CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: LUGLIO 2019

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA.

LUGLIO 2019

“Ab immemorabili” si celebrava la festa del preziosissimo Sangue nella prima Domenica di Luglio. Sorta poi la Congregazione del Prezioso Sangue, Missionari ed Adoratrici solennizzarono essi pure il glorioso titolo in quello stesso giorno. Ma nel 1849 il Servo di Dio D. Giovanni Merlini, ispirato da Dio, si presentò a Pio IX, esule a Gaeta, e gli fece intendere che se voleva ritornare nella sua Roma, avrebbe dovuto fare il voto di estendere a tutta la Chiesa la Festa del prezioso Sangue. Il Santo Padre, che tanto venerava il Merlini, prima di annuire a tale proposta, chiese tempo a riflettervi. Il Servo di Dio, più volte, da Benevento, ove erasi rifugiato, scrisse a Monsignor Giuseppe Stella, Segretario particolare del Pontefice, perché gli ricordasse la proposta fattagli. Pio IX, dopo alcuni mesi, a mezzo dello stesso Monsignore, con lettera che porta la data del 30 giugno 1849, fece rispondere che non giudicava opportuno di astringersi con voto, ma che subito, e di proprio arbitrio avrebbe assecondata la devota richiesta. Quel giorno stesso i Francesi s’impadronirono di una Porta di Roma, ed i Repubblicani, capitanati da Mazzini, scorgendo inutile ogni ulteriore resistenza, decisero di arrendersi, ed il giorno seguente capitolarono; sicché i Francesi, senza spargimento di sangue poterono occupare la santa città, strappata al suo legittimo principe: il Papa.

 Era la vigilia della festa del preziosissimo Sangue, festa che coincideva con la domenica, 1 Luglio! Pio IX, memore di si segnalato favore del cielo, e della promessa fatta al Servo di Dio, con Decreto Urbi et Orbi del 10 agosto, emanato a Gaeta stessa, ordinava che in tutto il mondo cattolico si celebrasse, con rito doppio di seconda classe, la festa del preziosissimo Sangue nella prima Domenica di Luglio. Dopo il 1870, quasi in segno di gratitudine, e, certamente dell’altissima considerazione in cui lo aveva, offerse al Merlini un grande grano di incenso. E quando questo eccezionale devoto del prezioso Sangue si spegneva santamente ai Crociferi il 12 Gennaio 1873, Pio IX diceva ai Cardinali che lo circondavano: – Quando il misericordioso Dio toglie dal mondo tali anime, non è buon segno! – Guerre e lotte tremende fra continenti tormentarono difatti la povera umanità, strappandole dal seno, già tante volte percosso, il sangue prezioso dei suoi figli! – Pio XI poi, nell’Anno 1934 (XIX) – Giubilare della Redenzione, che tante folle d’ogni parte della terra raccolse fra le mura della città eterna, elevava la festa del Preziosissimo Sangue a rito doppio di prima classe, concedendo in perpetuo la Indulgenza Plenaria e trecento giorni d’Indulgenza a quanti, con cuore contrito, avrebbero recitata la magnifica preghiera del Te Deum al Sangue divino: Te ergo quæsumus tuis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (23 marzo 1933)!

[d. A. Rey: il Preziosissimo Sangue; Unione del Preziosissimo Sangue, ROMA, Piazza dei Crociferi – 1949]

215

Te ergo quæsumus, tuis famulis subveni,

quos pretioso Sanguine redemisti

(ex Hymno Ambrosiano).

Indulgentia trecentorum dierum (S. Pæn. Ap., 23 mart. 1933).

II

HYMNUS

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Salvete, Christi vulnera,

Immensi amoris pignora,

Quibus perennes rivuli

Manant rubentis sanguinis.

Nitore stellas vincitis,

Rosas odore et balsama,

Pretio lapillos Indico»,

Mellis favos dulcedine.

Per vos patet gratissimum

Nostris asylum mentibus;

Non huc furor minantium

Unquam penetrat hostium.

Quot Iesus in praetorio

Flagella nudus excipit!

Quot scissa pellis undique

Stillat cruoris guttulas!

Frontem venustam, proh dolor!

Corona pungit spinea,

Clavi retusa cuspide

Pedes manusque perforant.

Postquam sed ille tradidit

Amans volensque spiritum,

Pectus feritur lancea,

Geminusque liquor exsilit.

Ut plena sit redemptio,

Sub torculari stringitur,

Suique Iesus immemor,

Sibi nil reservat sanguinis.

Venite, quotquot criminum

Funesta labes inficit:

In hoc salutis balneo

Qui se lavat, mundabitur.

Summi ad Parentis dexteram

Sedenti habenda est gratia,

Qui nos redemit sanguine,

Sanctoque firmat Spiritu. Amen.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo pia hymni recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

III

PIUM EXERCITIUM MENSE IULIO

217

Fidelibus, qui mense iulio pio exercitio, in honorem pretiosissimi Sanguinis D. N. I. C. publice peracto, devote interfuerint, conceditur: Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et oratione ad mentem Summi Pontificis, si diebus saltem decem eidem exercitio adstiterint. Iis vero, qui præfato mense preces aliave pietatis obsequia in honorem eiusdem pretiosissimi Sanguinis privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel singulis diebus;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem pietatis obsequium obtulerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento, quominus exercitio publico intersint.

(S. C. Indulg., 4 iun. 1850; Pæn. Ap., 12 maii 1931).

[Indulgenza plenaria a chi onorerà con un esercizio di pietà il Sangue Preziosissimo per il mese di luglio, s. c. e ind. di 10 anni o 7 per ogni giorno

Feste del mese di LUGLIO

1 Luglio Pretiosissimi Sanguinis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis *L1*

2 Luglio In Visitatione B. Mariæ Virginis    Duplex II. classis *L1*

3 Luglio S. Leonis II Papæ et Confessoris    Semiduplex

5 Luglio S. Antonii Mariæ Zaccaria Confessoris    Duplex

                  I Venerdì

6 Luglio Sanctae Mariae Sabbato    Simplex

                     I Sabato

7 Luglio Dominica IV Post Pentecosten – Semiduplex Dominica mi

            Ss. Cyrilli et Methodii Pont. et Conf.    Duplex

8 Luglio S. Elisabeth Reg. Portugaliæ Viduæ    Semiduplex.

10 Luglio Ss. Septem Fratrum Mártyrum, ac Rufinæ et Secundæ Virg. et Martyrum    Semiduplex

11 Luglio S. Pii I Papæ et Martyris    Feria

12 Luglio S. Joannis Gualberti Abbatis    Duplex

13 Luglio S. Anacleti Papæ et Martyris    Feria

14 Luglio Dominica V Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

      S. Bonaventuræ Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Luglio S. Henrici Imperatoris Confessoris Semiduplex

16 Luglio In Commemoratione Beatæ Mariæ Virgine de Monte Carmelo   Feria

17 Luglio S. Alexii Confessoris    Feria

18 Luglio S. Camilli de Lellis Confessoris    Duplex

19 Luglio S. Vincentii a Paulo Confessoris    Duplex

20 Luglio S. Hieronymi Æmiliani Confessoris    Duplex

21 Luglio Dominica VI Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                S. Praxedis Virginis    Simplex

22 Luglio S. Mariæ Magdalenæ Pœnitentis    Duplex *L1*

23 Luglio S. Apollinaris Episcopi et Martyris    Duplex

24 Luglio S. Christinæ Virginis et Martyris    Feria

25 Luglio

S. Jacobi Apostoli    Duplex II. classis

26 Luglio

S. Annæ Matris B.M.V.    Duplex II. classis

27 Luglio S. Pantaleonis Martyris    Feria

28 Luglio Dominica VII Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor *I*

– Ss. Nazarii et Celsi Martyrum, Victoris I Papæ et Martyris ac Innocentii I Papæ et Confessoris    Duplex

29 Luglio S. Marthæ Virginis    Duplex

30 Luglio S. Abdon et Sennen Martyrum    Feria

31 Luglio S. Ignatii Confessoris    Duplex majus

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UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – MEDIATOR DEI (4)

MEDIATOR DEI (4)

Continuano gli insegnamenti del Santo Padre circa il Santissimo Sacrificio della Messa, la partecipazione dei fedeli ad Essa, la Comunione ed il ringraziamento dovuto al termine dell’azione liturgica. Si tratta di indicazioni salutari ed obbliganti che caratterizzano la partecipazione al santo Sacrificio della Messa ed al banchetto eucaristico. Come far capire ai poveri (in)fedeli che partecipano ai falsi, spesso ridicoli ed offensivi della Maestà divina, riti sacrileghi oggi in auge nelle chiese moderniste occupate da usurpanti apostati, che il loro accorrere alla sacrilega partecipazione (fortunatamente sempre più rara per mancanza di falsi prelati e la chiusura di edifici pseudo-adibiti al culto!), nulla ha a che vedere con il Sacrosanto e divino Rito della Messa, ove si perpetua incruentemente il Sacrificio di Cristo sulla croce? Probabilmente pure la lettura di questo immutabile ed infallibile documento del Magistero pontificio non servirà a convincere tanti ciechi volontari ai quali sono stati oscurati i lumi della Fede e della ragione da uomini empi o nel migliore dei casi, colpevolmente ignoranti o, secondo il linguaggio di Isaia, “cani muti” che hanno favorito e favoriscono tuttora ignominiosamente, nonostante tutto, l’azione dei lupi rapaci e dei leoni ruggenti che divorano tantissime pecore dell’ovile di Cristo. Veramente ci sarebbe da avvilirsi mortalmente se non fossimo sostenuti dalla Fede divina in Gesù Cristo che ci ha preannunziato a tempo debito e con largo anticipo la situazione attuale, ci ha prospettato la persecuzione più violenta mai portata verso la sua Chiesa Cattolica Romana, ma nel contempo ha esortato il “pusillus grex” a non cedere, a credere contro ogni evidenza che la sua Chiesa, il suo Sacrificio dell’altare, il suo Vicario in terra, non saranno mai abbattuti, né le porte dell’inferno, oggi strabocchevoli perfino nel tempio santo (… anzi soprattutto là!), potranno mai prevalere sulla Chiesa e sulla sua Pietra fondante, cioè il Sommo Pontefice… e poi, il Signore ha già emesso un verdetto inappellabile alla vigilia della sua Passione: …

Filius quidem hominis vadit, sicut scriptum est de illo : vae autem homini illi, per quem Filius hominis tradetur! bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille.

… GUAI ALL’UOMO CHE TRADIRA’ IL FIGLIO DELL’UOMO … MEGLIO PER LUI CHE NON FOSSE MAI NATO! (S. Matteo XXVI, 24), USURPANTI APOSTATI, QUESTE PAROLE SONO PER VOI … PENTITEVI FINCHE’ LO POTETE!!

Leggiamo con attenzione per poterci spiritualmente rinfrancare, ed essere pronti al momento in cui il Signore abbatterà, con il soffio della sua bocca, l’anticristo ed i suoi numerosissimi adepti e corifei. Che la Vergine Maria ci sostenga e schiacci il capo del serpente maledetto e dei suoi infernali sostenitori!

ENCICLICA

“MEDIATOR DEI”

DI S. S. PIO XII

“SULLA SACRA LITURGIA” (4)

La partecipazione dei fedeli

È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui ». È ben vero che Gesù Cristo è sacerdote, ma non per se stesso, bensì per noi, presentando all’Eterno Padre i voti e i religiosi sensi di tutto il genere umano; Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all’uomo peccatore; ora il detto dell’Apostolo: « abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» esige da tutti i Cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce ». – È necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali. Vi sono difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei Cristiani, e, soltanto in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico. Sostengono, perciò, che solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote agisce unicamente per ufficio concessogli dalla comunità. Essi ritengono, in conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria « concelebrazione » e che è meglio che i sacerdoti «concelebrino» insieme col popolo presente piuttosto che, nell’assenza di esso, offrano privatamente il Sacrificio. – È inutile spiegare quanto questi capziosi errori siano in contrasto con le verità più sopra dimostrate, quando abbiamo parlato del posto che compete al sacerdote nel Corpo Mistico di Gesù. Ricordiamo solamente che il Sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se stesso per esse: perciò va all’altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali.

La partecipazione all’oblazione

Tutto ciò consta di fede certa; ma si deve inoltre affermare che anche i fedeli offrono la Vittima divina, sotto un diverso aspetto. Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori della Chiesa. «Non soltanto – così Innocenzo III di immortale memoria – offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio – egli dice – è offerto principalmente in Persona di Cristo. Perciò l’oblazione che segue alla consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da Cristo e offre insieme con Lui ». – Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico significano e dimostrano che l’oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo l’offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente: « Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto presso Dio Padre Onnipotente », ma le preghiere con le quali viene offerta la vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto Sacrificio. Si dice, per esempio: « per i quali noi ti offriamo e ti offrono anch’essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu stesso ci hai donato e date, l’Ostia pura, l’Ostia santa, l’Ostia immacolata ». – Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col lavacro del Battesimo, difatti, i Cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del « carattere » che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo. – Nella Chiesa cattolica, la ragione umana illuminata dalla fede si è sempre sforzata di avere una maggiore conoscenza possibile delle cose divine; perciò è naturale che anche il popolo cristiano domandi piamente in che senso venga detto nel Canone del Sacrificio Eucaristico che lo offre anch’esso. Per soddisfare a questo pio desiderio, Ci piace trattare qui l’argomento con concisione e chiarezza. – Ci sono, innanzi tutto, ragioni piuttosto remote: spesso, cioè, avviene che i fedeli, assistendo ai sacri riti, uniscono alternativamente le loro preghiere alle preghiere del sacerdote; qualche volta, poi, accade parimenti – in antico ciò si verificava con maggiore frequenza – che offrano al ministro dell’altare il pane e il vino perché divengano corpo e sangue di Cristo; e, infine, perché, con le elemosine, fanno in modo che il sacerdote offra per essi la vittima divina. Ma c’è anche una ragione più profonda perché si possa dire che tutti i Cristiani, e specialmente quelli che assistono all’altare, compiono l’offerta. Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine « offerta ». L’immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però, sull’altare la Vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l’offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico. Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote è chiaro dal fatto che il ministro dell’altare agisce in persona di Cristo in quanto Capo, che offre a nome di tutte le membra; per cui a buon diritto si dice che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l’oblazione della vittima. Quando, poi, si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso, compiono il rito liturgico visibile – il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato – ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre nella stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote. È necessario, difatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura sua il culto interno: ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa quell’ossequio sapremo col quale lo stesso principale offerente, che è Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano debitamente Dio. Con grande gioia dell’anima siamo stati informati che questa dottrina, specialmente negli ultimi tempi, per l’intenso studio della disciplina liturgica da parte di molti, è stata posta nella sua luce: ma non possiamo fare a meno di deplorare vivamente le esagerazioni e i travisamenti della verità che non concordano con i genuini precetti della Chiesa. Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato e senza l’assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del Sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la Vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l’unità: così non mancano di quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza ed efficacia. Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei Cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti. E ciò si verifica certamente sia che vi assistano i fedeli – che Noi desideriamo e raccomandiamo che siano presenti numerosissimi e ferventissimi – sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il sacro ministro. – Sebbene, dunque, da quel che è stato detto risulti chiaramente che il santo Sacrificio della Messa è offerto validamente a nome di Cristo e della Chiesa, né è privo dei suoi frutti sociali, anche se è celebrato senza l’assistenza di alcun inserviente, tuttavia, per la dignità di questo mistero, vogliamo e insistiamo – come sempre volle la Madre Chiesa – che nessun Sacerdote si accosti all’altare se non c’è chi gli serva e gli risponda, come prescrive il can. 813.

La partecipazione dell’immolazione

Perché poi l’oblazione, con la quale in questo Sacrificio i fedeli offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo pieno effetto, ci vuole ancora un’altra cosa; è necessario, cioè, che essi immolino se stessi come vittima. Questa immolazione non si limita al sacrificio liturgico soltanto. Vuole, difatti, il Principe degli Apostoli che per il fatto stesso che siamo edificati come pietre vive su Cristo, possiamo come « sacerdozio santo, offrire vittime spirituali gradite a Dio per Gesù Cristo »; e Paolo Apostolo, poi, senza nessuna distinzione di tempo, esorta i Cristiani con le seguenti parole: « Io vi scongiuro, adunque, o fratelli […] che offriate i vostri corpi come vittima viva, santa, a Dio gradita, come razionale vostro culto ». Ma quando soprattutto i fedeli partecipano all’azione liturgica con tanta pietà ed attenzione da potersi veramente dire di essi: « dei quali ti è conosciuta la fede e nota la devozione », non possono fare a meno che la fede di ognuno di essi operi più alacremente per mezzo della carità, si rinvigorisca e fiammeggi la pietà, e si consacrino tutti quanti alla ricerca della gloria divina, desiderando con ardore di divenire intimamente simili a Gesù Cristo che patì acerbi dolori, offrendosi col Sommo Sacerdote e per mezzo di Lui come ostia spirituale. Ciò insegnano anche le esortazioni che il Vescovo rivolge a nome della Chiesa ai sacri ministri nel giorno della loro Consacrazione: «Rendetevi conto di quello che fate, imitate ciò che trattate, in quanto, celebrando il mistero della morte del Signore, procuriate sotto ogni rispetto di mortificare le vostre membra dai vizi e dalle concupiscenze ». E quasi allo stesso modo nei Libri liturgici vengono esortati i Cristiani che si accostano all’altare, perché partecipino ai sacri misteri: «Sia su […] questo altare il culto dell’innocenza, vi si immoli la superbia, si annienti l’ira, si ferisca la lussuria ed ogni libidine, si offra, invece delle tortore, il sacrificio della castità, e invece dei piccioni il sacrificio dell’innocenza ». Assistendo dunque all’altare, dobbiamo trasformare la nostra anima in modo che si estingua radicalmente ogni peccato che è in essa, sia, con ogni diligenza, ristorato e rafforzato tutto ciò che per Cristo dà la vita soprannaturale: e così diventiamo, insieme con l’Ostia immacolata, una vittima a Dio Padre gradita. – La Chiesa si sforza, con i precetti della sacra Liturgia, di portare ad effetto nella maniera più adatta questo santissimo proposito. A questo mirano non soltanto le letture, le omelie e le altre esortazioni dei ministri sacri e tutto il ciclo dei misteri che ci vengono ricordati durante l’anno, ma anche le vesti, i riti sacri e il loro esteriore apparato, che hanno il compito di «far pensare alla maestà di tanto Sacrificio, eccitare le menti dei fedeli, per mezzo dei segni visibili di pietà e di religione, alla contemplazione delle altissime cose nascoste in questo Sacrificio». – Tutti gli elementi della Liturgia mirano dunque a riprodurre nell’anima nostra l’immagine del Divin Redentore attraverso il mistero della Croce, secondo il detto dell’Apostolo delle Genti: «Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già più io, ma è Cristo che vive in me». Per la qual cosa diventiamo ostia insieme con Cristo per la maggior gloria del Padre. In questo dunque devono volgere ed elevare la loro anima i fedeli che offrono la vittima divina nel Sacrificio Eucaristico. Se, difatti, come scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona, che nel Sacrificio dell’altare è significato il generale sacrificio col quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote, nulla si può trovare di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che ha sofferto per noi, all’Eterno Padre. Nel Sacramento dell’altare, secondo lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è offerta anch’essa. Considerino, dunque, i fedeli a quale dignità li innalza il sacro lavacro del Battesimo; né si contentino di partecipare al Sacrificio Eucaristico con l’intenzione generale che conviene alle membra di Cristo e ai figli della Chiesa, ma liberamente e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo ministro in terra secondo lo spirito della sacra Liturgia, si uniscano a lui in modo particolare al momento della consacrazione dell’Ostia divina, e la offrano insieme con lui quando vengono pronunziate quelle solenni parole: «Per Lui, con Lui, in Lui, è a te, Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli »; alle quali parole il popolo risponde: «Amen». Né si dimentichino i Cristiani di offrire col divin Capo Crocifisso se stessi e le loro preoccupazioni, dolori, angustie, miserie e necessità.

Mezzi per promuovere questa partecipazione

Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il «Messale Romano », di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche esternamente, una azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può avvenire in vari modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l’una e l’altra cosa: o infine, quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme si associa al canto liturgico. Tuttavia, queste maniere di partecipare al Sacrificio sono da lodare e da consigliare quando obbediscono scrupolosamente ai precetti della Chiesa e alle norme dei sacri riti. Esse sono ordinate soprattutto ad alimentare e fomentare la pietà dei Cristiani e la loro intima unione con Cristo e col suo ministro visibile, ed a stimolare quei sentimenti e quelle disposizioni interiori con le quali è necessario che la nostra anima si configuri al Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento. Nondimeno, sebbene esse dimostrino in modo esteriore che il Sacrificio, per natura sua, in quanto è compiuto dal Mediatore di Dio e degli uomini, è da ritenersi opera di tutto il Corpo Mistico di Cristo; non sono però necessarie per costituirne il carattere pubblico e comune. Inoltre, la Messa «dialogata» non può sostituirsi alla Messa solenne, la quale, anche se è celebrata alla presenza dei soli ministri, gode di una particolare dignità per la maestà dei riti e l’apparato delle cerimonie; benché il suo splendore e la sua solennità si accresca massimamente se, come la Chiesa desidera, vi assiste un popolo numeroso e devoto. Si deve osservare ancora che sono fuori della verità e del cammino della retta ragione coloro i quali, tratti da false opinioni, attribuiscono a tutte queste circostanze tale valore da non dubitare di asserire che, omettendole, l’azione sacra non può raggiungere lo scopo prefissosi. Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano» anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti Cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura. – Per la qual cosa vi esortiamo, Venerabili Fratelli, perché, nella vostra Diocesi o giurisdizione ecclesiastica, regoliate e ordiniate la maniera più adatta con la quale il popolo possa partecipare all’azione liturgica secondo le norme stabilite dal «Messale Romano» e secondo i precetti della Sacra Congregazione dei Riti e del Codice di Diritto Canonico; così che tutto si compia col necessario ordine e decoro, né sia consentito ad alcuno, sia pur Sacerdote, di usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti. A tale proposito desideriamo anche che nelle singole Diocesi, come già esiste una Commissione per l’arte e la musica sacra, così si costituisca una Commissione per promuovere l’apostolato liturgico, perché, sotto la vostra vigilante cura, tutto si compia diligentemente secondo le prescrizioni della Sede Apostolica. Nelle comunità religiose, poi, si osservi accuratamente tutto ciò che le proprie Costituzioni hanno stabilito in questa materia, e non si introducano novità che non siano state prima approvate dai Superiori. In realtà, per quanto varie possano essere le forme e le circostanze esteriori della partecipazione del popolo al Sacrificio Eucaristico e alle altre azioni liturgiche, si deve sempre mirare con ogni cura a che le anime degli astanti si uniscano al Divino Redentore con i vincoli più stretti possibili, e a che la loro vita si arricchisca di una santità sempre maggiore e cresca ogni giorno più la gloria del Padre celeste.

La Comunione

L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il Sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione. Ci piace, a questo proposito, ripetere le considerazioni del Nostro Predecessore Benedetto XIV sulle definizioni del Concilio di Trento: «In primo luogo […] dobbiamo dire che a nessun fedele può venire in mente che le Messe private, nelle quali il solo sacerdote prende l’Eucaristia, perdano perciò il valore del vero, perfetto ed integro Sacrificio istituito da Cristo Signore e siano, quindi, da considerarsi illecite. Né i fedeli ignorano – almeno possono facilmente essere istruiti – che il Sacrosanto Concilio di Trento, fondandosi sulla dottrina custodita nella ininterrotta Tradizione della Chiesa, condannò la nuova e falsa dottrina di Lutero ad essa contraria». «Chi dice che le Messe nelle quali il solo sacerdote comunica sacramentalmente sono illecite e perciò da abrogarsi, sia anatema ». – Si allontanano dunque dal cammino della verità coloro i quali si rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si accosta alla mensa divina; e ancora di più si allontanano quelli che, per sostenere l’assoluta necessità che i fedeli si nutrano del convito Eucaristico insieme col Sacerdote, asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza, e fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la celebrazione. Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente. Come, però, la Chiesa, in quanto Maestra di verità, si sforza con ogni cura di tutelare l’integrità della fede cattolica, così, in quanto Madre sollecita dei suoi figli, vivamente li esorta a partecipare con premura e frequenza a questo massimo beneficio della nostra religione. Desidera innanzi tutto che Cristiani – specialmente quando non possono facilmente ricevere di fatto il cibo Eucaristico – lo ricevano almeno col desiderio; in modo che con viva fede, con animo riverentemente umile e confidente nella volontà del Redentore Divino, con l’amore più ardente, si uniscano a Lui. Ma ciò non le basta. Poiché, difatti, come abbiamo sopra detto, noi possiamo partecipare al Sacrificio anche con la Comunione sacramentale per mezzo del convito del Pane degli Angeli, la Madre Chiesa, perché più efficacemente « possiamo sentire in noi di continuo il frutto della Redenzione », ripete a tutti i suoi figli l’invito di Cristo Signore: « Prendete e mangiate […] Fate questo in mia memoria ». Al qual proposito, il Concilio di Trento, facendo eco al desiderio di Gesù Cristo e della sua Sposa immacolata, esorta ardentemente «perché in tutte le Messe i fedeli presenti partecipino non soltanto spiritualmente, ma anche ricevendo sacramentalmente l’Eucaristia, perché venga ad essi più abbondante il frutto di questo Sacrificio». Anzi il nostro immortale Predecessore Benedetto XIV, perché sia meglio e più chiaramente manifesta la partecipazione dei fedeli allo stesso Sacrificio divino per mezzo della Comunione Eucaristica, loda la devozione di coloro i quali non solo desiderano nutrirsi del cibo celeste durante l’assistenza al Sacrificio, ma amano meglio cibarsi delle ostie consacrate nel medesimo Sacrificio, sebbene, come egli dichiara, si partecipi veramente e realmente al Sacrificio anche se si tratta di pane Eucaristico prima regolarmente consacrato. Così, difatti, scrive: « E benché partecipino allo stesso Sacrificio, oltre quelli ai quali il Sacerdote celebrante dà parte della Vittima da lui offerta nella stessa Messa, anche quelli ai quali il Sacerdote dà l’Eucaristia che si suol conservare; non per questo la Chiesa ha proibito in passato o adesso proibisce che il Sacerdote soddisfi alla devozione e alla giusta richiesta di coloro che assistono alla Messa e chiedono di partecipare allo stesso Sacrificio che anch’essi offrono nella maniera loro confacente: anzi approva e desidera che ciò sia fatto, e rimprovererebbe quei Sacerdoti per la cui colpa o negligenza fosse negata ai fedeli quella partecipazione». Voglia, poi, Dio, che tutti, spontaneamente e liberamente, corrispondano a questi solleciti inviti della Chiesa; voglia Dio che fedeli, anche ogni giorno se lo possono, partecipino non soltanto spiritualmente al Sacrificio Divino, ma anche con la Comunione dell’Augusto Sacramento, ricevendo il Corpo di Gesù Cristo, offerto per tutti all’Eterno Padre. Stimolate, Venerabili Fratelli, nelle anime affidate alle vostre cure, l’appassionata e insaziabile fame di Gesù Cristo; il vostro insegnamento affolli gli altari di fanciulli e di giovani che offrano al Redentore Divino la loro innocenza e il loro entusiasmo; vi si accostino spesso i coniugi perché, nutriti alla sacra mensa e grazie ad essa, possano educare la prole loro affidata al senso e alla carità di Gesù Cristo; siano invitati gli operai, perché possano ricevere il cibo efficace e indefettibile che ristora le loro forze e prepara alle loro fatiche la mercede eterna nel cielo; radunate, infine, gli uomini di tutte le classi e «costringete a entrare»; perché questo è il pane della vita del quale hanno tutti bisogno. La Chiesa di Gesù Cristo ha a disposizione solo questo pane per saziare le aspirazioni e i desideri delle anime nostre, per unirle intimamente a Gesù Cristo, perché, infine, per esso diventino «un solo corpo» e si affratellino quanti siedono alla stessa mensa per prendere il farmaco della immortalità con la frazione di un unico pane. È assai opportuno, poi – il che, del resto, è stabilito dalla Liturgia – che il popolo acceda alla santa Comunione dopo che il Sacerdote ha preso dall’altare il cibo divino; e, come abbiamo scritto sopra, sono da lodarsi coloro i quali, assistendo alla Messa, ricevono le ostie consacrate nel medesimo Sacrificio, in modo che si verifichi « che tutti quelli che, partecipando a questo altare, abbiamo ricevuto il sacrosanto Corpo e Sangue del Figlio tuo, siamo colmati d’ogni grazia e benedizione celeste ». Tuttavia, non mancano talvolta le cause, né sono rare, per cui venga distribuito il pane Eucaristico o prima o dopo lo stesso Sacrificio, e anche che si comunichi – sebbene si distribuisca la Comunione subito dopo quella del Sacerdote – con ostie consacrate in un tempo antecedente. Anche in questi casi come, del resto, abbiamo ammonito prima il popolo partecipa regolarmente al Sacrificio Eucaristico e può spesso con maggiore facilità accostarsi alla mensa di vita eterna. Che se la Chiesa, con materna accondiscendenza, si sforza di venire incontro ai bisogni spirituali dei suoi figli, questi nondimeno, da parte loro, non devono facilmente sdegnare tutto ciò che la sacra Liturgia consiglia, e, sempre che non vi sia un motivo plausibile in contrario, devono fare tutto ciò che più chiaramente manifesta all’altare la vivente unità del Corpo.

Il ringraziamento

L’azione sacra, che è regolata da particolari norme liturgiche, dopo che è stata compiuta, non dispensa dal ringraziamento colui che ha gustato il nutrimento celeste; è cosa, anzi, molto conveniente che egli, dopo aver ricevuto il cibo Eucaristico e dopo la fine dei riti pubblici, si raccolga, e, intimamente unito al Divino Maestro, si trattenga con Lui, per quanto gliene diano opportunità le circostanze, in dolcissimo e salutare colloquio. Si allontanano, quindi, dal retto sentiero della verità coloro i quali, fermandosi alle parole più che al pensiero, affermano e insegnano che, finita la Messa, non si deve prolungare il ringraziamento, non soltanto perché il Sacrificio dell’altare è per natura sua un’azione di grazie, ma anche perché ciò appartiene alla pietà privata, personale, e non al bene della comunità. Ma, al contrario, la natura stessa del Sacramento richiede che il cristiano che lo riceve ne ricavi abbondanti frutti di santità. Certo, la pubblica adunanza della comunità è sciolta, ma è necessario che i singoli, uniti con Cristo, non interrompano nella loro anima il canto di lode « ringraziando sempre di tutto, nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo, il Dio e il Padre ». A ciò ci esorta anche la stessa sacra Liturgia del Sacrificio Eucaristico, quando ci comanda di pregare con queste parole: «Concedici, ti preghiamo, di renderti continue grazie … e non cessiamo mai di lodarti ». Per cui, se si deve sempre ringraziare Dio e non si deve mai cessare dal lodarlo, chi oserebbe riprendere e disapprovare la Chiesa che consiglia ai suoi Sacerdoti e ai fedeli di trattenersi almeno per un po’ di tempo, dopo la Comunione, in colloquio col Divin Redentore, e che ha inserito nei libri liturgici opportune preghiere, arricchite di indulgenze, con le quali i sacri ministri si possono convenientemente preparare prima di celebrare e di comunicarsi, e, compiuta la santa Messa, manifestare a Dio il loro ringraziamento? La sacra Liturgia, lungi dal soffocare gli intimi sentimenti dei singoli Cristiani, li agevola e li stimola, perché essi siano assimilati a Gesù Cristo e per mezzo di Lui indirizzati al Padre; quindi essa stessa esige che chi si è accostato alla mensa Eucaristica ringrazi debitamente Dio. Al Divin Redentore piace ascoltare le nostre preghiere, parlare a cuore aperto con noi, e offrirci rifugio nel suo Cuore fiammeggiante. Anzi, questi atti, propri dei singoli, sono assolutamente necessari per godere più abbondantemente di tutti i soprannaturali tesori di cui è ricca la Eucaristia e per trasmetterli agli altri secondo le nostre possibilità affinché Cristo Signore consegua in tutte le anime la pienezza della sua virtù. Perché, dunque, Venerabili Fratelli, non loderemmo coloro i quali, ricevuto il cibo Eucaristico, anche dopo che è stata sciolta ufficialmente l’assemblea cristiana, si indugiano in intima familiarità col Divin Redentore, non solo per trattenersi dolcemente con Lui, ma anche per ringraziarlo e lodarlo, e specialmente per domandargli aiuto, affinché tolgano dalla loro anima tutto ciò che può diminuire l’efficacia del Sacramento, e facciano da parte loro tutto ciò che può favorire la presentissima azione di Gesù? Li esortiamo, anzi, a farlo in modo particolare, sia traducendo in pratica i propositi concepiti ed esercitando le cristiane virtù, sia adattando ai propri bisogni quanto hanno ricevuto con regale liberalità. Veramente parlava secondo precetti e lo spirito della Liturgia l’autore dell’aureo libretto della Imitazione di Cristo, quando consigliava a chi si era comunicato: « Raccogliti in segreto e goditi il tuo Dio, perché possiedi Colui che il mondo intero non potrà toglierti ». Noi tutti, dunque, così intimamente stretti a Cristo, cerchiamo quasi di immergerci nella sua santissima anima, e ci uniamo con Lui per partecipare agli atti di adorazione con i quali Egli offre alla Trinità Augusta l’omaggio più grato ed accetto; agli atti di lode e di ringraziamento che Egli offre all’Eterno Padre, e a cui fa eco concorde il cantico del cielo e della terra, come è detto: « Benedite il Signore, tutte le opere sue »: agli atti, infine, partecipando ai quali imploriamo l’aiuto celeste nel momento più opportuno per chiedere ed ottenere soccorso in nome di Cristo: ma soprattutto ci offriamo e immoliamo vittime, con le parole: «Fa che noi ti siamo eterna offerta». Il Divin Redentore ripete incessantemente il suo premuroso invito: «Restate in me». Per mezzo del Sacramento della Eucaristia, Cristo dimora in noie noi dimoriamo in Cristo; e come Cristo, rimanendo in noi, vive ed opera, così è necessario che noi, rimanendo in Cristo, per Lui viviamo e operiamo.

DOMENICA III DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA III Dopo PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 16; 18 Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus. [Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Ps XXIV: 1-2 Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam. [A te, o Signore, elevo l’ànima mia: Dio mio, confido in te, ch’io non resti confuso.]

Réspice in me et miserére mei, Dómine: quóniam únicus et pauper sum ego: vide humilitátem meam et labórem meum: et dimítte ómnia peccáta mea, Deus meus. [Guarda a me, e abbi pietà di me, o Signore: perché solo e povero io sono: guarda alla mia umiliazione e al mio travaglio, e rimetti tutti i miei peccati, o Dio mio.]

Oratio

Orémus.

Protéctor in te sperántium, Deus, sine quo nihil est válidum, nihil sanctum: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, te rectóre, te duce, sic transeámus per bona temporália, ut non amittámus ætérna. [Protettore di quanti sperano in te, o Dio, senza cui nulla è stabile, nulla è santo: moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché, sotto il tuo governo e la tua guida, passiamo tra i beni temporali cosí da non perdere gli eterni.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Pet V: 6-11 “Caríssimi: Humiliámini sub poténti manu Dei, ut vos exáltet in témpore visitatiónis: omnem sollicitúdinem vestram projiciéntes in eum, quóniam ipsi cura est de vobis. Sóbrii estote et vigiláte: quia adversárius vester diábolus tamquam leo rúgiens circuit, quærens, quem dévoret: cui resístite fortes in fide: sciéntes eándem passiónem ei, quæ in mundo est, vestræ fraternitáti fíeri. Deus autem omnis grátiæ, qui vocávit nos in ætérnam suam glóriam in Christo Jesu, módicum passos ipse perfíciet, confirmábit solidabítque. Ipsi glória et impérium in sæcula sæculórum. Amen”.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

NELLE PROVE

“Carissimi: Umiliatevi sotto la potente mano di Dio, affinché vi esalti nel tempo della visita. Gettate ogni vostra sollecitudine su di lui, poiché egli ha cura di voi. Siate temperanti e vegliate; perché il demonio, vostro avversario, gira attorno, come leone che rugge, cercando chi divorare. Resistetegli, stando forti nella fede; considerando come le stesse vostre tabulazioni sono comuni ai vostri fratelli sparsi pel mondo. E il Dio di ogni grazia che ci ha chiamati all’eterna sua gloria, in Cristo Gesù, dopo che avete sofferto un poco, compirà l’opera Egli stesso, rendendoci forti estabili. A lui la gloria e l’impero nei secoli dei secoli”. (S. Pietr. V, 6-11).

L’Epistola è tratta dalla prima lettera di S. Pietro. Dopo aver parlato dei doveri dei pastori verso i fedeli e dei doveri dei fedeli verso i pastori, con le parole dell’epistola odierna viene a parlare dei dovrei comuni a tutti i cristiani. Si era sotto la persecuzione suscitata da Nerone. Raccomanda di accettar con umiltà la prova, affinché Dio li esalti a suo tempo; esorta di esser sobri, vigilanti, fermi nella fede per poter resistere al demonio; inculca la pazienza con la considerazione che i Cristiani sparsi nel mondo sono sottoposti alle stesse tribolazioni. Dio, poi, che li ha chiamati alla gloria celeste, compirà l’opera incominciata, dando la forza di perseverare. Le prove non erano una condizione esclusiva dei Cristiani dei tempi di Nerone. Anche senza la persecuzione dei tiranni, esse non mancano mai a coloro che vogliono seguire Gesù Cristo. Noi Cristiani:

1. Dobbiamo accettar le prove dal Signore, che le manda per nostro bene,

2. Senza avvilirci, perché sono un retaggio comune,

3. Confortati dall’aiuto di Dio, che ha cura di noi.

1.

