da Gesù Cristo (Mt VII,7-11; Mc XI,23 Lc XI,9-13), allora le preghiere, che vengono pronunciate nell’Ufficio a nome della Chiesa, sposa prediletta del Redentore, godono senza dubbio di maggiore forza e virtù.

Risposta del Sant’Uffizio. 11 agosto 1936. Sterilizzazione.

3760. Dichiarazione: … Un’operazione chirurgica che porti alla sterilizzazione non è, ovviamente, un'”azione intrinsecamente malvagia per quanto riguarda la sostanza dell’atto”, e può quindi essere permessa finché è necessaria per procurare una buona salute. Ma se viene eseguita allo scopo di impedire la procreazione di figli, è un'”azione intrinsecamente malvagia per l’assenza di diritto in colui che agisce”, poiché né un uomo privato, né l’autorità pubblica, hanno un potere diretto di disporre delle membra del corpo che si estenda fino a quel punto.

3761. Questa dottrina, esplicitamente presentata dal Sommo Pontefice, deve essere applicata integralmente alla legge sulla sterilizzazione in questione. Il fatto che questa legge, volta a prevenire la prole handicappata, sia stata emanata per motivi puramente eugenetici, ovvero per prevenire danni economici o di altro tipo, non cambia la fattispecie né compensa l’assenza di diritti da parte di chi agisce, ed è per questo che l’operazione di sterilizzazione che viene prescritta debba essere considerata intrinsecamente ingiusta, e di fatto lo è.

3762. Di conseguenza: anche se il fine della legge, che è quello di curare la salute ed il vigore della prole, e di prevenire la prole handicappata, non deve essere riprovato, l’oggetto della legge, cioè i mezzi prescritti per condurre a questo fine, deve tuttavia essere totalmente riprovato. (In conseguenza di ciò, il Sant’Uffizio diede questa risposta il 15 luglio 1936: )

3763. 1) Una sterilizzazione effettuata per questo fine, che è quello di impedire la discendenza, è un’azione intrinsecamente cattiva per l’assenza di un diritto da parte di chi agisce; ed è per questo che è proibita dalla stessa legge naturale, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità privata, sia che venga effettuata in virtù di un’autorità pubblica.

3764. 2) … Nella misura in cui prescrive che tale sterilizzazione sia richiesta o che sia effettuata, la “Legge per evitare che la prole soffra di una malattia ereditaria” è contraria al vero bene comune, ingiusta e non può creare un obbligo in coscienza.

3765. 3) Approvare questa legge, raccomandarla o applicarla con sentenza giudiziaria a casi particolari affinché si proceda alla sterilizzazione, così come approvare la sterilizzazione stessa in vista della prevenzione della prole…, significa approvare qualcosa di intrinsecamente malvagio…, ed è per questo immorale ed illecita.

Lett. Encycl. “Divini Redemptoris”, 19 mar. 1937.

3771.Quanto a ciò che la ragione e la fede dicono dell’uomo, Noi abbiamo esposto i punti fondamentali nell’Enciclica sull’educazione cristiana. L’uomo ha un’anima spirituale e immortale; è una persona, dal Creatore ammirabilmente fornita di doni di corpo e di spirito, un vero « microcosmo » come dicevano gli antichi, un piccolo mondo, che vale di gran lunga più di tutto l’immenso mondo inanimato. Egli ha in questa e nell’altra vita solo Dio per ultimo fine; è dalla grazia santificante elevato al grado di figlio di Dio e incorporato al regno di Dio nel mistico Corpo di Cristo. Conseguentemente Dio l’ha dotato di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà.– Come il Matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non dall’arbitrio umano né da fattori economici. Nell’Enciclica sul Matrimonio cristiano e nell’altra Nostra, sopra accennata, sull’educazione, Ci siamo largamente diffusi su questi argomenti. Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo possa e debba servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa.

3772. Ma Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la società all’uso egoistico dell’individuo; ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali sorpassano l’immediato interesse del momento e rispecchiano nella società la perfezione divina: ciò nell’uomo isolato non potrebbe verificarsi. Ma anche quest’ultimo scopo è in ultima analisi in ordine all’uomo, perché riconosca questo riflesso della perfezione divina, e lo rimandi così in lode e adorazione al Creatore. Solo l’uomo, la persona umana, e non una qualsiasi società umana, è dotato di ragione e di volontà moralmente libera.

3773. Pertanto come l’uomo non può esimersi dai doveri voluti da Dio verso la società civile, e i rappresentanti dell’autorità hanno il diritto, quando egli si rifiutasse illegittimamente, di costringerlo al compimento del proprio dovere, così la società non può frodare l’uomo dei diritti personali, che gli sono stati concessi dal Creatore, i più importanti dei quali sono stati da Noi sopra accennati, né di rendergliene impossibile per principio l’uso. È quindi conforme alla ragione e da essa voluto che alla fin fine tutte le cose terrestri siano ordinate alla persona umana, affinché per mezzo suo esse trovino la via verso il Creatore. E si applica all’uomo, alla persona umana, ciò che l’Apostolo delle Genti scrive ai Corinti sull’economia della salvezza cristiana: «Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio ». Mentre il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società, la ragione e la rivelazione la elevano così in alto! – Sull’ordine economico-sociale i princìpi direttivi sono stati esposti nell’Enciclica sociale di Leone XIII sulla questione del lavoro, e nella Nostra sulla ricostruzione dell’ordine sociale sono stati adattati alle esigenze del tempo presente. Poi, insistendo di nuovo sulla dottrina secolare della Chiesa, circa il carattere individuale e sociale della proprietà privata, Noi abbiamo precisato il diritto e la dignità del lavoro, i rapporti di vicendevole appoggio e aiuto che devono esistere tra quelli che detengono il capitale e quelli che lavorano, il salario dovuto per stretta giustizia all’operaio per sé e per la sua famiglia.

Giustizia sociale.

[Dall’Enciclica “Divini Redemptoris“, 19 marzo 1937]

3774. [Dz 2277] In realtà, oltre alla giustizia che si chiama commutativa, si deve promuovere anche la giustizia sociale, che esige doveri dai quali né i lavoratori né i datori di lavoro possano sottrarsi. Ora, è compito della giustizia sociale esigere dall’individuo ciò che sia necessario per il bene comune. Ma come nel caso della struttura di qualsiasi corpo vivente, non c’è alcun riguardo per il bene dell’insieme, se ogni singolo membro non sia dotato di tutte le cose di cui ha bisogno per svolgere il proprio ruolo, così nel caso della costituzione e della composizione della comunità, non ci può essere alcuna disposizione per il bene dell’intera società, se i singoli membri, cioè gli uomini dotati della dignità della personalità, non siano forniti di tutto ciò di cui hanno bisogno per esercitare i loro doveri sociali. Se, dunque, si provvede alla giustizia sociale, i ricchi frutti dello zelo attivo cresceranno dalla vita economica, che maturerà in un ordine di tranquillità, e daranno prova della forza e della solidarietà dello Stato, proprio come la forza del corpo si riconosce dal suo funzionamento indisturbato, completo e fruttuoso. – La giustizia sociale non sarà soddisfatta se gli operai non potranno garantire a se stessi e alle loro famiglie un sostentamento sicuro, basato su un salario accettabile e coerente con la realtà; se non si darà loro l’opportunità di acquisire una modesta fortuna per se stessi, in modo da evitare quella piaga del pauperismo universale, che è così ampiamente diffusa; se non si faranno, infine, piani opportuni per il loro beneficio, in base ai quali gli operai, per mezzo di assicurazioni pubbliche o private, possano avere una qualche copertura per la loro vecchiaia, i periodi di malattia e la disoccupazione. A questo proposito è bene ripetere ciò che abbiamo detto nella Lettera enciclica Quadragesimo anno“: “Solo allora l’ordine economico e sociale sarà ben stabilito, ecc. (cfr. n. 2265).

Enciclica “Firmissimam constantiam” ai Vescovi degli Stati Uniti d’America del Messico, 28 marz. 1937.

3775. Avete insegnato che, anche a costo di gravi inconvenienti per se stessa, la Chiesa sostenga la pace e l’ordine, e che condanni qualsiasi ribellione o violenza ingiusta contro i poteri costituiti. D’altra parte, è stato anche affermato da voi che se si verifica il caso in cui i poteri stessi combattano apertamente la giustizia e la verità a tal punto da distruggere persino le fondamenta dell’autorità, non si capisce perché dovremmo condannare i cittadini che si uniscono per proteggere se stessi e la nazione, quando usano mezzi leciti ed approvati contro coloro che abusano del potere portando alla rovina la vita pubblica comune.

