UBI PAPA, IBI ECCLESIA (8): “UNA COSPIRAZIONE CONTRO LA CHIESA? PARLANO I VERI PAPI”

Una cospirazione contro la Chiesa cattolica?

Parlano i veri Papi

Quando si discute della Sede impedita ed usurpata con i Novus Ordos, non è raro che qualcuno la respinga sostenendo che si tratti di una “cospirazione”; e naturalmente nulla è più assurdo per l’uomo contemporaneo che dare credito a una posizione che differisce da quella che la maggior parte degli altri ritiene essere l’ovvia verità.

Duemila anni fa, il nostro Signore insegnò: “… la verità vi farà liberi” (Gv VIII,32). Le persone che amano e cercano la verità dovrebbero preoccuparsi non tanto di sapere se qualcosa implichi una cospirazione, ma se sia vera. Il fatto che una questione coinvolga o meno una cospirazione è del tutto irrilevante per la sua verità o falsità. Purtroppo, viviamo in tempi in cui una simile osservazione, del tutto razionale, semplicemente non verrà presa in considerazione da molti, perché sono stati condizionati ad associare i termini “cospirazione” e soprattutto “teoria della cospirazione” a sciocchezze e assurdità.

Eppure, quando ci rivolgiamo a un dizionario standard per trovare il significato del termine “cospirazione”, ciò che scopriamo è abbastanza innocuo. L’origine della parola “cospirare” è piuttosto semplice. Deriva dalle parole latine “insieme” (con o cum) e “respirare” (spirare). – Le persone che cospirano, quindi, etimologicamente parlando, “respirano insieme” – cioè stanno pianificando qualcosa, stanno lavorando all’unisono per far sì che qualcosa accada. È una cosa così assurda, inconcepibile e idiota? Piuttosto, non succede forse ogni giorno in tutti i modi?

Una volta compreso il vero significato della parola “cospirazione”, tutta la sua forza retorica svanisce. Le persone lavorano sempre insieme per raggiungere un obiettivo prefissato, per lo più a fin di bene, ma a volte anche a fin di male. La stessa Sacra Scrittura è piena di esempi di questo tipo, come il seguente:    Giacobbe cospirò con sua madre per ricevere la benedizione del padre con l’inganno (Genesi XXVII).

    Alcuni israeliti cospirarono per costruire e adorare un vitello d’oro (Esodo XXXII).

    Gli israeliti cospirarono per inviare delle spie nella Terra Promessa prima di entrarvi (Giosuè II)

    Giuda cospirò con i membri del Sinedrio per consegnare Gesù Cristo nelle loro mani (Matteo XXVI).

    Negli ultimi giorni, ci sarà una cospirazione delle forze anticristo contro il Corpo di Cristo per ingannare anche gli eletti (Matteo XXIV; 2 Tessalonicesi II).

E così via. Anche la storia secolare e quella della Chiesa sono piene di cospirazioni, cioè di individui che collaborano per uno scopo comune, sia per il bene che per il male: i barbari cospirarono per rovesciare i Romani, Maometto cospirò con i suoi seguaci per conquistare la Mecca, alcuni clericali infidi cospirarono contro Santa Giovanna d’Arco, gli uomini di Napoleone cospirarono per fare prigioniero Papa Pio VII, Hitler cospirò per attaccare la Polonia, il colonnello von Stauffenberg cospirò con altri soldati tedeschi per assassinare Hitler, ad ogni conclave i cardinali “cospirano” per eleggere un Papa, e così via.

Quindi, credere che i nemici della Chiesa cattolica abbiano cospirato contro di lei non è, di per sé, né sciocco, né folle, né irragionevole, né degno di essere respinto per qualsiasi altra ragione. Infatti, se nella storia dell’umanità non mancano persone che cospirano per ogni sorta di interesse mondano, è logico che se “la nostra lotta non è contro la carne e il sangue, ma contro i principati e le potenze, contro i dominatori del mondo di queste tenebre, contro gli spiriti della malvagità che stanno in alto” (Ef VI,12), allora certamente ci sarà una cospirazione anche contro il Corpo di Cristo – di fatto più che contro qualsiasi altra cosa.

satana stesso, del resto, non cerca solo la distruzione temporale degli uomini, ma ancor più il loro fine eterno; e come ha guerreggiato contro il Signore Gesù Cristo fin dall’inizio, così combatte quotidianamente contro il suo Corpo mistico, la Chiesa. Infatti, quanto più il diavolo riuscirà a danneggiare la Chiesa, che è l’Arca della salvezza, tanto più le anime periranno certamente. Per questo il nostro Signore ci ha avvertito: “Non temete quelli che uccidono il corpo e non sono capaci di uccidere l’anima; temete piuttosto colui che può distruggere l’anima e il corpo nell’inferno” (Mt X,28).

Per i Cattolici, la migliore conferma della verità di queste riflessioni viene dal Magistero stesso della Chiesa. I Papi degli ultimi secoli non solo hanno ripetutamente messo in guardia dalle “cospirazioni” contro la Chiesa, ma hanno specificamente fatto riferimento alle “società segrete” che complottano per danneggiare il Corpo Mistico di Cristo.

L’elenco che segue si limita ad alcune citazioni applicabili del XIX e del XX secolo, quando la minaccia di persecuzione contro la Chiesa era più imminente.

    “Non tralasciate dunque alcuna vigilanza, diligenza, cura e sforzo, per ‘custodire il deposito’ dell’insegnamento di Cristo, la cui distruzione è stata pianificata, come sapete, da una grande cospirazione.” (Enciclica Diu Satis, n. 11, 1800)

    “I principi sanno quali cospirazioni sono sorte ovunque per indebolire sia la legge sacra che quella civile in questa santa materia”. (Enciclica Quod Hoc Ineunte, n. 12, 1824)

    “…Proibiamo per sempre, con le stesse pene che sono contenute nelle Lettere dei Nostri Predecessori già riportate in questa Nostra Costituzione, … tutte le società segrete, quelle che ora ci sono e quelle che forse in seguito spunteranno, e che si propongono contro la Chiesa e contro i massimi poteri civili quelle cose che abbiamo menzionato sopra, con qualsiasi nome possano infine essere chiamate.” (Enciclica Quo Graviora, n. 7, 1826)

    “Quando questa corruzione sarà stata abolita, allora sradicate quelle società segrete di uomini faziosi che, opponendosi completamente a Dio ed ai principi, si dedicano interamente a provocare la caduta della Chiesa, la distruzione dei regni e il disordine nel mondo intero. Avendo abbandonato i freni della vera religione, preparano la strada a crimini vergognosi”. (Enciclica Traditi Humilitati, n. 6, 1829)

    “Se la destra di Dio non ci avesse dato forza, saremmo annegati a causa della terribile cospirazione di uomini empi”. (Enciclica Mirari Vos, n. 1, 1832)

    “In questo dovete impegnarvi e preoccuparvi diligentemente che la fede sia conservata in mezzo a questa grande cospirazione di uomini empi che tentano di abbatterla e distruggerla”. (Enciclica Mirari Vos, n. 8, 1832)

    “Ora, però, vogliamo che vi mobilitiate per combattere l’abominevole cospirazione contro il celibato clericale. Questa cospirazione si diffonde quotidianamente ed è promossa da filosofi dissoluti, alcuni anche dell’ordine clericale”. (Enciclica Mirari Vos, n. 11, 1832)

    “Nei singoli capitoli rurali, essi diffondono le stesse idee e suscitano una malvagia cospirazione. Inoltre, di tanto in tanto, producevano un opuscolo con molte aggiunte e osavano stamparlo con il titolo audace: “Sono necessarie riforme nella Chiesa cattolica?””. (Enciclica Quo Graviora, n. 3, 1833)

    “Infine, essa [la nostra lettera enciclica Mirari Vos] riguardava quella libertà di coscienza che deve essere condannata a fondo e la ripugnante cospirazione di società che fomentano la distruzione degli affari sacri e statali, anche da parte dei seguaci delle false religioni, come abbiamo chiarito con l’autorità che ci è stata trasmessa”. (Enciclica Singulari Nos, n. 3, 1834)

    “Anche il sacro celibato dei chierici è stato vittima di una cospirazione”. (Enciclica Qui Pluribus, n. 16, 1846)

    “Ma se i fedeli disprezzano sia gli avvertimenti paterni dei loro pastori sia i comandamenti della Legge cristiana qui ricordati, e se si lasciano ingannare dagli attuali promotori di complotti, decidendo di collaborare con loro nelle loro perverse teorie del socialismo e del comunismo, sappiano e considerino seriamente ciò che stanno preparando per se stessi. Il Giudice divino si vendicherà nel giorno dell’ira. Fino ad allora, dalla loro cospirazione non deriverà alcun beneficio temporale per il popolo, ma piuttosto un nuovo aumento della miseria e del disastro. L’uomo, infatti, non ha il potere di stabilire nuove società e unioni che si oppongono alla natura dell’uomo. Se queste cospirazioni si diffondono in tutta Italia, il risultato non può essere che uno: se l’attuale assetto politico viene violentemente scosso e totalmente rovinato dalle reciproche aggressioni dei cittadini contro i cittadini con le loro indebite appropriazioni e stragi, alla fine alcuni pochi, arricchiti dal saccheggio di molti, prenderanno il controllo supremo con la rovina di tutti”. (Enciclica Nostis Et Nobiscum, n. 25, 1849)

    “Perciò dobbiamo deplorare tutto ciò che segue: la cecità che ricopre le menti di molti; la guerra feroce contro tutto ciò che è cattolico e contro questa Sede Apostolica; l’odioso odio per la virtù e la rettitudine; il vizio dissoluto, degnato dell’ingannevole etichetta di virtù; la libertà sfrenata di pensare, vivere e osare tutto a proprio piacimento; l’intolleranza sfrenata di ogni regola, potere e autorità; la derisione e il disprezzo per le cose sacre, per le leggi sacre, per le istituzioni più raffinate; la deplorevole corruzione di una gioventù avara; il fastidioso aggregato di cattivi libri, opuscoli e manifesti che circolano ovunque e insegnano il peccato; il virus mortale dell’indifferentismo e dell’incredulità; la tendenza alle cospirazioni empie e il fatto che sia i diritti umani che quelli divini sono disprezzati e ridicolizzati. ” (Enciclica Exultavit Cor Nostrum, n. 2, 1851)

    “Ma se sempre, venerabili fratelli, ora soprattutto in mezzo a così grandi calamità sia della Chiesa che della società civile, in mezzo a una così grande cospirazione contro gli interessi cattolici e questa Sede Apostolica, e a una così grande massa di errori, è del tutto necessario accostarsi con fiducia al trono della grazia, affinché possiamo ottenere misericordia e trovare grazia in un aiuto tempestivo”. (Enciclica Quanta Cura, n. 9, 1864)

    “Esse [queste leggi] introdurrebbero anche la perversione della disciplina cattolica, incoraggerebbero la defezione dalla Chiesa e rafforzerebbero la coalizione e la cospirazione delle sette contro la vera fede di Cristo”. (Enciclica Vix Dum A Nobis, n. 11, 1874)

    “Siamo molto fiduciosi nel Signore, amati figli, pastori e chierici, che voi, che siete stati ordinati non solo per la vostra santificazione e salvezza, ma anche per quella degli altri, di fronte a questa enorme cospirazione di empi e a tanti pericolosi allettamenti, vi dimostrerete un forte conforto e aiuto per i vostri vescovi a causa della vostra pietà e del vostro zelo dimostrati”. (Enciclica Graves Ac Diuturnae, n. 6, 1875)

    “Ma i supremi pastori della Chiesa, sui quali ricade il dovere di custodire il gregge del Signore dalle insidie del nemico, si sono adoperati in tempo per allontanare il pericolo e provvedere alla sicurezza dei fedeli. Infatti, non appena cominciarono a formarsi le società segrete, nel cui seno si nutrivano già allora i semi degli errori che abbiamo già menzionato, i Romani Pontefici Clemente XII e Benedetto XIV non mancarono di smascherare i cattivi consigli delle sette e di mettere in guardia i fedeli di tutto il mondo contro la rovina che ne sarebbe derivata”. (Enciclica Quod Apostolici Muneris, n. 3, 1878)

    “Che il popolo sia frequentemente esortato dalla vostra autorità e dal vostro insegnamento a fuggire dalle sette proibite, ad aborrire ogni cospirazione a non avere nulla a che fare con la sedizione, e che comprenda che coloro che per amore di Dio obbediscono ai loro governanti rendono un servizio ragionevole e un’obbedienza generosa”. (Enciclica Diuturnum, n. 27, 1881)

    “I Romani Pontefici I Nostri predecessori, nella loro incessante vigilanza sulla sicurezza del popolo cristiano, sono stati tempestivi nell’individuare la presenza e lo scopo di questo nemico capitale, che è venuto subito alla luce invece di nascondersi come un’oscura cospirazione; e, inoltre, hanno colto l’occasione, con vera lungimiranza, per stare, per così dire, in guardia, e non lasciarsi prendere dagli artifici e dalle insidie ordite per ingannarlo”. (Enciclica Humanum Genus, n. 4, 1884)

    “…Desideriamo che la vostra regola sia innanzitutto quella di strappare la maschera alla Massoneria, e di farla vedere per quello che è realmente; e con prediche e lettere pastorali di istruire il popolo sugli artifici usati dalle società di questo tipo per sedurre gli uomini e attirarli nelle loro file, e sulla depravazione delle loro opinioni e la malvagità delle loro azioni”. (Enciclica Humanum Genus, n. 31, 1884)

    “Basta ricordare il razionalismo e il naturalismo, fonti micidiali del male i cui insegnamenti sono ovunque liberamente diffusi. Bisogna poi aggiungere i molti allettamenti alla corruzione: l’opposizione o l’aperta defezione dalla Chiesa da parte dei funzionari pubblici, l’audace ostinazione delle società segrete, qua e là un curriculum per l’educazione della gioventù senza riguardo per Dio.” (Enciclica Quod Multum, n. 3, 1886)

    “Ancora, al momento attuale, contemplando la profondità della vasta cospirazione che alcuni uomini hanno formato per l’annientamento del cristianesimo in Francia e l’animosità con cui perseguono la realizzazione del loro disegno, calpestando le nozioni più elementari di libertà e di giustizia per il sentimento della maggior parte della nazione, e di rispetto per i diritti inalienabili della Chiesa cattolica, come non essere colpiti dal più profondo dolore?”. (Enciclica Au Milieu Des Sollicitudes, n. 2, 1892)

    “Infatti, non temendo nulla e non cedendo a nessuno, la setta massonica procede di giorno in giorno con maggiore audacia: con la sua velenosa infezione pervade intere comunità e si sforza di impigliarsi in tutte le istituzioni del nostro Paese nella sua cospirazione per privare con la forza il popolo italiano della sua fede cattolica, origine e fonte delle sue più grandi benedizioni.” (Enciclica Inimica Vis, n. 3, 1892)

    “Da molto tempo essa si fa strada sotto l’ingannevole veste di società filantropica e redentrice del popolo italiano. Per mezzo di cospirazioni, corruzioni e violenze, è giunta infine a dominare l’Italia e persino Roma. A quali guai, a quali calamità ha aperto la strada in poco più di trent’anni?”. (Enciclica Custodi Di Quella Fede, n. 3, 1892)

    “È il rispetto che ha avuto la sua espressione in misure di polizia molto estese e odiose, preparate nel profondo silenzio di una cospirazione, ed eseguite con fulminea rapidità, proprio nella vigilia del Nostro compleanno, che è stata l’occasione di molti atti di gentilezza e di cortesia verso di Noi da parte del mondo cattolico, e anche del mondo non cattolico”. (Enciclica Non Abbiamo Bisogno, n. 66, 1931)

    “Inoltre, le Società Segrete, che per loro natura sono sempre pronte ad aiutare i nemici di Dio e della Chiesa – siano essi chiunque – cercano di aggiungere nuovi fuochi a questo odio velenoso, da cui non deriva né la pace né la felicità dell’ordine civile, ma la sicura rovina degli Stati”. (Enciclica Caritate Christi Compulsi, n. 7, 1932)

    “Un terzo potente fattore di diffusione del comunismo è la cospirazione del silenzio da parte di una larga parte della stampa non cattolica del mondo. Diciamo congiura, perché non si può spiegare altrimenti come una stampa solitamente così ansiosa di sfruttare anche i piccoli incidenti quotidiani della vita abbia potuto tacere così a lungo sugli orrori perpetrati in Russia, in Messico e perfino in gran parte della Spagna; e che abbia relativamente così poco da dire su un’organizzazione mondiale così vasta come il comunismo russo”. (Enciclica Divini Redemptoris, n. 18, 1937)

Oltre a queste succose citazioni, ricordiamo anche che il Concilio di Calcedonia, nel V secolo, decretò che “se si scopre che qualche chierico o monaco forma una cospirazione o una società segreta o cova complotti contro Vescovi o altri ecclesiastici, [deve] perdere completamente il suo grado personale” (Canone 18, 451).

Inoltre, la Beata Anna Maria Taigi, nelle sue visioni miracolose, vide le imprese cospiratorie delle sette massoniche per fare guerra alla Chiesa, e avvertì il Papa della questione, assistita da San Vincenzo Strambi come mediatore (è per questo motivo che la Vigilanza Novus Ordo è dedicata a San Vincenzo e alla Beata Anna Maria).

Allora, cosa sta succedendo? Tutti questi papi e santi erano dei “teorici della cospirazione”? O forse coloro che oggi si fanno beffe di tutti questi ammonimenti sono essi stessi dei pazzi, non avendo altro che un disprezzo per gli avvertimenti papali e dei santi contro gli sforzi cospiratori per sovvertire la nostra santa religione cattolica?

Si può davvero leggere Matteo 24 e 2 Tessalonicesi 2 senza concludere che ci debba essere, a un certo punto e in qualche modo, una cospirazione che cerca di portare alla rovina eterna delle nostre anime? In effetti, Satana non ha forse cospirato con i suoi demoni per portare le anime alla dannazione eterna, fin da quando tentò Eva (Gen III,1-5)?

La persecuzione del Corpo Mistico di Cristo, che è la Chiesa cattolica, è ben testimoniata anche dalla Preghiera a San Michele Arcangelo che Papa Leone XIII promulgò il 18 maggio 1890, come parte di un più ampio “Esorcismo contro Satana e gli Angeli Apostati”.

    O GLORIOSO ARCANGELO San Michele, principe dell’esercito celeste, difendici nella battaglia e nel combattimento che è nostro contro i Principati e le Potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro gli spiriti del male nelle alte sfere. (Ef 6) Venite in aiuto degli uomini, che Dio ha creato immortali, fatti a sua immagine e somiglianza, e riscattati a caro prezzo dalla tirannia del diavolo. (Sap 2, 1 Cor 6).

    Combatti oggi la battaglia del Signore, insieme agli angeli santi, come hai già combattuto il capo degli angeli superbi, Lucifero, e la sua schiera di apostati, che erano impotenti a resisterti, né c’era più posto per loro in Paradiso. Ma quel crudele, quell’antico serpente, che è chiamato diavolo o Satana, che seduce il mondo intero, è stato gettato nell’abisso con tutti i suoi angeli. (Apoc 12.)

    Ecco, questo nemico primordiale e uccisore dell’uomo ha preso coraggio. Trasformato in angelo di luce, si aggira con tutta la moltitudine di spiriti malvagi, invadendo la terra per cancellare il nome di Dio e del suo Cristo, per cogliere, uccidere e gettare nella perdizione eterna le anime destinate alla corona della gloria eterna. Questo drago malvagio riversa, come un diluvio impuro, il veleno della sua malizia sugli uomini dalla mente depravata e dal cuore corrotto, lo spirito della menzogna, dell’empietà, della bestemmia, l’alito pestilenziale dell’impurità e di ogni vizio e iniquità. Questi nemici astutissimi hanno riempito e inebriato di fiele e di amarezza la Chiesa, sposa dell’Agnello Immacolato, e hanno messo mani empie sui suoi beni più sacri.

    Nello stesso Luogo Santo, dove è stata eretta la Sede del santissimo Pietro e la Cattedra della Verità per la luce del mondo, hanno innalzato il trono della loro abominevole empietà, con l’iniquo disegno che, colpito il Pastore, le pecore vengano disperse.

    Sorgi dunque, o invincibile principe, porta aiuto al popolo di Dio contro gli attacchi degli spiriti perduti e porta loro la vittoria. – La Chiesa ti venera come protettore e patrono; in te la Santa Chiesa si gloria come sua difesa contro le potenze maligne di questo mondo e dell’inferno; a te Dio ha affidato le anime degli uomini perché siano stabilite nella beatitudine celeste. – Pregate il Dio della pace affinché metta satana sotto i nostri piedi, così vinto da non poter più tenere gli uomini in cattività e danneggiare la Chiesa. Offri le nostre preghiere al cospetto dell’Altissimo, affinché concilino rapidamente le misericordie del Signore; e abbattendo il drago, il serpente antico, che è il diavolo e satana, rendilo di nuovo prigioniero nell’abisso, affinché non seduca più le nazioni.

Il testo originale in latino con il decreto di promulgazione si trova negli Acta Sanctae Sedis XXIII (1890-91), pp. 743-747. La preghiera di San Michele si trova nella raccolta ufficiale delle preghiere indulgenziate della Chiesa, la Raccolta, n. 446 (approvata per un’indulgenza di 500 giorni dalla Sacra Penitenzieria Apostolica, il 4 maggio 1934).

Ciò che è particolarmente degno di nota in questa preghiera è che Papa Leone, che l’ha composta, fa esplicito riferimento al “Luogo Santo… dove è stata eretta la Sede del santissimo Pietro e la Cattedra della Verità per la luce del mondo”. Lì, dice, i diabolici nemici della Chiesa “hanno innalzato il trono della loro abominevole empietà, con l’iniquo disegno che quando il Pastore sarà colpito, le pecore saranno disperse”, che è un’allusione a Zac 13,7 e Mt 26,31.

Non è forse esattamente quello che abbiamo visto accadere dopo la morte di Pio XII? Dal conclave che ha eletto il suo successore Gregorio XVII, subito impedito, e cacciato, emersde un antipapa (Giovanni XXIII), che ha messo in moto una nuova religione con una falsa gerarchia, “colpendo così il pastore” (il Papa) ed eclissando la Vera Chiesa, come profetizzato in Apoc XII secondo p. Sylvester Berry (vedi link sotto).

Che una Grande Apostasia – un allontanamento dalla Fede a causa di una seduzione causata da un'”operazione di errore” (2 Tess. II:10) con “falsi Cristi e falsi profeti” e “segni e prodigi” menzogneri (Mt. XXIV:24) – e una Passione Mistica avrebbero afflitto la Chiesa cattolica prima della Seconda Venuta di Cristo è parte integrante del Deposito della Fede ricevuto dagli Apostoli, che a loro volta lo ricevettero dal nostro Santissimo Signore stesso.

Il punto chiave è che, informati dal Deposito della Fede attraverso un’interpretazione ortodossa delle Sacre Scritture, i teologi cattolici non consideravano affatto folle o assurdo che a un certo punto ci sarebbe stato un grande allontanamento dalla Fede attraverso un’enorme catastrofe che avrebbe colpito la Chiesa, e che questo sarebbe avvenuto come preludio alla venuta dell’Anticristo. – D’altra parte, è la Chiesa del Vaticano II che cerca di far credere che questa sia un’idea sciocca, sostenuta solo da pazzi fuori di testa. In effetti, fu lo stesso “Papa” Giovanni XXIII ad avere l’audacia di prendere in giro gli avvertimenti dei Papi e dei santi a questo proposito, dicendo nel discorso di apertura del suo cosiddetto Concilio Vaticano II: “Ci sentiamo in dovere di dissentire da quei profeti di tenebre, che prevedono sempre disastri, come se la fine del mondo fosse vicina” (Discorso Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962). Dopo oltre 60 anni di Vaticano II, è assolutamente chiaro che i “profeti di sventura” avevano ragione e Giovanni XXIII si sbagliava.

Ma perché la Chiesa del Vaticano II avrebbe preso una posizione così arrogante, che equivaleva a un completo capovolgimento rispetto alla posizione tradizionale? Semplice! Perché la setta del Novus Ordo è essa stessa il Grande Inganno! Non è un caso che proprio quando la cospirazione massonica contro la Chiesa cattolica riuscì a eclissare il Papato mettendo in Vaticano il primo di una serie di usurpatori, iniziò a fingere che si prospettassero solo grandi tempi (si ricordi il commovente “discorso lunare” di Giovanni XXIII la notte dell’11 ottobre 1962). Le aspettative erano luminose e allegre, ma la realtà che seguì fu cruda e cupa. Ci viene in mente il lamento di Geremia: “Cercavamo la pace e non è arrivata; cercavamo un tempo di guarigione ed ecco la paura” (Ger VIII,15). – Quella che era stata pubblicizzata come una “nuova primavera della fede” e salutata come un’imminente “nuova Pentecoste” per la Chiesa, si è rivelata in realtà niente di meno che la grande apostasia profetizzata nelle Sacre Scritture, l'”operazione dell’errore” predetta da San Paolo, che sarebbe venuta su di noi come punizione per i nostri peccati:

    E allora si manifesterà quel malvagio che il Signore Gesù ucciderà con lo spirito della sua bocca e distruggerà con lo splendore della sua venuta, colui la cui venuta è secondo l’opera di satana, con ogni potenza, segni e prodigi bugiardi e con ogni seduzione dell’iniquità verso coloro che periscono, perché non hanno ricevuto l’amore della verità per essere salvati. Perciò Dio manderà loro l’operazione dell’errore, perché credano alla menzogna: affinché siano giudicati tutti coloro che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all’iniquità. (2 Tess II :8-11)

Purtroppo, ancora oggi, c’è un gran numero di persone che fa finta che, più o meno, tutto vada bene. Ma … “Guai a voi che chiamate il male bene e il bene male; che mettete le tenebre per la luce e la luce per le tenebre; che mettete l’amaro per il dolce e il dolce per l’amaro”, dice Isaia (V:20). State guardando una terra desolata dal punto di vista spirituale, teologico, dottrinale e morale e vi viene chiesto di credere che sia la Sposa di Cristo senza macchia. Pensate a quanto sia avanzata l’apostasia!

Nel 1994, l’ex membro della guardia d’onore del Vaticano Franco Bellegrandi fece scalpore quando pubblicò il suo libro Nikita Roncalli: Counterlife of a Pope. Bellegrandi aveva lavorato in Vaticano dalla fine degli anni Cinquanta alla metà degli anni Sessanta, cioè durante tutto il regno di “Papa” Giovanni XXIII. In seguito è diventato corrispondente del giornale interno del Vaticano, L’Osservatore Romano (per saperne di più clicca qui). Nel suo libro esplosivo, Bellegrandi ha rivelato, tra le altre cose, che l’elezione di Angelo Roncalli (Giovanni XXIII) e poi di Gian Battista Montini (Paolo VI) era stata preordinata da forze marxiste-massoniche dietro le quinte. – Nelle alte sfere vaticane non era infatti un segreto che, dopo Pio XII, il prossimo Conclave avrebbe eletto il patriarca di Venezia Roncalli, il quale, a sua volta, avrebbe “portato” sulla Sede di Pietro Giovanni Battista Montini. Da Milano, il vescovo bresciano con lo sguardo da gufo, che a Roma soprannominano “Amleto” o il “Gatto”, stava tirando le fila di un gioco colossale, con il prezioso aiuto di un gruppo di potenti prelati tra cui si distinguevano il cardinale belga Leo Jozef Suenens, l’olandese Bernard Jan Alfrinck e il tedesco Agostino Bea, con il segreto appoggio del marxismo internazionale. Quel colossale gioco che avrebbe ribaltato i contenuti e l’aspetto della Chiesa, dell’Italia, dell’Europa e del mondo intero con tutti i suoi consolidati pesi e contrappesi, aveva bisogno, per mettersi in moto e svilupparsi, di un formidabile “ariete”. Questo “ariete” che si abbatteva con irresistibile violenza contro le mura bimillenarie della Chiesa, frantumandone l’inviolata compattezza, era Angelo Giuseppe Roncalli. Dietro di lui la furia del “Nuovo Corso” avrebbe fatto irruzione nella cittadella vinta. Tutto era stato predisposto da tempo, con precisione, affinché il cardinale di Sotto il Monte diventasse un Papa di rottura. Il Collegio cardinalizio era così ben guidato e orientato che oggi, a distanza di anni da quel Conclave, è stata persino data una versione più credibile del piccolo mistero delle tre “fumate”, bianca, nera e poi ancora bianca, che uscirono, in breve sequenza, dal camino della Cappella Sistina, creando scompiglio tra la folla assiepata con il naso per aria in piazza San Pietro. In realtà fu eletto il Cardinale Giuseppe Siri (Gregorio XVII)

    Accompagnavo, in quel Conclave, il cardinale Federico Tedeschini, Datano di Sua Santità e Arciprete della Patriarcale Basilica Vaticana, che mi voleva molto bene, e al quale ero sinceramente e affettivamente legato. Nella quiete del suo studio, carico di broccati e affollato di ritratti, nell’antico palazzo di via della Dateria, presso il Quirinale, quel bel cardinale, alto e aristocratico nella sua veneranda vecchiaia, dal volto pallido e delicato su cui brillavano luminosi i suoi occhi grigio-azzurri, mi aveva raccontato, mestamente, di quelle, purtroppo, autentiche previsioni e aveva guidato per mano il mio smarrimento in quell’intricato labirinto di interessi politici, ambizioni personali, di rivalità, di conflitti tra gruppi di potere, che si intrecciavano, così fitti, nell’anticamera di quel Conclave e che avrebbero portato, sotto le volte della Sistina gremita dalle folle piangenti di Michelangelo, a quel risultato ormai acquisito e che i cattolici inconsapevoli avrebbero attribuito all’intervento dello Spirito Santo. E mi veniva da ridere, mentre guardavo il correre scomposto e sudato e frenetico dei giornalisti a caccia di indiscrezioni e previsioni avventate e le facce ermetiche e i sorrisi indefiniti con cui i più eminenti principi della Chiesa resistevano, o sfuggivano, ai loro assalti. (Franco Bellegrandi, NichitaRoncalli, pp. 31-33). – Non è un caso che il Concilio Vaticano II di Giovanni XXIII abbia ripreso i tre ideali massonici di libertà, uguaglianza e fraternità, spacciandoli agli ignari fedeli come libertà religiosa, collegialità ed ecumenismo. Ormai la Chiesa del Novus Ordo è essenzialmente un portavoce della Massoneria, che insegna i suoi principi fondamentali al posto della sana dottrina cattolica, con alcune piccole modifiche, ovviamente, per una plausibile negazione. Da qui la costante enfasi su idee massoniche come i diritti dell’uomo (mai sentito parlare dei diritti di Dio dal Vaticano?), una nozione esagerata di dignità umana, la libertà di religione, le pratiche ecumeniche, il dialogo interreligioso, la pace attraverso la fraternità naturale tra tutti gli uomini, e così via. Questi errori sono stati tutti condannati dai veri Papi Cattolici prima dell’eclissi ecclesiale, in documenti importanti come i seguenti:

    Papa Gregorio XVI, Enciclica Mirari Vos (1832)

    Papa Pio IX, Enciclica Quanta Cura (1864)

    Papa Pio IX, Sillabo degli errori (1864)

    Papa Leone XIII, Enciclica Humanum Genus (1884)

    Papa Leone XIII, Enciclica Satis Cognitum (1896)

    Papa San Pio X, Lettera apostolica Il nostro mandato apostolico (1910)

    Papa Pio XI, Enciclica Ubi Arcano (1922)

    Papa Pio XI, Enciclica Quas Primas (1925)

    Papa Pio XI, Enciclica Mortalium Animos (1928)

Ma eccoci di nuovo alle prese con le nostre folli cospirazioni, nonostante tutte le prove che apparentemente le dimostrano.

In realtà, la prova più innegabile di tutte proviene dagli stessi massoni, prova che è stata pubblicamente svelata per ordine di due Papi. Stiamo parlando di un documento chiamato “Istruzione permanente” della loggia italiana Alta Vendita. Questo documento delinea un piano di battaglia del XIX secolo per la (tentata) distruzione della Chiesa cattolica romana. Per i meravigliosi meccanismi della Divina Provvidenza, è caduto nelle mani dei papi Pio IX e Leone XIII, che ne hanno ordinato la pubblicazione.

Le prove che testimoniano l’esistenza di un’empia cospirazione ideata dalle sette massoniche contro la Chiesa cattolica, il Corpo mistico di Cristo, sono schiaccianti e innegabili. Solo uno sciocco chiuderebbe gli occhi di fronte ad essa e fingerebbe che la minaccia non esista.

Papa Leone XIII, nella sua enciclica del 1884 contro la Massoneria, non ha usato mezzi termini: Desideriamo che la vostra regola sia innanzitutto quella di strappare la maschera alla Massoneria, e di farla vedere come realmente è; e con sermoni e lettere pastorali di istruire il popolo sugli artifici usati dalle società di questo tipo per sedurre gli uomini e attirarli nelle loro file, e sulla depravazione delle loro opinioni e la malvagità delle loro azioni. Come i Nostri predecessori hanno ripetuto più volte, nessuno pensi di poter aderire per qualsiasi motivo alla setta massonica, se tiene al suo nome cattolico e alla sua salvezza eterna come dovrebbe. Nessuno si lasci ingannare da una finzione di onestà. Ad alcuni può sembrare che i massoni non chiedano nulla che sia apertamente contrario alla religione e alla morale; ma, poiché l’intero principio e l’oggetto della setta risiede in ciò che è vizioso e criminale, unirsi a questi uomini o aiutarli in qualsiasi modo non può essere lecito”.

    (Papa Leone XIII, Enciclica Humanum Genus, n. 31)

Il Pusillus grex cattolico ritiene che la cospirazione massonica contro la Chiesa abbia segnato una svolta decisiva nel conclave del 1958, quando, almeno in apparenza, il vero Papa fu rovesciato e fu installato un impostore (Giovanni XXIII). È questo l’evento spartiacque da cui prende formalmente avvio la nuova Chiesa modernista, quella falsa religione che ancora oggi si maschera da Chiesa cattolica in Vaticano.

Ma la prova definitiva di ciò si ha non tanto nelle prove dirette del conclave o dei piani massonici, quanto piuttosto negli effetti prodotti dal conclave e dalla conseguente nuova religione che ne è scaturita, una religione che non può, assolutamente non può essere quella cattolica perché insegna dottrine in grave contrasto con la Fede cattolica, per cui chi abbraccia gli insegnamenti della Chiesa del Vaticano II abbandona necessariamente le dottrine della Chiesa cattolica di Pio XII e dei suoi predecessori.

Non ci credete ancora? Bene. Ma qualunque cosa crediate, assicuratevi di farla dipendere dalle prove, non dal fatto che presupponga una cospirazione o che vi piacciano le conclusioni che ne derivano. Cercate sempre la verità, non solo la rivendicazione di una posizione preconcetta che trovate comoda o conveniente.

Il grande p. Frederick Faber, di immortale memoria, una volta ha detto quanto segue in un sermone che ha predicato:

    Dobbiamo ricordare che se tutti gli uomini palesemente buoni fossero da una parte e tutti gli uomini palesemente cattivi dall’altra, non ci sarebbe pericolo che nessuno, tanto meno gli eletti, venga ingannato da prodigi bugiardi. Sono gli uomini buoni, buoni una volta, dobbiamo sperare ancora buoni, a compiere l’opera dell’anticristo e a crocifiggere così tristemente il Signore di nuovo…. Tenete presente questa caratteristica degli ultimi giorni: l’inganno deriva dal fatto che gli uomini buoni sono dalla parte sbagliata.

    (Rev. Frederick Faber, Sermone per la domenica di Pentecoste, 1861; qtd. in Rev. Denis Fahey, The Mystical Body of Christ in the Modern World)

Chiedetevi da che parte preferireste stare nel giorno del giudizio: da quella di innumerevoli Papi, Santi e Martiri cattolici, che nei loro scritti e insegnamenti ci hanno messo in guardia contro i nefasti complotti escogitati dai nemici della Chiesa per la sua rovina – o dalla parte degli apologeti del Novus Ordo “che non sentono il male, non vedono il male”?

Una volta che guardiamo tutto con calma e obiettività, informandoci sull’insegnamento cattolico tradizionale e accettando sobriamente i fatti che abbiamo davanti, ci rendiamo conto che una cospirazione diabolica è stata portata avanti contro la Chiesa cattolica, e che affermarlo non ci rende pazzi o stupidi, ma ci mette in buona compagnia.

A tutti i livelli – dottrinale, morale, liturgico, architettonico – la Chiesa del Vaticano II ha lasciato dietro di sé una vigna devastata. Una sola conclusione è ragionevole: “Un nemico ha fatto questo” (Mt 13,28).

UBI PAPA, IBI ECCLESIA (9): “UN FALSO PAPA ED UNA SEDE IMPEDITA ED USURPATA.”

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. LEONE XIII “ANNUM INGRESSI”

Con questa lunga Lettera apostolica, il Santo Padre Leone XIII ribadisce ancora una volta il ruolo salvifico per il singolo, per la società e per il mondo intero, della Chiesa fondata e voluta da Cristo, e l’opera meravigliosa che il Cristianesimo ha diffuso intorno a sé nello spazio di quasi due millenni. Ecco una apologia del ruolo della Chiesa tra i popoli, la Chiesa Cattolica osteggiata da numerosi nemici tutti al servizio del nemico di Dio e dell’uomo, il serpente maledetto antico, padre della menzogna ed omicida fin dal principio, satana che S. S. riconosce ancora all’origine della massoneria e delle sette da essa guidate. Non di importanza minore è l’aspetto profetico della Lettera, che oggi vediamo realizzato a partire proprio dalla nuova “chiesa modernista dell’uomo” che si è prima lentamente infiltrata, e che oggi si spaccia per Chiesa Cattolica, usurpandone tutte le cariche, gli uffici e gli edifici un tempo custodi della fede e dei riti che Dio aveva stabilito attraverso la venuta del Figlio e la fondazione della sua unica vera Chiesa. Ma non togliamo spazio alla parola del Sommo Pontefice, invitando tutti noi “pusillus grex” a pregare il Dio degli eserciti perché perdoni le nostre offese e l’abbandono delle sue Leggi e della morale da Lui stabilita, cosicché faccia rifiorire la sua eterna Chiesa e stabilisca già su questa terra il Dominio eegale del suo unico Figlio-Dio con il Quale vivere in eterno nei Cieli nella beatitudine senza fine.

Lettera apostolica “Annum Ingressi” di Papa Leone XIII

19 marzo 1902

ANNUM INGRESSI

LETTERA APOSTOLICA DI SUA SANTITÀ PAPA LEONE XIII

A TUTTI I PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI E VESCOVI DEL MONDO CATTOLICO

LEO XIII PAPA

Venerabili Fratelli, salute e benedizione apostolica.

Giunti al venticinquesimo anno del nostro ministero apostolico, e stupiti noi stessi della lunghezza del cammino percorso tra dolorose e continue preoccupazioni, ci viene spontaneo rivolgere il nostro pensiero a Dio sempre benedetto, che, con tanti altri favori, si è degnato di concederci un Pontificato la cui durata è stata difficilmente superata nella storia. Al Padre di tutti gli uomini, dunque, a Colui che tiene nelle sue mani il misterioso segreto della vita, sale, come un bisogno imperioso del cuore, il cantico del nostro ringraziamento. Certamente l’occhio dell’uomo non può penetrare tutte le profondità dei disegni di Dio nel prolungare così la nostra vecchiaia oltre i limiti della speranza: qui possiamo solo tacere ed adorare. Ma c’è una cosa che comprendiamo bene, e cioè che, poiché gli è piaciuto, e gli piace tuttora, conservare la nostra esistenza, un grande dovere incombe su di noi: vivere per il bene e lo sviluppo della sua immacolata sposa, la santa Chiesa; e, lungi dal perdere il coraggio in mezzo alle cure ed ai dolori, consacrare a Lui il resto delle nostre forze fino all’ultimo sospiro. – Dopo aver reso un giusto tributo di gratitudine al nostro Padre Celeste, al quale siano onore e gloria per tutta l’eternità, ci piace rivolgere il nostro pensiero e le nostre parole a voi, Venerabili Fratelli, che, chiamati dallo Spirito Santo a governare le porzioni designate del gregge di Gesù Cristo, condividete con noi la lotta ed il trionfo, i dolori e le gioie del ministero di pastori. No, non svaniranno mai dalla nostra memoria quelle frequenti ed eclatanti testimonianze di religiosa venerazione che ci avete profuso nel corso del nostro Pontificato, e che ancora moltiplicate con emulazione piena di tenerezza nelle circostanze attuali. Già intimamente uniti a voi dal nostro dovere e dal nostro amore paterno, siamo maggiormente attratti da queste prove della vostra devozione, così care al nostro cuore, non tanto per ciò che di personale esse hanno nei nostri confronti, quanto per l’inviolabile attaccamento che esse denotano a questa Sede Apostolica, centro e pilastro di tutte le sedi della cattolicità. Se è sempre stato necessario che, secondo i diversi gradi della gerarchia ecclesiastica, tutti i figli della Chiesa fossero seducentemente uniti dai vincoli della mutua carità e dal perseguimento degli stessi obiettivi, in modo da formare un solo cuore ed una sola anima, questa unione è diventata ai nostri giorni più indispensabile che mai. Infatti, chi può ignorare la vasta cospirazione di forze ostili che oggi mira a distruggere ed a far scomparire la grande opera di Gesù Cristo, cercando, con una furia che non conosce limiti, di derubare l’uomo, nell’ordine intellettuale, del tesoro della verità celeste e, nell’ordine sociale, di cancellare le istituzioni cristiane più sante e più salutari. Ma voi stessi siete colpiti ogni giorno da tutto questo. Voi che, più di una volta, ci avete riversato le vostre ansie e angosce, deplorando la moltitudine di pregiudizi, i falsi sistemi e gli errori che si diffondono impunemente tra le masse del popolo. Quali insidie sono tese da ogni parte alle anime di coloro che credono! Quali ostacoli si moltiplicano per indebolire e, se possibile, distruggere l’azione benefica della Chiesa! E nel frattempo, come se si aggiungesse la derisione all’ingiustizia, la Chiesa stessa viene accusata di aver perso il suo vigore incontaminato e di essere impotente ad arginare la marea di passioni traboccanti che minacciano di portare via tutto.