Umiliatevi sotto la potente mano di Dio. Cioè, sottomettetevi, senza replicare, alla potenza di Dio che vi umilia; accettate le prove che la Provvidenza vi manda. Quanto sia necessaria questa esortazione di S. Pietro lo constatiamo tutti i giorni. Si vorrebbe seguir Dio, ma senza alcuna fatica. Fin che tutto sorride e prospera attorno a noi si procede con entusiasmo: ma alle prime prove ci cascano le braccia, ci vengono meno le forze per proseguire. Gesù Cristo ha paragonato costoro alla semente che cade sulla pietra. Nasce e si secca, perché non può mettere le radici. Quanti Cristiani si mettono a praticare il bene con entusiasmo; poi, «al tempo della tentazione si tirano indietro» (Luc. VIII, 13). Gli insegnamenti del Vangelo non hanno messo radici troppo profonde nel loro cuore. In quale pagina, infatti, del Vangelo noi leggiamo che Gesù Cristo abbia promesso ai suoi seguaci una vita aliena dai patimenti? Leggiamo invece tutto l’opposto: «Non si dà servo maggiore del suo padrone» (Matt. X, 24). E: se Gesù Cristo, nostro padrone, si sottopone alle prove più dure, non possiamo pretendere di andarne esenti noi, suoi servi. – Del resto le prove sono un segno dell’amor di Dio. Chi da Dio è amato, da lui è visitato. «Figliuolo — leggiamo nei libri santi — non sdegnare la disciplina di Dio, e non t’incresca il suo castigo, perché  Dio castiga chi ama, come un padre un figlio che predilige» (Prov. III, 11-12). Quando i padri castigano, siano pure le loro correzioni dure e severe, non osiamo criticarli; perché sappiamo che non ira, non vendetta, ma la premura di renderli migliori li fa diventar severi coi figli. Tanto più dobbiam trovar ragionevoli, e accettar con spirito di sottomissione le prove che ci manda il Signore. I genitori, nota S. Paolo, «ci correggevano secondo quel che pareva loro per pochi giorni; Dio lo fà per nostro vantaggio, affinché partecipiamo alla santità di lui» (Ebr. XII, 10. Quelli puniscono per il conseguimento di beni fugaci, il Signore punisce per il conseguimento di beni immortali. A coloro che, dimentichi di Dio e dei propri doveri, vivono nel letargo del peccato, le prove sono una scossa efficace. Non adoperiamo una voce blanda, ma una forte scossa per svegliare chi è assopito in un profondo sonno. Non adoperiamo una carezza ma un forte strappo per trarre in salvo chi sta per essere investito, o per cadere in un precipizio. Si è disprezzata la voce della buona ispirazione, del buon esempio per non lasciarsi stornare dai godimenti terreni; è ben giusto che Dio amareggi questi godimenti con delle dure prove. « Col fuoco si fa prova dell’oro e col dolore degli uomini accetti» (Eccli II, 5)) dice lo Spirito Santo. Dio non ha bisogno della prova per conoscere la nostra costanza, ma gli uomini, ai quali siamo obbligati a dare buon esempio, hanno bisogno di questa prova. Coloro che ci circondano non devono ripetere la stolta affermazione di satana, il quale, non avendo nulla da dire contro Giobbe, insinuava che egli servisse il Signore unicamente per la prosperità che Dio gli aveva dato. La nostra costanza nella prova, oltre acquistarci dei meriti, insegna a servir Dio disinteressatamente. Inoltre, sotto le prove, l’anima fa notevoli progressi. Una verga di ferro, messa al fuoco, perde la ruggine, si piega docile sotto i colpi del martello, e per il lungo e paziente lavoro della lima riesce un pregevole oggetto d’arte. Così l’afflizione purga l’anima, la rende docile alla volontà di Dio, la raffina nella virtù. –

2.

S. Pietro per incoraggiare i Cristiani a resistere alle tentazioni e a tutte le prove vuole vadano considerando come le stesse tribolazioni sono comuni ai … fratelli sparsi pel mondo. Come osserva il Grisostomo: « La compagnia di quei che soffrono rende più leggero il peso della sofferenza ». (In 2 Ep. ad Tim. Hom. 1, 4). E in questo mondo soffrono tutti. « Se non oggi, domani; se non domani, ci sarà qualche nuovo dolore più tardi; e come non può darsi che i naviganti siano senza sollecitudine quando vanno per l’ampio oceano, così quei che passano questa vita non possono essere senza tristezza » (S. Giov. Grisost. 1. c. n. 3). Saranno più o meno diversi i motivi di tristezza; ma nessuno ne va esente. Una croce il Signore l’ha destinata a tutti. Una croce che l’uomo comincia a portare fin dall’adolescenza è la inclinazione al male. Croce», se egli lotta per vincere; croce, se cede alla passione, per l’amarezza e lo sconforto che ne seguono. Una croce è mettersi alla sequela di Dio per la via stretta; lo Spirito Santo, però, assicura che è una croce anche abbandonare Dio. per camminare per la via larga. « Riconosci alla prova — fa dire da Geremia ad Israele — come è cosa cattiva e dolorosa l’aver tu abbandonato il Signore Dio tuo » (Ger. II, 19.). Sono croci le aspirazioni non mai appagate, gli ideali non mai raggiunti, le agitazioni non mai calmate, un sogno che svanisce, un matrimonio infelice, un figlio scapestrato. Sono croci le malattie, le privazioni, la mancanza di quanto è necessario, una fortuna che dilegua, un affare che va male, un infortunio che capita all’impensata. Si hanno croci in casa e croci fuori di casa: da parte da amici e da parte di nemici, da parte di vicini e da parte di lontani. Chi potrebbe enumerarle tutte? E se tutti hanno la propria croce, perché solamente noi dovremmo andarne liberi? Se le croci sono comuni a tutti i discendenti di Adamo, tanto più devono essere comuni ai Cristiani, seguaci di Colui che morì in croce. «Se credi di non aver tribolazioni — dice S. Agostino — non hai ancora cominciato a essere Cristiano» (En. in Ps. 45,4). S. Paolo e S. Barnaba esortavano i discepoli a rimaner fedeli, «dicendo che noi dobbiamo passare per molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (Att. XIV, 21). Come è impossibile entrare nel regno di Dio senza tribolazioni; così è impossibile trovare un Cristiano senza tribolazioni; senza molte tribolazioni, se ha cura di entrare nel regno di Dio. È pensiero consolante, però, il considerare che nel portar la croce abbiam compagni non solamente tutti i fratelli che abbiamo nel mondo, ma lo stesso Gesù Cristo. Nei primi anni del suo episcopato in Milano, il Cardinal Ferrari si era recato a far visita al Re Umberto I, nella sua villa di Monza. A un certo momento della conversazione, che aveva preso un tono confidenziale, Re Umberto dice con un sospiro: «Sapesse, Eminenza, quanto pesa in certi momenti la corona!» E l’Arcivescovo, con il consueto sorriso buono e confortevole, soggiunse pronto: «Pesa anche la croce vescovile, Maestà; l’una e l’altra però diventano leggere e amabili quando ci si metta sopra il Crocefisso» (B. Galbiati, Vita del Cardinale Carlo Andrea Ferrari ecc. Milano, 1926, pag, 226). Perché avvilirci sotto il peso delle tribolazioni se sono comuni a tutti gli uomini, e soprattutto a tutti i fratelli in Gesù Cristo; e se Gesù Cristo terminò sulla croce una vita di tribolazioni senza numero?  –

3.

Dio, il quale ci ha chiamati alla vita celeste che otterremo dopo i brevi patimenti su questa terra, non ci abbandona nei momenti della prova. Dopo che avrete sofferto un poco— dice S. Pietro — compirà l’opera egli stesso, rendendovi forti e stabili. Egli conforterà, assisterà i Cristiani, perché non abbiano a vacillare nel sopportare i mali, e nel compire i propri doveri. Le prove che Dio permette sono medicine; e sono sempre le più adatte per noi. Innanzi tutto Dio non manda se non quel che si può portare; e nessuno può asserire che le prove, che Dio gli manda siano superiori alle proprie forze. Nessun navigante carica la nave con un peso superiore alla sua portata; nella traversata la nave affonderebbe. E neppur salpa con una nave troppo leggera; questa sarebbe molto facilmente sbattuta qua e là dai venti. Dio proporziona a ciascuno le croci in modo che tengano fermo l’uomo tra l’infuriar delle passioni, e nello stesso tempo non lo opprimano col loro peso. Per dubitare di questo, bisognerebbe ignorare che «le opere di Dio sono perfette e tutte le vie di lui sono giuste» (Deut. XXXII, 4). Si odono spesso frasi come queste: «Dio poteva darmi una croce, ma pesante come questa, no». — «Un’altra croce, pazienza; ma non questa». — «Tutti hanno la propria croce; ma la mia è più pesante delle altre». Se tutti dovessimo portar la nostra croce in un luogo pubblico, e lì — come si fa in una esposizione — metterle in vista, in modo che noi potessimo vedere le croci degli altri, e gli altri potessero vedere le nostre, e a tutti fosse data facoltà di cambiar la propria con altra; quanti la cambierebbero? Tutto considerato, ciascuno penserebbe che è meglio riprender la propria, e ritornare con quella a casa. Il Signore non ci lascia portar da soli il peso della tribolazione. A incoraggiare Giacobbe a scendere da Betsabea in Egitto con tutta la famiglia, Dio gli si manifesta di notte, in visione, e l’assicura: «Non aver paura di scendere in Egitto… Io scenderò con te in Egitto, e Io ancora ti farò di là ritornare» (Gen. XLVI, 3-4). Quando, nel pellegrinaggio di questa vita, ci troviamo nelle difficoltà Dio ci è vicino, molto più vicino di quanto supponiamo. Egli può condurci e ricondurci incolumi attraverso a tutte le prove. Sesaremo disposti a non staccarci da Lui, Egli non ci abbandonerà, ma ci darà la forza di superare qualunque ostacolo. – «Il Signore è buono — dice il profeta — e consola nel giorno della tribolazione, e conosce quelli che sperano in Lui (Nah. I, 7). Sappiamo, dunque, dove porre le nostre speranze nel momento della tribulazione, senza pericolo di rimanere delusi. Il Signore non vuol tormentare i suoi amici; ma vuol renderli migliori e meritevoli di un gran premio; Egli sa quello che fa. Sarebbe una vera pazzia, nell’ora della prova, abbonarsi alle querele e ai lamenti, invece di praticare il suggerimento di S. Pietro : Umiliatevi sotto la potente mano di lui. Dopo tutto «l’angustia della tribolazione passerà, ma l’ampiezza della gioia a cui pervennero non avrà termine» (S. Agost. En. in Ps. CXVII). – E soprattutto umiliamoci sotto la potente mano del Signore nelle prove più gravi, come le prove pubbliche, accettandole come un invito a riformare la nostra condotta, e facciamo che non si debba ripetere il lamento che un giorno faceva S. Cipriano : «Ecco, dal Cielo vengono inflitte calamità, e non c’è alcun timor di Dio» (Ad Dem. 8).

Graduale

Ps LIV: 23; 17; 19 Jacta cogitátum tuum in Dómino: et ipse te enútriet. [Affida ogni tua preoccupazione al Signore: ed Egli ti nutrirà.]

V. Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam ab his, qui appropínquant mihi. Allelúja, allelúja. [Mentre invocavo il Signore, ha esaudito la mia preghiera, liberandomi da coloro che mi circondavano. Allelúia, allelúia]

Ps VII: 12 Deus judex justus, fortis et pátiens, numquid iráscitur per síngulos dies? Allelúja. [Iddio, giudice giusto, forte e paziente, si adira forse tutti i giorni? Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

S. Luc. XV: 1-10 “In illo témpore: Erant appropinquántes ad Jesum publicáni et peccatóres, ut audírent illum. Et murmurábant pharisæi et scribæ, dicéntes: Quia hic peccatóres recipit et mandúcat cum illis. Et ait ad illos parábolam istam, dicens: Quis ex vobis homo, qui habet centum oves: et si perdíderit unam ex illis, nonne dimíttit nonagínta novem in desérto, et vadit ad illam, quæ períerat, donec invéniat eam? Et cum invénerit eam, impónit in húmeros suos gaudens: et véniens domum, cónvocat amícos et vicínos, dicens illis: Congratulámini mihi, quia invéni ovem meam, quæ períerat? Dico vobis, quod ita gáudium erit in cœlo super uno peccatóre pœniténtiam agénte, quam super nonagínta novem justis, qui non índigent pœniténtia. Aut quæ múlier habens drachmas decem, si perdíderit drachmam unam, nonne accéndit lucérnam, et evérrit domum, et quærit diligénter, donec invéniat? Et cum invénerit, cónvocat amícas et vicínas, dicens: Congratulámini mihi, quia invéni drachmam, quam perdíderam? Ita dico vobis: gáudium erit coram Angelis Dei super uno peccatóre pœniténtiam agénte”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXI

“In quel tempo andavano accostandosi a Gesù de’ pubblicani e de’ peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano, dicendo: Costui si addomestica coi peccatori, e mangia con essi. Ed Egli propose loro questa parabola, e disse: Chi è tra voi che avendo cento pecore, e avendone perduta una, non lasci nel deserto le altre novantanove, e non vada a cercar di quella che si è smarrita, sino a tanto che la ritrovi? e trovatala se la pone sulle spalle allegramente; e tornato a casa, chiama gli amici e i vicini, dicendo loro: Rallegratevi meco, perché ho trovato la mia pecorella, che si era smarrita? Vi dico, che nello stesso modo si farà più festa per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza. Ovvero qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente, fino che l’abbia trovata? E trovatala, chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegratevi meco, perché ho ritrovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno festa gli Angeli di Dio, per un peccatore che faccia penitenza” (Luc.. XV, 1-10).

La misericordia di Dio verso degli uomini è veramente infinita, e ce lo provano una lunga serie di fatti registrati nella Sacra Scrittura. Adamo disubbidisce a Dio, e con quella disubbidienza condanna se stesso e tutta la sua discendenza alla morte eterna; ma Iddio viene tosto in soccorso colla sua misericordia, e cangiando la morte eterna dell’anima con la morte temporale del corpo somministra un mezzo di salute con la promessa del Salvatore. Moltiplicandosi gli uomini, riempiono la terra di iniquità a segno, che Dio determina di mandare un diluvio universale. Ma prima di effettuare quei castigo manda Noè a predicare imminente il divino flagello per lo spazio di cento e venti anni. Iddio castigò più volte il popolo Ebreo, ma appena dava segno di ravvedimento, lo prendeva tosto sotto la sua protezione e lo liberava dall’oppressione de’ suoi nemici. La popolatissima città di Ninive si dà in preda ai più grandi disordini, e Dio delibera di punirla colla totale distruzione di essa e dei suoi cittadini. Tuttavia Egli vuole ancora fare uno sforzo, mandando il profeta Giona a predicare la penitenza. Ninive ascolta la voce del ministro di Dio, abbandona il peccato, si placa l’ira divina, e vi sottentra la sua misericordia infinita. Ninive è salva. Che diremo poi dei segni di misericordia datici dal nostro divin Salvatore? Quanti miracoli, quante parabole, quanti fatti, quante espressioni dimostrano nel Vangelo queste verità! Quando non ci fosse altro, il Vangelo di questa Domenica ne sarebbe una delle più stupende prove.

1. Il divin Redentore volendoci appunto far conoscere la bontà immensa del suo bellissimo Cuore verso le anime ancor peccatrici, paragonossi un giorno ad un amoroso pastore. « Io sono il buono Pastore, Ei disse: conosco le mie pecorelle ad una, ad una, le amo, le conduco al pascolo, le difendo dai lupi e do la mia stessa vita per esse. Di queste pecorelle talune non sono ancora nell’ovile, Ei soggiunse, altre ne sono uscite, e vanno errando per balzi e dirupi, hanno smarrita la via, e sono in pericolo di essere divorate dal lupo rapace. Oh! il mio Cuore non può tollerare di vederle in sì miserabile stato: Io le voglio condurre nel mio gregge diletto ». Quindi Gesù, operando conforme a questa sua ardente brama percorreva le città e i villaggi, faceva a tutti udire la sua amorevole voce, accoglieva con bontà squisita i peccatori e le peccatrici, che si accostavano a Lui per udirlo, s’intratteneva con loro, e a fine di trarli più efficacemente al bene, e pascolarli più a bell’agio di sue divine parole, giungeva persino a recarsi a casa loro per mangiare e bere con essi, sicché gli Scribi ed i Farisei prendevano da ciò argomento per mormorare contro di lui. Così ci dice il Vangelo di questa mattina. In quel tempo andavano accostandosi a Gesù dei pubblicani e dei peccatori per udirlo. E i Farisei e gli Scribi ne mormoravano difendo: Costui si addomestica coi peccatori e mangia con essi. Ma Gesù benedetto volendo chiudere la bocca a questi iniqui mormoratori prese a dir loro questa parabola: Un pastore menò al pascolo cento pecore. Stando per ricondurle a casa, ecco che si accorge d’averne solo novantanove. A quella vista egli fu grandemente turbato, e non reggendogli il cuore di rimanersi con una pecora di meno, lasciò le altre nel loro cammino, e andato per valli e per monti non si diede posa finché non l’ebbe trovata. Riavutala, il cuore si inonda di gioia, e senza punto percuoterla, ansi per risparmiarle la fatica del viaggio, se la carica sopra le spalle, e la porta all’ovile. Giunto a casa chiamò gli amici e i vicini, e disse loro: Con grande mio dolore avevo smarrita una pecorella; ma rallegratevi meco, perché l’ho ritrovata. E per tal modo il divin Redentore, valendosi di questa parabola, interrogavai suoi mormoratori: Chi di voi, avendo perduta una pecora non farebbe altrettanto? Quasiché volesse dire: Se così fareste voi medesimi, come dunque osate rimbrottar me, perché vado in cerca di anime infelici, che, smarrita la via del Cielo, corrono incerte e paurose nei tortuosi sentieri di perdizione, in procinto di essere da un momento all’altro divorate dal lupo infernale? Quindi conchiudeva: Intendete bene quel che vi dico, che cioè nello stesso modo si farà più festa in cielo per un peccatore che fa penitenza, che per novantanove giusti, che di penitenza non hanno bisogno. E come se tutto questo non bastasse a convincere quegli Scribi e quei Farisei, aggiungeva ancora quest’altra parabola: Qual è quella donna, la quale avendo dieci dramme, perdutane una, non accenda la lucerna, e non iscopi la casa, e non cerchi diligentemente, fino a che l’abbia trovata? E trovatala. chiama le amiche e le vicine, dicendo: Rallegrateti meco, perché ho ritrovata la dramma perduta. Così vi dico, faranno festa gli Angeli di Dio per un peccatore, che faccia penitenza. Epperò con la prima e con la seconda di queste parabole il divin Redentore, confondendo i suoi mormoratori, degnavasi pure nella sua immensa bontà di far conoscere a noi anzi tutto le sollecitudini del suo cuore divino nel ricercare e richiamare a sé le anime peccatrici, poscia l’amorevole accoglienza, che fa loro quando Egli le ritrova e sele vede ai suoi piedi pentite, e da ultimo la gioia immensa, che Egli e tutto il Paradiso provano, quando tali anime sono tornate a far parte del suo gregge diletto, delle sue preziose monete. Ed anzi tutto ci volle indicare le sue amorose sollecitudini nel ricercare e richiamare a sé le anime peccatrici. Quando un Cristiano ha commesso un grave peccato, epperò ha perduto Iddio e la sua santa grazia, dovrebbe egli stesso prontamente con un sincero pentimento ricercare Iddio ed implorare il suo perdono. Ma poiché il più delle volte il peccatore non pensa punto alla sua sventura e sta i giorni, le settimane, i mesi e talora persino gli anni senza muoversi a ricercare quel Dio che ha perduto, così è Dio stesso che aspetta con ansia, che anzi ricerca e richiama a sé il povero peccatore.Un giorno il divin Salvatore insieme co’ suoi Apostoli si recava dalla Giudea nella Galilea, passando per le terre dei Samaritani. Egli, che nulla faceva a caso, ma ogni sua operazione dirigeva a nobilissimo fine, studiava il passo, e pareva che assai gli premesse di portarsi avanti, come se ad un’ora determinata avesse un appuntamento con qualche persona. Dopo un cammino a piedi per parecchie ore, Egli sul meriggio giunse presso la città di Sichem, e ivi siccome a termine del suo faticoso viaggio si pose a sedere sopra la sponda di un pozzo. Gli occhi suoi parevano brillare di una insolita gioia, ed un più vivido raggio di celestiale bontà traspariva dalla sua faccia divina. A che pensa dunque, a che mira Gesù? Egli pensa e mira all’acquisto di un’anima in preda al peccato; Egli sta colà aspettando una misera donna, che quale smarrita pecora va errando lungi da Dio ed è caduta nelle zanne dei lupi. Egli sa che tra poco ella deve arrivare colà ad attingere acqua, ed il buon Pastore ansioso l’attende per ricondurla all’ovile. Egli nella sua squisita bontà dispone persino di non avere insieme in quel momento gli Apostoli, affine di guarire la pecorella piagata senza farla arrossire, e senza scapito del suo buon nome. La misera donna arriva di fatto, si accosta al pozzo, ed allo sconosciuto non dice parola. Ma se ella non pensa a Gesù, Gesù, che la conosce, si prende ben cura di lei. Laonde riempita che ebbe la secchia, e mentre già si sta per andarsene, Gesù pel primo le volge il discorso, e con la più ammirabile pazienza, con le parole più amorevoli Egli ricerca e richiama a sé quell’anima traviata, la fa pentire de’ suoi peccati, la converte e la salva. Or bene, quello che Gesù fece con la Samaritana è presso a poco quello che fa con qualsiasi povero peccatore. Sono davvero ineffabili le industrie, con cui Egli ne va in cerca, sono inesprimibili le voci tenerissime, con cui a sé lo chiama. Egli lo chiama talvolta con una predica, talvolta con una potente ispirazione che gli manda, talvolta con una lettura di un libro devoto, che gli fa capitare alle mani, talvolta con lo sguardo che gli fa posare sopra di un crocifisso o su un’immagine di Maria, o di qualche Santo. Lo chiama talvolta con gli inviti pressanti di un sincero amico, con le lagrime e con le preghiere di una madre o di un superiore e persino con l’invio di qualche sventura. Lo chiama continuamente con crudi rimorsi, con vive agitazioni, con insoffribili smanie; sì con questi e tanti altri simili modi Iddio non lascia di correre dietro al povero peccatore, e di ripetergli con la più viva insistenza: Convertere, convertere ad Dominimi, Deum tuum: convertiti, convertiti al Signore, Iddio tuo.

2. Ma se il buon Pastore Gesù con tanta bontà ed amorevolezza va in cerca di quelle pecore smarrite, che a Lui non pensano neppure, chi può dire la dolce accoglienza, che Egli fa a quelle, che traggono a Lui pentite dei loro errori! Ne abbiamo, anche qui, una prova nel Vangelo istesso riguardo ad un’altra donna, non meno peccatrice della Samaritana. Gesù predicava un giorno nella Galilea, quando Maddalena, tratta dalla gran fama del nuovo profeta, si decise di andarlo a udire. Fu questo per lei veramente un bel pensiero. Imperocché alle parole che uscivano da quel labbro divino, ai discorsi di tanta efficacia sulla vanità degli onori terreni e dei piaceri del senso, all’udire le ricchezze della bontà e misericordia di Dio, all’ascoltare soprattutto quel dolcissimo invito: Venite a me tutti, o peccatori e peccatrici, e io vi darò a gustare quella pace gioconda, che indarno cercate nelle vanità e nei piaceri del mondo; a questi insomma e ad altri simili detti la peccatrice famosa sentissi tocca nel profondo dell’animo. Ella concepì tosto un sì vivo dolore de’ suoi peccati, che non potendo più calmare i tumulti del cuore, prese a versare dagli occhi, come da due fonti perenni, un torrente di lagrime. Si portò subitamente a casa, gettò gli ornamenti di lusso, si scompigliò i capelli, e dato di piglio ad un vaso di alabastro pieno d’unguento prezioso, si tornò in cerca di Gesù. Saputolo nella città di Naim a pranzo in casa di Simon fariseo, in compagnia dei più ragguardevoli personaggi, ella senza umani rispetti si porta colà. Penetrata nella sala del convito, si getta ai piedi di Gesù, e con l’animo spezzato dal dolore glieli bagna con le sue caldissime lagrime, glieli asciuga con gli sparsi capelli, glieli profuma col suo prezioso liquore, glieli bacia con ardentissimo affetto. Ma come? Gesù tollera Egli che una persona così peccatrice e scandalosa lo tratti con una confidenza siffatta, quale appena si potrebbe permettere ad un’anima stata sempre innocente? E non le rinfaccia i suoi molti peccati? e non la manda prima a riparare gli scandali? non le impone di scostarsi da Lui? e non le impedisce di toccarlo così? Oh! no, perché Gesù è amoroso pastore, ed Egli al vedere tornata all’ovile una pecorella traviata prova un piacere indicibile. Maddalena già lo conosce. All’aria graziosa di quel Salvatore divino, alle dolci parole che gli uscirono dal labbro, ella si accorse che nel Cuor suo alberga una bontà infinita, e che quantunque rea di mille peccati, nulla ha da temere nel trattarlo così. Né punto s’ingannò poiché il buon Gesù non solo l’accoglie con volto benigno e la perdona, ma in quel luogo medesimo, alla presenza di tante insigni persone, Egli ne piglia una pronta difesa, dimostrandola già migliore di lui, perché piena di contrizione e d’amore. Né qui ebbe fine la bontà di Gesù con la penitente Maddalena. Egli in seguito ancora la trattò come se non avesse peccato giammai; Egli l’ebbe ognora carissima come se fosse sempre vissuta quale una colomba innocente. Gradì i servigi di lei, le permise che lo seguitasse con altre pie donne, e provvedesse ai bisogni del Collegio apostolico. Essendole morto Lazzaro, Ei si recò in Betania per consolarla, anzi ai prieghi, alle lagrime sue, operò il più strepitoso miracolo, richiamandole a vita il fratello da quattro giorni morto e sepolto. Né dopo la sua risurrezione gloriosa diminuì i suoi riguardi per essa, poiché le apparve in modo tutto speciale, e la incaricò di portarne novella agli Apostoli stessi. Né si finirebbe sì presto, se si volessero tutti accennare i tratti di singolare bontà, che le usò il divin Maestro. Ora un amore sì grande verso un’anima un dì rea di tanti peccati, non è forse una prova la più evidente della bontà, con cui accoglie a sé i peccatori pentiti e della gioia vivissima, che Egli prova quando questi a Lui fanno ritorno?

3. Ma che dire poi della festa che Gesù e tutto il Paradiso fanno in questi casi, quando cioè un qualche peccatore rientra a far parte delle anime giuste? Benché il divin Redentore ce l’abbia già espressa così al vivo nella festa fatta dal buon Pastore, ritrovata che ebbe la pecora smarrita, ed in quella che fece la donna di casa quando ritrovò la sua dramma, tuttavia ce la espresse anche più vivamente in quell’altra stupenda parabola del figliuol prodigo, in cui ci racconta che non appena quel figlio fu ritornato al padre suo e gli ebbe chiesto perdono de’ suoi trascorsi, subito il padre abbracciandolo e baciandolo con la gioia più viva, chiama i servi ed olà! dice loro, presto portate qui la veste più bella, mettete a questo mio figlio l’anello in dito, i sandali ai piedi, uccidete il miglior vitello, chiamate i parenti e gli amici, invitate la musica, e facciamo gran festa, perché questo mio figlio diletto era morto ed ora è risorto, era perduto e si è ritrovato. Or bene, poteva Egli il buon Gesù, darci un’idea più viva della festa, che in Cielo si fa da Lui, dagli Angeli e dai Santi nel ritorno a Dio di un peccatore pentito? E poteva più efficacemente animarci a ricercare la sua grazia ed il suo amore, se per cagione di gravi colpe l’avessimo perduto? Animo, adunque, o cari Cristiani e cari giovani. Se mai, attentamente esaminandovi, vi avvedeste di trovarvi nel numero di coloro che col peccato si sono allontanati da Gesù, non tardate più un istante a ritornare a Lui. Gettatevi presto ai suoi piedi pentiti: chiedetegli perdono delle vostre colpe in una santa Confessione, e fate il sincero proposito di non volervi mai più da Lui allontanare. Alla fin fine è Egli solo, che può contentare il vostro cuore: i piaceri del mondo e dei sensi non vi lasciano che disinganno ed amarezza, e gli amori terreni non fanno altro che suscitare nel vostro animo affanni e dispiaceri. Pensate adunque a darvi all’amore di Colui, che è il solo che possa rendervi felici. Né lasciate di riflettere ancora che se è vero, verissimo che la misericordia di Dio è infinita, è pur vero, verissimo che infinita è la sua giustizia. Taluno dirà: Iddio è tanto buono e m’ha usata tanta misericordia per il passato, così spero che me la userà per l’avvenire. Come? e perché t’ha usata tanta misericordia, per questo tu vuoi continuare ad offenderlo? Dunque, ti dice San Paolo, così tu disprezzi la bontà e la sapienza di Dio? Non sai, che il Signore ti ha sopportato finora, non già perché tu continui ad offenderlo, ma acciocché pianga il mal fatto? Quando tu, fidato alla divina misericordia, non vuoi finirla, la finirà il Signore. Se non ti convertirai, Egli ruoterà la sua spada. Sì, è vero, Iddio aspetta molto a punire, ma quando giunge il tempo della vendetta, non aspetta più, e castiga. Perciocché Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi; ma quando vede, che quegli del tempo che gli è dato per piangere i peccati, se ne serve per accrescerli, allora chiama lo stesso tempo a giudicarlo. Sicché le stesse misericordie usate al peccatore serviranno per farlo castigare con più rigore, e farlo abbandonare più presto. Abbiamo medicata Babilonia e non è guarita: abbandoniamola, dice il Signore. E come Iddio abbandona il peccatore? O gli manda la morte, e lo fa morire in peccato: o pure lo priva delle sue grazie, lasciandolo cadere in continui peccati senza nemmanco più curarsi di lui. Ed allora la mente accecata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua salvazione moralmente impossibile. E questo sarà ancora il più grave castigo, lasciarlo vivere senza neppure castigarlo in questa vita. No, non v’è castigo maggiore che quando Dio permette ad un peccatore che aggiunga peccati a peccati. Attenti adunque, o carissimi, a non lasciarvi ingannare dal demonio. Sì, la misericordia di Dio vi animi a gettarvi tra le sue braccia ed a piangere i vostri peccati con la più viva fiducia di essere perdonati, ma la divina giustizia vi faccia pur santamente tremare, pensando che per essa o ritardando di tornare a Dio, o ritornando a commettere il peccato, Iddio vi punirà eternamente.

CREDO …

 Offertorium

Orémus: Ps IX: 11-12 IX: 13 Sperent in te omnes, qui novérunt nomen tuum, Dómine: quóniam non derelínquis quæréntes te: psállite Dómino, qui hábitat in Sion: quóniam non est oblítus oratiónem páuperum. [Sperino in te tutti coloro che hanno conosciuto il tuo nome, o Signore: poiché non abbandoni chi ti cerca: cantate lodi al Signore, che àbita in Sion: poiché non ha trascurata la preghiera dei poveri.]

 Secreta

Réspice, Dómine, múnera supplicántis Ecclésiæ: et salúti credéntium perpétua sanctificatióne suménda concéde. [Guarda, o Signore, ai doni della Chiesa che ti supplica, e con la tua grazia incessante, fa che siano ricevuti per la salvezza dei fedeli.]

 Communio

Luc XV: 10. Dico vobis: gáudium est Angelis Dei super uno peccatóre poeniténtiam agénte. [Vi dico: che grande gaudio vi è tra gli Angeli per un peccatore che fa penitenza.]

 Postcommunio

Orémus.

Sancta tua nos, Dómine, sumpta vivíficent: et misericórdiæ sempitérnæ praeparent expiátos. [I tuoi santi misteri che abbiamo ricevuto, o Signore, ci vivifichino, e, purgandoci dai nostri falli, ci preparino all’eterna misericordia.]

FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO (2019)

FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO (2019)

Introitus

Acts XII: 11
Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum. [Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]

Ps CXXXVIII: 1-2
Dómine; probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam.

[Signore, tu mi scruti e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio cammino.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti: da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium.
[O
Dio, che consacrasti questo giorno col martirio dei tuoi Apostoli Pietro e Paolo: concedi alla tua Chiesa di seguire in ogni cosa i precetti di coloro, per mezzo dei quali ebbe principio la religione]

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.
Act XII: 1-11
In diébus illis: Misit Heródes rex manus, ut afflígeret quosdam de ecclésia. Occidit autem Jacóbum fratrem Joánnis gládio. Videns autem, quia placeret Judæis, appósuit, ut apprehénderet et Petrum. Erant autem dies azymórum. Quem cum apprehendísset, misit in cárcerem, tradens quatuor quaterniónibus mílitum custodiéndum, volens post Pascha prodúcere eum pópulo. Et Petrus quidem servabátur in cárcere. Orátio autem fiébat sine intermissióne ab ecclésia ad Deum pro eo. Cum autem productúrus eum esset Heródes, in ipsa nocte erat Petrus dórmiens inter duos mílites, vinctus caténis duábus: et custódes ante óstium custodiébant cárcerem. Et ecce, Angelus Dómini ástitit: et lumen refúlsit in habitáculo: percussóque látere Petri, excitávit eum, dicens: Surge velóciter. Et cecidérunt caténæ de mánibus ejus. Dixit autem Angelus ad eum: Præcíngere, et cálcea te cáligas tuas. Et fecit sic. Et dixit illi: Circúmda tibi vestiméntum tuum, et séquere me. Et éxiens sequebátur eum, et nesciébat quia verum est, quod fiébat per Angelum: existimábat autem se visum vidére. Transeúntes autem primam et secundam custódiam, venérunt ad portam férream, quæ ducit ad civitátem: quæ ultro apérta est eis. Et exeúntes processérunt vicum unum: et contínuo discéssit Angelus ab eo. Et Petrus ad se revérsus, dixit: Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum, et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[In quei giorni: Il re Erode mise le mani su alcuni membri della Chiesa per maltrattarli. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E, vedendo che ciò piaceva ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano allora i giorni degli azzimi. Arrestatolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro squadre di quattro soldati ciascuna, volendo farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro, dunque, era custodito nella prigione; ma la Chiesa faceva continua orazione a Dio per lui. Ora, la notte precedente al giorno che Erode aveva stabilito per farlo comparire innanzi al popolo, Pietro, legato da due catene, dormiva fra due soldati, e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Ed ecco apparire un Angelo del Signore e una gran luce splendere nella cella. Toccando Pietro al fianco, lo riscosse, dicendo: Alzati in fretta. E gli caddero le catene dalle mani. L’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e infílati i sandali. Pietro obbedí. E l’Angelo: Buttati addosso il mantello e séguimi. Ed egli uscí e lo seguí, senza rendersi conto di quel che l’Angelo gli faceva fare, parendogli un sogno. Oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che mette in città, ed essa si aprí da sé davanti a loro. E usciti, si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo partí da lui. Pietro, allora, tornato in sé, disse: Adesso riconosco davvero che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode, e da ogni attesa dei Giudei.]

Graduale

Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui. Dómine.
V. Pro pátribus tuis nati sunt tibi fílii: proptérea pópuli confitebúntur tibi. Allelúja, allelúja.
[Li costituirai príncipi sopra tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore.
V. Ai padri succederanno i figli; perciò i popoli Ti loderanno. Alleluia, alleluia.]
Matt XVIII: 18
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam. Allelúja.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XVI: 13-19
In illo témpore: Venit Jesus in partes Cæsaréæ Philippi, et interrogábat discípulos suos, dicens: Quem dicunt hómines esse Fílium hóminis? At illi dixérunt: Alii Joánnem Baptístam, alii autem Elíam, álii vero Jeremíam aut unum ex Prophétis. Dicit illis Jesus: Vos autem quem me esse dícitis? Respóndens Simon Petrus, dixit: Tu es Christus, Fílius Dei vivi. Respóndens autem Jesus, dixit ei: Beátus es, Simon Bar Jona: quia caro et sanguis non revelávit tibi, sed Pater meus, qui in coelis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam, et portæ ínferi non prævalébunt advérsus eam. Et tibi dabo claves regni coelórum. Et quodcúmque ligáveris super terram, erit ligátum et in coelis: et quodcúmque sólveris super terram, erit solútum et in coelis.
[In quel tempo: Gesú, venuto nei dintorni di Cesarea di Filippo, cosí interrogò i suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o qualche altro profeta. Disse loro Gesú: E voi, chi dite che io sia? Simone Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. E Gesú: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne o il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli.]

OMELIA

DEVOZIONE AI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

[P. Vincenzo Stocchi S. J. : DISCORSI SACRI; Tip. Befani, ROMAì -1884]

Superædificati super fundamentum Apostolorum.