3776. Anche se la soluzione di queste questioni dipenda necessariamente dalle circostanze concrete, è necessario evidenziare alcuni principi: 1. Gli atti di resistenza di questo tipo hanno il carattere di mezzo o di fine relativo, non quello di fine ultimo ed assoluto. 2. In quanto mezzi, devono essere azioni lecite e non intrinsecamente malvagie. 3. Poiché devono essere adeguati e proporzionati al fine, devono tuttavia essere attuati solo nella misura in cui conducano in tutto o in parte al fine perseguito, ma in modo tale che non causino alla comunità ed alla giustizia un danno maggiore di quello che cercano di riparare. 4. L’uso di questi mezzi ed il pieno esercizio dei diritti civili e politici, tuttavia, poiché comprendono anche ciò che è puramente temporale e tecnico o la difesa della forza, non riguardano direttamente il compito dell’Azione Cattolica, anche se essa ha il dovere di istruire gli uomini Cattolici ad esercitare in modo giusto i diritti loro propri e a difenderli con mezzi giusti, secondo quanto richiede il bene comune. 5. Poiché il clero e l’Azione Cattolica sono tenuti, in virtù della missione di pace e di amore che è stata loro affidata, a unire tutti gli uomini “nel vincolo della pace” (Eph IV,3), essi devono contribuire in massimo grado alla prosperità della Nazione, sia promuovendo grandemente l’unione dei cittadini e delle classi, sia sostenendo tutte le iniziative sociali che non siano in contraddizione con la dottrina di Cristo e la legge morale.

PIO XII: 2 marz. 1938- 9 ott.1958

Lett. Encycl.  “Summi pontificatus”, 20 ott. 1939.

La legge naturale.

[Dall’Enciclica “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939]

3780. [Dz 2279] È assodato che la prima e profonda fonte dei mali da cui è afflitto lo Stato moderno derivi dal fatto che la norma universale della moralità è negata e respinta, non solo nella vita privata degli individui, ma anche nello Stato stesso, e nei rapporti reciproci che esistono tra le razze e le nazioni; cioè, la legge naturale viene annullata dalla detrazione e dalla negligenza. – Questa legge naturale poggia su Dio come fondamento, l’onnipotente Creatore e Autore di tutto, e anche il supremo e più perfetto Legislatore, il più saggio e giusto vendicatore delle azioni umane. Quando la Divinità eterna viene negata in modo avventato, allora il principio di ogni probità vacilla ed oscilla, e la voce della natura tace, o viene gradualmente indebolita, che insegna agli ignoranti e a coloro che non hanno ancora acquisito l’esperienza della civiltà ciò che sia giusto e ciò che non sia giusto; ciò che sia permesso e ciò che non sia permesso, e li avverte che un giorno dovranno rendere conto delle loro azioni buone e cattive davanti al Giudice Supremo.

L’unità naturale del genere umano.

[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].

[Dz 2280]. [L’errore pernicioso] è contenuto nella dimenticanza di quel rapporto reciproco tra gli uomini e di quell’amore che la comune origine e l’uguaglianza della natura razionale di tutti gli uomini, a qualunque razza appartengano, richiedono. . . . La Bibbia narra che dal primo matrimonio dell’uomo e della donna ebbero origine tutti gli altri uomini, che si divisero in varie tribù e nazioni e si dispersero in varie parti del mondo. . . . (Ac XVII,26): Perciò, grazie ad una meravigliosa intuizione mentale, possiamo vedere e contemplare il genere umano come un’unità, a causa della sua comune origine dal Creatore, secondo queste parole: “Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, per mezzo di tutti e in noi tutti” (Eph IV,6); e allo stesso modo, una sola natura che consiste nella materialità del corpo e nell’anima immortale e spirituale. . ..

Diritto internazionale.

[Dalla stessa Enciclica, “Summi Pontificatus“, 20 ottobre 1939].

3783. [Dz 2281] Venerabili Fratelli, l’opinione che attribuisce un potere quasi infinito allo Stato non solo è un errore fatale per la vita interna delle Nazioni e per la promozione di una maggiore crescita, ma nuoce anche alle relazioni reciproche dei popoli, poiché viola quell’unità con cui tutte le Nazioni dovrebbero essere contenute nei loro rapporti reciproci, spoglia le leggi internazionali della loro forza e della loro potenza e, aprendo la strada alla violazione di altre leggi, rende molto difficile la convivenza in pace e tranquillità.

3784. Il genere umano, infatti, sebbene per la legge dell’ordine naturale stabilita da Dio si disponga in classi di cittadini e, allo stesso modo, in Nazioni e Stati, è tuttavia legato da vincoli reciproci negli affari giuridici e morali, e si riunisce in un’unica grande congregazione di popoli destinati a perseguire il bene comune di tutte le Nazioni, ed è governato da norme speciali che preservino l’unità e li indirizzino quotidianamente verso circostanze più prospere.

3785. Certamente non c’è nessuno che non veda che, se si rivendicano diritti per lo Stato, che è del tutto assoluto e non è responsabile nei confronti di nessuno, ciò si oppone completamente al diritto naturalmente radicato e lo confuta completamente; ed è chiaro, inoltre, che tali diritti mettano a discrezione dei governanti dello Stato i vincoli legalmente concordati con i quali le Nazioni sono unite l’una all’altra; e impediscano un onesto accordo di menti e la reciproca collaborazione per azioni utili. Se, Venerabili Fratelli, le intese tra gli Stati, adeguatamente organizzate e durature, richiedono questo, i legami di amicizia, da cui scaturiscono ricchi frutti, esigono che i popoli riconoscano i principi e le norme della legge naturale con cui le Nazioni sono unite l’una all’altra, e siano obbedienti ad essi. Allo stesso modo, questi stessi principi esigono che ogni Nazione conservi la propria libertà e che a tutti siano assegnati quei diritti grazie ai quali possano vivere e avanzare di giorno in giorno sulla strada del progresso civile verso circostanze più prospere; infine, esigono che i patti stipulati, come previsto e sancito dal diritto internazionale, rimangano intatti e inviolabili. – Non c’è dubbio che solo allora le Nazioni possano convivere pacificamente, solo allora possono essere governate pubblicamente da legami stabiliti, quando esiste tra loro la fiducia reciproca; quando tutti sono convinti che la fiducia accordata sarà preservata da entrambe le parti; infine, quando tutti accettano come certe le parole: “Meglio la saggezza che le armi da guerra” (cfr. Eccles. Qo IX,18); e, inoltre, quando tutti sono disposti ad approfondire e discutere una questione, ma non con la forza e la minaccia di portare ad una situazione critica, se si frappongono ritardi, controversie, difficoltà, cambiamenti di fronte, che in effetti possono nascere non solo dalla malafede, ma anche da un cambiamento di circostanze e da un reciproco scontro di interessi individuali.

3786. Ma allora separare il diritto delle Nazioni dal diritto divino, in modo che dipenda dalle decisioni arbitrarie dei governanti dello Stato come unico fondamento, non è altro che farlo cadere dal suo trono di onore e sicurezza, e consegnarlo ad uno zelo eccessivo e interessato al vantaggio privato e pubblico, che non cerca altro che di affermare i propri diritti e negare quelli degli altri.

[Dz 2282] Certamente, si deve affermare che nel corso del tempo, a causa di gravi cambiamenti nelle circostanze – che, mentre il patto veniva stipulato, non erano previsti, o forse non potevano nemmeno essere previsti -, o interi accordi o alcune parti di questi diventino talvolta ingiusti per una delle parti stipulanti, o potrebbero sembrarlo, o almeno risultare eccessivamente severi, o, infine, diventare tali da non poter essere eseguiti con vantaggio. Se ciò dovesse accadere, il rifugio deve necessariamente essere preso in una discussione sincera ed onesta, al fine di apportare le opportune modifiche al patto o di comporne uno completamente nuovo. Ma, d’altra parte, considerare i patti come cose fluide e fugaci, e attribuirsi il tacito potere, ogni volta che il proprio vantaggio lo richieda, di infrangerli di propria volontà, cioè senza consultare e trascurare l’altra parte del patto, priva certamente gli Stati della dovuta e reciproca fiducia; e così l’ordine della natura è completamente distrutto, e i popoli e le Nazioni sono separati gli uni dagli altri come da precipitosi e profondi abissi.

3786. Ma d’altra parte, staccare il diritto delle genti dall’àncora del diritto divino, per fondarlo sulla volontà autonoma degli stati, significa detronizzare quello stesso diritto e togliergli i titoli più nobili e più validi, abbandonandolo all’infausta dinamica dell’interesse privato e dell’egoismo collettivo tutto intento a far valere i propri diritti e a disconoscere quelli degli altri.

Decreto del Sant’Uffizio, 21 (24) febbraio 1940.

Sterilizzazione.