Vorremmo, Venerabili Fratelli, intrattenervi con argomenti meno tristi e più in armonia con la grande e propizia occasione che ci induce a rivolgerci a voi. Ma nulla suggerisce un simile tenore di discorso: né le dolorose prove della Chiesa che richiedono con insistenza pronti rimedi; né le condizioni della società contemporanea che, già minata dal punto di vista morale e materiale, tende verso un futuro ancora più cupo a causa dell’abbandono delle grandi tradizioni cristiane; una legge della Provvidenza, confermata dalla storia, che dimostra che non si può rinunciare ai grandi principi religiosi senza scuotere allo stesso tempo le fondamenta dell’ordine e della prosperità sociale. In queste circostanze, per consentire alle anime di riprendersi, per fornire loro una nuova provvista di fede e di coraggio, ci sembra opportuno ed utile soppesare attentamente, nella sua origine, nelle sue cause e nelle sue varie forme, l’implacabile guerra che viene condotta contro la Chiesa; e nel denunciarne le perniciose conseguenze indicare un rimedio. Che le nostre parole, dunque, risuonino forti, anche se non fanno altro che ricordare verità già affermate; che siano ascoltate non solo dai figli dell’unità cattolica, ma anche da coloro che differiscono da noi, e persino dalle anime infelici che non hanno più fede; perché sono tutti figli di un unico Padre, tutti destinati allo stesso bene supremo; che le nostre parole, infine, siano accolte come il testamento che, alla breve distanza che ci separa dall’eternità, vorremmo lasciare ai popoli come presagio della salvezza che desideriamo per tutti.

Durante tutto il corso della sua storia, la Chiesa di Cristo ha dovuto combattere e soffrire per la verità e la giustizia. Istituita dallo stesso Divino Redentore per stabilire in tutto il mondo il Regno di Dio, essa deve, alla luce della legge evangelica, condurre l’umanità decaduta ai suoi destini immortali; cioè, farla entrare in possesso delle benedizioni senza fine che Dio ci ha promesso e alle quali la nostra forza naturale non potrebbe mai arrivare – una missione celeste, nel perseguimento della quale la Chiesa non poteva non essere contrastata dalle innumerevoli passioni generate dalla caduta primordiale dell’uomo e dalla conseguente corruzione – orgoglio, cupidigia, desiderio sfrenato di piaceri materiali: contro tutti i vizi ed i disordini che scaturiscono da queste radici velenose, la Chiesa è sempre stata il mezzo più potente di contenimento. Né dobbiamo stupirci delle persecuzioni che sono sorte, di conseguenza, da quando il Maestro divino le aveva preannunciate; e dovranno continuare finché durerà questo mondo. Quali parole rivolse ai suoi discepoli quando li inviò a portare il tesoro delle sue dottrine a tutte le nazioni? Sono familiari a tutti noi: “Sarete perseguitati di città in città, sarete odiati e disprezzati per amore del mio Nome, sarete trascinati davanti ai tribunali e condannati a pene estreme”. E volendo incoraggiarli nell’ora della prova, propose se stesso come esempio: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me”. (San Giovanni XV, 18).

Certamente nessuno che abbia una visione giusta e imparziale delle cose, può spiegare il motivo di questo odio. Quale offesa fu mai commessa, quale ostilità meritò il Divino Redentore? Sceso tra gli uomini per impulso della carità divina, aveva insegnato una dottrina irreprensibile, consolante, efficacissima per unire gli uomini in una fratellanza di pace e di amore; non aveva bramato né grandezza terrena né onori; non aveva usurpato i diritti di nessuno; al contrario, era pieno di pietà per i deboli, i malati, i poveri, i peccatori e gli oppressi: perciò la sua vita non era che un passaggio per distribuire con mano munifica i suoi benefici tra gli uomini. Dobbiamo riconoscere, di conseguenza, che è stato semplicemente per un eccesso di cattiveria umana, tanto più deplorevole perché ingiusta, che, tuttavia, Egli è diventato, in verità, secondo la profezia di Simeone, “un segno di contraddizione”.

Che meraviglia, dunque, se la Chiesa Cattolica, che continua la Sua missione divina ed è l’incorruttibile depositaria delle Sue verità, abbia ereditato la stessa sorte? Il mondo è sempre coerente nel suo cammino. Vicino ai figli di Dio sono costantemente presenti i satelliti di quel grande avversario del genere umano che, ribelle fin dall’inizio contro l’Altissimo, è chiamato nel Vangelo il “principe di questo mondo”. È per questo motivo che lo spirito del mondo, in presenza della legge e di colui che la annuncia in Nome di Dio, si gonfia dell’orgoglio smisurato di un’indipendenza che mal gli si addice. Ahimè, quante volte, in epoche più tempestose, con inaudita crudeltà e spudorata ingiustizia, e con evidente rovina dell’intero corpo sociale, gli avversari si sono coalizzati per l’avventata impresa di dissolvere l’opera di Dio! E non riuscendo con un modo di persecuzione, ne hanno adottati altri. Per tre lunghi secoli l’Impero romano, abusando della sua forza bruta, ha sparso i corpi dei martiri in tutte le sue province e ha bagnato con il loro sangue ogni metro di terra in questa sacra città di Roma; mentre l’eresia, agendo di concerto, nascosta sotto una maschera o con aperta sfrontatezza, con sofismi e insidie, cercava di distruggere almeno l’armonia e l’unità della fede. Allora si scatenarono, come una tempesta devastante, le orde di barbari dal nord e i musulmani dal sud, lasciando dietro di sé solo rovine in un deserto. Così si è trasmessa di epoca in epoca la malinconica eredità dell’odio da cui è stata travolta la Sposa di Cristo. Seguì un cesarismo tanto sospettoso quanto potente, geloso di ogni altro potere, indipendentemente dallo sviluppo che avrebbe potuto acquisire, che attaccò incessantemente la Chiesa, per usurpare i suoi diritti e calpestare le sue libertà. Il cuore sanguina nel vedere questa madre così spesso oppressa da angosce e dolori indicibili. Tuttavia, trionfando su ogni ostacolo, su ogni violenza e su ogni tirannia, ha piantato le sue tende pacifiche in modo sempre più ampio; ha salvato dal disastro il glorioso patrimonio delle arti, della storia, delle scienze e delle lettere; e impregnando profondamente l’intero corpo della società con lo spirito del Vangelo, ha creato la civiltà cristiana – quella civiltà a cui le nazioni, sottoposte alla sua benefica influenza, devono l’equità delle loro leggi, la mitezza dei loro modi, la protezione dei deboli, la pietà per gli afflitti e i poveri, il rispetto per i diritti e la dignità di tutti gli uomini e, quindi, per quanto è possibile in mezzo alle fluttuazioni degli affari umani, quella calma della vita sociale che nasce dalla giusta e prudente alleanza tra giustizia e libertà.

Queste prove dell’eccellenza intrinseca della Chiesa sono tanto eclatanti e sublimi quanto durature. Tuttavia, come nel Medioevo e nei primi secoli, così in quelli più vicini a noi, vediamo la Chiesa attaccata più duramente, almeno in un certo senso, e più angosciosamente che mai. Per una serie di cause storiche ben note, la pretesa Riforma del XVI secolo innalzò il vessillo della rivolta e, decidendo di colpire dritto al cuore della Chiesa, attaccò audacemente il Papato. Essa spezzò il prezioso legame dell’antica unità di fede e di autorità che, centuplicando potere, prestigio e gloria, grazie all’armonioso perseguimento degli stessi obiettivi, univa tutte le nazioni sotto un unico bastone ed un unico pastore. Essendo questa unità spezzata, un pernicioso principio di disintegrazione è stato introdotto tra tutti i ranghi dei Cristiani. – Non pretendiamo di affermare che fin dall’inizio ci sia stato un proposito preciso di distruggere il principio del Cristianesimo nel cuore della società; ma rifiutando, da un lato, di riconoscere la supremazia della Santa Sede, causa e vincolo effettivo dell’unità, e proclamando, dall’altro, il principio del giudizio privato, la struttura divina della fede fu scossa nelle sue fondamenta più profonde e si aprì la strada ad infinite variazioni, a dubbi e negazioni delle cose più importanti, in una misura che gli stessi innovatori non avevano previsto. La strada era aperta. Poi arrivò il filosofismo sprezzante e beffardo del XVIII secolo, che avanzò ulteriormente. Mise in ridicolo il sacro canone delle Scritture e rifiutò l’intero sistema delle verità rivelate, con lo scopo di riuscire alla fine a sradicare dalla coscienza del popolo ogni credenza religiosa e soffocare in esso l’ultimo soffio dello spirito del Cristianesimo. Da qui sono scaturiti il razionalismo, il panteismo, il naturalismo e il materialismo – sistemi velenosi e distruttivi che, sotto diverse apparenze, rinnovano gli antichi errori trionfalmente confutati dai Padri e dai Dottori della Chiesa; così che l’orgoglio dei tempi moderni, per l’eccessiva fiducia nelle proprie luci, è stato colpito da cecità; e, come il paganesimo, ha sussistito d’ora in poi su fantasie, anche per quanto riguarda gli attributi dell’anima umana ed i destini immortali che costituiscono il nostro glorioso patrimonio. – La lotta contro la Chiesa assunse così un carattere più grave che in passato, non tanto per la veemenza dell’assalto quanto per la sua universalità. L’incredulità contemporanea non si limita a negare o dubitare degli articoli di fede. Ciò che combatte è l’intero corpo di principi che la sacra rivelazione e la sana filosofia sostengono; quei principi fondamentali e santi che insegnano all’uomo l’oggetto supremo della sua vita terrena, che lo mantengono nell’adempimento del suo dovere, che ispirano il suo cuore con coraggio e rassegnazione e che, promettendogli una giustizia incorruttibile ed una felicità perfetta al di là della tomba, gli permettono di assoggettare il tempo all’eternità, la terra al cielo. Ma cosa prende il posto di questi principi che costituiscono l’incomparabile forza conferita dalla fede? Uno spaventoso scetticismo, che agghiaccia il cuore e soffoca nella coscienza ogni aspirazione magnanima. – Questo sistema di ateismo pratico deve necessariamente causare, come in effetti accade, un profondo disordine nel campo della morale, perché, come hanno dichiarato i più grandi filosofi dell’antichità, la religione è il fondamento principale della giustizia e della virtù. Quando si spezzano i legami che uniscono l’uomo a Dio, che è il Legislatore Sovrano ed il Giudice Universale, rimane un mero fantasma di moralità; una moralità puramente civica e, come viene definita, indipendente, che, astraendo dalla Mente Eterna e dalle leggi di Dio, discende inevitabilmente fino a raggiungere la conclusione finale di rendere l’uomo una legge per se stesso. Incapace, di conseguenza, di elevarsi sulle ali della speranza cristiana verso i beni dell’aldilà, l’uomo cercherà una soddisfazione materiale nelle comodità e nei piaceri della vita. Si accenderà in lui la sete di piacere, il desiderio di ricchezza e la ricerca affannosa di un benessere rapido e illimitato, anche a costo della giustizia. Si accenderà in lui ogni ambizione ed un desiderio febbrile e frenetico di soddisfarla anche in barba alla legge, e sarà influenzato da un disprezzo per il diritto e per l’autorità pubblica, oltre che da una licenziosità di vita che, quando la condizione diventerà generale, segnerà il vero decadimento della società. – Forse potremmo essere accusati di esagerare le tristi conseguenze dei disturbi di cui parliamo. No, perché la realtà è sotto i nostri occhi e giustifica fin troppo le nostre previsioni. È evidente che se non ci sarà presto un miglioramento, le basi della società crolleranno e trascineranno con sé i grandi ed eterni principi della legge e della morale.

È in conseguenza di questa condizione di cose che il corpo sociale, a partire dalla famiglia, soffre di mali così gravi. Lo Stato laico, infatti, dimenticando i suoi limiti e l’oggetto essenziale dell’autorità che esercita, ha messo le mani sul vincolo matrimoniale per profanarlo e lo ha privato del suo carattere religioso; ha osato quanto più possibile in materia di quel diritto naturale che i genitori hanno di educare i propri figli, ed in molti Paesi ha distrutto la stabilità del matrimonio dando una sanzione legale alla licenziosa istituzione del divorzio. Tutti conoscono il risultato di questi attacchi. Più di quanto le parole possano dire, hanno moltiplicato i matrimoni spinti solo da passioni vergognose, che vengono rapidamente sciolti e che, a volte, portano a tragedie sanguinose, altre volte alle più sconvolgenti infedeltà. Non parliamo poi della prole innocente di queste unioni, dei bambini che vengono abbandonati o la cui morale viene corrotta da un lato dal cattivo esempio dei genitori, dall’altro dal veleno che lo Stato ufficialmente laico riversa costantemente nei loro cuori. – Oltre alla famiglia, anche l’ordine politico e sociale è messo in pericolo da dottrine che attribuiscono una falsa origine all’autorità e che hanno corrotto l’autentica concezione del governo. Infatti, se l’autorità sovrana deriva formalmente dal consenso del popolo e non da Dio, che è il Principio supremo ed eterno di ogni potere, essa perde agli occhi dei governati la sua più augusta caratteristica e degenera in una sovranità artificiale che poggia su basi instabili e mutevoli, cioè sulla volontà di coloro da cui si dice che deriva. Non vediamo le conseguenze di questo errore nell’applicazione delle nostre leggi? Troppo spesso queste leggi, invece di essere una sana ragione formulata per iscritto, non sono altro che l’espressione del potere del maggior numero e della volontà del partito politico predominante. È così che la folla viene assecondata nel tentativo di soddisfare i suoi desideri; che viene dato libero sfogo alla passione popolare, anche quando disturba la tranquillità faticosamente acquisita dello Stato, quando il disordine all’ultimo stadio può essere sedato solo con misure violente e con lo spargimento di sangue.

In seguito al ripudio di quei principi cristiani che avevano contribuito in modo così efficace a unire le nazioni nei legami di fratellanza e a riunire tutta l’umanità in un’unica grande famiglia, è sorto a poco a poco nell’ordine internazionale un sistema di geloso egoismo, in conseguenza del quale le nazioni si guardano ora, se non con odio, almeno con il sospetto di essere rivali. Così, nelle loro grandi imprese, perdono di vista gli alti principi della moralità e della giustizia e dimenticano la protezione che i deboli e gli oppressi hanno il diritto di chiedere. Nel desiderio di accrescere le loro ricchezze nazionali, considerano solo le opportunità che le circostanze offrono, i vantaggi di imprese di successo e l’esca allettante di un fatto compiuto, sicuri che nessuno li disturberà in nome del diritto o del rispetto che il diritto può reclamare. Questi sono i principii fatali che hanno consacrato il potere materiale come legge suprema del mondo e ad essi si deve imputare l’aumento illimitato degli stabilimenti militari e quella pace armata che, per molti aspetti, equivale ad una guerra disastrosa.- Questa deplorevole confusione nel regno delle idee ha prodotto inquietudine tra il popolo, scoppi ed un generale spirito di ribellione. Da qui sono nate le frequenti agitazioni popolari ed i disordini del nostro tempo, che sono solo il preludio di disordini molto più terribili in futuro. La condizione miserabile di gran parte delle classi più povere, che sicuramente meritano la nostra assistenza, offre un’opportunità straordinaria per i disegni di agitatori intriganti, in particolare delle fazioni socialiste, che fanno alle classi più umili le promesse più stravaganti e le usano per realizzare i progetti più terribili. – Chi inizia una discesa pericolosa viene presto scaraventato suo malgrado nell’abisso. Spinta da una logica inesorabile, si è organizzata una società di veri e propri criminali che, al suo primo apparire, ha sconvolto il mondo per il suo carattere selvaggio. Grazie alla solidarietà della sua costruzione e alle sue ramificazioni internazionali, ha già tentato la sua opera malvagia, perché non teme nulla e non indietreggia davanti a nessun pericolo. Rifiutando ogni unione con la società e disprezzando cinicamente la legge, la Religione e la morale, i suoi adepti hanno adottato il nome di anarchici e si propongono di sovvertire completamente le condizioni attuali della società ricorrendo a tutti i mezzi che una passione cieca e selvaggia può suggerire. E come la società trae la sua unità e la sua vita dall’autorità che la governa, così è contro l’autorità che l’anarchia dirige i suoi sforzi. Chi non prova un brivido di orrore, indignazione e pietà al ricordo delle molte vittime che negli ultimi tempi sono cadute sotto i suoi colpi, imperatori, imperatrici, re, presidenti di potenti repubbliche, il cui unico crimine era il potere sovrano di cui erano investiti? – Di fronte all’immensità dei mali che sovrastano la società e dei pericoli che la minacciano, il nostro dovere ci impone di mettere nuovamente in guardia tutti gli uomini di buona volontà, soprattutto coloro che occupano posizioni elevate, e di invitarli, come facciamo ora, a escogitare i rimedi che la situazione richiede e ad applicarli senza indugio con prudente energia.

Prima di tutto, è bene che si informino sui rimedi necessari e che esaminino bene la loro efficacia rispetto alle esigenze attuali. Abbiamo esaltato al massimo la libertà e i suoi vantaggi, proclamandola come un rimedio sovrano ed uno strumento incomparabile di pace e prosperità, che darà i migliori risultati. Ma i fatti ci hanno chiaramente dimostrato che non possiede il potere che gli viene attribuito. I conflitti economici, le lotte tra le classi stanno divampando intorno a noi come una conflagrazione da tutte le parti, e non c’è alcuna promessa dell’alba del giorno della tranquillità pubblica. In realtà, e non c’è nessuno che non lo veda, la libertà come viene intesa oggi, cioè una libertà concessa indiscriminatamente alla verità e all’errore, al bene e al male, finisce solo per distruggere tutto ciò che è nobile, generoso e santo, e per spalancare le porte al crimine, al suicidio e a una moltitudine di passioni più degradanti. – Si insegna anche che lo sviluppo dell’istruzione pubblica, rendendo il popolo più raffinato e più illuminato, sarebbe sufficiente a frenare le tendenze malsane ed a mantenere l’uomo nelle vie della rettitudine e della probità. Ma la dura realtà ci fa sentire ogni giorno di più quanto poco utile sia l’istruzione senza la Religione e la morale. Come necessaria conseguenza dell’inesperienza e dei suggerimenti delle cattive passioni, la mente dei giovani è affascinata dagli insegnamenti perversi del giorno. Assorbe tutti gli errori che una stampa sfrenata non esita a diffondere e che deprava la mente e la volontà dei giovani e fomenta in loro quello spirito di orgoglio e insubordinazione che così spesso turba la pace delle famiglie e delle città. – Così come la fiducia nel progresso della scienza. In effetti, il secolo che si è appena chiuso è stato testimone di un progresso grande, inaspettato, stupendo. Ma è vero che ci ha dato tutta la pienezza e la salubrità dei frutti che tanti si aspettavano da esso? Senza dubbio le scoperte della scienza hanno aperto nuovi orizzonti alla mente, hanno ampliato l’impero dell’uomo sulle forze della materia e la vita umana è stata migliorata in molti modi attraverso il suo strumento. Tuttavia, tutti sentono e molti ammettono che i risultati non hanno corrisposto alle speranze che si nutrivano. Non lo si può negare, soprattutto quando si guarda allo stato intellettuale e morale del mondo e ai dati sulla criminalità, quando si ascoltano i mormorii sordidi che si levano dagli abissi o quando si assiste al predominio del potere sul diritto. Per non parlare delle folle che sono preda di ogni miseria, basta uno sguardo superficiale alla condizione del mondo per convincerci dell’indefinibile dolore che grava sulle anime e dell’immenso vuoto che c’è nei cuori umani. L’uomo può sottomettere la natura al suo dominio, ma la materia non può dargli ciò che non ha, e alle domande che toccano più profondamente i nostri interessi più gravi, la scienza umana non dà risposta. La sete di verità, di bene, di infinito che ci divora non è stata placata, né le gioie e le ricchezze della terra, né l’aumento delle comodità della vita hanno mai lenito l’angoscia che tortura il cuore. Dobbiamo quindi disprezzare e gettare via i vantaggi che derivano dallo studio della scienza, dalla civiltà e dall’uso saggio e dolce della nostra libertà? Certamente no. Al contrario, dobbiamo tenerli nella massima considerazione, custodirli e farli crescere come un tesoro di grande valore, perché sono mezzi che per loro natura sono buoni, progettati da Dio stesso e ordinati dall’Infinita Bontà e Sapienza per l’uso e il vantaggio del genere umano. Ma dobbiamo subordinare il loro uso alle intenzioni del Creatore e impiegarli in modo da non eliminare mai l’elemento religioso in cui risiede il loro vero vantaggio, perché è quello che conferisce loro un valore speciale e li rende veramente fruttuosi. Questo è il segreto del problema. Quando un organismo deperisce e si corrompe, è perché ha cessato di essere sotto l’azione delle cause che gli hanno dato la sua forma e la sua costituzione. Per renderlo di nuovo sano e fiorente è necessario riportarlo all’azione vivificante di quelle stesse cause. Così la società, nel suo folle sforzo di sfuggire a Dio, ha rifiutato l’ordine e la rivelazione divina; e si è così sottratta all’efficacia salutare del Cristianesimo, che è manifestamente la più solida garanzia di ordine, il più forte vincolo di fraternità e la fonte inesauribile di virtù pubbliche e private.

Questo divorzio sacrilego ha portato ai problemi che oggi turbano il mondo. Perciò è nel palcoscenico della Chiesa che questa società perduta deve rientrare, se vuole ritrovare il suo benessere, il suo riposo e la sua salvezza. – Come il Cristianesimo non può penetrare nell’anima senza renderla migliore, così non può entrare nella vita pubblica senza stabilire un ordine. Con l’idea di un Dio che governa tutto, infinitamente saggio, buono e giusto, l’idea del dovere si impadronisce della coscienza degli uomini. Lenisce il dolore, calma l’odio, genera eroi. Se ha trasformato la società pagana – e questa trasformazione è stata una vera e propria resurrezione – perché la barbarie è scomparsa nella misura in cui il Cristianesimo ha esteso il suo dominio, così, dopo le terribili scosse che l’incredulità ha dato al mondo ai nostri giorni, sarà in grado di rimettere quel mondo sulla vera strada, e di riportare all’ordine gli Stati e i popoli dei tempi moderni. Ma il ritorno al Cristianesimo non sarà efficace e completo se non riporterà il mondo all’amore sincero per l’unica Santa Chiesa Cattolica e Apostolica. Nella ChiesaCattolica il Cristianesimo si incarna. Si identifica con quella società perfetta, spirituale e, nel suo ordine, sovrana, che è il Corpo mistico di Gesù Cristo e che ha per Capo visibile il Romano Pontefice, successore del Principe degli Apostoli. È la continuazione della missione del Salvatore, la figlia e l’erede della sua redenzione. Ha predicato il Vangelo e lo ha difeso a prezzo del suo sangue, e forte dell’assistenza divina e dell’immortalità che le è stata promessa, non scende a patti con l’errore, ma rimane fedele agli ordini che ha ricevuto di portare la dottrina di Gesù Cristo fino agli estremi confini del mondo ed alla fine dei tempi e di proteggerla nella sua inviolabile integrità. Legittima dispensatrice degli insegnamenti del Vangelo, non si rivela solo come consolatrice e redentrice delle anime, ma è ancora di più la fonte interna della giustizia e della carità, e la propagatrice e la custode della vera libertà e di quell’uguaglianza che solo è possibile quaggiù. Applicando la dottrina del suo Divino Fondatore, essa mantiene un saggio equilibrio e segna i veri limiti tra i diritti e i privilegi della società. L’uguaglianza che proclama non distrugge la distinzione tra le diverse classi sociali. Le mantiene intatte, come la natura stessa richiede, per opporsi all’anarchia della ragione emancipata dalla fede e abbandonata a se stessa. La libertà che essa concede non è in alcun modo in conflitto con i diritti della verità, perché questi diritti sono superiori alle esigenze della libertà. Né viola i diritti della giustizia, perché questi diritti sono superiori alle pretese del mero numero o del potere. Né attacca i diritti di Dio, perché sono superiori ai diritti dell’umanità. – In ambito domestico, la Chiesa non è meno feconda di buoni risultati. Infatti, non solo si oppone alle nefaste macchinazioni a cui ricorre l’incredulità per attaccare la vita della famiglia, ma prepara e protegge l’unione e la stabilità del matrimonio, di cui custodisce e sviluppa l’onore, la fedeltà e la santità. Allo stesso tempo, sostiene e consolida l’ordine civile e politico dando da un lato il più efficace aiuto all’autorità, e dall’altro mostrandosi favorevole alle sagge riforme e alle giuste aspirazioni delle classi governate; imponendo il rispetto per i governanti e imponendo l’obbedienza che è loro dovuta, e difendendo incrollabilmente i diritti imprescrittibili della coscienza umana. E così i popoli che sono soggetti alla sua influenza non hanno paura dell’oppressione, perché essa controlla i governanti che cercano di governare come tiranni. – Pienamente consapevoli di questo potere divino, fin dall’inizio del nostro Pontificato ci siamo sforzati di mettere nella luce più chiara i disegni benevoli della Chiesa e di aumentare il più possibile, insieme ai tesori della sua dottrina, il campo della sua azione salutare. Questo è stato l’oggetto dei principali atti del nostro Pontificato, in particolare nelle Encicliche sulla Filosofia Cristiana, sulla Libertà Umana, sul Matrimonio Cristiano, sulla Massoneria, sui Poteri del Governo, sulla Costituzione Cristiana degli Stati, sul Socialismo, sulla Questione del Lavoro, sui Doveri dei Cittadini Cristiani e su altri argomenti analoghi. Ma l’ardente desiderio della nostra anima non è stato solo quello di illuminare la mente. Ci siamo sforzati di commuovere e purificare i cuori, facendo uso di tutti i nostri poteri per far fiorire la virtù cristiana tra i popoli. Per questo non abbiamo mai smesso di dare incoraggiamenti e consigli per elevare le menti degli uomini ai beni dell’aldilà, per permettere loro di assoggettare il corpo all’anima, la vita terrena a quella celeste, l’uomo a Dio. Benedetta dal Signore, la nostra parola è stata in grado di accrescere e rafforzare le convinzioni di un gran numero di uomini, di illuminare le loro menti nelle difficili questioni del giorno, di stimolare il loro zelo e di far progredire le varie opere che sono state intraprese. – È soprattutto per le classi diseredate che queste opere sono state inaugurate, e hanno continuato a crescere in ogni paese, come dimostra l’aumento della carità cristiana che ha sempre trovato nel mezzo del popolo il suo campo d’azione preferito. Se il raccolto non è stato più abbondante, Venerabili Fratelli, adoriamo Dio che è misteriosamente giusto e supplichiamolo, allo stesso tempo, di avere pietà della cecità di tante anime, alle quali purtroppo può essere rivolta la terrificante parola dell’Apostolo: “Il dio di questo mondo ha accecato le menti degli increduli, perché non risplenda loro la luce del Vangelo della gloria di Cristo, che è l’immagine di Dio”. (II. Corinzi IV., 4.).

Quanto più la Chiesa Cattolica si dedica a estendere il suo zelo per il progresso morale e materiale dei popoli, tanto più i figli delle tenebre si sollevano in odio contro di essa e ricorrono a ogni mezzo in loro potere per offuscare la sua bellezza divina e paralizzare la sua azione di riparazione vivificante. Quanti falsi ragionamenti hanno fatto e quante calunnie hanno diffuso contro di essa! Tra i loro espedienti più perfidi c’è quello che consiste nel ripetere alle masse ignoranti e ai governi sospettosi che la Chiesa si opponga al progresso della scienza, che sia ostile alla libertà, che i diritti dello Stato siano da essa usurpati e che la politica sia un campo che essa invade costantemente. Queste sono le folli accuse che sono state mille volte ripudiate e mille volte confutate dalla sana ragione e dalla storia e, di fatto, da ogni uomo che abbia un cuore per l’onestà ed una mente per la verità. – La Chiesa è nemica della conoscenza e dell’istruzione! Senza dubbio è la vigile custode del dogma rivelato, ma è proprio questa vigilanza che la spinge a proteggere la scienza ed a favorire la saggia coltivazione della mente. Nel sottoporre la sua mente alla rivelazione del Verbo, che è la verità suprema da cui devono scaturire tutte le verità, l’uomo non contraddice in alcun modo ciò che la ragione scopre. Al contrario, la luce che gli verrà dalla Parola divina darà più forza e più chiarezza all’intelletto umano, perché lo preserverà da mille incertezze ed errori. Inoltre, diciannove secoli di gloria raggiunta dal Cattolicesimo in tutti i rami del sapere bastano ampiamente a confutare questa calunnia. È alla Chiesa Cattolica che dobbiamo attribuire il merito di aver propagato e difeso la filosofia cristiana, senza la quale il mondo sarebbe ancora sepolto nelle tenebre delle superstizioni pagane e nella più abietta barbarie. Ha conservato e trasmesso a tutte le generazioni il prezioso tesoro della letteratura e delle scienze antiche. Ha aperto le prime scuole per il popolo e ha affollato le università che ancora esistono o la cui gloria si perpetua fino ai nostri giorni. Ha ispirato la letteratura più alta, più pura e più gloriosa, mentre ha raccolto sotto la sua protezione uomini il cui genio nelle arti non è mai stato eclissato. – La Chiesa nemica della libertà! Ah, come travisano l’idea di libertà che ha per oggetto uno dei doni più preziosi di Dio, quando si servono del suo nome per giustificarne l’abuso e l’eccesso! Cosa intendiamo per libertà? Significa forse l’esenzione da tutte le leggi, la liberazione da ogni vincolo e, come corollario, il diritto di prendere il capriccio dell’uomo come guida in tutte le nostre azioni? Questa libertà è certamente rimproverata dalla Chiesa e anche dagli uomini buoni e onesti. Ma intendono forse per libertà la facoltà razionale di fare il bene, in modo magnanimo, senza controlli od ostacoli e secondo le regole che la giustizia eterna ha stabilito? Questa libertà, che è l’unica degna dell’uomo, l’unica utile alla società, nessuno la favorisce o la incoraggia o la protegge più della Chiesa. Con la forza della sua dottrina e l’efficacia della sua azione, la Chiesa ha liberato l’umanità dal giogo della schiavitù predicando al mondo la grande legge dell’uguaglianza e della fraternità umana. In ogni epoca ha difeso i deboli e gli oppressi dal dominio arrogante dei forti. Ha rivendicato la libertà della coscienza cristiana versando a torrenti il sangue dei suoi martiri; ha restituito al bambino ed alla donna la dignità e le nobili prerogative della loro natura rendendoli partecipi, in virtù dello stesso diritto, della riverenza e della giustizia che spetta loro, ed ha ampiamente contribuito a introdurre ed a mantenere la libertà civile e politica nel cuore delle nazioni. – La Chiesa usurpatrice dei diritti dello Stato! La Chiesa che invade il dominio politico! La Chiesa sa e insegna che il suo Divino Fondatore ci ha comandato di dare a Cesare ciò che è di Cesare ed a Dio ciò che è di Dio, e che ha così sancito il principio immutabile di una distinzione duratura tra questi due poteri che sono entrambi sovrani nelle loro rispettive sfere, una distinzione che è molto pregnante nelle sue conseguenze ed eminentemente favorevole allo sviluppo della civiltà cristiana. Nel suo spirito di carità è estranea a qualsiasi disegno ostile contro lo Stato. Mira solo a far sì che questi due poteri procedano fianco a fianco per l’avanzamento dello stesso obiettivo, cioè per l’uomo e per la società umana, ma per vie diverse e in conformità al nobile piano che è stato assegnato per la sua missione divina. Voglia Dio che la sua azione sia accolta senza diffidenza e senza sospetti. Non potrebbe non moltiplicare gli innumerevoli benefici di cui abbiamo già parlato. Accusare la Chiesa di avere mire ambiziose significa solo ripetere l’antica calunnia, una calunnia che i suoi potenti nemici hanno più volte usato come pretesto per nascondere i propri scopi di oppressione. – Lungi dall’opprimere lo Stato, la storia dimostra chiaramente, se letta senza pregiudizi, che la Chiesa, come il suo Divino Fondatore, è stata, al contrario, la vittima più comune dell’oppressione e dell’ingiustizia. Il motivo è che il suo potere non si basa sulla forza delle armi, ma sulla forza del pensiero e della verità.

È quindi sicuramente con uno scopo maligno che si scagliano contro la Chiesa accuse come queste. È un’opera perniciosa e sleale, nel cui perseguimento è impegnata soprattutto una certa setta delle tenebre, una setta che la società umana in questi anni si porta dentro e che come un veleno mortale distrugge la sua felicità, la sua fecondità e la sua vita. Personificazione della rivoluzione, essa costituisce una sorta di società retrograda il cui scopo è quello di esercitare un’occulta sovranità sull’ordine costituito e il cui scopo è quello di muovere guerra a Dio e alla sua Chiesa. Non c’è bisogno di nominarla, perché tutti riconosceranno in questi tratti la società dei massoni, di cui abbiamo già parlato espressamente nella nostra Enciclica Humanum Genus del 20 aprile 1884. Pur denunciando la sua tendenza distruttiva, i suoi insegnamenti erronei ed il suo malvagio proposito di abbracciare nella sua vasta sfera quasi tutte le nazioni, e di unirsi ad altre sette che le sue influenze segrete mettono in moto, dirigendo prima e trattenendo poi i suoi membri con i vantaggi che procura loro, piegando i governi alla sua volontà, a volte con promesse e a volte con minacce, essa è riuscita a penetrare in tutte le classi sociali, e forma uno Stato invisibile ed irresponsabile esistente all’interno dello Stato legittimo. Piena dello spirito di satana che, secondo le parole dell’Apostolo, sa trasformarsi all’occorrenza in angelo di luce, dà risalto al suo oggetto umanitario, ma sacrifica tutto al suo scopo settario e protesta di non avere alcun fine politico, mentre in realtà esercita la più profonda azione sulla vita legislativa ed amministrativa delle nazioni e, pur professando a gran voce il suo rispetto per l’autorità e persino per la Religione, ha come scopo ultimo, come dichiarano i suoi stessi statuti, la distruzione di ogni autorità e del sacerdozio, entrambi additati come nemici della libertà. -Diventa ogni giorno più evidente che è all’ispirazione e all’assistenza di questa setta che dobbiamo attribuire in gran parte i continui problemi con cui la Chiesa è tormentata, così come la recrudescenza degli attacchi a cui è stata recentemente sottoposta. Infatti, la simultaneità degli assalti nelle persecuzioni che ci sono piombate addosso all’improvviso in questi ultimi tempi, come una tempesta a ciel sereno, cioè senza una causa proporzionata all’effetto; l’uniformità dei mezzi impiegati per inaugurare questa persecuzione, cioè la stampa, le assemblee pubbliche, gli spettacoli teatrali; l’impiego in ogni Paese delle stesse armi, cioè la calunnia e le rivolte pubbliche, tutto ciò tradisce chiaramente l’identità di intenti e un programma elaborato da una stessa direzione centrale. Tutto questo non è che un semplice episodio di un piano prestabilito che si svolge su un campo sempre più vasto per moltiplicare le rovine di cui parliamo. Così stanno cercando con ogni mezzo di limitare prima e di escludere poi completamente l’insegnamento religioso dalle scuole, in modo da rendere la generazione nascente non credente o indifferente a qualsiasi religione; così come si sforzano con la stampa quotidiana di combattere la moralità della Chiesa, di ridicolizzare le sue pratiche e le sue solennità. È naturale, di conseguenza, che il Sacerdozio cattolico, la cui missione è quella di predicare la Religione e di amministrare i Sacramenti, venga attaccato con particolare ferocia. Prendendolo come oggetto dei loro attacchi, questa setta mira a diminuire agli occhi del popolo il suo prestigio e la sua autorità. La loro audacia cresce di ora in ora, nella misura in cui si illude di poterlo fare impunemente. Interpreta in modo maligno tutti gli atti del clero, fonda il sospetto sulle prove più deboli e lo sommerge con le accuse più infamanti. Così nuovi pregiudizi si aggiungono a quelli con cui il clero è già sommerso, come ad esempio l’assoggettamento al servizio militare, che è un ostacolo così grande per la preparazione al Sacerdozio, e la confisca del patrimonio ecclesiastico che la pia generosità dei fedeli aveva fondato. – Per quanto riguarda gli Ordini e le Congregazioni religiose, la pratica dei consigli evangelici li rendeva gloria della società e gloria della Religione. Proprio queste cose li resero più colpevoli agli occhi dei nemici della Chiesa e furono le ragioni per cui furono ferocemente denunciati e additati al disprezzo ed all’odio. È un grande dolore per noi ricordare qui le odiose misure, così immeritate e così fortemente condannate da tutti gli uomini onesti, con cui i membri degli Ordini religiosi sono stati recentemente travolti. Nulla valse a salvarli, né l’integrità della loro vita, che i loro nemici non riuscirono ad attaccare, né il diritto che autorizza tutte le associazioni naturali stipulate per uno scopo onorevole, né il diritto delle costituzioni che proclamavano a gran voce la loro libertà di entrare in quelle organizzazioni, né il favore del popolo che era così grato per i preziosi servizi resi nelle arti, nelle scienze e nell’agricoltura, e per la carità che si riversava sulle classi più numerose e più povere della società. Ed ecco che questi uomini e queste donne che erano nati dal popolo e che avevano spontaneamente rinunciato a tutte le gioie della famiglia per consacrare al bene dei loro simili, in quelle associazioni pacifiche, la loro giovinezza, il loro talento, la loro forza e la loro vita, sono stati trattati come malfattori, come se avessero formato associazioni criminali, e sono stati esclusi dai diritti comuni e prescrittivi proprio nel momento in cui gli uomini parlano a gran voce di libertà. Non dobbiamo stupirci che i figli più amati siano colpiti quando il padre stesso, cioè il Capo della Cattolicità, il Romano Pontefice, non è trattato meglio. I fatti sono noti a tutti. Spogliato della sovranità temporale e, di conseguenza, di quell’indipendenza che è necessaria per compiere la sua missione universale e divina; costretto a Roma stessa a rinchiudersi nella sua dimora perché il nemico lo ha assediato da ogni parte, è stato costretto, nonostante le derisorie assicurazioni di rispetto e le precarie promesse di libertà, ad una condizione di esistenza anomala, ingiusta ed indegna del suo eccelso ministero. Conosciamo fin troppo bene le difficoltà che ogni istante vengono create per vanificare le sue intenzioni e oltraggiare la sua dignità. Ciò non fa che dimostrare ciò che è ogni giorno più evidente: è il potere spirituale del Capo della Chiesa che a poco a poco si mira a distruggere quando si attacca il potere temporale del Papato. Coloro che sono i veri autori di questa spoliazione non hanno esitato a confessarlo. – A giudicare dalle conseguenze che ne sono seguite, questa azione non solo è stata in politica, ma è stata un attacco alla società stessa; perché gli assalti che vengono fatti alla Religione sono altrettanti colpi inferti al cuore stesso della società.

Nel fare dell’uomo un essere destinato a vivere in società, Dio, nella sua provvidenza, ha anche fondato la Chiesa, che, come dice il testo sacro, ha stabilito sul monte Sion affinché fosse una luce che, con i suoi raggi vivificanti, facesse penetrare il principio della vita nei vari gradi della società umana, dandole leggi divinamente ispirate, per mezzo delle quali la società potesse stabilirsi nell’ordine più favorevole al suo benessere. Quindi, se la società si separa dalla Chiesa, che è un elemento importante per la sua forza, di tanto in tanto declina, o i suoi guai si moltiplicano per il fatto che sono separati coloro che Dio ha voluto unire. – Per quanto ci riguarda, non ci stanchiamo mai, ogni volta che se ne presenta l’occasione, di inculcare queste grandi verità, e desideriamo farlo ancora una volta e in modo molto esplicito in questa occasione straordinaria. Che Dio conceda che i fedeli prendano coraggio da ciò che diciamo e siano guidati a unire i loro sforzi in modo più efficace per il bene comune; che siano più illuminati e che i nostri avversari comprendano l’ingiustizia che commettono nel perseguitare la Madre più amorevole e la più fedele benefattrice dell’umanità. – Non vorremmo che il ricordo di queste afflizioni diminuisse nell’animo dei fedeli quella piena e totale fiducia che dovrebbero avere nell’assistenza divina. Perché Dio, nei suoi tempi e nelle sue vie misteriose, porterà ad una vittoria certa. Quanto a noi, per quanto grande sia la tristezza che riempie il nostro cuore, non temiamo per il destino immortale della Chiesa. Come abbiamo detto all’inizio, la persecuzione è la sua eredità, perché provando e purificando i suoi figli, Dio ottiene per loro vantaggi maggiori e più preziosi. E nel permettere alla Chiesa di subire queste prove, Egli manifesta l’assistenza divina che le concede, poiché fornisce nuovi ed imprevisti mezzi per assicurare il sostegno e lo sviluppo della sua opera, rivelando al contempo l’inutilità delle potenze che le si oppongono. Diciannove secoli di vita trascorsi in mezzo al flusso e riflusso di tutte le vicissitudini umane ci insegnano che le tempeste passano senza mai intaccare le fondamenta della Chiesa. Siamo in grado di rimanere incrollabili in questa fiducia tanto più che il tempo presente offre indicazioni che vietano la depressione. Non possiamo negare che le difficoltà che ci si parano davanti siano straordinarie e formidabili, ma ci sono anche fatti davanti ai nostri occhi che testimoniano, allo stesso tempo, che Dio sta realizzando le sue promesse con ammirevole saggezza e bontà. – Mentre tante potenze cospirano contro la Chiesa e mentre essa procede nel suo cammino priva di ogni aiuto ed assistenza umana, non sta forse portando avanti la sua gigantesca opera nel mondo e non sta forse estendendo la sua azione in ogni tempo ed in ogni nazione? Scacciato da Gesù Cristo, il “principe di questo mondo” non può più esercitare il suo orgoglioso dominio come in passato; e anche se senza dubbio gli sforzi di satana possano causarci molte sofferenze, non raggiungeranno l’obiettivo a cui mirano. Già regna, non solo nell’anima dei fedeli ma in tutta la cristianità, una tranquillità soprannaturale dovuta allo Spirito Santo che provvede alla Chiesa e che dimora in essa; una tranquillità del cui sereno sviluppo siamo testimoni ovunque, grazie all’unione sempre più stretta ed affettuosa con la Sede Apostolica; un’unione che è in meraviglioso contrasto con l’agitazione, il dissenso e il continuo disordine delle varie sette che disturbano la pace della società. Esiste anche tra Cescovi e clero un’unione che è feconda di innumerevoli opere di zelo e di carità. Esiste anche tra clero e laici che, più strettamente uniti e più completamente liberati dal rispetto umano che mai, si stanno risvegliando ad una nuova vita e si organizzano con una generosa emulazione in difesa della sacra causa della Religione. È questa unione che abbiamo così spesso raccomandato e che raccomandiamo di nuovo, che benediciamo affinché si sviluppi ancora di più e si innalzi come un muro inespugnabile contro la feroce violenza dei nemici di Dio. – Non c’è nulla di più naturale che, come i rami che nascono dalle radici dell’albero, nascano, si rafforzino e si moltiplichino queste innumerevoli associazioni che vediamo fiorire con gioia ai nostri giorni nel seno della Chiesa. Non c’è forma di pietà cristiana che sia stata tralasciata, sia che si parli di Gesù Cristo stesso, dei suoi adorabili misteri, della sua Divina Madre o dei Santi le cui meravigliose virtù hanno illuminato il mondo. Né è stato dimenticato alcun tipo di opera caritatevole. Da tutte le parti c’è uno zelante tentativo di procurare l’istruzione cristiana ai giovani, l’assistenza ai malati, l’insegnamento morale al popolo e l’assistenza alle classi meno favorite nei beni di questo mondo. Con quale notevole rapidità questo movimento si propagherebbe e quali preziosi frutti porterebbe se non fosse contrastato dagli sforzi ingiusti ed ostili con cui si trova così spesso in conflitto.