[Ephes. II, 20]

Se io mi diparto questa mattina uditori dal mio costume di attingere all’Evangelio l’assunto del mio discorso, confido che non solo vi sembrerà ragionevole, ma vi tornerà anche giocondo. Imperocché me ne diparto per favellare dei santi Apostoli Pietro e Paolo; la solennità dei quali, che per otto interi giorni rallegra la santa Chiesa, è veramente solennità di tutto il mondo cattolico, ma è in modo particolarissimo solennità romana. E solennità romana la appellava quella gloria dei Pontefici S. Leone, e favellando molti secoli fa ai padri vostri dalla Cattedra vaticana, con maestà ed eloquio degno del Vicario di Gesù Cristo: di tutte le nostre solennità, diceva, tutto il mondo è partecipe, e la pietà di una fede medesima esige che venga celebrato con comune esultanza ciò che si commemora operato per la salute di tutti. Ma di tutte le feste la festa d’oggi merita che sia venerata con gaudio particolare dalla nostra città, essendo conveniente che dove dei Principi degli Apostoli fu glorificata la morte, nel di del loro martirio sia il principato della letizia. Il qual principato non senza una santa invidia vi concedono tutti i popoli della terra, e se mi fosse concesso spiegarvi in mostra sotto degli occhi tutte le genti che nel santo ovile di Gesù Cristo accoglie e regge un solo pastore, vedreste con giubilo e con orgoglio dell’animo vostro, che tutti non potendo lo sguardo, appuntano qua i desideri e gli affetti e bramano di veder quel che voi vedete, di prostrarsi dove voi vi prostrate, di stampar di baci e sparger di lacrime quelle tombe che chiudono le colonne della Chiesa, le cime dell’Apostolato, i Principi del Paradiso, le rocche del mondo, i propugnacoli della terra e del mare, Pietro e Paolo apostoli di Gesù Cristo. Dei quali favellando questa mattina non recherò in mezzo né la elezione e le prerogative di Pietro, né la vocazione e le imprese di Paolo, né la dignità e il primato di questa Chiesa Romana madre e maestra infallibile di tutte le chiese; ma a questo dirizzerò principalmente lo sforzo del mio ragionamento di accendere nel mio cuore e nel vostro un affetto tenero e sviscerato di devozione verso di essi, e una saldezza inconcussa di fiducia nel patrocinio; e confido che conseguirò quel che io bramo pigliando per assunto del mio discorso quello che S. Leone pose per esordio del suo; che Roma è tutta cosa dei santi Apostoli Pietro e Paolo e che per conseguenza tutto possono da questi Principi della terra e del Cielo promettersi i Romani seemuli della pietà e della fede dei padri loro si mostrino clienti degni di tanti Patroni.

1. E potrei pigliare le mosse di là onde per avventura meno si aspetta riferendo in qualche modo ai santi apostoli Pietro e Paolo la gloria delle conquiste, e la vastità della signoria onde andò così superba Roma pagana. Né se lo facessi potrebbe apporsi al mio dire la taccia di vanità senza insultare temerariamente ad una schiera gloriosa di personaggi insigni per dottrina e venerabili per santità; ai quali precedono un Agostino e un Leone. Imperocché, la provvidenza del Signore, che ha per costume di spianare dalla lontana le cose ai suoi intendimenti, preparando agli uomini naufraghi e ciechi la luce dell’Evangelio e il porto della santa Chiesa, preparò anche il mondo perché interponesse minori ostacoli alla diffusione di questa luce e allo stabilimento di questo porto. E di qui la felicità che coronò le escursioni, di qui le conquiste, la gloria, la possanza, la maestà e l’imperio di Roma. Ut huius inenarrabilis gratiæ per totum mundum diffìmderetur effectus, Romanum regnum divina providentìa præparavìt. Mirabil cosa! Portati da sete indomita di gloria e di signoria disserravano il mondo al volo delle vincitrici aquile gli eserciti e i condottieri di Roma, lo vincevano, 1o depredavano, lo soggiogavano, lo componevano in un corpo smisurato d’imperio, e Dio con le loro armi schiudeva il passo e ammanniva il campo ai mansueti pescatori di Galilea che verrebbero evangelizzando la pace. Roma nobilitata di tante palme e aggrandita di tanti conquisti stendeva lo scettro, adempieva del suo nome la terra, e Dio con questo splendore medesimo di gloria che irraggiava la metropoli del mondo, ordinava arender cospicua e riguardevole la sua Chiesa, della quale, stupendo miracolo di onnipotenza, si preparava nel Campidoglio quasi un faro e una rocca sulla quale già cospicua per splendore di gloria mondana collocar potesse il centro della verità, che quasi sole illuminasse col lume della fede il mondo convertito a Gesù Cristo. Così si intende cristianamente la storia, così la storia glorifica la provvidenza e la sapienza di Dio. Ma non è questa la via ascoltatori, per la quale voglio contendere di infiammare i vostri petti nell’amore dei santi Pietro e Paolo, e contento di averla con S. Leone accennata di passaggio e come dicon di volo, con S. Leone medesimo, mi volgo a più soave argomento, e Isti vi dico, Isti sunt viri, per quos tibi evangelium Christi, Roma, resplenduit et quæ eras magistra erroris, facto, es discipula veritatis. Ecco, ecco qua gli uomini, pei quali a te rifulse o Roma l’Evangelio di Gesù Cristo, e che di discepola dell’errore ti fecero maestra della verità. Isti sunt patres tui verique pastores, qui te multo melius feliciusque condiderunt, quam illi, quorum prima mœnium tuorum fundamenta locata sunt. Ecco i veri tuoi padri e pastori, che ti fabbricarono con auspici molto più lieti, che non fecer coloro che gettarono in prima le fondamenta delle tue mura. Padri e pastori son dunque i santi Apostoli Pietro e Paolo, e padri non secondo la carne ma secondo lo spirito: padri però di una paternità più soave, più tenera, più sviscerata che non è quella della carne, paternità che procede dal cuor di Gesù, e si informa al suo amore e si stempera alla sua fiamma.

2. E vaglia la verità, se i figliuoli sono dei padri che li generarono, e il pastore appella sua con ogni ragione la greggia che guarda e nutria. Roma è con tutta ragione dei santi apostoli Pietro e Paolo. Iquali generandola a Gesù Cristo acquistarono sopra di lei le ragioni congiunte di padre e di madre, né  veramente ci volle meno di un affetto materno e paterno insieme per mettersi con grande animo nell’impresa di conquistarla al Vangelo. E chi ce li inviasse non ve ne è dubbio: perciocché leggiamo negli Atti apostolici, di Paolo sostenuto prigione, che mentre i suoi nemici tramavano le insidie per ucciderlo; nocte assistens ei Dominus, ait: constans esto, sicut enìm testificatus es de me in Jerusalem, sic te oportet et Romœ testificari (Act. XXIII, 11) Gli apparve di notte tempo il nostro Signor Gesù Cristo, e Paolo gli disse, coraggio, a quel modo che mi hai renduto testimonianza in Gerusalemme, è necessario che tu me la renda anche a Roma. E chi può dubitare che Pietro ancora un comando espresso di Gesù Cristo non inviasse in Roma, Pietro che ne doveva tener la sede, Pietro che doveva alzarvi cattedra di magistero infallibile, nella quale per i suoi successori doveva risiedere fino alla consumazione dei secoli? Or che cuore dovette esser quello dei santi Apostoli quando per imperio del Figlio di Dio sobbarcarono al grande ufficio le spalle! Omiciattoli ignobili e sconosciuti, giudei per giunta, nazione sopra ogni altra del mondo esosa e spregiata, poveri e diserti d’ogni presidio umano venire in Roma! E a che fare? A portar la guerra alle opinioni della vana filosofia, ad abbattere le vanità della sapienza terrena, a confutare il culto dei demoni, a distruggere la empietà di tutti i sacrilegi. E pur vennero in questo oceano di profondità turbolentissima, e abbracciando con carità più che paterna la nuova greggia memori della virtù onnipotente di Gesù Cristo mettevano la mano al lavoro. O beati i padri vostri che ebbero la bella sorte di veder Pietro e Paolo intesi a conquistar Roma a Gesù Cristo! Che carità doveva spandersi da quei petti! Che amore spirare da quei sembianti! Quale la fiamma dello zelo, quale la sapienza del favellare, quanta la copia e lo splendore dei miracoli! O Pietro che spettacolo dovevi dare di te, quando accolto in mezzo alla intenta schiera di quei felici che bevevano dal tuo labbro per le orecchie la fede, parlavi loro della Persona e della carità di Gesù Cristo: e non doctas fabulas secuti,dicevi, notam facimus vobis Domini nostri Iesu Christì vìrtutem et præsentiam, sed speculotores facti illius magnitudinis. (II. Petr. I, 10.) No, non vengo avoi raccontatore di dotte favole : vengo a ridirvi quel che ho vedutoio proprio, io con questi occhi, io ho veduto in carne mortale il Figlio di Dio, io ho veduto Gesù: ho parlato con esso, l’ho accompagnato nei suoi viaggi, ho assistito ai suoi miracoli, ho ascoltato la sua dottrina, ho contemplato la carità, la benignità la dolcezza di quel benedetto. Ah! se lo aveste veduto, se aveste come me fissato cotesti vostri occhi in quel volto pieno di maestà e di grazia di paradiso! E qui raccontavi come accoglieva i peccatori, come consolava i poverelli, come ammaestrava le turbe, come carezzava i fanciulletti, e poi quando ti promise le chiavi del regno dei Cieli, e dell’odio dei Farisei, e del tradimento di Giuda, e della cena memorabile, e del sudor di sangue nell’orto, e volevi procedere raccontando la cattura, gli strazi, la croce, la risurrezione: ma che? Un profondo gemito del cuore ti troncava le parole sul labbro, un torrente di lacrime sgorgava dagli occhi, ti risovveniva l’atrio di Caifa, e ahimè gridavi, ahimè che io negai il mio Maestro, io giurai che non conosceva Gesù, e sopraffatto dal duolo nascondevi tra le mani la faccia e piangevi. Mache? Ho preso io forse a tessere la serie delle gesta di Pietro edi Paolo, e non piuttosto a raccogliere alcune delle ragioni che hanno alla confidenza vostra e all’ amore? Essi sono i vostri padri. L’uno e l’altro possono dire di voi: in Christo Iesu per evangelium ego vos genui, si decem millia pædagogorum habeatis in Christo sed non multos patres. (I. Cor. XIV, 15.) Noi,  per l’Evangelio vi abbiamo generato a Gesù Cristo, troverete moltiche vi vogliono far da maestri, ma che vi amino da padri siccome noi troverete pochi o nessuno. E se tanto vi amarono mentre tra voi pellegrinavano in terra, dubiterete che in Paradiso vi amino meno, e meno a cuore tengano le vostre necessità? Amateli voi come figli e onorateli come padri e non dubitate. E che? Potreste dubitarne senza far torto insigne a S. Pietro che ve ne ha lasciato la promessa in iscritto? La promessa in iscritto? Sì sì. Leggete la seconda sua lettera. Certus sum enim quod velox est depositio tabernacidi mei secundum quod Dominus Jesus Christus significava mihi. (II. Petr. I, 14) Io son certo che la mia morte è vicina, perché me lo ha detto il nostro Signor Gesù Cristo. Dunque? Dunque dabo operam frequenter habere vos post obitum meum. Non mi dimenticherò di voi mai al cospetto del Signore, ne farò memoria ad ogni momento. O questo è parlare da padre, parlare che prorompe da un petto pieno di amore, e che chiede a gran voce corrispondenza di gratitudine.

3. Ma che? È forse sola questa città, o furono soli i padri vostri i generati a Gesù Cristo da Pietro e da Paolo? Non avevano forse l’uno e l’altro fatto il giro del mondo prima di venirsene a voi e convertito genti infinite? Sì ascoltatori: ma nei viaggi, nelle escursioni, in mezzo ai popoli colti, fra le nazioni selvagge, tra le consolazioni dei popoli convertiti alla fede, e gli affanni delle persecuzioni e la stretta dei patimenti sempre qua tenevano fisso il guardo, e Roma si proponevano come termine desiderato della carriera apostolica. Aprite la lettera di S. Paolo ai Romani e leggete. Paulus servus Iesu Christi omnibus qui sunt Romæ, gratia vobis et pax a Deo Patre nostro et Domino Jesu Christo. (Rom. I, 7) Paolo servo di Gesù Cristo a tutti i Romani: sia con voi la grazia e la pace da Dio Padre nostro e dal nostro Signor Gesù Cristo. Testis est mihi Deus, cui Servio in Spiritu meo, quod sine intermissione memoriam vestri facto semper in orationibus meis, si quo modo prosperum iter habeam in voluntate Dei venìendi ad vos. (1. Tim. I , 3.) Mi è testimonio il Signore, che non passa giorno che io non mi ricordi di voi nelle mie orazioni, scongiurandolo che gli piaccia concedermi che io venga a Voi. Desidero enim videre vos; idest simulconsolari in vobis per eam, quæ invicem est, fidem vestram atque meam. (Rom. I, 12.) Desidero di vedervi, desidero di consolarmiin mezzo di voi per quella fede che voi e io possediamoquasi tesoro comune. E sappiate fratelli miei che sæpe propositi venire ad vos et prohibitus sum usque adhuc(Rom. I, 13.) sappiateche più volte ho proposto di venire a voi, ma non mi è finoravenuto fatto, così Paolo: del quale ci raccontano i fatti apostolici,che mentre dimorava in Corinto, e apparecchiava le spedizionidell’Acaia e della Macedonia e dopo di esse il viaggio aGerusalemme non finiva mai di ripetere. Postquam ibi fuero oportet me Romam videre. (Act. XIX, 21.) Dopo che avrò pellegrinatoper questi luoghi è necessario che io vegga Roma, oportet me Romam videre. Questi affetti fervevano nel cuor di Paolo per voi, e credete che fossero diversi gli affetti di Pietro? Erano i cuori di questi Apostoli, dice il Crisostomo, lavorati sul modello medesimo del cuore di Gesù Cristo e però non solo come gemelli si somigliavano, ma battevano dei medesimi palpiti e ardevano della medesima fiamma: che se una differenza di affetto si voglia porre, ardisco di dire che più veemente dovette per voi essere l’amor di Pietro: e che? Non era Pietro designato da Gesù Cristo Vescovo e pastore di Roma? Non doveva fermar qui la sua sede? Qui stabilir la sua cattedra? Esso nel suo petto doveva far luogo alle Chiese di tutto il mondo, fra tutte le Chiese del mondo non doveva dare i primi affetti e le prime cure alla sposa sua, alla Chiesa della sua Roma? Andavano dunque questi condottieri magnanimi della squadra apostolica per tutto il mondo dove li portava lo Spirito del Signore, e sudori e fatiche profondevano largamente dovunque o negli ampi tratti della terra, o nei riposti seni del mare e dove son popoli da guadagnare al regno di Cristo. Ma come un padre o una madre che pellegrinando in regioni remote, e percorrendo regni longinqui sempre tiene il cuore alla casa dove i dolci figli la aspettano, in mezzo ai quali spera di riposare negli anni della stanca vecchiaia e di chiuder gli occhi alla luce di questo sole; così Pietro così Paolo, sempre voi avevano nel cuore, e anelavano di fermare il piede nel mezzo a voi per non dipartirsene se non allora che carichi di corone sarebbero volati a deporre i loro trofei a pie’ di Gesù Cristo e a ricevere dalla sua mano la corona della giustizia.

4. Di qui procede che se togliamo Gerusalemme, della quale erano le promesse che perfida rifiutò, e sconsigliata cedette a Roma; memorie o scarse o malcerte ci rimangono di quei luoghi pei quali i santi Apostoli o si tragittarono trapassando o fecero dimora annunziando il regno di Dio. Dicano Damasco, dicano Atene, Corinto, Tessalonica, Efeso, Colossi, Antiochia, dicano dove sono le chiese ch’Essi fondarono, dove le case che santificarono, dove i santuari cha eressero, dove gli altari che consacrarono, dicano se non altro dov’è la fede che seminarono. Ahimè che se in quelle regioni vi conducete dove si sfogarono le prime vampe di quei petti pieni di Spirito Santo, e si sparsero i primi sudori, altro non vedrete se non rovine o deserto, o casolari squallidi ed ermi in cui si accovaccia o la libidine musulmana o la perfidia scismatica, e se vi fate a gridare dove son le tracce che stamparono sì gloriose i piedi di Pietro e Paolo, non udirete altra risposta che quella della solinga eco della rupe o della spiaggia che per quell’aria intronata già dallo squillo delle trombe apostoliche vi ripeterà: dove sono. Ma tra voi, tanto vi predilessero i santi Apostoli, tra voi non così. Si professa ancora fra voi la stessa fede ch’essi annunziarono, è in piedi la stessa cattedra ch’essi eressero, l’aria medesima e il suolo e per cosi dire pregno della dottrina che promulgarono. Quindi se tu dalla tomba che in Vaticano ti accoglie ti levassi dritto o santo petto di Giovanni Crisostomo, me già dal trono pontificale della tua Costantinopoli domandassi a Pietro ed a Paolo: quot carceres sanctificastis, quot catenas decorastis, quomodo Christum portasti, quomodo prædicatione Ecclesias ædificastis: quante sono le carceri che santificaste, quante le catene che decoraste, quanti i figliuoli che generaste, quante le Chiese che edificaste; potrebbero questi miei ascoltatori far contento il vostro desìo. Qua alle radici del Campidoglio è il carcere che chiuse nello squallido seno le due colonne della Chiesa: e figli delle catene apostoliche qui rinacquero a Gesù Cristo, Martiniano e Processo: e questo è il fonte che zampillò al comando apostolico. Qua sull’Esquilino son le catene che avvinsero non lo spirito no, né la lingua, ma le braccia e i piedi di Pietro. Qui dal primo ingresso nella città dei Cesari ebbe Pietro il primo ricetto, e questa è la sede ove assise, e questo l’altare che consacrò, e se cercate i figliuoli che edificò in corpo e Chiesa di Gesù Cristo, questi figliuoli siam noi.

5. Questo potrebbe dire ciascun di voi che mi udite, ma potrebbe dir questo solo? No, che potrebbe passare avanti, e additare i luoghi dove dettero per Gesù Cristo la vita e sparsero il sangue, e massimo di tutti i tesori le tombe che ne accolgono i corpi e li serbano alla gloria della risurrezione e al trionfo. Imperocché in qual modo generarono voi a Gesù Cristo Pietro e Paolo Apostoli vostri? Forse con la parola predicata senza posa di giorno e di notte? Con questa ancora ma non solamente con questa. Forse coi pericoli corsi senza ritegno per anni ed anni? Con questi ancora ma non solamente con questi. Coi travagli dunque, con la povertà, con gli stenti, con le prigioni, coi vincoli, coi tormenti. Patirono prigioni e percosse, sostennero stenti, sostennero povertà, ma questo prezzo fu al pari che per voi sborsato per altri popoli ai quali portaron la fede. Ma voi figliuoli prediletti, figliuoli privilegiati generarono con qualche cosa di più, generarono con la morte e col sangue. O pensiero che a chi calca col piede questo santo suolo di Roma, a chi respira quest’aere, a chi beve la luce di questo sole fa balzare in petto il cuore per giubilo e inarcare per meraviglia il ciglio! A me par di vedere Pietro e Paolo quel giorno, che quella belva incoronata di Nerone, dal dorato antro del Palatino scaricò la folgore che li dannava di morte per Gesù Cristo, mi par di vederli là sulla porta Trigemina quando col santo amplesso di pace si dividevano, Pietro per ascendere sulla croce, Paolo per offrire il capo alla spada. Che fiamma lampeggiava in quegli occhi! che giubilo scintillava in quei volti! Mi par di vederti o Paolo, quando piegate le ginocchia aterra, e levati gli occhi a Gesù Cristo col cuore intrepido porgesti il collo alla mannaia che scese e spiccò quella veneranda testa vaso di tanta sapienza, che dove percosse, ivi dischiuse un fonte di tepida vena. Mi par di vederti ò Pietro quando salito il ripido clivo del Gianicolo salutasti prima con gli occhi e con il cuore la croce che ti attendeva, poi da quell’alto ti rivolgesti a dare alla tua Roma l’ultimo addio. Quali furono le ultime tue parole? Quali gli ultimi voti? Di che pregasti Gesù Cristo che presente e visibile, come già a Stefano, dalla destra del Padre ti confortava? Ah! di te, come di Paolo le ultime preghiere, gli ultimi voti furon per Roma, e levato sulla croce non come il tuo maestro inalberato ed eretto, ma coi piedi in aria confitti e il capo volto alla terra, che in Roma non venisse mai meno la fede che tu innaffiavi col sangue, fu l’ultima prece che formasti col labbro, fu l’ultimo voto che con l’ultimo palpito cotesto cuore formò prima che ti morisse nel petto.

6. Bene a ragione pertanto o Roma si canta di te dall’uno all’altro confine del mondo quel celestiale preconio. O Roma felix, quæ duorum principum es consecrata glorioso sanguine. Felice Roma cui consacra il sangue glorioso dei due principi del Paradiso, horum cruore purpurata, cæteras excellis orbis una pulcritudines. Imporporata di cotal sangue tu sola sopravanzi tutte le bellezze del mondo. Né solo il sangue di Pietro e di Paolo ti imporpora e ti fa bella e gloriosa, imperocché memoriale perpetuo e pegno di patrocinio e di amore sorgono in questo suolo le tombe e giacciono le ossa calde tuttavia della carità di Gesù Cristo e della fiamma dello Spirito Santo: di sorte che se di tutte le chiese del mondo è vero che sono edificate sopra il fondamento degli Apostoli, di questa Chiesa Romana è verissimo, quando posa non solo sulla dottrina apostolica ma ancor sulle ossa e le ceneri. Ceneri ed ossa che qui e non altrove hanno voluto i santi Apostoli e Dio che si riposassero, e lo hanno testificato i portenti. Dei quali non vano testimonio ci rimane il Magno Gregorio; imperocché, aveva Costanza Augusta edificato in Costantinopoli un tempio a Paolo Apostolo delle genti sedente Pontefice in Roma Gregorio. Al quale spedì sua lettera l’imperatrice domandandogli con imperio che le inviasse il capo del santo Apostolo, o almeno alcuna insigne parte del corpo. Ma le tolse ogni speranza di conseguire il suo desiderio il venerando Pontefice, con queste parole. Illa præcipitis quæ facere nec possum nec audeo. Cosiffatta è la vostra domanda o Imperatrice, che né posso contentarla, né dove potessi mi attenterei. Ma perché? Perché son tanti i miracoli onde hanno manifestato e manifestano tuttavia che non sostengono che i loro corpi si manomettano, che non si troverebbe petto sì saldo che si attentasse di recar la mano ai sacrosanti depositi. I quali in Roma e non altrove saranno fino alla fine dei secoli, come per chiaro evento fu manifesto. Imperocché poco dopo i santi Apostoli ebber patito, vennero dall’Oriente certuni, i quali ne ripeterono i corpi come di propri concittadini, e avutili, fuori di Roma li si condussero fino al luogo che appellasi Catacombe. Ma che? Allora quando tentarono di muoverli di là, ecco repentino miracolo, una tempesta di baleni e di folgori con tal terrore che fuggirono spaventati quanti avevano mano a quell’opera. Allora i Romani esultarono, e conoscendo a sì chiaro segno la predilezione degli Apostoli vennero in bella schiera, e fra i cantici e gli inni condussero i santi corpi nei luoghi dove ora sono. Così Gregorio (Greg. M. ep. 30, Ubr. IV. ad Constant. Aug.). E forse che non ripagarono e non ripagano a Roma con larga usura gli Apostoli generosi l’ospizio egli onori onde fu ed è larga alle spoglie loro mortali? E a chi deve se non a queste tombe il primato che ha nel mondo, risorta per Pietro e per Paolo dalle sue ceneri più gloriosa e più bella?Queste tombe furono e sono i baluardi e le rocche che la difesero, questi sono come i due occhi pei quali a maniera di corpo robusto e vegeto risplende questa città. Qui s’infranse il furore delle barbariche falangi che mentre precipitando con l’impeto di un torrente disarginato mettevan tutto a sterminio quasi contenute e respinte dagli avelli apostolici davano addietro. Qui si ruppe la baldanza e l’orgoglio della empietà, e formidabile vincitrice del mondo, urtando in questi sepolcri si sciolse in polvere. Qui cadde conquiso il fasto dei potenti del secolo, qui la frenesia dell’errore si raumiliò, qui il dente stesso dei secoli cui tutto cede fu rintuzzato. Quante volte le malattie alla vista di queste tombe esterrefatte fuggirono! Quante volte le pestilenze che con confusa strage inferocivano si dispersero! Quante volte la morte stessa al fremito che da questi sepolcri usciva impaurita lasciò la preda che aveva ghermito, e spezzò le ritorte e la falce. Domandate a quelle turbe pie cui scalda la vasta fiamma della fede qual pensiero qual desiderio qua le conduce. Vi diranno che vogliono venerare le tombe di Pietro e di Paolo. Guardate quale è la prima delle tante memorie che riveriscono. Sono i sepolcri di Pietro e di Paolo. I re medesimi e le regine vanno al sepolcro del Pescatore e del lavoratore di tende e stimano gloria curvar la fronte su quella polvere che chiude tanto tesoro. O io amo Roma, gridava il Crisostomo, fin là dalle frementi sponde del Bosforo, amo Roma e so che ne potrei celebrare la grandezza, la magnificenza,la bellezza, le dovizie, l’antichità, la frequenza, le gesta insigne di pace e di guerra. Ma io ciò non curo e lasciando tutto la dico beata, perché e vide e si beò nei volti di Pietro e di Paolo viventi, e dopo morti ne possiede le tombe. Di qui le viene il verace primato di gloria, né così splende il cielo quando il sole lo irraggia, come Roma posseditrice di quei due luminari che rischiarano l’universo. Quinci oh meraviglia! quinci sarà rapito Pietro, quindi Paolo. Pensate ed inorridite quale spettacolo vedrà Roma: Pietro e Paolo prorompere dalle rovesciate lor tombe, e proromper risorti, e tutti sfolgoreggianti levarsi in aria e muovere incontro a Cristo Gesù. O santi Apostoli, o gloria di questa città, o baluardi, o rocche, o falangi, o gloria di Roma! Esultano i nostri cuori riandando queste memorie e un dolce palpito li commuove e li batte: siate quali foste sempre, guardate la città nostra e la fede, e fra tanto fremito e furore di tempesta che irrompe aggiungete un trofeo novello agli antichi.

7. E a chi deve uditori la città vostra questi gloriosi sepolcri che la fanno così nobile, così potente, così gloriosa e così formidabile? La deve al beneplacito di Gesù Cristo che si compiacque di elegger Roma per sede del suo Vicario e capo e centro della sua Chiesa. Imperocché avendo a Pietro conferito quella potestà che lo fa arbitro della terra e del Cielo, e lo costituisce quella rupe contro cui non devono prevalere le porte d’inferno, qualunque fosse la sede nella quale avesse Pietro chiuso la sua mortale carriera, il successore di Pietro in quella sede medesima sarebbe stato l’erede delle prerogative di esso, il depositario della fede, il Vicario di Gesù Cristo e il maestro del mondo. La qual sede fu Roma, e qui con quel della fede apostolica volle Gesù Cristo depositate le mortali spoglie di Pietro e di Paolo, testimonio che come le ossa così non se ne è mai dipartita la fede, e che qui deve intendere l’occhio chi vuol vedere puro e incontaminato quel raggio che accese lo Spirito Santo nel Cenacolo di Gerosolima. Quindi ha Roma la prerogativa di essere la maestra del mondo: quindi il conservarsi qui la regola della fede, e tanto riputarsi sincero quanto si conforma alla fede di Roma, e tutto adultero e reprobo quanto se ne disforma; quindi il Vaticano fatto come una specola e una vedetta nella quale Pietro per mezzo dei suoi successori stende il vigile occhio per tutto il mondo, e grida e corregge, e loda e percote, e governa il timone di quella gran nave, che una accoglie in se tutte le genti della terra. Quindi la dominazione di Roma cristiana più vasta e più nobile senza misura di quella che schiava di satanasso esercitava sulle conquistate nazioni. Più vasta perché tutto comprende l’ambito della terra, più nobile perché imperia non sui corpi ma sugli intelletti e non per violenza d’armi e di ferro, ma per volontaria soggezione di amore. Le quali cose essendo così qual testimonio potremo dare ai santi Apostoli Pietro e Paolo che sia al loro cuore più caro, che più sia efficace a meritarne il patrocinio, quanto amare con tutto il cuor nostro questa Chiesa ch’Essi fondarono, e che come è nella cima del cuore e delle cure di Dio, così siede in cima ai pensieri e agli affetti dei santi Apostoli? Chiesa che battuta da tante tempeste grida al suo Sposo, che non sembra che l’oda mentre le porte d’inferno imperversano. Ma confidiamo, sorgerà quando meno si aspetta, e di Pietro sarà il trionfo; perché di questo ci affida il santo deposito delle apostoliche salme, che Roma come da S. Pietro finora, così da ora fino alla fine dei secoli, fremendo, ripugnando, scatenandosi quanto vuole l’inferno, sarà la sede del Vicario di Gesù Cristo.

Credo…

Offertorium

Orémus
Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine, in omni progénie et generatióne. [Li costituirai príncipi su tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore, di generazione in generazione.]


Secreta

Hóstias, Dómine, quas nómini tuo sacrándas offérimus, apostólica prosequátur orátio: per quam nos expiári tríbuas et deféndi. [Le offerte, o Signore, che Ti presentiamo, affinché siano consacrate al tuo nome, vengano accompagnate dalla preghiera degli Apostoli, mediante la quale Tu ci conceda perdono e protezione.]

Communio

Matt XVI: 18
Tu es Petrus, ei super hanc petram ædificabo Ecclésiam meam.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa]

Postcommunio

Orémus.
Quos coelésti, Dómine, alimento satiásti: apostólicis intercessiónibus ab omni adversitáte custódi. [Quelli, o Signore, che Tu saziasti di un alimento celeste, per intercessione degli Apostoli, proteggili contro ogni avversità.]

LO SCUDO DELLA FEDE (66)

LO SCUDO DELLA FEDE (66)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO I.

PRIMA FRODE. SIMULARE VIRTÙ E SANTITÀ.

Se il demonio si facesse vedere a tentare gli uomini visibilmente non otterrebbe niente da loro, perché tutti si armerebbero col segno della S. Croce e lo metterebbero in fuga. Così i Protestanti che vogliono sedurre le vostre anime, se vi facessero vedere tutta la bruttezza e deformità delle loro dottrine non guadagnerebbero niente; e perciò si trasformano in tutt’altro e prendono sembiante e apparenza di Santi per ingannare. Imitano in ciò gli antichi Eretici i quali hanno sempre posto in opera, secondo che osservano gli antichi Padri, ogni sorta di frodi per riuscire nel loro intento e verificano così le parole di Gesù Cristo, che ci vengono innanzi con pelli di pecora, mentre nell’interno sono lupi rapaci.

Il perché io stimo opportuno di premunirvi contro coteste arti, svelandovi le insidie che più comunemente essi tendono in questi tempi. La prima di tutte è fingere zelo della virtù ed amore alla santità. Da principio non vi parlano d’altro che di Gesù Cristo, dell’amare il prossimo, di non rubare, di non bestemmiare, di adorare Dio in spirito e verità, cose tutte molto buone e molto giuste: e poi quando vi hanno guadagnato con tutte queste apparenze di santità, v’insinuano il veleno nascostamente. Così facevano per testimonianza d’Origene gli Eretici Marcionisti, Valentiniani, Apostolici ed altri i quali mostrando una certa mansuetudine, carità del prossimo, amor della giustizia ed alcuni (sebbene pochi invero) perfino una certa castità, cercavano di farsi credito per propagare più efficacemente i loro errori. Ora voi state in guardia contro questa prima frode, perché per sapere che abbiamo da amare Gesù Cristo non abbiamo bisogno che i Protestanti ce lo insegnino. I nostri Parrochi, i nostri sacerdoti ci ricordano sempre che Gesù Cristo è il nostro buon Dio, il nostro Padre, l’unico nostro Salvatore. il quale venne sulla terra per nostro amore, visse ed operò sempre per nostro amore, patì e morì sempre per amor nostro; che dobbiamo sperare in Lui, amare Lui con tutto il nostro cuore, ed obbedirgli in tutto quello che ci ha comandato. Non vengono ad insegnarci una cosa nuova quando dicono che dobbiamo amarci scambievolmente. E chi non sa che la S. Religione Cattolica non raccomanda mai altro se non se che i padri amino i figliuoli, i figliuoli i padri, le mogli i mariti ed i mariti le mogli, che i fratelli si trattino da buoni fratelli, che i parenti si riguardino da buoni parenti, che in una parola niuno porti odio al suo prossimo, ma che ciascuno anzi procuri di fare del bene anche a chi gli ha fatto del male? Avevamo proprio bisogno che venissero costoro con tutte le loro smorfie ad insegnarci queste verità! Così pure menano tanto strepito perché ti raccomandano ed inculcano di non bestemmiare. Oh davvero, che se non venivano essi ad ammaestrarci, noi non lo sapevamo! E come dunque tanto si predica contro la bestemmia? E perché si sono anche erette società ed aggregazioni per sterminarla da questo mondo? e perché i Confessori quando veggono che uno non fa nessuno studio per emendarsene, gli negano perfino la santa assoluzione? È poi bella che ci raccomandano di adorare Iddio in spirito e verità, quasi i Cattolici non lo raccomandassero più di loro, e non solo lo raccomandassero, ma anche non lo praticassero più di loro! Che cosa vuol dire adorare Iddio in ispirito e verità? Vuol dire non contentarsi di lodarlo con la bocca, di onorarlo con atti esterni, ma accompagnare tutti gli atti del divin culto anche col cuore e soprattutto eseguire con l’opera tutto quello che Egli ci comanda. Questo è adorare in spirito e verità. Ora che altra cosa raccomanda la S. Chiesa Cattolica se non se che impieghiamo il nostro cuore in tutto quello che riguarda il divin culto? Non è forse vero che c’inculca sempre che nella preghiera non ci contentiamo di profferire le parole come i pappagalli, ma che lo facciamo col cuore? Non è forse vero che quando ci abbiamo a confessare, sempre ci si prescrive che ci pentiamo dei nostri peccati con tutto il cuore e che altrimenti la confessione non serve a nulla? Non è forse vero che nella S. Comunione e poi in tutti i tempi c’insinua d’amare il nostro buon Gesù con tutto il cuore, offerendogli tutti i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri affetti? E perché in certe belle solennità della Madonna, ci fa pregare questa S. Madre perché offra Ella stessa a Gesù il nostro cuore? Non sono tutte queste le cose che sempre ci inculca la S. Chiesa Cattolica? Ci era dunque proprio di bisogno che venissero i Protestanti ad insegnarci queste verità? – Quanto all’eseguire la volontà di Gesù espressaci nei suoi Santi Comandamenti, dite, non è vero che quello che sempre vi hanno inculcato i vostri Parrochi, i vostri Sacerdoti è che non basta dire che vogliamo esser buoni, ma che bisogna contentare Gesù facendo quello che Egli ci comanda? Che bisogna che i padri e le madri di famiglia vigilino sopra i figliuoli, che i figliuoli onorino i genitori, che non si ha da rubare, che si ha da santificare la Festa, che sono un gran peccato le imprecazioni, gli spergiuri, le bestemmie, le carnalità, in una parola tutte le violazioni dei divini Comandamenti? Non è forse vero che ripetono sempre che non bastano le buone parole, ma che ci vogliono i fatti, cioè sodisfare agli obblighi del proprio stato? E adesso vengono costoro ad insegnarci tutte queste cose, quasi noi Cattolici non le sapessimo e non le avessimo inculcate prima che essi venissero al mondo? Eh sappiamo anche noi più di loro che bisogna adorare Iddio in ispirito e verità. Sapete però il fine per cui raccomandano tutte queste cose? Non perché loro importino, ma lo fanno per ingannare i semplici. Dopo che hanno raccomandato tutte queste cose buone, passano ad insinuare il loro veleno di nascosto: fanno come certi venditori di grano che ne mettono un poco di buono alla bocca del sacco e poi più sotto è grano cattivo. Così essi, dopo che si sono acquistati un poco di credito con l’avere raccomandate queste cose buone, v’insinuano poi tante cose pessime. Dicono che è buona la carità, ma poi soggiungono che non è necessario andare in Chiesa, sentire la S. Messa, confessarsi dei propri peccati, osservare la S. Quaresima. Dicono che non bisogna bestemmiare, ecco il grano buono: ma poi vi danno il grano cattivo, soggiungendo che non bisogna dare retta ai Sacerdoti di Dio, che non bisogna ascoltare la loro parola, che non bisogna lasciarsi far paura dei castighi che minacciano a nome del Signore. Dicono che bisogna adorare Dio in ispirito e verità, ecco il grano buono; ma poi dopo vi danno il grano cattivo dicendo che non è necessario ricevere la S. Comunione, che non è buono il raccomandarsi alla Madonna ed ai Santi, che non ci vogliono tutte queste cerimonie che adopera la S. Chiesa. Ah lupi traditori! Avreste mai creduto che per ingannarvi fossero capaci di fare tante lustre, tante mostre di pietà? È proprio quello che vi diceva: si ricoprono con la pelle di pecora per assalirvi. Ora voi fate così: quando cominciate a sentire tutte quelle antifone, mettetevi subito in guardia e levateveli dintorno prontamente rispondendo che certo bisogna adorare Iddio in ispirito e verità, ma che non per questo bisogna tralasciare tutti i mezzi esteriori della pietà, come sono le Preci, la Messa, i Sacramenti, le opere buone, com’essi v’insinuano: che anzi bisogna praticarle con ogni fervore perché son quelle per cui si giunge alla vera adorazione fatta in ispirito e verità.