3788. Domanda: È lecita la sterilizzazione diretta, perpetua o temporanea, di un uomo o di una donna? Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 22 febbraio): No; è proibita dalla legge naturale e, per quanto riguarda la sterilizzazione eugenetica, è già stata riprovata con il decreto del 21 marzo 1931.

Decreto del Sant’Uffizio del 27 novembre (2 dicembre) 1940.

L’uccisione diretta di persone innocenti per ordine dell’autorità.

3790. Domanda: È lecito uccidere direttamente, per ordine delle autorità pubbliche, coloro che, senza aver commesso alcun crimine meritevole di morte, non siano tuttavia più in grado, per carenze mentali o fisiche, di essere utili alla nazione, e che anzi sono considerati un peso per essa ed un ostacolo al suo vigore e alla sua forza?

Risposta (confermata dal Sommo Pontefice il 1° dicembre): No, perché ciò è contrario alla legge naturale e alla legge divina positiva.

Lett. Commissione biblica ai Vescovi italiani. 20 ago. 1942. (Circa il libretto di un Anonimo [don Dolindo Ruotolo]

Il senso letterale e spirituale della Scrittura.

3792. (1) L’autore anonimo, pur facendo un’affermazione a parole sul fatto che il senso letterale sia “la base dell’interpretazione biblica”, in realtà sostiene un’interpretazione totalmente soggettiva ed allegorica… Certo, è un’affermazione di fede, e va tenuta come principio fondamentale, che la Sacra Scrittura contenga, oltre al senso letterale, un senso spirituale o tipico, come insegna la via di nostro Signore e degli Apostoli; tuttavia, non tutte le frasi o tutti i racconti biblici contengono un senso tipico, ed è stato un grande eccesso della scuola alessandrina voler trovare ovunque un senso simbolico, anche a scapito del senso letterale e storico. Il significato spirituale o tipico, oltre a basarsi sul significato letterale, deve essere provato o dall’uso di nostro Signore, degli Apostoli o degli scrittori ispirati, o dall’uso tradizionale dei santi Padri e della Chiesa, specialmente nella sacra Liturgia, perché “la regola della preghiera è la regola della fede (cf. 246). Un’applicazione più ampia dei testi sacri può anche essere giustificata da uno scopo di edificazione nella predicazione e negli scritti ascetici; ma il significato che risulta dalle sistemazioni più fortunate, quando non sia stato approvato come detto sopra, non può dirsi veramente e rigorosamente il significato della Bibbia, né il significato che Dio ha ispirato all’agiografo.

3793. L’autore anonimo, invece, che non fa nessuna di queste elementari distinzioni, vuole imporre i voli della sua immaginazione come significato della Bibbia, come “la vera comunione spirituale della sapienza del Signore”, e ignorando l’importanza capitale del significato letterale, accusa calunniosamente gli esegeti cattolici di considerare “solo il significato letterale” e di considerarlo “in modo umano, prendendolo solo materialmente per quello che le parole significano”…. In questo modo egli rifiuta la regola d’oro dei Dottori della Chiesa, formulata così chiaramente da Tommaso d’Aquino: “Tutti i significati si basano sull’unico significato letterale, e si può argomentare solo a partire da esso”; una regola che i Sommi Pontefici hanno approvato e consacrato quando hanno prescritto, soprattutto, che il significato letterale debba essere ricercato con tutta la cura possibile. Così, ad esempio, Leone XIII… Per questo è necessario soppesare attentamente il valore delle parole stesse, il significato del contesto, la somiglianza dei passi e altre cose simili, e anche associare chiarimenti esterni con una scienza appropriata”… (viene citato anche il precetto 3284 di Agostino) Benedetto XV ha anche detto… “Vogliamo esaminare attentamente le parole stesse della Scrittura, per accertare al di là di ogni dubbio ciò che l’autore sacro abbia scritto; ed egli… raccomanda agli esegeti di “salire con misura e discrezione a interpretazioni più elevate”. – Infine i due Papi… insistono, con le parole stesse di san Girolamo, sul dovere dell’esegeta: “Il dovere del commentatore è di esporre non idee ed intenzioni personali, ma unicamente il pensiero, l’idea dell’autore che commenta”.

3794. (2) … Il Concilio di Trento volle, contro la confusione causata dalle nuove traduzioni in latino e nelle lingue volgari allora diffuse, sancire l’uso pubblico nella Chiesa d’Occidente della versione latina comune, giustificandolo con l’uso secolare che la Chiesa ne faceva, Ma non intendeva con questo sminuire in alcun modo l’autorità delle antiche versioni usate nelle Chiese d’Oriente, in particolare quella dei Settanta usata dagli stessi Apostoli, e ancor meno l’autorità dei testi originali. Si oppose ad alcuni Padri che volevano l’uso esclusivo della Vulgata come unico testo autorevole. L’autore anonimo, invece, ritiene che, in virtù del decreto del Concilio di Trento, abbiamo nella versione latina un testo dichiarato superiore a tutti gli altri; critica gli esegeti per aver voluto interpretare la Vulgata con l’aiuto dei testi originali e delle altre versioni antiche. Per lui, il decreto dà “la certezza del testo sacro”, cosicché la Chiesa non ha bisogno di “cercare di nuovo l’autentica lettera di Dio”, e questo non solo in materia di fede e di morale, ma per tutte le questioni (anche letterarie, geografiche, cronologiche, ecc.)…

3795. Ora, una simile affermazione non solo è contraria al senso comune, che non accetterebbe mai che una versione possa essere superiore al testo originale, ma è anche contraria al pensiero dei Padri del Concilio, come risulta dagli atti ufficiali. Il Concilio era addirittura convinto della necessità di rivedere e correggere la stessa Vulgata, e affidò il compito ai sovrani Pontefici, che lo fecero, così come fecero, secondo i più competenti collaboratori del Concilio stesso, un’edizione corretta della Septuaginta,… e poi ordinarono quella del testo ebraico dell’Antico Testamento e del testo greco del Nuovo Testamento… E contraddice apertamente il precetto dell’enciclica “Providentissimus“: “Non intendiamo però che non si tenga conto delle altre versioni che i Cristiani delle prime epoche hanno usato con lode, e soprattutto dei testi primitivi”.

3796. In breve, il Concilio di Trento dichiarò la Vulgata “autentica” in senso giuridico, cioè per tutto ciò che riguardi “la forza probatoria in materia di fede e di morale”, ma non escluse il fatto di possibili divergenze dal testo originale e dalle versioni antiche…

L’origine corporale dell’uomo.

[Da un discorso di Pio Xll del 30 novembre 1941, all’inizio dell’anno della Pontificia Accademia delle Scienze]

[Dz 2285] Dio ha collocato l’uomo al posto più alto nella scala degli esseri viventi, dotato com’è di un’anima spirituale, il principale ed il più alto di tutto il regno animale. Le numerose indagini nei campi della paleontologia, della biologia e della morfologia su altre questioni riguardanti l’origine dell’uomo non hanno finora prodotto nulla di chiaro e certo in modo positivo. Pertanto, possiamo solo lasciare al futuro la risposta alla domanda se un giorno la scienza illuminata e guidata dalla rivelazione offrirà soluzioni certe e definitive ad una questione così seria.

Lett. Encycl. “Mystici corporis”, 29 giu. 1943.

I Membri della Chiesa

3800. … inoltre, come nella natura delle cose il corpo non è costituito da una qualsiasi congerie di membra, ma dev’essere fornito di organi, ossia di membra che non abbiano tutte il medesimo compito, ma siano debitamente coordinate; così la Chiesa, per questo specialmente deve chiamarsi corpo, perché risulta da una esatta disposizione e coerente unione di membri fra loro diversi. Né altrimenti l’Apostolo descrive la Chiesa, quando dice: “come in un sol corpo abbiamo molte membra, e non tutte le membra hanno la stessa funzione, così  noi molti siamo un corpo in Cristo, e membra gli uni degli altri” (Rom. 12, 4).

3801. Non bisogna però credere che questa organica struttura della Chiesa sia costituita dai soli gradi della gerarchia e ad essi limitata, oppure, come ritiene un’opposta sentenza, consti unicamente di persone carismatiche (benché Cristiani forniti di doni prodigiosi non mancheranno mai alla Chiesa)…

3802. [Dz 2286] In realtà sono da annoverare tra i membri della Chiesa solo coloro che hanno ricevuto il lavacro della rigenerazione e professano la vera fede, e non si siano, per loro disgrazia, separati dalla struttura del Corpo, o per gravissimi peccati non siano stati esclusi da una legittima autorità. “Poiché in un solo spirito”, dice l’Apostolo, “siamo stati tutti battezzati in un solo corpo, sia Giudei che Gentili, sia legati che liberi” (1Cor XII,13). Quindi, come nella vera comunità dei fedeli di Cristo c’è un solo Corpo, un solo Spirito, un solo Signore ed un solo Battesimo, così ci può essere una sola fede (cfr. Eph. IV,5); e così chi rifiuta di ascoltare la Chiesa, come dice il Signore “sia come il pagano ed il pubblicano” (cfr. Mt XVIII,17). Pertanto, coloro che sono divisi gli uni dagli altri nella fede o nel governo non possono vivere nell’unità di tale corpo e nel suo unico spirito divino.