Dio, che dona alla Chiesa una così grande vitalità nei Paesi civili dove si è stabilita per tanti secoli, ci consola anche con altre speranze. Queste speranze le dobbiamo allo zelo dei missionari cattolici. Senza lasciarsi scoraggiare dai pericoli che affrontano, dalle privazioni che sopportano, dai sacrifici di ogni genere che accettano, il loro numero aumenta e conquistano interi Paesi al Vangelo ed alla civiltà. Nulla può diminuire il loro coraggio, anche se, alla maniera del loro Maestro divino, ricevono solo accuse e calunnie come ricompensa delle loro instancabili fatiche. – Così i nostri dolori sono mitigati dalle più dolci consolazioni, ed in mezzo alle lotte ed alle difficoltà che ci spettano abbiamo di che rinfrancare le nostre anime e di che ispirare la nostra speranza. Questo dovrebbe suggerire riflessioni utili e sagge a coloro che guardano il mondo con intelligenza e che non permettono alle passioni di accecarli; perché dimostra che Dio non ha reso l’uomo indipendente per quanto riguarda l’ultimo fine della vita, e come gli ha parlato in passato così parla di nuovo ai nostri giorni attraverso la sua Chiesa che è visibilmente sostenuta dall’assistenza divina e che mostra chiaramente dove si possono trovare la salvezza e la verità. Sia quel che sia, questa assistenza eterna ispirerà nei nostri cuori una speranza incredibile e ci persuaderà che nell’ora segnata dalla Provvidenza e in un futuro che non è remoto, la verità disperderà le nebbie in cui gli uomini cercano di avvolgerla e risplenderà più brillante che mai. Lo spirito del Vangelo diffonderà nuovamente la vita nel cuore della nostra società corrotta e nei suoi membri in via di estinzione. ‘ Per quanto ci riguarda, Venerabili Fratelli, per affrettare il giorno della misericordia divina non mancheremo al nostro dovere di fare di tutto per difendere e sviluppare il Regno di Dio sulla terra. Quanto a voi, la vostra sollecitudine pastorale ci è troppo nota per esortarvi a fare altrettanto. Che la fiamma ardente che arde nei vostri cuori si trasmetta sempre più ai cuori di tutti i vostri Sacerdoti. Essi sono a contatto immediato con il popolo. Se pieni dello spirito di Gesù Cristo e mantenendosi al di sopra delle passioni politiche, uniranno la loro azione alla vostra, riusciranno con la benedizione di Dio a compiere meraviglie. Con la loro parola illumineranno la moltitudine; con la loro dolcezza di modi conquisteranno tutti i cuori e, soccorrendo con carità i loro fratelli sofferenti, li aiuteranno a poco a poco a migliorare la condizione in cui si trovano. – Il clero sarà saldamente sostenuto dalla collaborazione attiva e intelligente di tutti gli uomini di buona volontà. Così i figli che hanno assaporato la dolcezza della Chiesa la ringrazieranno in modo degno, cioè riunendosi intorno a lei per difendere il suo onore e la sua gloria. Tutti possono contribuire a quest’opera che sarà così splendidamente meritoria per loro: i letterati ed i dotti, difendendola nei libri o nella stampa quotidiana, che è uno strumento così potente ora utilizzato dai suoi nemici; i padri di famiglia e gli insegnanti, dando un’educazione cristiana ai bambini; i magistrati ed i rappresentanti del popolo, mostrandosi saldi nei principi che difendono, così come nell’integrità della loro vita e nella professione della loro fede senza alcuna traccia di rispetto umano. La nostra epoca esige ideali elevati, progetti generosi e l’esatta osservanza delle leggi. È con una perfetta sottomissione alle direttive della Santa Sede che questa disciplina sarà rafforzata, perché è il mezzo migliore per far scomparire o almeno per diminuire il male che le opinioni di partito producono nel fomentare le divisioni; e ci aiuterà a unire tutti i nostri sforzi per raggiungere quel fine più alto che è il trionfo di Gesù Cristo e della Sua Chiesa. Questo è il dovere dei Cattolici. Per quanto riguarda il suo trionfo finale, essa dipende da Colui che veglia con saggezza e amore sulla sua Sposa immacolata, e di cui è scritto: “Gesù Cristo, ieri, oggi e sempre”. (Eb. XIII., 8). – È dunque a Lui che in questo momento dobbiamo elevare i nostri cuori in umile e ardente preghiera, a Colui che amando con infinito amore la nostra umanità errante ha voluto rendersi vittima espiatoria con la sublimità del suo martirio; a Colui che seduto, sebbene invisibile, nella mistica corteccia della sua Chiesa, può da solo placare la tempesta ed ordinare alle onde di calmarsi ed ai venti furiosi di cessare. Senza dubbio, Venerabili Fratelli, voi con noi chiederete a questo Divino Maestro la cessazione dei mali che stanno travolgendo la società, l’abrogazione di tutte le leggi ostili; l’illuminazione di coloro che, forse più per ignoranza che per malizia, odiano e perseguitano la Religione di Gesù Cristo; e anche l’unione di tutti gli uomini di buona volontà in una stretta e santa unione.

Che il trionfo della verità e della giustizia sia così accelerato nel mondo, e per la grande famiglia degli uomini possano sorgere giorni migliori; giorni di tranquillità e di pace.

Intanto, come pegno del più prezioso e divino favore, la benedizione che vi diamo con tutto il cuore scenda su di voi e su tutti i fedeli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 marzo 1902, nel venticinquesimo anno del nostro Pontificato.

LEO XIII

“UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “REDEMPTORIS NOSTRI”

Il Santi Padre Pio XII interviene ancora nella questione palestinese cercando di mediare tra le opposte fazioni che si contendono quella terra ove si svolsero le vicende terrene del Salvatore del genere umano volte a stabilire un nuovo genere di vita umana con l’intervento della grazia divina che trasforma gli esseri umani della terra in esseri divinizzati per il Cielo. Quelle terre ancora oggi sono contese e lacerate sugli emissari del demonio che cercano di cancellare ogni traccia ed ogni testimonianza del passaggio terreno dell’uomo-Dio onde stabilire una condizione di aridità spirituale, anticamera ed ingresso del capo del loro corpo mistico infernale di prossima apparizione. Tutto si svolge nella totale indifferenza di un mondo narcotizzato da un paganesimo aberrante e complice dell’azione nefasta delle forze del male che portano avanti il loro progetto di distruzione di ogni elemento cristiano presente nel mondo, dopo aver stabilito una chiesa-scimmia ed un vicario di satana sul Trono di s. Pietro. Ma ascoltiamo la parola del Santo Padre che esorta alla pace ed alla convivenza di popoli tutti creati da Dio, loro Artefice e Padre in attesa del loro ritorno a Lui per godere di una eterna felicità promessa ai pacifici, ai miti, ai misericordiosi ed ai puri di cuore.

PIO XII

LETTERA

 REDEMPTORIS NOSTRI

ENCICLICA

I LUOGHI SANTI DELLA PALESTINA

La passione del nostro divin Redentore, che nei giorni di questa settimana santa si ripresenta come in una viva scena al nostro sguardo, richiama con intensa commozione la mente dei Cristiani a quella terra che, prescelta per divino consiglio a essere la patria terrena del Verbo incarnato, e testimone della sua vita e della sua morte, fu bagnata del suo sangue preziosissimo. – Ma quest’anno, al pio ricordo di quei luoghi santi, il Nostro animo è profondamente addolorato, per la loro critica ed incerta situazione. – Già nello scorso anno con due Nostre lettere encicliche, vi abbiamo caldamente esortato, venerabili fratelli, a indire pubbliche e solenni preghiere, per affrettare la cessazione del conflitto che insanguinava la terra santa, e ottenere una sua giusta sistemazione, che assicurasse piena libertà ai Cattolici, e la conservazione e tutela di quei sacri luoghi. – Poiché oggi le ostilità sono cessate, o per lo meno sono sospese, in seguito agli armistizi recentemente conclusi, Noi rendiamo ardentissime grazie all’Altissimo ed esprimiamo il Nostro sentito apprezzamento per l’opera di coloro che si sono nobilmente adoperati per la causa della pace. – Ma, con la sospensione delle ostilità, si è ancora lungi dallo stabilire effettivamente in Palestina la tranquillità e l’ordine. Infatti, giungono ancora a Noi i lamenti di chi giustamente deplora danni e profanazione di santuari e di sacre immagini, e distruzione di pacifiche dimore di comunità religiose. Ci giungono ancora le implorazioni di tanti e tanti profughi, di ogni età e condizione, costretti dalla recente guerra a vivere in esilio, sparsi in campi di concentramento, esposti alla fame, alle epidemie e ai pericoli di ogni genere. – Noi non ignoriamo quanto è stato generosamente compiuto da pubblici organismi e da iniziative private per alleviare la sorte di questa provatissima moltitudine; e Noi stessi, continuando l’opera di carità, intrapresa sin dall’inizio del Nostro pontificato, abbiamo fatto e facciamo quanto è possibile per sovvenire ai loro più urgenti bisogni. – Ma la situazione di questi profughi è così incerta e precaria, che non potrebbe protrarsi più a lungo. Mentre perciò esortiamo tutte le persone nobili e generose a soccorrere secondo le loro possibilità questi esuli, sofferenti e privi di tutto, rivolgiamo un caldo appello a coloro cui spetta provvedere, perché sia resa giustizia a quanti, costretti dal turbine della guerra a lasciare le loro case, non bramano che ricostituire in pace la loro vita. – Ciò che più ardentemente desidera il Nostro cuore e quello di tutti i Cattolici, specialmente in questi santi giorni, è che finalmente la pace torni a splendere su quella terra, dove visse e versò il suo sangue Colui che dai profeti fu annunziato come «il Principe della pace» (Is 9, 6) e dall’apostolo Paolo proclamato «la Pace» (cf. Ef 2, 14). – Questa pace, vera e duratura, Noi abbiamo ripetutamente invocato; e, per affrettarla e consolidarla, già dichiarammo nella Nostra lettera enciclica In multiplicibus « essere assai opportuno che per Gerusalemme e per i suoi dintorni – là dove si trovano i venerandi monumenti della vita e della morte del divin Redentore – sia stabilito un regime internazionale, che nelle attuali circostanze sembra il più adatto per la tutela di questi sacri monumenti ». – Ora non possiamo che rinnovare quella Nostra dichiarazione, che vuole essere anche invito ai fedeli di qualsiasi parte del mondo ad adoperarsi con ogni mezzo legale, affinché i loro governanti e tutti coloro ai quali spetta la decisione di così importante problema si persuadano a dare alla città santa e ai suoi dintorni una conveniente situazione giuridica, la cui stabilità, nelle presenti circostanze, può essere assicurata e garantita soltanto da una comune intesa delle nazioni amanti della pace e rispettose dei diritti altrui. Ma è inoltre necessario provvedere alla tutela di tutti i luoghi santi, che si trovano non solo in Gerusalemme e nelle sue vicinanze, ma anche in altre città e villaggi della Palestina. – Poiché non pochi di essi, in seguito alle vicende della recente guerra, sono stati esposti a gravi pericoli e hanno subìto danni notevoli, è necessario che quei luoghi, depositari di così grandi e venerabili memorie, fonte e nutrimento di pietà per ogni Cristiano, siano convenientemente protetti da uno statuto giuridico, garantito da una forma di accordo o di impegno internazionale. – Sappiamo quanto i Nostri figli desiderino di riprendere verso quella terra i tradizionali pellegrinaggi, che i quasi universali sconvolgimenti hanno da lungo tempo sospeso. E il desiderio dei Nostri figli si fa più ardente ora, nell’imminenza dell’anno santo; perché è naturale che in quel tempo i Cristiani sospirino di visitare quella regione, che fu spettatrice dei misteri della divina redenzione. Volesse il cielo che questo ardentissimo desiderio fosse presto esaudito! – Ma perché ciò si verifichi, bisogna che siano adottate tutte quelle misure che rendano possibile ai pellegrini di accedere liberamente ai vari santuari; compiervi senza alcun ostacolo pubbliche manifestazioni di pietà; soggiornarvi senza pericoli e senza preoccupazioni. Né vorremmo che i pellegrini dovessero provare il dolore di vedere quella terra profanata da luoghi di divertimento mondani e peccaminosi: il che recherebbe ingiuria al divin Redentore e offesa al sentimento cristiano. – Anche le molte istituzioni cattoliche, di cui è ricca la Palestina per la beneficenza, l’insegnamento e l’ospitalità dei pellegrini, dovranno, com’è loro diritto, poter continuare a svolgere, senza restrizioni, quella loro attività, con cui in passato si sono acquistate tante benemerenze. – Non possiamo, infine, non far presente la necessità che siano garantiti tutti quei diritti sui luoghi santi, che i cattolici già da molti secoli hanno acquistato, che hanno sempre decisamente e ripetutamente difeso, e che i Nostri predecessori hanno solennemente ed efficacemente affermato. – Queste sono, o venerabili fratelli, le cose sulle quali abbiamo creduto opportuno richiamare la vostra attenzione.  Esortate perciò i vostri fedeli a prendere sempre più a cuore le sorti della Palestina e a far presenti alle Autorità competenti i loro desideri e i loro diritti. Ma specialmente con una insistente preghiera implorino l’aiuto di Colui che guida gli uomini e le nazioni. Dio guardi benigno il mondo intero, ma specialmente quella terra, bagnata dal sangue del divin Redentore, affinché sopra gli odi e i rancori trionfi la carità di Cristo, che sola può essere apportatrice di tranquillità e di pace. – Intanto, in auspicio dei celesti favori e in attestato della Nostra benevolenza, impartiamo di tutto cuore a voi, venerabili fratelli, e ai vostri fedeli l’apostolica benedizione.

Roma, presso San Pietro, il 15 aprile, venerdì santo, dell’anno 1949, XI del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO_ S.S. PIO XII – “IN MULTIPLICIBUS CURIS”

La questione palestinese è stata da tempo problematica, come tragicamente vediamo oggi, ed il Santo Padre – padre amorevole di ogni uomo – aveva cercato, con questa lettera Enciclica, di porvi argine con il suo pensiero cristiano, sollecitando preghiere e buona volontà da parte di tutti. Tutto è risultato inutile per chi ascolta solo la voce del demone dell’odio che oggi trionfa incontrastato, anzi incoraggiato anche da chi dovrebbe allontanarlo dal gregge di Cristo, dai finti ed apostati chierici in balia delle sollecitazioni dei fumi dell’inferno ove precipitano tutti i loro incauti fedeli. Quanto male e sofferenze inaudite lontano dalla grazia divina, da Cristo, dalla sua vera Chiesa e dal suo unico e vero Vicario. Tutto permette però il Signore a nostro castigo e correzione e soprattutto perché dal male Egli sa trarre maggior bene da godere nella vita eterna nella sua Beatitudine, la visione intuitiva di Dio. Che il Signore la conceda, per intercessione della SS. Vergine, a tutti coloro che Lo amano con cuore sincero e fede indomita, al pusillus grex che soffre ed offre le proprie sofferenze e la propria croce per la salvezza dell’umanità.

PIO XII

LETTERA ENCICLICA

IN MULTIPLICIBUS CURIS

NUOVE PUBBLICHE PREGHIERE
PER LA PACIFICAZIONE DELLA PALESTINA

Tra le molteplici preoccupazioni che Ci assillano in questo periodo di tempo tanto pieno di conseguenze decisive per la vita della grande famiglia umana e che Ci fanno sentire così grave il peso del supremo Pontificato, occupa un posto particolare quella che Ci è causata dalla guerra che sconvolge la Palestina. In piena verità possiamo dirvi, venerabili fratelli, che né lieta né triste vicenda riesce ad attenuare il dolore mantenuto vivo nel Nostro animo dal pensiero che sulla terra su cui il Signore nostro Gesù Cristo versò il suo sangue per apportare a tutta quanta l’umanità la redenzione e la salvezza, continua a scorrere il sangue degli uomini; che sotto i cieli nei quali echeggiò nella fatidica notte l’evangelico annunzio di pace si continua a combattere, si accresce la miseria dei miseri e il terrore degli atterriti, mentre migliaia di profughi, smarriti e incalzati, vagano lontano dalla patria in cerca di un ricovero e di un pane.

A rendere più cocente questo Nostro dolore contribuiscono non solo le notizie che continuamente Ci giungono di distruzioni e di danni causati agli edifici sacri e di beneficenza sorti attorno ai luoghi santi, ma anche il timore ch’esse Ci ispirano per la sorte di questi stessi luoghi, disseminati in tutta la Palestina e in maggior numero sul suolo della città santa, che furono santificati dalla nascita, dalla vita e dalla morte del Salvatore. Non è necessario assicurarvi, venerabili fratelli, che posti in mezzo allo spettacolo di tanti mali e alla previsione di mali maggiori, Noi non Ci siamo rinchiusi nel Nostro dolore, ma abbiamo fatto quanto era in Nostro potere per cercare di apportarvi rimedio. – Parlando, prima ancora che il conflitto armato avesse inizio, ad una delegazione di notabili arabi venuta a renderCi omaggio, manifestammo la Nostra viva sollecitudine per la pace in Palestina e, condannando ogni ricorso ad atti violenti, dichiarammo che essa non poteva realizzarsi se non nella verità e nella giustizia, cioè nel rispetto dei diritti di ognuno, delle tradizioni acquisite, specialmente nel campo religioso, come pure nello stretto adempimento dei doveri e degli obblighi di ciascun gruppo di abitanti. Dichiarata la guerra, senza discostarCi dall’attitudine di imparzialità impostaCi dal Nostro ministero apostolico che Ci colloca al di sopra dei conflitti dai quali è agitata la società umana, non mancammo di adoperarci, nella misura che dipendeva da Noi e secondo le possibilità che si sono offerte, per il trionfo della giustizia e della pace in Palestina e per il rispetto e la tutela dei luoghi santi. Nel tempo stesso, sollecitati dai numerosi e urgenti appelli quotidianamente rivolti a questa sede apostolica, abbiamo cercato di venire per quanto possibile in soccorso delle infelici vittime della guerra, inviando a tal fine ai Nostri rappresentanti in Palestina, nel Libano e in Egitto i mezzi a Nostra disposizione, e incoraggiando il sorgere e l’affermarsi, tra i Cattolici nei vari paesi, di iniziative tendenti allo stesso scopo. Convinti, peraltro, della insufficienza dei mezzi umani per l’adeguata soluzione di una questione di cui tutti possono vedere l’eccezionale complessità, abbiamo soprattutto fatto costantemente ricorso al grande mezzo della preghiera, e nella Nostra recente lettera enciclica Auspicia quaedam vi invitammo, venerabili fratelli, a pregare e a far pregare i fedeli affidati alla vostra sollecitudine pastorale, affinché, sotto gli auspici della Vergine santissima, «conciliate le cose nella giustizia, ritornassero felicemente in Palestina la concordia e la pace». – Sappiamo che il Nostro invito non vi è stato rivolto invano. Né ignoriamo che, mentre con le Nostre suppliche e con la Nostra opera Ci adoperavamo in unione con il mondo cattolico per la pace in Palestina, uomini di buona volontà hanno moltiplicato nello stesso intento, senza badare a pericoli e sacrifici, nobili sforzi ai quali Ci è grato rendere omaggio. Tuttavia, il perdurare del conflitto e l’accrescersi ininterrotto delle rovine morali e materiali che inesorabilmente lo accompagnano, Ci inducono a rinnovarvi, venerabili fratelli, con accresciuta insistenza il Nostro invito, nella speranza che esso venga accolto non solo da voi, ma anche da tutto il mondo cristiano. – Come dichiarammo il 2 giugno scorso ai membri del sacro collegio dei Cardinali, mettendoli a parte delle Nostre ansietà per la Palestina, Noi non crediamo che il mondo cristiano potrebbe contemplare indifferente o in una sterile indignazione quella terra sacra, alla quale ognuno si accostava col più profondo rispetto per baciarla col più ardente amore, calpestata ancora da truppe in guerra e colpita da bombardamenti aerei; non crediamo che esso potrebbe lasciar consumare la devastazione dei luoghi santi, sconvolgere il sepolcro di Gesù Cristo. Siamo pieni di fiducia che le fervide suppliche che si innalzano a Dio onnipotente e misericordioso dai Cristiani sparsi nel vasto mondo, insieme con le aspirazioni di tanti nobili cuori ardentemente solleciti del vero e del bene, possano rendere meno arduo agli uomini che reggono i destini dei popoli il compito di far sì che la giustizia e la pace in Palestina divengano una benefica realtà e, con l’efficace cooperazione di tutti gli interessati, si crei un ordine che garantisca a ciascuna delle parti al presente in conflitto, la sicurezza dell’esistenza e insieme condizioni fisiche e morali di vita capaci di fondare normalmente uno stato di benessere spirituale e materiale. – Siamo pieni di fiducia che queste suppliche e queste aspirazioni indice del valore che ai luoghi santi annette così gran parte della famiglia umana, rafforzino negli alti consessi, nei quali si discutono i problemi della pace, la persuasione dell’opportunità di dare a Gerusalemme e dintorni, ove si trovano tanti e così preziosi ricordi della vita e della morte del Salvatore, un carattere internazionale che, nelle presenti circostanze, sembra meglio garantire la tutela dei santuari. Così pure occorrerà assicurare con garanzie internazionali sia il libero accesso ai luoghi santi disseminati nella Palestina, sia la libertà di culto e il rispetto dei costumi e delle tradizioni religiose. – E possa così sorgere presto il giorno in cui gli uomini abbiano di nuovo la possibilità di accorrere in pio pellegrinaggio ai luoghi santi per ritrovare svelato in quei monumenti viventi dell’Amore, che si sublima nel sacrificio della vita per i fratelli, il grande segreto della pacifica convivenza umana. Con questa fiducia, Noi impartiamo di cuore a voi, venerabili fratelli, ai vostri fedeli e a tutti coloro che accoglieranno con animo volonteroso questo Nostro appello, in auspicio dei divini favori e come pegno della Nostra benevolenza, l’apostolica benedizione.

Castel Gandolfo, presso Roma, 24 ottobre 1948, anno X del Nostro pontificato.

PIO PP. XII

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “SÆCULO EXEUNTE OCTAVO”

La lettera Enciclica di S.S. Pio XII, la prima del suo luminoso pontificato, rivolta ai Vescovi del Portogallo, è un’apologia dello spirito missionario che deve animare la vita di ogni Cristiano, e soprattutto dei ministri della vera Chiesa di Cristo. Riferimenti storici e dottrinali si intrecciano in una esposizione chiara e corposa della dottrina cattolica, quella dottrina oggi misconosciuta, non solo, ma ferocemente ostacolata e combattuta dai lupi travestiti da agnelli del mondo ateo, pagano e soprattutto dai falsi profeti ed antipapi insediati apparentemente sulla Cattedra di S. Pietro e che ingannano senza vergogna sedicenti o secredenti fedeli peraltro confusi, oltre che eretici ed apostati loro malgrado. Ma la lettera conserva intatto il suo messaggio che noi del pusillus grex dobbiamo fare nostro ed attuare per quanto possibile a cominciare da una preghiera incessante per il Papa, la vera Gerarchia ed i pochi veri missionari cattolici ancora esistenti, affidandoci a S. Francesco Saverio e a tutti i Santi canonizzati che hanno versato il loro sangue per diffondere il messaggio autentico evangelico.

PIO XII

SÆCULO EXEUNTE OCTAVO

LETTERA ENCICLICA

SULL’ATTIVITÀ MISSIONARIA PORTOGHESE

L’VIII centenario della fondazione del Portogallo e il III della sua restaurazione, che la vostra gloriosa e nobile patria celebra quest’anno con grande solennità e unità di intenti, non potevano lasciare indifferenti il vigile interesse di questa Sede apostolica né, tanto meno, il nostro cuore di Padre comune dei fedeli. – Abbiamo anche un motivo speciale per partecipare alla commemorazione della vostra prima indipendenza, ed è il fatto che la Santa Sede, come è noto, collaborò perché le venisse data una costituzione giuridica. -“Gli atti con i quali i nostri predecessori del XII secolo, Innocenzo II, Lucio II e Alessandro III accettarono l’omaggio di obbedienza prestata da Alfonso Henriques, conte e in seguito re del Portogallo, e, promettendogli la loro protezione, dichiararono l’indipendenza di tutto il territorio, che a prezzo di durissime lotte era stato valorosamente recuperato dal dominio saraceno, fu il premio altamente vagheggiato con il quale la Sede di Pietro compensò il generoso popolo portoghese per le sue straordinarie benemerenze in favore della fede cattolica. Tale fede cattolica, come fu in certo qual modo la linfa vitale, che alimentò la nazione portoghese fin dalla culla, così fu, se non l’unica, certamente la principale fonte di energia, che elevò la vostra patria all’apogeo della sua gloria di nazione civile e nazione missionaria, «espandendo la fede e l’impero». Lo riferisce la storia e i fatti lo attestano. Infatti, quando i figli del re Giovanni I gli chiesero di autorizzare la prima spedizione oltremare, che portò poi alla liberazione di Ceuta, il grande e pio monarca, prima di qualsiasi altra cosa, volle sapere se l’impresa sarebbe stata utile per il servizio di Dio. Come in questo caso, anche tutte le altre imprese che seguirono ebbero come scopo principale la propagazione della fede, quella stessa fede che avrebbe animato la Crociata dell’Occidente e gli ordini equestri nell’epica lotta contro il dominio dei Mori. – Nelle caravelle che, innalzando il bianco pennone segnato con la rossa croce di Cristo, portavano gli intrepidi scopritori portoghesi sulle rive occidentali dell’Africa e delle isole adiacenti, navigavano anche i missionari, « per attirare le nazioni barbare al giogo di Cristo », come si esprimeva il grande pioniere dell’espansione coloniale e missionaria portoghese, l’infante Enrico il Navigatore. ‘ Il principe degli esploratori portoghesi, Vasco de Gama, quando levò le ancore per iniziare il suo avventuroso viaggio nelle Indie, portò con sé due padri Trinitari, uno dei quali, dopo aver predicato con zelo apostolico l’evangelo alle genti dell’India, coronò il suo faticoso apostolato con il martirio. Il suo sangue e quello di altri eroici missionari portoghesi fu in quei luoghi remoti, come sempre e dovunque è il sangue dei martiri, semente di Cristiani; il loro luminoso esempio fu per tutto il mondo cattolico, ma anzitutto per i loro generosi compatrioti, una chiamata e uno stimolo all’apostolato missionario. Successe allora – proprio quando una serie di avvenimenti funesti strappava gran parte dell’Europa dal grembo della Chiesa, che con tanta sapienza e amore materno l’aveva plasmata – che il Portogallo, insieme con la Spagna, sua nazione sorella, aprì alla mistica sposa di Cristo immense regioni sconosciute e portò al suo seno materno, in compenso di quelli miseramente perduti, innumerevoli figli dall’Africa, dall’Asia e dall’America. In quelle terre, a dimostrazione della perenne vitalità della Chiesa cattolica, per la quale il divino Fondatore intercede incessantemente e nella quale lo Spirito paraclito incessantemente opera, anche nelle ore più tragiche, sorsero e si moltiplicarono diocesi e parrocchie, seminari e conventi, ospedali e orfanotrofi. Come è stato possibile che voi, pur essendo pochi, abbiate fatto così tanto nella santa cristianità? Dove trovò il Portogallo la forza per accogliere sotto il suo dominio tanti territori dell’Africa e dell’Asia, e per estenderlo fino alle più lontane lande americane? Dove, se non in quella ardente fede del popolo portoghese, cantata dal suo maggiore poeta, e nella sapienza cristiana dei suoi governanti, che fecero del Portogallo un docile e prezioso strumento nelle mani della Provvidenza, per l’attuazione di opere tanto grandiose e benefiche? Infatti, mentre uomini esimi, coscienti della propria responsabilità, come Alfonso de Albuquerque, come Giovanni de Castro, governano con rettitudine e prudenza le diverse colonie portoghesi e prestano aiuto e protezione agli zelanti predicatori della fede – che grandi monarchi come Giovanni III si impegnano a mandare in quei paesi – il Portogallo si impone al mondo per la potenza del suo impero e per la sua gigantesca opera civilizzatrice. Quando invece la fede declina, quando lo zelo missionario si scoraggia, quando il braccio secolare, anziché proteggere, disturba, anziché incoraggiare, paralizza la vitalità missionaria, in particolare con la soppressione degli Ordini religiosi, allora, naturalmente, con la fede e la carità, si disperde e languisce tutta quella primavera di bene, che da esse era nata e si alimentava. – Uno sguardo anche a queste ombre, figlio nostro amato e venerabili fratelli, non sarà meno profittevole, anzi si presterà a utili riflessioni. Ma è sullo splendore delle vostre incomparabili glorie missionarie, che desideriamo fissare la vostra attenzione in quest’anno pluricentenario, destinato all’evocazione storica dei magnifici fasti della vostra inclita patria, perché nel vostro cuore si mantenga sempre vigoroso l’antico spirito missionario portoghese. Le attuali celebrazioni centenarie coincidono provvidenzialmente con un periodo di rinascita spirituale del popolo portoghese. Il solenne Concordato e l’Accordo missionario da poco ratificati, oltre a regolare le relazioni e a promuovere la collaborazione amichevole tra la Chiesa e lo stato, garantiscono tempi ancora migliori. L’ora attuale è dunque particolarmente propizia per dare nuovo incremento al vostro spirito missionario, con la speranza che possa emulare l’ardore degli antichi missionari portoghesi. Animato da tale spirito, chi potrà considerare con indifferenza i quasi dieci milioni di anime, che abitano nei territori portoghesi, e che nella stragrande maggioranza attendono ancora la luce dell’evangelo? Quale portoghese – degno di questo nome – non desidererà operare secondo le sue possibilità per conservare sempre vivo e far crescere ogni giorno più ciò che rappresenta una tra le sue glorie più belle, nonché uno dei maggiori interessi della sua patria?

***

Noi pertanto, nostro amato figlio e venerabili fratelli, con la mente e il cuore colmi delle gloriose tradizioni missionarie della nazione portoghese, vi teniamo presenti a favore delle molte anime che nelle vostre colonie ancora aspettano chi predichi loro la parola di Dio e condivida « le insondabili ricchezze di Cristo » (Ef 3, 8), e ripetiamo il gesto e l’esortazione del divino Redentore agli Apostoli, dicendo anche a voi: «Alzate gli occhi e guardate i campi già maturi per la mietitura » (Gv 4, 35); « La messe è grande, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il Padrone della messe perché mandi operai per la sua messe » (Lc 10, 2).

Sì, « gli operai sono pochi »! Le antiche diocesi dell’Africa portoghese soffrono grande scarsità di annunciatori della parola divina, e vaste circoscrizioni sono affidate a pochi missionari.

« Pregate dunque il Padrone della messe »; chiedete anzitutto al Signore che si degni di suscitare molte vocazioni missionarie sia in Portogallo come tra gli indigeni dei territori d’oltremare a voi soggetti; e non solo vocazioni di Sacerdoti, ma di fratelli coadiutori, di religiose e catechisti. Tutti i Sacerdoti consacrino parte delle loro preghiere a questa santa e altissima intenzione; in particolare lo facciano gli ordini contemplativi, e i fedeli, nel recitare il Rosario, tanto raccomandato dalla beata vergine Maria di Fatima, non trascurino di elevare un’invocazione alla Madre di Dio in favore delle vocazioni missionarie. – Ma non è sufficiente: è necessario organizzare giornate speciali per le vocazioni missionarie, con ore di adorazione e discorsi appropriati; ciò avvenga ogni anno, in tutte le parrocchie, nei collegi o case per l’educazione della gioventù, nei seminari. In tali giorni, tutti si accostino alla sacra mensa; in particolare i giovani si alimentino del pane dei forti, del « frumento dei prescelti » (Zc 9, 17): per molti sarà forse quello il momento benedetto e felice nel quale il Signore farà sentire la sua chiamata. Chi più del clero potrà promuovere in modo adeguato queste sante iniziative? Ci rivolgiamo quindi ai venerandi Sacerdoti portoghesi e con cuore ardente li esortiamo a iscriversi all’Unione missionaria del clero. Questa pia associazione, benedetta e arricchita di specialissime grazie dai nostri immediati predecessori, e che noi ugualmente benediciamo e raccomandiamo con insistenza, esiste già in quasi tutti i paesi cattolici e dovunque si dimostra mezzo molto efficace per formare la coscienza missionaria tra i fedeli. È nostro vivo desiderio che l’Unione missionaria del clero portoghese, anche nei suoi principi, si sviluppi rapidamente, poiché tra i suoi membri noi speriamo di trovare quei coltivatori zelanti ed esperti, che con amorosa sollecitudine sappiano scegliere ed educare le tenere pianticelle che nostro Signor Gesù Cristo fa spuntare nella sua vigna, per trapiantarle un giorno nel campo delle missioni. – Anzitutto il Signore attende dai suoi ministri un lavoro ancora più fondamentale: che preparino e coltivino il terreno affinché in esso possano germinare le vocazioni missionarie. Ne deriva che tocca in primo luogo ai Sacerdoti diffondere tra i fedeli la conoscenza del problema missionario e suscitare nel loro cuore lo zelo apostolico; perciò – come dichiarava un giorno il nostro predecessore Pio XI di v.m. – non dovrebbe esister un solo Sacerdote che non sia infiammato dall’amore per le missioni. – Perciò ripetiamo a voi, amato figlio e venerabili fratelli, le autorevoli parole dello stesso nostro grande predecessore nella sua lettera enciclica Rerum Ecclesiae: « Cercate di fondare tra voi l’Unione.missionaria del clero; o, se è già stata fondata, promuovetela con la vostra autorità, con consigli, esortazioni e un’attività sempre più vivace ». – Dovere primario dell’Unione missionaria del clero in Portogallo sarà di promuovere e diffondere con ogni mezzo la stampa missionaria. Se non esiste una stampa che faccia conoscere i gravi problemi e le urgentissime necessità delle missioni, né il clero, né, a maggior ragione, il popolo, se ne faranno carico.

Con tutto il cuore benediciamo quindi il bollettino dell’Unione missionaria del clero in Portogallo Il clero e le missioni affinché si rafforzi, e riaccenda in tutti i Sacerdoti portoghesi la chiamata allo zelo missionario e ricordi loro i doveri relativi alla propagazione della fede. – Benediciamo pure le altre riviste missionarie delle famiglie religiose, che tanto contribuiscono alla formazione missionaria dei fedeli e facciamo voti perché producano frutti sempre più abbondanti. Riserviamo quindi una benedizione speciale ai Sacerdoti che generosamente si incaricheranno di una zelante propaganda dell’Unione missionaria del clero, perché Dio renda feconda la loro attività. Certamente un autentico zelo per le anime ispirerà loro mille efficaci iniziative per portare a compimento il loro santo proposito.

L – Desideriamo inoltre che nei seminari l’educazione dei candidati al sacerdozio venga orientata in modo tale da far acquisire una solida e profonda coscienza missionaria, tanto utile per irrobustire la formazione sacerdotale, con vantaggio per il futuro esercizio del loro ministero, in qualsiasi posto la Provvidenza li destini. E se qualcuno di voi, per benignissima volontà dell’Altissimo, si sentisse chiamato verso le missioni, « né la mancanza di clero, né alcun’altra necessità della diocesi deve dissuaderlo dal dare il proprio consenso; poiché i vostri concittadini, avendo, per così dire, a portata di mano, i mezzi della salvezza, sono molto meno lontani da essa che gli infedeli… In tal caso poi, sopportate volentieri, per amore di Cristo e delle anime, la perdita di qualche membro del vostro clero, se perdita si può chiamare e non invece guadagno; giacché, se vi priverete di qualche collaboratore e compagno di fatica, il divino Fondatore della Chiesa certamente lo supplirà, o espandendo grazie più abbondanti sulla diocesi, o suscitando nuove vocazioni per il sacro ministero». – Ma il nostro maggiore e più ardente desiderio è che, a imitazione dell’arcidiocesi di Goa, dove abbondano le vocazioni sacerdotali e religiose tra i nativi del posto, anche le altre circoscrizioni ecclesiastiche dei domini portoghesi, sviluppando generosamente l’opera già intrapresa, possiedano tra non molto un esemplare clero indigeno, e numerose suore, figlie dello stesso popolo, nel cui seno eserciteranno il loro apostolato. Va a gloria del Portogallo l’aver sempre associato i popoli d’oltremare alla sua buona sorte, cercando di elevarli al suo stesso livello di civilizzazione cristiana. Noi contiamo su questa lodevole tradizione per la realizzazione di uno dei sogni più vagheggiati dalla Chiesa negli ultimi tempi: la formazione del clero indigeno. Da parte vostra, nostro amato figlio e venerabili fratelli, voi farete tutto il possibile perché queste speranze non siano vane, ma diventino tra breve tempo una consolante realtà.

* * *

Non basta tuttavia reclutare numerose vocazioni; è soprattutto necessario educare santi e capaci missionari. Avete in mezzo a voi, e senza dubbio lo apprezzate degnamente, un monumento insigne della sollecitudine che merita presso questa Sede apostolica l’educazione delle vocazioni missionarie, ed è l’Associazione portoghese delle missioni cattoliche d’oltremare, fondata dalla sapiente intuizione ed energia del nostro predecessore, Pio XI di v.m., la quale è anche per Noi oggetto di speciali cure e speranze. Altrettanta fiducia la Santa Sede ripone negli Ordini e nelle Congregazioni religiose, maschili e femminili, che in ogni tempo sono stati e sono i luoghi dove viene formata la maggior parte dei missionari. Dagli uni e dalle altre ci aspettiamo molto e molto si aspettano le missioni. Conoscendo bene le necessità spirituali dei possedimenti portoghesi, è nostro vivissimo desiderio che a lato degli Ordini e Congregazioni religiose, che già si dedicano alle missioni, se ne schierino altre ancora, e che gli Ordinari concedano loro appoggio e favore, per un fine così urgente e santo, così che anche in questi istituti si moltiplichino gli operai dell’Evangelo, destinati alle missioni delle vostre vaste colonie. Ai direttori dei collegi della succitata Associazione missionaria, come pure ai superiori delle altre corporazioni religiose, vogliamo aprire il nostro cuore, perché vedano chiaramente le nostre preoccupazioni apostoliche e quanto desideriamo che le vocazioni missionarie siano debitamente coltivate e solidamente formate. Si ricordino che nessuno deve incamminarsi per i difficili ed eroici sentieri delle missioni, se non è chiamato per privilegio singolare del Signore; allo stesso modo non si deve permettere a nessuno che prosegua su questo cammino, se non corrisponde degnamente alla chiamata divina. – Il missionario dev’essere un uomo di Dio, non solo per vocazione, ma anche per la donazione completa e perpetua di se stesso. « In effetti – insegna l’ammirevole epistola apostolica Maximum illud di Benedetto XV di v.m. – è necessario che sia uomo di Dio, che predica Dio, che odia il peccato e che insegna ad odiarlo. Specialmente tra gli infedeli, che agiscono più sotto la spinta del sentimento che della ragione, la fede fa maggiori progressi se viene predicata con l’esempio più che con la parola ». ‘ Si tratta, nostro amato figlio e venerabili fratelli, di una santità profondamente radicata nell’anima, non di una superficiale bontà, che sparirebbe al primo contatto con la corruzione del paganesimo. Uomini che, secondo la frase di san Paolo, « hanno la parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegato la forza interiore » (2Tm 3,5) di certo non saranno sale della terra, che curi la corruzione dei costumi pagani, e nemmeno luce del mondo, che mostri il cammino della salvezza a quanti giacciono nell’ombra di morte. E piaccia a Dio che non arrivino loro stessi a corrompersi miserabilmente e, peggio ancora, a trasformarsi in maestri di corruzione! Inoltre, è necessario che il futuro missionario riceva un’educazione completa, sia scientifica che pastorale, affinché possa davvero essere un « sapiente architetto » (1 Cor 3, 10) del regno di Dio. Non gli basterà una vasta e profonda scienza teologica; dovrà anche conoscere le scienze profane relative all’esercizio dei suoi compiti; altrimenti, se gli mancheranno queste conoscenze sacre e profane, il missionario, guidato unicamente dal suo zelo, rischierà di costruire sulla sabbia. Pertanto, a somiglianza del divino Maestro, che « passò facendo del bene e sanando tutti » (At 10, 38), e obbedendo al mandato di Lui, che disse: « curate gli infermi » (Lc 10, 9) e « insegnate a tutte le genti » (Mt 28, 19), il missionario aprirà la bocca per parlare con sapienza e dottrina del regno di Dio, e stenderà le mani, convenientemente preparate e mosse da carità cristiana, per alleviare i corpi dalle malattie e dalle miserie che li affliggono; con i corpi sanerà unitamente le anime. Egli saprà pure elevare l’intelligenza di tanti poveri schiavi di superstizioni degradanti e immersi « nell’ombra della morte »; con l’istruzione aprirà in quelle intelligenze ottenebrate il varco alla luce dell’evangelo. – Infatti, a lato della casa di Dio, la Chiesa, illuminata dallo Spirito Santo, ha innalzato in ogni parte, ma soprattutto nelle terre di missione, orfanotrofi, ospedali e scuole. Ora chi sarà il « sapiente architetto » di queste sante opere, se non il missionario che annuncia la verità cristiana? E come potrà esserlo senza la necessaria preparazione per avere quelle doti e virtù? Identiche raccomandazioni facciamo a quanti si dedicano alla formazione di quell’esercito silenzioso, ma laboriosamente benefico, aiuto quasi indispensabile delle missioni, che sono le suore missionarie. Sappiamo che in Portogallo, per la misericordia di Dio, si stanno moltiplicando le Congregazioni religiose femminili. In esse si curino con diligenza il reclutamento e l’educazione delle vocazioni missionarie, in modo che le suore, pronte a partire verso terre di infedeli, siano ogni volta più numerose e meglio preparate a esercitare con successo i compiti di maestre, infermiere, catechiste, in una parola, tutte le incombenze particolari che si riferiscono all’apostolato missionario. – Tutti coloro cui compete questo dovere considerino bene che le suore missionarie potranno cogliere frutti tanto maggiori, quanto più adeguata e completa sarà la loro formazione, non solo religiosa, ma anche intellettuale. E piaccia a Dio che tra breve tempo vediamo collaborare con le suore missionarie molte zelanti suore indigene! – Non dimentichiamo certo voi, dilettissimi figli, che già avete obbedito all’invito del divino Maestro: « Prendi il largo! » (Lc 5, 4) A voi, che già vi trovate in alto mare, che lottate e vi affaticate per estendere il regno di Dio, va più sollecito il nostro pensiero e si dirigono più cordiali il nostro saluto ed esortazione. Infondendovi nuovo coraggio, preghiamo e scongiuriamo tutti e ciascuno in particolare, con le parole dell’Apostolo delle genti: « Sforzati di presentarti davanti a Dio come un uomo degno di approvazione, un lavoratore che non ha di che vergognarsi » (2 Tm 2, 15). « Sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza » (1 Tm 4, 12). Con lo stesso san Paolo, all’esortazione uniamo il suggerimento dei mezzi necessari per metterla in pratica, riassumendoli tutti nel seguente consiglio: « Tendi… alla pietà » (1 Tm 6, 11). Se la grazia di Dio dimorerà nel vostro cuore, non potrà mancare di diffondersi intorno a voi e sulle vostre opere, poiché questa è la legge del regno di Dio. Infatti « il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti » (Mt 13, 33). – La storia delle vostre missioni conferma eloquentemente la verità di questa legge divina. Mentre le cosiddette missioni laiche, che dovevano sostituire le missioni cattoliche, rimasero sempre infruttifere, quali immensi beni, non solo spirituali, ma pure – per logica conseguenza – temporali, a vantaggio e prestigio del Portogallo, operarono degli uomini apostolici come Francesco Saverio e Giovanni de Brito! Imitateli dunque degnamente! – Come sapete, il 15 marzo di quest’anno si è compiuto il quarto centenario della divina vocazione di Saverio verso le missioni dell’India portoghese. Questa vocazione divina gli fu manifestata dalla lettera che Giovanni III, re del Portogallo, scrisse al suo ambasciatore a Roma, incaricandolo di cercare saggi e virtuosi missionari per le Indie. Quanto bene Saverio ricompensò il Portogallo per il grande aiuto offerto alla vocazione divina del santo protettore delle missioni! Certamente non avrebbe potuto fare di più a servizio del Portogallo, se fosse stato portoghese di nascita. Tale è l’efficacia benefica della santità. In essa si trova il segreto del felice risultato della vostra missione. Il vostro programma missionario fra gli infedeli sia lo stesso del divino Maestro: « Santifico me stesso perché essi siano santificati » (Gv 17, 19) che fu anche il programma di san Francesco Saverio, del beato Giovanni de Brito e di tutta la gloriosa schiera di Santi missionari portoghesi, che tanto onore hanno recato alla Religione e alla nazione portoghese. – Ed ora, prima di concludere, una parola per il generoso e a Noi caro popolo portoghese. Cristo Signore confidò a coloro che già godono degli incomparabili benefici della redenzione, l’incarico di condividerli con i fratelli, che ancora ne sono privi. Nelle vostre magnifiche colonie avete milioni di fratelli, la cui evangelizzazione vi è in modo particolare affidata. Per questo noi vi convochiamo tutti a una santa crociata in favore delle vostre missioni. Come i vostri gloriosi predecessori, dei quali quest’anno celebrate la memoria, si stringevano intorno a capitani e cavalieri, che agitavano la bandiera crociata o, quando non potevano seguirli, li accompagnavano con le preghiere, con la solidarietà o con l’aiuto finanziario, così anche voi impegnatevi con l’offerta dei vostri figli, le vostre orazioni e il vostro obolo generoso per le missioni. – In questa nobile crociata un compito privilegiato spetta a quanti militano nell’Azione cattolica. Dio benedirà la vostra santa crociata e la vostra nobilissima nazione. Da Fatima, nostra Signora del Rosario, la grande Madre di Dio che vinse a Lepanto, vi assisterà con il suo potente patrocinio. San Francesco Saverio, il Santo protettore delle missioni cattoliche, portoghese di adozione, il beato Giovanni de Brito e tutta la nobile falange di Santi missionari portoghesi sarà con voi. – Intanto la benedizione apostolica che con tutta l’effusione del nostro cuore impartiamo a voi, nostro amato figlio e venerabili fratelli, e a tutti e ciascuno dei vostri fedeli, sia per voi pegno di grazie celesti e testimonianza della nostra paterna benevolenza.