FESTA DEL SACRO CUORE DI GESÙ (2019)

VII

ACTUS REPARATIONIS ET CONSECRATIONIS

Iesu dulcissime, cuius effusa in homines caritas, tanta oblivione, negligentia, contemptione, ingratissime rependitur, en nos, ante altaria [an: conspectum tuum] tua provoluti, tam nefariam hominum socordiam iniuriasque, quibus undique amantissimum Cor tuum afficitur, peculiari honore resarcire contendimus. Attamen, memores tantæ nos quoque indignitatis non expertes aliquando fuisse, indeque vehementissimo dolore commoti, tuam in primis misericordiam nobis imploramus, paratis, voluntaria expiatione compensare flagitia non modo quæ ipsi patravimus, sed etiam illorum, qui, longe a salutis via aberrantes, vel te pastorem ducemque sectari detrectant, in sua infìdelitate obstinati, vel, baptismatis promissa conculcantes, suavissimum tuæ legis iugum excusserunt. Quæ deploranda crimina, cum universa expiare contendimus, tum nobis singula resarcienda proponimus: vitae cultusque immodestiam atque turpitudines, tot corruptelæ pedicas innocentium animis instructas, dies festos violatos, exsecranda in te tuosque Sanctos iactata maledicta àtque in tuum Vicarium ordinemque sacerdotalem convicia irrogata, ipsum denique amoris divini Sacramentum vel neglectum vel horrendis sacrilegiis profanatum, publica postremo nationum delicta, quæ Ecclesiæ a te institutæ iuribus magisterioque reluctantur. Quæ utinam crimina sanguine ipsi nostro eluere possemus! Interea ad violatum divinum honorem resarciendum, quam Tu olim Patri in Cruce satisfactionem obtulisti quamque cotidie in altaribus renovare pergis, hanc eamdem nos tibi præstamus, cum Virginis Matris, omnium Sanctorum, piorum quoque fìdelium expiationibus coniunctam, ex animo spondentes, cum præterita nostra aliorumque peccata ac tanti amoris incuriam firma fide, candidis vitæ moribus, perfecta legis evangelicæ, caritatis potissimum, observantia, quantum in nobis erit, gratia tua favente, nos esse compensaturos, tum iniurias tibi inferendas prò viribus prohibituros, et quam plurimos potuerimus ad tui sequelam convocaturos. Excipias, quæsumus, benignissime Iesu, beata Virgine Maria Reparatrice intercedente, voluntarium huius expiationis obsequium nosque in officio tuique servitio fidissimos ad mortem usque velis, magno ilio perseverantiæ munere, continere, ut ad illam tandem patriam perveniamus omnes, ubi Tu cum Patre et Spiritu Sancto vivis et regnas in sæcula sæculorum.

Amen.

Indulgentia quinque annorum.

Indulgentia plenaria, additis sacramentali confessione, sacra Communione et alicuius ecclesiæ aut publici oratorii visitatione, si quotidie per integrum mensem reparationis actus devote recitatus fuerit.

Fidelibus vero, qui die festo sacratissimi Cordis Iesu in qualibet ecclesia aut oratorio etiam (prò legitime utentibus) semipublico, adstiterint eidem reparationis actui cum Litaniis sacratissimi Cordis, coram Ssmo Sacramento sollemniter exposito, conceditur:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria, dummodo peccata sua sacramentali pænitentia expiaverint et eucharisticam Mensam participaverint (S. Pæn. Ap., 1 iun. 1928 et 18 mart. 1932).

[Indulg. 5 anni; Plenaria se recitata per un mese con Confessione, Comunione, Preghiera per le intenzioni del Sommo Pontefice, visita di una chiesa od oratorio pubblico. – Nel giorno della festa del Sacratissimo Cuore di Gesù, confessati e comunicati, recitata con le litanie de Sacratissimo Cuore, davanti al SS. Sacramento solennemente esposto: Indulgenza plenaria].

MESSA DEL SACRO CUORE DI GESÙ (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXXII: 11; 19
Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]


Ps XXXII: 1
Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio.

[Esultate nel Signore, o giusti, la lode conviene ai retti.]

Cogitatiónes Cordis ejus in generatióne et generatiónem: ut éruat a morte ánimas eórum et alat eos in fame.

[I disegni del Cuore del Signore durano in eterno: per strappare le ànime dalla morte e sostentarle nella carestia.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui nobis in Corde Fílii tui, nostris vulneráto peccátis, infinítos dilectiónis thesáuros misericórditer largíri dignáris: concéde, quǽsumus; ut, illi devótum pietátis nostræ præstántes obséquium, dignæ quoque satisfactiónis exhibeámus offícium.  

[O Dio, che nella tua misericordia Ti sei degnato di elargire tesori infiniti di amore nel Cuore del Figlio Tuo, ferito per i nostri peccati: concedi, Te ne preghiamo, che, rendendogli il devoto omaggio della nostra pietà, possiamo compiere in modo degno anche il dovere della riparazione.]


Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Ephésios. Eph III: 8-19

Fratres: Mihi, ómnium sanctórum mínimo, data est grátia hæc, in géntibus evangelizáre investigábiles divítias Christi, et illumináre omnes, quæ sit dispensátio sacraménti abscónditi a sǽculis in Deo, qui ómnia creávit: ut innotéscat principátibus et potestátibus in cœléstibus per Ecclésiam multifórmis sapiéntia Dei, secúndum præfinitiónem sæculórum, quam fecit in Christo Jesu, Dómino nostro, in quo habémus fidúciam et accéssum in confidéntia per fidem ejus. Hujus rei grátia flecto génua mea ad Patrem Dómini nostri Jesu Christi, ex quo omnis patérnitas in cœlis ei in terra nominátur, ut det vobis, secúndum divítias glóriæ suæ, virtúte corroborári per Spíritum ejus in interiórem hóminem, Christum habitáre per fidem in córdibus vestris: in caritáte radicáti et fundáti, ut póssitis comprehéndere cum ómnibus sanctis, quæ sit latitúdo, et longitúdo, et sublímitas, et profúndum: scire étiam supereminéntem sciéntiæ caritátem Christi, ut impleámini in omnem plenitúdinem Dei.

[Fratelli: A me, minimissimo di tutti i santi è stata data questa grazia di annunciare tra le genti le incomprensibili ricchezze del Cristo, e svelare a tutti quale sia l’economia del mistero nascosto da secoli in Dio, che ha creato tutte cose: onde i principati e le potestà celesti, di fronte allo spettacolo della Chiesa, conoscano oggi la multiforme sapienza di Dio, secondo la determinazione eterna che Egli ne fece nel Cristo Gesù, Signore nostro: nel quale, mediante la fede, abbiamo l’ardire di accedere fiduciosamente a Dio. A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, da cui tutta la famiglia e in cielo e in terra prende nome, affinché conceda a voi, secondo l’abbondanza della sua gloria, che siate corroborati in virtù secondo l’uomo interiore per mezzo del suo Spirito. Il Cristo abiti nei vostri cuori mediante la fede, affinché, ben radicati e fondati nella carità, possiate con tutti i santi comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza e l’altezza e la profondità di quella carità del Cristo che sorpassa ogni concetto, affinché siate ripieni di tutta la grazia di cui Dio è pienezza inesauribile.]

Graduale

Ps XXIV:8-9
Dulcis et rectus Dóminus: propter hoc legem dabit delinquéntibus in via.
V. Díriget mansúetos in judício, docébit mites vias suas.

[Il Signore è buono e retto, per questo addita agli erranti la via.
V. Guida i mansueti nella giustizia e insegna ai miti le sue vie.]
Mt XI: 29

ALLELUJA

Allelúja, allelúja. Tóllite jugum meum super vos, et díscite a me, quia mitis sum et húmilis Corde, et inveniétis réquiem animábus vestris. Allelúja.

[Allelúia, allelúia. Prendete sopra di voi il mio giogo ed imparate da me, che sono mite ed umile di Cuore, e troverete riposo alle vostre ànime. Allelúia

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joannes XIX: 31-37
In illo témpore: Judǽi – quóniam Parascéve erat, – ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati, – rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura, et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et alteríus, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum veníssent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit: et verum est testimónium ejus. Et ille scit quia vera dicit, ut et vos credátis. Facta sunt enim hæc ut Scriptúra implerétur: Os non comminuétis ex eo. Et íterum alia Scriptúra dicit: Vidébunt in quem transfixérunt.

[In quel tempo: I Giudei, siccome era la Parasceve, affinché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era un gran giorno quel sabato – pregarono Pilato che fossero rotte loro le gambe e fossero deposti. Andarono dunque i soldati e ruppero le gambe ad entrambi i crocifissi al fianco di Gesù. Giunti a Gesù, e visto che era morto, non gli ruppero le gambe: ma uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. E chi vide lo attesta: testimonianza verace di chi sa di dire il vero: affinché voi pure crediate. Tali cose sono avvenute affinché si adempisse la Scrittura: Non romperete alcuna delle sue ossa. E si avverasse l’altra Scrittura che dice: Volgeranno gli sguardi a colui che hanno trafitto.]

OMELIA

[P. SECONDO FRANCO: Manuale dei devoti del SS. CUORE DI GESÙ; Tip. Pontif. ed Arciv. dell’Immacolata Concezione, MODENA, 1873 ]

Qualunque persona, che sia d’indole buona, di belle virtù e di eccellente santità, non può esser a meno che non abbia un bel cuore, e che non cerchi diffondere anche negli altri la sua bontà. Bonus homo de bono thesauro cordis sui proferi bonum ( Luc. VI, 44). Ma quanto più l’Uomo-Dio, Gesù Signor nostro, il quale è la bontà e la santità medesima, quegli ch’è venuto a bella posta nel mondo e che ha conversato con gli uomini per beneficarli! Che cosa dunque non devono sperare da Lui i devoti di un Cuore sì buono e sì benefico? Il primo motivo di questa speranza è la natura stessa del Cuore amoroso di Gesù Cristo. Imperocché avete mai considerato, che cosa è il Cuore di Gesù? È il Cuore dell’Uomo-Dio, un Cuore ipostaticamentc unito alla Persona del Verbo e alla divinità. Dunque è un Cuore infiammato e compreso con tutta la pienezza e senza misura degl’influssi di quell’amore infinito, di cui il Verbo medesimo arde per noi sino dall’eternità; amore, che lo ha condotto in terra a conversare coi figliuoli degli uomini e a farsi uno di loro. Egli è un Cuore che è stato ed è l’organo materiale e sensibile degli affetti più santi e più eccellenti dell’anima santissima di Gesù Cristo, e che ha corrisposto con i suoi naturali movimenti a quel perfetto amore, onde ella avvampa per noi. Dunque è un Cuore sensibile alle nostre afflizioni, alle nostre disgrazie e a tutti i nostri mali; è un Cuore compassionevole, un Cuore pieno di tenerezza per noi e sommamente desideroso del nostro bene. Il Cuore di Gesù Cristo è il Cuore del nostro Padre il più tenero, il più amoroso e il più sollecito; è il cuore del fratello e dell’amico e dello sposo il più fedele; è il Cuore del Re il più magnifico, il più potente e il più liberale che siavi stato e che possa esservi mai. Perché è il cuore del Re del cielo e della terra. Dunque è un cuore più interessato al nostro bene, e più costante nel suo amore per noi del cuore di qualunque padre, amico e sposo di questa terra che ami svisceratamente la sposa, l’amico, il figliuolo; è un cuore che vuol farci ogni bene, e può farlo senza ostacolo e senza misura. Il Cuore di Gesù Cristo è un cuore formato ed organizzato dallo Spirito Santo, il quale è l’amore del Padre e del Figliuolo; un cuore conformato e preparato da Lui alle impressioni più sensibili e più efficaci dell’amore; un cuore che non potendo più tenere imprigionate le sue fiamme si è lasciato ferire ed aprire da una lancia, quasi per trovare uno sfogo a quel fuoco che lo consuma e così diffondere le sue vampe in tutto il mondo, ed aprire un asilo di rifugio, un luogo di delizie, un porto di pace alle anime tentate, tribolate e penitenti. Ad hoc perforatimi est Lotus tuum, ut nobis patescat introitus. Ad hoc vulneratum est Cor tuum ut in illo, et in te, ab exterioribus perturbationibus absoluti habitare possimus (Auctor Serm. de Passion. Domini, cap. III).  Dunque che cosa non deve sperare un Cristiano dal Cuore d’un Dio, in cui concorrono tante cagioni e tante sorgenti d’incomprensibile, instancabile e potentissimo amore? Noi speriamo poi meriti di Gesù. Ma che meriti non ci ha acquistati Gesù con le sofferenze, con la pazienza, con la rassegnazione, con le umiliazioni e con la carità del suo Cuore? Noi speriamo nella Passione di Gesù. Ma che cosa non ha patito per noi specialmente quel Cuore divino? Tutti i tormenti da Gesù sofferti nel corpo si possono quasi chiamare una piccola cosa a confronto delle angustie e delle agonie da Lui sofferte nel Cuore. Noi speriamo nel sangue di Gesù. Ma appunto il suo Cuore è la viva e perenne sorgente di quel sangue prezioso che si è diffuso nel corpo, che si spremè per tristezza a ruscelli dalle sue membra e si versò a torrenti dalle sue vene. Noi speriamo nelle piaghe di Gesù. Ma qual piaga più salutare e più potente ad ottenerci dal suo divin Padre il perdono e la grazia, quanto la piaga del costato e del Cuore, il quale si può dire che parla e prega e geme continuamente per noi? O felice adunque chi ha ritrovato questo Cuore, e lo ama, e ne pratica fedelmente la divozione! Egli ha ritrovato il Cuore di un Re il più magnifico e generoso che v’abbia o possa ritrovarsi sulla terra: ha ritrovato il Cuore d’un fratello, d’un amico e di uno sposo il più sviscerato benefico e fedele. Quel Cuore è Cuor nostro, perché è Cuor di Gesù Cristo capo di quella Chiesa, di cui ancora noi siamo le membra; e se il Cuor nostro è troppo freddo nell’amare Iddio, abbiamo il Cuor di Gesù nostro ancor esso, con cui amarlo e pregarlo degnamente per essere esauditi. Inveni cor meum, ut orem Deum meum (II. Reg. VII, 27). Et ego inveni cor regis, fratris et amici benigni Jesu. Cor illias meum est, quia caput meum Christus est. (Id. Auct. ibidem). Un secondo motivo dì speranza ci deve porgere la qualità stessa di questa divozione, la quale di sua natura è sommamente idonea ad impegnar Gesù Cristo a compartirci tutte le grazie. Imperocché qual è il fine di questa divozione? Primieramente di dare un attestato e contrassegno della nostra gratitudine al Cuor di Gesù per il beneficio incomparabile della istituzione del Sacramento dell’Eucaristia. Ora non vi è cosa che impegni tanto un amico a farci dei nuovi benefizi, quanto il mostrar gratitudine per quelli che si sono ricevuti. Questa gratitudine è la mercede che 1’amico aspetta de’ suoi benefizi; è quella che gli fa conoscere che i suoi benefizi sono ricevuti ed accettati con piacere; è quella infine che gli fa scoprire le buone disposizioni e il buon cuore dell’amico, e in conseguenza ch’è degno e meritevole dei suoi favori. Ma questo quanto più si verifica rispetto a Dio ed al sacro Cuor di Gesù, il quale è stato il primo ad amarci, ci ha dato tutto il suo, ci ha donato per fin se stesso, e il quale non può aspettare altra mercede e ricompensa dalle sue creature che amore e gratitudine? Se dunque noi ci mostreremo grati al suo divin Cuore, Egli vedrà per prova che conosciamo e accettiamo di buon grado le sue grazie, che non sono in noi mal collocati i suoi benefizi, e che può sperare sempre maggior corrispondenza, se vorrà compartirne degli altri; ed in conseguenza cercherà di provocare con maggior calore il nostro amore e la nostra gratitudine per avere la soddisfazione d’esser da noi corrisposto. – L’altro fine di questa divozione è il consolare il Cuor di Gesù nelle sue afflizioni e agonie. Ora riflettete che un padre addolorato e abbandonato da tutti nei suoi dolori, se vede un figliuolo amoroso che prende parte alle sue pene, che gli tiene assidua compagnia nelle sue tristezze, che si ingegna di trovar motivi e parole per consolarlo, e studia tutti i modi por procurargli sussidio e conforto, egli allora diviene così sensibile a questa continua assistenza, si compiace a tal sogno della sua compassione e amorevolezza, sì lo distingue a preferenza degli altri figliuoli nei beni dell’eredità come questi si è distinto verso di lui nell’amore e nella gratitudine. Ah che il Cuor di Gesù ferito, desolato, abbandonato in un mar d’angosce e di pene dagl’ingrati suoi figliuoli, se ritrova qualcuno di loro che sappia trattenersi con Lui, compatirlo e consolarlo, è impossibili che non gli faccia parte e non lo arricchisca preferenza dogli altri dei suoi inestimabili tesori e delle sue segreto delizie. – L’imitazione dello virtù sovrumane del Cuor di Gesù Cristo è anch’essa uno dei fini principali di questa divozione. Ma può forse Gesù Cristo non riguardare con particolar dilezione quelli che si studiano di ricopiare nel proprio cuore la mansuetudine, l’umiltà, la rassegnazione e l’amore del suo Cuor divino? Allora Egli trova in quel Cuore un giardino dove deliziarsi per la fragranza dei fiori che vi nascono, ed Egli stesso gl’inaffia con l’acqua prodigiosa che uscì dal suo costato, gli fa crescere, gli difende dagl’insulti e gli conserva sempre verdeggianti e odorosi. Finalmente il devoto del Cuor di Gesù è impegnato a risarcirlo dai torti e dagli affronti, ch’Egli soffre ogni giorno specialmente nel Sacramento dell’altare. Ora questa premura di un devoto quanto deve provocare quel Cuore divino a favore di lui! Se noi abbiamo ricevuta una qualche ingiuria e un qualche discapito nelle sostanze o nella fama, e se troviamo un amico che prenda a suo carico di riparare tutti quei danni e compensarci di tutte le perdite, quello diventa il vero e solo nostro amico. Non possiamo stancarci di raccontare a tutti questo prodigio di vera amicizia, e se egli si trovi in simili circostanze, noi ci crediamo obbligati a rendergli il contraccambio col difendere ad ogni costo la sua fama, la sua roba, la sua persona. Se non ci adoprassimo in questa maniera, il nostro cuore medesimo ci farebbe sentire gagliardi rimproveri di una sì nera ingratitudine, e se non altro per vergogna di esser tacciati come anime vili, faremmo ogni sforzo per corrispondergli in qualche maniera. Ah sarà egli possibile che il Cuor di Gesù sia men grato del cuor di un uomo, se con le visite frequenti, con le Comunioni fervorose, con la quotidiana assistenza al divin Sacrificio, con procurare ancora il suo onore estrinseco nelle suppellettili delle suo chiese, e il suo maggior culto nel cuor de’ fedeli, noi studieremo di risarcirlo degli affronti che soffre in tanti modi, e specialmente in questi tempi? Egli non vorrà certamente comparire meno liberale e generoso con noi, né ci lascerà in abbandono nelle nostre miserie e disgrazie senza compensarci almeno con le delizie del suo Cuore dolcissimo, le quali sorpassano tutti i beni caduchi e menzogneri di questa terra. – Fate dunque animo, abbracciate coraggiosamente la pratica di questa divozione, cominciate una volta a gustar quanto è dolce e amoroso quel Cuore, e sperate, sperate, che gli fareste un gran torto a mostrare la minima diffidenza dello sue promesse. Ed ecco l’ultimo motivo che vi propongo di santa fiducia per godere gli effetti di questa divozione. Gesù Cristo medesimo ha promesso ogni sorta e ogni abbondanza di grazie ai devoti del suo Sacratissimo Cuore. E che volete dunque di più? Ma quali grazie ha promesso? Grazie di conversione ai peccatori, i quali ricorrono al fonte delle misericordie. Il mio Cuore, disse Gesù alla beata Margherita Alacoque, vuol manifestarsi agli uomini per arricchirli con quei preziosi tesori che racchiudono grazie santificanti valevoli a ritrarli dalla loro perdizione (Vita L. 1, §. 51). Grazie di celeste amore, di salute e di santificazione. Così dichiarò lo stesso Gesù alla sua serva dicendo, che nel suo Cuore apriva tutti i tesori d’amore, di grazie, di misericordia, di santificazione e di salvezza. (L. VII, §. 39). Grazie di convertire e di santificare anche gli altri. Il mio divin Salvatore mi ha fatto intendere, – dice la suddetta – che chi si affatica per la salvezza delle anime, avrà l’arte di muovere i cuori più indurati, e faticherà con meraviglioso profitto, se nutrirà egli stesso una tenera divozione al suo Cuore(L. VI, §. 90). Grazie anche temporali. Per ciò che riguarda le persone secolari, troveranno con questo mezzo tutti i soccorsi necessari al loro stato, la pace nella famiglia, il sollievo nelle fatiche, e le benedizioni del ciclo nelle loro imprese (Ivi). Grazie per tutto il tempo della vita, e specialmente in punto di morte. In quel Cuore adorabile troveranno un luogo di rifugio nel tempo della loro vita, e molto più nell’ora della lor morte. Ah che dolce morire dopo avere avuta una costante divozione al sacrosanto Cuore di chi dovrà giudicarci! (Ivi). Ma che dico grazie? Ogni grazia si trova in questa divozione. Io ti promettoson voci di Gesù alla sua serva – Io ti prometto che a chiunque professerà devozione al mio santissimo Cuore, verserò in seno ogni grazia; ma soprattutto a quelli che procureranno l’avanzamento della devozione al divin Cuore. Accostiamoci dunque con fiducia a quel divin Cuore, e troveremo la pace, la consolazione, il gaudio, ricordandoci che questo è un cuore che ardentemente ed efficacemente procura la nostra santificazione e salute. Accedamus ergo ad te, et exultabimus, et lactabimur in te memores Cordis tui (Auct. de Passione Dom. cap. III) .

CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXVIII: 21

Impropérium exspectávi Cor meum et misériam: et sustínui, qui simul mecum contristarétur, et non fuit: consolántem me quæsívi, et non invéni [Obbrobrii e miserie si aspettava il mio Cuore; ed attesi chi si rattristasse con me: e non vi fu; cercai che mi consolasse e non lo trovai.]

Secreta

Réspice, quǽsumus, Dómine, ad ineffábilem Cordis dilécti Fílii tui caritátem: ut quod offérimus sit tibi munus accéptum et nostrórum expiátio delictórum. [Guarda, Te ne preghiamo, o Signore, all’ineffabile carità del Cuore del Tuo Figlio diletto: affinché l’offerta che Ti facciamo sia gradita a Te e giovi ad espiazione dei nostri peccati].

Praefatio
de sacratissimo Cordis Jesu

Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui Unigénitum tuum, in Cruce pendéntem, láncea mílitis transfígi voluísti: ut apértum Cor, divínæ largitátis sacrárium, torréntes nobis fúnderet miseratiónis et grátiæ: et, quod amóre nostri flagráre numquam déstitit, piis esset réquies et poeniténtibus pater et salútis refúgium. Et ídeo cum Angelis et Archángelis, cum Thronis et Dominatiónibus cumque omni milítia coeléstis exércitus hymnum glóriæ tuæ cánimus, sine fine dicéntes: [È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Che hai voluto che il tuo Unigénito, pendente dalla croce, fosse trafitto dalla lancia del soldato, cosí che quel cuore aperto, sacrario della divina clemenza, effondesse su di noi torrenti di misericordia e di grazia; e che esso, che mai ha cessato di ardere d’amore per noi, fosse pace per le ànime pie e aperto rifugio di salvezza per le ànime penitenti. E perciò con gli Angeli e gli Arcangeli, con i Troni e le Dominazioni, e con tutta la milizia dell’esercito celeste, cantiamo l’inno della tua gloria, dicendo senza fine:]

Communio

Joannes XIX: 34

Unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. [Uno dei soldati gli aprì il fianco con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua.]

Postcommunio

Orémus.
Prǽbeant nobis, Dómine Jesu, divínum tua sancta fervórem: quo dulcíssimi Cordis tui suavitáte percépta;
discámus terréna despícere, et amáre cœléstia: [O Signore Gesù, questi santi misteri ci conferiscano il divino fervore, mediante il quale, gustate le soavità del tuo dolcissimo Cuore, impariamo a sprezzare le cose terrene e ad amare le cose celesti:]

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (18)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (18)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 14. IL LIBERALISMO CONDANNATO DALLA CHIESA

[S. O.  è a favore del Liberalismo; false asserzioni dei Cattolici liberali].