3803. Neppure deve ritenersi che il corpo della Chiesa, appunto perché è fregiato del nome di Cristo, anche nel tempo del terreno pellegrinaggio sia composto soltanto di membri che si distinguono nella santità, o di coloro che sono predestinati da Dio alla felicità eterna. Infatti si deve attribuire all’infinita misericordia del nostro Salvatore il non negare ora un posto nel suo mistico corpo a coloro ai quali già non negò un posto nel convito (cfr. Matth. IX, 11; Marc. XI, 16; Luc. XV, 2). Poiché non ogni delitto commesso, per quanto grave, è tale che di sua natura (come lo scisma, l’eresia, l’apostasia) separi l’uomo dal corpo della Chiesa. Né si estingue ogni vita in quelli che, pur avendo perduto col peccato la carità e la grazia divina sì da non essere più capaci del premio soprannaturale, conservano tuttavia la fede e la speranza cristiana, e, illuminati da luce celeste, da interni consigli ed impulsi dello Spirito Santo, sono spinti a concepire un salutare timore e vengono eccitati a pregare ed a pentirsi dei propri peccati.

La giurisdizione dei Vescovi.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3804. [Dz 2287] Perciò i Vescovi dei sacri riti sono da considerarsi i membri più illustri della Chiesa universale non solo perché sono legati al Capo divino di tutto il Corpo da un vincolo specialissimo, e quindi sono giustamente chiamati “parti principali delle membra del Signore “*, ma, per quanto riguarda la propria diocesi, perché come veri pastori nutrono e governano individualmente in nome di Cristo le greggi loro affidate [Conc. Vat, Cost. de Eccl., cap. 3; cfr. n. 1828]; tuttavia, mentre fanno questo, non sono del tutto indipendenti, ma sono posti sotto la debita autorità del Romano Pontefice, pur godendo della potestà ordinaria di giurisdizione ottenuta direttamente dallo stesso Sommo Pontefice. Perciò devono essere venerati dal popolo come successori degli Apostoli divinamente designati [cfr. Cod. Iur. Can., CIS 329, 1); e più che ai governanti del mondo, anche ai più alti, si addicono ai nostri Vescovi quelle parole, in quanto unti con il crisma dello Spirito Santo: “Non toccate il mio unto” (1Ch XVI,22 Sal CIV,15).

La cooperazione dei membri del Corpo mistico con il Capo.

3805. Nè tuttavia bisogna ritenere che Cristo, il Capo, essendo posto in luogo così sublime, non voglia l’aiuto del Corpo. Si deve infatti asserire di questo Corpo mistico ciò che Paolo afferma del composto umano: “Il capo non può dire… ai piedi: voi non mi siete necessari” (1 Cor. XII, 21). Appare chiaramente quindi che i Cristiani hanno assolutamente bisogno dell’aiuto del divin Redentore, poiché Egli stesso ha detto: “Senza di me non potete far nulla” (Io. XV, 5), e, secondo la dottrina dell’Apostolo, ogni accrescimento di questo Corpo mistico per la propria edificazione, dipende dal Capo, Cristo (cfr. Eph. IV, 16; Col. II, 19). Tuttavia bisogna anche por mente, benché a prima vista ciò possa destar meraviglia, che anche Cristo ha bisogno delle sue membra. Anzitutto perché la Persona di Gesù Cristo è rappresentata dal Sommo Pontefice, il quale per non essere aggravato dal peso dell’ufficio pastorale, deve rendere anche altri in molte cose partecipi della sua sollecitudine, e deve essere ogni giorno alleggerito dall’aiuto di tutta la Chiesa supplicante. Inoltre il nostro Salvatore, governando da se stesso la Chiesa in modo invisibile, vuol essere aiutato dalle membra del suo Corpo mistico nell’attuare l’opera della redenzione. Ciò veramente non accade per bisogno o debolezza, ma piuttosto perché Egli stesso così dispose per maggiore onore dell’intemerata sua Sposa. Mentre infatti moriva sulla Croce, donò alla sua Chiesa, senza nessuna cooperazione da parte di essa, l’immenso tesoro della Redenzione; quando invece si tratta di distribuire tale tesoro, Egli non solo partecipa con la sua Sposa incontaminata quest’opera di santificazione, ma vuole che tale attività scaturisca in qualche modo anche dall’azione di essa.

Il modo in cui vive Cristo nella Chiesa.

3806. Tuttavia tale nobilissima denominazione non dev’essere presa come se appartenesse all’intera Chiesa quell’ineffabile vincolo col quale il Figlio di Dio assunse un’individua umana natura; ma consiste in ciò che il nostro Salvatore comunica talmente con la sua Chiesa i beni suoi propri, che questa, secondo tutto il suo modo di vivere, quello visibile e quello invisibile, presenta una perfettissima immagine di Cristo. Poiché, in virtù di quella missione giuridica per la quale il divin Redentore mandò nel mondo gli Apostoli come egli stesso era stato mandato dal Padre (cfr. Io. 17, 18; 20, 21), è proprio lui che battezza, insegna, governa, assolve, lega, offre, sacrifica, per mezzo della Chiesa.

Lo Spirito Santo come anima della Chiesa.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3807. [Dz 2288] Se esaminiamo da vicino questo principio divino di vita e di virtù dato da Cristo, nella misura in cui lo ha stabilito come fonte di ogni dono e di ogni grazia creata, comprendiamo facilmente che esso non è altro che il Paraclito, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, e che in modo particolare è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio” (Rm 8,9 2Co 3,17 Ga 4,6). Infatti, con questo soffio di grazia e di verità il Figlio di Dio unse la sua anima nel grembo incontaminato della Vergine; questo Spirito si compiace di abitare nell’anima amata del Redentore come nel suo tempio più amato; questo Spirito Cristo, versando il proprio sangue, ha meritato per noi sulla croce; questo Spirito, infine, quando ha alitato sugli apostoli, ha donato alla Chiesa per la remissione dei peccati (cfr. Gv XX,22); e questo Spirito è chiamato “Spirito di Cristo” o “Spirito del Figlio”. Gv 20,22); e, mentre Cristo solo ha ricevuto questo Spirito senza misura (cfr. Gv III,34), tuttavia alle membra del corpo mistico viene impartito solo secondo la misura della donazione di Cristo, dalla pienezza di Cristo stesso (cfr. Ep 1,8 Ep IV,7). E dopo che Cristo è stato glorificato sulla croce, il suo Spirito viene comunicato alla Chiesa nella più ricca effusione, affinché essa e i suoi singoli membri diventino sempre più quotidianamente simili al nostro Salvatore. È lo Spirito di Cristo che ci ha resi figli adottivi di Dio (cfr. Rm VIII,14-17 Ga IV,6-7), affinché un giorno “tutti noi, contemplando a viso aperto la gloria di Dio, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria” (2Co III,18). –

3808. Inoltre, a questo Spirito di Cristo, come a nessun principio visibile, va attribuito anche il fatto che tutte le parti del Corpo sono unite tra loro come lo sono con il loro capo eccelso; perché Egli è intero nel Capo, intero nel Corpo, intero nelle singole membra, e con queste è presente, e queste le assiste in vari modi, secondo i loro vari compiti e uffici, secondo il maggiore o minore grado di salute spirituale di cui godono. È Lui che, per la sua grazia celeste, deve essere ritenuto il principio di ogni atto vitale e di fatto salutare in tutte le parti del corpo. Egli è colui che, pur essendo presente di per sé in tutte le membra ed essendo divinamente attivo in esse, opera anche nelle membra inferiori attraverso il ministero delle membra superiori; infine, Egli è colui che, mentre produce sempre di giorno in giorno la crescita della Chiesa impartendo la grazia, rifiuta di abitare attraverso la grazia santificante nelle membra completamente tagliate fuori dal Corpo. In effetti, la presenza e l’attività dello Spirito di Gesù Cristo sono sinteticamente e vigorosamente espresse dal Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII, di immortale memoria, nell’Enciclica “Divinum illud“, con queste parole: “Basti dire che, come Cristo è il Capo della Chiesa, lo Spirito Santo è la sua anima”.

La natura del Corpo mistico.