Roma, presso San Pietro, 13 giugno 1940, festa di sant’Antonio, anno II del nostro pontificato.

PIO PP. XII 


UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XII – “SERTUM LÆTITIÆ”

Il Santo Padre, appena eletto, scrive ai Vescovi e ai fedeli degli Stati Uniti questa bellissima lettera piena di riferimenti storici e dottrinali a tutti utili ancora oggi che quella nobile terra si è allontanata sempre più dal pensiero del Vicario di Cristo, diventando la nazione dalle radici cristiane più spregiudicata ed anticattolica del mondo, nonché focolaio perenne di guerre e contese internazionali. Indubbiamente le forze del male, il “mistero dall’iniquità”, in tutta quella società, impregnata progressivamente dall’operato delle logge di perdizione, dal trionfare del cabalismo strisciante, dalle tante eterodossie velenose dei protestanti e dal satanismo spudorato, oggi corrotta e corruttrice del mondo intero, hanno prevalso sul bene che però ancora fa capolino in tante persone ed associazioni di ispirazione cattolica fondata sulla tradizione autentica della Chiesa. Uniamoci ai sentimenti del Sommo Pontefice stretti nella preghiera del Corpo mistico di Cristo, perché i suoi ed i nostri voti si realizzino in un progresso spirituale di quella Nazione e del mondo intero confuso e sconvolto da aberrazioni teologiche e menzogne di ogni tipo.

LETTERA ENCICLICA
SERTUM LAETITIAE


DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI .LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
150° ANNIVERSARIO DELLA
GERARCHIA ECCLESIASTICA 
NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Desiderosi di rendere più radiosa una corona di santa letizia, col pensiero varchiamo la sterminata vastità del mare. Ed eccoCi in spirito in mezzo a voi, che insieme con tutti i vostri fedeli celebrate il fausto compimento di un secolo e mezzo da quando è stata costituita la gerarchia ecclesiastica negli Stati Uniti. E facciamo questo molto volentieri, perché l’occasione che ora Ci si presenta di dimostrare con un pubblico documento la Nostra stima e il Nostro affetto verso il popolo americano, illustre e vigoroso di giovinezza, Ci è tanto più gradita quanto più è solenne, e perché essa viene a coincidere con i primordi del Nostro pontificato. A coloro che aprono gli annali della vostra storia e indagano le cause profonde degli avvenimenti di cui questa s’intesse, appare evidente che a portare la vostra patria alla gloria e alla prosperità che essa attualmente gode, non poco ha contribuito il trionfale sviluppo della divina Religione. È ben vero che questa, nata dal cielo, con i suoi insegnamenti e con le sue leggi è destinata a condurre gli uomini all’eterna felicità; ma è pure incontestabile che essa ricolma la vita di quaggiù di tanti benefici, che non potrebbe largirne di più, se la principale ragione della sua esistenza fosse di rendere beati gli uomini durante la loro breve giornata terrena. Ci piace richiamare alla memoria fatti noti. Quando Pio VI diede ai vostri connazionali il primo Vescovo nella persona del cittadino americano John Carrol, preponendolo alla sede di Baltimora, in quel luogo il numero dei Cattolici era esiguo ed insignificante e le condizioni degli Stati Uniti così pericolose, che la loro compagine e la loro stessa unità politica erano minacciate da grave crisi; a causa infatti della lunga ed estenuante guerra l’erario era oppresso da debiti, le industrie languivano e gli abitanti per l’esasperazione cagionata dalle calamità si erano scissi in opposti partiti. A situazione così dolorosa, anzi rovinosa, pose rimedio il celeberrimo George Washington, uomo dal carattere fermo e di penetrante sagacia di mente. Egli era unito da salda amicizia con il menzionato presule di Baltimora. Così il padre della patria e il primo sacro pastore della Chiesa in codesta terra, a Noi tanto diletta, avvinti da legami di benevolenza, a perpetuo esempio dei posteri e ad insegnamento delle età venture più lontane, quasi stringendosi le destre, indicavano che il popolo americano dovesse ritenere sacra e solenne norma di vita il rispetto della fede cristiana, la quale, tutelando e avvalorando i supremi principi etici, è la salvaguardia del pubblico bene e contiene forze di vero progresso. – Molte furono le cause a cui si deve ascrivere la fioritura della Chiesa cattolica nella vostra regione; ne vogliamo mettere in luce una, degna di attenzione. Sacerdoti costretti ad approdarvi per l’infuriare delle persecuzioni, vennero a recare al menzionato sacro pastore un aiuto a lui graditissimo e con la loro collaborazione attiva nel ministero spirituale sparsero una semente preziosa, dalla quale crebbe una bella messe di virtù. Alcuni di essi divennero poi Vescovi e così meritarono ancor più consolanti progressi della causa cattolica del regno di Dio. Avvenne ciò che, come la storia dimostra, suole avvenire: il temporale delle persecuzioni non estingue, ma sparge su più vasta superficie il fuoco apostolico, quello che, alimentato da una fede libera da ipocrisie umane e da carità sincera, accende il petto delle persone generose. – Trascorsi cent’anni da quell’avvenimento che adesso vi riempie di legittima esultanza, Papa Leone XIII di felice memoria con la sua lettera Longinqua oceani, volle misurare il cammino ivi percorso dalla Chiesa dal suo inizio e alla sua rassegna aggiunse esortazioni e direttive nelle quali la sua benevolenza è pari alla saggezza. Quanto fu allora scritto dal Nostro augusto predecessore è degno di perenne considerazione. In questi cinquant’anni il progresso della Chiesa non si è arrestato, ma ha avuto larghe espansioni e robusti accrescimenti. Rigogliosa è la vita che la grazia dello Spirito Santo fa fiorire nel sacrario del cuore; consolante la frequenza alle chiese; alla mensa dove si riceve il Pane degli Angeli, cibo dei forti, si accostano numerosi i fedeli; con grande ardore si fanno gli esercizi spirituali ignaziani; molti, docili all’invito della voce divina che li chiama a ideali di vita più alta, ricevono il sacerdozio o abbracciano lo stato religioso. Attualmente diciannove sono le province ecclesiastiche, centoquindici le diocesi, quasi duecento i seminari, innumerevoli i templi, le scuole elementari, quelle superiori, i collegi, gli ospedali, i ricoveri per i poveri, i monasteri. A ragione gli stranieri ammirano il sistema organizzativo che presiede alle varie categorie delle vostre scuole, alla cui esistenza i fedeli provvedono generosamente, seguite con assidua attenzione dai presuli, perché da esse esce gran numero di cittadini morigerati e saggi, i quali, rispettosi delle leggi divine e umane, sono giustamente considerati la forza, il fiore e l’onore della Chiesa e della patria. Le opere missionarie, poi, specialmente la Pontificia Opera della propagazione della fede, bene stabilite e attive, con le preghiere, con le elemosine e con altri aiuti di vario genere esemplarmente collaborano con i predicatori dell’evangelo impegnati a far penetrare nelle terre degli infedeli il vessillo della croce, che redime e salva. Sentiamo il bisogno in questa circostanza di dare pubblico attestato di lode alle opere missionarie tipiche della vostra nazione, le quali con attivo interessamento si curano della diffusione del Cattolicesimo. Esse si contrassegnano con questi nomi: Catholic Church Extension Society, società circondata di un’aureola di gloria per la sua pia beneficenza; Catholic Near East Welfare Association, che presta provvidenziali ausili agli interessi del cristianesimo in Oriente, dove i bisogni sono tanti; Indians and Nigroes Mission, opera sancita dal Terzo Concilio di Baltimora [1], che Noi confermiamo e avvaloriamo, perché la esige proprio una ragione di carità squisita verso i vostri concittadini. Vi confessiamo che Ci sentiamo penetrati da particolare affetto paterno, che certo Ci ispira il Cielo, verso i negri dimoranti tra voi perché, quanto ad assistenza spirituale e religiosa, sappiamo che sono bisognosi di speciali cure e di conforti: del resto, essi ne sono ben meritevoli. Invochiamo pertanto copiose le benedizioni divine e auguriamo fecondità di successi a coloro che, mossi da generosa virtù, si dimostrano solleciti dei negri stessi. Inoltre i vostri connazionali, per rendere in maniera opportuna ringraziamenti a Dio per il dono inestimabile della fede integra e vera, desiderosi di santi ardimenti inviano forti manipoli all’esercito formato dai missionari: essi con la tolleranza della fatica, con la pazienza invitta e con l’energia posta in nobili iniziative per il regno di Cristo raccolgono meriti, che la terra ammira e che il Cielo coronerà di adeguati premi. – Né minore forza vitale hanno le opere, che sono di utilità ai figli della Chiesa entro i confini della patria; gli uffici diocesani di carità, organizzati con criteri di saggia praticità, per mezzo dei parroci e con il concorso delle famiglie religiose, portano ai poveri, ai bisognosi, agli infermi i doni della cristiana misericordia, sollevano le miserie: nell’assolvere tale ministero di così grande importanza con gli occhi della fede dolci e penetranti, si vede Cristo presente negli indigenti e negli afflitti, che del benignissimo Redentore sono le mistiche membra doloranti. Fra le associazioni laiche – enumerarle tutte sarebbe troppo lungo – si acquistarono corone di non caduca gloria l’Azione cattolica, le Congregazioni mariane, la Confraternita della dottrina cristiana, liete di frutti promettenti ancor più lieta messe nell’avvenire, e così pure l’Associazione del Santo Nome, che è eccellente guida nel promuovere il culto e la pietà cristiana. A tale molteplice operosità dei laici, che si spiega in vari settori secondo le esigenze dei tempi, è preposta la National Catholic Welfare Conference, la quale al vostro ministero episcopale procura mezzi pronti e adeguati. Le principali di tutte queste istituzioni potemmo vedere partitamente nell’ottobre del 1936, quando, intrapreso il viaggio attraverso l’Oceano, avemmo la gioia di conoscere personalmente voi e il campo della vostra attività. Incancellabile e giocondo rimarrà sempre nel Nostro cuore il ricordo di quanto ammirammo allora con i Nostri occhi. Ben conviene adunque che, con sentimenti di adorazione, di tutto ciò rendiamo con voi grazie a Dio e che gli eleviamo il cantico della riconoscenza: «Date lode al Dio del cielo: perché la misericordia di lui è in eterno» (Sal 135,26). Il Signore, la cui bontà non è circoscritta da limiti, come ha riempito la vostra terra della liberalità dei suoi doni, così alle vostre chiese ha concesso un ardore fattivo e ha condotto a maturità di risultati i loro impegni. Sciolto il debito tributo di riconoscenza a Dio, onde ogni bene ha principio, riconosciamo, dilettissimi, che questa fecondità prosperosa che con voi oggi ammiriamo si deve anche allo spirito d’iniziativa e alla costanza nelle imprese dei sacri pastori e dei fedeli, che formano questa porzione del gregge di Cristo; riconosciamo che si debba pure al vostro clero, che, proclive all’operare deciso, con zelo esegue i vostri mandati, ai membri di tutti gli ordini e di tutte le congregazioni, che distinguendosi in virtù si prodigano a gara nella coltura del campo delle anime, alle religiose innumerevoli, che spesso silenti e ignote agli uomini, spinte da una interiore vampa di carità, si consacrano con esemplare dedizione alla causa dell’evangelo, veri gigli del giardino di Cristo, motivo di soave compiacenza dei santi. Però vogliamo che questa Nostra lode sia salutare. La considerazione del bene operato non deve produrre un allentamento che avvii alla neghittosità, non deve generare la nociva dolcezza della vanagloria, ma invece agire da stimolante, perché con rinnovate energie si impediscano i mali e perché con più robusta consistenza crescano quelle iniziative che sono utili, pròvvide e degne di encomio. Il Cristiano, se fa onore al nome che porta, sempre è apostolo; disdice al soldato di Cristo il discostarsi dalla battaglia, perché solo la morte pone fine alla sua milizia. Voi ben sapete dove occorre che più oculata sia la vostra vigilanza e quale programma d’azione conviene tracciare ai Sacerdoti e fedeli, affinché la Religione di Cristo, superati gli ostacoli, sia guida luminosa alle menti, regga i costumi e, unica causa di salute, penetri gli ambiti più nascosti e le arterie della società umana. Il progresso dei beni esterni e materiali, quantunque sia da tenersi in non poco conto per le utilità molteplici e apprezzabili, che esso apporta alla vita, tuttavia non basta all’uomo, nato a più alti e fulgidi destini. Questi infatti, creato a immagine e somiglianza di Dio, cerca Dio con incoercibile aspirazione e si addolora e versa segreto pianto, se nella scelta del suo amore esclude la Somma Verità e il Bene infinito. Ma a Dio, dal quale chi si allontana muore, al quale chi si converte vive, nel quale chi si ferma s’illumina, non si accede superando spazi corporei, ma, guidati da Cristo, con la pienezza della fede sincera, con la coscienza intemerata di una volontà diritta, con la santità delle opere, con l’acquisto e l’uso di quella libertà genuina, le cui sacre norme si trovano promulgate nell’evangelo. Se invece si sprezzano i divini comandamenti, non solo non è conseguibile la felicità posta al di là del breve giro di tempo assegnato all’esistenza terrena, ma vacilla la stessa base della civiltà verace nel suo contenuto e non si possono attendere che rovine, su cui si dovranno spargere tardive lagrime. Come infatti possono avere garanzia di stabilità il pubblico bene e la gloria del vivere civile, quando sono sovvertiti i diritti e sono spregiate e derise le virtù? Ma Dio come è la sorgente del diritto, così è l’ispiratore e il premio delle virtù: nessuno è simile a lui tra i legislatori (cf. Gb 36,22). Questa – secondo la confessione di tutti coloro che hanno buon intendimento – è dappertutto la radice amara e fertile di mali: il disconoscimento della divina Maestà, la trascuratezza delle leggi morali di origine superna o una detestabile incostanza, che fa vacillare tra il lecito e l’illecito, tra la giustizia e l’iniquità. Da ciò lo smodato e cieco egoismo, la sete dei piaceri, l’alcoolismo, la moda impudica e dispendiosa, la criminalità non insolita neanche nei minorenni, la libidine del potere, l’incuria a riguardo dei poveri, la cupidigia di inique ricchezze, la diserzione dalle campagne, la leggerezza nel contrarre il matrimonio, i divorzi, la disgregazione delle famiglie, il raffreddamento del mutuo affetto tra genitori e figli, la denatalità, l’infiacchimento della stirpe, l’illanguidirsi del rispetto verso le autorità, il servilismo, la ribellione, l’abbandono dei doveri verso la patria e il genere umano. – Eleviamo inoltre il Nostro paterno lamento, perché costì in tante scuole spesso si sprezza o si ignora Cristo, si restringe la spiegazione dell’universo e del genere umano nella cerchia del naturalismo e del razionalismo, e si cercano nuovi sistemi educativi, i quali nella vita intellettuale e morale della nazione non potranno non recare tristi frutti. Del pari la vita domestica, come, osservata la legge di Cristo, fiorisce di vera felicità, così, ripudiato l’evangelo, miseramente perisce ed è devastata dai vizi: « Chi cerca la legge sarà colmato di beni: ma chi opera con finzione, troverà in essa occasione di inciampo» (Eccli 32,19). Che cosa vi può essere in terra di più sereno e lieto che la famiglia cristiana? Sorta presso l’altare del Signore, dove l’amore è stato proclamato santo vincolo indissolubile, nello stesso amore, che la grazia superna nutre, si solidifica e cresce. Ivi « onorato è il connubio presso tutti e il talamo è immacolato » (Eb 13,4); le pareti tranquille non risuonano di litigi, né sono testimoni di segreti martìri per la rivelazione di astuti sotterfugi di infedeltà; la solidissima fiducia allontana la spina del sospetto; nella vicendevole benevolenza si sopiscono i dolori, si accrescono le gioie. Ivi i figli non sono considerati gravi pesi, ma dolci pegni; né un vituperevole motivo utilitario o la ricerca di sterile voluttà fanno sì che sia impedito il dono della vita e venga in dissuetudine il soave nome di fratello e sorella. Con quale studio i genitori si dànno premura, perché i figli non soltanto crescano vigorosi fisicamente, ma perché seguendo le vie degli avi, che spesso loro sono ricordati, siano adorni della luce che deriva dalla professione della fede purissima e dall’onestà morale. Commossi per tanti benefici, i figli ritengono loro massimo dovere quello di onorare i genitori, di assecondare i loro desideri, di sostenerli nella vecchiaia con il loro fedele aiuto, di rendere lieta la loro canizie con un’affetto che, non spento dalla morte, nella reggia del cielo sarà reso più glorioso e più completo. I componenti la famiglia cristiana, non queruli nelle avversità, non ingrati nella prosperità, sono sempre pieni di confidenza in Dio, al cui impero obbediscono, nel cui volere s’acquietano e il cui soccorso non invano aspettano. – A costituire e a mantenere le famiglie secondo la norma della sapienza evangelica esortino dunque spesso i fedeli coloro, che nelle chiese hanno funzioni direttive o di magistero e che pertanto si industriano con assidua cura per preparare al Signore un popolo perfetto. Per la stessa ragione bisogna pure sommamente attendere a questo, che il dogma cioè dell’unità e indissolubilità del matrimonio da quanti accedono alle nozze sia conosciuto in tutta la sua importanza religiosa e santamente rispettato. Che tale capitale punto della dottrina cattolica abbia una valida efficacia per la salda compagine familiare, per le progressive sorti della società civile, per la santità del popolo e per una civiltà, la cui luce non sia falsa e fatua, riconoscono pure non pochi, i quali, sebbene lontani dalla nostra fede, sono ragguardevoli per senno politico. Oh, se la patria vostra avesse conosciuto per esperienza di altri e non già da domestici esempi il cumulo di danni che produce la licenza dei divorzi! Consigli la riverenza verso la religione, consigli la pietà verso il grande popolo americano energiche azioni, perché il morbo purtroppo imperversante sia curato radicalmente. Le conseguenze di tale male così sono state descritte da papa Leone XIII, con termini che scolpiscono il vero: «A causa dei divorzi il patto nuziale è soggetto a mutabilità; si indebolisce l’affetto; sono dati perniciosi incentivi all’infedeltà coniugale; ricevono danno la cura e l’educazione della prole; si offre facile occasione a scomporre la società domestica; si gettano semi di discordie tra le famiglie; è diminuita e depressa la dignità della donna la quale corre pericolo di essere abbandonata dopo che ha servito come strumento di piacere al marito. E poiché a rovinare la famiglia, a minare la potenza dei regni nulla tanto vale quanto la corruzione dei costumi, facilmente si intuisce che il divorzio è quanto mai nocivo alla prosperità delle famiglie e degli stati » [2]. – Quanto alle nozze, nelle quali l’una e l’altra parte dissenta circa il dogma cattolico o non abbia ricevuto il sacramento del battesimo, Noi siamo sicuri che voi osserverete esattamente le prescrizioni del Codice di diritto canonico. Tali matrimoni infatti, come a voi consta per larga esperienza, sono raramente felici e sogliono cagionare gravi perdite alla Chiesa cattolica. Ad ovviare a danni sì gravi, ecco il mezzo efficace: che i singoli fedeli ricevano in tutta la sua pienezza l’insegnamento delle verità divine e i popoli abbiano chiaro il cammino che conduce alla salvezza. Esortiamo pertanto i Sacerdoti a cercare che la loro scienza delle cose divine e umane sia copiosa: non vivano contenti delle cognizioni intellettuali acquisite nell’età giovanile; con attenta indagine considerino la legge del Signore, i cui oracoli sono più puri dell’argento; continuamente gustino e assaporino le caste delizie della sacra Scrittura; col progredire degli anni studino con maggior profondità la storia della Chiesa, i dogmi, i sacramenti, i diritti, le prescrizioni, la liturgia, la lingua di essa, in modo che in loro il progresso intellettuale proceda di pari passo con quello delle virtù. Coltivino pure gli studi letterari e delle discipline profane, specialmente quelle che sono maggiormente connesse con la Religione, affinché con lucido pensiero e labbro facondo possano impartire l’insegnamento di grazia e di salute, capaci di piegare anche i dotti ingegni al lieve peso e giogo dell’evangelo di Cristo. Felice la Chiesa se così « sarà fondata sugli zaffiri » (cf. Is 54,11). Le esigenze dei tempi attuali inoltre richiedono che anche i laici, specialmente quelli che coadiuvano l’esercizio dell’apostolato gerarchico, si procurino un tesoro di cognizioni religiose, non povero ed esile, ma solido e ricco, mediante le biblioteche, le discussioni, i circoli di cultura: così trarranno grande giovamento per se stessi, potranno insegnare agli ignoranti, confutare gli avversari caparbi ed essere utili agli amici buoni. – Con molta gioia abbiamo appreso che la stampa propugnatrice dei principi cattolici è davvero presso di voi valorosa e che la radio marconiana – meravigliosa invenzione, eloquente immagine della fede apostolica che abbraccia tutto il genere umano – spesso e utilmente viene usata, perché fatti e insegnamenti ecclesiastici abbiano la più larga risonanza. Lodiamo il bene compiuto. Ma coloro, che disimpegnano tale ministero, nel proporre e promuovere la dottrina sociale, si prendano a cuore di aderire alle direttive del Magistero della Chiesa; dimentichi del proprio tornaconto, sprezzanti della vana gloria, non partigiani, parlino «come da Dio, davanti a Dio, in Cristo» (2 Cor 2,17). – Desiderosi che il progresso scientifico in tutto il suo complesso si affermi sempre più, ora che Ci si presenta una circostanza opportuna, vogliamo anche significarvi il Nostro cordiale interessamento per l’Università cattolica di Washington. Ben sapete con quali ardenti voti papa Leone XIII salutasse questo preclaro tempio del sapere, quando esso sorgeva, e quanti ripetuti attestati di particolare affetto gli desse il romano Pontefice Nostro immediato predecessore, il quale era intimamente persuaso che, se questo grande istituto già lieto di risultati si solidificherà ancor più e otterrà rinomanza ancora maggiore, ciò non solamente gioverà agli incrementi della Chiesa, ma anche alla gloria ed alla prosperità civile dei vostri connazionali. Partecipi della stessa speranza, Ci rivolgiamo a voi con questa Nostra lettera per raccomandarvi tale università. Fate del vostro meglio, perché questa, protetta dalla vostra benevolenza, superi le sue difficoltà e con avanzamenti più felici compia le speranze in essa riposte. Gradiamo anche molto il vostro proposito di rendere più spaziosa e decorosa la sede del Pontificio Collegio che a Roma accoglie, per l’educazione ecclesiastica, gli alunni degli Stati Uniti. Se è cosa utile che i giovani di più eletto ingegno per affinare il loro sapere si rechino in lontani paesi, una lunga e felice esperienza dimostra che questo vantaggio è sommo, quando i candidati al sacerdozio sono educati nell’Urbe presso la sede di Pietro, dove purissimo è il fonte della fede, dove tanti monumenti dell’antichità cristiana e tante vestigia di Santi incitano i cuori generosi a magnanime imprese. – Vogliamo toccare un’altra questione di poderosa importanza: la questione sociale che, insoluta, da lungo tempo agita fortemente gli stati e sparge nelle classi dei cittadini semi di odio e di mutua ostilità. Quale aspetto essa assuma presso di voi, quali asprezze, quali torbidi produca, voi ben conoscete, e non occorre perciò diffonderci su tale argomento. Punto fondamentale della questione sociale è questo, che i beni da Dio creati per tutti gli uomini equamente affluiscano a tutti, secondo i principi della giustizia e della carità. Le memorie di ogni età testimoniano che vi sono sempre stati ricchi e poveri; e l’inflessibile condizione delle cose umane fa prevedere che così sempre sarà. Degni di onore sono i poveri che temono Dio, perché di loro è il regno dei cieli e perché facilmente abbondano di grazie spirituali. I ricchi poi, se sono retti e probi, assolvono l’ufficio di dispensatori e procuratori dei doni terrestri di Dio; essi in qualità di ministri della Provvidenza aiutano gli indigenti, a mezzo dei quali spesso ricevono i doni che riguardano lo spirito e la cui mano – così possono sperare – li condurrà negli eterni tabernacoli. Dio, che a tutto provvede con consigli di suprema bontà, ha stabilito che per l’esercizio delle virtù e a saggio dei meriti vi siano nel mondo ricchi e poveri; ma non vuole che alcuni abbiano ricchezze esagerate e altri si trovino in tali strettezze da mancare del necessario alla vita. Buona madre però e maestra di virtù è la onesta povertà, che campa col lavoro quotidiano, secondo il detto della Scrittura: «Non darmi (o Dio) né mendicità né opulenza: ma provvedimi soltanto del necessario al mio sostentamento » (Pro 30,8). Se quanti possiedono con larghezza fondi e mezzi pecuniari devono, mossi da facile misericordia, aiutare i bisognosi, per ragione ancor più grave devono agli stessi dare il giusto. Gli stipendi degli operai, come è conveniente, siano tali che bastino ad essi e alle loro famiglie. Gravi sono in proposito le parole del Nostro predecessore Pio XI: «Bisogna dunque fare di tutto perché i padri di famiglia percepiscano una mercede tale, che basti per provvedere convenientemente alle comuni necessità domestiche. Se nelle presenti circostanze della società ciò non sempre si potrà fare, la giustizia sociale richiede che s’introducano quanto prima mutamenti che assicurino ad ogni operaio adulto siffatti salari. Sono altresì meritevoli di lode tutti coloro che con saggio e utile atteggiamento hanno esperimentato e tentano vie, onde la mercede del lavoro si retribuisca con tale corrispondenza ai pesi della famiglia, che aumentando questi, anche quella si somministri più larga: e anzi, se occorra, si soddisfaccia alle necessità straordinarie» [3]. Avvenga che ognuno il quale sia in forze ottenga l’equa possibilità di lavorare per guadagnare per sé e per i suoi il vitto quotidiano. Esprimiamo tutta la nostra compassione per la sorte di coloro, da voi molto numerosi, i quali, sebbene robusti, capaci e volenterosi, non possono avere occupazione pur cercandola affannosamente. La sapienza dei reggitori, una lungimirante larghezza da parte dei datori di lavoro, insieme con il ristabilimento di più favorevoli condizioni esterne, la cui effettuazione auguriamo sollecita, facciano sì che tali giusti desideri trovino compimento a vantaggio di tutti. – Essendo poi la socievolezza bisogno naturale dell’uomo, ed essendo lecito con forze unite promuovere quanto è onestamente utile, non si può senza ingiustizia negare o diminuire come ai produttori, così alle classi operaie e agricole, la libertà di unirsi in associazioni le quali possano difendere i propri diritti e acquistare miglioramenti circa i beni dell’anima e del corpo, come pure circa gli onesti conforti della vita. Ma alle corporazioni di tal genere, che nei secoli passati hanno procurato al Cristianesimo gloria immortale e alle arti inoffuscabile splendore, non si può imporre in ogni luogo una stessa disciplina e struttura, la quale perciò per diversa indole dei popoli e per le diverse circostanze di tempo può variare; però le corporazioni in parola traggano il loro moto vitale da principi di sana libertà, siano informate dalle eccelse norme della giustizia e dell’onestà e, ispirandosi a queste, agiscano in tal guisa che nella cura degli interessi di classe non ledano gli altrui diritti, conservino il proposito della concordia, rispettino il bene comune della società civile. Ci fa piacere conoscere che la citata enciclica Quadragesimo anno, come pure quella del sommo pontefìce Leone XIII Rerum novarum, dove si indica la soluzione della questione sociale secondo i postulati dell’evangelo e della filosofia perenne, sono presso di voi oggetto di attenta e prolungata considerazione da parte di persone di elevato ingegno, che generoso volere spinge alla restaurazione sociale e al rinvigorimento dei vincoli di amore tra gli uomini, e che alcuni datori di lavoro stessi hanno voluto comporre, secondo le norme di quelle, le controversie tendenti sempre a rinnovarsi con i loro operai, rispettando la comune utilità e la dignità della persona umana. Quale vanto sarà per la gente americana, per natura proclive alle grandiose imprese e alla liberalità, se pienamente e bene scioglierà la annosa ed ardua questione sociale secondo le sicure vie illuminate dalla luce dell’evangelo e così getterà le basi di più felice età! Affinché ciò avvenga conformemente ai voti, le forze non devono essere dissipate con la disunione, ma accresciute con la concordia. A questa salutare congiunzione di pensieri e di consensi, portatrice di azioni magnifiche, secondando un impulso di carità, invitiamo pure coloro, che la madre Chiesa lamenta da sé staccati. Molti di essi, quando il Nostro glorioso predecessore si addormentò nel sonno dei giusti e Noi dopo breve tempo dalla sua morte, per arcana disposizione della divina pietà, salimmo sul trono di san Pietro, molti di essi – ciò non Ci è sfuggito – hanno espresso parlando o scrivendo sentimenti pieni di ossequio e di grande elevatezza. Da questo atteggiamento – vi confessiamo apertamente – abbiamo concepito una speranza, che il tempo non rapisce, che Ci si trasforma talvolta in presagio e che Ci consola nella dura e aspra fatica del ministero universale. La grandezza del lavoro, che converrà intraprendere con fervore per la gloria del benignissimo Redentore e per la salvezza delle anime non vi sgomenti, o dilettissimi, ma vi stimoli, facendovi confidare nell’aiuto divino: le opere grandi generano più robuste virtù, producono meriti più splendidi. Gli sforzi con cui i nemici a schiere serrate cercano di abbattere lo scettro di Cristo siano di incitamento, perché con concordi intenti curiamo lo stabilimento e l’avanzamento di questo regno. Nulla di più felice può toccare agli individui, alle famiglie, alle nazioni, che obbedire all’Autore dell’umana salute, eseguire i suoi mandati, accettare il suo regno, nel quale diventiamo liberi e ricchi di buone opere: « regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» [4]. Augurando di cuore che voi e il gregge spirituale, al cui bene provvedete come solerti pastori, progrediate sempre verso mete migliori e più alte, e che anche dalla presente solenne celebrazione raccogliate fecondi proventi di virtù, vi impartiamo la benedizione apostolica, attestato della Nostra benevolenza.

Roma, presso San Pietro, festa di Tutti i santi 1939, anno I del Nostro pontificato.

PIO PP. XII


[1] Cf. Acta eiusdem Concilii, c. II.

[2] Litt. enc. Arcanum: EE 3.

[3] Litt. enc. Quadragesimo anno: EE 5/653.

[4] Missale Romanum, Praef. Missae Christi Regis.

L’IMPOSSIBILITÀ DI UN PAPA ERETICO.

Un Papa eretico è un evento assolutamente impossibile secondo il magistero ed i teologi più accreditati.

Pertanto, questo deve farci capire con certezza granitica, divina, che chiunque proclami difformità dal deposito apostolico della fede nella Chiesa cattolica, contro ogni apparenza mediatica, non possa essere il successore di s. Pietro, il Vicario di Cristo, ma un volgare servo del demonio ingannevole e – se ricopre cariche ecclesiastiche – usurpante una posizione indebitamente. Di seguito le motivazioni teologiche.

Definizione dell’Infallibilità del Romano Pontefice, ratificata da Papa Pio IX al Concilio Vaticano, Sessione IV, Capitolo IV, 18 luglio 1870.

“Pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’inizio della fede cristiana, per la gloria di Dio nostro Salvatore, per l’esaltazione della religione cattolica e la salvezza dei popoli cristiani, Noi insegniamo e definiamo, con l’approvazione del Sacro Concilio, che è un dogma divinamente rivelato, che il Romano Pontefice, quando parla ex cathedra, cioè, quando, esercitando le funzioni di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina in materia di fede e di morale che deve essere tenuta dalla Chiesa universale, gode pienamente, per l’assistenza divina promessa a lui nel beato Pietro, della stessa infallibilità di cui il nostro Divino Redentore ha voluto che la Sua Chiesa fosse dotata per definire la dottrina in materia di fede o di morale; e di conseguenza tali definizioni del Romano Pontefice sono di per sé irreformabili, e non dal consenso della Chiesa.

“Se qualcuno presume, e Dio non voglia, di contraddire questa Nostra definizione, sia anatema”.

Catechismo del Concilio di Trento, edizione 1962, Baronius Press, Appendice II, pp. 542.

La crisi attuale definita: La cattedra di Pietro è usurpata (rubata)

Al momento non esiste un Sommo Pontefice (Papa) visibile ed operante nel mondo.

Questa spiacevole realtà è incontrovertibile e può essere dimostrata utilizzando almeno tre fonti:

(a) Paolo IV, Costituzione Apostolica: Cum Ex Apostolatus Officio, 15 febbraio 1559:

“… 6. Inoltre, [con questa Nostra Costituzione, che rimarrà valida in perpetuo, Noi stabiliamo, determiniamo, decretiamo e definiamo:] che se mai, in qualsiasi momento, dovesse apparire che un Vescovo, anche se agisce come Arcivescovo, Patriarca o Primate; o un Cardinale della suddetta Chiesa Romana, o, come già menzionato, un qualsiasi legato, o anche il Romano Pontefice, prima della sua promozione o della sua elevazione a Cardinale o Romano Pontefice, abbia deviato dalla Fede Cattolica o sia caduto in qualche eresia: la promozione o l’elevazione, anche se incontestata e con l’assenso unanime di tutti i Cardinali, sarà nulla, non valida e senza valore. . .”

(b) La difesa di San Roberto Bellarmino dei Papi che si dice abbiano errato nella fede.

*Per un riferimento, vedere: Errore papale? A Defense of Popes said to have Erred in Faith di San Roberto Bellarmino, S.J. Dottore della Chiesa Tradotto da Ryan Grant e pubblicato da Mediatrix Press.

(c) L’impossibilità di un Papa eretico.

(Felix Cappello)

[Illustre teologo preconciliare.]

P. Felix Cappello, S.J., su una questione scottante…

Il gesuita p. Felix Cappello (1879-1962) è stato un eccezionale teologo della Chiesa cattolica. Ha conseguito dottorati in Sacra Teologia, filosofia e diritto canonico. Ha insegnato alla Pontificia Università Gregoriana dal 1920 al 1959 ed è stato consulente del Vaticano.

Nel 1911/12 è stata pubblicata l’opera in 2 volumi De Curia Romana (“Sulla Curia Romana”). Il secondo volume tratta in modo specifico della Curia romana nel periodo in cui non c’è il Papa, lo stato di sede vacante e l’assenza di un Papa.

Contiene una trattazione della questione del “Papa eretico” (Papa haereticus) e se la Chiesa abbia il potere di deporlo. Si tratta di una questione che è di grande interesse ai nostri giorni e lo è da tempo, anche in Vaticano: I teologi vaticani starebbero studiando cosa fare con un Papa eretico (2016).

Scrivendo nel 1912, molto prima del Concilio Vaticano II, p. Cappello non è ovviamente influenzato dall’attuale disordine ecclesiale, e quindi non è prevenuto sulla questione in un senso o nell’altro. Allo stesso tempo, scrivendo dopo il Concilio Vaticano I e anche dopo il pontificato di Papa Leone XIII, il suo trattato teologico è informato da una ricchezza di insegnamenti dogmatici e dottrinali che si ritrovano nel magistero pontificio nel XIX secolo, un vantaggio che molti teologi del passato che hanno discusso la questione del Papa haereticus non hanno avuto.

L’analisi di p. Cappello è quindi estremamente competente ed imparziale. Si tratta di un’analisi che è il migliore nei dei due mondi.

ARTICOLO II

Se il Romano Pontefice possa essere deposto dai Cardinali o da un Concilio Generale.

1. Opinioni erronee. – Un molteplice errore, che sa chiaramente di eresia, è stato sollevato dai re e da altri pseudo-cattolici, più o meno imbevuti dei principi del gallicanesimo.

1º Alcuni insegnano che i Cardinali hanno il diritto non solo di eleggere il Sommo Pontefice, ma anche di deporlo per un giusto motivo.

2º Altri affermano che il potere di deporre il Papa appartenga alla società universale dei fedeli, cioè alla Chiesa.

3º Altri affermano che la suddetta facoltà non appartenga ai Cardinali, né alla Chiesa o alla comunità dei fedeli, ma solo ad un Concilio generale. Da qui la proposizione del Gallicanesimo: “I Concili ecumenici sono al di sopra del Papa, anche al di fuori del tempo dello scisma” (in contraddizione con la bolla Execrabilis di Pio II – ndr. -)

4º Alcuni affermano che il Romano Pontefice debba essere deposto da un Concilio generale quando si verifichi una causa gravissima, ad esempio: a) se governa la Chiesa in modo inetto; b) se diventa odioso per la società dei Vescovi o dei fedeli; c) se governa i suoi sudditi in modo empio o ingiustamente; d) se conduce una vita disdicevole; e) se cade nell’eresia.

5º Altri limitano l’autorità dei Concili ecumenici di deporre il Papa solo a casi straordinari, ad esempio se è scandaloso, eretico o di dubbia legittimità. [Si veda quindi Bossuet:Defensio, lib. X, cap. XXI.].

6º Non mancano neanche Dottori che affermano che il Romano Pontefice per alcuni crimini più atroci, soprattutto per depravazione morale, eresia, ecc. perda ipso facto la giurisdizione, cosicché non è necessaria una sentenza di deposizione da parte di un Concilio generale; al massimo, dicono, è necessaria una semplice sentenza dichiarativa del crimine, che è sufficiente.

Tali opinioni sono chiaramente errate, come sarà chiaro da quanto si dirà in seguito.

2. La questione del Papa eretico. – È un dogma cattolico che quando il Romano Pontefice parla ex cathedra, cioè quando svolge il compito di pastore e maestro di tutti i Cristiani, sia infallibile grazie ad una speciale assistenza dello Spirito Santo. Pertanto la presente questione non riguarda il Pontefice in quanto Pastore e Maestro universale della Chiesa, ma piuttosto nella misura in cui sia considerato come una persona privata. A questo proposito, gli Autori sono soliti chiedersi se un Romano Pontefice che cade in eresia perda il potere supremo ipso facto, o se debba essere deposto da un Concilio ecumenico.