Dal modo in cui è scritto l’articolo Queer Explanation …, è evidente che S. O. è a favore del liberalismo, e il Rev. Padre Cronin, direttore della Buffalo Union & Times sostiene fortemente il liberalismo e predica contro la piccola meschinità dell’intolleranza nel suo articolo Narrow-Mindedness. (BU & T, 1 marzo 1888). Ora che cos’è il liberalismo?  – Dal tempo degli Apostoli i veri seguaci di Cristo sono stati chiamati Cattolici. Il significato di questa denominazione è sempre stato che essi appartenevano alla Chiesa una, santa, cattolica, apostolica e romana. Il termine Cattolicoli ha sempre distinti da ogni setta eretica. Erano conosciuti con questo termine in ogni parte del mondo. Nei ultimi recenti anni, tuttavia, sono sorte alcune persone che non sono soddisfatte del nome di Cattolico. Ed infatti esse si definiscono cattolici liberali. I Cattolici liberali affermano falsamente che « è un errore proteggere e promuovere la Religione », perché « la religione – dicono – prospererà molto meglio se lasciata sola; … che il mondo è entrato in una nuova fase ed ha iniziato ad organizzare un nuovo corso (il c. d. nuovo ordine mondiale, di ispirazione massonica – ndt. -) e di conseguenza la Chiesa dovrebbe adattarsi allo spirito dell’epoca, che la Religione non ha nulla a che fare con la politica, che Essa debba avere a che fare solo con la vita privata degli uomini, … che la Religione debba praticarsi dentro la Chiesa, ben inteso solo le Domeniche, che dobbiamo essere generosi nei nostri sentimenti religiosi verso i non Cattolici, cioè, … non dobbiamo dire loro che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica, non dobbiamo spiegare loro perché la salvezza sia impossibile fuori dall’ovile di Cristo; non dobbiamo mostrare loro la differenza tra la Fede Divina e quella umana, perché, se facciamo tutto questo, siamo di mentalità ristretta ed un popolo intollerante, siamo bigotti, che scaricano riprovazioni sul cattolico liberale. « Un uomo liberale non è mai intollerante, dice il Rev. Editor della BU & T. In una parola, un Cattolico liberale è un composto di principi veri e falsi. Ha due coscienze: una per la pubblico e un’altra per la sua vita privata. È Cattolico con il Papa, se possibile, ma liberale nelle opinioni religiose con tutti coloro che differiscono da lui nella fede. « È un credente – dice il Rev. Padre Cronin – con una visione ampia, e ha un’ampia carità per i sentimenti di altri che differiscono da lui nella fede ». – « I cattolici liberali – dice O. A. Brownson – manderebbero le persone in Paradiso più con l’eccezione che con la regola ». – « Abbiamo Cattolici, o uomini – dice Brownson – che si definiscono Cattolici, i quali, senza saperlo, difendono una politica di puro laicismo, che sotto un altro nome si intende ateismo politico, e – non sempre gli stessi individui – che difendono in teologia, a loro modo di vedere, il latitudinarismo più distruttivo: raramente incontriamo un Cattolico, uomo o donna, Sacerdote o laico, che ci permetterà di dire che fuori dalla Chiesa nessuno possa essere salvato, senza che sia qualificata l’asserzione e spiegata in modo tale da renderla privo di significato per le persone semplici che ignorano le sottigliezze, le eleganti distinzioni e le raffinatezze dei teologi. Quanti dei nostri Cattolici, pur ritenendo il protestantesimo come un errore contro la fede e un antagonista della Chiesa, sostengono che la massa dei protestanti sia fuori dalla via della salvezza e non potrà mai vedere Dio nella visione beatifica, a meno che prima di morire non diventino Cattolici, uniti a Cristo nella Chiesa che è il suo corpo? Al contrario, non ci troviamo di fronte a distinzioni teologiche, raffinatezze logiche, spiegazioni e qualifiche sottili, che ci mettono tutti nel torto? » – « È solo negli ultimi tempi – dice Mons. Hay – che questo modo liberale di pensare e di parlare della necessità per la vera Fede di essere in comunione con Cristo nella sua Chiesa è apparso tra i membri della Chiesa, mentre questo era ritenuto normale dai Cattolici in tutte le epoche precedenti, ed è uno dei più grandi motivi della sua condanna: è una novità, è una nuova dottrina, mai inaudita fin dall’inizio, anzi, è direttamente opposta alla dottrina uniforme di tutte i grandi lumi della Chiesa in tutte le epoche precedenti: questi grandi e santi uomini, i testimoni più ineccepibili della fede cristiana dei loro tempi, non conoscevano altro linguaggio su questo argomento, che quello che avevano udito pronunciato davanti a loro da Cristo e dai suoi Apostoli; essi sapevano che il loro divino Maestro aveva dichiarato: « Chi non crede sarà condannato »; udirono il suo Apostolo proclamare un terribile anatema contro chiunque, foss’anche un Angelo del cielo, avesse osato alterare il Vangelo che aveva egli predicato (Gal 1, 8). Lo avevano sentito affermare in termini espressi che « senza la fede è impossibile piacere a Dio; » e tenevano costantemente lo stesso linguaggio e non vedendo il più piccolo spazio nella Scrittura per poter pensare che quelli che erano fuori della Chiesa potessero essere salvati per la loro ignoranza invincibile, illusione ingannevole che neppure una sola volta è dato incontrare in tutti i loro scritti o negli scritti di ogni solido teologo Cattolico, come abbiamo dimostrato. Come mai, poi, accade al giorno d’oggi che alcuni che si professano membri della Chiesa di Cristo, sembrano riconsiderare questa verità in questione continuando a implorare il favore per coloro che non sono della loro comunione, proponendo delle scusanti per loro e usando tutti i loro sforzi per provare una possibilità di salvezza per coloro che vivono e muoiono in una falsa religione? « Questo è uno di quei dispositivi che il “nemico delle anime” utilizza in questi tempi infelici per promuovere la propria causa, e che ci siano motivi per temere che, per varie ragioni, abbia trovato la sua strada anche tra coloro che appartengono all’ovile di Cristo, perché, – (1) vivendo in mezzo a coloro che professano false religioni e con i quali spesso hanno le connessioni più intime, e per i quali naturalmente e lodevolmente nutrono un amore e un affetto, si rendono inizialmente non disposti a pensare che i loro amici possano essere fuori dalla via della salvezza, poi procedono a desiderare e sperare che non lo siano, quindi vengono a rimettere in discussione il loro essere tali, e da questo il passo è facile per afferrare con ogni pretesto di persuadersi – (2) I principi latitudinari si trovano ovunque in questi nostri giorni, essi sono una misericordia non convenuta, per così dire, che si trova in Dio per i maomettani, gli ebrei e gli infedeli, che non erano mai stati ascoltati dai Cristiani. Questo è indorato con un carattere specioso di un modo di pensare liberale e con sentimenti generosi; ed è diventata una moda il pensare e il parlare in questo modo. Ora la moda è la più potente arma persuasiva, contro la quale anche le brave persone non sempre resistono; e quando uno sente questi sentimenti ogni giorno rimbombare nelle proprie orecchie, e tutto ciò che sembra loro contrario ridicolizzato e condannato, cede naturalmente all’illusione e distoglie la sua mente dal desiderio di esaminare la forza di questi sentimenti, per paura di scoprire la loro falsità. Quando, per paura di essere disprezzati, desideriamo che tutto sia vero, la traslazione è molto facile da credere che sia vera, e senza ulteriori approfondimenti viene adottata come definitiva ogni dimostrazione sofisticata della ragione a suo favore. – (3) Molto spesso anche l’interesse del mondo concorda con la sua influenza prepotente a produrre lo stesso fine. Un membro della Chiesa di Cristo vede il suo amico separato, al servizio ed in credito presso il mondo, e si vede capace di rendergli grandi servizi, e sa che, se dovesse abbracciare la vera Fede, perderebbe tutta la sua influenza e diventerebbe inadatto nel servirlo. Questo lo rende freddo nel desiderare la sua conversione; anche se il pensiero che il suo amico non sia sulla via della salvezza lo addolora; perciò comincia a desiderare che possa essere salvato così come è, nella sua religione. Quindi egli giunge alla speranza che possa salvarsi anche così, e adotta volentieri qualsiasi dimostrazione o prova che glielo faccia pensare. È vero, infatti, tutte queste ragioni avrebbero poca influenza su di un membro sincero della Chiesa di Cristo, che comprende la sua Religione e ha il giusto senso di ciò che Essa gli insegna su questo capo. Ma la grande disgrazia di molti che adottano questi modi sciolti di pensare e parlare è: – (4) che ignorano i fondamenti della loro Religione; non esaminano a fondo la questione ed una volta infettati dallo spirito del giorno, non sono più disposti a riesaminarla; ed anche se essi non riescono a scusarsi con un amico zelante e ad aggrapparsi a quei miserabili sofismi che sono asseriti a favore del loro modo di pensare sciolto, rifiutano di aprire gli occhi alla verità, o persino di guardare alle ragioni che la supportano. » – « Non sufficientemente – dice Brownson – si capisce la relazione della Chiesa con l’Incarnazione, l’ordine della Grazia, la funzione della Chiesa nell’economia della salvezza, il fine della Religione, la disposizione del mondo nel confondere la liberalità con la carità. Non vedono che la Chiesa cresce, per così dire, dall’Incarnazione, di cui è, in qualche modo, la continuazione visibile sulla terra, e dalla quale Essa è inseparabile ».  La rigenerazione del mondo è stata prefigurata nella sua prima creazione. Dopo cinque giorni di attesa, di preparazione, di creazioni preliminari, Dio ha fatto il primo uomo « dal fango della terra, terreno ». In lui ha unito, in una persona umana, due sostanze diverse, quella propriamente appartenente anche agli Angeli, e l’altra agli animali: la mente e il corpo, e poi lo ha nominato padrone e signore di tutte le creature che popolano l’aria, la terra e le acque. Dopo aver terminato questa creazione della natura umana, l’ha completata con la formazione di Eva, tratta dal fianco di Adamo, e con questa aggiunta la razza umana è stata costituita in modo da vivere e perpetuarsi, allo stesso modo, dopo una serie di cinquemila anni (secondo i “Settanta”), dopo questi cinque lunghi giorni dedicati all’annuncio, alle figure, ai preparativi e ai preliminari del suo arrivo, apparve il nuovo Adamo, « disceso dal cielo e celeste ». In Lui pure le due nature, la divina e l’umana, sono unite insieme, nell’unica Persona di Dio Figlio. È nominato Re degli Angeli e degli uomini. Successivamente la sua incarnazione, in un certo senso, è finita, compiuta nella sua pienezza, dalla formazione della Chiesa, la sua sposa, che è scaturita dal suo fianco aperto sulla croce; e con l’incorporazione dei fedeli in Gesù Cristo nel seno della Chiesa, il Cristianesimo è completo: vive, cresce, dà vita alla terra e ai popoli il Paradiso. « Dio – dice San Paolo – tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della Chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di Colui che si realizza interamente in tutte le cose. » (Ephes. I, 22, 23.) Di tutte le parti del corpo, il capo è l’organo principale, quindi l’inizio di una cosa è chiamato  « capo », poiché la natura umana di Gesù Cristo è ipostaticamente unita alla Divinità, Egli possiede la pienezza della Grazia e la comunica a tutti i membri del suo Corpo mistico. Quindi l’Apostolo dice: « colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. » (Rom. VIII, 9) La Chiesa è il Corpo mistico di Cristo, e il suo complemento o perfezione, essendo il capo incompleto senza il corpo; ma quando il capo ha tutti i membri del corpo, così che nessuno manca, allora il corpo è interamente completo, dice San G. Crisostomo. Sebbene Cristo sia già perfetto di per se stesso, tuttavia si considera incompleto e, per così dire, una testa mutilata nei membri, se non ha la Chiesa come corpo unito a Lui. – Quindi san Paolo dice: « Poiché il corpo è uno e ha molti membri e tutte le membra del corpo, sebbene siano molte, eppure sono un solo corpo: così anche Cristo ». (I. Cor. XII. 10) Su queste parole Sant’Agostino commenta così: « San Paolo non dice: così anche il corpo o le membra di Cristo; ma così anche Cristo. Dice che la testa e il corpo sono un solo Cristo. E questo non dovrebbe apparire incredibile per noi; perché, se la natura divina di Cristo, che differisce infinitamente ed è incomparabilmente più sublime della sua natura umana, era così unita ad essa da essere una sola Persona, quanto è più credibile che i fedeli e i santi Cristiani siano un solo Cristo con Cristo uomo! L’intero Cristo è testa e corpo. Il capo e i membri sono un solo Cristo. La testa era in cielo e disse: « Paolo, perché mi perseguiti? ». – « Siamo con lui in cielo con la speranza, ed Egli è con noi sulla terra con la carità ». (Lib. I. de Peccat. Merit., 31).  – Quindi Cristo a volte è chiamato l’intera Chiesa. (I. Cor. XII, 10). Pertanto spesso anche si dice che siamo in Cristo, che cresciamo, lavoriamo e soffriamo in Lui; quindi anche l’Apostolo dice che Cristo vive in lui e lui in Cristo. Quindi è tutta la nostra speranza, tutta la nostra consolazione. – La comunità sulla terra di quei Cristiani che sono uniti sotto un unico Capo comune, il Papa, come successore di San Pietro, e che professano la stessa Fede e prendono gli stessi Sacramenti, sono chiamati Corpo di Cristo. « Questo corpo – dice Cornelius a Lapide – deriva la sua vita spirituale da Cristo, il suo capo. Questa vita è chiamata l’anima della Chiesa. Questa vita « l’anima della Chiesa » è generale e imperfetta, oppure è speciale e perfetta. La vita generale e imperfetta è la vera fede, e la vita speciale e perfetta del Corpo della Chiesa è la Carità divina. Coloro dei fedeli che sono animati dalla vera fede divina e dalla carità, che è riversata nei loro cuori dallo Spirito Santo, sono, quindi, uniti a Cristo, il loro Capo, e formano il suo Corpo perfetto. Quelli dei fedeli che sono animati solo dalla vita generale e imperfetta, per la sola fede, sono, è vero, membri del corpo della Chiesa, ma sono membri imperfetti; e se morissero in quello stato, sarebbero persi per sempre. Ma poiché essi sono membri del Corpo di Cristo, sebbene siano membri defunti, possono diventare membri perfetti mediante la Carità divina, se traggono profitto dalle grazie che fluiscono da Cristo su tutte le membra del suo corpo. Quindi, poiché il membro di un corpo che non è unito agli altri membri e al corpo intero, non può ricevere alcun nutrimento e la vita attraverso il suo corpo, così, anche, un Cristiano non può vivere della vita perfetta della Chiesa, se è non unito dalla Carità divina con tutto il resto dei fedeli e all’intero Corpo della Chiesa. »(Commento In Epist. ad Efes., c. IV., v. 16, e in Epist. ad Tim., c. II., v. 20.). « Se qualcuno – dice Cristo – non rimane in me, sarà tagliato come un ramo e appassirà, lo raccoglieranno e lo getteranno nel fuoco; e brucierà » (San Giovanni, XV, 6).  – Dopo essere stati uniti nel battesimo al Corpo di Cristo, la sua Chiesa, possiamo rimanere uniti a Cristo, il suo Capo, solo con la vera Fede divina e con la carità. Ma per la vera Carità non si può essere esclusi dall’unità della Chiesa, dice Sant’Agostino. Siccome tutti gli eretici, senza eccezione, sono separati dal Corpo di Cristo, che è la Chiesa, e sono dei rami staccati dalla vite, che è  Cristo, la linfa della Fede e della Carità divina non può scorrere in essi, finché non siano uniti al Corpo di Cristo, la Chiesa. Chi pensa dunque di poter fare del bene a se stesso, e non è unito alla vite; e colui che non è unito alla vite, non è unito a Cristo; e colui che non è unito a Cristo non è Cristiano. (St. August Tract. 21.). « La Chiesa, quindi – dice O. A. Brownson – vive in Cristo, ed Egli vive in Essa; la propria vita è la sua vita, e gli individui si uniscono a Lui e vivono la sua vita essendo uniti ad Essa e vivendo la loro vita in Essa. Essere separato da Essa, è quindi essere separato da Lui, essere separato dal Verbo Incarnato stesso, l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini, e dal nostro fine, essendo Egli il mezzo per la sua realizzazione. – « Tutto ciò che la Divina Provvidenza ha prodotto nel corso dei secoli esisteva – come dice Sant’Agostino – dall’inizio della creazione, nelle cosiddette cause semenziali, radicali, fondamentali, come per la germinazione di ogni specie, di animali e di corpi materiali, in modo che tutte le cose nella creazione raggiungono la loro perfezione in virtù di questo seme imperituro, che esiste nella loro natura fin dall’inizio del mondo. Ora, poiché l’uomo è destinato alla felicità soprannaturale, è necessario che sia in lui il seme imperituro della Grazia divina. San Giovanni allude a questo seme divino quando dice: « Chiunque è nato da Dio non commette peccato, perché un germe divino dimora in lui, e non può peccare perché è nato da Dio. » (1 Giov. Cap. III., 9.) Un essere razionale può ottenere un oggetto con il fare un solo atto, ma quell’atto non può avere il potere di metterlo in possesso di un oggetto che è di ordine soprannaturale. Ora la beatitudine eterna è un bene di un ordine soprannaturale, e solo Dio ha sempre goduto di quella gloria e felicità perfetta; non importa quanto grande possa essere la perfezione naturale di un uomo, ma egli non può, per un atto della sua perfezione naturale, entrare in possesso di un oggetto di perfezione soprannaturale: è solo per Grazia divina che egli può meritarla ed ottenerla, e questa grazia è concessa solo nella Chiesa. » – « Non c’è – dice Brownson – nessun nome sotto il cielo tra gli uomini, se non il Nome di Gesù Cristo mediante il quale noi possiamo essere salvati, non c’è salvezza in nessun altro nome: è ciò che deve essere detto al Cattolico: che Cristo, come Salvatore, è nella Chiesa, che è il suo Corpo, e che è nella Chiesa, e non in nessun’altra parte, che può operare la sua salvezza. È pur vero che se Egli è nella Chiesa, è anche fuori di Essa, operando nei cuori di coloro che non vi sono ancora dentro; ma opera ad Ecclesiam, per portarli cioè dentro, affinché li salvi la dentro, e non per salvarli senza Lui. Egli ama la sua Chiesa, che è la sua Eletta, la sua Amata, la sua Sposa, e ha dato la vita per Essa. In Essa, per così dire, concentra tutti i suoi affetti, le sue grazie e le sue provvidenze, e tutte le creature e gli eventi sono ordinati in riferimento ad Essa. Senza di Essa tutta la storia è inspiegabile, una favola, e l’universo stesso è privo di significato e senza scopo. La salvezza delle anime stesse avviene attraverso di Essa, e Dio non avrà figli che non siano anche i suoi (della Chiesa): Egli è un solo Padre, e così non può esserci che una sola Madre, e nessuno è del Padre che non sia anche della Madre. Tutti i Padri e Santi, sono chiari ed espliciti su questo, e chiaramente insegnano che la disonorerebbe e renderebbe Dio un adultero, colui che supporrebbe la salvezza di una sola anima di cui Essa non è la Madre spirituale. – « Dio, nello stabilire la sua Chiesa dalla fondazione del mondo, nel dare la sua vita sulla croce per Essa, e dimorare sempre con Essa nei suoi tabernacoli fino alla consumazione del mondo, l’ha adornata come una Sposa con tutte le grazie dello Spirito Santo, chiamandola sua amata, sua sposa, e ci ha insegnato come Egli la guardi, quanto profondo e tenero, quanto infinito e inesauribile sia il suo amore per Essa, e con quale amore e onore noi quindi dobbiamo considerarla. Egli ci ama, è vero, con un amore infinito ed è morto per redimerci; ma Egli ci ama e vuole la nostra salvezza solo nella, e attraverso la sua Chiesa. Ci vuole portare a Se stesso e non cesserà mai di essere un amante che corteggi il nostro amore; ma vuole che lo amiamo, lo riveriamo e lo adorariamo solo come figli della sua Amata. La nostra venerazione e il nostro amore devono ridondare a sua gloria come della sua Sposa, e rallegrare il suo cuore materno, ed ingrandire la sua gioia materna, altrimenti non li vuole, non li riconosce. « Oh, è spaventoso dimenticare il posto che la Chiesa detiene nell’amore e nella Provvidenza di Dio, e considerare la relazione con la quale le stiamo accanto, come una questione di nessuna importanza! Essa è l’unico grande oggetto su cui sono fissati tutto il cielo, tutta la terra, e tutto l’inferno. Ecco la sua personificazione nella Beata Vergine, la Santa Madre di Dio, la gloriosa Regina del cielo. Umile ed oscura, visse povera e silenziosa, eppure tutto il cielo volse gli occhi verso di Lei; tutto l’inferno tremava davanti a Lei, tutta la terra aveva bisogno di Lei, era cara a tutte le schiere del cielo, perché in Ella vedevano la loro Regina, la Madre della grazia, la Madre delle misericordie, il canale attraverso il quale tutto l’amore e le misericordie, e le grazie e le bontà dovevano scorrere agli uomini, e ritornare a gloria ed onore del loro Padre. La più umile delle fanciulle mortali, la più bassa sulla terra, davanti a Dio era la più alta in cielo. Così è la Chiesa, la nostra dolce Madre. Oh, non è creazione dell’immaginazione! Oh, non è un semplice incidente nella storia umana, nella divina Provvidenza, nella grazia divina, nella conversione delle anime! È una gloriosa realtà vivente, che vive il divino: la vita eterna di Dio. Il suo Creatore è il suo sposo, ed Egli la pone, dopo di Lui, al di sopra di tutto: sul cielo, sulla terra e sotto terra. Tutto quello che poteva fare per adornarla ed esaltarla, Egli lo ha fatto. Tutto quello che poteva dare ha dato; poiché si dona e le unisce in un’unione indissolubile con se stesso. – « Abbiamo sempre riflettuto seriamente su cosa sia la Chiesa, abbiamo considerato il suo rango nell’universo, la sua relazione con Dio, il posto che Essa tiene, per così dire, nei suoi affetti: il nudo pensiero della salvezza di una singola anima non generata spiritualmente da Essa ci farebbe orribilmente inorridire. » – « Ecco la grande massa di persone fuori dalla Chiesa, incredula ed eretica, incurante ed indifferente, ed è inutile aspettarsi di fare qualsiasi impressione generale su di loro, a meno che non si presenti la questione della Chiesa come una questione di vita o di morte, e non possiamo riuscire a convincerli che, se vivono e muoiono la dove sono, non potranno mai vedere Dio. Questa è la dottrina, la dottrina precisa. È vera? Sì o no? È negata? Da chi? Da quelli che sono fuori dalla Chiesa: certamente, e questa è la principale ragione per cui si accontentano di vivere e morire fuori dalla Chiesa? È negato da quelli nella Chiesa? Il Cattolico osa negarlo? Da quale individuo o da classe di persone siamo noi autorizzati nella nostra santa Fede a promettere anche la nuda possibilità di salvezza, senza che si sia uniti alla comunione visibile della Chiesa di Dio? Senza dubbio, la verità va sempre rispettata, poi ne scaturiranno le conseguenze. « Quelle povere anime, per le quali il nostro Signore ha versato il suo prezioso sangue, e per le quali sanguinano di nuovo le care ferite nelle sue mani, nei suoi piedi, nei suoi fianchi, sono strette nelle catene dell’errore e del peccato, sospese sul precipizio, pronte a cadere negli abissi sottostanti, di sotto, inducono tutti coloro che hanno un cuore di carne, o qualsiasi viscere di compassione, a parlare, a gridare ad alta voce con toni terribili e penetranti per avvertirle del loro imminente pericolo, piuttosto che adularli o con l’intenzione di lusimgarli con la speranza che, dopo tutto, la loro condizione non sia pericolosa. » – Ahimè! un uomo deve essere veramente indifferente a Dio e alla Religione, deve essere senza cuore e senza motivazioni per tollerare silenziosamente tali errori religiosi. È nella natura stessa di ogni uomo onesto, quando conosce la verità, il custodirla con gelosa vigilanza, e di respingere con indignazione ogni mescolanza di menzogna. Guardate l’insegnante di matematica, quando scopre un errore nel calcolo dei suoi allievi, non lo condanna forse? È questo essere intollerante? Guardate il musicista, il direttore di un coro, non si indigna forse quando qualcuno canta in modo stonato o fuori tempo? Guardate l’avvocato che ha studiato attentamente le leggi e sta con eloquenza perorando il suo caso. Cita una certa legge, egli l’ha letta anche quella stessa mattina. Supponiamo che gli si dica che nessuna legge del genere sia mai esistita. Non è egli forse indignato per questa smentita? Non è geloso di ciò che sa essere la verità? Guardate quel medico esperto. Prova, se riesci, a fargli credere che i peccati contro natura non danneggino il sistema nervoso; se è così, puoi anche provare a convincerlo che il veleno non ucciderà mai. – Ogni uomo onesto custodisce la verità con la cura più gelosa, e incolpereste forse il ​​buon Cattolico per aver gelosamente custodito la verità più elevata – quella verità che Dio stesso ha rivelato – quella verità da cui dipende tutta la nostra felicità, qui e in futuro? « Il nostro intelletto – dice San Tommaso – è programmato per la verità e per non pensare che secondo verità: l’intelletto non è una facoltà o un potere che è, di per sé, libero, come la volontà: non può provare ad abbracciare che la verità, non è libero di accettarla o rifiutarla, tranne quando l’ignoranza mette la mente in uno stato tale da renderla incapace di vedere la verità. Ogni volta che la mente vede la verità, è costretta ad accettarla. Se la mente non vede la verità, è inattiva – non fa nulla. Se in questo caso asserisce una proposizione piuttosto che un’altra, tale affermazione è semplicemente un atto della sua volontà e non un atto dell’intelletto. Se mi viene chiesto se la luna è abitata, posso affermare che lo sia, semplicemente perché scelgo di farlo, ma non sono obbligato a fare questa affermazione presentando alcuna prova, perché in realtà non lo so. Ma se mi viene chiesto, quanto fa due più due, non posso scegliere la mia risposta; sono costretto a dire “quattro”. L’intelletto, quindi, è tenuto a riconoscere la verità quando vede la verità. Ma la volontà potrebbe negarla. L’intelletto di ogni uomo non può fare a meno di riconoscere l’esistenza di Dio secondo i basilari princîpi del giusto o sbagliato. Ma una volontà perversa potrebbe negare queste verità. Di tutte le cose che costituiscono un bene per gli uomini, la verità è, senza dubbio, il bene più grande. La verità è cosa ottima per l’intelletto. Così come l’occhio è fatto per ricevere la luce, l’orecchio per ricevere i suoni, e la mano per fare ogni tipo di lavoro, così l’intelletto è fatto per vedere e abbracciare la verità, per unirsi alla verità e trovare il suo riposo solo nella verità. La verità è cosa ottima per il cuore. Il cuore è destinato ad amare qualcosa. Ora, quando l’intelletto non mostra un oggetto essere un amore onesto, il cuore è sicuro di insozzarsi con un amore sordido. La verità è cosa ottima per la società. Se la verità non guida i suoi passi, la società cadrà nella miseria, e nel mettersi contro le leggi divine dell’universo, sarà rapidamente portata alla rovina. La verità è cosa ottima per gli uomini. Essi non possono raggiungere il loro fine ultimo – non possono cioè raggiungere la bontà eterna – se non per mezzo della verità. La verità per gli uomini è così necessaria, che il Figlio di Dio scese dal cielo per insegnare loro la verità. La verità, quindi, è soprattutto buona cosa; è un bene molto più grande della ricchezza e degli onori; è al di sopra della vita e della morte, al di sopra degli uomini e degli Angeli. Dio è l’unica fonte della verità; la verità sola conduce a Lui, poiché essa viene da Colui che è la Verità stessa. Se è così, che diritto può esserci per chiunque di oscurare la Verità? Che diritto può avere un sacerdote liberale di professare il liberalismo, un misto di principi veri e falsi? « Una cosa – dice San Tommaso d’Aquino – diventa impura mescolandola con una sostanza di pregio inferiore, come, ad esempio, l’oro mescolato con l’ottone, o l’argento con il piombo; allo stesso modo, la verità peggiora e perde lo splendore della sua purezza mescolandola con l’errore. « Il protestantesimo non è sorto in questo modo? Che diritto ha quindi un sacerdote liberale di affermare o approvare allegramente tante menzogne ​​nell’articolo « Una strana spiegazione? ». Che diritto ha il pio liberale Padre Cronin di dire « ciò che è necessario in questo Paesese il Paese deve essere sempre convertito alla fede cattolica – è più di una di queste queste lettere come quella in questione (… scritta da un sacerdote liberale e pubblicata dal paternalista liberista Cronin) e meno di questi libri che, attraverso il loro fraseggio inesatto, forniscono argomenti ai nemici della Chiesa per presentarla come insegnante di ciò che non insegna ». In altre parole, dobbiamo avere sacerdoti più liberali che predicano il liberalismo in tutto il Paese, e Sacerdoti meno ortodossi, che difendono le dottrine della Chiesa, e poi, naturalmente, tutti i Cattolici saranno presto Cattolici liberali, e i protestanti diventeranno facilmente cattolici liberali, perché non vedono più molta differenza tra liberalismo e protestantesimo! Ah!, che diritto hanno questi di proclamare il loro insegnamento erroneo, che addolora l’anima, fa rabbrividire, rattrappisce la coscienza e infligge indicibili miserie al Paese e alle persone infelici che sono portate ad avallare le sue fallaci affermazioni? No, non esiste un tale diritto. La ragione, la coscienza e la Chiesa Cattolica condannano tale licenza, che è una discussione tanto libera, come la chiama, in un’allocazione tenuta da Pio IX, il 9 dicembre 1854. Sua Santità dice: « Non è senza dolore che ho appreso di un altro, non meno pernicioso errore, che è stato diffuso in diverse parti dei paesi cattolici, ed è stato assorbito da molti Cattolici, che sono dell’opinione che coloro che non sono affatto membri della vera Chiesa di Cristo, possano essere salvati. Quindi discutono spesso la questione riguardante il futuro destino e la condizione di coloro che muoiono senza aver professato la Fede Cattolica, e danno le ragioni più futili a sostegno della loro falsa opinione. ….  « È davvero di fede che nessuno possa essere salvato al di fuori della Chiesa Apostolica Romana, che questa sia l’unica arca della salvezza, e che colui che non è entrato in Essa, perirà nel diluvio ». – Nella sua Lettera enciclica, datata 10 agosto 1863 (Quanto conficiamur), Papa Pio IX. Dice: « Devo menzionare e condannare di nuovo quell’errore molto pernicioso in cui vivono alcuni Cattolici, che sono dell’opinione che quelle persone che vivono nell’errore e non hanno la vera Fede, e che siano separate dall’unità cattolica, possano ottenere la vita eterna. Ora questa opinione è molto contraria alla Fede Cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Cristo: « Se non ascolterà la Chiesa, sia per te come il pagano e il pubblicano ». Matt. XIII, 17; « … colui che non crede, sarà condannato. » Marco, XVI, 16: – « … Colui che disprezza te, disprezza me; e colui che ha disprezzato, ha disprezzato Colui che mi ha mandato ». (Luca, X, 16) – : « Colui che non crede, è già giudicato ». (Giovanni, III. 18); « È di fede che, come c’è un solo Dio, così anche c’è una sola fede e un solo Battesimo. Andare al di là di questo nelle nostre inchieste significa essere empi. » (Allocution, 9 dicembre 1854.) Il 18 giugno 1871 papa Pio IX, rispondendo a una delegazione francese guidata dal Vescovo di Nevers, disse: « Figli miei, le mie parole devono esprimervi ciò che ho nel cuore. Ciò che affligge il vostro paese e impedisce di meritare le benedizioni di Dio, è la mescolanza di principi. Io lo dirò, o non troverò la mia pace. Ciò che temo non è la Comune di Parigi, quegli uomini miserabili, quei veri demoni dell’inferno, che vagano sulla faccia della terra: no, non la Comune di Parigi; ciò che io temo è il Cattolicesimo liberale. … L’ho detto più di quaranta volte, e ve lo ripeto ora, per l’amore che vi porto. Il vero flagello della Francia è il Cattolicesimo liberale, che si sforza di unire due principi, che ripugnano l’uno all’altro come il fuoco e l’acqua. Figli miei, vi scongiuro di astenervi da quelle dottrine che vi stanno distruggendo. … Se questo errore non viene fermato, porterà alla rovina della Religione e della Francia » . In un breve, in data 9 luglio 1871, a Mons. Segur, il Santo Padre dice: « Non sono solo le sette infedeli che stanno cospirando contro la Chiesa e le Società che la Santa Sede ha spesso rimproverato, ma anche quegli uomini che, professando di agire in buona fede e con retta intenzione, sbagliano nel carezzare le dottrine liberali ». Il 28 luglio 1873, Sua Santità si espresse così: « I membri della Società Cattolica di Quimper non corrono certo il rischio di essere allontanati dalla loro obbedienza alla Sede Apostolica dagli scritti e dagli sforzi dei nemici dichiarati della Chiesa; ma possono scivolare sulla china di quelle cosiddette opinioni liberali che sono state adottate da molti Cattolici, per altro onesti e pii, che, per l’influenza del loro carattere religioso, possono facilmente esercitare un potente ascendente sugli uomini, e portarli ad opinioni molto perniciose. Dite dunque ai membri della Società Cattolica, che nelle numerose occasioni in cui abbiamo censurato coloro che hanno opinioni liberali, non intendevamo riferirci a quelli che odiano la Chiesa, che sarebbe stato cosa inutile da riprovare, ma coloro che abbiamo appena descritto. Questi uomini conservano e promuovono il veleno nascosto dei principi liberali, che hanno succhiato come latte della loro educazione, facendo finta che quei principi non siano infetti da malizia e non possano interferire con la Religione; così instillano questo veleno nella mente degli uomini e propagano i germi di quelle perturbazioni attraverso le quali il mondo è stato a lungo oppresso ». – La nostra fede, per essere gradita a Dio, deve essere solida; e secondo la dichiarazione del Concilio Vaticano, la nostra fede è solida quando evitiamo non solo di aprirci all’eresia, ma anche diligentemente la sfuggiamo, e nei nostri cuori dissentiamo da quegli errori che si avvicinano più o meno strettamente nell’osservare religiosamente quelle costituzioni e decreti con cui tali opinioni malvagie, direttamente o indirettamente, sono state vietate e proibite dalla Santa Sede. (Concilio Vaticano, Can. IV), Come, ad esempio, « Le Opinioni che si appoggiano al naturalismo o al razionalismo, la cui somma e scopo è sradicare le istituzioni cristiane e stabilire nella società la regola dell’uomo, ponendo Dio fuori considerazione. Un’intera professione di Cattolicità non è affatto coerente con queste opinioni. Allo stesso modo, non è lecito seguire una regola nella vita privata, ed un’altra nella vita pubblica, cioè, in modo che l’autorità della Chiesa possa essere osservata nella vita privata e trascurata nella vita pubblica. Ciò equivarrebbe a unire virtù e vizio e rendere l’uomo in conflitto con se stesso, quando, al contrario, dovrebbe essere coerente con se stesso, e al contrario condurre, nessun tipo di vita, che si allontani dal Cristianesimo. » (Leone XIII, Enc. Immortale Dei). In altre parole, non è lecito essere Cattolici liberali, ed è molto peggio essere un Sacerdote liberale; è un dovere di tutti i filosofi (e molto più di tutti i sacerdoti) che desiderano rimanere figli della Chiesa e di tutta la filosofia, non affermare nulla di contrario agli insegnamenti della Chiesa e ritrattare tutte queste cose quando la Chiesa li dovesse ammonire. L’opinione che insegna il contrario, Noi pronunciamo e dichiariamo del tutto erronea e al massimo grado dannosa per la fede della Chiesa e la sua autorità. « (Litteræ Pii IX.”Gravissimas inter“, ad Archiep. Monac. E Freising. 1862.). – Un Sacerdote, quindi, che difende il liberalismo, è in opposizione agli insegnamenti della Chiesa e non può rimanere figlio della Chiesa. Un cattolico liberale, pertanto, non è un vero Cattolico. La parola “Cattolica” non è una parola vana e vuota. Essere un vero Cattolico significa professare saldamente tutte quelle verità che Cristo e i suoi Apostoli hanno insegnato, che la Chiesa Cattolica ha sempre proclamato, che i Santi hanno professato, che i Papi e i Concili hanno definito, e che i Padri e i Dottori della Chiesa hanno difeso. Chi nega anche una di quelle verità, o esita a ritenerne qualcuna, non è Cattolico. Ritiene di esercitare il diritto di giudizio privato riguardo alla dottrina di Cristo, e quindi è un eretico. Il vero Cattolico sa e crede che non ci può essere compromesso tra Dio e il diavolo, tra verità ed errore, tra fede ortodossa ed eresia, tra fede divina e umana, tra vero e falso Cristianesimo,tra Cattolici e protestanti. San Paolo, l’Apostolo, parlava liberamente e diceva chiaramente la verità dalle mura della sua prigione; questo perché non accettava compromesso. San Pietro parlava liberamente, chiaramente e con forza davanti agli anziani, dicendo che è meglio obbedire a Dio che agli uomini; e questo perché non era un compromesso. L’apostolo Sant’Andrea proclamava la pura verità dal legno della croce; questo non era un compromesso. Santo Stefano, il primo martire, non scese a compromessi. Quando fu accusato di essere un seguace di Gesù di Nazareth, egli, a sua volta, accusò i suoi nemici di essere gli assassini di Cristo. Tutti i Santi martiri della Chiesa non sono venuti a compromessi. Essendo accusati dai pagani per la follia di adorare e seguire un Dio crocifisso, essi, a loro volta, hanno accusato i pagani per l’empietà di adorare le creature e seguire il diavolo. Perché il nostro Santo Padre, Papa Pio IX, e poi ancora il nostro Santo Padre, Leone XIII., sono stati prigionieri? È perché né l’uno né l’altro potrebbero scendere mai a compromessi. Perché in Germania c’erano così tanti Vescovi e Preti esiliati o in prigione? È perché non erano compromessi. Perché la Chiesa Cattolica è stata perseguitata in Germania e in altre parti del mondo? È perché Dio, attraverso la persecuzione, purifica la sua Chiesa dai cattolici liberali o dai compromessi. E poiché ci sono così tanti Cattolici liberali in questo Paese, la persecuzione deve venire a separarli dalla Chiesa. Quei Cattolici compromessi, ha detto un noto convertito a Detroit, in Michigan, mi hanno tenuto fuori dalla Chiesa per vent’anni, finché alla fine ho incontrato un Sacerdote buono, coscienzioso e colto, che mi ha insegnato chiaramente che, se volevo salvare la mia anima, dovevo diventare un membro del Corpo di Cristo – la Chiesa cattolica – per essere unito al suo capo – Gesù Cristo – da cui la grazia santificante fluirà poi sulla tua anima e prepararti per la vita eterna.- « Indubbiamente – dice il vescovo Hay – è lodevole mostrare ogni indulgenza e condiscendenza verso coloro che ne sono privi, e comportarsi verso di loro con tutta clemenza e mitezza. » – « Ma tradire la verità con una tale opinione, costituisce un crimine doloroso, e altamente pregiudizievole per entrambe le parti. L’esperienza, infatti, dimostra che il modo di pensare e parlare “liberale”, che alcuni membri della vera Chiesa hanno adottato  ultimamente, produce le peggiori conseguenze, sia per se stessi che per coloro che desiderano favorire ».

(1) Coloro che sono separati dalla Chiesa di Cristo sanno bene che Essa costantemente professa, come un articolo del suo Credo, che, senza la vera fede, e fuori dalla sua comunione, non c’è salvezza. E nel vedere i membri di quella Chiesa parlare dubbiosamente su questo punto, e che sembrano mettere in discussione la verità della dottrina, e persino accampare pretesti e scuse per spiegarlo, cosa possono pensare? Che effetto deve avere questo sulla loro mente? Essi tendono ad estinguere qualsiasi desiderio di indagare sulla verità che Dio possa aver dato loro, e chiudono il loro cuore ad ogni buon pensiero. L’amor proprio non manca mai di impadronirsi di tutto ciò che favorisce i suoi desideri, e se una volta troveranno la verità messa in discussione anche da parte di coloro che professano di crederci, la considereranno una mera disputa scolastica, e non penseranno più alla questione.

(2.) Questo modo di pensare e di parlare tende naturalmente a estinguere tutto lo zelo per la salvezza delle anime nei cuori di coloro che lo adottano, perché mentre si persuadono che c’è una possibilità di salvezza per coloro che muoiono in un falso fede, e fuori dalla Chiesa di Cristo, l’amor proprio li inclinerà facilmente a non darsi alcun problema per la loro conversione, anzi, talvolta è persino arrivato a pensare che sia più opportuno non tentare di disingannarli, perché non cambi la loro attuale ignoranza scusabile, come la chiamano, in un’ostinazione colpevole, non riflettendo che, con i loro sforzi pie e zelanti, possono essere portati alla conoscenza della verità e salvare le loro anime, mentre, attraverso il loro non caritatevole trascurando, possono essere privati ​​di una così grande felicità. Guai al mondo, davvero, se i primi predicatori del cristianesimo avessero avuto tali sentimenti non Cristiani!

(3.) Non è meno pregiudizievole per i membri della stessa Chiesa abbracciare tali modi di pensare: perché questo non può mancare di raffreddare il loro zelo e la stima per la Religione, renderli più incuranti nel preservare la loro fede, renderli sensibili ai motivi del mondo esponendoli al pericolo e, in tempo di tentazione, abbandonarla del tutto. Infatti, se un uomo è completamente persuaso della verità della sua santa Religione, e della necessità di essere un membro della Chiesa di Cristo, come è possibile che egli debba mai esporsi a qualsiasi occasione di perdere un così grande tesoro o, per un qualsiasi timore o favore mondano, di abbandonarlo? Poiché l’esperienza mostra, infatti, che molti, per qualche piccolo vantaggio mondano, si espongono a tale pericolo, andando in luoghi dove non possono praticare la loro Religione, ma trovano tanti incentivi nell’abbandonarla o, impegnandosi in impieghi non consoni al loro dovere, espongono i loro figli alle stesse pericolose occasioni: questo può sorgere solo dall’avere una non esatta idea dell’importanza della loro Religione; e, con un esame rigoroso, si prova sempre che la causa radicale, in diverso grado, sia l’adesione  ai suddetti sentimenti latitudinali.

(4.) Inoltre, se una persona inizia a esitare sull’importanza della sua Religione, quale stima può avere per le leggi, le regole o le pratiche di essa! Prevale così l’amor proprio, sempre attento alla propria soddisfazione, e si dirà quanto prima che, se non è assolutamente necessario essere di quella Religione, è per lo meno necessario essere sottomesso a tutti i suoi regolamenti: ma a questo punto si praticano le libertà, i comandi della Chiesa sono disprezzati, gli esercizi di devozione sono trascurati e si introduce solo un’apparenza di religione sotto la pratica dei sentimenti liberali, fino alla distruzione di ogni solida virtù e devozione. Se viaggi di notte attraverso una brughiera selvaggia e desolata, noterai in qualche punto solitario una fiamma di fuoco che guizza e gira e si allontana sempre più se la insegui. Si chiama « fuoco fatuo », o la luce errante. Questa luce non proviene dal cielo, ma da una palude profonda e fangosa. Guai al viaggiatore stolto che la segue ciecamente! Essa lo condurrà in una profonda palude, in una pozza nera, dove perisce da solo nell’oscurità! Il suo ultimo urlo agonizzante, il suo gemito tremante, è echeggiato dal rumoroso uccello notturno.  – Ci sono anche luci vaganti nella mente umana che portano molti fuori strada. Gli uomini possono pensare che queste luci vengano dall’alto, dallo Spirito Santo, ma procedono solo dal prorio egoismo, dalla passione, dall’orgoglio e spesso dal demonio infernale. Senza dubbio, non era un diavolo di piccolo calibro quello che si era accpmodato sulla spalla di S. O. a dettargli la sua “Queer Explanation Spiegazione …”; solo un angelo caduto dei ranghi più alti poteva concepire e suggerire quell’articolo malizioso. – Coxe, Fulton e altri bigotti dalla mentalità ristretta, hanno ora qualcosa di meglio della Spiegazione Familiare da considerare. D’ora in poi si impadroniranno della “Queer Explanation“, scritta da S. O.: non la dovranno distorcere in un altro senso se non quello che realmente ha, e così possono provare da essa che la loro fede in Cristo e in tutti i fatti della sua vita divina sia precisamente la stessa di quella dei Cattolici e, così come tutti i protestanti credono che tutti i Cattolici che vivono la loro fede siano salvati, così, allo stesso modo, anche tutti i protestanti che mantengono costante la loro fede in Cristo, ora crederanno di essere salvati, proprio perché la loro fede in Cristo è la stessa di quella dei Cattolici. Coxe e Fulton ora rassicureranno tutti i loro fratelli protestanti di non avere paura della sentenza finale dell’Eterno Giudice; poiché le sue parole: « … vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità! » (Luca, XIII, 26-27), saranno rivolte non ai protestanti, ma solo ai cattivi Cattolici. Che speranza consolante per i protestanti al giudizio particolare e generale! Coxe e Fulton e i loro fratelli protestanti non conoscono Cristo e la sua dottrina così come insegnata dalla Chiesa Cattolica; e quindi « … poiché nessun uomo sarà condannato a causa della sua ignoranza, né protestante né pagano, … » saranno tutti salvati quelli che muoiono nella loro ignoranza. Questo è abbastanza sicuro secondo la logica di S. O. E quindi non nutrono neanche il minimo dubbio circa la loro salvezza: « Ogni protestante sincero, timorato di Dio, e persino ogni pagano timorato di Dio, non ha che da sollevare, nell’ora della morte, il suo cuore a Dio, suo Creatore, e riconoscere i suoi peccati e le sue offese a Dio con una vera contrizione, e chiedere perdono ed aggiungere sempre: … confidando nei meriti di Gesù Cristo mio Salvatore, oppure,  … per amore del mio Redentore, che è morto sulla croce per me … , e questo ottiene loro sicuramente il perdono di Dio. » – Che potere meraviglioso viene attribuito a queste parole da S. O.! E perché Coxe e Fulton non dovrebbero farle conoscere al loro popolo? Vedete, secondo l’oracolo infallibile di S. O., quelle parole sono parole sacramentali, che producono i loro effetti ex opere operato, cioè esse, non appena vengono pronunciate, producono insieme la Fede Divina, la vera Speranza cristiana, la perfetta contrizione che procede dalla perfetta Carità, e costringono Dio Padre e Dio Figlio e Dio Spirito Santo ad entrare nell’anima e ad unirsi con essa nel modo più intimo, rimanendo così uniti con essa per l’eternità in cielo! E se nello stesso tempo molte amare grida salgono a Dio per impetrare perdono, le parole di cui sopra produrranno pure questo altro effetto meraviglioso perfino nell’anima del Protestante, « … che, pur riconoscendo così tanto la verità della Religione Cattolica, non ha avuto sfortunatamente il coraggio delle sue convinzioni e quindi di accettarla! È un peccato grave impugnare la verità conosciuta (peccato contro lo Spirito Santo, che … non verrà perdonato né in cielo né in terra … ci dice Gesù-Cristo! – ndt. -) ma per quanto sia grave, anche quello così come ogni altro peccato gli sarà perdonato;  non importa quale sia la sua religione, per chi fa un atto di perfetta contrizione e ha la volontà di rispettare ogni altra condizione che un Dio misericordioso impone come condizione di perdono, sebbene possa non sapere esplicitamente quali siano queste condizioni, e … nonostante la Spiegazione della Dottrina Cristiana , non c’è condanna! ». Che strada facile e larga per il paradiso! S. O., dice ad ogni uomo, non importa quale sia la sua religione, di innalzarsi al cielo come l’uomo che ha cercato di sollevarsi in aria afferrando le stringhe dei suoi stivali! Ahimè! Quale dei due, Coxe o S. O., è più obnubilato, e soffre di più di strabismo mentale? Quale dei due, Fulton o il « prete più eminente famoso degli Stati Uniti », è l’uomo più infatuato e demente?. Quale dei tre, SO, o Coxe, o Fulton, soffre di più di rammollimento cerebrale? Quale dei tre si permetterà di attivare maggiormente il ciclone di tanti errori ed eresie? Quale dei tre è stato sollevato di più dai suoi piedi, ed è « il cappello di tutti gli sciocchi ». (Shak.). – Ahimè! l’articolo “Queer Explanation“, scritto da S. O. a favore dei protestanti, purtroppo farà gran danno, non solo ai Cattolici liberali, ma anche ai protestanti sinceri che cercano onestamente la verità; così in tutte le dichiarazioni di uomini come Coxe e Fulton, programmate per confermarli nei loro errori e per far credere loro che possano essere salvati fuori dalla Chiesa Cattolica; eppure il Rev. Padre Cronin dichiara solennemente che era assolutamente necessario! e il Rev. A. Young è della stessa opinione! – Leggiamo nelle Sacre Scritture che il Vescovo di Pergamo, sebbene abbastanza ortodosso, non usava abbastanza energicamente la spada della Parola di Dio, con la quale era armato per opporsi a certi falsi e perniciosi princîpi del suo tempo e della sua nazione, e diffidava i Cristiani dal seguirli. Infatti succedeva che quei princîpi errati si diffondevano più rapidamente e infettavano anche molti Cristiani. Per questa negligenza e le sue cattive conseguenze, il Vescovo viene severamente rimproverato da nostro Signore, che minacci lui e il suo gregge della punizione eterna, se non si pentono. (Apocal. II, 10, 16). – Nubi oscure di errore e di debolezza nella fede si sono addensate fittamente intorno a noi dal tempo della cosiddetta Riforma. È dovere speciale dei Sacerdoti disperdere queste nuvole parlando liberamente e chiaramente delle grandi verità della nostra Religione, specialmente sulla grande verità fondamentale, vale a dire: che la nostra Religione è rivelata da Dio e che la sua rivelazione è contenuta in un insegnamento divino di infallibile Autorità, e che nessuno sarà salvato senza essere disposto ad accettare questa autorità di insegnamento – la Chiesa cattolica – come sua guida sulla strada per il Paradiso. Su queste grandi verità, i Sacerdoti devono parlare con una fede viva, con un linguaggio ardente di amore per quelle verità, con parole, opere,  miracoli, cioè con parole che creino nella mente degli ascoltatori una convinzione così profonda delle verità della nostra Religione, e che al tempo stesso accendano nei loro cuori un così grande amore per esse, come sono propensi a fare coloro che credono e vivono fino in fondo queste verità con una santa gioia ed un diletto spirituale. Questo è, in effetti, ciò che Gesù Cristo si aspetta che ogni Sacerdote faccia, specialmente ai nostri tempi, quando la fede nelle grandi Verità della nostra santa Religione si indebolisce ogni giorno, non solo tra le classi più elevate della società, ma anche tra le classi inferiori, soprattutto tra giovani uomini e giovani donne. Ma ahimè! il divino Maestro è tristemente deluso da tutti quei Sacerdoti che parlano così freddamente di Lui e della sua dottrina tanto da far credere che la loro fede sia piuttosto debole. Tale freddezza si trova generalmente in coloro che, considerandosi dotti e sapienti, si affidano troppo alla propria opinione ed al proprio giudizio in materia religiosa. Questi sono guidati solo dai propri lumi, e per mancanza di umiltà non esitano ad elevarsi più in alto della ragione umana. Così trascorrono tutta la loro vita nella pochezza delle loro idee e dei loro sentimenti – una piccolezza pure incredibilmente in tutto ciò che riguarda le grandi Verità della nostra Religione. – Tali uomini hanno l’abitudine di pensare sempre innanzitutto come possa un principio, o una pratica, o un fatto, essere al pubblico più accettabile. Questa abitudine, all’inizio quasi impercettibile, li conduce alla profanazione, e facilmente produce lo spirito di liberalisimo e di razionalismo in questioni di Fede. Il loro gusto troppo delicato e schizzinoso ha troppa considerazione per i sentimenti di una certa classe di persone. Siamo consapevoli che la carità cristiana ci richieda di avere il dovuto rispetto per i sentimenti del nostro prossimo, e siamo profondamente convinti che nessuno sia mai stato ancora affrontato con mezzi ben decisi. La carità, tuttavia, non solo non è incompatibile con la Verità, ma richiede sempre che l’intera Verità sia esposta bene, specialmente quando il suo nascondimento è causa di errore, o di perseveranza nell’errore e nel peccato, anche nelle questioni di più grande importanza. Quindi, a giudicare dalle opere dei nostri più grandi teologi cattolici, sembra che il teologo più profondo sia un uomo che non ceda al desidero studiato di rendere le difficoltà facili ad ogni costo, e ancor meno di negare ciò che è positivamente de fide. Si gestisce la verità religiosamente e coscienziosamente solo nel modo in cui Dio è lieto di comunicarla a noi, piuttosto che vedere quello che si possa fare da soli plasmandola con polemica, e così, a forza di abili manipolazioni, considerarla come una difficoltà. Senza dubbio, tutti questi preti non sono in armonia con lo spirito della Chiesa e dei Santi. Essi fanno molto male, non solo a se stessi, ma anche a coloro che entrano in contatto con loro. Con il loro esempio e con i loro princîpi precipitano nell’errore quelle persone che facilmente si lasciano guidare da essi, dimenticando il consiglio di San Giovanni Apostolo: « … Non credere in ogni spirito, ma prova gli spiriti, se sono di Dio ». (I. Giovanni, IV, 1). Devo solo aggiungere che sottopongo tutto questo e qualunque altra cosa abbia scritto, al giudizio superiore dei nostri Vescovi, ma soprattutto alla Santa Sede, desideroso con ansia di non pensare, di non dire nulla, di non insegnare null’altro se non ciò che sia approvato da coloro ai quali è stato affidato il sacro deposito della Fede, da coloro che vegliano su di noi e devono rendere conto a Dio delle nostre anime, a coloro che sono i Pastori di quella gloriosa CHIESA, fuori dalla quale … non c’è mai stata, già dal momento della sua istituzione, né c’è, né mai ci sarà, nessuna salvezza! Ave a te, cara e sempre benedetta Madre, tu che solo sei stata scelta: una, amata, Sposa adornata, Sposa casta, Sposa Immacolata, Regina Universale! Tutti ti salutiamo! Ti onoriamo, perché Dio ti onora; noi ti amiamo, perché Dio ti ama; ti obbediamo, perché tu ci comandi la volontà del tuo Signore. I passanti possono deriderti; i servi del principe di questo mondo potrebbero chiamarti tenebra; i figli degli incirconcisi possono scuoterti; la terra e l’inferno possono insorgere contro di te e cercare di spogliarti dei tuoi ricchi ornamenti e di confondere il tuo bel nome; ma tanto più cara tu resti ai nostri cuori; tanto più profondo e sincero è l’omaggio che ti porgiamo; e tanto più intensamente ti preghiamo di ricevere le nostre umili offerte, e di possederci come tuoi figli e vegliare su di noi, affinché non perdiamo mai il diritto di chiamarti nostra Madre.