3809. Tale denominazione, ch’è in uso presso parecchi antichi scrittori, è comprovata da non pochi documenti dei Sommi Pontefici. Quest’appellativo infatti deve adoperarsi per varie ragioni, poiché per mezzo di esso si può distinguere il Corpo sociale della Chiesa, di cui Cristo è Capo e condottiero, dal corpo fisico dello stesso Cristo, che nato dalla Vergine Madre di Dio, è ora assiso alla destra del Padre in cielo e nascosto in terra sotto i veli eucaristici: e, ciò che maggiormente importa per gli errori moderni, per mezzo di questa determinazione lo si può distinguere da qualunque altro corpo sia fisico sia morale.

3810. Mentre infatti nel corpo naturale il principio della unità congiunge le parti in modo che le singole manchino completamente della propria sussistenza, invece nel Corpo mistico la forza di mutua congiunzione, sebbene intima, unisce le membra tra loro di guisa che le singole godano completamente di una propria personalità. Se poi consideriamo il mutuo rapporto del tutto e delle singole membra, esse in ogni corpo fisico vivente sono in ultima analisi destinate soltanto a profitto di tutto il composto; mentre, in una compagine sociale di uomini, nell’ordine del fine dell’utilità, l’ultimo scopo è il bene di tutti e di ciascun membro, essendo essi persone.

3811. Se poi confrontiamo il Corpo mistico con quello morale, allora bisogna notare tra i due una differenza di somma importanza. Nel corpo morale, il principio di unità non è altro che il fine comune e la comune cooperazione ad un medesimo fine, mediante l’autorità sociale; invece nel Corpo mistico, di cui trattiamo, alla comune tendenza per lo stesso fine va aggiunto un altro principio interno che esiste ed agisce con forza e nell’intera compagine e nelle singole sue parti, ed è di tale eccellenza da superare per se stesso immensamente tutti i vincoli di unità che conglutinano sia un corpo fisico sia un corpo morale. Ciò, come sopra abbiamo detto, non è qualche cosa di ordine naturale, bensì soprannaturale, anzi in se stesso infinito ed increato, cioè lo Spirito divino che, come dice l’Angelico, “uno e identico per numero, riempie ed unisce tutta la Chiesa” (De Veritate, q. 29, a. 4. c.).

Conoscenza dell’anima di Cristo.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

3812. [Dz 2289] Ma una conoscenza così amorosa come quella che il divino Redentore ci ha donato fin dal primo momento della sua Incarnazione, supera qualsiasi potere zelante della mente umana; poiché attraverso la visione beatifica, di cui ha cominciato a godere quando era appena stato concepito nel grembo della Madre di Dio, ha le membra del suo corpo mistico sempre e costantemente presenti a Lui, e le abbraccia tutte con il suo amore redentore.

Chiesa pienezza di Cristo Cristo.

3813. Da quanto abbiamo detto fin qui, si vede chiaramente, Venerabili Fratelli, perché l’Apostolo Paolo tanto spesso scriva che Cristo è in noi, e noi in Cristo. Il che egli dimostra ancora con una ragione alquanto sottile: Cristo, come sufficientemente abbiamo detto sopra, è in noi per il suo Spirito che ci comunica e per mezzo del quale egli agisce in noi in maniera tale, da doversi dire che qualsiasi cosa divina si operi dallo Spirito Santo in noi, viene operata anche da Cristo (cfr. S. Thom. Comm. in Ep. ad Eph., cap. II, lect. 5).”Se uno non ha lo Spirito di Cristo (dice l’Apostolo), non è dei suoi: se invece Cristo è in voi…, lo spirito vive per effetto della giustificazione” (Rom. VIII, 9-111)

L’inabitazione dello Spirito Santo nelle anime.

[Dalla stessa Enciclica, “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943]

3814. [Dz 2290] Certamente non ignoriamo i molti veli che si frappongono alla comprensione e alla spiegazione di questa profonda dottrina, che riguarda la nostra unione con il divino Redentore e l’inabitazione dello Spirito Santo in modo speciale nelle anime; veli dai quali questa profonda dottrina è avvolta come da una specie di nube, a causa della debolezza delle menti di coloro che la studiano. E sappiamo anche che da un’indagine corretta e persistente su questo argomento, e dal conflitto di varie opinioni e dallo scontro di idee, a condizione che l’amore per la verità e la debita obbedienza alla Chiesa dirigano tali indagini, abbonda e viene fuori una luce preziosa, grazie alla quale anche nella scienza sacra si raggiunge un progresso simile a questo. Pertanto, non censuriamo coloro che intraprendono diversi modi e metodi di ragionamento per comprendere e, secondo il loro potere, chiarire il mistero di questa nostra meravigliosa unione con Cristo. Ma sia questa una verità generale ed incrollabile, se non vogliono allontanarsi dalla sana dottrina e dal corretto insegnamento della Chiesa: cioè che ogni tipo di unione mistica, con la quale i fedeli in Cristo superano in qualche modo l’ordine delle cose create ed entrano a torto tra le divine, in modo che anche un solo attributo dell’eterna Divinità possa essere predicato come proprio, è da respingere completamente. Inoltre, si tenga ben presente che tutte le attività in queste materie sono da considerarsi comuni alla Santissima Trinità, in quanto dipendono da Dio come causa efficiente suprema.

3815. Notino inoltre che qui si tratta necessariamente di un mistero nascosto, che in questo esilio terreno, essendo coperto da un velo, non può mai essere guardato o descritto da lingua umana. Infatti, le Persone divine sono dette abitare in quanto, essendo presenti in modo imperscrutabile nelle creature animate dotate di intelletto, sono raggiunte da esse attraverso la conoscenza e l’amore, ma in un modo intimo ed unico che trascende ogni natura. Infatti, per contemplare questo in modo da avvicinarsi almeno un po’ ad esso, non vanno trascurati quel modo e quel metodo che il Sinodo Vaticano [v. 3, Cost. de fid. cath., cap. 4; cfr. n. 1795] ha vivamente raccomandato in questioni di questo tipo; questo metodo, infatti, lottando per ottenere la luce con cui le cose nascoste di Dio possano essere riconosciute almeno un po’, procede così, confrontando questi misteri tra loro e con il fine ultimo a cui sono diretti. Opportunamente, poi, il Nostro saggissimo predecessore, Leone XIII di felice memoria, parlando di questa nostra unione con Cristo e del divino Paraclito che abita in noi, volge lo sguardo a quella visione beatifica con cui un giorno in cielo questa stessa unione mistica otterrà la sua consumazione e perfezione. Egli dice: “Questa meravigliosa unione, che viene chiamata “inabitazione“, differisce solo per il nostro stato creato da quella con cui Dio dà gioia e abbraccia gli abitanti del cielo. In questa visione celeste sarà proprio, in modo del tutto ineffabile, contemplare il Padre, il Figlio e lo Spirito divino con gli occhi della mente accresciuti dalla luce superiore, e assistere per tutta l’eternità alle processioni delle Persone divine, e gioire con una felicità molto simile a quella di cui è felice la santissima ed indivisa Trinità”.

False tendenze della vita spirituale.

3816. Infatti non mancano coloro i quali non considerando abbastanza che l’Apostolo Paolo circa questo argomento parlò metaforicamente e senza distinguere (com’è assolutamente necessario) i significati particolari e propri di corpo fisico, di corpo morale, di corpo mistico, dànno di questa unione una spiegazione alterata. Giacchè fanno unire e fondere in una stessa persona fisica il divin Redentore e le membra della Chiesa: e mentre attribuiscono agli uomini cose divine, fanno Gesù Cristo soggetto ad errori e a debolezze umane. Dalla falsità di questa dottrina ripugnano la fede cattolica e i precetti dei Santi Padri, rifuggono la mente e la dottrina dell’Apostolo delle Genti, il quale, sebbene congiunga tra loro con mirabile fusione Cristo e il Corpo mistico, tuttavia oppone l’uno all’altro come lo Sposo alla Sposa (cfr. Eph. V, 22-23).

Falso «quietismo»

3817. Non meno lontano dalla verità è il pericoloso errore di quelli che dall’arcana unione di noi tutti con Cristo si studiano di dedurre un certo insano quietismo, col quale tutta la vita spirituale dei cristiani e il loro progresso nella virtù vengono attribuiti unicamente all’azione del divino Spirito, escludendo cioè e lasciando da parte la nostra debita cooperazione. Nessuno certamente può negare che il Santo Spirito di Gesù Cristo sia l’unica fonte donde promana nella Chiesa e nelle sue membra ogni forza superna. Infatti, come: dice il Salmista, “il Signore largisce grazie e gloria” (Ps. 83, 12). Ma che gli uomini perseverino costantemente nelle opere di santità, che progrediscano con alacrità nella grazia e nella virtù, che infine non soltanto tendano strenuamente alla vetta della perfezione cristiana, ma incitino secondo le proprie forze anche gli altri a conseguire la medesima perfezione, tutto questo, lo Spirito celeste non vuol compiere, se gli stessi uomini non cooperano ogni giorno con diligenza operosa. “Infatti, come osserva Ambrogio, i benefici divini non vengono trasmessi a chi dorme, ma a chi veglia” (Expos. Evang. sec. Luc., IV, 49; Migne, PL, 15, 1626). Poiché, se nel nostro corpo mortale le membra si corroborano e si sviluppano con ininterrotto esercizio, molto più ciò accade nel Corpo sociale di Gesù Cristo, nel quale le singole membra godono di una propria libertà, coscienza, azione. Perciò colui che disse: “Vivo, non più io, ma vive in me Cristo” (Gal. II, 20), non dubitò di asserire: “la grazia di lui, cioè di Dio, verso di me non fu cosa vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me” (I Cor. 15, 10). Quindi è chiarissimo che nelle accennate fallaci dottrine, il mistero di cui trattiamo non sarebbe diretto allo spirituale profitto dei fedeli, ma si volgerebbe miseramente alla loro rovina.