Vedremo di seguito se la supposizione sia da ammettere o meno. Diverse opinioni sono comunemente sostenute.

La prima afferma che il Romano Pontefice perda la giurisdizione papale ipso facto per eresia, anche occulta, senza che sia richiesta la sua deposizione [cfr. Palmieri, De Romano Pontifice, p. 40]. – Il secondo afferma che per eresia notoria e apertamente divulgata il Papa sia privato del suo potere ipso facto, prima di qualsiasi sentenza dichiarativa [cfr. Bellarm., De R. Pontif. lib. II, cap. 30; Bouix, De Papa, to. II, p. 653 ss.].

Il terzo sostiene che il Romano Pontefice non decade dal suo potere ipso facto nemmeno a causa di un’eresia notoria o pubblica; ma tuttavia può e deve essere deposto con una sentenza, almeno una che dichiari il crimine [Cfr. Suarez, De fide, disp. 10, sect. 6, n. 6 sq.].

Il quarto sostiene che il Sommo Pontefice non perda la sua giurisdizione a causa dell’eresia, né possa esserne privato con la deposizione [cf. Bellarm., l. c.].

La quinta dichiara che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia, nemmeno come dottore privato; cioè nega la supposizione stessa [Cfr. Billot, to. III, p. 141 sq.].

Quale di queste opinioni è la più probabile?

3. La dottrina cattolica da sostenere. – In primo luogo, è certo che il Romano Pontefice non sia soggetto al collegio cardinalizio, né ad un concilio episcopale, essendo egli stesso il Vescovo dei Vescovi, il Pastore dei pastori, il capo di tutte le chiese particolari e della stessa Chiesa universale. Pertanto, il Papa è semplicemente e assolutamente al di sopra della Chiesa universale, e al di sopra di un Concilio generale, tanto che al di sopra di sé stesso non riconosce nessuno sulla terra come suo superiore [cfr. Bellarm., De Concil. auct., lib. II, cap. XIII ss.].

Perciò è inopportuno affermare che i cardinali o i Vescovi riuniti abbiano il diritto di deporre il Romano Pontefice. E infatti:

a) Cristo ha stabilito Pietro e i suoi successori, non i Cardinali o i Vescovi, come fondamento della Chiesa. Ora, se il collegio cardinalizio o un concilio di Vescovi potesse deporre il Pontefice, non saremmo obbligati a dire che quei Cardinali e Vescovi sono il fondamento della Chiesa, contro la volontà positiva di Cristo?

b) Cristo ha affidato a Pietro il compito di “pascere gli agnelli e le pecore e di confermare i fratelli nella fede”. Ma se il Papa potesse essere deposto, non sarebbe lui a pascere o confermare, ma piuttosto il gregge sarebbe pasciuto e confermato da altri.

c) Il Romano Pontefice possiede un potere pieno e completo nella Chiesa, in modo tale che indipendentemente da lui non esista alcun potere di fatto né possa essere concepito.

d) I Vescovi non hanno giurisdizione, o almeno non possono mai esercitarla in modo valido e lecito, se non nella misura in cui dipendono dal Sommo Pontefice; ma se avessero il diritto di deporre il Papa, agirebbero non solo indipendentemente dal Papa, ma anche contro di lui.

e) Un Concilio generale non ha alcun valore, a meno che il Romano Pontefice non lo convochi, non lo presieda e non ne confermi gli atti con la sua suprema autorità.

f) I Vescovi e gli altri alti prelati hanno un potere solo nella misura in cui è loro concesso dalla legge divina, o dalla legge naturale o ecclesiastica. Ma né la legge divina, né quella naturale, né quella ecclesiastica concede ai Vescovi e agli altri prelati il potere di deporre il Romano Pontefice.

Così [segue la conclusione]:

g) Qualsiasi cosa venga fatta dai Vescovi o dai Cardinali, o da qualsiasi altra persona, in quanto al di fuori della Chiesa, deve essere considerato inutile ed illecito. Perché la dove c’è Pietro, o il Romano Pontefice, c’è la Chiesa, secondo l’assioma dei Santi Padri; di conseguenza, se qualcuno vuole agire contro il Papa, per il fatto stesso di essere fuori dalla Chiesa, agisce in modo sbagliato.

Così il diritto di deporre il Romano Pontefice, sotto qualsiasi aspetto venga considerato e in quale caso lo si ritenga idoneo ad essere utilizzato, deve essere considerato un’assurdità, in quanto palesemente ripugnante alla volontà positiva di Cristo ed alla natura del Primato e alla costituzione essenziale della Chiesa.

h) L’ottavo Concilio ecumenico, atto VIII, ha dichiarato: “Leggiamo che il Romano Pontefice ha giudicato tutti i Vescovi delle Chiese, ma non leggiamo che qualcuno abbia giudicato lui”.

i) Il V Concilio Lateranense, sess. XI ha insegnato che: “Che il solo Romano Pontefice, in quanto ha autorità su tutti i Concili, ha il pieno diritto e potere di convocare, trasferire e sciogliere i Concili, risulta evidente non solo dalla testimonianza della Sacra Scrittura, dai detti dei santi Padri della Chiesa e degli altri Romani Pontefici, ma anche dalla confessione di quei Concili stessi”

l) [Papa] Gelasio nella sua epistola ai Vescovi della Dardania dice: “La Chiesa in tutto il mondo sa che la Santa Sede romana ha il diritto di giudicare tutti, e che a nessuno è consentito di giudicare il suo giudizio”.

m) [Papa] Niccolò I nella sua epistola a Michele scrive: “È perfettamente chiaro che il giudizio della Sede Apostolica, la cui autorità non è superata da nessun’altra, non possa essere rivisto da nessuno”.

n) [Papa] Gregorio [Lib. 9, epist. 39 ad Theotistam.]: “Se il beato Pietro – dice – quando veniva rimproverato dai fedeli, avesse prestato attenzione all’autorità che aveva ricevuto nella santa Chiesa, avrebbe potuto rispondere: le pecore non osino rimproverare il loro pastore”.

o) [Papa] Bonifacio VIII [In extrav. Viam sanctam, tit. de maiorit. et obedient.]: “Se – dice – un potere terreno sbaglia, deve essere giudicato dal potere spirituale. Se lo spirituale erra, il minore [viene giudicata] dal maggiore, ma se la suprema [potenza] sbaglia, è [giudicata] solo da Dio, perché non può essere giudicato dall’uomo”.

L’opinione più probabile, anzi certa, se possiamo esprimere il nostro parere, è l’ultima, che afferma che il Romano Pontefice non possa cadere in eresia nemmeno come dottore privato. – Di conseguenza, il Papa non può essere deposto in nessun caso, né direttamente con una sentenza di condanna, né indirettamente con una sentenza che si limiti a dichiarare il reato.

Il perché è chiaro:

a) Cristo Signore ha istituito la Chiesa in modo da provvedere al suo giusto governo ed al beneficio spirituale dei fedeli. Ma se il Romano Pontefice potesse diventare eretico come dottore privato, questo porterebbe senza dubbio più o meno ad un danno e ad un disonore per la Chiesa.

b) Cristo ha detto in modo assoluto e semplice: “Ma Io ho pregato per voi, affinché la vostra fede non venga meno; quando saranno convertiti, conferma i tuoi fratelli” [Lc XXII,32], senza distinguere tra funzione privata o pubblica dell’insegnamento.

c) Il Romano Pontefice, con la forza del Primato, deve comportarsi secondo l’intenzione positiva di Cristo, in modo tale da meritare la piena fiducia dei suoi sudditi. Ma quale fiducia potrebbe meritare, se egli stesso potesse sbagliare come gli altri?

d) È difficile distinguere, nei singoli casi, se il Papa ha parlato ex cathedra o soltanto come dottore privato, e di conseguenza se è infallibile o se è passibile di errore come il resto degli uomini. Di conseguenza, i fedeli, per una buona ragione, resterebbero confusi nel dubbio se una dottrina dovesse essere accettata a capo chino in quanto proposta dal Pontefice, oppure fare altrimenti. Da ciò deriverebbero moltissimi dubbi, domande, ansie delle anime. Tutti questi inconvenienti svaniscono chiaramente se si accetta la nostra opinione.

e) Gli argomenti su cui si basano i sostenitori delle opinioni opposte non hanno forza.

Così: 1º l’esempio di [Papa] Liberio o di un altro Pontefice eretico è, ai nostri giorni, giustamente respinta, poiché la storia critica ne ha dimostrato la falsità, come si può vedere tra i più recenti autori su questo argomento; 2º Canoni c. 6, D. 40, c. 13. C. II, q. 7, che parlano di un’eretico Papa sono apocrifi; 3º Le parole di [Papa] Innocenzo III [Serm. IV in consecratione Pontificis] o sono da riferirsi in generale ai Pontefici, cioè ai Vescovi, o non vanno intese come eresia propriamente detta; o infine, come sostengono non pochi autori, sono apocrife.

Alla luce di tutto ciò, a buon diritto concludiamo che l’opinione che afferma che il Romano Pontefice non possa diventare eretico nemmeno come dottore privato, è molto probabile, anzi secondo il nostro giudizio è del tutto certa.

Fonte: Rev. Felix M. Cappello, De Curia Romana iuxta Reformationem a Pio X, vol. II: De Curia Romana “Sede Vacante” (Roma: Fridericus Pustet, 1912), pp. 8-13.). .

Non sorprende che la posizione di p. Cappello sia in accordo con quella di san Roberto Bellarmino: “È probabile e si può piamente credere che non solo come “Papa” il Sommo Pontefice non possa sbagliare, ma non possa essere un eretico neppure come persona particolare, credendo pertinacemente qualcosa di falso contro la fede” (De Romano Pontifice, Libro IV, Capitolo 6).

Tuttavia, San Roberto Bellarmino riconosceva che questa posizione “non è certa, e l’opinione comune è contraria, all’epoca in cui scriveva (XVI-XVII secolo), per questo ha approfondito la questione:

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa eretico può essere deposto?”.

San Roberto Bellarmino: “Se un Papa può cadere in eresia come persona privata?”.

Bisogna ricordare che il Cardinale Bellarmino non era ancora stato dichiarato né santo né Dottore della Chiesa quando il De Curia Romana di P. Cappello fu pubblicato all’inizio del 1910.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XI – “AD SALUTEM HUMANI”

Splendida lunga lettera “ad salutem” interamente dedicata alla figura del gigante della Chiesa, il Padre occidentale africano Sant’Agostino Vescovo di Ippona. Viene tratteggiata la figura storica del Santo, ricordate alcune sue immortali opere, le lotte ed i trionfi contro la nascenti eresie domate e confutate dell’intelletto acutissimo e dalla sapienza immensa di questo grande luminare della filosofia e teologia cristiana che, passando tra diverse esperienze spirituali più o meno deviate, giunse alfine nell’ovile mistico di Cristo ove difese con ardore, zelo e coraggio non solo il gregge a lui affidato come pastore e Vescovo, ma tutta la cristianità affetta allora dalle pesti diffuse da eretici sottili e teologicamente truffaldini per avvelenare la retta fede cattolica. Già S.S. Pio XI invocava fin da allora un nuovo personaggio illuminato della forza del santo Vescovo di Ippona che rinverdisse i fasti della dottrina cattolica come un faro nelle tenebre oscure della fede; oggi questo desiderio è spasmodico addirittura, alla luce della pochezza o nullità dei chierici attuali, larve disidratate senza linfa dottrinale, teologica, pastorale, oltretutto nemmeno validamente consacrati né officianti riti della tradizione cattolica sostituiti da agapi o “cene” nella ottica massonica rosa+croce e protestante. Certo non uno, ma cento Agostino ci vorrebbero per veder rifiorire la Chiesa di Cristo in mano a cani voraci, lupi ululanti, iene aggressive e divoranti brandelli di cadaveri di fedeli e confratelli. Ma anche in questa situazione noi pusillus grex non disperiamo animati dal non praevalebunt promesso da Cristo al suo Vicario S. Pietro e successori, sapendo che a Dio nulla è impossibile, nemmeno trasformare le pietre di strada in tanti Sant’Agostino pronti a combattere contro i demoni incarnati che oggi occupano i palazzi apostolici dell’urbe e dell’intero orbe cristiano, e poi … IPSA conterei caput tuum!

LETTERA ENCICLICA

AD SALUTEM HUMANI
DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
IN OCCASIONE DEL QUINDICESIMO CENTENARIO
DELLA MORTE DI SANT’AGOSTINO

Ai Venerabili Fratelli Patriarchi,
Primati, Arcivescovi, Vescovi
e agli altri Ordinari locali
che hanno pace e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