[FINE]

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (17)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (17)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 11. S. O. PORTA FUORI DALLA STRADA PER IL CIELO I PAGANI ED I PROTESTANTI DI OGNI DENOMINAZIONE.

“Quello che lui (il Cattolico) fa, e ciò per cui sicuramente ottiene il perdono di Dio – dice ancora S. O. – è proprio ciò che in realtà fa ogni protestante sincero e timorato di Dio e, io vado oltre e dico, pure tutti i pagani timorati di Dio che non hanno mai sentito parlare di Chiesa, di Bibbia o di Cristo – e, che nella carità di Cristo, che è morto per tutti i peccatori, spero e prego che facciano: alzare il proprio cuore a Dio loro Creatore, riconoscere i propri peccati e le offese contro Dio con vera contrizione di cuore chiedendo perdono, e il protestante, come il Cattolico, aggiungendo sempre « confidando nei meriti di Gesù Cristo, mio ​​Salvatore », o « per amore del mio Redentore, che morì sulla croce per me. » –

Padre Muller: Qui avete un oracolo della più grande saggezza che sia mai stata pronunciato da S. O.. Vedete, come egli dichiari che un pagano peccatore peccaminoso, o un peccatore protestante morente, sia nella stessa condizione di un peccatore Cattolico morente, e se questi, come il Cattolico peccatore, fa un atto di contrizione, chiede perdono e si fida dei meriti di Cristo, egli (il peccatore protestante morente) ottiene sicuramente il perdono. Siccome S. O. non trova alcuna differenza tra Fede Divina ed umana, così, allo stesso modo, non vede alcuna differenza tra la condizione di un peccatore Cattolico morente e quella di un peccatore protestante morente, sebbene la differenza sia maggiore della distanza che corre tra il Paradiso e la terra. Il peccatore Cattolico ha una Fede Divina, e alla luce di questa Fede egli sa bene fino a che punto abbia sbagliato agli occhi di Dio. La sua speranza nei meriti di Cristo si basa sulla sua Fede Divina, e quindi è questa una “Speranza Divina”: questi due requisiti sono assolutamente necessari per ottenere la Grazia Santificante. Infatti la Chiesa, nella sua preghiera per un Cattolico morente, dice: « O Signore, sebbene egli abbia peccato, tuttavia non ha negato il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; ha conservato la Fede ed ha fedelmente adorato Dio. » Tutto ciò che Dio deve concedere al peccatore Cattolico morente, se questi non può ricevere l’assoluzione del Sacerdote, è la grazia del dolore perfetto, che è spesso concesso a causa delle preghiere e dei sacrifici della Chiesa, dalla quale non è escluso nemmeno da peccati gravi. Inoltre, per ottenere questa grazia del vero dolore, il peccatore Cattolico prega, almeno nel suo cuore, rivolgendosi a Dio e alla Beata Madre di Dio di cui conosce il grande potere di intercessione presso Gesù Cristo, conosce quanto Ella sia misericordiosa nei confronti dei peccatori più abbandonati se la invocano nelle loro preghiere per una felice morte. Se è abbastanza felice di avere con lui un Prete per assisterlo, sebbene la Confessione possa essergli impossibile per determinate ragioni, tuttavia, avendo il vero desiderio di confessarsi, e almeno il dolore imperfetto (attrizione) per i suoi peccati, il Sacerdote può dargli l’assoluzione, con la quale viene compensato il difetto del suo dolore, e condonata la punizione eterna. Il Prete gli impartisce l’Estrema Unzione, che lo aiuta meravigliosamente a morire in modo sereno. – Quanto diverso è il caso di un protestante morente! Supponiamo che alcuni protestanti e alcuni Cattolici abbiano avuto un incidente. Essi sono in una condizione di morte imminente. Viene chiamato un Prete: egli può dare l’assoluzione ai Cattolici morenti, ma non gli è permesso di dare l’assoluzione ai protestanti, nemmeno condizionatamente, perché, come dice Sant’Alfonso, generalmente hanno una grande avversione per il Sacramento della Penitenza. – Inoltre, la fede del protestante non è divina: essa è tutta umana. Ma dove non c’è Fede Divina, non può esserci una pari Speranza, come Dio richiede prima di poter conferire all’anima il dono della Grazia Santificante. Per salvarsi, quindi, un tale protestante, Dio dovrebbe concedergli anche il dono più straordinario che è quello della Fede Divina e tutte le altre disposizioni necessarie per ottenere il perdono e la Grazia della giustificazione. La condizione di un protestante morente è, quindi, molto diversa da quella di un Cattolico morente. – Si ricordi bene, quindi – caro Signor Oracolo – che il perdono dei peccati può essere ottenuto solo nella Chiesa Cattolica. « Colui che non ha la vera fede – dice San Fulgenzio – non può ricevere il perdono dei suoi peccati, quindi dobbiamo credere che da nessun’altra parte che nel seno della Chiesa, nostra Madre, i convertiti possano ottenere il perdono dei peccati. Fuori da questa Chiesa ci può essere sì il Battesimo, ma esso in tal caso non è utile per la salvezza, e quindi tutti coloro che sono fuori della Chiesa ricevono il perdono solo dopo essere entrati in questa stessa Chiesa con vera fede ed umiltà,} se vogliono essere salvati. » (Lib. I. de Remissione Peccat., cap. 5 e 6).  « Dobbiamo sapere – dice san Gregorio Magno – che il perdono dei peccati può essere concesso solo nella Chiesa Cattolica, finché viviamo in questo mondo, e siamo davvero pentiti di essi ». (Lib. XVIII, Moral., Cap. 14). Per consolare i protestanti che muoiono, il Signor Oracolo (S. O.) continua dicendo: « … E molte grida amare di perdono salgono a Dio da molti protestanti, aleggiando l’angelo della morte su di loro perché essi, conoscendo così tanto della verità della Religione Cattolica, non sono riusciti ad avere il coraggio delle loro convinzioni, ed è un grave peccato “impugnare la verità conosciuta” [peccato contro lo Spirito Santo –ndt.-], ma per quanto sia grave, anche questo come ogni altro peccato gli sarà perdonato, a prescindere dalla sua religione, se compie un atto di perfetta contrizione con la volontà di rispettare ogni altra condizione che Dio misericordioso impone come condizione del perdono, sebbene possa egli non sapere esplicitamente quali siano queste condizioni e, a dispetto di questa “Explanation …” della Dottrina Cristiana, non c’è nessuna condanna ». – Sfortunatamente S. O. ha dimenticato di dire ai protestanti morenti, nel fornire loro il calmante che cancellerebbe il peccato dalle loro anime, che « … per rialzarsi dallo stato di peccato mortale – dice San Tommaso – si devono riparare le tre perdite spirituali che si sono prodotte sull’anima: 1° la prima, è la perdita dello splendore della grazia divina per l’enormità del peccato. Lo splendore e l’ornamento dell’anima erano i raggi brillanti della luce divina che splendevano su di essa e che non possono mai essere ripristinati, se non dalla luce e dalla grazia di Dio. 2° In secondo luogo, per rialzarsi dallo stato di peccato mortale è necessario riparare anche la contaminazione della natura umana da parte di una volontà corrotta e depravata. La volontà, per la sua depravazione alienata da Dio, non potrà mai più riunirsi a Lui se non con il potere e l’efficacia della Grazia. 3° Terzo, risorgere dallo stato di peccato mortale è ancora riparare il debito della punizione che è la dannazione eterna. Il perdono e la remissione non possono essere ottenuti se non da Colui che è stato oltraggiosamente offeso dal peccato mortale. È quindi impossibile per l’uomo rialzarsi con i propri mezzi naturali dallo stato del peccato, così come lo è per un corpo morto risollevarsi da se stesso dalla tomba. Quindi Sant’Agostino dice che, « … quando Dio converte, per la sua grazia, un peccatore, compie un lavoro più grande di quello che ha compiuto creando il cielo e la terra. » Ma Dio compie questo miracolo straordinario per ogni peccatore nella sua ultima ora, a prescindere dalla sua religione, se si recita l’atto di contrizione di S. O.? Egli dice che questo atto di contrizione sia davvero nel potere dell’uomo; ma avere la vera contrizione perfetta è solo un miracolo della potenza e della misericordia di Dio; è uno dei più grandi doni di Dio e Dio non può dare questo dono senza conferire la conoscenza delle necessarie verità di salvezza e della Fede Divina, la fiduciosa speranza basata sulla Fede Divina e tutte le altre disposizioni soprannaturali dell’anima per ricevere la Grazia della Giustificazione. Se un pagano o un protestante riceve una tale straordinaria grazia di conversione e muore in essa, egli viene salvato non come un pagano o un protestante, ma “propriamente” come un Cattolico. Questo lo diciamo distintamente nella nostra “Explanation… ”; ma il nostro aspirante teologo afferma disonestamente che noi diciamo il contrario; poiché dice: «e nonostante questa Spiegazione della Dottrina Cristiana, non c’è condanna ». Strano, perché un po’ dopo è costretto a confessare la sua disonestà. – Il diritto di vedere Dio, l’Essere infinito in se stesso, appartiene solo a Dio; e nessuna creatura o essere finito, come tale, può avere alcuna pretesa per quella beatitudine infinita, né, di conseguenza, per nessuno dei mezzi che conducono ad essa. Siccome la felicità eterna, il possesso di Dio, o qualsiasi altra cosa che porti ad esso, non appartiene alla natura dell’uomo, Dio non ha alcun obbligo di elevarlo ad uno stato in cui sia reso capace di vedere e godere del suo Creatore, più di quello per cui Egli debba innalzare una pietra alla natura di un animale. Con la sua forza naturale l’uomo, come abbiamo visto, può acquisire molta conoscenza di Dio; può riconoscere Dio come Autore e conservatore del suo essere e amarlo come tale. Ma non può mai conoscerlo e amarlo meritando per questo di vederlo faccia a faccia. Per questo, invece c’è bisogno di una vita superiore a quella dell’uomo, – una vita che fluisca da Dio all’uomo, e attraverso la quale si stabilisca una relazione tra Dio e l’uomo, – una relazione attraverso la quale Dio adotti l’uomo come suo figlio. « Vedere l’Essenza divina – dice San Tommaso d’Aquino – è qualcosa di molto al di sopra delle facoltà dell’animo umano; anzi, è qualcosa di molto al di sopra delle facoltà naturali di un Angelo. L’anima, quindi, deve essere preparata per la contemplazione della Divinità. »  – « Se desideriamo che una cosa produca un effetto che è al di sopra della sua natura, dobbiamo prepararla con cura perché si produca un tale effetto. Se, ad esempio, desideriamo rendere rovente l’aria, dobbiamo aumentarne gradualmente la temperatura. Allo stesso modo, Dio deve preparare l’anima per rendere la sua Essenza accessibile alla sua intelligenza, e lo fa donandole il dono inestimabile della vera Fede, della Speranza e della Carità Divina. La Fede ci unisce a Dio, perché Egli è l’Autore di tutta la nostra felicità, e la carità ci unisce a Dio, perché ci mette in comunicazione diretta con l’Autore di tutti i doni e di tutte le grazie. « La carità di Dio è infusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo, che ci è stato donato. » (Rom. V. 5.) La Grazia di Dio è la vita eterna: la carità è una comunicazione reciproca, è l’amore tra Dio e l’uomo; queste esistono: in questa vita per grazia, e nell’altra per gloria. « Dio è carità; chi dimora nella carità, dimora in Dio e Dio in lui! » (I. Giovanni, IV, 16). – « I doni naturali, per quanto preziosi, non possono metterci in questo stato soprannaturale di grazia, perché un effetto non può mai superare la sua causa: essa è prodotta in noi dallo Spirito Santo, che è l’amore del Padre e del Figlio, e fa che noi partecipiamo anche della Divina Sostanza.  Quelli, quindi, che lasciano il mondo e sono dotati di queste virtù divine, sono pronti a vedere Dio in una luce creata, chiamata la luce della gloria, ma morire senza queste virtù soprannaturali è come rimanere bandito per sempre dal volto del Signore ». (De Virtutibus.) – La vera carità ci proibisce di disprezzare coloro che sono nell’errore; al contrario, ci insegna a compatire e ad amarli. Ma c’è una grande differenza tra amare quelli in errore e amare l’errore stesso; c’è una grande differenza tra amare il peccatore e amare i suoi peccati. Non è nostro compito dire se questi o quello che non sia stato accolto nella Chiesa prima della sua morte sia dannato. Ciò che condanniamo è il protestante e il sistema pagano della religione, perché sono completamente falsi; ma non condanniamo nessuna persona! Dio solo è il Giudice di tutti. È abbastanza certo, tuttavia, che, se qualcuno di coloro che non sono ricevuti nella Chiesa prima della loro morte, entri in Paradiso, un fatto che desideriamo ardentemente e imploriamo Dio di concedere loro, essi possono farlo solo dopo essere stati sottoposti ad un cambiamento radicale e fondamentale, prima che la morte li conduca all’eternità. Questo è abbastanza certo, per la ragione, tra le altre cose, che non lo sono (cambiati); e nulla è più indiscutibilmente certo di questo, che non ci può essere divisione in cielo: « Dio non è il Dio del dissenso – dice San Paolo – ma della pace ». Egli non ha mai sopportato la minima interruzione dell’unione, nemmeno nella Chiesa militante sulla terra; e sicuramente non la tollererà nella Chiesa trionfante. Dio certamente rimarrà quello che è. I non cattolici, quindi, per entrare in Paradiso, dovrebbero cessare di essere ciò che sono e diventare qualcosa che ora non sono. Per quanto riguarda i Cattolici, il caso è molto diverso. Nessun cambiamento è loro necessario, eccetto ciò che sia implicito nel passare dallo stato di grazia allo stato di gloria. Saranno uno lì, come sono stati uno qui. Per essi il miracolo dell’unità soprannaturale è già operato. Quel marchio della mano di Dio è già su di loro; quel segno dell’elezione di Dio è già su di loro; quel segno dell’elezione di Dio è già scolpito sulla loro fronte. La Fede, infatti, sarà sostituita dalla visione, ma questo non sarà un vero cambiamento, perché ciò che vedranno nel prossimo mondo sarà ciò in cui hanno creduto in questo. Lo stesso Re sacramentale (per prendere in prestito un’espressione di Padre Faber), che qui hanno adorato sull’altare, sarà la loro porzione eterna. La stessa benevola Madonna, che li ha così spesso consolati nelle prove di questa vita, introdurrà i suoi figli alle glorie della prossima. Non dovranno, in quell’ora, « comprare olio » per le loro lampade, perché esse sono già accese alla lampada del santuario. Esse non si dovranno provvedere di un abito nunziale, perché lo hanno già ricevuto molto tempo prima nel fonte battesimale ed hanno lavato via le loro macchie nel tribunale della Penitenza. I volti dei Santi e degli Angeli non saranno per essi strani, perché ne hanno avuto familiarità fin dall’infanzia come loro amici, compagni e benefattori. Ed essendo così, anche in questo mondo, familiari nella fede e della famiglia di Dio, non solo alcun ombra del cambiamento deve intervenire in essi, ma neppure variare in una virgola da ciò che ora credono e praticano, semplicemente, cosa che li taglierebbe fuori dalla comunione dei santi, ed essere così l’evento più disastroso che potesse mai capitar loro.  – Senza dubbio, Dio, nella sua infinita potenza e misericordia, può illuminare anche nell’ora della morte chi non è ancora Cattolico, in modo che possa conoscere e credere alle verità necessarie alla salvezza, essere veramente pentito per i suoi peccati e morire in tale disposizione di anima, come è necessario per essere salvato. Costui, per una straordinaria grazia di Dio, cessa di essere quello che era; muore unito alla Chiesa e viene salvato non come protestante, ma come Cattolico. Ma è forse saggio per un protestante aspettarsi di essere salvato da un miracolo straordinario della potenza infinita e della misericordia di Dio? Il fatto che sia nel potere dell’infinita misericordia di Dio convertire un pagano o un protestante alla vera Fede, anche nella sua ultima ora, non deve mai servire da incoraggiamento, per pagani o protestanti avventati, nel continuare a vivere nell’infedeltà o nell’eresia, nella speranza che Dio non li mandi all’inferno, anche se continuano fino alla fine della loro vita a vivere nel paganesimo o nel protestantesimo; infatti, sarebbe una grande follia gettarsi in un pozzo profondo, nella speranza che Dio li salvi dalla morte solo perché è troppo buono per lasciarli morire; allo stesso modo, quindi sarebbe una follia ancor maggiore per un protestante, correre il rischio di morire nel protestantesimo, nella presunzione che l’infinita misericordia di Dio lo possa salvare dall’inferno rendendolo Cattolico anche nella sua ultima ora.  Teniamo, quindi, sempre presente ciò che dice il Dottore Angelico San Tommaso d’Aquino: « C’è un certo principio e una dottrina che non dobbiamo mai perdere di vista quando c’è in ballo una questione di salvezza: questo principio è che nessuna salvezza sia possibile per chiunque non sia unito a Gesù Cristo crocifisso per mezzo della Fede e della Carità divina », – « … che – come dice Sant’Agostino – non può trovarsi fuori dall’unità della Chiesa ». Dalla morte di Gesù Cristo, la Grazia Santificante è donata alle anime dei non battezzati mediante il Battesimo e alle anime dei Cristiani che hanno gravemente peccato, se non mediante il Sacramento della Penitenza: se una persona non può ricevere il Battesimo o la Penitenza in realtà, ed è consapevole dell’obbligo di riceverlo, deve avere il desiderio esplicito di riceverlo, ma, se non è consapevole di questo obbligo, deve avere almeno il desiderio implicito di riceverlo, e questo desiderio deve essere unito alla Fede Divina nel Redentore con un atto di perfetta carità o contrizione, che include il sincero desiderio dell’anima di rispettare tutto ciò che Dio richiede da essa per essere salvata. Questo atto di perfetta carità è un dono gratuito e una grazia straordinaria di Dio che non possiamo avere da noi stessi, è un grande miracolo di grazia, per cui Dio solo può compiere il miracolo che trasformi una persona, dall’essere un pagano o un eretico, in un Cattolico. Chiunque, quindi, muoia senza questo cambiamento miracoloso della sua anima, sarà perso per sempre.  – Il vescovo Hay pone la domanda: « C’è qualche motivo per credere che Dio Onnipotente spesso conferisca la luce della fede, o la grazia del pentimento, nell’ora della morte, a coloro che hanno vissuto tutta la loro vita nell’eresia o nel peccato? » – « Quel Dio – egli risponde – può in un istante convertire il cuore più inflessibile, sia alla vera fede, sia al pentimento, come si evince dagli esempi di San Paolo, del pubblicano Zaccheo, di San Matteo Apostolo, e molti altri, e, in particolare, di San Pietro, al quale in un istante si rivelò la divinità di Gesù Cristo, tanto che Egli disse quelle parole: « Beato sei tu, Simone Barjona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli ». (Matteo XVI, 17.) Che Egli possa farlo nell’ora della morte con la stessa facilità con cui possa farlo in qualsiasi momento della vita, non può essere messo in dubbio, come vediamo nel caso del buon Ladrone sulla croce: è lo stesso Dio onnipotente tutte le volte, ma dobbiamo renderci conto che ci sia ben poca ragione di pensare che questo sia il caso ordinario: non c’è infatti certamente il benché minimo motivo nella rivelazione per pensarla così … no, anzi la Scrittura avverte del contrario. Tutto ciò che si può dire è che, siccome Dio ne è in grado, Egli certo può farlo, e proprio poiché è misericordioso, può farlo, e questa possibilità è sufficiente ad impedirci di esprimere un giudizio sullo stato di ogni anima che ha lasciato questo mondo; ma sarebbe certamente il culmine della pazzia ed una palese tentazione di Dio, che una persona continui ad essere malvagia nella speranza di trovare tanta misericordia alla sua fine.

§ 12. S. O. DA CREDITO ALLA NOSTRA DOTTRINA CORRETTA, RIPRENDENDO LE SEGUENTI DOMANDE E RISPOSTE:

« D. È giusto, quindi, per noi dire che chi non è stato ricevuto nella Chiesa Cattolica prima della sua morte, è dannato?

R. Non, non lo è.

D. Perché no?

R. Perché non possiamo sapere con certezza cosa avvenga tra Dio e l’anima nel terribile momento della morte.

D. Cosa intendi con questo?

R. Voglio dire che Dio, nella sua infinita misericordia, può illuminare, nell’ora della morte, chi non è ancora Cattolico, così da poter vedere la verità della Fede Cattolica, è sinceramente pentito per i suoi peccati e sinceramente desidera morire di una buona morte.

D. Cosa diciamo di coloro che ricevono una grazia così straordinaria e muoiono in questo modo?

R. Diciamo di loro che sono uniti all’anima della Chiesa Cattolica e sono salvati ».

S. O. ci ha dato credito molto a malincuore, come è evidente da ciò che aggiunge subito dopo, vale a dire: « Tutto questo – egli dice – ha il vero suono della dottrina cattolica, ma contraddice, sia nello spirito che nella lettera, le citazioni fatte all’inizio di questo articolo, ma è meglio contraddirsi che non persistere nell’errore. » – S. O. sembra compiacersi nel pronunciare falsi oracoli. In primo luogo, ha falsificato la nostra risposta, tanto da non leggerne la fine: « … sinceramente desidera morire di una buona morte », ove invece è scritto: «  sinceramente desidera morire da buon cattolico ». Il più grande malfattore potrebbe naturalmente desiderare di morire di una buona morte; ma nessun protestante vorrà, nei suoi ultimi istanti, desiderare di morire da buon Cattolico, a meno che non abbia ricevuto, nell’ora della morte, quella grazia straordinaria di cui parliamo nella nostra risposta. Un giorno un gentiluomo protestante viene a trovarci. Per noi è un perfetto estraneo. Inizia subito a parlare di religione. Così gli abbiamo fatto circa sei domande, alle quali ha risposto bene. Dopo la sua ultima risposta, ha detto: « Capisco che devo diventare Cattolico, per essere salvato, ma mi piace fare il protestante all’inferno, piuttosto che essere Cattolico in Paradiso ». Non è, quindi, molto disonesto per S. O. falsificare la nostra risposta? – In secondo luogo, nella prima parte del nostro trattato abbiamo chiaramente dimostrato che la Chiesa insegna senza dubbi, che non c’è salvezza per coloro che muoiono senza essere uniti ad Essa. Ora S. O. afferma in modo enfatico che, nelle nostre precedenti parole, siamo in contraddizione con ciò che abbiamo chiaramente dimostrato essere una verità rivelata insegnata dalla Chiesa, e dice che è meglio per noi farlo, piuttosto che persistere nell’errore. Evidentemente, quindi, afferma che c’è salvezza fuori dalla Chiesa, e quindi si dimostra essere un eretico. – Terzo, per far sembrare che, con le risposte di cui sopra, noi avremmo contraddetto ciò che abbiamo esposto nella prima parte del nostro trattato, S. O. con la massima disonestà sopprime il proseguimento o la conclusione delle risposte di cui sopra. – La conclusione infatti, recita come segue:

D. Che cosa, dunque, attende tutti coloro che sono fuori dalla Chiesa Cattolica e muoiono senza aver ricevuto una grazia così straordinaria nell’ora della morte?

R. « L’eterna dannazione, come è certo che ci sia un Dio ». – « È abbastanza  chiaro da questa risposta che non abbiamo, né nella lettera né nello spirito, contraddetto ciò che avevamo già affermato, ma abbiamo, al contrario, nella lettera e nello spirito, confermato tutte le ragioni date per affermare la grande verità che nessuna salvezza sia possibile fuori dalla Chiesa Cattolica Romana. Ahimè! è possibile che S. O. si fosse reso colpevole di una simile disonesta viltà durante la festa del Santo Nome?!

§ 13. S. O. CATECHISTA.

« La nostra santa e vera Religione – dice – non soffrirà mai nel dire la verità con semplicità, carità, e soprattutto con accuratezza teologica, né ci sarà il minimo pericolo per i nostri figli di dire loro onestamente la verità sulle dottrine protestanti quando è necessario non menzionarle affatto, né è in linea con lo spirito della carità cattolica ispirare ai nostri giovan l’odio e il disprezzo nei confronti dei loro vicini protestanti ». – Poco tempo fa un Arcivescovo degli Stati Uniti ha detto, alla presenza di diversi sacerdoti: « Non è strano che così tanti nostri giovani Cattolici, che sono stati educati in certi college Cattolici, siano o diventino perfetti infedeli poco dopo averli lasciati? » Una certa signora un giorno mi disse che poteva menzionare almeno ventiquattro giovani delle migliori famiglie della sua città, che erano diventati davvero infedeli quando avevano lasciato il collegio cattolico dove avevano ricevuto la loro istruzione. Questo è un fatto molto triste. Come si spiega? Si potrebbe  spiegare questo andazzo nel caso in cui proprio S. O. fosse l’insegnante di Catechismo in quelle università. Egli così insegnerebbe il catechismo protestante in modo ammirevole, almeno molto meglio del Catechismo Cattolico. Almeno si può essere certi che non insegnerebbe che « … non c’è salvezza fuori dalla Chiesa cattolica ». Potrebbe utilizzare un piccolo catechismo tutto suo, nel quale si cercherebbe invano una vera spiegazione del nono articolo del Credo, del Sacramento della Penitenza, della dottrina sulla necessità della Grazia per essere salvati, ecc. ecc. Tuttavia, direbbe la verità 1. con semplicità, cioè, per esempio, che i protestanti credono in Cristo proprio come ciò che crede il Cattolico; 2. con carità, sopprimendo quelle verità che potrebbero ferire i sentimenti di onesti studenti protestanti; 3. con accuratezza teologica facendo credere a tutti i suoi allievi che i protestanti credono a tutti i fatti della vita di Cristo allo stesso modo dei Cattolici. Non menzionerebbe la differenza che esiste tra Fede Divina e la fede umana, né tra verità ed errore, tra vero e falso Cristianesimo, ecc., Per la ragione che la spiegazione di questa differenza non sarebbe in armonia con lo spirito di carità cattolica, che gli proibisce di ispirare ai giovani l’odio e il disprezzo nei confronti dei loro vicini protestanti, con i quali, naturalmente, intende dire che è sbagliato ispirare ai giovani l’odio e il disprezzo dei princîpi del protestantesimo. Ciò su cui egli insisterebbe particolarmente è che ogni suo allievo dovrebbe conoscere bene a memoria il suo “meraviglioso” atto di contrizione, per mezzo del quale ognuno, indipendentemente dalla sua religione, e indipendentemente da quali siano i suoi peccati, otterrà il perdono e sarà salvato. – Ma ascoltiamo ora una autorità migliore sul tema della dottrina cristiana. Il Dr. O. A. Brownson, il famoso convertito e famoso revisore americano, un giorno ci ha detto: « Sono sorpreso dal fatto che molti dei giovani educati in alcuni college cattolici siano diventati degli infedeli. Non posso spiegarlo altrimenti se non presumendo che l’indottrinamento religioso non sia abbastanza solido; che il mondo pagano sia invece troppo letto e studiato; sono in voga quei principi un po’ troppo rilassati; che le verità della nostra Religione siano insegnate troppo superficialmente; che i princîpi che sono alla base dei dogmi non siano sufficientemente spiegati, inculcati e impressi sulle menti dei giovani, e che i loro educatori falliscano nel dare loro l’idea corretta dello spirito e dell’essenza della nostra Religione, che è basata sulla rivelazione divina e riversata in un corpo docente divinamente incaricato di insegnare a tutti gli uomini, in modo autorevole e infallibile, tutte le sue verità sacre ed immutabili, verità alle quali siamo quindi vincolati in coscienza nel riceverle senza esitazione. – « Ora quello che ho detto di alcuni collegi si applica anche, purtroppo, a molte delle nostre accademie femminili: queste non sono affatto ciò che dovrebbero essere, secondo lo spirito della Chiesa: si conformano troppo allo spirito del mondo; hanno troppe considerazioni umane: fanno troppe concessioni agli alunni protestanti, a spese dello spirito cattolico e della formazione delle nostre giovani donne cattoliche; concedono troppo allo spirito dell’epoca, in una parola, si occupano più dell’intellettuale che non della cultura spirituale delle loro allieve. « Ma ciò che è ancora più sorprendente di tutto questo, è che alcuni del nostro Clero Cattolico, e tra di loro anche alcuni di quelli che dovrebbero essere in prima linea nella lotta per i sani principi religiosi, vedono che i nostri giovani che sono allevati con cura da loro, sono troppo propensi a cedere allo spirito senza Dio dell’epoca, alle cosiddette concezioni liberali sull’educazione cattolica, che sono state chiaramente e solennemente condannate dalla Santa Sede. Ci dicono poveri nel mondo, se siamo trascurati nel far crescere i nostri figli come buoni Cattolici, ma siamo peggiori dei pagani se abbiamo rinnegato la nostra Fede, e se i nostri figli sono persi per la nostra negligenza, anche noi saremo perduti! Vorrei sapere se Dio vorrà mostrarsi più misericordioso con quelli del nostro Clero che si interessano così poco dell’istruzione religiosa della nostra gioventù; che fanno poca o nessuna fatica nell’istruzine nelle scuole cattoliche dove dovremmo avere i nostri figli adeguatamente istruiti; c’è chi, quando si mette ad istruirli, lo fa con un linguaggio ampolloso, in termini scolastici, che i bambini poveri non riescono a capire, senza prendersi la briga di dare loro istruzioni con parole semplici e in un modo attraente per i bambini. « Come è il pastore, così è pure il gregge; noi godiamo della piena libertà religiosa nel nostro Paese, tutto ciò di cui abbiamo bisogno sono dei buoni pastori coraggiosi, alfieri della causa di Dio e del popolo. Saremo lieti di seguirli, sostenerli e incoraggiarli con ogni mezzo in nostro potere, per quella enorme quantità di bene che potrebbe essere raggiunto in breve tempo! La nostra Religione non perde mai nulla della sua efficacia sulle menti e sui cuori degli uomini, può perderla solo per quanto non sia stata inculcata in loro. Ciò che si deve ricercare maggiormente non è l’argomento, ma l’istruzione e la spiegazione. « Riesco a malapena a giustificare questa mancanza di zelo per una vera educazione cattolica in tanti nostri Sacerdoti, che sono altrimenti modelli di ogni virtù, supponendo che il loro addestramento ecclesiastico debba essere stato carente sotto molti aspetti, o che debbano aver trascorso la loro giovinezza nelle nostre scuole pubbliche senza Dio, dove non sono mai stati completamente imbevuti del vero spirito della Chiesa Cattolica: lo Spirito di Dio ». – Ah! Questo grande filosofo cattolico ha dato, con parole molto semplici, la ragione per cui tanti giovani Cattolici siano diventati infedeli nei collegi molto cattolici in cui hanno ricevuto la loro educazione. La loro educazione non era abbastanza cattolica. Per rendere l’educazione più cattolica, è necessario avere Catechismi, Catechisti più Cattolici e più pratici, che spieghino in modo limpido la costituzione e l’autorità della Chiesa e i Grandi misteri della nostra santa Religione, e mostrino chiaramente che la salvezza è impossibile fuori dalla Chiesa Cattolica Romana. (Si veda cosa abbiamo detto su questo argomento nella nostra seconda edizione di “Familiar Explanation of Christian Doctrine“, pubblicata da Benziger Brothers.). In questo Paese, dove leggere, parlare, scrivere non ha regole o limiti, i Cattolici saranno nella tentazione quotidiana. Essi non possono chiudere gli occhi; e anche se potessero, non possono chiudere le orecchie. Quello che si rifiutano di leggere non possono non ascoltarlo. È la prova permessa per la purezza e la conferma della loro fede. Il processo è grave per molti. Affinché possano sopportare una prova così severa, essi devono essere preparati ad essa mediante un’approfondita istruzione nella Dottrina Cristiana, specialmente nelle verità fondamentali della nostra santa Religione.

[17. Continua … ]

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (16)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (16)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 9. QUELLI CHE CHIEDONO SINCERAMENTE LA VERA RELIGIONE.