3818. Da tali false asserzioni proviene anche che alcuni affermino non doversi molto inculcare la frequente confessione dei peccati veniali, poiché meglio si adatta quella confessione generale che ogni giorno la Sposa di Cristo coi suoi figli a sé congiunti nel Signore fa per mezzo dei Sacerdoti sul punto di ascendere all’altare di Dio. È vero che in molte e lodevoli maniere, come voi, o Venerabili Fratelli, ben conoscete, possono espiarsi questi peccati, ma per un più spedito progresso nel quotidiano cammino della virtù, raccomandiamo sommamente quel pio uso, introdotto dalla Chiesa per ispirazione dello Spirito Santo, della confessione frequente, mercè la quale si accresce la retta conoscenza di se stesso, si sviluppa la cristiana umiltà, si sradica la perversità dei costumi, si resiste alla negligenza e al torpore spirituale, si purifica la coscienza, si rinvigorisce la volontà, si procura la salutare direzione delle coscienze e si aumenta la grazia in forza dello stesso sacramento.

3819. Vi sono inoltre alcuni i quali o negano alle nostre preghiere ogni vera efficacia d’impetrazione, ovvero si sforzano d’insinuare nelle menti che le suppliche rivolte a Dio in privato bisogna ritenerle di poco valore, mentre piuttosto quelle pubbliche usate nel nome della Chiesa realmente valgono come quelle che partono dal corpo mistico di Gesù Cristo.

3820. Certuni infine dicono che le nostre preghiere non debbano essere dirette alla stessa Persona di Gesù Cristo, ma piuttosto a Dio o all’eterno Padre per mezzo di Cristo, poiché il nostro Salvatore, in quanto Capo del suo Corpo mistico, dov’essere considerato semplicemente “mediatore di Dio e degli uomini” (I Tim. II, 5). Ma ciò non solo si oppone alla mente della Chiesa e alla consuetudine deiCristiani, ma offende anche la verità. Cristo infatti, per parlare con esatto linguaggio, è Capo di tutta la Chiesa (cfr. S. Thom. De Veritate, q. 29, a. 4, c.) secondo l’una e l’altra natura insieme, la divina e l’umana, e del resto Egli stesso asserì solennemente: “Se mi domanderete qualche cosa in mio nome, Io lo farò” (Io. XIVV, 14). E sebbene le preghiere sian rivolte all’eterno Padre per mezzo del suo Unigenito di preferenza nel Sacrificio eucaristico, nel quale Cristo, essendo Egli stesso Sacerdote ed Ostia, compie in modo speciale l’ufficio di conciliatore, tuttavia non poche volte e persino nello stesso santo Sacrificio, si usano preghiere rivolte allo stesso divin Redentore …

La salvezza degli uomini fuori dalla Chiesa visibile.

3821. Anche coloro che non appartengono al visibile organismo della Chiesa, come voi ben sapete, Venerabili Fratelli, fin dal principio del Nostro Pontificato, Noi affidammo alla celeste tutela ed alla celeste direzione, protestando solennemente che, sull’esempio del buon Pastore, nulla Ci stava più a cuore che essi abbiano la vita e l’abbiano in sovrabbondanza (cfr. Lett. Enc. Summi Pontificatus). E quella solenne Nostra affermazione, dopo aver implorate le preghiere di tutta la Chiesa, intendiamo ripetere in questa Lettera Enciclica, con la quale abbiamo celebrato le lodi “del grande e glorioso Corpo di Cristo” (Iren. Adv. Hær., 4, 33, 7; Migne, PG, 7, 1076); con animo riboccante di amore, invitiamo tutti e singoli ad assecondare spontaneamente gli interni impulsi della divina grazia e a far di tutto per sottrarsi a quelle attuali condizioni, sulle quali non possono certo sentirsi sicuri della propria salvezza (Pio IX Jam nos omnes, 13 Sett. 1868: Act. Conc. Vat. C. L., 7, 10), perché, sebbene da un certo inconsapevole desiderio e anelito siano ordinati al mistico Corpo del Redentore, tuttavia sono privi di quei tanti doni ed aiuti celesti che solo nella Chiesa Cattolica è dato di godere. Rientrino perciò nella cattolica unità e tutti uniti a Noi nell’unica compagine del Corpo di Gesù Cristo, si accostino con Noi all’unico Capo nella società di un gloriosissimo amore (cfr. Gelas. I, Epist. 14: Migne, PL, 59, 89). Senza mai interrompere di pregare lo Spirito dell’amore e della verità, Noi li aspettiamo con le braccia aperte, non come estranei, ma quali figli che entrino nella loro stessa casa paterna.

3822. Però mentre desideriamo che una tale preghiera salga ininterrotta a Dio da parte dell’intero Corpo mistico, affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo, dichiariamo essere assolutamente necessario che ciò sia fatto di libera e spontanea volontà, non potendo credere se non chi lo vuole (cfr. August., In Io. Ev. tract., 26, 2: Migne, PL, 30, 1607). Onde, se alcuni, non credenti, vengono di fatto forzati ad entrare nell’edificio della Chiesa, ad avvicinarsi all’altare, a ricevere i Sacramenti, costoro, senza alcun dubbio, non diventano veri cristiani, (cfr. August., ibidem), poiché la fede, senza la quale è impossibile piacere a Dio (Hebr. 11, 6), deve esser il libero “ossequio dell’intelletto e della volontà” (Conc. Vat., De Fide cath., cap. 3). Se dunque dovesse talvolta accadere che, in contrasto con la costante dottrina di questa Sede Apostolica (cfr. Leo XIII: Immortale Dei: A.A.S. XXVIII pp.174-175, Cod. Iur. Can. 1351), taluno venga spinto suo malgrado ad abbracciare la Fede cattolica, Noi non possiamo esimerCi, per coscienza del Nostro dovere, dall’esprimere la Nostra riprovazione. E poiché gli uomini godono di libera volontà e possono anche, sotto l’impulso di perturbazioni d’animo e di perverse passioni, abusare della propria libertà, è necessario che vengano attratti con efficacia alla verità del Padre dei lumi per opera dello Spirito del suo diletto Figlio.

Il rapporto tra la B.V.M. e la Chiesa.

[Dalla stessa Enciclica “Mystici Corporis“, 29 giugno 1943].

[Dz 2291] Fu Lei [la Vergine Madre di Dio] che, libera dal peccato personale o originale, sempre strettamente unita al Figlio, lo offrì sul Golgota all’Eterno Padre, insieme all’olocausto dei suoi diritti di Madre e del suo amore di Madre, come nuova Eva, per tutti i figli di Adamo macchiati dalla sua pietosa caduta, in modo che Lei, che nella carne era la Madre del nostro Capo, con il nuovo titolo anche di dolore e di gloria, nello spirito fosse fatta Madre di tutte le sue membra. Fu Lei che con preghiere potentissime fece sì che lo Spirito del divino Redentore, già donato sulla Croce, fosse elargito con doni meravigliosi il giorno di Pentecoste alla Chiesa appena risorta. Infine, Lei stessa, sopportando con animo forte e fiducioso i suoi tremendi dolori, più di tutti i fedeli di Cristo, vera Regina dei Martiri, “ha colmato ciò che manca alle sofferenze di Cristo… per il suo corpo, che è la Chiesa” (Col 1,24); e ha assistito il Corpo mistico di Cristo, nato dal cuore straziato del nostro Salvatore, con la stessa cura materna e lo stesso amore profondo con cui ha custodito e nutrito il Bambino Gesù che allattava nella culla. – Così lei, la Madre santissima di tutte le membra di Cristo, al cui Cuore Immacolato abbiamo fiduciosamente consacrato tutti gli uomini e che ora risplende in cielo nella gloria del corpo e dell’anima e regna insieme al Figlio, chieda ardentemente e si adoperi per ottenere da Lui che copiosi flussi di grazia scorrano dal Capo eccelso su tutte le membra del Corpo mistico senza interruzione.