L’efficace assistenza, con la quale Gesù Cristo ha finora protetto e proteggerà in avvenire la Chiesa da Lui provvidenzialmente fondata per la salute del genere umano, se già non apparisse conveniente, anzi del tutto necessaria alla natura stessa della divina istituzione e non si appoggiasse alla promessa del divino Fondatore, quale si legge nel Vangelo, si potrebbe tuttavia dedurre con ogni evidenza dalla stessa storia della Chiesa, non mai contaminata da veruna peste di errore, né scossa dalle defezioni, per quanto numerose, di figli suoi, né dalle persecuzioni degli empi, anche se spinte all’estremo della ferocia, mai limitata nel suo vigoroso rigoglio, quasi di gioventù che continuamente si rinnova. Svariate furono le vie e i disegni con cui Iddio volle, in ogni età, provvedere alla stabilità e favorire i progressi della sua istituzione perenne, ma specialmente vi provvide suscitando di volta in volta uomini insigni, perché essi, con l’ingegno e con opere mirabilmente opportune alla varietà dei tempi e delle circostanze, arginando e debellando il potere delle tenebre, confortassero il popolo cristiano. – Orbene, tale accurata elezione della Divina Provvidenza, più che in altri, risalta nitidamente in Agostino di Tagaste. Egli, dopo essere apparso ai coetanei quasi lucerna sul candelabro, sterminatore di ogni eresia e guida all’eterna salute, non solo continuò nel corso dei secoli ad ammaestrare e confortare i fedeli, ma anche ai giorni nostri reca un grandissimo contributo perché vigoreggi il fulgore della verità della fede e divampi l’ardore della carità divina. Anzi a tutti è noto, come non pochi, benché da Noi separati e che sembrano persino totalmente alieni dalla fede, si sentono attratti dagli scritti di Agostino, pieni di tanta sublimità e di soave diletto. Pertanto, cadendo quest’anno la fausta ricorrenza del XV centenario della beata morte del grande Vescovo e Dottore, i fedeli di quasi tutto il mondo bramosi di celebrarne la memoria, preparano solenni dimostrazioni di devota ammirazione. E Noi, sia per ragione del Nostro ministero apostolico, sia perché mossi da profondo sentimento di giubilo, volendo prendere parte a questa celebrazione universale, vi esortiamo, venerabili Fratelli, e con voi esortiamo il vostro clero e il popolo a voi affidato, a unirvi con noi nel rendere vivissime grazie al Padre celeste per aver Egli arricchito la sua Chiesa di così grandi e numerosi benefìci per mezzo di Agostino, il quale dalla doviziosa sorgente dei doni divini tanta ricchezza seppe attingere per sé e tanta diffonderne in mezzo al popolo cattolico. Ben è vero però che anziché gloriarsi di un uomo, il quale, aggregato quasi per prodigio al corpo mistico di Gesù Cristo, non ebbe forse mai, a giudizio della storia, in nessun tempo e presso nessun popolo chi lo superasse in grandezza e sublimità, converrà piuttosto penetrarne la dottrina e nutrirsene e imitare gli esempi della santa sua vita. – Le lodi di Agostino non cessarono mai di risuonare nella Chiesa di Dio, massime per opera dei Romani Pontefici. Infatti Innocenzo I salutava il santo Vescovo ancora vivente, suo amico carissimo, ed encomiava le lettere ricevute da lui e da quattro Vescovi suoi amici come « lettere piene di fede e forti di tutto il vigore della religione cattolica ». E Celestino I difendeva dagli avversari Agostino, poc’anzi defunto, con queste magnifiche parole: «Noi ritenemmo sempre nella nostra comunione Agostino di santa memoria per la sua vita e per i suoi meriti, né mai quest’uomo fu anche solo sfiorato da dicerie di sinistro sospetto; e ricordiamo ch’egli fu ai suoi tempi di tanto sapere, che anche dai miei predecessori fu sempre reputato fra i maestri migliori. Tutti dunque nutrirono comunemente buona opinione di lui, come d’uomo che riuscì a tutti di gradimento e di onore ». Gelasio I esaltava insieme Girolamo ed Agostino, « quali luminari dei maestri ecclesiastici ; ed Ormisda, al Vescovo Possessore che lo consultava, rispose in questa forma veramente solenne: «Quale dottrina sia tenuta e affermata dalla Chiesa Romana, ossia cattolica, intorno al libero arbitrio e alla grazia divina, benché possa conoscersi nei vari libri del beato Agostino, massime in quelli ad Ilario e a Prospero, tuttavia si hanno capitoli espliciti negli archivi ecclesiastici ». Non diversa è la testimonianza di Giovanni II, il quale, richiamandosi contro gli eretici alle opere di Agostino, dice: « La sua dottrina, secondo gli statuti dei miei predecessori, è seguita ed osservata dalla Chiesa Romana ». E chi ignora quanto, nei tempi più vicini alla morte di  Agostino, fossero versati nella dottrina di lui i Pontefici Romani, come per esempio Leone Magno e Gregorio Magno? Questi infatti, con sentimento quanto umile per sé altrettanto onorifico per Agostino, così scriveva ad Innocenzo, Prefetto dell’Africa: «Se desiderate impinguarvi di un pascolo delizioso, leggete gli opuscoli di Agostino, vostro compatriota, e dopo l’acquisto del suo fior di farina non cercate la nostra crusca ». È parimenti noto come Adriano I fosse solito citare passi di Agostino, da lui chiamato «Dottore egregio »; è noto altresì come Clemente VIII per chiarire controversie difficili e Pio VI nella Costituzione Apostolica « Auctorem Fidei » per smascherare gli equivoci capziosi del Sinodo di Pistoia si servissero, come di appoggio, dell’autorità di Agostino. Torna poi ad onore del Vescovo d’Ippona, che assai spesso i Padri riuniti in Concilio adoperarono le stesse sue parole per definire la verità cattolica; e basti citare come esempio il Concilio di Orange II e il Tridentino. E per rifarCi agli anni Nostri giovanili, Ci piace riferire qui, e quasi far soavemente risonare nel Nostro cuore le parole con cui l’immortale Nostro predecessore Leone XIII, dopo aver fatto menzione dei Dottori delle età precedenti a quella di Agostino, esalta l’aiuto da lui recato alla filosofia cristiana: «Ma parve che a tutti togliesse la palma Agostino, il quale, dotato di robustissimo ingegno, e pieno al sommo delle discipline sacre e profane, gagliardamente combatté tutti gli errori dell’età sua con somma fede e con eguale dottrina. Qual punto della filosofia non ha egli toccato? Anzi, quale non approfondì con somma diligenza, o quando spiegava ai fedeli i misteri altissimi della fede e li difendeva contro gli stolti assalti degli avversari, o quando, annientate le follie degli Accademici e dei Manichei, metteva in salvo i fondamenti e la solidità della scienza umana, o quando andava ricercando la ragione, l’origine e le cause di quei mali dai quali gli uomini sono travagliati? ». – Ma prima di addentrarCi nella trattazione dell’argomento che Ci siamo proposto, vogliamo che siano tutti avvertiti che le lodi, veramente magnifiche, tributate dagli antichi autori ad Agostino, vanno prese nel loro giusto valore, e non già nel senso in cui le intesero alcuni di sentimenti non cattolici, come se l’autorità delle sentenze di Agostino fosse da anteporre all’autorità della Chiesa docente. Veramente « ammirabile è Iddio ne’ suoi Santi! ». Ed Agostino nel libro delle sue Confessioni illustrò ed altamente magnificò la misericordia usatagli da Dio, con accenti che sembrano prorompere dai recessi più profondi di un cuore pieno di gratitudine e di amore. Per una speciale disposizione della Divina provvidenza, fin da fanciullo da sua madre Monica era stato talmente infiammato dell’amore divino, che poté un giorno esclamare: «Questo nome, tutto secondo la tua misericordia, o Signore, questo nome del mio Salvatore e Figlio tuo, fu dal mio cuore ancor tenero succhiato con lo stesso latte materno e altamente ritenuto impresso; e qualunque cosa non portasse questo nome, per quanto ricca di dottrina, di eleganza e di verità, non mi attirava totalmente ». Da giovane poi, lungi dalla madre e discepolo di pagani, rallentatosi nella pietà di prima, si diede miseramente a servire alle voluttà del corpo e s’impigliò nei lacci dei Manichei, rimanendo nella loro setta circa nove anni; e ciò permise l’Altissimo, perché il futuro Dottore della Grazia apprendesse per propria esperienza, e tramandasse ai posteri, quanta sia la debolezza e la fragilità di un cuore, anche nobilissimo, non rinsaldato nella via della virtù dall’aiuto di una formazione cristiana e dalla preghiera assidua, massime nell’età giovanile, quando la mente con maggiore facilità resta adescata e snervata dagli errori, ed il cuore viene sconvolto dai primi impulsi dei sensi. Parimente Iddio permise questo disordine, perché Agostino conoscesse per pratica quanto infelice sia colui che tenta di riempirsi e saziarsi di beni creati, come egli stesso più tardi ebbe schiettamente a confessare al cospetto di Dio: « Tu infatti mi eri sempre vicino, misericordiosamente tormentandomi e aspergendo di amarissime contrarietà tutti i miei illeciti godimenti, perché così cercassi di godere senza contrarietà, e insieme non trovassi ove poter ciò fare, fuori di te, o Signore ». E come mai Agostino sarebbe stato abbandonato a se stesso dal Padre celeste, se per lui insisteva con pianti e preghiere Monica, vero modello di quelle madri cristiane le quali, con la loro pazienza e dolcezza, con la continua invocazione della Divina Misericordia, ottengono alla fine di veder richiamati i figliuoli al retto sentiero? No, non poteva accadere che perisse il figlio di tante lacrime; e bene ebbe a dire lo stesso Agostino: « Anche quanto narrai nei medesimi libri intorno alla mia conversione, convertendomi Iddio a quella fede che io turbavo con la mia così meschina e dissennata loquacità, non ricordate come tutto questo fu narrato in modo da mettere in risalto essere stato concesso alle fedeli e costanti lacrime di mia madre che io non perissi? ». Pertanto Agostino cominciò gradatamente a staccarsi dall’eresia de’ Manichei, e, come spinto da ispirazione e impulso divino, a lasciarsi condurre incontro al Vescovo di Milano, Ambrogio, mentre il Signore « con mano tutta delicatezza e misericordia, trattando e plasmando il cuore » di lui, operava in modo che, per mezzo dei dotti sermoni di Ambrogio, venisse condotto a credere nella Chiesa Cattolica e nella verità dei Libri Santi; sicché fin d’allora il figlio di Monica, benché non ancora sciolto dalle cure e dalle lusinghe dei vizi, pure era già fermamente persuaso che, per divina disposizione, non esiste via di salute se non in Gesù Cristo Signor Nostro e nella Sacra Scrittura, della cui verità unica garante è l’autorità della Chiesa Cattolica. Ma quanto difficile e tormentata è la totale mutazione di un uomo da lungo tempo fuorviato! Egli infatti continuava a servire alle cupidigie e passioni del cuore, non sentendosi abbastanza forte da soffocarle; e lungi dall’attingere il vigore a ciò necessario almeno dalla dottrina platonica intorno a Dio e alle creature, avrebbe anzi spinto all’estremo la sua miseria con una miseria assai peggiore, ossia con la superbia, se finalmente non avesse appreso dalle Epistole di San Paolo, che chiunque voglia vivere da Cristiano deve cercare appoggio nel fondamento dell’umiltà e nell’aiuto della grazia divina. Allora finalmente — episodio che nessuno può rileggere o ricordare senza sentirsi commuovere fino alle lacrime — pentito dei trascorsi della vita passata e mosso dall’esempio di tanti fedeli, che rinunciavano a tutto pur di lucrare l’unica cosa necessaria, si diede vinto alla misericordia divina, che lo stringeva soavemente di assedio, allorché colpito, mentre pregava, da una voce repentina che gli diceva: « Prendi e leggi », aperto il libro delle Epistole che gli stava vicino, sotto l’impulso della grazia celeste che tanto efficacemente lo stimolava, gli cadde sott’occhi quel passo: «Non nelle crapule e nelle ubriachezze, non nelle morbidezze e disonestà, non nella discordia e nell’invidia, ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non abbiate cura della carne nelle sue concupiscenze ». E a tutti è noto come da quel momento, fino a quando rese l’anima a Dio, Agostino vivesse ormai totalmente consacrato al suo Signore. – Certo, apparve ben presto quale « vaso di elezione » e quanto illustri imprese il Signore avesse preparato in Agostino. Il quale, appena ordinato sacerdote e poi assunto all’episcopato di Ippona, prese ad illuminare con gli splendori della sua immensa dottrina e a giovare coi benefìci del suo apostolato non solo l’Africa cristiana ma la Chiesa tutta. Egli meditava pertanto le Scritture sacre, innalzava al Signore preghiere prolungate e frequenti, delle quali ancora ci risuonano nei suoi libri i sensi e gli accenti fervorosi, e intensamente studiava le opere dei Padri e dei Dottori che l’avevano preceduto e che egli umilmente venerava, per sempre meglio penetrarvi e assimilarne le verità rivelate da Dio. Così, sebbene posteriore a quei santi personaggi che rifulsero come astri splendidissimi nel cielo della Chiesa, quali ad esempio Clemente di Roma e un Ireneo, un Ilario e un Atanasio, un Cipriano e un Ambrogio, un Basilio, un Gregorio Nazianzeno e un Giovanni Crisostomo, e sebbene fosse contemporaneo di Girolamo, Agostino riscuote tuttavia la maggiore ammirazione presso il genere umano per l’acutezza e la gravità dei pensieri e per quella meravigliosa sapienza che spirano i suoi scritti, composti e pubblicati per il lungo periodo di quasi cinquant’anni. Se riesce arduo il seguire quelle sue così numerose e copiose pubblicazioni che, abbracciando tutte le questioni precipue della teologia, della sacra esegesi e della morale, sono tali che i commentatori appena riescono ad abbracciarle e a comprenderle tutte, sarà bene tuttavia in una così ricca miniera di dottrina trarre in luce alcuni di quegli ammaestramenti che sembrano più opportuni ai tempi nostri e più utili alla società cristiana. – Dapprima Agostino si adoperò con ardore a che gli uomini imparassero e con ferma persuasione ritenessero quale fosse il fine ultimo e supremo prefisso loro, e quale la via unica da seguire per giungere alla verace felicità. E chi, domandiamo noi, per quanto leggero e frivolo, poteva udire senza commuoversi un uomo, stato per tanto tempo dedito alle voluttà e ricco di tante doti da procacciarsi le agiatezze di questa vita, confessare a Dio. «Ci hai fatto per te, e il nostro cuore è inquieto fin che riposi in te »?. Parole che, mentre ci danno la sintesi di tutta la filosofia ci descrivono insieme al vivo sia la carità divina verso di noi, sia la dignità singolare dell’uomo, sia la condizione miseranda di quelli che vivono lontano dal loro Creatore. E senza dubbio, ai nostri tempi soprattutto, in cui le meravigliose proprietà delle cose create ci si manifestano ogni giorno più chiaramente, e l’uomo con la virtù del suo genio riduce in suo potere le forze prodigiose per applicarle ai proprî vantaggi, ai proprî lussi e godimenti; oggidì, diciamo, mentre le opere e i capolavori artistici che l’intelligenza o la meccanica dell’uomo va producendo, si moltiplicano ogni giorno, e con incredibile rapidità si esportano in tutte le parti della terra, avviene purtroppo che l’animo nostro, immergendosi tutto nelle creature, dimentichi il Creatore, cerchi i beni fuggevoli trascurando gli eterni e converta in danno privato e pubblico, e in rovina sua propria, quei doni che dal benignissimo Iddio ha ricevuto al fine di dilatare il regno di Gesù Cristo e promuovere la salvezza sua propria. Orbene per non lasciarci assorbire da una siffatta civiltà umana, tutta intenta alle cose sensibili e alle voluttà, conviene meditare profondamente i princìpi della sapienza cristiana, tanto bene proposti e chiariti dal Vescovo d’Ippona: « Iddio dunque sapientissimo Creatore e ordinatore giustissimo delle nature tutte, Egli, che costituì il genere umano come l’ornamento massimo tra tutte le cose terrene, diede agli uomini alcuni beni convenevoli a questa vita, cioè la pace temporale secondo il modo della vita mortale, nella salvezza, nell’incolumità, e la società dello stesso genere umano, e le altre cose che sono necessarie a conservare o a recuperare questa pace stessa, come quelle che sono con opportuna convenienza accessibili ai sensi, la luce, la notte, l’aria da respirare, l’acqua da bere e tutto ciò che serve a nutrire, a vestire, a curare e ad abbellire il corpo, con questa condizione giustissima che se l’uomo farà un retto uso di siffatti beni proporzionati alla pace dei mortali, ne riceverà dei maggiori e migliori, cioè la stessa pace dell’immortalità e la convenevole gloria, e onore nella vita eterna per godere di Dio e del prossimo in Dio; chi invece ne avrà abusato, non otterrà gli uni e perderà insieme gli altri beni ». – Ma parlando del fine ultimo dell’uomo, Sant’Agostino si affretta a soggiungere che vano sarà lo sforzo di quanti vogliono raggiungerlo, se non si sottometteranno alla Chiesa Cattolica e non le presteranno umile obbedienza, essendo la Chiesa sola divinamente istituita per conferire luce e forza alle anime, quella luce e quella forza senza le quali necessariamente si devia dal retto sentiero e si corre facilmente all’eterna rovina. Iddio infatti, per sua bontà, non ha voluto che gli uomini restassero come titubanti e ciechi a ricercarlo: « cercare Iddio se mai, a tentoni, lo rinvenissero »; ma, sgombrate le tenebre dell’ignoranza, si diede a conoscere mediante la rivelazione e richiamò gli erranti al dovere di pentirsi: e « sopra i tempi di una tale ignoranza avendo Iddio chiuso gli occhi, adesso ordina agli uomini che tutti in ogni luogo facciano penitenza ». Così avendo guidato gli scrittori sacri con la sua ispirazione, affidò le Scritture sante alla Chiesa, perché le custodisse e autenticamente le interpretasse, mentre della Chiesa stessa mostrò e confermò fin da principio l’origine divina, con i miracoli operati da Cristo suo fondatore: « sanati i languenti, mondati i lebbrosi, restituito il camminare agli zoppi, la vista ai ciechi e l’udito ai sordi. Gli uomini di quel tempo videro l’acqua convertita in vino, cinque migliaia di persone saziate con cinque pani, i mari passati a piedi, i morti che risorsero a vita. Alcune di queste meraviglie provvedevano con più manifesto beneficio al corpo, altre con prodigio più occulto all’anima, e tutte agli uomini con la testimonianza della maestà divina. Così allora l’autorità di Dio tirava a sé le anime erranti dei mortali ». E sia pure che la frequenza dei miracoli andasse poi alquanto diminuendo; ma per quale ragione, chiediamo, avvenne ciò se non perché la testimonianza divina si venne facendo ogni giorno più manifesta e per la stessa meravigliosa propagazione della fede e per il miglioramento che ne seguiva alla società, a norma della morale cristiana? « Pensi, dunque — così Agostino, nell’adoperarsi a richiamare alla Chiesa il suo amico Onorato — pensi che poco vantaggio sia derivato alle cose umane dal fatto che non poche persone dottissime hanno preso a discutere, e lo stesso volgo ignorante, di uomini e di donne, crede e confessa come nessuno degli elementi né di terra né di fuoco, niente insomma che tocchi i sensi del corpo, si può adorare invece di Dio, e a Dio si ha da arrivare per la sola via dell’intelligenza? che professa l’astinenza fin a contentarsi di lievissimo sostentamento di pane e di acqua, e pratica digiuni non osservati per un giorno solo, ma continuati per più giorni, e la castità fino alla rinuncia delle nozze e dei figli? che si sottopone ai patimenti fino a non far conto delle croci e del fuoco? che la liberalità spinge fino a distribuire ai poveri i proprî patrimoni? infine, che tutto questo mondo visibile disprezza, fino al desiderio della morte? Il praticare ciò è di pochi; minore è il numero di coloro che sanno farlo come si conviene; ma intanto ecco moltitudine di gente che l’approva, che l’ascolta, che manifesta per questo il suo favore, che infine l’ama; essi danno colpa alla propria fiacchezza, se non arrivano a tanto, ma ciò non è senza profitto dello spirito nella via di Dio, né senza produrre almeno alcune scintille di virtù. A tanto condusse la divina provvidenza con gli oracoli dei profeti; con l’Incarnazione e l’insegnamento di Cristo; con i viaggi degli Apostoli; con le contumelie, le croci, il sangue, le morti dei martiri; con la vita edificante dei Santi, e oltre a tutto questo, secondo la convenienza dei tempi, con miracoli degni di fatti e di virtù tanto grandi. Considerando dunque tanto manifesto l’intervento di Dio, con vantaggio e frutto così rilevanti, potremmo noi esitare a raccoglierci nel seno di quella Chiesa, che nella Sede Apostolica, per le successioni dei Vescovi, occupa il fastigio stesso dell’autorità, riconosciuta dal genere umano, checché indarno vadano attorno abbaiando gli eretici, condannati parte dal giudizio del popolo, parte dalla solennità dei Concilii e parte anche dalla maestà dei miracoli? » [23]. Queste parole di Agostino, oltre a non avere finora perduto nulla di forza e di autorità, sono state anzi, come ognuno vede, del tutto confermate dal lungo spazio di ben quindici secoli, nel corso dei quali la Chiesa di Dio, benché angustiata da tribolazioni tanto numerose e da tanti sconvolgimenti; benché dilaniata da tante eresie e scissioni, afflitta dalla ribellione e dalla indegnità di tanti suoi figli, pur nondimeno fidente nelle promesse del suo Fondatore, mentre si è veduta cadere attorno, l’una dopo l’altra, le umane istituzioni, non solamente è rimasta salva e sicura, ma ancora in ogni età, oltre ad essere stata sempre più adorna di esempi di santità e di sacrificio ed aver continuamente acceso ed aumentato in numerosissimi fedeli la fiamma della carità, è giunta con l’opera dei suoi missionari, dei suoi martiri, alla conquista di nuove genti, fra le quali sono in fiore e crescono vigorose la tanto inclita prerogativa della verginità e la dignità del sacerdozio e dell’episcopato; infine talmente seppe trasfondere nei popoli tutti il suo spirito di carità e di giustizia, che gli stessi uomini a lei estranei o anche nemici non possono che ritrarre da lei qualche cosa della sua maniera di parlare e di operare. A ragione quindi Agostino, dopo aver mostrato ed opposto ai Donatisti, i quali pretendevano restringere e rimpicciolire la vera Chiesa di Cristo ad un angolo dell’Africa, la universalità, o come si dice, la cattolicità della Chiesa aperta a tutti, perché vi potessero venire soccorsi e difesi con i mezzi proprî della divina grazia, concludeva l’argomentazione con queste solenni parole: « Sicuro ne giudica il mondo intero »; la cui lettura, non è gran tempo, talmente colpì l’animo di un personaggio illustre e nobilissimo, che senz’altra lunga e grave esitazione si risolvette ad entrare nell’unico ovile di Cristo. – Del resto apertamente Agostino dichiarava che questa unità della Chiesa universale, non meno che l’immunità del suo magistero da qualsiasi errore, non solo procedeva dall’invisibile suo Capo Cristo Gesù, il quale « governa dal cielo il corpo suo » e parla mediante la sua Chiesa docente, ma anche dal capo visibile in terra, il Pontefice Romano, che, per diritto legittimo di successione, siede sulla Cattedra di Pietro; poiché questa serie dei successori di Pietro « è la stessa pietra che non possono vincere le superbe porte dell’inferno », e sicurissimamente nel grembo della Chiesa « ci mantiene, a cominciare dallo stesso apostolo Pietro, a cui il Signore, dopo la sua risurrezione, affidò da pascere le sue pecorelle, la successione dei sacerdoti fino al presente episcopato ». Pertanto, allorché cominciò a spandersi l’eresia Pelagiana e i seguaci di essa si sforzavano, con inganno ed astuzia, di confondere le menti e gli animi dei fedeli, i Padri del Concilio Milevitano che, oltre altri Concilii, si radunò, per l’opera e quasi sotto la guida di Agostino, non presentarono forse le questioni da essi discusse, e i decreti fatti per risolverle, a Innocenzo I, perché li approvasse? E il Papa, rispondendo, lodava quei Vescovi del loro zelo per la religione e dell’animo devotissimo al Romano Pontefice, ben « sapendo essi — così diceva loro — che dalla sorgente apostolica sempre sgorgano i responsi per tutte le regioni a coloro che li domandano; e specialmente, quando trattasi della regola di fede, penso che non ad altri che a Pietro, cioè a causa del loro nome ed onore, tutti i fratelli e colleghi nostri nell’episcopato si debbano rivolgere, come ora si è rivolta la Carità vostra perché egli è in grado di giovare in comune a tutte le Chiese, in qualsivoglia parte del mondo si trovino ». Così, dopo che la sentenza del Romano Pontefice contro Pelagio e Celestio fu colà recata, Agostino in un discorso al popolo pronunciò quelle memorande parole: « Intorno a questa causa furono già mandate le sentenze di due Concilii alla Sede Apostolica; da essa si ebbero pure le risposte. La causa è finita; Dio voglia che abbia fine una volta anche l’errore ». Parole che, in forma alquanto compendiosa, sono passate in proverbio: Roma ha parlato, la causa è finita. E altrove, dopo aver riferito la sentenza del Papa Zosimo che condannava e riprovava i Pelagiani, dovunque fossero, egli così diceva: « In queste parole della Sede Apostolica suona tanto certa e chiara la fede cattolica, così antica e così sicura, che al cristiano non è lecito dubitarne ». – Orbene chiunque crede alla Chiesa, che dallo Sposo divino ricevette le ricchezze della grazia celeste da distribuirsi specialmente per via dei sacramenti, sull’esempio del buon Samaritano, infonde olio e vino nelle ferite dei figli di Adamo, in modo da purificare i rei dalla colpa, da fortificare i deboli e gli infermi, e da conformare infine i buoni all’ideale di una vita più perfetta. E sia pure che qualche ministro di Cristo, abbia potuto talora venir meno al proprio dovere: forse per questo sarà restata priva di efficacia la virtù di Cristo? « Anch’io, dico, ascoltiamo il Vescovo di Ippona, e tutti diciamo che i ministri di tanto giudice devono essere giusti; siano i ministri giusti, se vogliono; che se poi tali non vogliono essere coloro che siedono sulla cattedra di Mosè, mi rassicurò nondimeno il mio maestro, del quale il suo Spirito disse: Questi è colui che battezza ». Oh, davvero avessero ascoltato Agostino, o l’udissero oggi tutti coloro che, come i Donatisti, sogliono prender motivo dalla caduta di qualche sacerdote, per lacerare la inconsutile veste di Cristo, e si gettano in tal modo miseramente fuori della via della salute! Abbiamo veduto con quanta ubbidienza il nostro Santo, pur d’ingegno così sublime, si assoggettasse all’autorità della Chiesa docente, ben persuaso fin che si fosse così regolato, di non discostarsi un punto dalla cattolica dottrina. Inoltre, avendo ben ponderato quella sentenza: « Se non avrete creduto non capirete », aveva perfettamente inteso che, non solamente coloro i quali, obbedientissimi agli insegnamenti della fede meditano la parola di Dio con animo desideroso e umile, sono illustrati da quella luce celeste che è negata ai superbi; ma anche che appartiene all’ufficio dei Sacerdoti, le cui labbra devono custodire la scienza — essendo essi obbligati a debitamente spiegare e difendere le verità rivelate, e farne ai fedeli penetrare il senso — di meditare profondamente, per quanto dalla divina bontà è dato a ciascuno, le verità della fede. Così egli, illuminato dalla Sapienza increata, nell’orazione e meditazione dei misteri delle cose divine, poté giungere, coi suoi scritti, a lasciare in eredità ai posteri un vasto e meraviglioso complesso di sacra dottrina. Chiunque abbia dato una scorsa anche rapida a tanta ricchezza di opere Venerabili Fratelli, certo non può ignorare con quanto acume il Vescovo di Ippona si studiasse di progredire nella conoscenza di Dio stesso. Oh, come seppe egregiamente sollevarsi dalla varietà ed armonia delle cose create al loro Creatore, e con quanta efficacia si adoperò sia con gli scritti sia con la viva parola perché da quelle anche il popolo affidato alle sue cure salisse a Dio. « La bellezza della terra — diceva — è quasi una voce della muta terra. Considerandone attentamente la bellezza, vedendo com’essa è feconda, come ricca di forze, come fa germinare le sementi, come sovente produce anche dove non fu seminato, ti senti spontaneamente portato quasi ad interrogarla, poiché la stessa ricerca è un interrogare. Dalle cose stupende rivelate dall’attenta investigazione, vedendo tanta potenza, tanta bellezza, tanta eccellenza di virtù, la tua mente è portata a pensare come essa, non potendo esistere da sé, deve avere ricevuto l’essere non da se stessa ma dal Creatore. E questo che in essa hai trovato, è il grido della sua confessione affinché tu lodi il Creatore. E considerate le bellezze tutte di questo mondo, non senti forse quella bellezza stessa rispondere come ad una voce: Non sono opera mia ma di Dio? ». E con simile magnificenza di eloquio, quante volte egli esaltò l’infinita perfezione, bellezza, bontà, eternità, immutabilità e potenza del suo Creatore, mentre pur considerava come Dio si possa meglio pensare che esprimere, come Egli sia meglio nell’essere che nel pensiero, e come al Creatore più propriamente si convenga il nome che rivelò Dio stesso a Mosè allorquando lo interrogava per sapere chi era che lo mandava. Tuttavia egli non fu pago di investigare la divina natura con le sole forze dell’umana ragione, ma, seguendo il lume delle Sacre Scritture e dello Spirito di Sapienza, applicò tutto il vigore del suo potentissimo ingegno a scrutare nel più profondo di tutti i misteri quello che tanti altri Padri già prima di lui avevano preso a difendere dagli empi assalti degli eretici, con una costanza che diremmo senza limiti ed un meraviglioso ardore di spirito: vogliamo dire l’adorabile Trinità del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo nell’unità della natura divina. – Ripieno di luce superna, egli ragiona di questo primo e fondamentale articolo della fede cattolica con tale profondità e sottigliezza che per gli altri Dottori venuti dopo di lui fu in qualche modo sufficiente che attingessero dalle riflessioni di Agostino per innalzare quei saldi monumenti di scienza divina in cui sono andati a spuntarsi in ogni tempo i dardi della depravata ragione umana intesa a combattere questo mistero, il più difficile da capire. E giova qui riferire la dottrina del Vescovo di Ippona: « Con proprietà doversi dire che in quella Trinità appartiene alle singole persone distintamente ciò che si dice reciprocamente in senso relativo, rispetto cioè alle altre Persone, come Padre e Figlio e Dono di entrambi, lo Spirito Santo: perché non il Padre è Trinità non Trinità è il Figlio, non Trinità è il Dono. E ciò che si dice dei singoli a sé, non dirsi tre in plurale, ma uno solo, la Trinità stessa; come Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo: buono il Padre, buono il Figlio, buono lo Spirito Santo; onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo; ma non tre Dei, o tre buoni, o tre onnipotenti, ma un solo Dio, buono, onnipotente, la stessa Trinità: e ogni altra cosa non si dica con relazione tra loro, ma dei singoli a sé. Ciò infatti si dice di essi quanto all’Essenza, perché essere qui vale quanto essere grande, essere buono, essere sapiente e ogni altra cosa che si dice essere a sé ciascuna persona o la stessa Trinità ». Il mistero che qui è adombrato con tanta sottigliezza e concisione, egli poi si studia di farlo intendere in qualche modo mediante appropriate similitudini: così, ad esempio, quando ravvisa una immagine della Trinità nell’anima umana che si avvia alla santità. Essa infatti, nell’atto stesso in cui si sovviene di Dio, lo pensa e lo ama: e ciò ci mostra in certa guisa come il Verbo è generato dal Padre, « il quale in certo modo ha espresso nel Verbo a sé coeterno tutto ciò ch’egli ha sostanzialmente »; e come dal Padre e dal Figlio proceda lo Spirito Santo, che « ci dimostra la comune carità con cui il Padre e il Figlio scambievolmente si amano ». Agostino ci ammonisce poi che questa immagine di Dio che è in noi, dobbiamo renderla ogni giorno più splendida e più bella fino al termine della vita; sicché quando questo termine avverrà, quella divina immagine già insita in noi « divenga perfetta mediante la visione stessa che si godrà dopo il giudizio a faccia a faccia, mentre avviene ora solo per ispecchio in enigma ». Né si potrà mai ammirare abbastanza la dichiarazione che il Dottore d’Ippona ci dà del mistero dell’Unigenito di Dio fatto carne, quando chiede esplicitamente (con quelle parole che San Leone Magno riferisce nella Lettera dommatica a Leone Augusto) che « dobbiamo riconoscere una duplice sostanza in Cristo, cioè la divina, per la quale egli è uguale al Padre, e l’umana per la quale il Padre è superiore. Le due sostanze unite non formano due, ma un solo Cristo; perché Dio non risulti una Quaternità ma una Trinità. Come infatti l’anima razionale e la carne formano un solo uomo, così Dio e l’uomo formano un solo Cristo ». Sapientemente adoperò quindi Teodosio il giovane, allorquando ordinò che egli, con ogni dimostrazione di riverenza, fosse indotto a partecipare al Concilio Efesino, che abbatté l’eresia di Nestorio: ma una morte inattesa vietò ad Agostino di unire la sua forte e possente voce alla voce degli altri Padri presenti, nell’esecrare l’eretico che aveva osato, per così dire, dividere Cristo ed impugnare la divina maternità della Beatissima Vergine. – Non vogliamo poi tralasciare di ricordare, sia pur di passaggio, che più di una volta Agostino mise pure in chiara luce la regale dignità di Cristo, che Noi abbiamo additata e proposta al culto dei fedeli nell’Enciclica «Quas primas », pubblicata alla fine dell’Anno Santo: il che risulta anche dalle lezioni desunte dai suoi scritti, che Ci piacque introdurre nella liturgia della festa di N. S. Gesù Cristo Re. – Non vi è forse chi ignori come egli, abbracciando in uno sguardo la storia di tutto il mondo, appoggiato a quei sussidi che potevano prestargli sia la lettura assidua della Bibbia, sia la scienza umana di quei tempi, nella sua eccellentissima opera «Della città di Dio » tratti mirabilmente della divina provvidenza nel governo di tutte le cose e di tutti gli eventi. Con quel suo profondo acume egli vede e distingue, nell’avanzare e progredire dell’umano consorzio, due città, fondate sopra « due amori: cioè, l’amore terreno di se stessi fino al disprezzo di Dio, e l’amore celeste di Dio fino al disprezzo di se stessi »; la prima, Babilonia; la seconda Gerusalemme; le quali « sono insieme confuse, e vanno così confuse dall’origine dell’uman genere sino alla fine del mondo »; non però con eguale esito, giacché mentre verrà giorno in cui i cittadini di Gerusalemme saranno chiamati a regnare con Dio eternamente, i seguaci di Babilonia dovranno espiare per tutta l’eternità le loro nequizie insieme coi demoni. Così alla mente investigatrice di Agostino la storia della società umana appare come un quadro della incessante effusione in noi della carità di Dio, il quale promuove l’incremento della città celeste da lui fondata in mezzo a trionfi e a travagli, ma in modo che anche le follie e gli eccessi, operati dalla città terrena abbiano a servire ai suoi progressi, conforme sta scritto: « agli amanti di Dio, che giusta il proposito sono chiamati santi, ogni cosa si volge in bene ». Stolti ed insipienti sono quindi tutti coloro i quali considerano il corso dei secoli non altrimenti che come uno scherzo ed un giuoco della cieca fortuna e quasi fosse unicamente dominato dalla cupidigia e dalla ambizione dei potenti della terra, ovvero come un’incessante spinta dello spirito a secondare le forze umane, a favorire i progressi delle arti, a procacciarsi le agiatezze della vita; laddove, al contrario, questi eventi naturali ad altro non hanno da servire se non a secondare l’incremento della Città di Dio, che è quanto dire la diffusione della verità evangelica e il conseguimento della salute delle anime in conformità degli arcani ma pur sempre misericordiosi consigli di Colui « il quale attinge dall’una all’altra estremità fortemente, e tutto dispone con soavità ». E per insistere alquanto su questo punto diremo ancora che Agostino volle impresso il marchio o meglio bollate a fuoco le turpitudini del paganesimo dei Greci e dei Romani; della cui religione alcuni scrittori dei nostri giorni, leggeri e dissoluti, sembrano quasi sdilinquirsi di desiderio, stimandola cosa eccellente per bellezza, armonia e piacevolezza. Egli, che ben conosceva come i suoi contemporanei vivevano infelicemente dimentichi di Dio, non di rado ricorda con parole mordaci, talvolta con frasi sdegnose tutto ciò che di violento, di insulso, di atroce e di lussurioso si era infiltrato per opera dei demoni nei costumi degli uomini mediante il falso culto degli dei. Nessuno del resto potrebbe illudersi di trovare salvezza in quel fallace ideale di perfezione che la Città terrena si propone: non v’è persona, infatti, che riesca ad attuarlo in se stesso, e se pure vi riuscisse, non otterrebbe altro che il gusto di una gloria vana e fugace. Agostino lodava sì i Romani antichi, in quanto « posponevano gli interessi privati a quelli pubblici, cioè a quelli dello Stato, e facendo tacere la propria avarizia sovvenivano al pubblico erario e provvedevano spontaneamente ai bisogni della patria: uomini onesti e costumati, conformemente alle leggi allora vigenti, che si giovarono di tutti questi mezzi della vera via a conseguire onori, imperio e gloria; furono in onore tra quasi tutti i popoli; e assoggettarono molte genti alle leggi dell’impero ». Ma, come egli soggiunge poco dopo, con tali e tante fatiche che cosa altro essi ottennero mai « se non quel fasto inutile e vano dell’umana gloria, alla quale si riduce tutta la ricompensa di tanti che arsero di cupidigia, e intrapresero guerre furenti per essa? ». Non ne segue per altro che i felici successi e l’impero stesso, dei quali il Creatore nostro si serve giusta i segreti consigli della sua provvidenza, siano un privilegio riservato solo a coloro che non si curano della Città celeste. Iddio infatti « ricolmò l’Imperatore Costantino che non invocava i demoni ma adorava lo stesso vero Dio, di tanti doni temporali, quanti nessuno oserebbe desiderare »; e concesse una prospera fortuna e innumerevoli trionfi a Teodosio, che si diceva « più lieto di appartenere alla Chiesa che non all’impero terreno », e ripreso da Ambrogio per la strage di Tessalonica « ne fece penitenza in guisa che il popolo orante per lui spargeva più lacrime nel vedere la maestà imperiale umiliata, che non la temesse quando peccando aveva infierito ». Anzi, ancorché i beni di questo mondo siano elargiti indistintamente a tutti, buoni e cattivi, come pure le sventure possano colpire tutti, onesti e malvagi, non si può tuttavia dubitare che Iddio distribuisce i beni e i mali di questa vita come meglio giovano alla salute eterna delle anime e al bene della Città celeste. Quindi è che i prìncipi e i governanti, avendo ricevuto la potestà da Dio affinché con l’opera loro si sforzino, ciascuno nei limiti della propria autorità, ad attuare i disegni della divina Provvidenza, cooperando con essa, evidentemente non debbono mai, per provvedere al benessere temporale dei cittadini, perdere di vista quel fine altissimo che è proposto a tutti gli uomini; e non solo non debbono fare od ordinare cosa alcuna la quale possa riuscire in detrimento delle leggi della giustizia e della carità cristiana, ma anzi debbono rendere ai sudditi più agevole la via a conoscere e a conseguire beni non caduchi. « Noi infatti — così il Vescovo d’Ippona — non chiamiamo fortunati alcuni imperatori cristiani per avere avuto un lungo regno, per essere morti tranquillamente lasciando sul trono i figli, per avere domato i nemici dello Stato, per avere saputo schivare e sgominare i sudditi ribelli. In questa vita travagliata, di tali doni o conforti, e di altri ancora, sono stati favoriti anche certuni che adoravano i demoni e non appartenevano quindi, come costoro, al regno di Dio. E ciò, per effetto della misericordia divina, affinché quelli che credevano in Dio non andassero dietro a questi beni, quasi fossero i supremi. Invece li chiamiamo felici se comandano con giustizia, se, ricordandosi di essere uomini, non si lasciano boriosamente inebriare dalle lingue che li esaltano e da omaggi troppo servili, se pongono l’autorità loro al servizio della maestà divina, massime per la dilatazione del suo culto; se temono, amano, onorano Dio; se amano soprattutto quel regno dove non hanno a temere rivali; se sono lenti alla vendetta, facili al perdono; se si servono della vendetta per la necessità di governare e difendere la Repubblica e non per saziare gli odi delle inimicizie; se concedono il perdono, non per l’impunità della colpa, ma per la speranza della correzione; se, quando sono costretti a punire aspramente, compensano, con la dolcezza della misericordia e con la larghezza dei benefìci; se in loro la sensualità è tanto più raffrenata quanto più potrebbe essere libera; se preferiscono domare le prave cupidigie, anziché i popoli; e se tutte queste cose le fanno non per amore di una vana gloria, ma per l’amore della felicità eterna e non trascurano di immolare al loro vero Dio il sacrificio dell’umiltà, della misericordia e dell’orazione per i proprî peccati. Tali sono gli Imperatori cristiani che diciamo che sono intanto felici per la speranza su questa terra, e che lo saranno poi in realtà quando giungerà la beatitudine eterna che aspettiamo ». È un ideale questo del principe cristiano di cui non si può trovare altro più nobile e più perfetto; ma esso non sarà certo abbracciato ed attuato da chi confida nella sapienza umana, spesso ottusa in sé e più spesso accecata dalle passioni; ma solamente da colui che, formato alla dottrina del Vangelo, sa che egli presiede alla cosa pubblica in forza di una disposizione divina, e che ciò non può farlo nel miglior modo e con felice successo se non sia profondamente radicato nel sentimento della giustizia, unita alla carità ed alla umiltà interna: « I re delle genti che governano con impero e quelli che le hanno sotto il loro dominio si fanno chiamare benefattori. Non così però per voi, ma chi tra di voi è più grande diventi come il più piccolo, e colui che governa sia come uno che serve ». Mentre pertanto sono in grande errore tutti quelli che ordinano le condizioni dello Stato, senza tener conto alcuno del fine ultimo dell’uomo, né dell’uso regolato dei beni di questa vita, sono del pari in errore molti altri i quali pensano che le leggi per governare lo Stato e favorire i progressi del genere umano, non possono regolarsi alla stregua dei precetti di Colui che proclamò: « Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno »; di Cristo Gesù, diciamo, il quale volle la sua Chiesa abbellita e fortificata con tale costituzione magnifica ed immortale, che tante vicissitudini di cose e di tempi, tante persecuzioni non poterono mai in tutto lo spazio di venti secoli, né mai potranno scuoterla in avvenire sino alla fine del mondo. Perché, dunque, quanti sono governatori di popoli, solleciti del bene e della salvezza dei loro cittadini, dovranno impedire l’azione della Chiesa? Non dovrebbero piuttosto offrirsi ad aiutarla, per quanto portano le circostanze? Lo Stato non ha infatti da temere una invasione della Chiesa nei suoi propri fini e diritti; ché anzi i cristiani sino dall’inizio rispettarono con tanta deferenza questi diritti, secondo l’ordine del loro, stesso fondatore, che, esposti alle vessazioni ed alla morte, potevano dire giustamente: « I prìncipi mi perseguitarono senza ragione ». Al quale proposito con la sua solita chiarezza diceva Agostino: « In che cosa i Cristiani avevano mai leso i regni terreni? Forse che il Re loro proibì ai suoi soldati di prestare e compiere quanto era dovuto ai re della terra? Ai Giudei anzi che stavano su ciò architettando una calunnia contro di Lui, non disse Egli: Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio? Ed Egli stesso non pagò il tributo traendolo dalla bocca di un pesce? Non è vero che il suo precursore non disse ai soldati di questo regno, che gli domandavano il da farsi per la salvezza eterna; Sciogliete il cingolo, gettate via le armi, abbandonate il vostro re, perché possiate essere soldati di Dio; ma disse invece: Non opprimete nessuno, non calunniate nessuno, accontentatevi del vostro stipendio? Uno dei suoi soldati, e a lui carissimo compagno, non proclamò forse ai suoi commilitoni e per così dire connazionali di Cristo: Ogni uomo, sia soggetto alle maggiori autorità? E poco appresso: Rendete a tutti quanto dovete: a chi il tributo, il tributo; a chi la tassa, la tassa; a chi il timore, il timore; a chi l’onore, l’onore; a nessuno siate debitori, se non dell’amore scambievole. E ancora non ordinò che la Chiesa pregasse pure per gli stessi re? Che offesa dunque i Cristiani fecero loro? Quale debito non adempirono? Quale ordine dei re terreni i Cristiani non eseguirono? Dunque i re della terra perseguitarono i Cristiani senza ragione ». Certamente si deve richiedere ai discepoli di Cristo di ubbidire alle giuste leggi della propria nazione, a patto che non si voglia loro comandare o proibire cosa che la legge di Cristo proibisca o comandi, dando con ciò origine ad un dissidio tra la Chiesa e lo Stato. Appena occorre perciò avvertire — come Ci pare di avere sempre detto abbastanza — che dalla Chiesa non può venire nessun danno allo Stato, ma anzi può derivarne moltissimo aiuto e utilità. Su questo punto non occorre qui di nuovo allegare le bellissime parole del Vescovo di Ippona, riportate già nell’ultima Nostra Enciclica «Della cristiana educazione della gioventù » o quelle che il Nostro immediato predecessore Benedetto XV riferì nella sua Enciclica « Pacem Dei munus », per mostrare più chiaramente che la Chiesa sempre si studiò di unire mediante la legge cristiana le nazioni, e promosse del pari in ogni tempo tutto ciò che poteva stabilire fra gli uomini i benefìci della giustizia, della carità e della pace comune, affinché esse tendessero « a una certa unità, generatrice di prosperità e di gloria ». Inoltre, dopo aver descritto le note proprie del governo divino, svolgendo per sommi capi punti che gli sembravano toccare la Chiesa e lo Stato, Agostino non si ferma, ma passa oltre ad indagare con acume sottilissimo e a contemplare come la grazia di Dio, in un modo del tutto interno ed arcano, muove l’intelletto e la volontà dell’uomo. E quanto potere abbia nell’anima questa grazia di Dio, egli stesso aveva sperimentato fin da quando, a un tratto, in Milano, meravigliosamente trasformato si accorse che dileguavano tutte le tenebre del dubbio. «Quanto dolce — andava dicendo — mi si fece improvvisamente il mancare della soddisfazione dei piaceri! se prima temevo di perderli, ora godevo di lasciarli. Tu li allontanavi da me, Tu, vera e somma soavità, li allontanavi ed entravi Tu in vece loro, più dolce di ogni piacere, ma non dolce alla carne ed al sangue; più chiaro di ogni luce, ma più intimo di ogni segreto; più alto di ogni onore, ma non per gli altezzosi ». Frattanto il Vescovo d’Ippona teneva per maestra e guida la Sacra Scrittura e specialmente le lettere di Paolo apostolo (il quale pure in modo meraviglioso era stato, un tempo, condotto a seguire Cristo), si uniformava alla dottrina tradizionale, trasmessagli da personaggi santissimi, ed al sentimento cattolico dei fedeli; e con sempre più ardente zelo insorgeva contro i Pelagiani che protervamente blateravano che la Redenzione umana di Gesù Cristo mancava di ogni efficacia; infine, illuminato dallo spirito divino, per più anni venne investigando sopra la rovina del genere umano, seguita alla caduta dei progenitori, sulle relazioni che corrono tra la grazia di Dio e il libero arbitrio e sopra le questioni che chiamiamo della predestinazione. E con tanta sottigliezza e buon esito egli investigò, che, chiamato poi e tenuto come « il Dottore della Grazia », aiutò, ispirandoli, tutti gli altri scrittori cattolici delle età susseguenti, e nello stesso tempo impedì che in tali difficilissime questioni errassero o per l’uno o per l’altro estremo di questi due punti: non insegnassero cioè, o che nell’uomo decaduto dalla pristina integrità il libero arbitrio sia una parola senza realtà, come piacque ai primi novatori ed ai giansenisti; ovvero che la grazia divina non si conceda gratuitamente e non possa ogni cosa, come sognavano i Pelagiani. Ma per riportare qui alcune pratiche considerazioni opportune ad essere meditate con gran frutto dagli uomini del nostro tempo, è ben chiaro che i lettori di Agostino non saranno trascinati nel perniciosissimo errore divulgatosi nel secolo XVIII, vale a dire che le inclinazioni naturali della volontà non sono mai da temersi né da frenarsi, perché tutte buone. Da questo falso principio originarono sia quei metodi di educazione, riprovati non è molto nella Nostra Enciclica «Della cristiana educazione della gioventù »; metodi che giungono a tali estremi che, tolta ogni separazione dei sessi, non viene più adoperata nessuna cautela contro le nascenti passioni dei fanciulli e dei giovanetti; sia quella licenza di scrivere e leggere, di procurare e frequentare spettacoli, nei quali si apprestano insidiosi pericoli alla innocenza ed alla pudicizia, e, quel che è peggio, cadute rovinose: sia quella disonesta moda di vestire, per la cui estirpazione non potranno mai lavorare abbastanza le donne cristiane. È infatti insegnamento del nostro Dottore che l’uomo, dopo il peccato dei progenitori, non si trova più nella integrità nella quale fu creato, e dalla quale, mentre la godeva, era portato con facilità e prontezza al retto operare; ma che invece, nella presente condizione della vita mortale, è necessario che egli si opponga e comandi alle cattive passioni, da cui è trascinato e allettato, secondo il detto dell’Apostolo: «Nelle mie membra vedo un’altra legge, che si oppone alla legge della mia mente e mi fa schiavo della legge del peccato, la quale è nelle mie membra ». Egregiamente Agostino commentava questo punto al suo popolo: « Finché si vive quaggiù, o fratelli, è così; così anche noi, che pure siamo vecchi in questa battaglia, abbiamo meno nemici, ma tuttavia ne abbiamo. In certo qual modo sono stanchi i nostri nemici anche per la nostra età, ma pure così stanchi non cessano di turbare la quiete della vecchiaia con ogni genere di cattivi moti. La battaglia dei giovani è più aspra; noi la conosciamo; attraverso essa passammo … Infatti, finché portate il corpo mortale, combatte contro di voi il peccato; ma, che non domini. Che vuol dire, non domini? Che non si deve ubbidire ai suoi desideri. Se cominciate ad obbedire, esso domina. E che significa obbedire, se non prestare le vostre membra quali strumenti di iniquità al peccato? Non voler prestare le membra tue quali strumenti di iniquità al peccato. Iddio ti diede il potere di tenere a freno le tue membra, mediante il suo Spirito. Insorge la natura; tu raffrena le membra; che potrà essa fare con la sua ribellione? Tu raffrena le membra: non prestare le tue membra a strumenti di iniquità al peccato, non armare il tuo avversario contro di te. Tieni in freno i piedi, perché non vadano a cose illecite. Insorge la natura: tu tieni a freno le membra; trattieni le mani da ogni delitto; trattieni gli occhi, perché non vedano malamente, trattieni le orecchie perché non odano volentieri le parole libidinose; tieni a freno tutto il corpo, tieni a freno i fianchi, tieni a freno le parti superiori, tieni a freno le inferiori. Che fa la natura? Sa insorgere, vincere non sa. Insorgendo spesso inutilmente, impara anche a non insorgere ». Se per tale battaglia noi ci rivestiamo delle armi della salvezza, dopo che avremo cominciato ad astenerci dal peccato, quietato a poco a poco l’impeto dei nemici e snervate le loro forze, voleremo finalmente a quel regno della pace, dove trionferemo con gaudio infinito. Se avremo vinto tra tanti ostacoli e combattimenti, si dovrà ciò attribuire alla grazia di Dio, che dà internamente luce alla mente e forza alla volontà; alla grazia di Dio, il quale, avendoci creato, può ancora con i tesori della sua sapienza e potenza infiammare l’animo nostro della carità e interamente riempirlo. Giustamente dunque la Chiesa, che per mezzo dei Sacramenti diffonde in noi la grazia, si chiama santa, perché non solo fa che in ogni tempo innumerevoli uomini si uniscano a Dio con stretto vincolo di amicizia e in essa perseverino, ma molti di più ne solleva, con la sua guida ed invitta grandezza d’animo, a perfetta santità di vita, ad eroiche imprese. E in verità non cresce forse ogni anno il numero dei martiri, delle vergini, dei confessori, che essa propone all’ammirazione e all’imitazione dei suoi figli? Non sono bellissimi fiori di eroica virtù, di castità e carità, questi che la grazia di Dio trapianta dalla terra in cielo? Solo restano e languiscono miseramente nella nativa debolezza coloro che resistono alle divine ispirazioni e non fanno giusto uso della loro libertà. Parimenti la grazia di Dio non permette che noi disperiamo della salute di nessuno, finché vive, e in tutti anzi speriamo ogni giorno maggiori gli aumenti della carità. In essa grazia è posto il fondamento della umiltà, giacché quanto più uno è perfetto, tanto più deve ricordare quelle parole: « Che cosa hai che tu non abbia ricevuto? Se poi l’hai ricevuto, perché gloriarti, come se non l’avessi ricevuto? »; e non può non mostrarsi riconoscente verso colui che « ai deboli riservò questa forza di essere, col suo aiuto, invitti nel volere ciò che è buono e invitti nel non volere abbandonarlo ». E il benignissimo Gesù Cristo ci stimola a chiedere i doni della sua grazia: « Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto. Infatti ognuno che chiede, riceve; e chi cerca trova; e a chi picchia sarà aperto ». Anche il dono della perseveranza « si può meritare con la preghiera ». Quindi è che nelle chiese non cessa mai la preghiera privata e pubblica: « E quando mai non si pregò nella Chiesa per gli infedeli e per i nemici di lei, affinché credano? Quando mai un fedele ebbe un amico, un parente, un coniuge infedele senza chiedere per lui al Signore una disposizione di mente docile alla fede cristiana? E chi mai non chiese per se stesso di essere perseverante nel Signore? ». Dunque, Venerabili Fratelli, auspice il Dottore della Grazia, pregate Iddio e con voi preghino il clero e il popolo vostro, per quelli specialmente che sono privi della fede cattolica o errano dalla retta via; e con ogni diligenza procurate, inoltre, che santamente si vengano educando coloro che si mostrano idonei e chiamati al sacerdozio, dovendo questi un giorno, ciascuno per il proprio ufficio, divenire i dispensatori della grazia divina. – Possidio, il primo scrittore della vita di Agostino, sin d’allora affermava che, assai più dei lettori delle opere di lui, « avevano potuto trarre profitto coloro che poterono udirlo parlare e vederlo presente nella Chiesa, e che in particolare conobbero il suo contegno tra gli uomini. Perché non solo egli era uno scriba, erudito nel regno dei cieli, che dal suo tesoro trae fuori cose nuove e cose vecchie; un negoziante che, trovata la perla preziosa, la comperò vendendo tutte le cose che possedeva; ma anche uno di coloro rispetto ai quali fu scritto: Così parlate e così fate; e dei quali il Salvatore dice: Chi così avrà fatto e così avrà insegnato agli uomini, costui sarà chiamato grande nel regno dei cieli ». Pertanto, a cominciare dalla prima di tutte le virtù, il nostro Agostino tanto desiderò e cercò l’amore di Dio, rinunziando a tutto il resto, con tanta costanza in sé l’accrebbe, che a ragione si dipinge con un cuore infuocato in mano. E chi ha letto anche una sola volta le « Confessioni », potrà mai dimenticare quel colloquio tenuto dal figlio con la madre presso la finestra della casa di Ostia? La descrizione di quella scena non riesce tanto colorita al vivo e così tenera, da parerci di vedere fissi nella contemplazione delle cose celesti Agostino e Monica? « Soli ci intrattenevamo insieme — egli scrive — assai dolcemente; e dimenticando il passato, guardandoci innanzi, venivamo tra noi cercando alla presenza della Verità, che sei tu, quale debba essere la vita eterna dei Santi, che mai occhio vide, né orecchio udì, né mente d’uomo comprese. Ma con la bocca aperta del cuore agognavamo abbeverarci alle tue superne acque, della fontana di vita che è in te perché, da essa irrorati, secondo la nostra capacità potessimo in qualche modo afferrare col pensiero una così grande cosa … E così parlando, e a quella vita agognando, l’afferrammo un tantino con tutto l’impeto del cuore, e sospirammo e quivi  lasciammo come prigioniere le primizie dello spirito e ritornammo al suono della nostra voce dove la parola ha inizio e fine. Ma che cosa mai è simile al tuo Verbo, Signore nostro, che in sé sussiste e mai invecchia e tutto rinnova? ». Né si dovranno dire insoliti nella sua vita tali rapimenti della mente e del cuore. Poiché ad ogni istante di tempo libero dai doveri e dalle fatiche quotidiane, egli meditava le Sacre Scritture, a lui così note, per coglierne diletto e luce di verità; con il pensiero e con l’affetto s’innalzava a volo sublime dalle opere di Dio e dai misteri dell’infinito suo amore verso di noi, a grado a grado, sino alle stesse divine perfezioni e in esse quasi si immergeva, quanto a lui era dato per l’abbondanza della grazia soprannaturale. – « E spesso torno a far questo, — così pare che egli ci parli, come in confidenza — questo mi delizia, e quando posso rilassarmi dalle mie necessarie occupazioni, in questo diletto mi rifugio. Né in tutti questi oggetti, che io percorro consultando te, trovo luogo sicuro all’anima mia se non in te, dove si raccolgono le cose mie disperse e nulla di me si diparte da te. E talvolta mi fai entrare in un affetto molto insolito, dentro ad una non so quale dolcezza, che se in me toccasse il colmo, non so qual cosa sarebbe, ma certo non sarebbe più questa vita ». Perciò esclamava: «Tardi io ti ho amato, o bellezza tanto antica e tanto nuova! tardi io ti ho amato ». E quanto affettuosamente contemplava la vita di Cristo, la cui somiglianza si studiava di ritrarre ogni giorno più perfetta in sé, l’amore ripagando con amore, non altrimenti da quello che proprio egli andava, con il consiglio, inculcando alle vergini: « Si configga a voi interamente nel cuore, chi per voi fu confitto in croce! ». Di questo amore di Dio ardendo sempre più vivacemente, fece incredibili progressi in tutte le altre virtù. Né si può non ammirare come un uomo tale — che per la straordinaria eccellenza d’ingegno e di santità era da tutti venerato, esaltato, consultato ed ascoltato — fosse tuttavia, negli scritti destinati al pubblico e nelle sue lettere, intento sopra ogni cosa a procurare che le lodi tributategli andassero all’Autore di ogni bene, cioè a colui al quale soltanto si dovevano, e agli altri facesse animo e, salva la verità, li encomiasse. Inoltre usava il massimo ossequio verso i suoi colleghi nell’episcopato, segnatamente verso i più insigni che l’avevano preceduto, come Cipriano e Gregorio Nazianzeno, Ilario e Giovanni Crisostomo, come Ambrogio, suo maestro nella fede, che egli venerava qual padre e di cui soleva spesso ricordare gl’insegnamenti e gli esempi. Ma segnatamente in lui rifulse, come inseparabile dall’amor di Dio, lo zelo delle anime, di quelle anime in ispecie che egli aveva da reggere per debito dell’ufficio pastorale. Da quando infatti, così ispirando Iddio, e per la fiducia del vescovo Valerio e la scelta del popolo, fu prima iniziato al sacerdozio e poi sollevato alla cattedra d’Ippona, egli pose ogni studio nel condurre il gregge alla felicità celeste, sia col nutrirlo della sana dottrina, sia col tutelarlo dagli assalti dei lupi. Accoppiando dunque alla fortezza la carità verso gli erranti, combatté le eresie, mise in guardia il popolo contro gl’inganni usati in quel tempo dai Manichei, dai Donatisti, dai Pelagiani, dagli Ariani; e questi stessi egli confutò in modo che non solo ne infrenò la diffusione delle false dottrine e ricuperò le anime da essi traviate, ma anche li convertì alla fede cattolica. Pertanto egli stava sempre pronto a disputare anche in pubblico, mentre aveva ogni fiducia nel divino aiuto, nella forza e nella virtù insite nella verità, e nella fermezza del popolo; e qualora gli venissero recati scritti di eretici, senza por tempo in mezzo li confutava l’uno dopo l’altro, non lasciandosi infastidire o staccare né dalla scipitezza delle opinioni, né dai cavilli, né dall’ostinatezza e dalle ingiurie degli avversarii. Nondimeno, benché così alacremente combattesse per la verità, non cessava mai d’implorare da Dio la correzione di questi nemici, che egli trattava con benevolenza e carità cristiana; e dai suoi scritti stessi si vede con quanta modestia d’animo e vigore di persuasione parlava loro: « Infieriscano contro di voi — diceva loro — quelli che non sanno con quale fatica si scopra il vero e con quanta difficoltà si schivino gli errori. Infieriscano contro di voi quelli che non sanno quanto sia raro ed arduo l’innalzarsi sopra le fantasie della carne nella serenità di una mente pia … Infieriscano contro di voi anche coloro che non furono mai sedotti da un errore come quello da cui vedono sedotti voi. Io, invece, che dopo un lungo e fiero travaglio finalmente potei venire a conoscere che cosa sia quella schietta verità che si percepisce senza la mescolanza di vane favole …; io, che finalmente tutte quelle fantasie, dalle quali voi siete per lunga consuetudine avviluppati e stretti, le cercai curiosamente, le udii attentamente, le credetti sconsigliatamente e con ardore le persuasi a quanti potei, e contro altri le difesi pertinacemente ed animosamente, io davvero non posso infierire contro di voi, ma vi debbo ora sopportare, come allora sopportai me medesimo, e trattarvi con altrettanta pazienza quanta me ne usarono i prossimi miei, nel tempo in cui rabbioso e cieco andavo errando dietro i vostri dogmi ». – Il Vescovo d’Ippona pertanto, con il suo amore per la religione, con l’assidua operosità e la benignità di animo, come poteva rimanere deluso e senza buon successo? E così, i Manichei venivano tratti all’ovile di Cristo, il dissidio o scisma di Donato veniva a cessare, e i Pelagiani erano completamente sgominati, in modo che, morto Agostino, Possidio poteva scrivere di lui: «Quel memorando uomo, membro principale del corpo del Signore, era sempre sollecito e quanto mai vigilante per il bene della Chiesa universale. E gli fu concesso da Dio di poter godere anche in questa vita del frutto delle sue fatiche, dapprima con l’unione e la pace perfetta nella Chiesa e nel territorio d’Ippona, a cui egli massimamente soprintendeva; poi, vedendo come in altre parti dell’Africa, per la sua stessa cura e per quella dei Sacerdoti che egli vi aveva assegnati, la Chiesa del Signore aveva felicemente germogliato e s’era moltiplicata e rallegrandosi che quei Manichei, Donatisti e Pelagianisti e Pagani erano finiti per buona parte e s’erano aggregati alla Chiesa di Dio. Andava lieto ed esultante dei progressi da lui favoriti e del fervore di tutti i buoni; tollerava con santo e pietoso compatimento le mancanze disciplinari dei fratelli e gemeva sulle iniquità dei cattivi, sia di quelli che erano dentro la Chiesa, sia di quelli che ne erano fuori, godendo sempre, come dissi, degli acquisti che il Signore faceva, e dolendosi dei danni ». Se nel trattare i grandi affari dell’Africa e anche della Chiesa universale fu d’animo forte ed invitto, verso il suo gregge fu, più che altri mai, padre premuroso e benigno. Era solito predicare al popolo assai spesso, o commentando testi per lo più desunti dai Salmi, dal Vangelo di San Giovanni, dalle Lettere di San Paolo, in una forma piana e adatta all’intendimento della gente più umile e semplice, o riprendendo col più felice esito gli abusi e i vizi che si fossero insinuati fra i cittadini d’Ippona, e molto si affaticava, e a lungo, non solo per riconciliare a Dio i peccatori, soccorrere i poveri e intercedere per i colpevoli, ma anche per comporre le liti e le contese che accadessero tra i fedeli in cose profane; e benché si lamentasse della distrazione e dissipazione che ciò gli costava, tuttavia al disgusto per le cose del secolo fece andare innanzi l’esercizio della carità episcopale. E tale carità e grandezza di animo sommamente rifulse nell’estremo frangente in cui si trovò quando, dai Vandali che devastavano l’Africa, nessun’offesa fu risparmiata alla dignità sacerdotale e ai luoghi sacri. Esitando alcuni Vescovi e Sacerdoti sulla condotta che dovevano tenere fra quelle tante e così gravi calamità, il santo vecchio, interrogato da uno di essi, rispose chiaramente che a nessun Sacerdote era lecito disertare il posto, checché fosse per avvenire, poiché i fedeli non potevano rimanere privi del sacro ministero: « Come non pensare — diceva — quando si giunge a questa estrema gravità di pericoli, né vi è alcuna via di scampo, che grande accorrere suole farsi nella chiesa da gente dell’uno e dell’altro sesso e d’ogni età, e chi domanda il battesimo, chi la riconciliazione, chi anche l’applicazione della penitenza, e tutti chiedono conforto e celebrazione e amministrazione dei Sacramenti? Se vi mancano i sacri ministri, quale immensa perdita ne segue per coloro che partono da questo secolo o non rigenerati o non assolti! e quanto grave lutto per i loro congiunti e amici che non li avranno con sé nella pace della vita eterna! Quanti gemiti da tutti, e da parte di alcuni quali bestemmie si leverebbero per l’assenza dei sacri ministri e dei sacri ministeri! Vedi che cosa fa la paura dei mali temporali e che triste acquisto con essa invece si fa dei mali eterni! Quando invece si trovano al loro posto i ministri, si reca a tutti il soccorso con le forze che Dio ad essi provvede; quelli sono battezzati, questi sono riconciliati, nessuno resta privo della comunione del Corpo di Cristo; tutti sono consolati, edificati, esortati a pregare Dio, il quale è in grado di sventare tutti i mali che si temono; e tutti si trovano disposti ad ogni evento, in modo che se da essi questo calice non può passare, s’uniformino alla volontà di colui che non può volere niente di male ». E concludeva in questa forma: « Chi poi fugge, sì che al gregge di Cristo vengano a mancare gli alimenti di cui vive spiritualmente, è un mercenario che vede venire il lupo e scappa perché non gli importa delle pecore ». Per il resto, Agostino confermò gli ammonimenti con l’esempio; perché assediata dai barbari la città dov’era la sua sede episcopale, il magnanimo pastore vi rimase col suo popolo e ivi rese l’anima a Dio. Ed ora, per aggiungere ciò che un più compiuto elogio di Agostino sembra ancora richiedere, diremo, come la storia attesta, che il Santo Dottore della Chiesa, il quale a Milano aveva visto « fuori delle mura della città, sostenuto e nutrito da Ambrogio un albergo di Santi », e poco dopo la morte di sua madre, era venuto a « conoscere in Roma parecchi monasteri … né solo di uomini, ma anche di donne », appena approdò sui lidi d’Africa, concepì il pensiero di promuovere le anime alla perfezione e santità della vita nello stato religioso, e fondò in un suo podere un cenobio, ove « dopo avere allontanato da sé tutte le cure del secolo, postavi dimora per quasi un triennio insieme con quelli che gli erano associati, viveva a Dio nei digiuni, nelle orazioni e buone opere, meditando giorno e notte la legge di Dio ». Promosso poi al sacerdozio, fondò subito ad Ippona nelle vicinanze della chiesa un altro cenobio « e cominciò a vivere coi servi di Dio secondo il modo e la regola stabilita ai tempi degli Apostoli, in quanto soprattutto nessuno doveva possedere cosa di proprio in quella comunità, ma tutto era comune e a ciascuno si distribuiva secondo il bisogno ». Sublimato alla dignità di Vescovo, non volendo restare privo dei benefìci della vita comune e volendo d’altra parte lasciar aperto il monastero a tutti i visitatori e ospiti del Vescovo d’Ippona, egli istituì nella stessa casa episcopale un cenobio di chierici con questa regola: che, rinunziati i beni di famiglia, vivessero in comunità lungi dalle seduzioni del mondo e da ogni suo lusso ma con un tenore di vita non troppo austero né difficile, adempiendo nello stesso tempo ai doveri di carità verso Dio e verso il prossimo. Alle religiose poi che, governate da sua sorella, abitavano non molto distante, diede una regola meravigliosa, piena di saggezza e di moderazione, secondo la quale oggidì si reggono molte famiglie religiose dell’uno e dell’altro sesso, e non solo quelle che sono chiamate Agostiniane, ma altre ancora che dal proprio Fondatore hanno ricevuto la regola stessa accresciuta con particolari costituzioni. Con i semi gettati in patria di una siffatta professione di vita perfetta, conforme ai consigli evangelici, egli non solo si rese benemerito dell’Africa cristiana ma di tutta la Chiesa, alla quale vennero da una siffatta milizia, col volgere degli anni e anche oggidì, tanto vantaggio ed incremento. Così, vivente ancora Sant’Agostino, da questa opera insigne erano già derivati consolantissimi frutti. Possidio narra che per concessione di lui, quale Padre e legislatore pregatone da ogni parte, un gran numero di religiosi si era già sparso per ogni dove per fondarvi nuovi monasteri e per aiutare con la dottrina e l’esempio della santità le chiese dell’Africa, recandovi dappertutto la fiamma attinta dal centro. Di questa magnifica fioritura di vita religiosa, che tanto pienamente corrispondeva ai suoi desideri, poté ben consolarsi Agostino, come quando scriveva: « Io, che scrivo queste cose, ho amato con ardore quella perfezione di cui il Signore ha parlato quando disse al ricco giovinetto: Va, vendi tutto quello che hai e dallo ai poveri, ed avrai un tesoro in cielo; vieni e seguimi; così ardentemente l’amai, e non per le mie forze, ma per l’aiuto della sua grazia ho fatto così. Che se io non fui ricco, ciò non mi diminuisce il merito; perché gli stessi apostoli che primi fecero questo non furono ricchi; chi lascia ciò che ha e ciò che desidera di avere, lascia il mondo intero. Quanto poi io abbia profittato in questa via della perfezione, lo so più io di qualsiasi altro uomo, ma più lo sa Iddio di me. E allo stesso proposito di vita, con quanta forza io posso, esorto gli altri, e nel nome del Signore ho compagni quelli che per il mio ministero vi sono stati indotti ». Così vorremmo oggi che ogni parte della terra sorgessero molti, a somiglianza del santo Dottore, « seminatori di casto consiglio », i quali con prudenza pure, ma con fortezza e perseveranza si facessero promotori della vita religiosa e sacerdotale, abbracciata beninteso per vocazione divina, affinché più efficacemente si venisse a impedire che lo spirito cristiano vada indebolendo, e perisca a poco a poco l’integrità dei costumi.- Abbiamo accennato, Venerabili Fratelli, alle imprese e benemerenze di un Santo che per forza di ingegno acutissimo, per copia e altezza di scienza, per santità tanto sublime, per invitta difesa della verità cattolica, non trova quasi altri, o certo pochissimi, che gli si possano paragonare di quanti fiorirono finora dal principio del genere umano. E sopra abbiamo citato parecchi suoi encomiatori; ma quanto cordialmente e quanto bene gli scriveva San Girolamo come a suo contemporaneo e familiarissimo: « Io sono ben risoluto di amarti, di accoglierti, di onorarti, ammirarti e difendere i tuoi detti come fossero miei ». E di nuovo altra volta: «Orsù, coraggio, tu sei celebrato nel mondo; i cattolici ti venerano e onorano come restauratore dell’antica fede e, ciò che è segno di gloria maggiore, tutti gli eretici ti detestano, e con pari odio abbominano anche me, quasi per uccidere col desiderio quelli che non possono con la spada . – A noi pertanto, Venerabili Fratelli, sta sommamente a cuore che in questo quindicesimo centenario dalla morte del Santo, che si compirà fra non molto, come Noi stessi l’abbiamo molto volentieri ricordato in questa Enciclica, così voi lo commemoriate in mezzo al vostro popolo, in modo che tutti gli facciano onore, tutti si sforzino di imitarlo, tutti ringrazino Iddio dei benefizi che per via di un così grande Dottore pervennero alla Chiesa. Noi ben sappiamo quanto la insigne figliuolanza di Agostino andrà innanzi con l’esempio, come è giusto, mentre pure gode di conservare religiosamente a Pavia, nella chiesa di San Pietro in Ciel d’oro, le ceneri del suo Padre e Legislatore, restituito a lei per benignità del nostro antecessore, Leone XIII, di felice memoria. Ci auguriamo che colà numerosissimi accorrano da ogni parte i fedeli per venerare il sacro corpo di lui e guadagnare l’indulgenza da Noi concessa. Ma non possiamo qui passare in silenzio quale e quanta speranza e attesa nutriamo in cuore, che il Congresso Internazionale Eucaristico, il quale si terrà prossimamente a Cartagine, riesca ad onore di Agostino, oltre che di trionfo a Cristo Gesù nascosto sotto le specie Eucaristiche. Siccome infatti si tiene il Congresso in quella città, dove un tempo il nostro santo Dottore vinse gli eretici e rassodò nella fede i cristiani; in quell’Africa latina le cui antiche glorie non potranno mai essere dimenticate in nessuna età, e meno che altre, quella di avere dato alla Chiesa questo luminare splendidissimo di sapienza; non molto lontano da Ippona a cui toccò la felice sorte di godere per tanto tempo dell’esempio di virtù e delle cure pastorali di lui, non può certo accadere che la memoria del santo Dottore e la dottrina di lui intorno all’augusto Sacramento dell’Altare — che qui abbiamo omessa siccome già nota in buona parte a moltissimi dalla stessa liturgia della Chiesa — non siano presenti agli animi, anzi quasi davanti agli occhi di tutti i congressisti. Infine esortiamo tutti i fedeli cristiani, e quelli principalmente che si raduneranno a Cartagine, che invochino l’intercessione di Agostino presso la bontà divina, perché conceda in avvenire giorni più felici alla Chiesa, e che quanti sono dispersi in quelle immense regioni dell’Africa, indigeni e stranieri o privi ancora della verità cattolica o dissidenti da Noi, accolgano la luce della dottrina evangelica loro recata dai nostri missionari, e si affrettino a rifugiarsi in seno alla Chiesa, Madre amantissima. – Delle celesti grazie, intanto, sia mediatrice e al tempo stesso testimonianza della Nostra paterna benevolenza l’Apostolica Benedizione che a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il clero e popolo vostro impartiamo con ogni affetto nel Signore.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 aprile, festa della Pasqua di Resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo, dell’anno 1930, nono del Nostro Pontificato.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNI: SS. PIO XI – “MENS NOSTRA”.