Se nessuno, quindi, può essere salvato tranne che nella Chiesa Cattolica Romana, tutti coloro che ne sono fuori, sono destinati a diventare membri della Chiesa. Questo è ciò che il buon senso dice a tutti i non Cattolici. Negli affari mondani, i protestanti non presumono mai di agire senza un buon consiglio. Non compromettono mai i loro interessi economici o le loro vite, diventando essi stessi interpreti privati ​​e professionisti del diritto o della medicina. Benché i libri di diritto e quelli di medicina siano di fronte a loro, scritti da autori moderni, in un linguaggio chiaro ed esplicito, hanno troppo buonsenso pratico per tentare la loro personale interpretazione. Essi, infatti, preferiscono sempre rivolgersi ad avvocati e a medici esperti, accettando le loro interpretazioni e agendo secondo i loro consigli. Ora, ogni non Cattolico crede che ogni membro pratico della Chiesa Cattolica sarà salvato. Quindi, quando c’è in questione la salvezza eterna o la dannazione eterna, un uomo ragionevole dovrebbe prendere la via più sicura per il Paradiso. Fu per questo che Enrico IV di Francia si decise ad abiurare i suoi errori. Uno storico riferisce che questo Re, avendo convocato presso di lui una conferenza di dottori di entrambe le chiese, e vedendo che i ministri protestanti concordavano unanimamente nell’asserire che la salvezza fosse raggiungibile nella Religione Cattolica, si rivolse immediatamente ad un pastore protestante nel modo seguente: « Ora, signore, è vero che le persone possono essere salvate nella Religione Cattolica? » – « Certo che lo è, sire, a patto che la rispettino » – « Se è così, – disse il monarca – la prudenza esige che io debba essere nella Religione Cattolica, non nella tua, visto che nella Chiesa Cattolica io posso essere salvato, come anche tu ammetti, mentre se rimango nella tua, i Cattolici sostengono che non posso essere salvato. Sia la prudenza che il buon senso raccomandano che io debba seguire il modo più sicuro, e quindi mi propongo di farlo  ». Alcuni giorni dopo, il Re fece la sua abiura a St. Denis. (Guillois, II, 67.). – Cristo ci assicura che la via per la vita eterna è stretta ed è battuta da pochi. La Religione Cattolica è quella via stretta per il Paradiso. Il protestantesimo, al contrario, è quell’ampia via per la perdizione battuta da così tanti. Chi si accontenta di seguire la folla, si condanna prendendo la strada larga. Un uomo dice: « Mi piacerebbe credere, ma non posso. » Dici che « non puoi credere »! Ma cosa hai fatto, quali mezzi hai impiegato per acquisire il dono della fede? Se hai trascurato i mezzi, mostri chiaramente che non desideri il fine. – Dio ha elogiato il suo servo Giobbe. Diceva di lui: « Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male » (Giobbe, I. 8.) Non c’è nulla che renda un’anima più accettabile a Dio della semplicità e sincerità del cuore nel cercarlo. D’altra parte, per Lui non c’è nulla di più detestabile di un uomo dalla doppia mentalità, che non cammina sinceramente con il suo Dio: « Guai a quelli che hanno un cuore doppio, … e al peccatore che sulla terra segue due strade. » (Eccles, II, 12). Un tale uomo non dovrebbe aspettarsi che il Signore lo illumini e lo diriga. Il nostro Salvatore ci assicura che il suo Padre celeste si fa conoscere dai piccoli, cioè da coloro che ricorrono a Lui con un cuore semplice e sincero. Questa sincerità e rettitudine di cuore con Dio sono particolarmente necessarie per colui che è alla ricerca della vera Religione. Vediamo intorno a noi sette innumerevoli, che si contraddicono l’una con l’altra; vediamo l’uno che condanna ciò che l’altro approva, e approva ciò che gli altri condannano; vediamo alcuni che abbracciano certe verità divine e altri che respingono quelle verità con orrore, come dottrina dei demoni. Ora il buon senso dice a tutti che entrambe le parti non possono avere ragione; che la vera Religione non può essere da entrambe le parti. Tra tale confusione di opinioni, la mente è naturalmente incapace di scoprire la vera Chiesa nel cui seno si trovi la verità. Nella ricerca del vero, si trovano immense difficoltà. C’è il pregiudizio, gli effetti della formazione iniziale, del lungo insegnamento, delle letture e della vita nel mondo. È il risultato di impressioni quasi impercettibili, eppure per la loro forza, costituiscono un ostacolo che in molti casi sfida ogni sforzo umano nell’essere rimosso. È come la neve che inizia a cadere nell’oscurità, al tramonto, sui tetti e sulla strada, a piccoli fiocchi che scendono silenziosamente per tutta la notte, e al mattino i rami si piegano, le porte sono bloccate, il traffico sulla strada e sulla ferrovia è impedito. Lì, ancora c’è il favore degli amici, la paura di ciò che dirà il mondo, l’interesse mondano e simili. Tutti questi fattori saranno messi in atto dal nemico delle anime per accecarne la comprensione, affinché non possano vedere la verità e per deviare dalla volontà di abbracciarla. – Nient’altro che una particolare grazia dal cielo può illuminare la mente per percepire la luce della verità attraverso tali nubi di oscurità e rafforzare la volontà con coraggio per abbracciarla, nonostante tutte queste difficoltà. È, senza dubbio, la volontà di Dio, « … il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità » (I Tim., II, 4); ma è anche la volontà di Dio, che, per venire a questa conoscenza, gli uomini devono cercarlo con un cuore sincero e retto, e questa sincerità di cuore deve mostrarsi nel loro desiderio sincero di conoscere la verità: « Beati sono coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. » Quindi devono lavorare diligentemente per scoprire la verità, usando ogni mezzo in loro potere per quello scopo. La negligenza nelle indagini delle prove della nostra Fede, che sono grandiose, fa sì che l’ignoranza di molti sia altamente peccaminosa. La facoltà di comprendere è stata data all’uomo perché gli permettesse di abbracciare le verità sante e salutari. La negligenza in questo è degna di dannazione, e siccome tutto tende facilmente al suo fine naturale, così la nostra naturale virtù intellettuale è più vicina a trovare Dio di quanto essa non trovi il suo contrario; Dio infatti è sempre pronto ad aiutare coloro che lo cercano con un cuore buono e onesto, come vediamo in Cornelio, un Pagano al quale, vivendo egli religiosamente e temendo Dio, San Pietro fu inviato a convertire lui e tutta la sua famiglia. « Dio – dice San Tommaso d’Aquino – invierà un Angelo a un uomo ignorante della legge cristiana, ma che vive con retta coscienza, per istruirlo nella Religione cristiana, piuttosto che lasciarlo perire a causa della sua incolpevole ignoranza ».  – In riferimento a questa questione, il signor Pelisson, un famoso convertito alla nostra santa Religione, dice: « Ti giustificherai con Dio Onnipotente, come Giobbe? Egli ti confonderà; immaginerai che molte cose siano a tuo favore con Dio, e tu dici di aver fatto ciò che era in tuo potere. Il Signore ti farà vedere che tu non hai fatto che una parte di ciò che avresti dovuto e potuto fare. Più di tutto forse hai desiderato di piacere a Dio? Più di tutto hai amato ardentemente Dio? Più di tutto ti è piaciuto conoscere le verità che Egli ha rivelato? La tua mancanza dello spirito di penitenza, o il tuo spirito di vanità, o la tua durezza di cuore, non hanno forse messo un ostacolo alle luci celesti che Dio desiderava infondere nella tua mente? Dì ciò che ti piace, come me, che sono stato condotto dalla sua infinita misericordia alla sua Chiesa, perché io so che non ho fatto una millesima parte di ciò che avrei potuto fare per ottenere questa grande grazia dalla sua infinita misericordia.» (Vedi Cursus Completus Theologiæ, vol. IV., P 293.). –  Ci sono leggi per regolare la volontà e gli affetti dell’uomo, e quindi ci sono anche delle leggi per fissare dei limiti alla sua comprensione, onde determinare cosa si dovrebbe credere e cosa si dovrebbe non credere; e quindi l’ignoranza è dannosa, perché l’uomo dovrebbe attentamente indagare su ciò a cui debba credere; e quali leggi debba osservare; mentre la moltitudine corre, con tutte le sue forze, a peccare e a morire come suo ultimo fine, e non è strano che infine debba trovare la dannazione! – La prima e grande causa di tutti questi errori è la negligenza dell’indagine; e il secondo è l’avversione a credere a ciò che dovrebbe essere creduto di Dio e all’odio per le cose che illuminerebbero e convertirebbero l’anima. Se gli uomini non prestano attenzione né alle parole sante né ai miracoli, non è strano che rimangano nell’errore. Devono studiare la Religione con un sincero desiderio di scoprire la verità. Se desiderano scoprire la verità, non devono fare appello però ai nemici della verità. Devono consultare coloro che sono ben istruiti nella loro Religione e che la praticano. Il dovere è quello di consultare il prete. Egli spiegherà loro la vera dottrina della Chiesa Cattolica.  – Nella memorie del Vescovo Hay si afferma che egli si convertì alla nostra Chiesa nel 1749. Come protestante non mostrò mai alcuna tendenza cattolica, come è sufficientemente evidente dal fatto che nel fervore della sua gioventù, si era legato ad doppio voto: di leggere una parte della Bibbia ogni giorno e di fare del suo meglio per estirpare il Papato dal suo Paese natio. Un giorno andò da Edimburgo, dove aveva fatto i suoi studi per la professione medica, a Londra, dove sentì le dottrine della Chiesa Cattolica spiegate da un gentiluomo inglese, in un modo che eccitò la sua meraviglia. Da Londra si recò nell’Ayrshire, dove trovò una piccola opera ben nota, « Un papista rappresentato e travisato, o il duplice carattere del Popato. » I dubbi si erano eccitati nella sua mente, ma Mr. Hay non era un personaggio da mettere da parte i dubbi su un argomento tanto importante senza una dovuta accurata investigazione. Essendo questo il mezzo più sicuro per ottenere informazioni corrette sulla fede cattolica, decise di rivolgersi ad un Prete cattolico e si recò accolto da Sir Alexander Seaton, il missionario gesuita, allora residente ad Edimburgo. Da lui ricevette le informazioni desiderate e, dopo un lungo corso di istruzione, fu accolto nella Chiesa, il 21 dicembre 1749.  – La sincerità di cuore inoltre, deve mostrarsi in una risoluta decisione di abbracciare la verità ogni qualvolta che questa debba essere ricercata, qualunque cosa possa costare al ricercatore. Questo deve anteporre ad ogni considerazione mondana, ed essere pronto a rinunciare a tutto in questa vita: gli affetti dei suoi amici, una casa confortevole, i beni temporali e le prospettive negli affari, piuttosto che privare la sua anima di un così grande tesoro. – Il giornale di New York Freeman Journal, il 2 settembre 1854, pubblicava il seguente annuncio sul defunto generale Thomas F. Carpenter. Le parole di questo annuncio sono state scritte dall’ex governatore Laurence. Il generale, quando stava per diventare Cattolico, rese nota la sua intenzione ad un amico. L’amico, ovviamente, fu sorpreso e prospettava le spaventose conseguenze di una decisione così impopolare, dalla perdita della pratica professionale, all’alienazione degli amici, alle derisioni della folla, ecc. « Tutte queste benedizioni – rispose il generale Carpenter –possono ben superare tutti questi insulti. Mi possono disprezzare, ma io non posso permettermi che perda la mia anima immortale. » Il generale parlava così, perché sapeva e credeva fermamente in ciò che Gesù Cristo ha solennemente dichiarato, dicendo: « Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e colui che ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me » (Mt X, 37), e quanto alla perdita del guadagno temporale, rispose: « Che profitto trarrà un uomo se guadagnerà tutto il mondo, e poi debba soffrire la perdita della propria anima? » (Marc., VIII, 36.). Ma non sarebbe sufficiente per un tale Cattolico, averla solo nel cuore, senza professare pubblicamente la sua Religione? No; poiché Gesù Cristo ha solennemente dichiarato che «  … chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui il Figlio dell’uomo si vergognerà quando verrà nella sua maestà, e quella del Padre suo e dei santi Angeli ». (Luca, IX, 26.)  Ma potrebbe un tale rimandare la sua conversione in modo sicuro, ed essere accolto nella Chiesa giusto nell’ora della morte? – Ciò significherebbe abusare della misericordia di Dio e, per castigo di questo peccato, perdere la luce e la grazia della fede e morire da reprobi. Per ottenere il Paradiso, dobbiamo essere pronti a sacrificare tutto, anche le nostre vite. « Non temere coloro – dice Cristo – che uccidono il corpo e non sono in grado di uccidere l’anima, ma piuttosto temi colui che può distruggere sia l’anima che il corpo nell’inferno ». (Matt. X. 28.)  – Quante volte incontriamo uomini che ci dicono che sarebbero volentieri Cattolici, ma che è troppo difficile per essi vivere secondo le leggi e le massime della Chiesa! Sanno molto bene che se diventano Cattolici, devono condurre una vita onesta e sobria, devono essere puri, devono rispettare il santo Sacramento del matrimonio, devono controllare le loro passioni peccaminose; e questo non sono disposti a farlo. « Gli uomini amano le tenebre piuttosto che la luce – dice Gesù Cristo, – perché le loro opere sono malvagie ». Ricorda il noto proverbio: « Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire ». – Sono trattenuti dall’accogliere la fede, perché sanno che le verità della nostra Religione sono in guerra con le loro inclinazioni peccaminose. Non sorprende che queste inclinazioni debbano ribellarsi contro l’immolazione. Con la rinuncia della carne, si comprende e si sente che … si perde tutto, se venissero ascoltate e prese come regole di condotta le verità della fede; … che si debba rinunciare ai godimenti illeciti della vita, si debba morire al mondo e a se stessi e portare la mortificazione di Gesù Cristo nel corpo. – Al solo pensiero di questa crocifissione della carne e della concupiscenza, imposta a chiunque appartenga al Salvatore, l’uomo interamente animale è turbato, l’amor proprio suggerisce mille motivi per ritardare almeno i sacrifici che lo spaventano. La concupiscenza della carne, avendo il sopravvento, oscura le verità più semplici, attrae e appiattisce i poteri dell’anima; e quando, in seguito, la fede tenta di imporre la sua autorità, trova l’intendimento pregiudicato, la volontà sopraffatta o indebolita, il cuore tutto impregnato dal terreno; è duro, così, con la fede, ridurre l’anima al suo dominio. Coloro che ascoltano la concupiscenza della carne non diventeranno mai Cattolici.  – Infine, coloro che cercano la verità, devono mostrare la loro sincerità di cuore con fervore e una frequente preghiera a Dio, affinché possano trovare la verità e la via giusta che conduce ad essa. La Fede non è un semplice dono naturale; non è una virtù acquisita o un’abitudine: è qualcosa di completamente soprannaturale. L’uso corretto delle facoltà naturali può, in verità, preparare a ricevere la fede; ma la vera Fede, cioè quella per cui si crede con una convinzione incrollabile, all’esistenza di tutte quelle cose che Dio ha fatto conoscere, è un dono soprannaturale, un dono che nessuno può avere da se stesso; è il dono gratuito di Dio: « Per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da voi, ma è dono di Dio ». (Ephes. II, 8). Dio è un così grande bene, che noi non possiamo meritare e possedere questo bene qualsiasi cosa facciamo. Ora, è dal dono della Fede che abbiamo in qualche misura un barlume di tutto ciò che Dio è, e conseguentemente ci attacchiamo a questo Bene supremo, ed ecco: noi siamo salvati; possiamo dire con David, nel vero senso della verità, che, illuminandoci, il Signore ci salva: « Il Signore è mia luce e mia salvezza ». (Salmo XXVI, 1). Quindi è evidente che questo dono sia un dono gratuito di Dio, senza il minimo merito da parte nostra. Quando questa luce o grazia, risplende sull’intelletto, essa illumina la comprensione, in modo da renderla più certa delle verità che le vengono proposte. Ma questa semplice conoscenza della verità non è ancora il pieno dono della fede. San Paolo dice (Rom. I, 2) che i pagani conoscevano Dio, ma non gli hanno obbedito, e di conseguenza la loro conoscenza non li ha salvati. Si potrebbe pur convincere un uomo che la Chiesa Cattolica sia la vera Chiesa, ma a quel punto egli non diventerà Cattolico. Lo stesso nostro Salvatore era conosciuto da molti, eppure era seguito solo da pochi. La Fede, quindi, è qualcosa di più della conoscenza. La conoscenza è la sottomissione dell’intelletto alla verità; ma la Fede implica anche la sottomissione della volontà alla verità. È per questa ragione che la luce o la grazia della Fede devono muovere anche la volontà, perché una buona volontà è sempre necessaria alla Fede, poiché nessuno può credere se non sia disposto a credere. È anche per questa ragione che la Fede è ricompensata da Dio e l’infedeltà punita: « Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvato, ma chi non crede sarà condannato ». (Marc., XVI, 16). Nessun uomo ha la capacità naturale di entrare nella Chiesa, così come non ha la naturale capacità di salvarsi dopo esservi entrato. Tutto, prima e dopo, è opera di Dio. Non possiamo fare nulla da noi stessi, da soli, non possiamo fare nemmeno la prima mozione senza la sua grazia che ci incita e ci assiste. Inutile sarebbe stata la sua Chiesa – sarebbe stata una semplice presa in giro, o uno splendido fallimento – se non avesse provveduto al nostro ingresso e alla nostra salvezza di conseguenza. Ma Egli ha provveduto al nostro ingresso, e dona la grazia sufficiente a tutti gli uomini. La grazia della preghiera è data liberamente, gratuitamente, ad ognuno. Tutti ricevono la capacità di chiedere; tutti, quindi, possono chiedere, e se chiedono, poiché Dio non può mentire, riceveranno la grazia di ricercare; e se ricercano, la stessa Veracità divina è impegnata a che trovino, e se trovano, possano bussare; e se bussano, sarà loro aperto. Dio l’ha detto: Cristo è nella Chiesa; ma Egli è pure fuori di Essa. In Essa e fuori di Essa Egli è uno e lo stesso, ed opera sempre ad unitatem (cioè verso l’unità). È fuori dalla Chiesa per attirare tutti gli uomini nella Chiesa; tutti hanno, quindi, se lo fanno, l’assistenza del Dio Infinito per entrare, e se non entrano, è colpa loro. Dio non trattiene nulla del necessario, dona a tutti, per grazia, tutto il necessario e in sovrabbondanza. Infatti, Dio non si rifiuterà mai di conferire questo dono della Fede a coloro che cercano la Verità con un cuore sincero, fanno del loro meglio per trovarlo e pregano sinceramente con fiducia e perseveranza. Testimone Clodoveo, il re pagano dei Franchi. Quando egli, insieme con tutto il suo esercito, si trovava in grande pericolo di essere sconfitto dagli Alemanni, pregava come segue: « Gesù Cristo, tu di cui Clotilde (la moglie cristiana del Re) mi ha spesso detto che sei il Figlio del Dio vivente, e che dai aiuto a chi è in difficoltà e la vittoria a coloro che hanno fiducia in te! Io bramo la tua potente assistenza: se mi concedi la vittoria sui miei nemici, io crederò in te e sarò battezzato nel tuo Nome, perché ho invocato invano i miei dei, che devono essere impotenti, poiché non possono aiutare coloro che li servono Ora ti invoco, desiderando credere in te, quindi liberami dalle mani dei miei avversari! » – Non appena ebbe pronunciato questa preghiera, gli Alemanni furono presi dal panico, e subito dopo, vedendo il loro Re ucciso, chiesero la pace. Allora Clodoveo mescolò entrambe le nazioni, i Franchi e gli Alemanni che insieme tornarono a casa e diventarono Cristiani. – Testimonianza di F. Thayer, un ministro anglicano: Quando ancora era in forte dubbio e grande incertezza sulla verità della sua religione, iniziò a pregare come segue: « Dio di ogni bene, onnipotente ed eterno Padre delle misericordie e Salvatore dell’umanità, io ti imploro, per la tua sovrana bontà, di illuminare la mia mente e di toccare il mio cuore, ché, mediante la vera fede, speranza e carità, Io possa vivere e morire nella vera Religione di Gesù Cristo. Credo fiduciosamente che, poiché c’è un solo Dio, non può esserci che una sola Fede, una sola Religione, una sola via per la salvezza, e che ogni altro sentiero opposto, può condurre alla perdizione; questa via – o mio Dio! – io cerco ansiosamente di seguire e di essere salvato, perciò protesto, davanti alla tua divina Maestà, e giuro su tutti i tuoi attributi divini, che seguirò la Religione che tu mi rivelerai come la vera, e abbandonerò, a qualunque costo, quella in cui avrò scoperto errori e menzogne. Confesso che non merito questo favore per la gravezza dei miei peccati, per i quali sono veramente pentito, avendo offeso un Dio così buono, così santo e così degno di amore, ma, anche se non lo merito, spero di ottenerlo dalla tua infinita misericordia; e ti prego di concederlo a me per i meriti di quel prezioso Sangue che è stato versato per noi peccatori dal tuo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore, Egli che vive e che regna, ecc. Amen ». Dio non fu lento nell’esaudire una preghiera così sincera e fervida e Thayer divenne Cattolico. Chiunque vaghi ancora a tentoni nell’oscurità dell’infedeltà e dell’errore, preghi pertanto allo stesso modo, e il Dio di ogni luce e verità gli conferirà il dono della Fede in alto grado. È umano cadere nell’errore, ma è diabolico restarvi, ed angelico risorgere da esso, abbracciando la verità che conduce a Dio, la verità che è stata rivelata e conservata nella sua Chiesa. – Tutti possono avere la Chiesa per loro madre, se lo desiderano. Cristo è nella Chiesa, ma Egli è anche fuori dalla Chiesa. Nella Chiesa opera con la sua grazia per salvare coloro che vi entrano; fuori da Essa opera anche con la sua grazia, pronto ad operare nei cuori di tutti gli uomini, onde fornire loro la volontà e la capacità di entrare. Se non rispondiamo alla sua chiamata, la colpa ricade sulla nostra testa. Non abbiamo scuse, nemmeno la minima ombra di scusa. Il motivo per cui non veniamo, può essere solo perché non scegliamo di venire, resistiamo alla sua grazia, disprezziamo i suoi inviti, e non cediamo alle sue ispirazioni. Nessuna buona distinzione teologica, nessuna sottigliezza scolastica, nessuna ingenuità latitudinaria, può sollevarci dalla colpa o scusarci del fatto che potevamo venire, se fossimo stati così ben disposti. Se poi ci tiriamo indietro e andiamo persi, a quel punto siamo noi che ci siamo distrutti. – I sistemi settari sono dei vapori oscuri e mutevoli che oscurano la superficie dei cieli; e le loro masse eterogenee sono trasportate in innumerevoli forme fantastiche da ogni burrasca, « … da ogni vento di dottrina », come si esprime San Paolo. Nubi di eresia dopo nubi di eresia, si sono dissolte dopo la pioggia, o sono scomparse nei campi sconfinati dell’etere, – erano e non più sono, – mentre altri vapori occupano il loro posto, fugaci e non sostanziali. Ma, come un vasto e universale arcobaleno, la Chiesa sovrasta tutti i climi e le epoche cristiane; e, come quell’arco, Essa è una, ininterrotta, dovunque appaia. L’arcobaleno è immutabile, poiché la sacra Parola di Cristo, il suo Fondatore, si è impegnata nella sua perpetua stabilità.  – Sì, la Chiesa è ancora presente. Si espande, nella sua missione voluta dal cielo, ampliandosi e conquistando. – Solo nella Chiesa Cattolica ci sono certezza e sicurezza contro gli errori nella religione. Intorno a questa Roccia non vediamo altro che tempeste infuriate, nient’altro che disastrosi naufragi, l’indifferenza verso la Religione, la negazione di ogni vera adorazione, gli abomini dell’ateismo e dell’immoralità, la derisione delle cose sacre, il pietismo fanatico, la religiosità delirante, il razionalismo o la negazione di tutte le rivelazioni e di tutto ciò che è soprannaturale. Ogni non-Cattolico che cerca sinceramente di conoscere ciò in cui credere, chiunque desideri ottenere certezza in questioni religiose, deve prima o poi rivolgersi alla Chiesa come l’unica sorgente di certezza, l’unico guardiano della vera Religione, l’unica fonte di vera pace e felicità in questa vita e nella prossima.  – Ecco la grande massa dei nostri connazionali alieni dalla Chiesa di Dio. Perché non vengono e chiedono di essere ricevuti come figli ed eredi? Manca loro l’opportunità? È falso! Non mancano le opportunità. Dio non le nega a nessuno di loro, né nega la grazia necessaria. La Chiesa è qui; attraverso i suoi nobili e fedeli pastori, la sua voce risuona dal Maine alla Florida, dall’Atlantico al Pacifico. Come possono ascoltare senza che ci sia un predicatore? Ma hanno sentito; in verità la voce del predicatore è uscita in tutta la terra. Non hanno bisogno di dire, chi salirà in cielo per abbattere Cristo? La Parola è vicina a loro. Risuona in ogni orecchio; parla in ogni cuore. Sappiamo tutti che potrebbero venire, se lo volessimo. Da tutte le parti e da ogni grado e da ogni condizione, alcuni sono venuti e questi venendo hanno dimostrato che sia possibile che tutti vengano. Testimoni il defunto Mons. James Roosevelt Bailey, D. D., Arcivescovo di Baltimora; Mons. James Frederick Wood, D. D., Arcivescovo di Philadelphia; il Rev. William Tyler, compianto vescovo di Hartford, Conn.; il Rev. John Young, D. D., defunto Vescovo di Erie, Pa.; il Rev. Sylvester Horton Rosecrans, D. D., il defunto Vescovo di Colombus, O.; Rev. Mons. George H. Doane, V. G., di Newark, N.J., figlio del Vescovo protestante omonimo e fratello del vescovo Doane (Protestant Episcopal,) di Albany, N. Y.; il Rev. Thomas S. Preston, V. G., dell’Arcidiocesi di New York; Il Rev. J. Clark, S. J., ex professore di matematica a West Point, già generale di brigata all’Esercito degli Stati Uniti e presidente del Gonzaga College, a Washington; il Rev. Francis M. Craft, S. J., del Loyola College, Baltimore, Maryland; il Rev. James Kent Stone, C. P., Padre Fidelis della Croce, ex presidente dello Hobert e Kenyon College, Ohio; il Rev. E. D. Hudson C. S. C. editore di “Ave Maria”; il Rev. Isaac T. Hecker, C. S. P.; il Rev. Xavier Donald Macleod, D. D., autore della “Devozione alla BVM in Nord America”, ecc., ecc.; il defunto reverendo George Foxcroft Haskins, fondatore della casa dell’« Angelo Guardiano »; il Rev. Levi Silliman Ives, LL. D., ex vescovo protestante della Carolina del Nord; il Rev. George Goodwin, il secondo parroco di St. Mary’s Church, Charleston, Massachusetts; l’On. Thomas Ewing, senatore dell’Ohio e per qualche tempo segretario del Tesoro degli Stati Uniti; il Dr. Joshua Huntinton, il noto autore di “Rosemary”, “Gropings after Truth”, ecc.; James McMaster, Esq., Direttore del New York “Freeman’s Journal”; il Rev. Orestes A. Brownson, L.L. D., l’illustre recensore, che Lord Brougham avrebbe definito « la mente dell’America »; il Dr. Albert Myers, direttore del Boston Pilot, Howard Haine Caldwell, di Newbery, S. C., e il figlio del Cancelliere Caldwell, il Gen. Jones di Columbia, S. C., il Rev. Clarence A. Walworth, autore di « The Gentle Sceptic », ecc .; Miss Mary Agnes Tincker, autrice di « Grapes and Thorns », « House of Yorke » e « Signor Monaldini’s Niece »; Seton, fondatrice delle Suore della Carità in America, la signora Judge Tenny, nata Sarah M. Brownson, la signorina Francis C. Fisher; Christian Reid, autrice di « Una questione d’onore », « Cuori e mani », ecc. ecc.; Miss Mary Longfellow, cugina del defunto poeta Longfellow; la vedova dell’ex presidente Tyler e tanti altri che hanno sacrificato tutto, pur di non morire fuori dalla Chiesa Cattolica e perdersi per sempre. La signora Moore, una donna molto intelligente di Edinton, nella Carolina del Nord, una convertita alla nostra santa Fede, disse ai suoi figli protestanti, quando era sul suo letto di morte: « O figli miei, c’è una tale speranza, un tale conforto nella nostra santa Religione! Quando ero così vicina alla morte e credevo che non vi avrei mai più rivisto, la mia anima era piena di angoscia. Quando pensavo di essere così vicina ad incontrare il mio Dio, temevo, ma dopo aver fatto la mia confessione all’incaricato ministro, e ricevuto l’assoluzione, nel nome della Santissima Trinità, la morte è stata privata di ogni pungiglione. Ogni giorno ringrazio sempre più Dio che mi ha dato la grazia di rompere i legami che mi avevano impedito di aderire dalla Chiesa. Ho guardato indietro e, in effetti, mi chiedo perché mai non sono stata, come avrei potuto, nient’altro che Cattolica ». Entrando nella Chiesa Cattolica, questi e molti altri convertiti hanno reso non giusto l’appellarsi all’ignoranza o all’incapacità. Coloro che non sono venuti ancora, possono anch’essi venire così come quelli che sono già venuti; e la loro colpa nel non venire è aggravata dalla conoscenza che essi hanno del fatto che alcuni del loro numero sono arrivati: ecco che allora essi non sono più nell’ignoranza. (San Aug., lib. 1. de Bapt. Contr. Donat. Cap. V; S. Giov. Chrys. In Epist. Ad Rom. XXVI.). La colpa pertanto è solo loro. Stanno fuori perché non vogliono venire. « Non verrai a me affinché tu possa avere la vita, perché le tue opere sono malvagie ». Ignorano la grazia divina, disdegnano la Chiesa, disprezzano i suoi pastori, disprezzano i suoi Sacramenti. Perché, cosa che il Cattolico non può dubitare, se dovessero cercare, con ansiosa cura – come dice Sant’Agostino – anche per scusarsi dall’eresia formale o dall’infedeltà, e cercando avessero bussato, non sarebbero stati ammessi? – No, noi amiamo troppo i nostri concittadini per essere tanto ingegnosi nell’inventare scuse per loro, per forzare la fede in loro favore finché non sia quasi pronta a scattare. Facciamolo sì, con una profonda e tenera carità, che, al bisogno, abbia il coraggio di essere terribilmente severa, e facciamo risuonare, o, se non vogliamo essere « figli del tuono » troppo energici, sussurriamo con accenti soffici ma allarmanti, alle loro orecchie, nelle loro anime, nelle loro coscienze, quelle terribili verità che conosceranno altrimenti troppo tardi nel giorno del giudizio. Dobbiamo lavorare per convincerli di peccato, per mostrare loro la loro follia ed insania, convincerli che sono in errore, nel peccato e già condannati, ma che possono essere restituiti alla vita e liberati dalla condanna solo mediante la grazia di nostro Signore Gesù Cristo, che è dispensata attraverso la Chiesa e solo attraverso la Chiesa Cattolica.

§ 10. S. O. sulla Confessione

S. O. continua a citare dalla nostra Explanation della Dottrina Cristiana, sopprimendo in modo disonesto cinque domande e risposte che sono in connessione immediata con quelle che cita, vale a dire:

« D. I protestanti sono disposti a confessare i loro peccati a un Vescovo o Sacerdote, che soltanto ha ricevuto il potere da Cristo di perdonare i peccati? « … a chi perdonerete i peccati, saranno loro perdonati ».

R.. No, perché generalmente hanno una totale avversione alla confessione, e quindi i loro peccati non saranno perdonati per tutta l’eternità.

D. Da questo cosa ne segue?

R.. Che essi muoiono nei loro peccati e andranno dannati ».

« Su questo io, S. O., dico a coloro che si reputano onestamente protestanti (e non abbiamo il diritto di mettere in dubbio la loro onestà in materia), che Dio non ha designato l’assoluzione sacerdotale come segno sacramentale esteriore e visibile e suo strumento di perdono al peccatore veramente pentito, e non è affatto strano che essi non siano disposti a confessare i propri peccati ad un prete o a cercare la sua assoluzione. Quando viene istruito con il sapere, e per grazia di Dio è portato a credere che la Religione Cattolica sia la vera Religione di Cristo, essi saranno disposti ad andare alla Confessione come noi Cattolici, e non avranno avversione più di quanto ne abbiamo noi. » –

Vedete, come S. O. non afferma mai chiaramente e precisamente alcun punto in questione. Parla qui di quei protestanti che … onestamente credono di non dover andare alla Confessione per ottenere il perdono. Supponiamo che intenda quelli che vivono nell’ignoranza incolpevole della legge divina della Confessione. Ma tale ignoranza incolpevole, come abbiamo chiaramente dimostrato, non è un mezzo per ottenere il perdono dei loro peccati. « … E non abbiamo alcun diritto – dice – di mettere in discussione la loro onestà ». Ahimè, come si può dire ai protestanti che essi possono essere buoni Cattolici senza confessare i loro peccati, e ci saranno migliaia e migliaia di loro di cui non dobbiamo dubitare sull’onestà? Ma noi non abbiamo alcun diritto, nessun dovere, di istruire quegli “onesti” protestanti o i pagani, e mostrare loro la vera strada per il Paradiso? Perché, allora, san Francesco di Sales e tanti altri Santi Sacerdoti hanno esposto le loro vite così spesso, fino al martirio, per richiamare i protestanti onesti dalla loro eresia e riportarli alla vera Chiesa? Per quanto riguarda quei protestanti che sono stati istruiti nella nostra Religione e sono disposti a confessare i loro peccati, essi non appartengono più al numero di coloro che sono in questione. – Ma egli continua la sua risposta. « Ma chi ha detto a costui che spiega la dottrina cristiana (cioè il Rev. M. Muller) che nessun peccatore sarà perdonato per tutta l’eternità, o che morirà nei suoi peccati e sarà dannato, se non abbia confessato quei peccati ad un prete e abbia ricevuto la sua assoluzione? Questa non è una dottrina cristiana cattolica, ed egli non aveva il diritto di dire che lo è, o di scrivere in modo tale da essere capito così. »  –

Qui, guardate un po’, S. O. vuole sapere dove abbiamo imparato la legge divina della Confessione. Bene, l’abbiamo imparata dall’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica, dalla Sacra Scrittura, dai Padri e dai Dottori della Chiesa. Strano, quel S. O. non sa neppure quello che conosce ogni ragazzino di una scuola cattolica! Deve aver egli imparato un cattivo Catechismo. Ma, in nome del buon senso, dov’è che S. O. ha appreso che ogni peccatore, in particolare ogni peccatore protestante, sarà perdonato per tutta l’eternità, o che non morirà nei suoi peccati, anche se non è disposto a confessare i suoi peccati ad un Prete cattolico? Dice che « … asserire che nessun peccatore battezzato sarà perdonato a meno che non sia disposto a confessare non sia una dottrina cristiana cattolica, che non abbiamo il diritto di dire che lo sia, o di scrivere in modo tale da essere capiti così… » . Ora questa asserzione di S. O. è abbastanza eretica, perché questo è articolo di fede, dichiarato dal Concilio di Trento, che: « il Sacramento della Penitenza è necessario per la salvezza di coloro che sono caduti in peccato mortale dopo il Battesimo, come il Battesimo è necessario per coloro che non hanno ricevuto la rigenerazione spirituale ». L’asserzione di S. O., quindi, è direttamente opposta alla legge divina della Confessione, che deve essere rispettata nella realtà, se possibile, o almeno col vero desiderio implicito, se la Confessione è impossibile. S. O. è piuttosto scorretto nel dichiarare tutte le condizioni di perdono che Dio ha determinato per coloro che dopo il Battesimo hanno commesso peccati gravi. « Queste condizioni – egli dice – sono le seguenti tre: un sincero dispiacere per i peccati, un fermo proposito di non peccare più, e, in circostanze ordinarie, una confessione onesta e umile ai ministri nominati da Dio ».  Questa non è una dichiarazione completa delle condizioni di perdono. Noi le enunceremo come ogni ragazzino di scuola le conosce per averle apprese da un buon Catechismo:

I. Contrizione, o dolore, che è buono solo:

1. Quando è interiore, cioè dolore dal cuore o dalla volontà;

2. Quando è sovrano, o dolore che sorpassa tutti gli altri dolori;

3. Quando è universale, o dolore almeno per tutti i nostri peccati mortali;

4. Quando è soprannaturale, o dolore per aver offeso Dio, unito alla speranza di perdono.

Ci sono tre tipi di contrizione: –

1. Contrizione perfetta, o dolore per il peccato a causa della ferita inferta alla bontà di Dio;

 2. Contrizione imperfetta, o dolore per il peccato a causa della ferita inflitta alle nostre anime, che, offendendo Dio, perdono il Paradiso e meritano l’inferno;
3. Contrizione naturale, o dolore per il peccato a causa della ferita fatta al nostro benessere temporale.

Gli effetti del dolore sono: –

1. La contrizione perfetta, come atto di perfetto amore di Dio, unita al desiderio di confessare i nostri peccati, li annulla già prima della Confessione;

2. La contrizione imperfetta, ci dispone per ricevere la grazia di Dio nel Sacramento della Penitenza;

3. La contrizione naturale non può disporci a ricevere la grazia di Dio con l’assoluzione, perché è un dolore non per l’offesa fatta a Dio, ma solo per un danno temporale.

II. Il proposito dell’emendamento

è una ferma risoluzione, per grazia di Dio, di: –

1. Evitare tutti i peccati mortali e le occasioni prossime di peccato;

2. Utilizzare i necessari mezzi di emendamento; 

3. Fare la dovuta soddisfazione per i nostri peccati;

4. Riparare a qualunque danno fatto al prossimo.

III. Confessione, che è valida  solo: –

1. Quando è intera, o sia la confessione di almeno tutti i nostri peccati mortali, con le circostanze necessarie;

 2. Quando è sincera, cioè la confessione dei peccati senza nasconderli o scusarli.

Chi è in pericolo di morte e non può fare la sua confessione, deve sinceramente desiderare di confessare i suoi peccati al sacerdote, e provare ad essere molto dispiaciuto (contrito) per aver offeso un Dio così buono.

Questo ultimo punto S. O. lo ha omesso, eppure il sincero (almeno implicito) desiderio di confessare i propri peccati è necessario per colui che non sia in grado di confessarli, poiché la vera Confessione è per chi sia in grado di poterla fare, al fine di ottenere il perdono.

« Ma dire o sottintendere – continua S. O. – che ogni Cattolico che muore senza essere stato in grado di confessare i suoi peccati ad un Prete è quindi dannato per l’eternità, è un’assurdità. » Egli ha forse sognato che noi o qualche Cattolico abbiamo mai detto tali sciocchezze? Perché allora menziona tali stupidaggini?

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (15)

EXTRA ECCLESIAM NULLUS OMNINO SALVATUR (15)

IL DOGMA CATTOLICO:

Extra Ecclesiam Nullus Omnino Salvatur

[Michael Müller C. SS. R., 1875]

§ 8. COME DIO ONNIPOTENTE CONDUCA ALLA SALVEZZA QUELLI CHE SONO INCOLPEVOLMENTE IGNORANTI DELLE VERITÀ DELLA SALVEZZA.

Dio Onnipotente, che è giusto e non condanna nessuno senza propria colpa, pone dunque le anime che sono nell’ignoranza invincibile delle verità di salvezza, sulla via della salvezza, sia con mezzi naturali che soprannaturali. C’è un protestante, che ha vissuto in una parte della Germania, dove è sempre rimasto invincibilmente ignorante della vera Religione, ma ha vissuto secondo i dettami della sua coscienza. Alla fine decide di emigrare in questo Paese (Stati Uniti –ndt.-), con l’idea di migliorare la sua vita temporale. Ma Dio Onnipotente aveva altri disegni nei suoi confronti, desiderava metterlo sulla via della salvezza. Questo protestante entra in una chiesa protestante in questo Paese. Vede subito una grande differenza tra i protestanti in America e quelli in Europa. È perplesso per questa differenza e comincia a dubitare della verità del protestantesimo. Per assicurarsi che abbia ragione o torto nella sua religione, comunica i suoi dubbi ad un amico Cattolico ben istruito, che gli spiega che cosa sia la vera Religione e dove si trovi. Di conseguenza, poiché egli è retto dinanzi a Dio e desidera salvare la sua anima, decide di diventare Cattolico. Così l’emigrazione di questo protestante in questo Paese è stata, nelle mani di Dio, il mezzo naturale per metterlo sulla via della salvezza. – Non molto tempo fa, un mio amico mi ha detto che una signora che era a bordo di un piroscafo fece cadere un libro cattolico nell’acqua. Il capitano della barca, che ha salvato il libro e lo ha letto prima di restituirlo, alla fine è diventato Cattolico. Umanamente parlando, la caduta del libro nell’acqua era piuttosto casuale; ma Dio Onnipotente ha fatto uso di questa circostanza per mettere sulla via della salvezza un uomo che era stato invincibilmente ignorante e che non aveva agito contro la sua coscienza. – C’è una ragazza: i suoi genitori non professano religione. Non vanno mai in chiesa. Non parlano mai di religione a casa, ma si assicurano che la loro figlia non possa conoscere malvagi compagni. Quindi ella rimane naturalmente buona ed innocente. Per darle una buona educazione, la indirizzano in un’istituzione cattolica. Lì conosce i compagni cattolici, con le devozioni cattoliche, le cerimonie, con il servizio della Chiesa, ecc. È curiosa e desidera conoscere il significato di tutto ciò che vede e sente sulla Cattolicità. È soddisfatta della Chiesa Cattolica ed esclama: “Non ho mai sentito nulla del genere prima”. Alla fine diventa Cattolica. Qui, l’educazione è il mezzo che Dio ha usato per porre sulla via del cielo una persona che era stata invincibilmente ignorante dei mezzi di salvezza, ed era rimasta naturalmente buona ed innocente. – Molti esempi simili potrebbero essere citati per mostrare che Dio Onnipotente, nella sua bontà, usa modi e mezzi naturali per mettere delle anime invincibilmente ignoranti, che vivono nella loro buona coscienza, sulla via della salvezza. Questo è il modo ordinario della sua divina Provvidenza, cioè il guidare gli uomini, mediante le vie ed i mezzi naturali, verso ciò che è soprannaturale. – Ma possono esserci casi eccezionali, in cui Dio Onnipotente usa dei mezzi soprannaturali per salvare un uomo incolpevolmente ignorante e che viva nella sua retta coscienza. Supponiamo che una persona viva in un paese in cui, naturalmente, durante la sua vita non possa sentire nulla della Religione Cattolica. In questo caso, come è stato detto sopra, “se necessario …”, Dio Onnipotente, nella sua infinita misericordia, farà uso di un mezzo soprannaturale per condurre quella persona alla salvezza, piuttosto che lasciarla perire attraverso un’ignoranza incolpevole. Può illuminarlo in modo soprannaturale, così da poter sapere cosa deve credere per essere salvato. « Molti dei Gentili – dice San Tommaso – ricevettero una rivelazione divina riguardo a Cristo, come è evidente da ciò che hanno predetto. » Dice Giobbe: « So che il mio Redentore vive, e nell’ultimo giorno risorgerà dalla terra. » (Giobbe, XIX, 25). Anche le Sibille predissero certe cose di Cristo, come dice S. Agostino (Cont. Faust. Lib. XIII., C. 15). Ai tempi di Costantino Augusto e sua madre Irene, fu trovata una tomba in cui giaceva un corpo che aveva un piatto sul petto, sul quale erano state trovate le parole: « Cristo nascerà da una Vergine, e io credo in Lui. O Sole, ai tempi di Irene e Costantino, mi vedrai di nuovo. » (Baron. ad Ann. Christi, 780). Ciò è in armonia con ciò che dice Giobbe: « Dio …. che ci rende più istruiti delle bestie selvatiche, che ci fa più saggi degli uccelli del cielo » (Giobbe, XXXV. 11.) – (De Fide, q. II., Art. VII.). In verità, Dio Onnipotente, nella sua infinita misericordia, può disporre un’anima, a un dato momento, a ricevere la grazia santificante ed infondere, al tempo stesso, questa grazia nell’anima: la luce della vera fede, l’inclinazione volontaria del libero arbitrio nel conformarsi alla volontà e alla grazia di Dio, la determinazione del libero arbitrio dall’astenersi dal peccato, la remissione dei peccati; l’infusione della grazia, avviene con un movimento simultaneo, perché la giustificazione è istantanea e non ha gradazioni successive: è acquisita per grazia e per opera dello Spirito Santo, che prende subito possesso dell’anima: « E improvvisamente arrivò un suono dal cielo, come di un potente vento, e riempiva tutta la casa. » (Atti, II, 2.). La resistenza e la deliberazione mentale possono essere lunghe e lente da parte del peccatore, ma la vittoria e il trionfo sono rapidi ed improvvisi da parte di Dio, con l’infusione della sua grazia in un’anima pentita.  – Ci sono, in effetti, esempi notevoli di improvvise conversioni di anime nel passato e nel presente, che provano che tali effetti potenti possano essere e siano gestiti dalla grazia di Dio. Un prodigio così meraviglioso, un’improvviso rinnovamento spirituale dell’anima di un uomo, è una grazia straordinaria, che Dio Onnipotente può concedere anche ad un grande peccatore nella sua ultima ora. « Siccome Dio è buono – dice Sant’Agostino – può salvare una persona senza alcun merito da parte sua ». Dio onnipotente può anche, per miracolo, portare un prete a una persona invincibilmente ignorante e che viva con i dettami della sua coscienza; oppure può portare una persona simile ad un prete o fare uso di un Angelo o di un Santo per condurlo sulla via della salvezza. Tra le anime sante dei secoli passati che sono state sostenute con segnali di predilizione e con privilegi da Dio Onnipotente, dobbiamo collocare, in prima fila, Maria di Gesù, spesso chiamata Agreda, dal nome del luogo in Spagna dove ella trascorse la sua vita. Il celebre J. Goerres, nella sua grande opera “Misticismo”, non esita a citare come esempio la vita di Maria di Agreda, in un capitolo intitolato « Il punto culminante della mistica cristiana ». – In effetti, non è stato possibile trovare un modello più perfetto delle più alte modalità mistiche. Questa santa vergine bruciava di un ardente amore per Dio e per la salvezza delle anime. Un giorno contemplò in una visione tutte le nazioni del mondo. Vide che la maggior parte degli uomini era priva della grazia di Dio e correva a capofitto verso la perdizione eterna. Vide come gli indiani del Messico mettevano meno ostacoli alla grazia della conversione di qualsiasi altra nazione che fosse fuori dalla Chiesa Cattolica, e come Dio, su questo punto, fosse pronto a mostrare pietà per loro. Quindi raddoppiò le sue preghiere e le sue penitenze per ottenere per loro la grazia della conversione. Dio nell’ascoltare le sue preghiere le ordinò di insegnare la Religione Cattolica a quegli indios messicani. Da quel momento ella apparve, per fenomeno di bilocazione, ai selvaggi, non meno di cinquecento volte, istruendoli in tutte le verità della nostra santa Religione e compiendo miracoli a conferma di queste verità. Quando tutti furono convertiti alla fede, lei disse loro che i Sacerdoti religiosi sarebbero stati inviati da Dio per riceverli nella Chiesa tramite il Battesimo. Come lei aveva detto, così successe. Dio, nella sua misericordia, mandò a questi bravi indiani diversi padri francescani, che rimasero molto stupiti quando trovarono quei selvaggi pienamente istruiti nella dottrina cattolica. Quando essi chiesero agli indiani chi li avesse istruiti, fu detto loro che una vergine santa era apparsa tra loro molte volte, e aveva insegnato loro la Religione Cattolica e la confermava loro con miracoli. (Vita della venerabile Maria di Gesù di Agreda, § XII.). Così quei bravi indios furono portati miracolosamente alla conoscenza della vera Religione nella Chiesa Cattolica, perché seguivano la loro coscienza nell’osservare la legge naturale. – Qualcosa di simile è collegato nella vita di Padre J. Anchieta, S. J., (cap. VI.). Un giorno, questo grande uomo di Dio entrò nei boschi di Itannia, in Brasile, senza alcun motivo plausibile e, in effetti, come se fosse guidato da un altro. A poca distanza scorse un vecchio seduto a terra e appoggiato a un albero. « Affretta i tuoi passi – esclamò il vecchio quando vide il padre – perché ti aspetto da tempo ». Il santo missionario gli chiese chi fosse, e da quale paese fosse venuto. « Il mio paese – disse il vecchio – è al di là del mare ». Aggiunse altre cose, il che indusse il padre a dedurre che fosse venuto da una provincia lontana, vicino a Rio de la Plata, e che era stato trasportato da mezzi soprannaturali dal suo stesso paese al luogo in cui si trovava allora, e che, con la direzione e la guida del cielo, era stato condotto lì con grande fatica e con fatica si era posto dove il padre lo aveva trovato, in piena attesa della realizzazione della divina promessa. Padre Anchieta gli chiese allora perché fosse venuto in quel posto: « Sono venuto qui – egli rispose – perché potessi essere istruito sulla retta via ». Questa è l’espressione che usano i brasiliani quando parlano delle leggi di Dio e della via del cielo. Padre Anchieta si sentiva convinto, dalle risposte date a lui dal vecchio, che non aveva mai avuto più di una moglie, non aveva mai preso le armi se non per la sua giusta difesa, e che non aveva mai trasgredito gravemente  alla legge della natura. Percepiva, inoltre, dalle argomentazioni del vecchio uomo, che conosceva molte verità relative all’Autore della natura, all’anima, alla virtù e al vizio. Dopo che padre Anchieta gli aveva spiegato alcuni dei misteri della nostra santa Religione, disse: « È così che finora li avevo capiti, ma non sapevo come definirli ». Dopo aver sufficientemente istruito il vecchio, Padre Anchieta raccolse dell’acqua piovana dalle foglie dei cardi selvatici, lo battezzò e lo chiamò Adamo. Il nuovo discepolo di Cristo sperimentò immediatamente nella sua anima gli effetti sacri del Battesimo. Alzò gli occhi e le mani in cielo e ringraziò l’Onnipotente per la misericordia che gli aveva concesso. Poco dopo, spirò tra le braccia di padre Anchieta, che lo seppellì secondo le cerimonie della Chiesa. Riguardo a queste conversioni miracolose, il Dr. O. A. Brownson osserva bene: « Che ci possano esserci persone in società eretiche e scismatiche, invincibilmente ignoranti della Chiesa, che corrispondono così perfettamente alle grazie che ricevono, e che Dio Onnipotente, con mezzi straordinari, li porterà alla Chiesa, è credibile e perfettamente compatibile con il noto ordine della sua grazia, come si evince da due bellissimi esempi registrati nella Sacra Scrittura: l’uno è l’eunuco ministro di Candace, regina d’Etiopia: egli, seguendo le luci che Dio gli aveva dato, pur vivendo a grande distanza da Gerusalemme, conosceva l’adorazione del vero Dio ed era abituato a recarsi di tanto in tanto a Gerusalemme per adorarlo. Quando, tuttavia, il Vangelo cominciò ad essere annunziato, la religione ebraica non poteva più salvarlo, ma essendo ben disposto per la fedeltà alle grazie che aveva ricevuto fino ad ora, non fu abbandonato da Dio Onnipotente, perché quando ritornò nel suo paese da Gerusalemme, il Signore mandò come messaggero un santo, San Filippo diacono, per incontrarlo e istruirlo nella fede di Cristo e battezzalo (Atti, VIII. 26). L’altro esempio è quello di Cornelio, che era un ufficiale dell’esercito romano della truppa italica, allevato nell’idolatria. Nel corso degli eventi, il suo reggimento arrivò in Giudea, vide lì una religione diversa dalla sua, il culto di un solo Dio. La grazia muoveva il suo cuore, credeva in questo Dio e, seguendo l’ulteriore mozione della grazia divina, diede molte elemosine ai poveri e pregò sinceramente questo Dio che gli dicesse cosa fare. Dio l’ha abbandonato? No, senza dubbio; gli mandò un Angelo dal cielo per dirgli a chi rivolgersi per essere pienamente istruito nella conoscenza e nella fede di Gesù Cristo e per essere ricevuto nella sua Chiesa con il Battesimo. Ora, ciò che Dio ha fatto in questi due casi, non è certamente meno in grado di farlo in tutti gli altri, e ha mille modi nella sua saggezza per condurre anime che siano veramente sincere, alla conoscenza della verità e della salvezza. E sebbene un’anima possa essere nelle più remote regioni selvagge del mondo, Dio potrebbe inviare un Filippo o un Angelo dal cielo, per istruirlo, oppure, con la sovrabbondanza della sua grazia interiore, o con innumerevoli altri modi a noi sconosciuti, potrebbe infondere nella sua anima la conoscenza della verità. La cosa importate è che noi facciamo con attenzione la nostra parte nel rispettare ciò che ci dà; per questo siamo certi che, se non lo desideriamo, non ci verrà mai, ma, quando inizierà il buon lavoro in noi, Egli pure lo perfezionerà, se prestiamo attenzione a corrispondere e a non mettere alcun ostacolo ai suoi disegni. « Tuttavia, in tutti i casi di intervento straordinario o miracoloso di Dio Onnipotente, sia nell’ordine della natura, o nell’ordine di grazia a noi noto, è intervenuto ad Ecclesiam, e non c’è ombra di autorità per supporre che sia mai intervenuto miracolosamente o che mai interverrà diversamente: presumere che, in qualsiasi circostanza, intervenga per salvare gli uomini senza il mezzo ordinario, (la Chiesa) è perfettamente gratuito, per usare un eufemismo. Entrare nella Chiesa nei modi straordinari è cosa facilmente ammissibile, perché non si discosta dall’economia della salvezza rivelata, né implica la sua inadeguatezza, nell’intervenire Dio perché siano salvati facendo a meno di Essa, né implica che non sia adeguata alla salvezza di tutti coloro che la bontà di Dio vuol portare alla salvezza. Quelli che nelle società aliene alla Chiesa, sono invincibilmente ignoranti della Chiesa, se corrispondono alle grazie che ricevono, e vi perseverano, saranno salvati, non ne dubitiamo affatto, ma non dove sono o senza essere portati alla Chiesa. Sono pecore che nella prescienza di Dio, sono Cattoliche, ma pecore non ancora riunite nell’ovile. « … Altre pecore Io ho – dice il nostro benedetto Signore – che non sono di questo ovile, ma anche quelle devo portare, esse sentiranno la mia voce, e ci sarà un solo ovile ed un solo pastore. » Quel che è decisivo, è che questi devono essere portati ad entrare nell’ovile, che è la Chiesa, ma in questa vita, come insegna santamente Sant’Agostino. – Ma è portato qualcuno alla Fede e alla Chiesa di Cristo, di coloro che corrispondono come dovrebbero alle grazie ricevute prima?  – « Dio non voglia – dice il vescovo Hay – perché, sebbene sia certo che Dio non mancherà mai di portare tutti quelli che fedelmente corrispondono alla Fede e alla Chiesa di Cristo, alle grazie che concede loro, tuttavia non è legato in nessun modo a conferire quella singolare misericordia a nessun altro: se fosse così, quanto pochi, anzi, l’avrebbero ricevuta! Ma Dio, per mostrare le infinite ricchezze della sua bontà e misericordia, lo conferisce anche a molti dei più immeritevoli, come lo ha elargito anche a molti degli ebrei induriti che crocifissero Gesù Cristo e ai sacerdoti che lo perseguitarono a morte, anche se si erano ostinatamente opposti a tutti i mezzi che Egli aveva usato in precedenza con la sua dottrina ed i miracoli per convertirli. In questo Egli agisce come Signore e Maestro e come libero dispensatore dei suoi doni, dando a tutti gli aiuti necessari e sufficienti per il loro stato attuale; a coloro che collaborano con questi aiuti non manca mai di dare più abbondantemente, e per mostrare le ricchezze della sua misericordia, a numerosi dei più immeritevoli, dà i suoi più singolari favori per la loro conversione. Quindi nessuno ha motivo di lamentarsi; tutti dovrebbero essere solleciti a cooperare con ciò che hanno; nessuno dovrebbe disperare per motivo della propria passata ingratitudine, ma essere certo che Dio, che è ricco di misericordia, avrà ancora pietà di loro, se ritorneranno da Lui. Devono solo temere e tremare, coloro che rimangono ostinati nelle loro vie malvagie, che continuano a resistere alle chiamate della sua misericordia e rimandano la loro conversione da un giorno all’altro. Perché sebbene la sua infinita misericordia non abbia limiti nel perdonare i peccati, per quanto numerosi e dolorosi, se ci pentiamo, le offerte della sua misericordia sono limitate, e se superiamo questi limiti con la nostra ostinazione, non ci sarà più misericordia per noi. Il tempo della misericordia è fissato per tutti, e se non riusciamo ad abbracciare e profittare delle sue offerte entro quel tempo, le porte della misericordia saranno chiuse davanti a noi. Quando lo sposo è entrato una volta nella camera matrimoniale, si chiudono le porte, e le vergini stolte che erano impreparate sono per sempre escluse, con questo terribile rimprovero da Gesù Cristo, – Io non so chi siate voi, allontanatevi da me, voi operatori d’iniquità. Vedendo, quindi, che nessuno sa per quanto durerà il tempo della misericordia per sé, non si dovrebbe ritardare un momento; se si trascura l’offerta attuale, potrebbe essere l’ultima. Quell’ora verrà come un ladro nella notte, quando meno ce lo aspettiamo, come Cristo stesso ci assicura, e per questo ci comanda di essere sempre pronti. – “Diciamolo bene: Affermare che gli atti della fede divina, della speranza e della carità siano possibili fuori dalla Chiesa Cattolica è una diretta negazione dell’articolo di fede: « non c’è positivamente salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica; » poiché, a causa di questi atti, Dio si unisce con l’anima nel tempo e nell’eternità. Se questi atti, allora, fossero possibili fuori dalla Chiesa Cattolica, ci sarebbe salvezza fuori dalla Chiesa Cattolica, affermando così una diretta negazione del suddetto articolo di fede, e quindi l’affermazione è essenzialmente eretica. « Un teologo – dice Sant’Agostino – che è umile, non insegnerà mai nulla come vera Dottrina Cattolica, a meno che non sia perfettamente sicuro della verità che afferma. Se viene corretto in qualcosa in cui ha commesso un errore, ringrazia per la correzione, perché il suo unico desiderio è di conoscere la verità. » (Epist. d S. Hier. 73 n. 1). Egli Odia le novità: Animus ab omni novitate alienus et antiquitatis amans. Ciò che cerca di affermare e difendere è la pura dottrina della fede contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione. La vera dottrina cattolica – dice Tertulliano – si distingue facilmente dalla falsa dottrina con la seguente regola: « Manifestetur id esse dominicum et verum, quod sit prius traditum; id autem extraneum et falsum, quod sit posterius immissum .» (Lib. De Praescrip, Cap. 31. Ed. Rig. 1675, 213.) Una dottrina che è stata insegnata e creduta fin dall’inizio è una vera Dottrina Cattolica; ma ogni altra dottrina è falsa. Per questo quindi San Paolo ammonisce San Timoteo: « O Timòteo, custodisci il deposito; evita le chiacchiere profane e le obiezioni della cosiddetta scienza ». (I Tim. VI, 20.) « Vocum, id est, dogmatum, rerum, sententiarum novitates, quæ sunt vetustati et antiquitati contrariæ, quæ si recipiantur, necesse est ut fides beatorum Patrum, aut tota, aut certe magna ex parte violetur. » (Vincentius Lirinensis, Commonit., Cap. 24.). – Ciò che è stato creduto da tutti i fedeli in ogni momento e in ogni luogo, questa è la vera Dottrina Cattolica. Tutte le dottrine che sono totalmente o almeno molto opposte alla Fede dei santi Padri della Chiesa, sono nuovi insegnamenti, che devono essere evitati. L’articolo di fede non dice: « Fuori dall’anima della Chiesa non c’è salvezza »; si legge, « Fuori dalla Chiesa (composta da Corpo e Anima) non c’è nessuna salvezza per nessuno ». Quindi assicuratevi che, poiché nessuno vi permetterà di avere un articolo prezioso con denaro contraffatto, né Dio Onnipotente vi lascerà il Paradiso con il servirlo in una religione contraffatta, dalla quale anzi è gravemente insultato e che Egli ha severamente vietato, e che San Paolo e la Chiesa hanno solennemente maledetto. Tale è, e tale è sempre stata la Fede della Chiesa. Sarebbe senza fine raccogliere tutte le testimonianze dei Padri della Chiesa su questo argomento. Facciamo un po’ di pochi, come un campione del tutto. Sant’Ignazio, vescovo di Antiochia e discepolo degli Apostoli, nella sua Lettera ai Filadelfiani, dice: « Coloro che fanno una separazione non erediteranno il regno di Dio ». Sant’Ireneo, vescovo di Lione e martire nella seconda età, dice: « La Chiesa è la porta della vita, ma tutti gli altri sono ladri e briganti, e quindi da evitare”. (De Hær ., Lib. Ic 3.). San Cipriano, vescovo di Cartagine e martire verso la metà della terza età, dice: « La casa di Dio è una sola, e nessuno può avere la salvezza, se non nella Chiesa ». (Epist. 62, alias 4). E nel suo libro sull’unità della Chiesa, dice: « Non può avere Dio per suo padre chi non ha la Chiesa per sua madre. Se qualcuno potesse scappare chi era uscito dall’arca di Noè, allora anche chi è fuori dalla Chiesa può scappare ». Così tanto per questi padri primitivi. Nel quarto secolo, San Crisostomo parla così: « Sappiamo che la salvezza appartiene alla Chiesa da SOLO, e che nessuno può prendere Cristo, né essere salvato, dalla Chiesa cattolica e dalla fede cattolica ». (Hom. I. in Pasch). Sant’Agostino, nella stessa epoca, dice: « La sola Chiesa Cattolica è il corpo di Cristo, lo Spirito Santo non dà la vita a nessuno che sia fuori di questo corpo ». (Epist. 185, § 50, Edit. Bened.) E in un altro luogo, « Nessuno può avere la salvezza se non nella Chiesa Cattolica. Fuori dalla Chiesa Cattolica si può avere tutt’altro che salvezza … si può avere onore, si può avere battesimo, si può avere il Vangelo, si può credere di predicare nel nome del Padre, e del Figlio e dello Spirito Santo, ma non si può trovare la salvezza in nessun luogo se non nella Chiesa Cattolica ». (Serm. Ad. Cæsariens de Emerit Ancora una volta, « nella Chiesa Cattolica – egli dice – ci sono sia il bene che il male, ma quelli che sono separati da Essa, perché le loro opinioni sono opposte alle sue, non possono essere buoni, anche se appaiono encomiabili, in quanto la loro separazione dalla Chiesa li rende cattivi, secondo quello che dice il nostro Salvatore (Luca, XI, 23), « Colui che non è con me è contro è contro di me, e colui che non raccoglie con me disperde. » – (Epist. 209, ad Feliciam.). « Che un eretico – dice sant’Agostino – confessi Cristo davanti agli uomini e versi il suo sangue per la sua confessione, non gli vale nulla per la sua salvezza, poiché, credendo di aver confessato Cristo, è stato messo a morte fuori dalla Chiesa ». Questo è molto vero; chiunque sia messo a morte fuori dalla Chiesa non possederebbe la Carità divina, e san Paolo afferma: « Se dovessi dare il mio corpo per essere bruciato, e non avessi carità, non mi gioverebbe nulla ». (I Corinzi XIII). « Fuori dalla Chiesa non c’è salvezza »; Chi può negarlo? Ed infatti, benché si professino le verità della Chiesa, queste medesime fuori dalla Chiesa, non avvantaggiano per nulla nella salvezza. Quelli che sono separati dall’unità della Chiesa non sono con Cristo, ma sono contro di Lui, e chi non raccoglie con Lui, disperde. (Matteo XII 30.) (Contra Donatistas) – Lattanzio, un’altra grande luce della quarta età, dice: « Solo la Chiesa Cattolica mantiene la vera adorazione, Essaa è la fonte della verità, è la casa della fede, è il tempio di Dio. Se qualcuno o non viene in questa Chiesa, o se ne allontana, la sua salvezza eterna è senza speranza; nessuno deve ingannare se stesso con l’ostinarsi, poiché sono in gioco la sua anima e la sua salvezza ». (Divin. Instit ., lib. IV, c 1). – San Fulgenzio, nel sesto secolo, parla così: « Con fermezza e senza il minimo dubbio, nessun eretico o scismatico, o chiunque sia battezzato fuori dalla Chiesa Cattolica, può prendere parte alla vita eterna se prima della fine di questa vita, non sarà ricondotto alla Chiesa Cattolica e incorporato in Essa ». (Libid de Fid., C.37). Secondo il primo Canone del IV Concilio di Cartagine, l’ultimo degli articoli che un Vescovo eletto debba nominare prima della sua ordinazione è: « Credat ne quod extra Ecclesiam nullus salvetur. » Crede che nessuno possa essere salvato fuori dalla Chiesa. – Ripetiamo le parole di S. Alfonso: « Quanto grati, quindi –  egli dice – dovremmo essere a Dio per il dono della vera Fede. Quanto è grande il numero degli infedeli, degli eretici e degli scismatici. Il mondo è pieno di essi, e, se muoiono fuori dalla Chiesa, saranno tutti condannati, tranne i bambini che muoiono dopo il Battesimo ». (Catech. Primo comando ., N. 10 e 19.). – « Perché – come dice Sant’Agostino – dove non c’è la Fede Divina, non può esserci la Carità divina, e dove non c’è la Carità divina, non può esserci alcuna giustificazione né la grazia santificante, e morire senza essere nella grazia santificante significa perdersi per sempre. (Lib. I. Serm. Dom. In monte, cap. V.). – Tutti i Padri della Chiesa non hanno mai esitato a dichiarare perduti per sempre tutti coloro che muoiono fuori dalla Chiesa Cattolica Romana. « Chi non ha la Chiesa come sua Madre – dice San Cipriano – non può avere Dio come Padre »; e con lui i Padri in generale dicono che: « … come tutti coloro che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del Diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori dalla vera Chiesa ». Sant’Agostino con gli altri Vescovi d’Africa, al Concilio di Zirta, A. D. 412 dice: « Chiunque sia separato dalla Chiesa Cattolica, per quanto possa essere, a suo avviso, lodevole la propria vita, per la ragione stessa che è separato dall’unione di Cristo, non vedrà la vita, ma l’ira di Dio dimora su di lui ». Perciò, dice Sant’Agostino, « Un Cristiano non dovrebbe temere nulla se non di essere separato dal Corpo di Cristo (cioè la Chiesa). Perché, se è separato dal corpo di Cristo, non è un membro di Cristo; se non è un membro di Cristo, non è vivificato dal suo Spirito. » (Tract. XXVII in Joan., n. 6, Col. 1992, tom III). – « Per un Cattolico non illuminato – dice Brownson – c’è qualcosa di molto scioccante nel supporre che l’articolo di fede: “fuori dalla Chiesa positivamente nessuno può essere salvato”, che considera essere vero solo in generale, e quindi non come un articolo di fede. Tutti i dogmi cattolici, se Cattolici, non solo sono generali, ma universalmente veri e non ammettono alcuna eccezione e nessuna restrizione. Se gli uomini potessero venire a Cristo e essere salvati senza la Chiesa, o senza l’unione con Cristo nella Chiesa, Essa non sarebbe Cattolica, e sarebbe falso chiamarla « Chiesa una, santa, cattolica », come nel Credo. » – « La Chiesa si chiama cattolica – dice il Catechismo del Concilio di Trento – perché tutti coloro che desiderano la salvezza eterna devono abbracciarla e aggrapparsi ad Essa, così come coloro che sono entrati nell’arca, per sfuggire al perire nel diluvio ». – Quindi, chi spiega il dogma della salvezza esclusiva, nega, in linea di principio, la Cattolicità della Chiesa e la Fede che professa ed insegna. – Di ogni dogma della Chiesa è vero ciò che papa Pio IX ha dichiarato nella definizione del dogma dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, vale a dire: « Se qualcuno dunque avrà la presunzione di pensare diversamente da quanto è stato da Noi definito (Dio non voglia!), sappia con certezza di aver pronunciato la propria condanna, di aver subito il naufragio nella fede, di essersi separato dall’unità della Chiesa … ». E nella definizione del dogma dell’Infallibilità del Romano Pontefice si dice: « Se qualcuno quindi avrà la presunzione di opporsi a questa Nostra definizione, Dio non voglia! Sia anatema. » Dobbiamo credere alle verità di fede, non a causa di ragioni umane, che sono date solo come supporto e corroborazione a qualsiasi articolo di fede, ma a causa dell’Autorità divina, che ha rivelato gli articoli di fede e che la Chiesa propone alla nostra fede. « Chiunque creda a questi articoli solo per ragioni umane – dice san Gregorio – non ha alcun merito della sua fede » (Omelia 26 in Evang.)  Le verità del Vangelo sono state rivelate da Dio, non per essere capite, ma per essere credute. Quindi, quando sappiamo che il nostro Signore Gesù Cristo ha insegnato qualcosa e la propone alla nostra fede mediante la sua Chiesa, dobbiamo crederla con fermezza e senza il minimo dubbio. – « Ci sono – dice San Tommaso – tre tipi di infedeltà: c’è l’infedeltà dei pagani o dei gentili, l’infedeltà degli ebrei e l’infedeltà degli eretici. Gli errori delle genti riguardo a Dio sono, è vero, più numerosi di quelli degli ebrei, e gli errori degli ebrei riguardo alla vera fede, sono più numerosi di quelli degli eretici, tuttavia il peccato di infedeltà degli Ebrei è maggiore di quello dell’infedeltà dei pagani, e il peccato di infedeltà degli eretici è maggiore del peccato di infedeltà degli Ebrei e dei pagani. La ragione è che: i gentili non hanno mai ricevuto la fede del Vangelo, ma gli Ebrei l’hanno ricevuta nella sua figura nell’Antico Testamento che interpretano e corrompono in modo perverso, e quindi il loro peccato di infedeltà è maggiore di quello dei Gentili. Il peccato di infedeltà degli eretici è maggiore ancor più di quello degli Ebrei perché professano la fede del Vangelo, ma si oppongono a questa fede corrompendola, e quindi peccano più gravemente degli Ebrei. Quindi San Pietro dice: « Meglio sarebbe stato per loro non aver conosciuto la via della giustizia, piuttosto che, dopo averla conosciuta, voltar le spalle al santo precetto che era stato loro dato ». (II Piet. II. 2) ». I Gentili non hanno mai conosciuto la via della giustizia, ma gli eretici e i Giudei l’hanno conosciuta fino ad un certo grado e tuttavia l’hanno lasciata, e quindi il loro peccato è maggiore. Qui qualcuno potrebbe dire: « Se gli errori delle genti riguardo alla fede sono più numerosi di quelli dei Giudei, non ne consegue che i pagani sono più colpevoli dei Giudei? E se i Giudei sono in più punti più lontani dalla vera fede che gli eretici, non segue che i Giudei sono più colpevoli di fronte a Dio degli eretici? – Ma no, senza dobbio; poiché la grandezza della colpa del peccato di infedeltà non deriva dal numero degli errori riguardo alle cose che appartengono alla fede, ma dalla conoscenza della fede che si è ricevuta. Quindi colui che pecca contro la fede che ha ricevuto, interpretandola perversamente e corrompendola, pecca più gravemente di colui che non ha mai ricevuto la fede, proprio come pecca più gravemente chi non mantiene ciò che ha promesso, rispetto ad un altro che fa non fa ciò che non ha mai promesso. Poiché i Gentili non hanno mai ricevuto la fede, peccano contro di essa in modo meno grave degi Giudei, che l’hanno ricevuta almeno in figura, credendo, come essi, nell’Antico Testamento, in cui era prefigurato la Legge della Grazia del Nuovo Testamento; e i Giudei peccano meno severamente contro la vera Fede del Vangelo, che essi non hanno mai ricevuto, di quanto facciano gli eretici, che fanno professione di fede nel Vangelo che ricevono sì, ma che interpretano perversamente e corrompendolo. » (Pars 2a 2æ quæst. X., art. V. et VI.). – « Pertanto – dice Cornelius a Lapide – non è mai lecito essere lieti di vedere l’eresia predicata e propagata, anche tra i pagani; poiché, sebbene annunci Cristo, allo stesso tempo annuncia anche molte eresie riguardo a Cristo o alla sua Chiesa e ai suoi Sacramenti, e queste eresie sono più perniciose del paganesimo stesso; cosicché è molto meglio per i pagani che non ricevano alcuna verità o dottrina dagli eretici, piuttosto che riceverla commista a così tanti errori ed eresie perverse. » (Commento in Epist. ad Philip., c. I, v. 18.). Sant’Agostino, come abbiamo visto, dice lo stesso. – Ahimè! Quanto balordi, quindi, per i Cattolici sono stati quegli articoli nel “Buffalo Catholic Union & Times”, in cui così tante cose erano falsamente affermate a favore della fede protestante, e del tutto contrarie alla Fede Cattolica. – « Se è vero allora – dice O. A. Brownson – e come è certo che Dio esiste e non può né ingannarsi né ingannare, così è pur vero, che non c’è salvezza fuori dalla Chiesa, in che responsabilità spaventosa non dovremmo incorrere, nell’astenerci dal proclamarlo, o per le nostre enunciazioni errate o alterate, nell’incoraggiare l’incredulo, l’eretico o l’indifferente a sperare il contrario! E quanto è ancora più spaventoso, se dovessimo andare più lontano, e tentare nelle nostre pubblicazioni di dimostrare che chi insiste fermamente su di questo è duro, ingiusto, poco caritatevole, procedendo nel suo zelo avventato verso un estremo non autorizzato! » – « Coloro che hanno imparato bene la teologia – dice San Basilio – non permetteranno che si tradisca neppure una virgola dei dogmi cattolici. Piuttosto si sottoporranno, se necessario, volontariamente a qualsiasi tipo di morte a loro difesa. » (Apud. Theod., Lib. 4, Hist. Eccl., C. XVII). « Non opporsi a una dottrina errata – dice Papa Innocenzo III (Dist. 85) – è approvarla; e non difendere la vera dottrina è come sopprimerla ». – Ricordiamo sempre le parole di Leone XIII, citate alla fine del capitolo I., cioè: « Quel metodo di insegnamento che si basa sull’autorità e sul giudizio dei singoli professori ha una base mutevole, e quindi da ciò nascono opinioni diverse e conflittuali, che alimentano i dissidi e le polemiche che hanno agitato le scuole cattoliche per lungo tempo e non senza grave detrimento per la scienza cristiana: riunire e disperdere opinioni secondo la nostra volontà e il nostro piacere è reputata la licenza più vile, menzogna e falsa scienza, una disgrazia e una schiavitù della mente. » (Breve, 19 giugno 1886) – « Un vero cattolico – dice Vincenzo di Lerino – è colui che ama le verità di Dio, la Chiesa, il Corpo di Cristo; che non apprezza nulla di più della nostra divina Religione, della nostra santa Fede cattolica; che non si lascia trascinare in nessun tipo di errore religioso dall’autorità, dall’insegnamento, dall’eloquenza, dalla filosofia di qualsiasi persona. Egli disprezza questa grandezza umana; rimane saldo e incrollabile nella sua Fede ed è determinato a credere solo a ciò che la Chiesa Cattolica ha ovunque e sempre ha insegnato e creduto sin dall’inizio; rifiuta, come nuova dottrina, qualunque cosa venga insegnata contro la dottrina dei Padri della Chiesa, e considera le opinioni moderne nella Religione come lacci del diavolo in cui vengono catturati gli ignoranti e gli sconsiderati, « perché devono esserci anche eresie » dice San Paolo (I. Cor. XI, 19), grazie alle quali la fede dei Cattolici buoni e fermi diventa meglio conosciuta e più rimarchevole. Perciò, tutti quelli che non hanno appreso la sana Teologia cattolica, disimparino presto ciò che non hanno imparato bene; che provino a capire ogni dogma della Chiesa il più ampiamente possibile, ma che credano fermamente a qualsiasi cosa seppur non riescano a capire. » (Commonit.). – Nella storia della fondazione della Compagnia di Gesù, nel Regno di Napoli, si racconta la seguente storia di un giovane nobile della Scozia, di nome William Ephinstone. Egli era un parente del re scozzese. Nato come eretico, seguiva la falsa setta a cui apparteneva; ma illuminato dalla grazia divina, che gli mostrò i suoi errori, andò in Francia, dove, con l’assistenza di un buon padre gesuita, che era anche scozzese, finalmente vide la verità e, abiurata l’eresia, divenne Cattolico. Andò in seguito a Roma e si unì alla Compagnia di Gesù, nella quale morì felicemente. Stando a Roma, un suo amico lo trovò un giorno molto afflitto e in lacrime. Gliene chiese la causa, e il giovane rispose che la notte, sua madre gli era apparsa e gli aveva detto: « Figlio mio, è bene per te che sia entrato nella vera Chiesa; io sono già persa, perché sono morta nell’eresia. » (San Alfonso de’ Liguori: Le glorie di Maria).  – Leggiamo, nella Vita di S. Rosa di Viterbo, che ella era infiammata di grande zelo per la salvezza delle anime. Provava una tenera compassione per coloro che vivevano nell’eresia. Per convincere una certa signora, che era un’eretica, che non poteva essere salvata nella sua setta, e che era necessario per la salvezza morire come un vero membro della Chiesa Cattolica, fece un grande fuoco, vi si gettò dentro e vi rimase per tre ore senza esserne ustionata. Questa signora, insieme a molti altri, nel testimoniare il miracolo, abiurarono la loro eresia e si facero Cattolici. – Quando l’imperatore Valente ordinò che san Basilio il Grande dovesse andare in esilio, Dio, nell’alta corte del Cielo, emise, allo stesso tempo, sentenza contro l’unico figlio dell’imperatore, di nome Valentiniano Galato, un bambino di circa sei anni. Quella stessa notte il bambino reale fu colto da una violenta febbre, alla quale i medici non furono in grado di dare il benché minimo sollievo; e l’imperatrice Dominica disse all’imperatore che questa calamità era una giusta punizione del cielo per aver bandito il Vescovo, per cui ella era stata inquietata da terribili sogni. Allora Valente mandò a chiamare il Santo, che stava per andare in esilio. Non appena il santo Vescovo entrò nel palazzo, la febbre del bambino cominciò a scemare. San Basilio assicurò ai genitori il recupero completo del loro figlio, a condizione che ordinassero che fosse istruito nella Fede Cattolica. L’imperatore accettò la condizione: San Basilio pregò e il giovane principe fu guarito. Ma Valente, infedele alla sua promessa, in seguito permise a un vescovo ariano di battezzare il bambino. Il giovane principe ricadde immediatamente malato e morì. (La vita dei santi di Butler, 14 giugno) Con questa guarigione miracolosa del bambino, Dio aveva manifestato le verità della nostra Religione; e così pure con l’improvvisa morte del bambino, che aveva ricevuto il battesimo eretico, Dio mostrò come Egli considerasse l’eresia essere un tale abominio.