Lett. Encyclic.Divino afflante Spiritu, 30 sett. 1943.

L’autenticità della Vulgata.

3825. [Dz 2292] Ma che il Sinodo di Trento abbia voluto che la Vulgata fosse la versione latina “che tutti dovrebbero usare come autentica”, vale, come tutti sanno, solo per la Chiesa latina e per l’uso pubblico della Scrittura, e non diminuisce l’autorità e la forza dei testi antichi. Infatti, a quel tempo non si teneva conto dei primi testi, ma delle versioni latine che circolavano in quel periodo, tra le quali il Concilio decretò che era giustamente da preferire quella versione che era stata approvata dal lungo uso di tanti secoli all’interno della Chiesa. Quindi questa eminente autorità della Vulgata, o, come si dice, autenticità, fu stabilita dal Concilio non tanto per motivi critici, quanto piuttosto per il suo uso autorizzato nella Chiesa, continuato nel corso di tanti secoli; e da questo uso si dimostra che questo testo, come la Chiesa ha inteso e intende, in materia di fede e di morale è del tutto esente da errori, cosicché, sulla base della testimonianza e della conferma della Chiesa stessa, nelle discussioni, nelle citazioni e nelle riunioni può essere citato con sicurezza e senza pericolo di errore; e di conseguenza tale autenticità è espressa in primo luogo non con il termine critico ma piuttosto giuridico. Pertanto, l’autorità della Vulgata in materia di dottrina non impedisce affatto, anzi quasi esige, che oggi si ricorra a questa stessa dottrina per ottenere un aiuto che renda quotidianamente più chiaro e meglio spiegato il significato corretto della Sacra Scrittura. E nemmeno questo è proibito dal decreto del Concilio di Trento, cioè che per l’uso e il beneficio dei fedeli in Cristo e per una più facile comprensione delle opere divine si facciano traduzioni nelle lingue comuni; e anche queste, dai primi testi, come sappiamo sono già state fatte lodevolmente con l’approvazione dell’autorità della Chiesa in molte regioni.

Il senso letterale e mistico delle Sacre Scritture.

[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].

3826. [Dz 2293] Ben equipaggiato con la conoscenza delle lingue antiche e con l’aiuto dell’erudizione critica, l’esegeta cattolico si accosti a quel compito che, tra tutti quelli che gli sono imposti, è il più alto: scoprire ed esporre il vero significato delle Sacre Scritture. In questo lavoro gli interpreti tengano presente che la loro massima attenzione deve essere quella di discernere e definire il cosiddetto senso letterale del linguaggio della Bibbia. Facciano emergere questo significato letterale delle parole con la massima diligenza, attraverso la conoscenza delle lingue, utilizzando l’aiuto del contesto e del confronto con passi simili; infatti, tutti questi elementi sono abitualmente utilizzati per aiutare l’interpretazione anche degli scrittori profani, in modo da rendere chiara la mente dell’autore. Inoltre, gli esegeti delle Sacre Scritture, consapevoli di avere a che fare con la parola divinamente ispirata, tengano conto non meno diligentemente delle spiegazioni e delle dichiarazioni del magistero della Chiesa, così come della spiegazione data dai Santi Padri, e anche dell'”analogia della fede”, come nota molto saggiamente Leone XIII nella lettera enciclica Providentissimus Deus. * Anzi, provvedano a questo con particolare zelo, spiegando non solo le questioni che riguardano la storia, l’archeologia, la filologia e altre discipline simili, come ci duole dire che si fa in certi commentari, ma, dopo aver introdotto opportunamente tali questioni, nella misura in cui possono contribuire all’esegesi, indicano soprattutto qual è la dottrina teologica in materia di fede e di morale nei singoli libri e testi, in modo che questa loro spiegazione possa non solo aiutare i professori di teologia a esporre e confermare i dogmi della fede, ma anche essere di aiuto ai sacerdoti per chiarire la dottrina cristiana al popolo, e infine servire a tutti i fedeli per condurre una vita santa e degna di un cristiano.

3827. Quando hanno dato una tale interpretazione, soprattutto, come abbiamo detto, teologica, facciano effettivamente tacere coloro che affermano che difficilmente si trova qualcosa a titolo di commento biblico per elevare la mente a Dio, nutrire l’anima e promuovere la vita interiore, e dichiarino che si deve ricorrere a una certa interpretazione spirituale e cosiddetta mistica. Quanto ciò sia lontano dal vero lo dimostra l’esperienza di molti che, considerando e meditando frequentemente la Parola di Dio, perfezionano la loro anima e sono mossi da un forte amore verso Dio; e ciò è chiaramente dimostrato dall’eterna istituzione della Chiesa e dagli ammonimenti dei più eminenti dottori.

3828. Certamente, ogni significato spirituale non è escluso dalla Sacra Scrittura. Infatti, ciò che è stato detto e fatto nell’Antico Testamento è stato sapientemente ordinato e disposto da Dio in modo che gli eventi passati presagissero in modo spirituale ciò che sarebbe avvenuto nella nuova alleanza di grazia. Perciò l’esegeta, come deve trovare ed esporre il cosiddetto significato letterale delle parole, che lo scrittore sacro intendeva ed esprimeva, così deve anche trovare il significato spirituale, purché si possa stabilire giustamente che è stato dato da Dio. Perché solo Dio può conoscere questo significato spirituale e rivelarcelo. Infatti, lo stesso Salvatore divino ci indica tale significato nei Santi Vangeli e ce lo insegna; anche gli apostoli, imitando l’esempio del Maestro, parlando e scrivendo lo professano; così pure l’insegnamento tramandato dalla Chiesa; infine, l’antica pratica della liturgia dichiara, ovunque si possa giustamente applicare quel famoso pronunciamento: La legge del pregare è la legge del credere. Dunque, gli esegeti cattolici chiariscano ed espongano questo senso spirituale, voluto e ordinato da Dio stesso, con quella diligenza che la dignità della Parola divina richiede; ma si guardino religiosamente dal proclamare altri significati trasferiti delle cose come il senso genuino della Sacra Scrittura.

Tipi di letteratura nella Sacra Scrittura.

[Dalla stessa Enciclica “Divino afflante Spiritu“, 30 settembre 1943].

3829. [Dz 2294] Perciò l’interprete, con ogni cura e senza trascurare la luce che le indagini più recenti hanno gettato, si sforzi di discernere quale fosse il vero carattere e la condizione di vita dello scrittore sacro; in quale epoca fiorì; quali fonti utilizzò, sia scritte che orali, e quali forme di espressione impiegò. In questo modo sarà in grado di conoscere meglio chi fosse lo scrittore sacro e cosa volesse indicare con i suoi scritti. A nessuno sfugge infatti che la norma più alta dell’interpretazione è quella che permette di percepire e definire ciò che lo scrittore intena dire, come consiglia Sant’Atanasio: “Qui, come è opportuno fare in tutti gli altri passi della Scrittura divina, osserviamo che si debba considerare con precisione e fedeltà in quale occasione l’Apostolo ha parlato; qual è la persona e qual è l’argomento su cui ha scritto, per evitare che chi ignora queste cose, o intenda qualcos’altro al di fuori di esse, o si allontani dal vero significato”.

3830. Ma il senso letterale delle parole e degli scritti degli antichi autori orientali molto spesso non è così chiaro come lo è per gli scrittori della nostra epoca. Infatti, ciò che essi vogliono significare con le parole non è determinato dalle sole leggi della grammatica o della filologia, né dal solo contesto del passo; l’interprete dovrebbe in ogni caso tornare mentalmente, per così dire, a quelle remote epoche dell’Oriente, affinché, giustamente assistito dall’aiuto della storia, dell’archeologia, dell’etnologia e di altre discipline, possa discernere e percepire i cosiddetti generi letterari che gli scrittori di quell’epoca cercavano di impiegare e di fatto impiegavano. Infatti, gli antichi orientali, per esprimere ciò che avevano in mente, non usavano sempre le stesse forme e gli stessi modi di parlare che usiamo noi oggi, ma piuttosto quelli che erano accettati per l’uso tra gli uomini del loro tempo e delle loro località. Quali fossero, l’esegeta non può determinarlo, per così dire, in anticipo, ma solo attraverso un’accurata indagine delle antiche letterature dell’Oriente. Inoltre, tale indagine, portata avanti negli ultimi dieci anni con maggiore cura e diligenza rispetto al passato, ha mostrato con maggiore chiarezza quali forme di linguaggio fossero utilizzate in quei tempi antichi, sia per descrivere questioni in poesia, sia per proporre norme e leggi di vita, sia infine per narrare i fatti e gli eventi della storia. Questa stessa indagine ha anche dimostrato chiaramente che il popolo d’Israele era particolarmente preminente tra le altre nazioni antiche dell’Oriente nello scrivere correttamente la storia, sia per l’antichità che per la fedeltà del racconto degli eventi; il che è sicuramente l’effetto dell’ispirazione divina ed il risultato dello scopo speciale della storia biblica che riguarda la Religione. Infatti, nessuno che abbia una giusta comprensione dell’ispirazione biblica si sorprenda del fatto che tra gli Scrittori Sacri, come tra gli altri antichi, si trovino certi modi precisi di spiegare e di raccontare; certi tipi di idiomi particolarmente appropriati alle lingue semitiche, le cosiddette approssimazioni, e certi metodi iperbolici di parlare, sì, a volte persino paradossi con cui gli eventi si imprimono più saldamente nella mente. Infatti, nessuno di questi modi di parlare è estraneo alle Sacre Scritture, che presso i popoli antichi, specialmente presso gli orientali, il linguaggio umano usava abitualmente per esprimere il proprio pensiero, ma a questa condizione, che il tipo di linguaggio impiegato non sia in contrasto con la santità e la verità di Dio, come con la sua solita perspicacia il Dottore Angelico ha notato nelle seguenti parole: “Nella Scrittura le cose divine ci vengono fatte conoscere nel modo che usiamo abitualmente”. Infatti, come il Verbo sostanziale di Dio è stato reso simile all’uomo in tutto e per tutto “senza peccato”, così anche le parole di Dio, espresse in linguaggio umano, sono state rese in tutto e per tutto simili al linguaggio umano, senza errori, cosa che San Giovanni Crisostomo ha già esaltato con il massimo elogio come la (testo greco cancellato) o condiscendenza di un Dio provvidente; e che ha affermato più e più volte essere il caso delle Sacre Scritture. Pertanto, l’esegeta cattolico, per soddisfare le esigenze attuali delle questioni bibliche, per spiegare la Sacra Scrittura, e per mostrarla e dimostrarla priva di ogni errore, usi prudentemente questo aiuto, per indagare come la forma di espressione ed il tipo di letteratura impiegata dallo scrittore sacro, contribuiscano a un’interpretazione vera e genuina; e si convinca che questa parte del suo ufficio non può essere trascurata senza grande danno per l’esegesi cattolica. Infatti, non di rado – per soffermarsi solo su una cosa – quando alcuni propongono, a mo’ di rimprovero, che gli Autori Sacri si siano allontanati dalla verità storica o non abbiano riportato gli eventi in modo accurato, si scopre che non si tratta d’altro che dei metodi naturali e abituali degli antichi nel parlare e nel narrare, che nei reciproci rapporti tra gli uomini erano regolarmente impiegati, e di fatto erano impiegati in accordo con una pratica ammissibile e comune. Pertanto, l’onestà intellettuale richiede che, quando questi argomenti si trovino nel discorso divino che è espresso per l’uomo con parole umane, non siano caricati di errore più di quando siano pronunciati nell’uso quotidiano della vita. Pertanto, attraverso la conoscenza e la valutazione accurata dei modi e delle abilità di parlare e scrivere degli antichi, sarà possibile risolvere molti problemi sollevati contro la verità e l’attendibilità storica della divina Scrittura; e non meno opportunamente tale studio contribuirà a una comprensione più piena e chiara della mente dello Scrittore Sacro.

Libertà di investigazione scientifica nella questione biblica.

3831. Questo stato di cose non è un motivo perché l’interprete cattolico, animato da forte e attivo amore della sua disciplina e sinceramente attaccato alla Santa Madre Chiesa, si debba mai trattenere dall’affrontare le difficili questioni sino ad oggi non ancora risolte, non solo per ribattere le obbiezioni degli avversari, ma anche per tentare una solida spiegazione che lealmente s’accordi con la dottrina della Chiesa e in ispecie col tradizionale sentimento della immunità della Scrittura Sacra da ogni errore, e dia insieme la conveniente soddisfazione alle conclusioni ben certe delle scienze profane. Si ricordino poi tutti i figli della Chiesa che sono tenuti a giudicare non solo con giustizia, ma ancora con somma carità gli sforzi e le fatiche di questi valorosi operai della vigna del Signore; inoltre tutti devono guardarsi da quel non molto prudente zelo, per cui tutto ciò che sa di novità si crede per ciò stesso doversi impugnare o sospettare. Tengano presente, soprattutto, che nelle norme e leggi date dalla Chiesa si tratta della dottrina riguardante la fede ed i costumi e che tra le tante cose contenute nei Sacri Libri legali, storici, sapienziali e profetici, poche sono quelle di cui la Chiesa con la sua autorità abbia dichiarato il senso, né in maggior numero si contano quelle intorno alle quali si ha l’unanime sentenza dei Padri. Ne restano dunque molte, e di grande importanza, nella cui discussione e spiegazione si può e si deve liberamente esercitare l’ingegno e l’acume degli interpreti cattolici, affinché ognuno per la sua parte rechi il suo contributo a vantaggio di tutti, ad un crescente progresso della sacra dottrina, a difesa ed onore della Chiesa. È la vera libertà dei figliuoli di Dio, che mantiene fedelmente la dottrina della Chiesa e insieme accoglie con animo grato come dono di Dio e mette a profitto i portati delle scienze profane. Questa libertà, secondata e sorretta dalla buona volontà di tutti, è la condizione e la sorgente di ogni verace frutto e di ogni solido progresso nella scienza cattolica, come egregiamente avverte il Nostro Predecessore di felice memoria, Leone XIII, ove dice: “Se non si mantiene la concordia degli animi e non si pongono al sicuro i principi, non si possono dai vari studi, anche di molti, aspettare grandi progressi in quella disciplina” (Lett. Apost. “Vigilantiæ”; Leone XIII, Acta XXII, p. 237; Ench. Bibl. n. 136).

Istruzione della Sacra Penitenzieria, 25 marzo 1944.

Assoluzione generale.

3832. (Per eliminare i dubbi sulla facoltà) di dare in certe circostanze l’assoluzione sacramentale con una formula generale, cioè un’assoluzione sacramentale collettiva, senza che vi sia stata una precedente confessione dei peccati da parte di ciascun fedele, la Sacra Penitenzieria (dichiara):

3833. 1 I Sacerdoti, anche se non sono abilitati ad ascoltare le confessioni sacramentali, hanno la facoltà di assolvere in modo generale, insieme e contemporaneamente: a) come in pericolo di morte, i soldati che combattono o stanno per combattere, quando, o per la moltitudine dei soldati o per la brevità del tempo, non possano essere ascoltati singolarmente. Tuttavia, se le circostanze sono tali che sembra moralmente impossibile o estremamente difficile assolvere i soldati al momento del combattimento o se il combattimento è imminente, allora è lecito dare loro l’assoluzione non appena lo si ritenga necessario. b) Civili e soldati quando c’è un imminente pericolo di morte durante le incursioni nemiche.

3834. 2. A parte i casi di pericolo di morte, non è permesso dare l’assoluzione sacramentale a più fedeli contemporaneamente, né a singoli fedeli che, solo a causa del gran numero di penitenti, come può accadere ad esempio in un grande giorno di festa o a causa di un’indulgenza da conquistare, si siano confessati solo a metà. Ciò sarebbe tuttavia consentito se si aggiungesse un’altra necessità, abbastanza grave ed urgente, e proporzionata alla gravità del precetto divino dell’integrità della Confessione, ad esempio se i penitenti, senza loro colpa, fossero ridotti ad essere privati per lungo tempo della grazia del Sacramento e della santa Comunione. ..

3835. (4) (Tra l’altro, i penitenti devono essere avvertiti che: è necessario che coloro che sono stati assolti in gruppo accusino secondo le regole, fin dalla prima Confessione che fanno, ogni peccato grave commesso e non ancora accusato in precedenza.

3836. 5. Che i Sacerdoti istruiscano chiaramente i fedeli sul fatto che è gravemente proibito, quando si è pienamente consapevoli di aver commesso un peccato mortale, non ancora regolarmente accusato e dato in confessione, eludere di proposito l’obbligo imposto sia dalla legge divina che da quella ecclesiastica, di accusare in Confessione tutti i peccati mortali commessi e ciascuno di essi, in attesa dell’occasione in cui l’assoluzione sacramentale sarà data al gruppo.

3837. (7) Se il tempo lo permette, questa assoluzione deve essere impartita con la formula abituale completa, ma al plurale; altrimenti si può usare la formula seguente più breve: “Vi assolvo da tutte le censure ed i peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.

TUTTO IL DENZINGER SENTENZA PER SENTENZA DAGLI APOSTOLI A S.S. PIO XII (41): “PIO XII, 1944-1958”.