In questa bella lettera Enciclica, il Santo Padre illustra i benefici e la valenza degli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola. Questo è soprattutto un rimedio utile ai tempi nostri, tempi convulsivi e frenetici, movimentati tanto da togliere nella giornata ogni momento di riflessione e di pace spirituale. Questa frenesia nei godimenti di piaceri di ogni tipo, è un’arma potente che i demoni usano per indurre le anime al peccato ed alla perdizione eterna. Se tutti si fermassero a riflettere sul senso della propria vita ed a cercare la luce divina come guida illuminante, il mondo sarebbe totalmente diverso e non in mano agli adepti di satana che sono la nostra giusta punizione per tanto abbandono di Dio e trascuratezza nel praticare la dottrina evangelica di Cristo. Il rimedio lo conosciamo e S. S. Pio XI ce ne illustra la enorme portata salvifica; fermiamoci nella corsa verso la voragine infernale trascinata da illusorie filosofie e devastanti teologie di falsi profeti ed abominevoli chierici, torniamo alla dottrina ed alla spiritualità cattolica fatta di silenzio, digiuno, interiorità e preghiera fervorosa, e potremo fermare le infernali intenzioni dei dominatori del mondo, tutti al servizio del dragone maledetto.

LETTERA ENCICLICA

MENS NOSTRA
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA:
SULL’IMPORTANZA DEGLI ESERCIZI SPIRITUALI.
PIO PP. XI
VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE.


Vi sono certamente note, Venerabili Fratelli, le intenzioni che Ci mossero all’inizio di quest’anno a promulgare uno straordinario Giubileo per tutto il mondo cattolico in occasione del cinquantesimo anniversario del Nostro Sacerdozio. Infatti, come abbiamo solennemente dichiarato nella Costituzione Apostolica «Auspicantibus Nobis» del 6 gennaio 1929, non solo intendevamo invitare tutti i diletti figli della grande famiglia, che il Cuore di Dio ha affidato al cuore Nostro, ad unirsi al giubileo del Padre comune per rendere comuni grazie al sommo Datore di ogni bene; ma in modo particolare Ci arrideva la dolce speranza che, aprendo più largamente i tesori spirituali di cui il Signore Ci ha costituiti amministratori, i fedeli ne avrebbero tratto felice opportunità per rinvigorirsi nella fede, per crescere nella pietà e nella perfezione cristiana e per riformare più efficacemente i costumi privati e pubblici: donde, come frutto della piena pacificazione dei singoli con se stessi e con Dio, sarebbe anche venuta la mutua pacificazione degli animi e dei popoli. – Né vana fu la Nostra speranza. Infatti, quel mirabile slancio di devozione, con cui venne accolta la promulgazione del Giubileo, lungi dall’affievolirsi, andò anzi sempre crescendo, concorrendovi il Signore anche coi memorandi avvenimenti che renderanno imperituro il ricordo di quest’anno veramente salutare. E Noi, con indicibile consolazione, abbiamo potuto in gran parte seguire con gli occhi Nostri questo magnifico aumento di fede e di pietà attraverso le schiere così varie e così numerose di tanti figli carissimi, che Ci fu dato personalmente vedere e accogliere nella Nostra casa, e che potemmo, stavamo per dire, stringere al Nostro cuore paterno. Ora, mentre dall’intimo dell’animo Nostro innalziamo al Padre delle misericordie un caldo inno di ringraziamento per tanti e così segnalati frutti che Egli si è degnato seminare, maturare e raccogliere nella sua vigna lungo tutto quest’anno giubilare, la Nostra stessa pastorale sollecitudine Ci muove a vivamente desiderare che tali e tanti frutti si conservino e crescano a bene dei singoli, e per ciò stesso a bene dell’intera società. – Riflettendo su come ciò possa essere conseguito, Ci sovviene che il Nostro Predecessore di felice memoria Leone XIII, nell’indire il sacro Giubileo in altra occasione, con parole che nella già ricordata Costituzione «Auspicantibus Nobis» facemmo Nostre, esortava tutti i fedeli « a raccogliersi un poco in se stessi e ad innalzare i pensieri immersi nelle cose terrene a cose migliori ». Ci sovviene altresì che il Nostro Predecessore di santa memoria Pio X, così zelante promotore e vivo esempio di santità sacerdotale, durante l’anno giubilare del suo sacerdozio, in una piissima e memoranda «Esortazione» al clero cattolico dava documenti preziosi di vita spirituale. Orbene, procedendo sulle orme di questi Pontefici, abbiamo giudicato opportuno fare anche Noi qualche cosa per promuovere un’iniziativa dalla quale confidiamo possano derivare molti rilevanti vantaggi a favore del popolo cristiano. Intendiamo parlare della pratica degli Esercizi spirituali, che desideriamo vivamente venga diffusa in larga scala non solo fra l’uno e l’altro clero, ma anche fra le schiere dei cattolici laici, in modo che sia possibile lasciare ai Nostri diletti figli un ricordo di questo anno sacro. Ciò facciamo tanto più volentieri al tramonto di questo anno giubilare del Nostro Sacerdozio. Infatti, nulla di più lieto possiamo avere che ricordare le grazie celesti e le ineffabili consolazioni da Noi sperimentate negli Esercizi spirituali che fummo soliti frequentare assiduamente, tanto che essi segnarono quasi le varie tappe della Nostra vita sacerdotale. Da essi attingemmo luce e forza per conoscere e compiere la volontà divina, e con non minore soddisfazione ripensiamo al ministero sacerdotale da Noi esercitato per lunghi anni, nel corso del quale Ci fu concesso di dedicarCi più e più volte all’opera degli Esercizi spirituali, e potemmo constatare gl’immensi salutari effetti che ne derivano al bene delle anime. – E veramente, Venerabili Fratelli, sotto molti rispetti si constatano la somma importanza, utilità, opportunità di questi santi ritiri specialmente nei tempi che corrono. La grande malattia dell’età moderna, fonte precipua dei mali che tutti deploriamo, è la mancanza di riflessione, quell’effusione continua e veramente febbrile verso le cose esterne, quella smodata cupidigia delle ricchezze e dei piaceri, che a poco a poco affievolisce negli animi ogni più nobile ideale, li immerge nelle cose terrene e transitorie e non permette loro di assurgere alla considerazione, delle verità eterne, delle leggi divine, di Dio, unica fonte di tutto ciò che esiste, unico fine dell’universo creato, il quale nella sua infinità bontà e misericordia, ai giorni nostri, con effusione straordinaria di grazie, potentemente attira a sé le anime, nonostante la corruzione che dappertutto s’infiltra. – Ora, ad un morbo così profondo della famiglia umana, quale rimedio migliore possiamo Noi proporre che invitare tutte queste anime dissipate e stanche al raccoglimento degli Esercizi? E veramente anche se gli Esercizi spirituali non consistessero in altro che nell’appartarsi per qualche tempo dalle assillanti occupazioni e preoccupazioni terrene per riposare lo spirito nella quiete non oziosa di un ritiro e nel silenzio di tutte le cose esteriori, per dare comodità all’uomo di pensare ai problemi più vitali che, nei segreti più intimi della coscienza, hanno sempre preoccupato e preoccupano l’umanità, cioè ai problemi della sua origine e del suo fine, «donde venga e dove vada», sarebbe già un grande ristoro per l’anima. Gli Esercizi spirituali, costringendo l’uomo all’interiore lavoro dello spirito alla riflessione, alla meditazione, all’esame di se stesso, sono per le umane facoltà una mirabile scuola di educazione in cui la mente impara a riflettere, la volontà si rafforza, le passioni si dominano, l’attività riceve una direzione, una norma, un impulso efficace e tutta l’anima assurge alla sua nativa nobiltà e grandezza, conforme a ciò che il Pontefice San Gregorio nel suo libro Pastorale afferma con elegante similitudine: «La mente umana, a guisa dell’acqua, se è rinchiusa si raccoglie in alto, perché ritorna là donde discende; se è rilasciata si disperde, perché si effonde inutilmente in basso». Oltre a ciò, nel ritiro degli Esercizi spirituali, non solo «la mente, lieta nel suo Signore, viene eccitata come da certi stimoli del silenzio e rinvigorita da ineffabili rapimenti», come dice Sant’Eucherio, Vescovo di Lione, ma soprattutto viene con divina larghezza convitata a quel «celeste nutrimento» di cui parla Lattanzio: «poiché nessun cibo è più soave all’anima che la cognizione della verità»; viene ammessa a quella «scuola di celeste dottrina e palestra di arti divine» come la chiama un antico autore che per lungo tempo fu creduto S. Basilio Magno, dove «Dio è tutto quello che si impara, è la via per cui si tende, è il tutto per cui si giunge alla cognizione della verità». – Pertanto, gli Esercizi non solo perfezionano le naturali facoltà dell’uomo, ma hanno un mirabile potere nel formare l’uomo soprannaturale, cioè il Cristiano. Nei tempi difficili in cui viviamo, nei quali il vero senso di Cristo, lo spirito soprannaturale, essenza della nostra santa religione, soffre tanti ostacoli ed impedimenti, nell’imperversare del naturalismo, che tende ad illanguidire la vivezza degli ideali della fede e a smorzare gli ardori della carità cristiana, è quanto mai salutare sottrarre l’uomo a quel fascino « della vanità » che « oscura il bene », e trasportarlo in quella beata solitudine, ove in un celeste magistero l’anima apprende il vero valore dell’umana esistenza, riposta appunto nel servizio a Dio, il salutare orrore alla colpa il santo timore di Dio, la vanità delle cose cose terrene, e nella contemplazione di Colui che è « via e verità e vita » impara a deporre l’uomo vecchio e a rinnegare se stesso, e nell’esercizio dell’umiltà, dell’ubbidienza, della mortificazione, a rivestirsi di Cristo, fino a giungere a quell’« uomo perfetto » e a quella « misura dell’età piena di Cristo » di cui parla l’Apostolo, anzi fino a poter dire con lui: «Vivo non già io, ma vive in me Cristo»: sublimi ascensioni e divina trasformazione che l’anima compie sotto l’azione della grazia invocata nelle più frequente e fervorosa preghiera, attinta nella partecipazione più devota ai sacrosanti misteri. – Inestimabili beni soprannaturali sono questi, Venerabili Fratelli, nel felice possesso dei quali solamente è riposta la quiete, il riposo, la vera pace, suprema aspirazione dell’anima, a cui tende con profonda nostalgia il mondo moderno, ma che invano ricerca nel perseguimento di terreni ideali, nel turbine della vita. L’esperienza di anime veramente innumerevoli attraverso i secoli ha luminosamente dimostrato, e dimostra oggi forse più che mai, questo mirabile potere pacificatore e santificatore riposto nel sacro ritiro degli Esercizi spirituali, da cui le anime escono « radicate ed edificate » in Cristo, piene di luce, di vigore, di felicità « che supera ogni senso ». Ma da questa pienezza della vita cristiana, che gli Esercizi spirituali apportano e perfezionano, oltre il frutto soavissimo della pace interiore, germoglia quasi spontaneo un altro importantissimo frutto che ha una più larga risonanza sociale: lo spirito di apostolato. È infatti naturale effetto della carità che un’anima, quando è piena di Dio, senta il bisogno di comunicare alle altre anime la conoscenza e l’amore dell’infinito Bene che essa ha trovato e possiede. Orbene in questi tempi di immensi bisogni per le anime, quando le lontane regioni delle Missioni « già biondeggiano per la mietitura » e domandano sempre più numerosi operai; quando nei nostri stessi paesi le crescenti necessità spirituali dei popoli esigono numerosi e scelti manipoli di ben formati apostoli nell’uno e nell’altro Clero dispensatori dei misteri di Dio, e, partecipanti all’apostolato gerarchico, le schiere dei laici consacrati ai molteplici rami dell’Azione Cattolica, Noi, Venerabili Fratelli, ammaestrati dall’esperienza della storia, negli Esercizi spirituali vediamo e salutiamo i provvidenziali Cenacoli, dove i cuori generosi, sotto l’influsso della grazia, apprezzando degnamente al lume delle eterne verità e degli esempi di Cristo il valore inestimabile delle anime, sentiranno la voce del Signore che li invita a farsi suoi cooperatori nella redenzione del mondo, in quel qualunque stato di vita, a cui, con saggia elezione, conosceranno essere chiamati a servire il loro Creatore, e dove apprenderanno gl’ideali, i propositi, gli ardimenti dell’apostolato cristiano. Del resto, tale fu sempre la via ordinaria tenuta dal Signore per formare i suoi Apostoli. Perciò il divino Maestro, non contento del lungo nascondimento di Nazareth, volle premettere alla sua vita pubblica il severo ritiro di quaranta giorni nel deserto. Perciò in mezzo alle fatiche della predicazione evangelica, spesso invitava gli Apostoli al silenzio dell’isolamento: «Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco »; perciò soprattutto volle che, dopo la sua Ascensione, gli Apostoli ricevessero la loro ultima formazione nel Cenacolo di Gerusalemme: « perseverando concordi nella preghiera », in attesa dello Spirito Santo in quel memorando ritiro di dieci giorni, che furono, quasi oseremmo dire, i primi Esercizi spirituali praticati nella Chiesa, dai quali anzi la Chiesa stessa nacque con tutta la sua sempre giovanile vigoria: beato ritiro in cui, sotto lo sguardo e nella materna assistenza di Maria, si formarono, insieme con i primi Apostoli, coloro che vorremmo chiamare i precursori dell’Azione Cattolica. Da quel giorno la pratica degli Esercizi spirituali, se non nel nome e nella forma quale ora si usa, almeno nella sostanza, divenne « famigliare agli antichi cristiani », come dice san Francesco di Sales, e ne troviamo chiari accenni nelle opere dei Santi Padri. Così, per esempio, San Girolamo alla nobile matrona Celanzia: « Scegliti — scriveva — un luogo adatto e lontano dallo strepito della famiglia, in cui tu possa ripararti come in un porto. Quivi lo studio della divina Scrittura sia così intenso, così frequente il ritorno alla preghiera, tanto assidua la riflessione sulle cose future che tu abbia da compensare con questo riposo tutte le occupazioni degli altri tempi. Né diciamo questo quasi volessimo distoglierti dai tuoi: anzi, con ciò intendiamo che ivi tu impari e mediti quale poi tu debba mostrarti verso i tuoi ». Nel medesimo secolo il grande Vescovo di Ravenna, San Pietro Crisologo, lanciava a tutti i fedeli il noto eloquente invito: «Abbiamo dato al corpo un anno, diamo all’animo alcuni giorni … Viviamo un po’ di tempo per Dio, noi che siamo vissuti interamente per il mondo … Risuoni la divina voce ai nostri orecchi: lo strepito domestico non turbi il nostro udito … Così agguerriti, o fratelli, così ammaestrati, dichiareremo guerra al peccato … sicuri della vittoria ». – Anche in seguito, lungo i secoli, gli uomini hanno sempre sentito l’attrattiva della tranquilla solitudine, dove l’anima, lontana da qualsiasi osservatore, potesse dedicarsi alle cose divine, e quanto più burrascosi erano i tempi, tanto più forte si faceva sentire l’impulso dello Spirito Santo che sospingeva nel deserto le anime sitibonde di giustizia e di verità, « affinché più assiduamente libere dagli appetiti corporei, possano attendere alla divina sapienza nell’intimo della loro mente, dove, tacendo ogni strepito di sollecitudini terrene, si rallegrino in sante meditazioni e nelle delizie eterne ». Più tardi Dio suscitò nella sua Chiesa illuminati Maestri della vita soprannaturale che diedero sapienti norme e proposero metodi di ascesi attinti alla divina rivelazione ed all’esperienza propria e dei secoli cristiani, e non senza particolare provvidenza del Signore ne uscirono, per opera del grande Servo di Dio Ignazio di Loyola, gli Esercizi spirituali propriamente detti: « tesoro, — come lo chiamava quel venerabile uomo dell’inclito Ordine di San Benedetto, Ludovico Blosio, citato da Sant’Alfonso Maria de’ Liguori in una bellissima lettera « sugli Esercizi in solitudine— tesoro, che Dio ha manifestato alla sua Chiesa in questi ultimi tempi, per il quale gli si devono rendere speciali azioni di grazie ». Ma Da questi Esercizi, che ben presto sollevarono sì gran fama di sé nella Chiesa, prese ispirazione per correre ancor più generoso nella vita della santità, tra gli altri molti, il Nostro veneratissimo e per tanti titoli a Noi carissimo San Carlo Borromeo, il quale, come avemmo Noi stessi altra volta l’opportunità di ricordare, « ne divulgò l’uso nel clero e nel popolo » non solo con l’impulso del suo zelo e l’autorità del suo nome, ma anche con regole e direttòrii speciali; e giunse persino a farsi fondatore di una casa esclusivamente destinata per gli Esercizi stessi secondo il metodo di Sant’Ignazio. Ad essa diede il nome di «Asceterium», la prima forse, a quanto si sappia, di tal genere: esempio imitato poi ben presto felicemente in ogni parte. Corrispondente alla stima sempre crescente che si andava diffondendo nella Chiesa per gli Esercizi spirituali, fu il moltiplicarsi di tali Case riservate per questi sacri ritiri, quasi oasi verdeggianti e feconde nel deserto del pellegrinaggio terreno, destinate a raccogliere separatamente i fedeli dell’uno e dell’altro sesso ad un periodo di spirituale ristoro. Dopo l’immane tragedia della guerra, di fronte al profondo rivolgimento sociale che essa ha portato, al tramonto di tante illusioni, al riaffermarsi più potente in molte anime di elevate aspirazioni, ecco risvegliarsi mirabilmente in molti, sotto il soffio dello Spirito Santo, il bisogno dei Ritiri spirituali. Anime desiderose di una vita migliore e più santa, altre sbattute dalle tempeste della vita, dalle preoccupazioni dell’esistenza, dalle distrazioni e dalle seduzioni del mondo, anime avvelenate da una atmosfera satura di razionalismo e di sensualità, cercano rifugio in questi asili di pace, in queste case di preghiera, ove possano riposare lo spirito, ritemprare le forze, orientare soprannaturalmente il cammino della vita. – Dal canto Nostro, mentre dall’intimo del cuore godiamo di tale salutare movimento e vi scorgiamo un efficacissimo rimedio ai mali presenti, siamo risoluti ad assecondare, per quanto sta in noi, i pietosi disegni della Divina Bontà e a non lasciare passare invano questo invito dello Spirito Santo che oggi spira in molti cuori. Noi Ci apprestiamo a compiere ciò con animo particolarmente lieto, osservando quanto è stato compiuto dai nostri predecessori. Infatti, questa stessa Sede Apostolica, dopo aver tante volte raccomandato gli Esercizi spirituali con la parola, ha voluto precedere i fedeli anche con l’esempio, e già da parecchio tempo, di quando in quando suole per alcuni giorni convertire in Cenacolo di meditazione e di preghiera le auguste aule Vaticane; consuetudine, che Noi ben volentieri abbiamo seguito con grande gioia e conforto. E per procurare in più larga misura questa gioia e questo conforto a Noi ed a quanti più da vicino Ci assistono, soddisfacendo ai loro pii desiderii, abbiamo dato le opportune disposizioni affinché un corso di santi spirituali Esercizi abbia luogo ogni anno in questa Nostra Sede Vaticana. – Anche voi, Venerabili Fratelli, conoscete ed apprezzate altamente gli Esercizi spirituali, coi quali avete temprato dapprima il vostro spirito sacerdotale e vi siete poi preparati alla pienezza del sacerdozio, e ad essi, non di rado, alla testa dei vostri sacerdoti ricorrete per rinfrancare gli animi vostri nella contemplazione dei beni celesti. Ciò costituisce certamente un’apprezzabile azione, per la quale vogliamo darvi un doveroso e pubblico elogio. Sappiamo inoltre, (ed anche questo additiamo come esempio da imitare, tanto più luminoso quanto più alto e di natura sua meno frequente) che in alcune regioni tanto dell’Oriente che dell’Occidente i Vescovi, con a capo il loro Metropolita o Patriarca, talvolta si sono riuniti insieme per attendere ad un ritiro spirituale tutto proprio e adatto alla loro eccelsa dignità e ai doveri che ne derivano. Il che forse non sarà troppo difficile da imitare quando specialmente gravi ragioni chiamano a raccolta tutti i Presuli di una Provincia Ecclesiastica, o per provvedere con comuni decisioni ai più urgenti bisogni spirituali dei loro greggi o per prendere più efficaci deliberazioni secondo le esigenze del momento. Così Noi stessi pensavamo di fare coi Vescovi della regione Lombarda quando per brevissimo tempo fummo preposti alla Chiesa Metropolitana di Milano, e l’avremmo eseguito in quello stesso primo anno, se altri disegni non avesse avuto e compiuto la divina Provvidenza sulla Nostra umile persona. – I sacerdoti e i religiosi, già prima che fosse loro prescritto l’uso degli Esercizi per legge della Chiesa, con lodevole frequenza si valevano di questo mezzo di santificazione; così ora con tanto maggiore impegno vi si applicheranno quanto più solenne è la voce dei sacri Canoni che a questo li sprona. I sacerdoti del Clero secolare siano fedeli nel frequentare gli Esercizi spirituali almeno nella così discreta misura prescritta loro dal Codice di Diritto Canonico e vi apportino tanto maggior desiderio di trarne frutto, quanto più in mezzo alle sollecitudini del loro ministero sentiranno il bisogno di quella pienezza di spirito che è loro necessaria perché possano, com’è loro dovere, effonderla sulle anime loro affidate. Così hanno sempre sentito i sacerdoti più zelanti, così hanno praticato ed insegnato tutti quelli che si distinsero nella direzione delle anime e nella formazione del Clero, come, per citare un esempio moderno, il Beato Giuseppe Cafasso, da Noi recentemente elevato agli onori degli altari. Egli appunto degli esercizi spirituali si valeva per santificare se stesso e i suoi confratelli di sacerdozio; e fu al termine di uno di tali ritiri che con sicuro intuito soprannaturale poté indicare ad un giovane sacerdote suo penitente, quella via che la Provvidenza gli assegnava e che lo condusse poi a diventare il Beato Giovanni Bosco, per il quale nessun elogio è sufficiente. I Religiosi, poi, che ogni anno sono chiamati ai sacri Esercizi, qualunque sia la regola sotto cui militano, vi troveranno una miniera inesauribile e ricca di ogni genere di tesori, a cui tutti possono attingere secondo i loro particolari bisogni per perseverare e progredire nella pratica più perfetta della legge e dei consigli evangelici. Gli annui Esercizi sono per loro come un mistico « albero della vita », valendosi del quale tanto gli individui quanto le comunità conserveranno sempre vigoroso e vivace il primitivo spirito della loro vocazione. I Sacerdoti dell’uno e dell’altro Clero non ritengano perduto per l’apostolato il tempo che consacreranno agli Esercizi spirituali. San Bernardo non esitava a raccomandare perfino a colui che, già suo discepolo, era allora Sommo Pontefice, il Beato Eugenio III: « Se vuoi essere di tutti, ad imitazione di Colui che si fece tutto a tutti, lodo tale umanità, purché sia completa. E come mai sarà completa, se escludi te stesso? Anche tu sei uomo: affinché dunque tale umanità sia intera e piena, accolga anche te dentro di sé quel cuore che accoglie tutti gli altri; altrimenti, che ti giova guadagnare tutti, se perdi te stesso? Perciò, siccome tutti ti posseggono, sii anche tu uno dei tuoi possessori. Ricordati, non dico sempre, non dico spesso, ma almeno talvolta di restituire te a te stesso.” Né meno ci stanno a cuore, Venerabili Fratelli, gli Esercizi ai vari gruppi di quell’Azione Cattolica che non Ci stanchiamo né Ci stancheremo di promuovere e raccomandare, essendo l’utilissima, per non dire necessaria, partecipazione dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa. Vediamo con immensa consolazione organizzarsi ovunque corsi d’Esercizi particolarmente riservati alle pacifiche schiere di questi valorosi soldati di Cristo, e specialmente ai più giovani, che numerosi vi accorrono per addestrarsi alle sante battaglie del Signore, e vi trovano non solo la forza di migliorare la propria vita, ma spesso sentono nel cuore la voce misteriosa che li chiama a diventare apostoli in tutta la magnifica pienezza del nome. Splendida aurora di bene che Ci fa salutare e sperare un prossimo luminoso meriggio, se la pratica degli Esercizi spirituali più universalmente e più regolarmente verrà promossa e caldeggiata nelle file delle varie Associazioni cattoliche, specialmente giovanili. – Ed è ora veramente disposizione ammirabile della misericordiosa provvidenza di Dio che in un tempo, in cui i beni temporali e il conseguente benessere materiale e una certa agiatezza di vita tendono ad estendersi in qualche notevole misura ai lavoratori e ad un maggior numero dei figli del popolo, è provvidenziale, diciamo, che si vada facendo comune anche alla massa dei fedeli questo tesoro spirituale, destinato a controbilanciare il peso dei beni terreni, affinché non trascinino le anime verso il materialismo teorico e pratico. Diamo dunque il Nostro plauso e il Nostro paterno incoraggiamento alle Opere « pro Exercitiis » che già sorgono in varie regioni, specialmente quelle così fruttuose e così opportune dei « Ritiri Operai » con le relative « Leghe di Perseveranza », e le raccomandiamo vivamente, Venerabili Fratelli, alla vostra cura e alla vostra sollecitudine. – Ma tutto quello che abbiamo riferito circa gli Esercizi spirituali e i loro mirabili frutti suppone che il sacro ritiro sia praticato veneramente come si conviene, e che non diventi come una semplice consuetudine che si pratica senza interiore slancio ed energia e, conseguentemente, con poco o nessun frutto per l’anima. Pertanto, anzitutto bisogna che gli Esercizi si facciano nel ritiro, appartandosi dal frastuono delle ordinarie sollecitudini della vita quotidiana; poiché, come esattamente insegna l’aureo libretto «Dell’Imitazione di Cristo »: «Nel silenzio e nella quiete fa profitto l’anima devota ». Ond’è che quantunque siano certamente lodevoli e da promuoversi con ogni pastorale sollecitudine, come sono sempre dal Signore largamente benedetti, gli Esercizi spirituali, predicati pubblicamente al popolo, Noi però particolarmente insistiamo sugli Esercizi « chiusi », nei quali la segregazione dalle creature è più facilmente ottenuta, e l’anima nel silenzio e nella solitudine attende unicamente a sé e a Dio. Inoltre gli Esercizi spirituali esigono un certo periodo di tempo perché possano dirsi tali; un periodo di tempo che può variare a seconda delle circostanze e delle persone, da alcuni giorni fino ad un intero mese, ma che in ogni caso non dovrebbe essere troppo ristretto se si vogliono sperimentare tutti quei vantaggi che abbiamo sopra enumerati. Come per il corpo la permanenza in luoghi salubri deve prolungarsi alquanto perché se ne senta l’effetto, così anche in questa cura salutare dello spirito l’anima deve trattenersi un certo tempo, se vuole veramente sentirne ristoro e riportarne nuovo vigore. Infine, condizione importantissima perché gli Esercizi siano fatti bene e riescano fruttuosissimi è il farli secondo un metodo sapiente e pratico. Or non vi è dubbio che fra tutti i metodi di Esercizi spirituali che lodevolmente si attengono ai princìpi della sana ascetica cattolica, uno ha riscosso le piene e ripetute approvazioni di questa Sede Apostolica, ha meritato gli amplissimi elogi dei Santi e dei Maestri della vita spirituale, ha raccolto incalcolabili frutti di santità attraverso ormai quattro secoli: intendiamo alludere al metodo di sant’Ignazio di Loyola, di questo che Ci piace chiamare Maestro specializzato degli Esercizi, il cui « ammirabile libro degli Esercizi », piccolo di mole ma grande e prezioso di contenuto, dal dì che venne solennemente approvato, lodato, raccomandato dal Nostro Predecessore Paolo III di santa memoria, « quasi subito si affermò ed impose» — per usare le parole che Noi stessi prima del Sommo Pontificato avemmo già occasione di scrivere — « quale il più sapiente ed universale codice di governo spirituale delle anime, quale sorgente inesauribile della pietà più profonda ad un tempo e più solida, quale stimolo irresistibile e guida sicurissima alla conversione ed alla più alta spiritualità e perfezione ». E quando agli inizi del nostro Pontificato « assecondando i voti e gli ardentissimi desideri dei sacri Pastori di quasi tutto l’orbe cattolico dell’uno e dell’altro rito » con la Costituzione Apostolica « Summorum Pontificum » del 25 luglio 1922 « abbiamo dichiarato e costituito Sant’Ignazio di Loyola celeste patrono di tutti gli Esercizi Spirituali, e quindi degli istituti, sodalizi, e associazioni di qualunque genere che curano ed assistono coloro che fanno gli Esercizi spirituali », non abbiamo fatto altro che sancire con la Nostra suprema Autorità quello che già sentivano comunemente i Pastori e i fedeli; quello che implicitamente più volte avevano detto i Nostri Predecessori lodando gli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio, specialmente, oltre il ricordato Paolo III, i grandi Pontefici Alessandro VII, Benedetto XIV, Leone XIII; quello che hanno dichiarato con alti elogi, e ancor più con la loro virtù attinta o aumentata a questa scuola, tutti coloro (per usare le parole dello stesso Nostro Predecessore Leone XIII) « che o per la dottrina ascetica o per la santità dei costumi » in quest’ultimi quattro secoli « sommamente fiorirono ». La sodezza della dottrina spirituale, lontana dai pericoli e dalle illusioni dei pseudomistici, l’ammirabile adattamento ad ogni ceto e condizione di persone (dalle anime dedite per vocazione alla vita contemplativa sino agli uomini viventi nel mondo), l’unità organica delle sue parti, il mirabile ordine con cui si succedono le verità da meditare e i documenti spirituali, ordinati a condurre l’uomo dalla liberazione della colpa alle più alte vette dell’orazione e dell’amor di Dio per la via sicura dell’abnegazione e della vittoria sulle passioni, rendono il metodo degli Esercizi di Sant’Ignazio il più commendevole e il più fruttuoso. – Resta, Venerabili Fratelli, che a mantenere negli animi il frutto degli Esercizi spirituali da Noi ampiamente magnificato, ed a risvegliarne le salutari impressioni, raccomandiamo un compendioso rinnovamento degli Esercizi, cioè il ritiro mensile o trimestrale: costume, diremo col Nostro venerato Predecessore Pio X, che « godiamo di vedere introdotto in molti luoghi », specialmente nelle Comunità religiose e tra i Sacerdoti, desiderando vivamente che se ne estenda il benefico vantaggio anche ai laici: tanto più che a questi potrà talvolta supplire in qualche misura il frutto degli Esercizi stessi, quando per gravi ragioni non fosse loro possibile praticarli. In questo modo, Venerabili Fratelli, dalla diffusione degli Esercizi spirituali in tutte le classi della società cristiana e soprattutto dall’uso fervoroso di essi, Noi Ci ripromettiamo i più salutari frutti di rigenerazione, di vita spirituale, di apostolato, cui terrà dietro la pace individuale e sociale. Fu nel silenzio di una notte misteriosa, lungi dal frastuono del mondo, in luogo solitario, che il Verbo eterno fatto carne si rivelò all’umanità, ed echeggiò nel cielo il canto angelico: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà“. Questo canto di pace cristiana, che è supremo anelito del nostro cuore apostolico e meta a cui tendono gli sforzi e l’opera Nostra — Pax Christi in regno Christi ! — risuonerà, potente nelle anime dei cristiani che, segregati dal frastuono assordante della vita moderna, si ritireranno nella solitudine e nel silenzio a meditare le verità della Fede e i misteri di Colui che portò al mondo, e gli lasciò come sua preziosa eredità, il dono della pace: «Vi dò la mia pace ». – Questo saluto di pace Noi intanto inviamo a voi tutti, Venerabili Fratelli, in questo giorno in cui si compiono i cinquant’anni del nostro Sacerdozio, sotto gli auspici e quasi alla vigilia di quel dolcissimo mistero di pace che è la Natività di nostro Signore Gesù Cristo; e questa pace invochiamo con fervide preghiere da Colui che è stato salutato Principe della pace. Con questi sentimenti, con l’animo aperto ad una lieta e sicura speranza, a voi, Venerabili Fratelli, al Clero e al vostro popolo, cioè a tutta la Nostra dilettissima famiglia cattolica impartiamo nel Signore, con grande affetto, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 20 dicembre 1929, anno ottavo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XI – “RITE EXPIATIS”.

Questa volta, è una celebrazione di un Santo speciale ad indurre la composizione di questa Enciclica: San Francesco di Assisi. Il Sommo Pontefice ne fa una sapiente descrizione dando preminenza al fatto che questo insigne umilissimo personaggio abbia iniziato la ricostruzione di una Chiesa indebolita e di una società lontana da una pratica evangelica fervida e vivificante. Tra i tanti aspetti, il Santo Padre ne sottolinea uno che di solito viene taciuto di questo Santo poderoso nella sua opera di rivitalizzazione del culto, della morale e della povertà evangelica illanguidita in una civiltà la cui carità veniva sempre più raffreddandosi, e nella quale si infiltrava sempre più il desiderio delle attrattive del mondo e del peccato. Questo elemento è appunto l’attaccamento alla Sede apostolica del Romano Pontefice del Santo serafico e degli Ordini religiosi da lui costituiti. Questo è il vero segreto della santità a Dio gradito come atto di sottomissione – e quindi di amore – alla sua volontà, onde poi praticare le virtù ed i consigli evangelici. Ecco perché il demonio ha attaccato il Trono di Pietro con i suoi occupanti, fino a porvi un suo rappresentante nel tentativo, se mai fosse possibile, di distruggere la Chiesa e la società cristiana da essa modellata. Il paganesimo pratico che così ne è scaturito, imperniato sull’ideologia massonica dell’ecumenismo indifferentista, del culto rosa+croce del signore dell’universo, della messa maya e dell’idolo pachamana, sta minando alla base l’impianto della cristiana fede e della morale bimillenaria della Chiesa, scuotendo e confondendo le anime dei deboli, dei tiepidi, dei falsi e dei colpevoli ignoranti la dottrina. Ma ancora una volta i demoni non praevalebunt sulla vera Chiesa di Cristo, ma semmai solo sugli ipocriti finti cristiani di convenienza e di apparenza. Preghiamo il Santo serafico di Assisi perchè torni a restaurare il suoo Ordine così infangato dalla melma del modernismo, e la Chiesa tutta perchè si rinnovi nella sua bellezza, integrità morale, e luminosità per i popoli tutti dell’umanità.

LETTERA ENCICLICA
RITE EXPIATIS

 DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA, NEL SETTIMO CENTENARIO DELLA MORTE
DI SAN FRANCESCO D’ASSISI

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Il grande Giubileo celebratosi in Roma, e che è stato esteso al mondo intero per tutto il corso di quest’anno, è servito di purificazione delle anime e di richiamo per tanti ad un più perfetto tenore di vita. Ad esso sta ora per aggiungersi, quale compimento dei frutti o già ricavati o sperati dall’Anno Santo, la solenne commemorazione con cui da ogni parte i Cattolici si accingono a celebrare il settimo centenario del felice passaggio di San Francesco di Assisi dall’esilio terreno alla patria celeste. Orbene, avendo l’immediato Nostro predecessore assegnato all’Azione Cattolica quale Patrono questo Santo, donato dalla divina Provvidenza per la riforma non solo della turbolenta età in cui egli visse ma della società cristiana di ogni tempo, è ben giusto che quei Nostri figli, i quali lavorano in tal campo secondo i Nostri ordinamenti, di concerto con la numerosa famiglia francescana procurino di ricordare ed esaltare le opere, le virtù e lo spirito del Serafico Patriarca. In tale opera, rifuggendo da quell’immaginaria figura che del Santo volentieri si formano i fautori degli errori moderni o i seguaci del lusso e delle delicatezze mondane, cercheranno di proporre alla fedele imitazione dei Cristiani quell’ideale di santità che egli in sé ritrasse derivandolo dalla purezza e dalla semplicità della dottrina evangelica. Nostro desiderio dunque è che le feste religiose e civili, le conferenze e i discorsi sacri che si terranno in questo centenario mirino a che si celebri con manifestazioni di vera pietà il Serafico Patriarca, senza farne un uomo né totalmente diverso né soltanto dissimile da come lo formarono i doni di natura e di grazia, dei quali si servì mirabilmente per raggiungere egli stesso e per rendere agevole ai prossimi la più alta perfezione. Che se altri temerariamente paragona tra di loro i celesti eroi della santità, destinati dallo Spirito Santo chi a questa, chi a quella missione presso gli uomini — e tali paragoni, frutto per lo più di passioni partigiane, non riescono di nessun vantaggio e sono ingiuriosi verso Dio, autore della santità — tuttavia sembra potersi affermare non esservi mai stato alcuno in cui brillassero più vive e più somiglianti l’immagine di Gesù Cristo e la forma evangelica di vita che in Francesco. Pertanto, egli che si era chiamato l’« Araldo del Gran Re », giustamente fu salutato quale « un altro Gesù Cristo », per essersi presentato ai contemporanei e ai secoli futuri quasi Cristo redivivo; dal che derivò che come tale egli vive tuttora agli occhi degli uomini e continuerà a vivere per tutte le generazioni avvenire. Né è meraviglia, dato che i primi biografi contemporanei al Santo, narrandone la vita e le opere, lo giudicarono di una nobiltà quasi superiore all’umana natura; mentre quei Nostri predecessori che trattarono familiarmente con Francesco, non dubitarono di riconoscere in lui un aiuto provvidenziale inviato da Dio per la salvezza del popolo cristiano e della Chiesa. E perché, nonostante il lungo tempo trascorso dalla morte del Serafico, si accende di nuovo ardore l’ammirazione, non solo dei Cattolici, ma degli stessi acattolici, se non perché la sua grandezza rifulge alle menti di non minore splendore oggi che nel passato, e perché s’implora con ardente brama la forza della sua virtù, tuttora così efficace a rimediare ai mali della società? Infatti, l’opera sua riformatrice tanto profondamente penetrò nel popolo cristiano che, oltre a ristabilire la purità della fede e dei costumi, fece sì che i dettami della giustizia e della carità evangelica informassero più intimamente e regolassero la stessa vita sociale. – L’imminenza dunque di così grande e felice avvenimento Ci consiglia, servendoci di voi, Venerabili Fratelli, che della Nostra parola siete nunzi ed interpreti, di ridestare nel popolo cristiano quello spirito francescano, che non differisce punto dal modo di sentire e dalla pratica evangelica, richiamando alla memoria, in così opportuna congiuntura di tempo, gl’insegnamenti e gli esempi della vita del Patriarca d’Assisi. Ci piace così entrare come in gara di devozione coi Nostri predecessori, i quali non si lasciarono mai sfuggire nessuna commemorazione centenaria dei principali fasti della sua vita, senza proporne la celebrazione ai fedeli illustrandola con l’autorità del magistero apostolico. A questo proposito ben volentieri ricordiamo — e con Noi ricorderanno certo quanti sono ormai innanzi cogli anni — l’ardore acceso nei fedeli di tutto il mondo verso San Francesco e l’opera sua dall’Enciclica « Auspicato » scritta da Leone XIII quarantaquattr’anni fa, nella ricorrenza del settimo centenario della nascita del Santo; e come allora l’ardore concepito si manifestò in molteplici dimostrazioni di pietà e in una felice rinnovazione di vita spirituale, così non vediamo perché ugual esito non debba coronare la prossima celebrazione ugualmente importante. Anzi, le presenti condizioni del popolo cristiano lasciano sperare assai di più. Per una parte, infatti, nessuno ignora che oggi i valori spirituali sono dalla massa meglio apprezzati e che i popoli, ammaestrati dall’esperienza del passato a non dover attendersi pace e sicurezza se non tornando a Dio, guardano ormai alla Chiesa cattolica come ad unica sorgente di salvezza. D’altra parte, l’estensione a tutto il mondo dell’Indulgenza Giubilare coincide felicemente con questa commemorazione centenaria, che non può andare disgiunta dallo spirito di penitenza e di carità. – Sono ben note, Venerabili Fratelli, le aspre difficoltà dei tempi in cui ebbe a vivere Francesco. È verissimo che allora la fede era più profondamente radicata nel popolo, come testimonia il sacro entusiasmo con cui non solo i soldati di professione, ma gli stessi cittadini di ogni classe portarono le armi in Palestina per liberare il Santo Sepolcro. Tuttavia nel campo del Signore si erano man mano infiltrate e serpeggiavano eresie, propagate o da eretici manifesti o da occulti ingannatori, i quali, ostentando austerità di vita e una fallace apparenza di virtù e disciplina, facilmente trascinavano le anime deboli e semplici; pertanto si andavano spargendo tra le moltitudini perniciose faville di ribellione. E se alcuni si credettero, nella loro superbia, chiamati da Dio a riformare la Chiesa, alla quale imputavano le colpe dei privati, a non lungo andare, ribellandosi all’insegnamento e all’autorità della Santa Sede, manifestarono apertamente da quali intenti fossero animati; ed è notorio che la maggior parte di costoro ben presto finirono nella libidine e nella lussuria e persino nel turbamento dello Stato, scuotendo i fondamenti della religione, della proprietà, della famiglia e della società. In una parola, avvenne allora ciò che spesso si vide qua e là nel corso dei secoli; cioè, la ribellione mossa contro la Chiesa andava di pari passo con la ribellione contro lo Stato, aiutandosi a vicenda. Ma quantunque la fede cattolica vivesse nei cuori o intatta o non del tutto oscurata, venendo però meno lo spirito evangelico la carità di Cristo si era tanto intiepidita nella società umana da parere quasi estinta. Infatti, per tacere delle lotte impegnate, da una parte dai fautori dell’Impero, dall’altra dai fautori della Chiesa, le città italiane erano lacerate da guerre intestine, o perché le une volessero reggersi liberamente da sé sottraendosi alla signoria d’un solo, o perché le più forti volessero sottomettere a sé le più deboli, o per le lotte di supremazia tra i partiti di una stessa città; di tali contese erano frutto amaro stragi orrende, incendi, devastazioni e saccheggi, esilii, confische di beni e di patrimoni. Iniqua era poi la sorte di moltissimi, mentre tra signori e vassalli, tra maggiori e minori, come si diceva, tra padroni e coloni, correvano relazioni troppo aliene da ogni senso di umanità, e il popolo imbelle veniva impunemente vessato e oppresso dai potenti. Coloro poi che non appartenevano alla più misera categoria dei plebei, lasciandosi trasportare dall’egoismo e dall’avidità di possedere, erano stimolati da un’insaziabile ingordigia di ricchezze; senza badare alle leggi qua e là promulgate contro il lusso, facevano ostentatamente pompa di un pazzo splendore di abiti, di banchetti e di festini di ogni genere; povertà e poveri disprezzati; i lebbrosi, allora così frequenti, aborriti e trascurati nella loro segregazione; e ciò ch’è peggio, da tanta avidità di beni e di piaceri non andavano nemmeno esenti — benché molti del clero fossero commendevoli per austerità di vita — coloro che più scrupolosamente avrebbero dovuto guardarsene. Era perciò invalso l’uso di accaparrarsi e di ammucchiare ciascuno grandi e lauti guadagni da qualunque parte si potesse; non solo dunque con l’estorsione violenta del danaro o con l’esosità dell’usura, ma molti aumentavano ed impinguavano il patrimonio col mercimonio delle cariche pubbliche, degli onori, dell’amministrazione della giustizia e persino dell’impunità procurata ai colpevoli. La Chiesa non tacque, né risparmiò le punizioni; ma con qual giovamento, se perfino gli Imperatori, con pubblico cattivo esempio, si attiravano gli anatemi della Santa Sede e contumaci li disprezzavano? Anche l’istituzione monastica, che pure aveva condotto a maturità tanto lieti frutti, offuscata ora di polvere mondana, non era più così in grado di resistenza e di difesa; e se il sorgere di nuovi Ordini religiosi arrecò un po’ di aiuto e di forza alla disciplina ecclesiastica, occorreva però molto più fervida fiamma di luce e di carità per riformare la travagliata società umana. – Orbene, ad illuminare siffatta società e a ricondurla al puro ideale della sapienza evangelica, ecco apparire per divino consiglio San Francesco di Assisi, il quale, come cantò l’Alighieri, rifulse qual Sole, o come aveva già scritto, servendosi di simile figura, Tommaso da Celano, « brillò come fulgida stella nella notte caliginosa e quasi mattino che si distende sulle tenebre ». – Giovane d’indole esuberante e fervida, amante del lusso nel vestire, usava invitare a splendidi banchetti gli amici che si era scelto tra i giovani eleganti ed allegri e girava per le strade lietamente cantando, pur allora però facendosi notare per integrità di costumi, castigatezza nel conversare e disprezzo delle ricchezze. Dopo la prigionia di Perugia e le noie di una malattia, sentendosi non senza meraviglia intimamente trasformato, tuttavia, come se volesse sfuggire dalle mani di Dio, andò nella Puglia per compiervi imprese di valore. Ma durante il cammino, da un chiaro comando divino si sentì ordinare di ritornarsene ad Assisi per apprendere che cosa dovesse poi fare. Indi, dopo molti ondeggiamenti di dubbio, per divina ispirazione e per aver inteso alla messa solenne quel passo evangelico che riguarda la missione e il genere di vita apostolico, comprese di dover vivere e servire a Cristo « secondo la forma del Santo Vangelo ». Fin d’allora pertanto cominciò a congiungersi strettamente a Cristo e a renderglisi simile in tutto; e « tutto il suo impegno, sia pubblico sia privato, si rivolse alla croce del Signore; e fin dai primi tempi in cui cominciò a militare per Cristo, rifulsero intorno a lui i diversi misteri della croce ». E veramente egli fu buon soldato e cavaliere di Cristo per nobiltà e generosità di cuore; tanto che per non discordare in nulla, né egli né i suoi discepoli, dal suo Signore, oltre che ricorrere come ad oracolo al libro dei Vangeli quando doveva prendere una deliberazione, diligentemente conformò la legislazione degli Ordini da lui fondati con lo stesso Vangelo e la vita religiosa dei suoi con la vita apostolica. Perciò in fronte alla Regola giustamente scrisse: «Questa è la vita e la regola dei frati Minori, di osservare cioè il santo Vangelo di nostro Signor Gesù Cristo». Ma per stringere più dappresso l’argomento, vediamo con quale preclaro esercizio di virtù perfette si apparecchiasse Francesco a servire ai consigli della misericordia divina e a rendersi strumento idoneo della riforma della società. – Anzitutto, se non è difficile immaginare con la mente, crediamo impresa assai ardua descrivere a parole di quale amore avvampasse per la povertà evangelica. Nessuno ignora com’egli fosse per indole portato a soccorrere i poveri, e come, al dire di San Bonaventura, fosse pieno di tanta benignità, che « non sordo uditore del Vangelo » aveva stabilito di non mai negare soccorso ai poveri, massime se questi nel chiedere « allegassero l’amor di Dio»; ma la grazia spinse al culmine della perfezione la natura. Pertanto, avendo una volta respinto un povero, subito pentitosene, per intimo impulso divino si diede tosto a ricercarlo e ad alleviarne la miseria con ogni bontà ed abbondanza; un’altra volta, andandosene con una comitiva di giovani dopo un allegro convito cantando per la città, all’improvviso si fermò come attratto fuori di sé da una soavissima dolcezza spirituale, e tornato in se stesso ai compagni che l’interrogavano se allora avesse pensato a prender moglie, subito rispose con calore che avevano indovinato, perché egli veramente si proponeva di condurre una sposa, di cui non si troverebbe altra o più nobile o più ricca o più bella; intendendo con tali parole o la povertà o una religione che poggiasse specialmente sulla professione della povertà. Egli infatti da Cristo Signore, che si fece povero per noi, pur essendo ricco, affinché noi divenissimo ricchi della sua povertà, apprese quella divina sapienza, che non potrà mai essere cancellata dai sofismi della sapienza umana, e che sola può santamente rinnovare e restaurare tutto. Certo Gesù aveva detto: « Beati i poveri in spirito ». « Se vuoi essere perfetto, va, vendi quanto hai e donalo ai poveri, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi ». Siffatta povertà che consiste nella rinuncia volontaria di ogni cosa, fatta per amore e per ispirazione divina e che è del tutto contraria alla povertà forzata, arcigna e affettata di alcuni filosofi antichi, fu da Francesco abbracciata con tanto affetto, che la chiamava con riverente amore signora, madre e sposa. In proposito scrive San Bonaventura: «Nessuno fu mai così avido dell’oro com’egli della povertà, né più geloso nella custodia di un tesoro quanto egli di questa perla evangelica ». E lo stesso Francesco, raccomandando e prescrivendo ai suoi nella Regola dell’Ordine il particolare esercizio di questa virtù, manifesta la stima ch’egli ne aveva e quanto la amasse con queste chiarissime parole: «Questa è la sublimità dell’altissima povertà che costituisce voi carissimi fratelli miei, eredi e re del regno dei cieli; vi fece poveri di cose, vi sublimò di virtù. Questa sia la vostra porzione, a cui aderendo totalmente, null’altro vogliate avere in eterno sotto il cielo per il nome del Signor nostro Gesù Cristo ». La ragione per cui Francesco amò particolarmente la povertà, fu perché la considerava come familiare della Madre di Dio, e perché Gesù Cristo sul legno della croce, più che familiare, se la scelse a sposa, benché poi dagli uomini fosse dimenticata e riuscisse al mondo troppo amara ed importuna. Al che spesso ripensando, soleva prorompere in gemiti e lacrime. Orbene, chi non si commuoverà a questo insigne spettacolo di un uomo, che tanto s’innamorò della povertà da parere agli antichi compagni di divertimento e a molti altri uscito di senno? Che dire poi dei posteri, i quali, anche se lontanissimi dall’intelligenza e dalla pratica della perfezione evangelica, furono compresi per sì ardente amante della povertà di un’ammirazione, che ognora aumentando riesce ancora a colpire gli uomini dell’età nostra? Questo senso di ammirazione dei posteri precorse l’Alighieri con quel canto dello sposalizio tra Francesco e la Povertà, dove non sapresti se più ammirare la grandiosa sublimità delle idee o la dolcezza e l’eleganza del verso. – Ma l’alto concetto e il generoso amore che della povertà nutrivano la mente e il cuore di Francesco, non potevano restringersi soltanto alla rinunzia dei beni esterni. Chi infatti riuscirebbe ad acquistare, sull’empio del Signor nostro Gesù, la vera povertà, se non si facesse povero in ispirito e piccolo per mezzo della virtù dell’umiltà? Ciò ben comprendendo Francesco, non disgiungendo mai l’una dall’altra virtù, ambedue così insieme calorosamente saluta: « Santa Signora povertà, il Signore ti salvi con la sorella santa umiltà… La santa povertà confonde ogni cupidigia e avarizia e ansietà di questo secolo. La santa umiltà confonde la superbia e tutti gli uomini di questo mondo e le cose tutte che sono nel mondo ». – Così per dipingere Francesco in una parola, l’autore dell’aureo libro «Dell’Imitazione di Cristo », lo chiama « l’umile ». «Quale è ciascuno innanzi ai tuoi occhi (o Signore), tanto vale e non più, dice l’umile San Francesco ». Egli ebbe infatti soprattutto a cuore di comportarsi con umiltà, come il minimo e ultimo di tutti. Perciò, fin dal principio della sua conversione, desiderava con ardore di essere schernito e deriso da tutti; e poi, sebbene fondatore, legislatore e Padre dei Frati Minori, si prendeva qualcuno dei suoi per superiore e padrone, da cui dipendere; indi, appena fu possibile, senza lasciarsi piegare da preghiere e da pianti dei suoi, volle deporre il governo supremo dell’Ordine « per osservare la virtù della santa umiltà » e restare « quindi innanzi suddito fino alla morte, vivendo più umilmente che qualsiasi altro »; offertagli spesso da Cardinali e da magnati ospitalità generosa e splendidissima, la ricusava recisamente; mentre agli altri mostrava maggiore stima e rendeva ogni onore, metteva se stesso in dispregio fra i peccatori, facendosi come uno di loro. Si credeva infatti il più grande peccatore, usando dire che se la misericordia usatagli da Dio fosse stata fatta a qualche altro scellerato, questi sarebbe riuscito migliore dieci volte tanto, e a Dio solo doversi quindi attribuire, perché da Dio unicamente derivato, quanto si trovava in lui di bello e di buono. Per questa ragione occultava con ogni studio i privilegi e carismi che potevano procacciargli la stima e la lode degli uomini, e anzitutto le stimmate del Signore impresse nel suo corpo; e se talora in privato o in pubblico veniva lodato, non solo si reputava e protestava degno di disprezzo e vituperio, ma se ne contristava, tra sospiri e lamenti, con incredibile rammarico. – Che dire poi dell’essersi stimato tanto indegno da non volere ordinarsi sacerdote? Su questo medesimo fondamento dell’umiltà egli volle che si appoggiasse e consolidasse l’Ordine dei Minori. E se con esortazioni di una sapienza meravigliosa ammaestrava ripetutamente i suoi come non potessero gloriarsi di nulla, e molto meno delle virtù e grazie celesti, ammoniva soprattutto, e secondo l’opportunità rimproverava quei frati che per i loro officii andavano esposti al pericolo di vanagloria e di superbia, come i predicatori, i letterati, i filosofi, i superiori dei conventi e delle province. Sarebbe lungo scendere ai particolari, ma basti questo solo: San Francesco dagli esempi e dalle parole di Cristo derivò l’umiltà nei suoi, quale distintivo proprio dell’Ordine; volle infatti che i suoi fossero chiamati « minori », e « ministri » fossero detti tutti i prelati del suo Ordine, e « ciò per usare il linguaggio del vangelo ch’egli aveva promesso di osservare, sia perché suoi discepoli dallo stesso nome capissero di essere venuti alla scuola dell’umile Cristo per imparare l’umiltà ». – Abbiamo veduto come il Serafico per l’ideale stesso che aveva in mente della povertà più perfetta, si faceva tanto piccolo ed umile da ubbidire con semplicità di bambino ad un altro o meglio, possiamo aggiungere, a quasi tutti, perché chi non rinnega se stesso e non rinunzia alla propria volontà, certo non può dirsi o che si sia spogliato di tutte le cose, o che possa divenire umile di cuore. San Francesco, pertanto, col voto di obbedienza consacrò di buon animo e sottomise interamente al Vicario di Gesù Cristo la libertà della volontà, questo dono sopra tutti eminente da Dio conferito alla natura umana. Oh, quando male fanno e quanto vanno lungi dalla cognizione dell’Assisiate coloro che, per servire alle loro fantasie ed errori, s’immaginano, (cosa incredibile!) un Francesco intollerante della disciplina della Chiesa, noncurante degli stessi dogmi della Fede, precursore anzi e banditore di quella molteplice e falsa libertà, che si cominciò ad esaltare sul principio dell’età moderna, e tanto disturbo recò alla Chiesa ed alla società civile. Ora, con quanta intimità aderisse alla gerarchia della Chiesa, a questa Sede Apostolica e agli insegnamenti di Cristo, il banditore del gran Re può bene insegnare nei suoi mirabili esempi ai Cattolici ed agli acattolici tutti. Consta infatti dai documenti storici di quell’età, i più degni di fede, che egli « venerava i sacerdoti e con estremo affetto abbracciava tutto l’Ordine ecclesiastico »; da « uomo cattolico e tutto apostolico » insisteva principalmente, nella sua predicazione, « che si mantenesse inviolabile la fedeltà alla Chiesa, e per la dignità del Sacramento del Signore, che si compie per ministero dei sacerdoti, si tenesse in riverenza somma l’ordine sacerdotale. E parimenti insegnava doversi in gran maniera riverire i maestri della legge divina e tutti gli ordini del Clero ». E ciò che insegnava dal pulpito al popolo, inculcava molto più caldamente ai suoi frati, cui soleva anche avvisare di tempo in tempo — come nel suo famoso testamento e in punto di morte li ammonì con gran forza — che nell’esercizio del sacro ministero obbedissero umilmente ai prelati ed al clero, e si portassero con essi quali figliuoli della pace. – Ma il punto più capitale in questo argomento è che appena il Serafico Patriarca ebbe formata e scritta la Regola propria del suo Ordine, non indugiò un istante a presentarla personalmente, con i primi undici discepoli, ad Innocenzo III perché l’approvasse. E quel Pontefice d’immortale memoria, mirabilmente commosso dalle parole e dalla presenza dell’umilissimo Poverello divinamente ispirato, abbracciò con grande amore Francesco, sancì con l’autorità apostolica la Regola da lui presentata ed ai nuovi operai diede inoltre la facoltà di predicare la penitenza. A questa Regola poi di poco ritoccata, come ci attesta la storia, Onorio III aggiunse nuova conferma su preghiera di Francesco. Il Serafico Padre volle che la Regola e la vita dei Frati Minori fosse questa: osservare « il santo Vangelo del Signor Nostro Gesù Cristo vivendo in obbedienza, senza cosa propria e in castità », né già a capriccio proprio o secondo una propria interpretazione, ma al cenno dei Romani Pontefici, canonicamente eletti. Quanti poi anelano a « ricevere questa vita… siano esaminati diligentemente dai Ministri intorno alla fede cattolica ed ai sacramenti della Chiesa, e se credono tutte queste cose e intendono confessarle e osservarle fermamente sino alla fine; coloro poi che siano incorporati nell’Ordine, non se ne allontanino per nessun conto « secondo il mandato del Signor Papa ». Ai chierici si prescrive che celebrino i divini offici, « secondo l’Ordine della Chiesa Romana »; ai frati in generale, che non predichino nel territorio di un Vescovo senza suo comando, e non entrino, anche per causa di ministero, nei conventi delle religiose senza facoltà speciale dell’Apostolica Sede. Né minore riverenza e docilità verso la Sede Apostolica ci mostrano le parole che usa Francesco nel prescrivere che si domandi un Cardinale protettore: « Per obbedienza ingiungo ai Ministri che domandino al Signor Papa qualcuno dei Cardinali della Santa Chiesa Romana che sia guida, protettore e correttore di questa Fratellanza; affinché, sempre subordinati e soggetti ai piedi della stessa Santa Chiesa Romana, stabili nella fede cattolica, osserviamo il santo Vangelo del Signor nostro Gesù Cristo ». – Ma non si può tacere di quella « bellezza e mondezza di onestà » che il Serafico « singolarmente amava », cioè di quella castità di anima e di corpo che egli custodiva e difendeva con l’asperrima macerazione di se stesso. E l’abbiamo pure veduto giovane, festoso ed elegante, aborrire da qualsiasi bruttura anche di parole. Ma quando poi rigettò i vani piaceri del secolo, cominciò tosto a reprimere con ogni rigore i sensi, e se mai gli accadeva di sentirsi agitato da moti sensuali, egli non esitava o a ravvolgersi fra gli spinosi roveti, o ad immergersi nelle gelide acque del più crudo inverno. – È, infatti, noto che il nostro Santo, studiandosi di richiamare gli uomini a conformare la loro vita agli insegnamenti del Vangelo, soleva esortare tutti « ad amare e temere Dio ed a far penitenza dei proprii peccati », ed a tutti si faceva predicatore di penitenza col suo stesso esempio. Infatti cingeva alle carni un cilicio, vestiva una povera e ruvida tonaca, andava a piedi nudi, prendeva riposo appoggiando il capo a una pietra o ad un tronco, si nutriva quel tanto solo che bastasse a non morire d’inedia, e al suo cibo mescolava acqua e cenere per togliergli ogni gusto; anzi, passava quasi interamente digiuno la maggior parte dell’anno. Inoltre, sia che fosse sano o infermo, trattava con dura asprezza il suo corpo, ch’egli soleva paragonare ad un asinello; e non s’indusse a concedere al suo corpo qualche sollievo o riposo, neanche quando, negli ultimi anni della sua vita, fatto a Cristo similissimo per le Stimmate, quasi inchiodato alla Croce, era tormentato da molte infermità. Né trascurò di avvezzare i suoi all’austerità ed alla penitenza, benché — ed in ciò soltanto « la lingua fu diversa dall’opera del santissimo patriarca » — li ammonisse di moderare l’eccessiva astinenza e afflizione del corpo. – Chi non vede quanto manifestamente tutto ciò procedesse dal medesimo fonte della carità divina? Infatti, come scrive Tommaso da Celano, « ardendo sempre di amore divino, bramava di dar mano ad opere forti, e camminando di gran cuore nella via dei comandamenti divini, anelava a raggiungere la somma perfezione ». Secondo la testimonianza di San Bonaventura, « tutto quanto… quasi brace ardente, sembrava consumarsi nella fiamma dell’amore divino »; onde vi erano taluni che si scioglievano in lacrime « vedendolo sì rapidamente levato a tanta ebbrezza di divino amore ». E siffatto amore di Dio si effondeva talmente verso il prossimo, che egli, vincendo se stesso, abbracciava con particolare tenerezza i poveri, e tra essi i più miseri, i lebbrosi, dai quali aveva tanto aborrito nella sua giovinezza; e dedicò ed obbligò tutto se stesso e i suoi alle loro cure e al loro servizio. Né minor carità fraterna volle regnasse tra i suoi discepoli: onde la francescana famiglia sorse come « un nobile edificio di carità, nel quale pietre vive, radunate da ogni parte del mondo, vengono edificate in abitacolo dello Spirito Santo ». – Ci è piaciuto, Venerabili Fratelli, trattenervi alquanto più a lungo nella contemplazione di queste altissime virtù, appunto perché, nei nostri tempi, molti, infetti dalla peste del laicismo, hanno l’abitudine di spogliare i nostri eroi della genuina luce e gloria della santità, per abbassarli ad una specie di naturale eccellenza e professione di vuota religiosità, lodandoli e magnificandoli soltanto come assai benemeriti del progresso nelle scienze e nelle arti, delle opere di beneficenza, della patria e del genere umano. Non cessiamo perciò dal meravigliarci come una tale ammirazione per San Francesco, così dimezzato e anzi contraffatto, possa giovare ai suoi moderni amatori, i quali agognano alle ricchezze e alle delizie, o azzimati e profumati frequentano le piazze, le danze e gli spettacoli o si avvolgono nel fango delle voluttà, o ignorano o rigettano le leggi di Cristo e della Chiesa. Molto a proposito cade qui quell’ammonimento: « A chi piace il merito del Santo, deve altresì piacere l’ossequio e il culto a Dio. Perciò, imiti quel che loda, o non lodi quella che non vuole imitare. Chi ammira i meriti dei Santi, deve egli stesso segnalarsi nella santità della vita ». Pertanto Francesco, agguerrito dalle forti virtù che abbiamo ricordate, è provvidenzialmente chiamato all’opera di riforma e di salvezza dei suoi contemporanei e di aiuto per la Chiesa universale. – Nella chiesa di San Damiano, dove era solito pregare con gemiti e sospiri, per tre volte aveva udito scendere dal cielo una voce: «Va’, Francesco, restaura la mia casa che cade. Egli, per quella profonda umiltà che lo faceva credere a se stesso incapace di compiere qualsiasi opera grandiosa, non ne comprese l’arcano significato; ma bene lo scoprì Innocenzo III chiaramente argomentando quale fosse il disegno del misericordiosissimo Iddio da una visione miracolosa in cui gli si presentò Francesco in atto di sostenere con le sue spalle il tempio cadente del Laterano. Il Serafico Santo, dunque, fondati due Ordini, uno per uomini, l’altro per donne, aspiranti alla perfezione evangelica, prese a percorrere rapidamente le città italiane, annunziando, o da se stesso o per mezzo dei primi discepoli che si era associati, e predicando al popolo la penitenza, in un modo di dire breve e infocato, raccogliendo da tal ministero, e con la parola e con l’esempio, frutti incredibili. In tutti i luoghi ove egli si recava a compiervi Ministeri apostolici, si facevano incontro a Francesco il clero e il popolo, processionalmente, tra suoni di campane e canti popolari, agitando in aria rami di olivo. Persone di ogni età, sesso e condizione gli si affollavano attorno, e assiepavano di giorno e di notte la casa ove abitava, per vederlo uscire, toccarlo, parlargli, ascoltarlo. Nessuno, per quanto invecchiato in una continua consuetudine di vizi e di peccato, poteva resistere alla sua predicazione. Quindi moltissime persone, anche di età matura, abbandonavano a gara tutti i beni terreni per amore della vita evangelica, e interi popoli d’Italia, rinnovati nei costumi, si ponevano sotto la direzione di Francesco. Anzi, era cresciuto a dismisura il numero dei suoi figliuoli, e tale era l’entusiasmo di seguire le sue orme suscitato ovunque, che lo stesso Serafico Patriarca spesso era costretto a dissuadere e a stornare dal proposito di lasciare il secolo uomini e donne già disposti anche a rinunziare all’unione coniugale e alla convivenza domestica. Intanto il desiderio che principalmente animava quei nuovi predicatori di penitenza era di ricondurre la pace fra individui, famiglie, città e terre, sconvolte e insanguinate da discordie interminabili. E si deve attribuire alla virtù sovrumana dell’eloquenza di quegli uomini rozzi, se ad Assisi, ad Arezzo, a Bologna e in tante altre città e terre si poté efficacemente provvedere ad una generale pacificazione, confermata talvolta con solenni convenzioni. A tale opera di generale pacificazione e riforma molto giovò il Terz’Ordine: istituzione che, con esempio nuovo fino allora, mentre ha lo spirito di Ordine religioso, non ha obbligo di voti, e si propone di somministrare a tutti, uomini e donne anche viventi nel secolo, i mezzi non solo di osservare la legge di Dio, ma di raggiungere la perfezione cristiana. Le Regole del nuovo sodalizio si riducono ai seguenti capi: Non accettare se non persone di schietta fede cattolica, e pienamente ossequenti alla Chiesa; modo di accettare nell’Ordine i candidati dell’uno e dell’altro sesso; ammissione alla professione, compiuto l’anno di noviziato, previo il consenso della moglie per il marito e del marito per la moglie; rispetto dell’onestà e della povertà nell’uso degli abiti, e modestia degli abbigliamenti muliebri; che i Terziari si astengano dai conviti, dagli spettacoli immodesti e dai balli; astinenza e digiuno; confessione da farsi tre volte l’anno, e altrettante la comunione, avendo cura di porsi in pace con tutti e di restituire la roba altrui; non indossare le armi se non in difesa della Chiesa Romana, della fede cristiana, e della propria patria, oppure con il consenso dei propri ministri; recita delle ore canoniche ed altre preci; dovere di dettare il legittimo testamento prima che scada un trimestre dall’entrata nell’Ordine; ricondurre quanto più presto si può la pace dei confratelli fra loro o con esterni, ove fosse turbata; che fare nel caso che i diritti o i privilegi del sodalizio fossero impugnati o violati; non prestar giuramento se non per urgente necessità riconosciuta dalla Sede Apostolica. Alle norme riferite se ne aggiungono altre di non minore importanza sul dovere di ascoltare la messa, sulle adunanze da convocare in tempi determinati, sulle sovvenzioni da prestarsi da ciascuno secondo le proprie forze in aiuto dei poveri e specialmente degli infermi e per tributare gli estremi offici ai soci defunti, sul modo di farsi scambievoli visite in caso di malattia, od anche di riprendere e ricondurre sulla buona via coloro che cadono e sono ostinati nel peccato, sul dovere di non ricusare gli uffici e i ministeri che vengono assegnati, e non adempierli trascuratamente; sulla risoluzione delle liti. – Ci siamo trattenuti su queste cose partitamente, affinché si veda come Francesco, sia col vittorioso apostolato suo e dei suoi, sia con l’istituzione del Terz’Ordine, gettò le fondamenta di un rinnovamento sociale operato radicalmente in conformità dello spirito evangelico. Omettendo pure ciò che riguarda, in tali Regole, il culto e la formazione spirituale che pure sono di primaria importanza, ognuno vede come dalle altre prescrizioni dovesse risultare tale ordinamento di vita privata e pubblica da formare del civile consorzio non soltanto una specie di convivenza fraterna, consolidata dalla pratica della perfezione cristiana, ma anche uno scudo al diritto dei miseri e dei deboli contro gli abusi dei ricchi e dei potenti, senza pregiudizio dell’ordine e della giustizia. Dalla consociazione infatti dei Terziari col clero, necessariamente risultava la felice conseguenza che i nuovi soci venivano a partecipare delle medesime esenzioni e immunità delle quali questo godeva. Così fin d’allora i Terziari non prestarono più il così detto solenne giuramento di vassallaggio, né venivano chiamati ai servizi militari o di guerra, né indossavano armi, perché essi alla legge feudale opponevano la regola del Terz’Ordine, alla condizione servile l’acquisita libertà. Ed essendo perciò molto vessati da chi aveva tutto l’interesse a far sì che le cose tornassero alle condizioni di prima, essi ebbero a loro difensori e patroni i Pontefici Onorio III e Gregorio IX, i quali sventarono quegli ostili attentati, anche comminando severe pene. Da qui quell’impulso di una salutare riforma dell’umana società; da qui la vasta espansione e l’incremento preso fra le nazioni cristiane dalla novella istituzione che aveva Francesco quale Padre e istitutore, ed insieme con lo spirito di penitenza il rifiorire dell’innocenza della vita; da qui quell’ardente fervore, onde fu dato vedere, non solo Pontefici, Cardinali e Vescovi, ricevere le insegne del Terz’Ordine, ma anche re e prìncipi, fra cui alcuni anche saliti in gloria di santità, i quali con lo spirito francescano s’imbevevano della evangelica sapienza; da qui le più elette virtù ritornate in pregio ed onore presso la società civile; da qui in una parola il mutarsi « la faccia della terra ». – Senonché Francesco « uomo cattolico e tutto apostolico », come attendeva in modo mirabile alla riforma dei fedeli, così si adoperava personalmente ed ordinava ai suoi discepoli di impiegarsi con alacrità alla conversione degli infedeli alla fede e alla legge di Cristo. Non occorre con molte parole rammentare una cosa a tutti ben nota, come cioè il Nostro, mosso dall’ardente brama di propagare il Vangelo e sostenere il martirio, non esitasse a recarsi in Egitto ed ivi comparire, animoso e ardito, alla presenza del Sultano. E nei fasti della Chiesa non sono registrati con parole di sommo onore quei numerosi banditori del Vangelo i quali sin dai primordi, e per così dire nella primavera dell’Ordine minoritico, trovarono il martirio in Siria e nel Marocco? Tale apostolato nel corso dei tempi fu poi dalla molteplice famiglia francescana proseguito con tanto zelo, e non senza largo spargimento di sangue, che sono moltissime le regioni d’infedeli le quali, per disposizione dei Romani Pontefici, si trovano affidate alle loro cure. – Nessuno vorrà quindi meravigliarsi che, per tutto il passato periodo di ben settecento anni, la memoria dei tanti benefizi da lui derivati né in alcun tempo né in alcun luogo si sia mai potuta cancellare. Anzi, vediamo come la vita e l’opera di lui, la quale non da lingua umana, ma, come scrive l’Alighieri, « meglio in gloria del ciel si canterebbe », di secolo in secolo si è imposta e tramandata al culto ed all’ammirazione in modo che egli non solo grandeggia alla luce del mondo cattolico per l’insigne gloria della santità, ma splende anche con un certo culto e gloria civile onde il nome di Assisi è divenuto familiare ai popoli di tutto il mondo. Era passato infatti poco tempo dalla sua morte, che presero a sorgere in ogni parte, per voto di popolo, chiese dedicate in onore del Serafico Padre, mirabili per magistero di architettura e di arte; e fra i più insigni artefici fu come una gara a chi fra loro riuscisse a ritrarre con maggior perfezione e bellezza l’immagine e le gesta di Francesco in pittura, in scultura, in intaglio, in mosaico. Così a Santa Maria degli Angeli, in quella pianura, dalla quale Francesco « povero ed umile entrò ricco nel cielo », come al luogo del sepolcro glorioso, sul colle di Assisi, concorrono, e d’ogni parte affluiscono pellegrini, quando alla spicciolata, quando a schiere, per ravvivare insieme, a vantaggio dell’anima, la memoria di un così gran Santo, ed insieme ammirare quegli immortali monumenti di arte. Inoltre, a cantare l’Assisiate sorse, come abbiamo veduto, un lodatore che non ha pari, Dante Alighieri, e dopo di lui non mancarono altri che illustrarono le lettere in Italia e altrove, esaltando la grandezza del Santo. Ma specialmente ai nostri giorni, studiati più a fondo dagli eruditi gli argomenti francescani e moltiplicate in gran numero le opere a stampa in varie lingue, e ridestati gl’ingegni dei competenti a compiere lavori ed opere artistiche di gran pregio, l’ammirazione verso San Francesco divenne fra i contemporanei smisurata, quantunque non sempre bene intesa. Così altri presero ad ammirare in lui l’indole naturalmente portata a manifestare poeticamente i sentimenti dell’animo, e il «Cantico » famoso divenne la delizia della erudita posterità, la quale vi ravvisa un vetustissimo saggio del volgare nascente. Altri rimasero incantati dal suo gusto della natura, ond’egli sembra preso dal fascino non solo della natura inanimata, del fulgore degli astri, dell’amenità dei monti e delle valli umbre, ma, al pari di Adamo nell’Eden prima della caduta, discorre con gli animali stessi, quasi legato ad essi da una certa fratellanza, e li rende obbedientissimi ai suoi cenni. Altri ne esaltano l’amor di patria, perché a lui deve l’Italia nostra, che vanta il fortunato onore d’avergli dati i natali, una fonte di benefizi più copiosa che qualsiasi altro paese. Altri infine lo celebrano per quella sua veramente singolare comunanza di amore, che tutti gli uomini unisce. Tutto ciò è vero, ma è il meno, e da doversi intendere in retto senso: poiché chi si fermasse a ciò come alla cosa più importante, o volesse torcerne il senso a giustificare la propria morbidezza, a scusare le proprie false opinioni, a sostenere qualche suo pregiudizio, è certo che guasterebbe la genuina immagine di Francesco. Infatti, da quella universalità di virtù eroiche delle quali abbiamo fatto breve cenno, da quell’austerità di vita e prediazione di penitenza, da quella molteplice e faticosa azione per il risanamento della società, risalta in tutta la sua interezza la figura di Francesco, proposto non tanto all’ammirazione, quanto all’imitazione del popolo cristiano. Essendo Araldo del Gran Re, egli volse le sue mire a far sì, che gli uomini si conformassero alla santità evangelica e all’amore della Croce, non già che dei fiori e degli uccelli, degli agnelli, dei pesci e delle lepri si rendessero soltanto sdilinquiti amatori. – Che se egli verso le creature sembra trasportato da una certa tenerezza di affetto, e « per quanto piccole » le chiama « coi nomi di fratello o di sorella » — amore, peraltro, che quando non esca dall’ordine non è proibito da nessuna legge — non da altra causa che dalla sua stessa carità verso Dio egli si muove ad amare le dette creature, le quali « sapeva avere con lui uno stesso principio e nelle quali guardava la bontà di Dio; giacché « da per tutto egli va seguendo il Diletto sulle orme impresse nelle cose, di tutte le cose si fa scala per giungere al trono di Lui. Quanto al resto, che cosa proibisce agli italiani di gloriarsi dell’Italiano, il quale nella stessa liturgia è chiamato « luce della Patria »?. Che cosa impedisce ai fautori del popolo di predicare quella che fu la carità di Francesco verso tutti gli uomini, specialmente poveri? Ma gli uni si guardino per lo smoderato amore verso la propria nazione, di vantarlo quasi segno e vessillo di questo acceso amore nazionale, rimpicciolendo il « campione cattolico »; gli altri si guardino dal gabellarlo per un precursore e patrono di errori, dal che egli era lontano, quant’altri mai. D’altra parte tutti quelli che non senza qualche affetto di pietà prendono gusto a queste lodi minori dell’Assisiate e si affaticano con fervore a promuoverne le feste centenarie, piacesse al cielo che come sono degni del nostro encomio, così dalla stessa fausta ricorrenza traessero forte stimolo a esaminare più sottilmente l’immagine genuina di questo grandissimo imitatore di Cristo, e ad aspirare ai migliori carismi. – Intanto, Venerabili Fratelli, Noi abbiamo un bel motivo d’allegrezza, nel vedere come per la concorde mira di tutti i buoni a celebrare la memoria del Santo Patriarca, lungo l’anno sette volte secolare dalla sua morte, si vanno allestendo in tutto il mondo solennità religiose e civili, ma specialmente in quelle contrade, che egli vivente nobilitò con la presenza e con la luce della santità e con la gloria dei miracoli. Nel che vediamo con molto piacere andare voi innanzi, con l’esempio, ciascuno al proprio clero e gregge. E già fin d’ora si presentano all’animo Nostro, anzi quasi agli occhi Nostri, le foltissime schiere di pellegrini che andranno a visitare Assisi e gli altri vicini Santuari della verde Umbria, o gli scoscesi gioghi della Verna o i colli sacri che guardano sulla valle di Rieti; luoghi nei quali Francesco sembra ancora vivere e darci esempio delle sue virtù, e dei quali i pii visitatori non potranno non tornare a casa più imbevuti di spirito francescano. Infatti — per usare le parole di Leone XIII — « bisogna ben persuadersi che gli onori che si preparano a San Francesco torneranno particolarmente accetti a lui, cui sono indirizzati, se riusciranno fruttuosi a chi li rende. Ora, il più sostanziale e non passeggero profitto consiste in questo: che gli uomini prendano qualche tratto di somiglianza dalla sovrana virtù di colui che ammirano, e procurino di rendersi migliori imitandolo ». – Taluno forse dirà che a restaurare la società cristiana ci vorrebbe oggi fra noi un altro Francesco. Nondimeno, fate che gli uomini con rinnovato zelo prendano l’antico Francesco a maestro di pietà e di santità; fate che essi imitino e ritraggano in sé gli esempi che egli lasciò, come colui che era « specchio di virtù, via di rettitudine, regola di costumi »; non avrà questo tanta virtù ed efficacia che basti a sanare ed a troncare la corruzione dei nostri tempi?

In primo luogo, dunque, debbono ricopiare in sé l’immagine insigne del Padre e Legislatore i tanti suoi figli dei tre Ordini; i quali essendo « stabiliti in tutto il mondo » — come Gregorio IX scriveva alla beata Agnese, figlia del re di Boemia — « ogni giorno in essi l’Onnipotente è reso in molti modi glorioso » [33]. E con i religiosi del Primo ordine, quale che sia il loro nome francescano, da una parte Ci congratuliamo vivamente che dalle indegnissime vessazioni e spogliazioni, come oro passato nel crogiuolo, riprendano ogni giorno più l’antico splendore; e dall’altra sinceramente desideriamo che con l’esempio della propria penitenza ed umiltà levino quasi alte proteste contro la concupiscenza della carne e la superbia della vita così ampiamente diffusa. Sia ufficio loro richiamare il prossimo ai precetti evangelici del vivere: il che meno difficilmente conseguiranno, quando osservino scrupolosamente la Regola, che il Fondatore chiamava « libro della vita, speranza della salute, midolla del Vangelo, via della perfezione, chiave del paradiso, patto dell’eterna alleanza » [34]. Il Serafico Patriarca poi non cessi di assistere ed aiutare dal cielo la mistica vigna, che egli con le sue mani piantò, e la molteplice propaggine talmente nutrisca e corrobori dell’umore e del succo della fraterna carità, che tutti, divenuti « un cuore e un’anima sola », s’adoperino con ogni zelo al rinnovamento della famiglia cristiana.

Le sacre vergini, poi, del Secondo Ordine, partecipi « della vita angelica, che per Chiara divenne chiara », continuino a diffondere, quali gigli piantati nelle aiuole dell’Orto del Signore, il più soave olezzo e a piacere a Dio col niveo candore dell’anima. Per le loro preghiere, sì, avvenga che i peccatori, in molto maggior numero, ricorrano alla clemenza di Cristo Signore, e la Madre Chiesa senta crescere mirabilmente il proprio gaudio per i figli restituiti nella divina grazia e nella speranza dell’eterna salute. Infine Ci rivolgiamo ai Terziari, sia uniti in comunità regolari, sia viventi nel secolo, perché si adoperino anch’essi col proprio apostolato a promuovere il profitto spirituale del popolo cristiano. Il quale apostolato, se al principio li fece degni di essere chiamati da Gregorio IX soldati di Cristo e novelli Maccabei, può anche oggi riuscire di non minore efficacia per la comune salute, purché essi, quanto sono cresciuti di numero su tutta la terra, altrettanto, fatti simili al loro Padre San Francesco, diano prova d’innocenza e d’integrità di costumi. E quel che scrissero i Nostri antecessori Leone XIII nella Lettera « Auspicato », e Benedetto XV nell’Enciclica « Sacra propediem », significando a tutti i vescovi dell’orbe cattolico ciò che sarebbe loro piaciuto grandemente, questo stesso, Venerabili Fratelli, Noi Ci ripromettiamo dallo zelo pastorale di tutti voi: che cioè favorirete in tutti i modi il Terz’Ordine francescano, ammaestrando il gregge — o da voi stessi o per l’opera di sacerdoti colti e idonei al ministero della parola — sugli scopi di quest’Ordine di uomini e di donne secolari, e quanto sia da stimarsi, e come riesca spedito l’ingresso nel Sodalizio e facile l’osservanza delle Sante Regole, e quale l’abbondanza delle indulgenze e dei privilegi di cui i Terziari fruiscono; infine, che grande utilità ridondi dal Terz’Ordine sui singoli e sulla comunità. Coloro che non ancora abbiano dato il nome a questa gloriosa milizia, lo diano quest’anno su vostro incitamento; e coloro che ancora non lo possono dare per ragione dell’età, si iscrivano candidati cordiglieri, sì che da fanciulli s’avvezzino a questa santa disciplina. – E poiché dai salutari avvenimenti offertisi così spesso a celebrare, sembra Iddio benignamente volere che il nostro Pontificato non trascorra senza i più lieti frutti nel popolo cattolico, vediamo con gran piacere apparecchiarsi questa solenne celebrazione centenaria di San Francesco, il quale « mentre visse rifondò la casa, e ai suoi tempi fu ristoratore del tempio » [35]; tanto più che sin dal fiore degli anni lo venerammo Patrono con grande devozione e fummo già annoverati tra i suoi figli, prendendo le insegne del Terz’Ordine. In quest’anno dunque, che è il settecentesimo dalla morte del Padre Serafico, il mondo cattolico e la nostra nazione in particolare ricevano per intercessione di San Francesco, tanta dovizia di benefìci, che sia un anno da rimanere nella storia della Chiesa perpetuamente memorabile.

Intanto, Venerabili Fratelli, in auspicio dei celesti doni e a testimonianza della Nostra benevolenza, a voi, al clero e al popolo vostro di tutto cuore impartiamo nel Signore l’Apostolica Benedizione.

 Dato a Roma, presso San Pietro, il 30 aprile dell’anno 1926, quinto del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI