DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2021)

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spinto Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Iezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di lezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda loram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudi e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: «Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]


Ps LIV: 2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]

Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.

[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].

UNITA’ NELLA VARIETA’ E VICEVERSA.

Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo, nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: «in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri e altre che sono tutta spontaneità e ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.

[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]

V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.

[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.

[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

 [“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me. ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F. M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se Lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per mettere assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. (Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla (Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può fare a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni del mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, F. M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia: S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F . M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da dare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, F. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, F. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  Signore, di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, F. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, F. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, F. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.

[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “L’ORGOGLIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me, ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F . M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per metterò assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico ? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubbriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni dal mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, P . M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F. M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da rare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, P. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, P. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, P. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, P. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, P. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2021

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: Agosto 2021

Surge! Jam terris fera bruma cessit,
Ridet in pratis decus omne florum,
Alma quæ Vitæ Génitrix fuísti,
Surge, María!

Lílium fulgens velut in rubéto,
Mortis auctórem teris una, carpens
Sóntibus fructum pátribus negátum
Arbore vitæ.

Arca non putri fabricáta ligno
Manna tu servas, fluit unde virtus,
Ipsa qua surgent animáta rursus
Ossa sepúlcris.

Prǽsidis mentis dócilis minístra,
Haud caro tabo pátitur resólvi;
Spíritus imo sine fine consors
Tendit ad astra.

Surge! Dilécto pete nixa cælum,
Sume consértum diadéma stellis,
Teque natórum récinens beátam
Excipe carmen.

Laus sit excélsæ Tríadi perénnis,
Quæ tibi, Virgo, tríbuit corónam,
Atque regínam statuítque nostram
Próvida matrem.
Amen.

[Inno  – dal Proprio dei Santi –
Sorgi! Cessi già in terra l’aspro inverno; rida nei prati ogni bellezza di fiori: tu, che fosti la divina Madre della Vita, sorgi, o Maria! / O giglio fulgente tra le spine, tu sola abbatti l’autore della morte, togliendo il frutto negato ai padri colpevoli con l’albero della vita. / Nell’arca fabbricata con legno non guasto conservi la manna, da cui fluisce la forza che dai sepolcri fa di nuovo risorgere, animate, le ossa. / Docile ministra della mente di Dio, la carne non si assoggetta alla corruzione; anzi per sempre consorte dello Spirito, sale al cielo, /Sorgi! Col tuo Diletto, vola in cielo, ricevi il diadema intrecciato di stelle ed accogli il carme dei figli, che ricanta, te beata. / Lode perenne alla Triade eccelsa, che a te, o Vergine, consegnò la corona
e provvide a stabilirti Regina e nostra Madre. Amen.]

Dagli Atti del Papa S. S. Pio XII


Poiché la Chiesa universale nel corso dei secoli ha manifestato la fede nell’Assunzione corporea della beata vergine Maria, e i vescovi del mondo cattolico con quasi unanime consenso chiesero che questa verità, fondata sulla sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli e sommamente consona con le altre verità rivelate, fosse definita come dogma di fede divina e cattolica, il sommo pontefice Pio XII, annuendo ai voti di tutta la Chiesa, stabilì di proclamare solennemente questo privilegio della beata vergine Maria. Perciò il primo novembre 1950, anno del massimo giubileo, a Roma, nella piazza della basilica di san Pietro, alla presenza di moltissimi Cardinali e Vescovi di santa romana Chiesa giunti anche dalle più remote regioni, dinanzi ad un’ingente moltitudine di fedeli, col plauso dell’universo mondo cattolico, con infallibile oracolo proclamò in questi termini l’assunzione corporea in cielo della beata vergine Maria: « Dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, ed aver invocato la luce dello Spirito di verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo esser dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Queste sono le feste del mese di Agosto 2021

1 Agosto Dominica X Post Pentecosten I. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                         S. Petri ad Vincula – 

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct. – Duplex

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Semiduplex *L1*

4 Agosto S. Dominici Confessoris    Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex

6 Agosto In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi  –  Duplex II. classis *L1*

                  PRIMO VENERDI’

7 Agosto S. Cajetani Confessoris – Duplex

                   PRIMO SABATO

8 Agosto Dominica XI Post Pentecosten II. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                    Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum – Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris –  Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris – Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Feria

12 Agosto S. Claræ Virginis – Duplex

13 Agosto Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V. – Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

                    Dominica XII Post Pentecosten III. Augusti   

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V. – Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris – Duplex

18 Agosto S. Agapiti Martyris    Feria

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris – Duplex

20 Agosto S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto Dominica XIII Post Pentecosten IV. Augusti – Semiduplex Dom. minor *I*

              Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis – Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris – Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli – Duplex II. classis

25 Agosto S. Ludovici Confessoris – Duplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

29 Agosto Dominica XIV Post Pentecosten I. Septembris-Semiduplex Dom. minor *I*      In Decollatione S. Joannis Baptistæ 

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis – Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris – Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE (167)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (III)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

III. — La Religione;

D. Ammettendo Dio e la Provvidenza di Dio, si è certamente preparati all’idea religiosa; ma non sì è forzati ad aderirvi. Che cosa veramente intendi tu per religione?

R. Della religione si possono dare definizioni abbastanza varie; io ti propongo questa: la religione è il vincolo che lega la creatura umana alla realtà misteriosa dalla quale sente di dipendere essa e l’ambiente in cui vive, e dalla quale per conseguenza dipende il suo destino.

D. Ma a che pro questo « vincolo »?

R. Questione immensa, tu ben lo supponi.

D. Io chiedo una breve indicazione.

R. Il visibile non basta al nostro sforzo di vita, a quello slancio interiore che ci anima. La potenza di espansione che si spiega in noi cerca un altro oggetto. Sia per la conoscenza, sia per la durata, la potenza, la rettitudine e la gioia del nostro essere, noi proviamo un bisogno di allargamento, di tutela, di pienezza felice che questo mondo non ci fornisce punto. La nostra mente è arrestata dal mistero, la nostra libertà è incatenata da fatalità inesorabili; il nostro appetito di felicità cozza con la sofferenza, con le umiliazioni, con le incomprensioni, con le separazioni, con la morte. La vita non ci appartiene e non ci basta. Le nostre relazioni col visibile lasciano libero un istinto di sociabilità superiore che il Dio sconosciuto sollecita e dovrà soddisfare. « L’infinito mi tormenta, a mio dispetto »; non è una vana parola. Per rispondere a questo soprappiù di attività interiore che nessun oggetto reale esaurisce, è veramente l’infinito, che in un modo o in un altro deve entrare nella nostra vita. Non si tratta di una forza estranea; bisogna che essa sia intima, poiché la vita interiore sarà la sua prima cliente; bisogna ancora che sia trascendente. A questo doppio segno non si riconosce forse la realtà sovrana, quella realtà che è il retrofondo di tutto e del nostro essere stesso, cioè il divino?

D. Credi tu veramente di avere così un fatto universale?

R. Sì, è un fatto universale; l’etnografia e la storia lo attestano. Ed è un fatto universale perché è un fatto umano e autentico, non è una superfetazione; non è un sentimento parassita; non è, etimologicamente, una superstizione; ma è una necessità vitale, richiesta da uno sforzo di adattamento superiore, e, se si può dire, di totalizzazione della vita. Niente è totale, per noi, se si sopprime l’oggetto della religione e la religione stessa. Onde la religione è «un prodotto dell’uomo normale », come dice Renan. Max Muller la chiama «la roccia solida, il granito primordiale e indistruttibile dell’anima umana ». Per Bergson, essa fa parte di ciò che egli chiama dati immediati della coscienza. Per questo Quatrefages ha definito l’uomo «un animale religioso »; «un animale che ha una finestra su Dio », come traduce lepidamente uno dei nostri giovani poeti (GIUSEPPE DELTEIL).

D. Io non posso trattenermi dal pensare che, seguendo lo slancio religioso, come tu dici, lo spirito umano fugge per la tangente, e sì crea una preoccupazione estranea alla vita.

R. Estranea alla vita inferiore e parziale, sì; estranea alla vita umana integrale, no. Se mi fosse lecito servirmi di un paragone un po’ strano, direi: Vi sono animali striscianti animali ambulanti, animali volanti, e solo l’uomo si schiera in queste tre specie: egli striscia per la sua vita fisica; cammina per la sua ragione; vola per la religione.

D. Vi son di quelli che non provano punto il bisogno di volare.

E. Vi son anche di quelli che non sentono affatto il bisogno di camminare, cioè di esser ragionevoli; vi sono perfino di quelli che rifiutano di strisciare menando la vita fisica, poiché si uccidono. L’uomo nondimeno per natura, è un vivente e un essere ragionevole. È parimenti, per natura, un essere religioso, benché a volte, per lo meno durante lunghi periodi della sua vita, egli non lo senta. «I cuori angusti, scrive Rousseau, non sentono mai il vuoto, perché sono sempre pieni di niente ». Ciò non si verifica meno dei cuori larghi, quando consentono, per impulso di passione o per negligenza, al loro proprio restringimento.

D. È dunque possibile che si abbia bisogno di essere destati a questo sentimento che dici istintivo?

E. Vi sono infatti degli istinti che dormono, come vi sono degli istinti che si corrompono. È la gloria della religione il rispondere, nello stesso tempo che agli inviti degli uomini, ai loro presentimenti ignorati.

D. Mi sembra paradossale dare alla vita un orientamento non proporzionato ad essa.

R. «Quello che mi occupa, scrive Emilio Faguet, è ciò che è secondo la mia misura; quello che mi preoccupa, è ciò che mi oltrepassa, I metafisici — e gli uomini religiosi — sono trattati da folli da alcuni belli spiriti o da alcuni spiriti più o meno belli; ma il « demente » sarebbe colui che, svegliandosi in treno e non sapendo più donde è partito e non sapendo dove va, contemplasse il suo scompartimento, lo verificasse, lo analizzasse, prendesse delle note, e non si desse pensiero donde ha potuto partire e dove può arrivare ».

D. Vi furono sempre molti dementi di questa specie, e temo che tu esageri, almeno per la Francia, l’importanza del fatto religioso.

R. Apri solo il piccolo Larousse tascabile alla parola Saint. Lì si vede come il popolo di Francia è nato, e quali furono i padrini del suo battesimo.

D. Ad ogni modo, molti ci vedono oggi un anacronismo.

R. Coloro che chiamano la religione un anacronismo dimostrano col loro atteggiamento che essa è piuttosto ai loro occhi un rimprovero. Di fatto, la religione è la preoccupazione di tutti, e più ancora di coloro che la negano.

D. Se certuni fanno a meno della religione, è certamente perché non è loro necessaria.

R. Necessaria perché?

D. Per essere felici e buoni.

R. Ma se la religione è vera, è necessaria a tutti per essere nel vero, ed essere nel vero è necessario per essere buoni, necessario per essere felici, come essere sulla buona strada è necessario per essere un buon viaggiatore, e perché si arrivi.

D. Tu rischi di attribuire alla religione ciò che dovrebbe essere attribuito alla morale?

R. Una vita morale è indispensabile a tutti, e chi pretendesse di sottrarvisi sotto colore di religione, più ancora che l’uomo, offenderebbe la religione stessa. Ma la moralità senza la religione non potrebbe bastare; perché, oltre le impotenze alle quali sovviene la religione e le nostre cadute ch’essa rialza, è ancora un articolo di legge morale di rendere a Dio quello che gli è dovuto, e come Egli lo intende.

D. Resta che in certi limiti, la moralità, di fatto, sì mostra indipendente dalla religione.

R. Coloro che se lo immaginano ignorano dunque che le loro idee morali sono idee religiose a mala pena abbozzate; che la loro moralità è venuta alla luce e non sussiste se non in grazia di un ambiente spirituale impregnato di senso cristiano? Colui che parla dell’inutilità della religione per la sua vita morale rassomiglia all’arbusto che, nella foresta umida, credesse inutili la sorgente, le piogge, i fiumi, il lontano oceano.

D. La religione non avrebbe oggi dei succedanei più alti di lei stessa a compiere il suo ufficio, di modo che la parte che essa si attribuisce ancora non sarebbe che una parte usurpata?

R. Di quali succedanei parli tu?

D. Ho già menzionato la morale, ora penso alla scienza.

R. Abbiamo veduto la scienza impotente a sostituire Dio come spiegazione delle cose; eppure la spiegazione è la parte sua propria: tanto meno sarà essa in grado di fare altre parti divine, che non sono più del suo dominio.

D. Eppure la scienza importa alla vita.

E. Sì certamente! La scienza è una conoscenza direttrice di un potere; essa accerta l’ordine dei fenomeni e se ne vale per l’azione, per utilissime creazioni. Ma il suo valore esplicativo è debole; anzi molti lo mettono in dubbio; esso è nulla finora riguardo ai fatti più generali, quelli che condizionano e potrebbero giustificare tutti i fenomeni visibili. In quanto all’interpretazione e alla direzione della vita umana, la scienza è, per natura, radicalmente impotente, o meglio estranea. E che cosa offre essa di efficace contro il dolore, la miseria morale, l’insufficienza vitale, la morte?

D. Donde avviene allora che là dove la scienza avanza, la religione indietreggia?

R. Tu generalizzi indebitamente; questo fatto, là dove si produce, è dovuto a un’ostruzione momentanea, a un’infedeltà orgogliosa. Oppure intendi parlare delle false religioni. Infatti è ben certo che la scienza ha detronizzato il dio-sole, il dio-nube, il Giove che lancia la folgore, il dragone che produce le ecclissi, e tutto ciò che rassomiglia a questi trastulli religiosi. Essa ha eliminato i guaritori per incantesimo, le streghe, gli oracoli; ha contribuito a epurare il sentimento religioso in seno alle popolazioni cristiane stesse, e conviene essergliene grati. Ma nulla di tutto questo tocca il fondo delle cose, e il dominio del soprannaturale resta inviolato; la vita è lasciata alle sue insufficienze essenziali; di fronte alle conquiste della scienza, noi sentiamo forse più che mai quel che manca alla scienza e quel che fa d’uopo agli uomini al di là di tutto l’umano. A forza di misurare il visibile, si deve giudicare sempre più come un vuoto spaventoso l’assenza dell’invisibile.

D. Non si vedono tuttavia di quelli che si attaccano alla scienza disperatamente, come all’unica salvezza?

R. Costoro non sono generalmente dei sapienti, e sono spesso degli appassionati che cercano un alibi per il loro odio, «Io sospetto fortemente, come scrive Andrea Gide a proposito di Remy Gourmont, che non amino tanto la scienza se non per detestare meglio la religione »,

D. Ma se sono dei genii?

R. Allora sono « degli uomini prodigiosi a cui manca tutto » (RENATO SCHWOB).

D. Credi tu che la scienza e la religione si disputeranno così per lungo tempo la direzione delle anime?

R. È troppo anormale che si sia fatto della scienza un duello tra l’uomo e Dio; un tale stato di cose è transitorio! « Vaneggiare dei proprii lumi », come dice Barbey d’Aurevilly, è cosa che mai non ha se non un tempo. Ascolta una bella profezia ottimista. « Noi siamo in un’era del mondo in cui l’umanità sta per fare un passo. Dopo tre secoli, essa porta innanzi un piede da gigante accanto alla natura, e non sapendo dove posare l’altro, si snerva e si stanca. Il mondo è troppo piccolo per i suoi due piedi, gli occorre l’al di là, come per misurare il sole occorre all’astronomo un’altra base diversa dalla terra. Un giorno, la religione e la scienza che sembrano oggi allontanarsi l’una dall’altra, come i due piedi di un uomo che cammini con la lentezza dei secoli, si ricongiungeranno nella luce, E l’umanità avrà fatto il suo passo » (GIUSEPPE SERRE).

D. Tra i succedanei religiosi, volevo anche parlare dell’arte. Non hai detto tu stesso: l’arte è una religione?

R. Lo dicevo per metafora, a cagione dello stretto rapporto di questi due ordini di fatti. Ma come l’arte sostituirebbe la religione, poiché in fondo vive di essa? Per una parte le è identica, perché anch’essa si eleva, da ciò che si vede, a quello che non si vede, poi anch’essa discende alle radici delle cose. Ma bisogna che essa si completi. L’artista non religioso è un artista incompleto. L’artista che rigettasse veramente e radicalmente ogni religione, non avrebbe più nulla da dire.

D. Tuttavia a molti artisti bastò l’arte.

R. Certi l’hanno detto; forse l’hanno pensato; ma il loro cuore non lo credeva. Dagnan-Bouveret, pochi anni prima della sua morte ammirabilmente cristiana, scriveva: « La mia povera mente, che non si pasce che di dubbi, trova almeno nella contemplazione della luce e dell’ombra qualche cosa di bello e d’indiscutibile nella sua eternità, che l’attira e affascina. E si abbandona a questa certezza evidente per lei, problematica per il cieco, insufficiente per il credente, con tutto il trasporto d’un disperato ».

D. La filosofia, almeno, può bastare a se stessa, poiché è una sapienza.

R. Essa è un « amore della sapienza », come indica il suo nome, e appunto per questo, il suo compito è di condurre alla religione, di rischiarare la religione ne’ suoi rapporti coi pensieri terrestri, di costituire, in grazia della religione che la prolunga dall’alto, la sintesi eminente del sapere. Ma sostituire la religione non sarebbe possibile alla filosofia se non a patto che essa disponesse del suo proprio oggetto, in vece di conoscerlo soltanto — se essa lo conoscesse con una cognizione sicura, in vece di cedere a tutti i venti di dottrina — se lo conoscesse con una cognizione viva, in vece di costituirsi in un sistema di astrazioni, e se avesse il potere di diffondere questa cognizione in tutti gli uomini, invece di confinarsi nei limiti d’una scuola o anche di un cervello. La filosofia è un mandarinato; la filosofia vede lacerare le sue membra che le sette si dividono; la filosofia vive di nozioni astratte, quasi ignara dell’azione, estranea all’immaginazione e al cuore degli uomini, impotente a sostenere la vita senza disporre di nessuna promessa eterna, non fosse che per quella parte di eternità che il tempo importa. La religione vuole essere un vincolo effettivo tra l’uomo e Dio; la filosofia non offre in fatto di vincolo altro che il tenue filo della logica dimostrativa, vero filo della Vergine, che svolazza in aria e non porta niente. Che cosa è una scuola filosofica di fronte alla Chiesa universale? e che cosa è l’insegnamento d’una filosofia umana di fronte a questo: Dio è nostro Padre; Egli c’invita, in seno alla sua Trinità, a un’intimità domestica; Lui stesso ha visitato la nostra terra e misteriosamente l’abita ancora; Egli ci unisce in una società della quale è l’invisibile capo, della quale il suo Spirito è l’anima, e, dopo questo tempo di prova durante la quale ci consola, ci promette una vita perfetta, la reintegrazione del nostro corpo, una perpetua e comune felicità?

D. Non è questa una filosofia?

R. È una filosofia, e la più grandiosa. « Il Cristianesimo è la prima religione che sia stata, nello stesso tempo, una filosofia » (Pietro Lasserre). Ma tal è nello stesso tempo. Il Cristianesimo è ancora un’altra cosa, esso è una fede.

D. Vi sono delle grandi filosofie fuori della fede.

R. Le filosofie senza fede sono come case vecchie sopra un promontorio di sabbia; esse scintillano al sole, ma l’interno è mediocre, e di fuori il mare le corrode.

D. Non dicono dunque mai il vero, o il vero che dicono, non avrebbe pregio?

R. Dicono spesso il vero, ed esse stesse sarebbero vere, se tollerassero il loro proprio compimento nella verità plenaria. Ma oltre ai loro errori, credendo di bastare a se stesse, si annichilano; perché chi rigetta il tutto non può conservare la parte, e « chi ritira il Verbo, distrugge la parola » (PAOLO CLAUDEL). « Ogni filosofia, scrive Lachelier, è astratta e formale, semplice aspirazione o folle esigenza del pensiero, che non finisce in religione ».

D. Perché la filosofia non è fatta per tutti?

R. Per la stessa ragione che il calcolo integrale.

D. Perché non fa capo a qualche cosa di fisso e di sicuro?

R. Perché lo spirito umano è debole, orgoglioso, appassionato, e quello che è sicuro, in queste condizioni, è l’insicurezza; quello che è fisso, è la disputa. Le divisioni della mente e i suoi traviamenti hanno le medesime cause che le nostre liti domestiche o sociali, e sono i nostri vizi.

D. Ma tutto questo non agisce punto nel mondo religioso?

R. Questo agisce dovunque; anche i teologi non sono meno divisi, nel loro campo, che i filosofi nel proprio. Ma la religione ha modo di limitare questo male umano con mezzi divini; essa può mantenere l’essenziale e pervenire al cuore dell’unità umana. Gli errori teologici girano attorno al dogma, il quale rimane, mentre l’errore filosofico, periodicamente, altera o spazza via tutto. Perciò la filosofia disserta senza concludere, là dove la religione afferma; la filosofia ricomincia, mentre la religione conserva ed applica. Ma al di sopra di tutto, la religione è universalmente umana, popolare nel grande senso, nello stesso tempo che sublime. Il suo Dio non è un interlocutore dei genii, ma un Padre; ai genii si rivolge come agli altri, ma inoltre Egli « annunzia il Vangelo ai piccoli »; ecco il suo segno; Egli conta con quelli che non contano punto.

D. Tu patrocini per le religioni positive, o il vero che dicono non e specialmente per la tua; ma vi è una religione naturale, e che potrebbe bastare.

R. Quello che si chiama religione naturale non è che una filosofia, vagamente tinta di una religiosità presa dal Cristianesimo. In materia propriamente religiosa, essa fu chiamata « un corridoio aperto sopra il nulla » (ALBERTO DE MUN).

D. Quello che è naturale può forse essere un nulla?

E. La religione naturale è così poco nella natura che non è mai esistita. Fu scritto un libro o due con questo titolo; ma un libro non è un fatto. In nessun secolo, in nessun paese, si è prodotto un fatto collettivo che meriti l’appellazione che si usurpa.

D. E se si producesse?

R. Si produrrebbe necessariamente coi caratteri che io rilevo. La religione naturale è una pura filosofia, per conseguenza accessibile solo ai privilegiati, e la più umile umanità ha bisogno di vivere. È una dottrina astratta, tutta in idee, e vi sono i fatti; vi sono le particolarità del nostro essere, le difficoltà della nostra vita, gli accidenti della nostra via; vi è il male in noi e attorno a noi, e le incertezze delle nostre menti, e le debolezze del nostro volere, e gli eccitamenti dei nostri sensi, e i pericoli come le felici possibilità della vita collettiva. Che cosa ci propone la religione naturale per sovvenire a tutto questo? Con quale autorità? e per quali fini superiori che essa possa garantire? È un programma seducente in apparenza; è un manuale per un allievo maestro dei tempi andati; ma non un Credo o un formulario d’azione proprio di un’istituzione vivente; non è una religione.

D. Tu ricusi perfino di concepire uno sviluppo della vita naturale fuori del soprannaturale religioso?

R. Una natura fatta per l’infinito e che si chiude all’infinito non può che rattrappirsi e finalmente corrompersi. Essa è capace di qualche bene, ma non del bene.

D. Ecco per me la religione che tutti potrebbero ammettere: una religione puramente spirituale, cioè consistente in uno spirito, in un orientamento superiore del quale Cristo fosse il grande maestro, di cui il Vangelo fosse il libro scelto; che guidasse la nostra vita, ma senza rinchiuderci in un dogma stretto e rigido, sotto un’autorità dispotica, sottoposti a riti fastidiosi.

R. Questa supposta religione dello spirito è la religione del vago, la religione di coloro che non ne hanno punto e non ne vogliono avere, ma che una volta ne avevano una e ne hanno conservato il ricordo nostalgico. Essi credono al vero, al bello e al buono senza definire né l’uno né l’altro, senza garantire né facilitare il loro regno, senza unirci nel loro culto e nella loro pratica, senza mostrare la meta a cui ci faranno pervenire, insomma, senza effettuare niente di ciò che è l’oggetto d’una religione, né dare la minima risposta alle questioni che una religione propone. Sotto pretesto di « spirito », si abbandonano così gli uomini a un completo denudamento spirituale, e senza speranza.

D. Questa religione ha tuttavia degli adepti.

R. Ho detto il perché. Essa è predicata da vecchi cattolici romani diventati già protestanti ortodossi, diventati più recentemente protestanti liberali o razionalisti; essa è predicata anche da quei Cattolici snaturati che il modernismo ha prodotti. È il « profumo del vaso vuoto » di cui parlava Renan. Ma l’umanità non vive punto di profumo, né di vuoto; specialmente la più umile umanità, la massa, che questo bel dilettantismo non raggiunge.

D. I dilettanti di cui parli si orientano almeno verso l’avvenire, tu verso il passato.

R. Noi ci orientiamo verso l’eternità. L’idea che solo l’avvenire offre una speranza è un pregiudizio evoluzionista senz’alcun fondamento. L’evoluzione non tocca nel loro fondo altro che le realtà inferiori; quanto più si sale, tanto più si arriva a ciò che è immutabile e permanente, ed è naturalmente il caso della vita religiosa, rapporto essenziale dell’uomo, se così posso dire, con Colui che non muta,

D. Un ultimo succedaneo della religione non si potrebbe trovare nella politica, nel senso più largo della parola? Hai notato tu stesso l’aspetto sociale delle religioni: non sarebbero esse, a questo titolo, delle anticipazioni, e la laicità associata a un umanismo superiore, non sarebbe forse la verità definitiva?

R. Il giorno che mi sarà additata una società che funzioni fuori dell’influsso diretto o indiretto d’un principio religioso, io crederò al « laicismo » in quanto principio sociale. Ma fin qui gli onori della vita pubblica furono riservati alle religioni e alle loro filiali più o meno fedeli. Non vi fu mai società laica sotto il cielo.

D. La nostra, in Francia, dopo la separazione delle Chiese e dello Stato non sarebbe affatto laica?

R. Non ti fermare ai testi legislativi, ai discorsi, ai programmi; noi parliamo di vita sociale, e la vita sociale è tautt’altra cosa che questo.

D. Che cosa è dunque la nostra società detta « laica »?

R. È una società cristiana che della fede ha rigettato tutto ciò che desiderava di perdere, e che ne conserva, dopo avergli tolto la marca, tutto ciò che desidera di conservare.

D. E che sarebbe una società veramente laica?

R. Il nulla organizzato.

D. La religione dunque, secondo te, è necessaria alla civiltà?

R. Come una madre è necessaria a sua figlia, come un’anima è necessaria al suo corpo. La religione è l’anima delle civiltà; ne è l’origine. Si possono costruire delle ipotesi; ma i fatti sono più sicuri. Ora, nel fatto, le civiltà e le religioni si presentano nella storia come un unico fenomeno sociale. Le civiltà antiche procedono dagli dèi e dal loro culto; la civiltà moderna, che sola merita veramente questo titolo, lo merita a cagione del Cristianesimo, del quale è interamente formata. Quando la laicità avrà prodotto qualche cosa di indipendente che sia veramente e unicamente di essa, le cui origini religiose non siano evidenti per tutti, si potrà paragonare il suo valore di civiltà a quello del Cristianesimo. Per il momento, non ne parliamo.

D. Allora devi temere, per la civiltà, il movimento che ci porta via.

R. La notte che si estenderà sopra la nostra civiltà, se la Chiesa se ne ritira, sarà più nera che quella da cui la Chiesa l’aveva tratta un tempo. La civiltà e la morale sono un prestito consentito al mondo moderno dal Cristianesimo. Tu potresti sostituire ciò che non dipendesse che da te stesso; potresti quindi ignorarlo e dissiparlo senza rischio. Ma ciò che hai da altri e che altri ti mantiene per un influsso segreto, lo perdi per l’ingratitudine, nello stesso tempo che l’amicizia più preziosa che te lo assicurerebbe. « Non cercare il regno di Dio, e il resto ti sarà ritirato per soprappiù » (AGOSTINO COCHIN).

D. Ecco una terribile sentenza! Ma ne fai una profezia?

R. Io credo all’avvenire, perché credo a Dio e all’uomo, perché vedo all’opera immense forze del bene. Si ha un bel fare, ma la nostra civiltà è ancora adagiata a piè della croce come una leonessa impaziente o distratta. Se tuttavia il movimento « laico » avesse il sopravvento, e se gli uomini di domani non sapessero riprendersi e fermarsi a tempo sopra la china, la stessa violenza dei fatti materiali riaprirebbe per noi il mondo dello spirito.

D. Sarebbe ancora la salvezza.

R. La verità può vincere l’errore dandogli vinta la causa, come un fino politico si vale del partito avverso lasciandogli momentaneamente il potere.

D. Da chi dipende l’avvenire che tu vagheggi?

R. L’avvenire è nelle mani delle giovinezze nuove. L’avvenire è nelle mani di Dio.

LA SUMMA PER TUTTI (6)

LA SUMMA PER TUTTI (6)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA DI S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE SECONDA

L’UOMO VENUTO DA DIO E DESTINATO A RITORNARE A DIO

SEZIONE PRIMA

Idea generale del ritorno dell’uomo a Dio

CAP. I.

Rassomiglianza dell’uomo con Dio nella libera gestione di ciò che lo riguarda.

403. L’uomo ha qualche rassomiglianza speciale con Dio, nelle sue azioni?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ha una rassomiglianza speciale con Dio.

404. In che cosa consiste questa rassomiglianza speciale che l’uomo ha nelle sue azioni con Dio?

Consiste in questo, che come Dio dispone di tutto l’universo che dipende da Lui a suo piacimento e con tutta libertà, così l’uomo dispone a suo piacimento e con tutta libertà di ciò che dipende da lui (Prologo).

Capo II.

Del fine ultimo dell’uomo in tutte le sue azioni: la felicità.

405. L’uomo ha sempre uno scopo in ciascuna delle sue azioni?

Sì; l’uomo in ciascuna delle sue azioni ha sempre uno scopo, quando agisce come uomo e non come una macchina, ossia per impulso e reazione puramente fisica o istintiva (I, 1).

406. Non vi è che l’uomo nel mondo materiale che abbia uno scopo nelle sue azioni?

Sì; nel mondo materiale non vi è che l’uomo, che abbia uno scopo nelle sue azioni (I, 2).

407. Ne segue che tutti gli altri esseri, nel mondo materiale, agiscano senza alcuno scopo?

No; non ne segue che tutti gli altri esseri nel mondo materiale agiscano senza alcuno scopo. Tutti anzi agiscono sempre per uno scopo ben determinato; ma non hanno affatto questo scopo come cosa che essi si propongono: è Dio che lo ha per loro e lo ha loro fissato (I, 2).

408. Tutti gli altri esseri agiscono dunque in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio?

Sì; tutti gli altri esseri agiscono in vista di un fine, ossia per raggiungere uno scopo segnato loro da Dio (I, 2).

409. Dio non ha segnato all’uomo lo scopo per il quale agisce?

Sì; Dio ha segnato anche all’uomo lo scopo per il quale agisce.

410. Che differenza passa dunque tra l’uomo quando agisce, e gli altri esseri del mondo materiale?

L’uomo può fissare a se stesso, sotto l’azione superiore di Dio e dipendentemente da questa azione, lo scopo per il quale agisce; mentre gli altri esseri del mondo materiale non fanno che eseguire ciecamente, per loro natura e per loro istinto, ciò che Dio ha segnato come fine della loro azione (I, 2).

411. Da che cosa deriva questa differenza tra l’uomo e gli altri esseri materiali nelle loro azioni?

Questa differenza deriva da ciò, che l’uomo ha la ragione e gli altri esseri no (I, 2).

412. Esiste per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli stesso si propone nelle sue azioni?

Sì; esiste sempre per l’uomo uno scopo supremo, ossia un fine ultimo che egli si propone nelle sue azioni; perché senza questo ultimo fine e questo scopo supremo non potrebbe niente volere (I, 4, 3).

413. L’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo fine ultimo, ossia a questo scopo supremo che si propone?

Sì; l’uomo nelle sue azioni ordina tutto a questo ultimo fine, ossia a questo scopo supremo che nelle sue azioni si propone; se non sempre in maniera cosciente ed esplicita, almeno implicitamente e per una specie di istinto naturale nell’ordine della ragione (I, 6).

414. Qual è il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre, ed a cui ordina tutto nelle sue azioni?

Il fine ultimo, ossia lo scopo supremo che l’uomo si propone sempre ed a cui ordina tutto nelle sue azioni è la felicità (I, 7).

415. L’uomo vuole dunque necessariamente essere felice?

Sì: l’uomo vuole necessariamente essere felice.

416. È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice?

È assolutamente impossibile trovare un uomo che voglia essere infelice (V; 8).

417. L’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Sì; l’uomo può ingannarsi sull’oggetto della sua felicità, perché potendo cercare il proprio bene in beni molteplici e diversi, può ingannarsi sul suo vero bene (I, 7).

418. Che cosa accade se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità?

Se l’uomo si inganna sull’oggetto della sua felicità, accade che invece di trovare la felicità al termine delle sue azioni, non troverà che la più orribile infelicità.

419. È dunque sommamente importante per l’uomo di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità?

Non vi è niente di più importante per l’uomo che di non ingannarsi sull’oggetto della sua felicità.

Capo III

Dell’oggetto di questa felicità.

420. Qual è l’oggetto della felicità dell’uomo?

L’oggetto della felicità dell’uomo è un bene superiore a lui, e nel quale soltanto può trovare la sua perfezione (II, 1-8).

421. Sono le ricchezze oggetto della felicità dell’uomo?

No; non sono affatto le ricchezze perché esse sono inferiori all’uomo, e non bastano ad assicurare il suo bene totale e la sua perfezione (II, 1).

422. Sono gli onori?

No; non sono gli onori perché gli onori non dànno la perfezione, ma solo la suppongono quando non sono falsi; e se sono falsi non sono niente (II, 2).

423. È la gloria o la fama?

No; perché esse non hanno valore se non si meritano; e di più sono cosa fragilissima e molto vana tra gli uomini (II, 3).

424. È la potenza?

No; perché la potenza è per il bene degli altri, ed è alla mercè dei loro capricci e dei loro rivolgimenti (II, 4).

425. È la sanità o la bellezza del corpo?

No; perché sono beni troppo fragili, d’altra parte, non sono che la perfezione esteriore dell’uomo, non la perfezione della sua anima e del suo interno (II, 5).

426. Sono i piaceri nei quali può aver parte il corpo?

No; non sono affatto i piaceri nei quali può aver parte il corpo, atteso che questi piaceri sono ben poca cosa paragonati ai piaceri superiori della mente, che sono propri dell’anima (II, 6).

427. La felicità dell’uomo consisterebbe dunque nel bene dell’anima?

Sì; la felicità dell’uomo consiste nel bene dell’anima (II, 7).

428. E qual è questo bene dell’anima, in cui consiste la felicità dell’uomo?

Il bene dell’anima in cui consiste la felicità dell’uomo è Dio, Bene Supremo, Sommo ed Infinito (II, 8).

Capo IV.

Del possesso di questa felicità.

429. Come può l’uomo arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo, e goderne?

L’uomo può arrivare a possedere Dio, suo Bene Supremo e goderne, con un atto della sua intelligenza mossa a questo fine dalla sua volontà (III, 4).

430. Che cosa ci vuole perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza?

Perché l’uomo trovi la sua perfetta felicità in questo atto della sua intelligenza, bisogna che Dio sia da lui raggiunto come è in Se stesso, e non solamente quale può essere raggiunto per mezzo delle creature, qualunque esse siano (II, 5-8).

431. Come si chiama questo atto per mezzo del quale Dio è raggiunto dalla intelligenza; come è in Se stesso?

Questo atto si chiama « la visione di Dio » (III, 8).

432. Dunque la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio?

Sì; la perfetta felicità dell’uomo consiste nella visione di Dio (III, 8).

438. Questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà, porterà seco tutto ciò che può essere una perfezione per lui, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui?

Sì; questa visione di Dio, quando l’uomo la possederà in tutta la sua pienezza, porterà seco necessariamente tutto ciò che per l’uomo può essere una perfezione, nella sua anima, nel suo corpo ed in tutto quello che sarà intorno a lui; perché essendo essa il bene dell’uomo nella sua più alta origine, si riversa in tutto ciò che è dell’uomo per colmarlo e perfezionarlo (IV, 1-8).

434. Sarà dunque per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male?

Sì; sarà per l’uomo il possesso di ogni bene e la esclusione di ogni male (Ibid.).

Capo V.

Del mezzo d’assicurarsi questo possesso; ossia delle buone azioni che lo meritano e delle azioni cattive che lo fanno perdere.

435. L’uomo può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio, che costituisce la sua perfetta felicità?

No; l’uomo non può conseguire su questa terra ed in questa vita la visione di Dio che costituisce la sua perfetta felicità, perché le condizioni e le miserie della vita presente sono incompatibili con una tale pienezza di felicità (V. 3).

436. Come potrà l’uomo conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità?

L’uomo non potrà conseguire la visione di Dio che deve costituire la sua perfetta felicità, se non ricevendola da Dio stesso (V, 5).

437. Dio gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti?

No: Dio non gliela concederà senza che esso vi si prepari e la meriti (V, 7).

438. Dunque che cosa deve fare l’uomo su questa terra ed in questa vita?

L’uomo su questa terra ed in questa vita non deve che prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui e tutto ciò che dovrà accompagnarla, quando Dio stesso gli darà la sua ricompensa.

Capo VI.

Che cosa comporti l’atto umano, all’effetto di essere un atto buono meritorio, o un atto cattivo demeritorio, parlando del merito e del demerito in generale.

439. Potreste dirmi con che cosa l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa? Sì; unicamente con i suoi «atti» (VI, Prologo).

440. Che cosa sono questi atti per i quali l’uomo, su questa terra ed in questa vita, può prepararsi per via di merito a ricevere un giorno da Dio la visione di Lui, che deve formare la sua eterna felicità a titolo di ricompensa?

Sono gli «atti di virtù».

441. Che cosa intendete per atti di virtù?

Sono gli atti che l’uomo compie con la propria volontà in conformità alla volontà divina, sotto l’impulso della grazia (VI-CXIV).

442. Che cosa si richiede perché gli atti dell’uomo siano compiuti con la sua volontà?

Si richiede che li compia spontaneamente e con cognizione di causa (VI, 1-8).

443. Che cosa intendete col dire che si richiede che li compia spontaneamente?

Intendo che si richiede che li compia da se stesso e senza esservi costretto comunque o

forzato (VI, 1, 4, 5, 6).

444. Come può essere l’uomo costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà?

L’uomo può essere costretto a fare qualche cosa contro la propria volontà in due maniere: con la violenza e col timore (VI, 4, 5, 6).

445. Che cosa intendete per violenza?

Intendo una forza estranea all’uomo, che lega le sue membra e lo impedisce di agire come vorrebbe; oppure lo costringe a fare esteriormente ciò che la sua volontà rifiuta (VI, 4, 5).

446. E che cosa intendete per timore?

Intendo un moto interno che induce l’uomo a volere una cosa che in altre circostanze non vorrebbe, per evitare un male che lo minaccia (VI, 6).

447. Ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario?

Sì: ciò che si fa sotto l’azione della violenza esterna è del tutto involontario (VI, 5).

448. Perché dite sotto l’azione della violenza « esterna »?

Perché la parola «violenza» si prende qualche volta anche per il moto interno della collera.

449. In questo caso, come nei casi di altri moti interni che eccitano od inclinano la volontà, si può parlare di involontario?

No; in questi diversi casi non si può parlare affatto di involontario, purché tali moti interni non siano così veementi che giungano ad impedire l’uso della ragione (VI, 7).

450. E quando si agisce per timore, vi è allora l’atto involontario?

Quando si agisce per timore l’atto è volontario, ma con un misto di involontario; nel senso che si vuole, sì, quello che si fa; ma si vuole a malincuore e per causa di un male che si cerca di evitare (VI, 6).

451. Avete detto anche che si richiede, perché gli atti dell’uomo siano compiuti di sua volontà, che siano compiuti con cognizione di causa?

Sì; e ciò vuol dire che se si fa una cosa ingannandosi sulla materia della cosa stessa la cosa che si fa non è volontaria (VI, 8).

452. Quella cosa sarebbe allora involontaria?

Sì, se sapendola non si sarebbe fatta (VI, 8)

453. Ciò che si fa o non si fa per ignoranza o per errore, può essere qualche volta volontario?

Sì; e lo sarà sempre quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore (VI, 8).

454. E quando si è responsabili di tale ignoranza o di tale errore?

Quando si sono voluti direttamente, sono effetto di colpevole negligenza (VI, 8).

455. L’atto che l’uomo compie di sua volontà, si presenta rivestito di certe circostanze di cui bisogna tener conto, e che possono contribuire al carattere di tale atto?

Sì; e niente è più importante della considerazione di queste circostanze, per apprezzare

come conviene l’atto che 1’uomo compie con la sua volontà (VII, 1, 2).

456. Potreste dirmi quali sono queste circostanze?

Sono le circostanze di persona, di oggetto o di effetto prodotto, di luogo, di causa, di mezzo, di tempo (VII, 3).

457. Che cosa si deve intendere per queste diverse circostanze?

Queste diverse circostanze riguardano il carattere o la condizione della persona che agisce, ciò che fa o risulta dal suo atto, il luogo dove agisce, lo scopo per il quale agisce, coloro che le servono di aiuto, il tempo in cui agisce (VII, 3).

458. Di queste circostanze quale è la più importante?

Quella del motivo per il quale si opera ossia dello scopo che ci si propone nell’azione.

459. È sempre la volontà che produce gli atti che l’uomo compie di sua volontà?

Sì; è sempre la volontà; ma qualche volta è la volontà sola, mentre altre volte sono altre facoltà ed anche i membri esterni del corpo, ma sotto l’impulso e per ordine della volontà (VIIT-XVII).

460. Dunque per l’uomo tutto si riferisce alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista della felicità del cielo da guadagnare o da perdere?

Sì; per l’uomo tutto si riferisce sempre alla volontà, negli atti che costituiscono la sua vita ed il valore di questa vita, in vista del cielo da guadagnare o da perdere. E ciò al dire che l’atto dell’uomo non ha valore se non in quanto emana dalla sua volontà; sia che essa stessa lo produca, sia che muova a produrlo le altre facoltà od i membri che lo producono (VIII-XXI).

461. Di tutti gli atti interni della volontà qual è il più importante, e che impegna definitivamente la responsabilità dell’uomo?

È l’atto di scegliere, ossia «la elezione» (XIII, 1-6).

462. Perché l’atto di scegliere, ossia la elezione, ha questa importanza?

Perché fa sì che la volontà si fermi con cognizione di causa e dopo deliberazione su di un bene determinato che essa accetta ed intende far suo, a preferenza di ciò che non è quello (XIII, 1).

463. La elezione è propriamente atto stesso del libero arbitrio?

Sì; la elezione è propriamente l’atto stesso del libero arbitrio (XIII, 6).

464. Dunque per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere?

Sì; per mezzo della elezione l’uomo assume in ogni cosa il suo vero carattere morale ed il suo reale valore, in ordine alla eterna felicità da acquistare o da perdere.

465. Come si divide la elezione dell’uomo relativamente al suo vero carattere ed al suo valore reale, in ordine alla vera felicità eterna da acquistare o da perdere?

Si divide in « elezione buona» ed «elezione cattiva » (XVITI-XXI).

466. Che cosa è la elezione buona?

È quella che porta ad una cosa buona, in vista di un fine buono, e di cui tutte le circostanze che accompagnano sono buone (XVII-XIX).

467. Da che si deduce la bontà della cosa, la bontà del fine e la bontà delle circostanze?

Tale bontà si deduce dal rapporto che tutte queste cose hanno con la retta ragione (XIX, 3-6).

468. Che cosa intendete per retta ragione?

Intendo la ragione illuminata da tutti i lumi venuti da Dio, o che almeno non è loro scientemente contraria.

469. Dunque quando l’uomo vuole e sceglie una cosa conforme alla retta ragione, con uno scopo e per un fine che la retta ragione approva ed in circostanze armonizzanti tutte e ciascuna con la retta ragione stessa, l’atto voluto e scelto dall’uomo è un atto buono?

Sì: allora, ed allora soltanto, l’atto dell’uomo è un atto buono. Se sopra qualcuno di questi punti l’atto dell’uomo non è conforme alla retta ragione, non è più un atto buono e diventa, benché in diversi gradi, un atto cattivo (XVIII-XXI). 5

470. Come si chiama l’atto cattivo?

L’atto cattivo si chiama «colpa» o «peccato » (XXI, 1).

Capo VII.

Dei moti affettivi dell’uomo, ossia delle passioni.

471. In materia di atti affettivi che possono contribuire al valore della sua vita, non vi sono nell’uomo che gli atti della sua volontà?

Nell’uomo vi sono ancora altri atti affettivi.

472. Quali sono nell’uomo questi altri atti affettivi?

Sono le «passioni» (XXII-XLVIII).

473. Che cosa intendete per passioni?

Per passioni intendo i moti affettivi della parte sensibile dell’uomo.

474. Non vi è che l’uomo che abbia questi moti affettivi della parte sensibile?

No; questi moti affettivi della parte sensibile si trovano in tutti gli animali (XX1I,1,2,8).

475. Tali moti affettivi della parte sensibile hanno negli altri animali un valore morale?

No; tali moti affettivi della parte sensibile non hanno negli altri animali un valore morale; solamente nell’uomo hanno un valore morale.

476; Perché solamente nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile hanno un valore morale?

Perché solamente nell’uomo sono in rapporto con gli atti superiori della libera volontà e sono soggetti al loro impero (XXV o XXIV, 1-4).

477. Quali sono nell’uomo questi moti affettivi della parte sensibile che si chiamano passioni?

Questi moti affettivi della parte sensibile dell’uomo che si chiamano passioni, sono i moti del cuore che si dirige verso il bene, o si allontana dal male che i sensi ci presentano (XXIII, XXIV o XXV).

478. Quante sono le specie dei moti del cuore?

Sono «undici» (XXII, 4).

479. Come si chiamano?

Si chiamano: amore, desiderio, piacere o gioia; odio, disgusto, tristezza; speranza, audacia, timore, disperazione, ira (XXII, 4).

480. Questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini?

Sì; questi moti del cuore occupano un gran posto nella vita degli uomini.

481. E perché questi moti del cuore occupano un sì gran posto nella vita degli uomini?

Perché gli uomini hanno in sé una doppia natura: ragionevole e sensibile; e la natura sensibile viene commossa per prima dall’azione del mondo sensibile in mezzo al quale viviamo, e donde ricaviamo tutti i dati stessi della nostra vita ragionevole.

482. Dunque i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva?

No; i moti del cuore o passioni non sono sempre e di per sé cosa cattiva.

483. Quando sono cosa cattiva questi moti del cuore o passioni?

Quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione.

484. E quando non sono nell’ordine voluto dalla retta ragione?

Quando tendono verso un bene sensibile o si allontanano da un male sensibile, prevenendo il giudizio della ragione o contrariamente a tale giudizio (XXV, o XXIV, 3).

485. Non sono che nella parte sensibile i moti di amore, di desiderio, di gioia, di odio, di disgusto, di tristezza, di speranza, di audacia, di timore, di disperazione e di ira?

Questi stessi moti si trovano anche nella volontà (XXVI, 1).

486. Che differenza passa tra questi moti, secondoché sono nella parte sensibile o nella volontà?

Vi è questa differenza, che nella parte sensibile implicano sempre una certa partecipazione dell’organismo ossia del corpo; mentre nella volontà sono puramente spirituali (XXXI, 4).

487. Quando si parla di moti del cuore, di quali moti affettivi si tratta, di quelli della parte sensibile o di quelli della volontà?

In senso proprio si tratta dei moti della parte sensibile; ma in senso metaforico si tratta anche di quelli della volontà.

488. Quando, dunque, si parla del cuore dell’uomo, si può trattare di questa doppia specie di moti?

Sì; quando si parla del cuore dell’uomo si può trattare di questa doppia specie di moti.

489. E quando si dice di un uomo che ha cuore, che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice di un uomo che ha cuore, talvolta si vuol dire che egli è affettuoso e tenero, di qualsiasi ordine di affezioni si tratti, o puramente sensibili od anche di ordine superiore; ed altre volte si vuol dire che ha coraggio ed energia.

490. Perché si dice qualche volta che bisogna vegliare sul proprio cuore: e che cosa si vuol dire con questo?

Quando si dice che bisogna vegliare su proprio cuore si vuol dire che bisogna guardarsi dal seguire inconsideratamente i primi moti affettivi, soprattutto di ordine sensibile che ci portano a cercare ciò che ci piace e a fuggire ciò che ci dispiace.

491. Si parla anche alle volte di educazione del cuore: che cosa si vuol dire con questo!

Si vuol dire che bisogna impegnarsi a non avere in sé che dei buoni moti affettivi.

492. Questa educazione del cuore così intesa è cosa importante?

Questa educazione del cuore così intesa riassume tutto l’esercizio dell’uomo nell’acquisto della virtù e nella fuga del vizio.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO

BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO QUARTO

SUI CAPITOLI OTTO E NOVE

SEZIONE II.

SUL CAPITOLO IX.

DEL QUINTO E SESTO ANGELO.

§ I.

Del quinto angelo che suonò la tromba.

CAPITOLO IX. VERSETTI 1-12.

Et quintus angelus tuba cecinit: et vidi stellam de caelo cecidisse in terram, et data est ei clavis putei abyssi. Et aperuit puteum abyssi: et ascendit fumus putei, sicut fumus fornacis magnæ: et obscuratus est sol, et aer de fumo putei: et de fumo putei exierunt locustæ in terram, et data est illis potestas, sicut habent potestatem scorpiones terræ: et præceptum est illis ne laederent foenum terrae, neque omne viride, neque omnem arborem : nisi tantum homines, qui non habent signum Dei in frontibus suis: et datum est illis ne occiderent eos: sed ut cruciarent mensibus quinque: et cruciatus eorum, ut cruciatus scorpii cum percutit hominem. Et in diebus illis quærent homines mortem, et non invenient eam: et desiderabunt mori, et fugiet mors ab eis. Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium: et super capita earum tamquam coronae similes auro: et facies earum tamquam facies hominum. Et habebant capillos sicut capillos mulierum. Et dentes earum, sicut dentes leonum erant: et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum: et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque: et habebant super se regem angelum abyssi cui nomen hebraice Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans. Væ unum abiit, et ecce veniunt adhuc duo væ post hæc.

[E il quinto Angelo diede fiato alla tromba: e vidi una stella caduta dal cielo sopra la terra, e gli fu data la chiave del pozzo dell’abisso. E aprì il pozzo dell’abisso: e dal pozzo salì un fumo, come il fumo di una grande fornace: e il sole e l’aria si oscurò pel fumo del pozzo: e dal fumo del pozzo uscirono per la terra locuste, alle quali fu dato un potere, come lo hanno gli scorpioni della terra: E fu loro ordinato di non far male all’erba della terra, né ad alcuna verdura, né ad alcuna pianta: ma solo agli uomini, che non hanno il segno di Dio sulle loro fronti. E fu loro dato non di ucciderli, ma di tormentarli per cinque mesi: e il loro tormento (era) come il tormento che dà lo scorpione, quando morde un uomo. E in quel giorno gli uomini cercheranno la morte, né la troveranno: e brameranno di morire, e la morte fuggirà da loro. E gli aspetti delle locuste, simili ai cavalli preparati per la battaglia: e sulle loro teste una specie di corone simili all’oro; e i loro volti simili al volto dell’uomo. E avevano capelli simili ai capelli delle donne: e i loro denti erano come di leoni. E avevano corazze simili alle corazze di ferro, e il rumore delle loro ali simile al rumore dei cocchi a più cavalli correnti alla guerra: e avevano le code simili a quelle degli scorpioni, e v’erano pungiglioni nelle loro code: e il lor potere (era) di far male agli uomini per cinque mesi: e avevano sopra di loro per re l’angelo dell’abisso, chiamato in ebreo Abaddon, in greco Apollyon, in latino Sterminatore. Il primo guaì è passato, ed ecco che vengono ancora due guai dopo queste cose.]

La stella che cadde dal cielo al suono della tromba del quinto angelo era l’imperatore Valente, uno zelante e potente falsificatore dell’eresia di Ario. Questo errore cominciò ad assumere tali proporzioni sotto questo principe, che l’Apostolo riferisce giustamente il suono della quinta tromba, a causa del grande danno che fece alla Chiesa. Questo principe fece più danni sostenendo e propagando questa eresia di quanto ne avesse fatti Ario nel predicarla e nel suonare la sua prima tromba. Sedotto dalle lusinghe di sua moglie, che si era lasciata prendere dalle insidie dell’arianesimo, e dalla perfida eloquenza di Eudosso, vescovo di Costantinopoli, il più colpevole di tutti gli ariani, questo imperatore divenne uno dei più ardenti sostenitori di questa setta. Fu battezzato dallo stesso vescovo e giurò di essere sempre fedele a questa empia dottrina; Anzi, egli la protesse con un tale zelo che divenne un vero e proprio persecutore dei Cristiani ortodossi. Non risparmiò contro di loro né l’esilio né la tortura; li bandì dai templi e proibì tutte le loro assemblee. Fu un acerrimo nemico dei monaci d’Egitto, che sradicò dalla loro solitudine per farli servire nella milizia. La descrizione dei suoi atti di furore si trova in Teodoreto e Baronio, che li hanno descritti. Aggiungeremo solo che il più perfido dei suoi crimini fu che, su istigazione dell’empio Eudosso, inviò ai Goti dei sacerdoti ariani che chiedevano invece di abbracciare la vera fede di Gesù Cristo. – Egli agì allo stesso modo nei confronti dei Vandali, che poi divennero nemici così formidabili per i Cattolici che nello spazio di 150 anni inondarono la Tracia, la Gallia, la Spagna, l’Africa, l’Italia, la Borgogna e altri paesi con incessanti incursioni, finché finalmente, sotto l’imperatore Giustiniano, nell’anno 527, Belisario e Narste sconfissero e annientarono questi barbari. (Ut habetur 21. Lib. spec. Hist. et pluribus chronologiis). I Vandali erano un immenso popolo di barbari e bellicosi, molto abili nell’arte della guerra e terribili per la velocità della loro marcia. Un’idea delle loro devastazioni può essere formata dalle dolorose prove che la Germania ha dovuto subire nel nostro secolo, per mano dei protestanti.

Vers. 1. – E il quinto angelo suonò la tromba. Questo angelo è collocato al quinto posto, secondo l’ordine della narrazione e della rivelazione di San Giovanni, che ripercorre le conseguenze ed i terribili danni derivanti dall’errore di Ario. Si sa, infatti, che fu l’empio Eudosso, un uomo presuntuoso e perfido, … che suonò la tromba e convinse l’imperatore Valente ad abbracciare questo errore. L’Apostolo continua: E vidi una stella cadere dal cielo sulla terra. Si tratta qui di paragonare l’imperatore Valente ad una stella, a causa delle sue qualità distinte, che lo avrebbero fatto brillare tra migliaia di principi, se non le avesse offuscate nell’oscurità dell’arianesimo. Egli viene anche paragonato ad una stella, a causa dell’insegna della dignità imperiale, che dovrebbe sempre far brillare gli imperatori e innalzarli al di sopra dei principi e dei popoli che sono loro soggetti, con una conoscenza più profonda della vera fede e per la superiorità delle loro virtù. E vidi una stella, l’imperatore Valente, che era caduta dal cielo, cioè dalla Chiesa di Cristo sulla terra. L’Apostolo dice al passato che questo imperatore è caduto a causa della sua ostinazione e del suo giuramento, che effettivamente adempì, poiché morì ariano. Si dice anche che sia caduto dal cielo alla terra, perché è stato abbandonato, disprezzato, rifiutato da Dio, e persino privato degli onori della sepoltura ecclesiastica, dopo essere morto miseramente. E gli fu dato la chiave del pozzo dell’abisso. Questa chiave si riferisce al potere imperiale, che gli era stato dato dall’alto, e Dio gli permise di usarlo in modo empio per diffondere l’eresia di Ario ovunque. Ed essa aprì il pozzo dell’abisso, cioè aprì ovunque la strada a questo errore, gli accordò la più grande libertà, e lo sostenne in tutti i suoi sforzi portando via, quasi in tutta la terra, le chiese e i vescovadi dei Cattolici, per consacrarli al culto dell’errore. Il pozzo qui significa, per metafora, l’eresia di Ario stesso, e l’abisso significa l’inferno; perché come le acque che scorrono sulla terra vengono dall’abisso dei mari, così anche tutte le eresie che scorrono sul mondo, vengono dall’inferno.

Vers. 2.- Ed ella aprì la fossa dell’abisso, e dalla fossa uscì un fumo, come il fumo di una grande fornace; e il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo.

II. Queste parole esprimono gli orribili mali che questa abominevole eresia produsse, sia nella Chiesa Cattolica che nell’Impero Romano. 1°. Per quanto riguarda la Chiesa, lo vediamo in queste parole: E dal pozzo si levò un fumo come il fumo di una grande fornace. Con il fumo, San Giovanni ci mostra l’esaltazione, la promozione e l’espansione dell’eresia di Ario; poiché il fumo sale nell’aria, oscura la luce, e si diffonde sulla terra, espandendosi nello spazio. Ora, tale è il carattere delle eresie che, dopo aver incontrato proponenti simili a Lucifero, che ne è il primo autore, si elevano al di sopra di tutto e salgono alle più alte regioni dell’intelligenza, oscurano il sole o la luce della verità, la divorano come un granchio roditore, e si diffondono sulla terra, corrompendo gli uomini e sterminando persino coloro che vogliono opporvisi. L’eresia di Ario è qui paragonata al fumo di una grande fornace, a causa della sua immensa potenza e della sua lunga durata, che superò tutte le altre, poiché durò fino al regno di GiustinianoI, nell’anno 527, ed ebbe come colpevoli e seguaci i più potenti ed illustri imperatori, re, patriarchi, arcivescovi, vescovi, etc. che si possano vedere nella storia ecclesiastica. E il sole e l’aria erano oscurati dal fumo del pozzo. Queste parole indicano una proprietà particolare di questa eresia, che era la denigrazione del nome di Cristo e della sua Chiesa; poiché il sole rappresenta Cristo, che era come oscurato nella sua gloria esterna, poiché gli ariani negavano che Egli fosse il figlio di Dio, vero Dio stesso e consustanziale al Padre; e con questa bestemmia Lo derubarono della Sua gloria divina davanti agli uomini. L’aria significa la Chiesa Cattolica, che è illuminata da Cristo, come il sole visible, diffonde la sua luce nell’aria. Ora, durante il regno di Valente e dei suoi potenti successori, la Chiesa fu veramente oscurata dall’arianesimo, a causa del gran numero di coloro che lo abbracciarono. Al tempo dell’imperatore Zenone, non c’era un solo monarca che fosse cattolico. Infine, si dice che il sole e l’aria furono oscurati dal fumo del pozzo, perché l’eresia di Ario non avrebbe mai conquistato un tale impero senza la protezione datagli da Valente.

III. Vers. 3. – E le locuste uscirono dal fumo del pozzo e si sparsero sulla terra. San Giovanni descrive con queste parole le orribili calamità che questa eresia diffuse nell’Impero Romano e in altri regni. Questi mali sono divisi in due parti, la prima delle quali è contenuta in queste parole: Fu dato loro di tormentarli (gli uomini) per cinque mesi. L’altra parte si trova in quest’altro passaggio: E il loro potere era di nuocere agli uomini per cinque mesi. Per comprendere queste cose, bisogna ricordare che Valente condusse nell’errore di Ario i Goti e i Vandali, che avevano chiesto di essere istruiti nella vera fede, e che li costrinse addirittura, con un trattato di alleanza, a far parte della sua setta, inviando loro sacerdoti ariani. Ma poco tempo dopo, per il giusto permesso di Dio, questo empio complotto cadde sulla testa di Valente stesso;  infatti i Goti, che erano divisi tra loro in più fazioni, si unirono di nuovo, pieni di fiducia nelle proprie forze, maltrattarono i Traci e devastarono crudelmente il loro paese. Valente, che si trovava allora ad Antiochia, appena informato di questo, riconobbe in questi atti l’effetto fatale dell’errore che aveva commesso, avendo perso per questa circostanza un potente alleato in quella nazione, così bellicosa e così utile a lui e al suo impero. Per quanto riguarda le sue truppe, ne aveva fatto così poco conto, che invece di assoldarli e cercare di accattivarseli, ne aveva chiesto un tributo, tanto è vero che Dio acceca quelli che da Lui si allontanano! – Dopo aver devastato la Tracia, i Goti marciarono su Costantinopoli; Valente inviò contro di loro Traiano, che fu immediatamente sconfitto, messo in fuga e costretto alla ritirata. Dopo questi antefatti, l’imperatore volle provare egli stesso la sorte delle armi, ma fu a sua volta sconfitto e sbaragliato presso Andrinopoli, e perì miseramente, bruciato in una capanna, nell’anno 378. È dopo di questo che i Goti, i Vandali e altri barbari prevalsero ovunque fino al regno di Giustiniano, A.D. 527; infatti, verso il 403, nella fazione di Stilicone, che aveva precedentemente oppresso Abagasio, re dei Goti, tenendolo rinchiuso nelle difese del Tesin con un esercito di 200.000 uomini, i Vandali, gli Svevi, gli Alani, i Burgundi e tutte le orde barbariche invasero la Gallia. Fu allora che Alarico, re dei Goti, rivendicando il trono dei Galli che Onorio gli aveva dato, si irritò e venne ad assediare Roma nell’anno 409. Questa città dovette riscattarsi al prezzo di denaro, e nonostante ciò fu assediata una seconda volta dallo stesso Alarico, che la prese e la spogliò delle sue ricchezze per tre anni consecutivi, sottoponendola così a prove più dure, per così dire, che se l’avesse distrutta. Si può vedere da Lechmanius, 1. I, c. 31, e da Baronio, quanto l’Impero d’Occidente abbia dovuto soffrire per le incursioni di Attila, degli Unni e di altri barbari, durante il regno di Valentiniano III, nell’anno 451 d. C. Più tardi Roma fu nuovamente saccheggiata da Genserico, capo dei Vandali. Odoacre, a sua volta, devastò l’Italia con un potente esercito di Eruli, e se ne impadronì per 14 anni. Questo sfortunato paese passò poi per molti anni sotto il giogo di Teodorico, re degli Ostrogoti, un principe barbaro ed avido, che sconfisse Odoacre presso Verona, nell’anno 475. Sotto l’imperatore Zenone, i Vandali passarono in Africa, e il loro re Unnerico consegnò ai Mori 4.966 Vescovi e sacerdoti, per essere deportati nei deserti, mentre gli Ostrogoti, da parte loro, occupavano l’Italia, la Gallia, la Borgogna e la Spagna. Così queste orde barbariche scorrazzavano di regno in regno e portavano rovina e desolazione, finché finalmente, verso l’anno di Gesù Cristo 510, Clodoveo, re dei Franchi, avendo abbracciato la fede cattolica, sconfisse e uccise Alarico, re dei Visigoti, che regnava da 22 anni nelle Gallie. (Era il secondo degli Alarico, re dei Visigoti, che fu ucciso per mano di Clodoveo sulle pianure di Vouillé, vicino a Poitiers, nel 507). Infine, nell’anno 527, Giustiniano il Grande, salito sul trono dell’impero, scacciò i Vandali dall’Africa con Belisario e Narsete, riconquistò Cartagine, annientò i Parti, che stavano devastando la Siria, uccise Totila, il quale, impadronitosi di Roma, l’aveva ridotta in cenere e aveva scacciato tutti i Goti dall’Italia. Così furono sterminate, dopo il corso di 150 anni, quelle nazioni feroci, e scomparvero con l’arianesimo, che l’imperatore Valente aveva suscitato, e fu da quel momento che la fede Cattolica cominciò a fiorire e a prosperare di nuovo. – Tuttavia, il veleno di Ario non scomparve completamente con tutto questo, perché Narsete fece esplodere con una specie di rabbia la gelosia che covava nel suo cuore contro Giustino il Giovane, governatore dell’Italia. Egli richiamò i Longobardi, di origine scandinava, che erano allora in Pannonia ed infettati dall’arianesimo (La Pannonia era una regione dell’Europa antica che faceva parte dell’Illiria occidentale: ora è la parte orientale del cerchio dell’Austria, tutta la bassa Ungheria, con la Schiavonia propriamente detta, e qualcosa delle province della Croazia, Bosnia e Serbia, nella Germania e nella Turchia europea. La Pannonia era divisa in diverse province, di cui le principali erano la Pannonia superiore e inferiore.), e si servì di questo potente e fedele alleato per cacciare i Goti. I Lombardi, partiti con gli Unni loro alleati, sotto la guida di Alboino loro re, nell’anno 570, occuparono prima la Gallia Cisalpina, poi invasero l’Italia e stabilirono la sede del loro potere a Pavia. San Gregorio, (Hom. 1 in Evangelium), e dopo di lui il diacono Paolo, 1. I, c. 5, raccontano che quando avvenne questa invasione, si videro di notte nel cielo segni terribili, dove si poteva distinguere nel cielo la presenza di armate di fuoco schierate in battaglia, e si vedevano anche scorrere il sangue umano che fu versato orribilmente in seguito. È con certezza che lo stesso San Gregorio considera (IV. Epist., lib. XXXIV, Dial. 3) l’invasione dei Longobardi in Italia come una delle più crudeli persecuzioni della Chiesa; poiché tutti i re, se si eccettua solo Agilulfo, che, avendo rinunciato all’arianesimo per entrare nella fede cattolica con tutta la sua nazione, regnò in seguito per quarant’anni; tutti i re, dicevamo, si mostrarono i più fervidi difensori dell’empietà di Ario. Questo terribile flagello durò non meno di 150 anni, fino al regno di Pipino, che salì sul trono dei Galli nell’anno 751, e avendo preso Ravenna, su richiesta di Papa Stefano, represse Astolfo, che allora portava scompiglio in Italia e negli stati romani. Poi suo figlio Carlo Magno, su richiesta del pontefice Adriano I, depose dal trono il successore e figlio di Astolfo, si impadronì della sua corona, e così finì la tirannia dei Longobardi. Infine, verso l’anno 774, con l’aiuto di Dio, questo pio e potente imperatore relegò la setta di Ario, con tutta la sua tirannia e crudeltà, nelle fosse dell’inferno, e la fede cattolica ricominciò a diffondersi in lungo e in largo, sia per terra che per mare, per la conversione degli Slavi in Pannonia, degli Unni, degli Svevi, dei Goti, degli Ostrogoti; e in Germania, dei Sassoni, dei Danesi e di quasi tutti i popoli germanici, soprattutto della zona settentrionale. Segue nel contesto:

IV. Vers. 3. E le locuste uscirono dal fumo del pozzo e si sparsero sulla terra. Per locuste intendiamo i barbari del nord, e specialmente e principalmente i Goti e i Vandali, infettati di arianesimo. È per metafora che l’Apostolo le rappresenta in forma di locuste, 1° per farci capire la moltitudine che doveva diffondersi ovunque, tra i popoli e le nazioni, come locuste; infatti il martire Metodio, Giordano Goto e il diacono Paolo riferiscono che dal nord vennero i Mussageti, gli Unni, gli Amazzoni, i Cimbri, i Parti, i Longobardi, gli Eruli, gli Svevi, i Bulgari, i Danesi, i Daci, i Germani, gli Slavi, i Burgundi, i Livoni, i Servi, i Normanni e i Celti, etc. Tutte queste nazioni si sparsero sulla terra come locuste, nei tempi stabiliti e permessi da Dio, e devastarono tutto ciò che si presentava loro davanti, così da poter essere giustamente considerate come piaghe che Dio si era riservato per punire il mondo intero e la cristianità in particolare, secondo le parole del profeta Geremia, I, 14: « Il male verrà dall’aquilone su tutti gli abitanti della terra. » Ibidem, IV, 6, 7, 9: « Porterò un male orribile e una grande distruzione dall’aquilone. Il leone è uscito dalla sua tana, il ladro delle nazioni si è alzato, è uscito dal suo paese per fare della vostra terra una desolazione, i vostri villaggi saranno devastati e resteranno disabitati, ecc. » 2° Come le locuste saltano da un posto all’altro, e cercando in nutrimento rovinano i campi, i prati, i raccolti e i fiori, così queste nazioni barbare passarono dalla Spagna alla Tracia, all’Africa e di là in Italia, poi nelle Gallie, etc., depredando e devastando tutto. – 3º Come le cavallette sono molto agili e fuggono con un solo balzo dalla mano che cerca di afferrarle, così queste nazioni si stabilirono ora in un luogo, e subito dopo in un altro. E le locuste uscite dal fumo del pozzo si diffusero sulla terra, perché l’eresia di Ario trovò appoggio nell’imperatore Valente, e tutte queste nazioni ne furono contagiate; e queste locuste si diffusero, etc., … per un giusto giudizio di Dio, sulla terra dell’impero, contro Valente stesso, e poi sulle altre terre e regni, come abbiamo detto. E fu dato loro un potere come quello degli scorpioni della terra. Il potere che questo popolo aveva da Dio e dalla natura è paragonato a quello degli scorpioni, 1° a causa della loro arma: infatti lo scorpione ha sulla sua parte anteriore la forma di un arco, e porta nella sua coda una freccia che è un dardo velenoso, con cui da la morte dell’uomo; e così queste nazioni avevano come arma una specie di balestra, per mezzo della quale lanciavano dardi acuti e sottili, la maggior parte dei quali velenosi con cui causavano lesioni gravi e persino mortali. – L’arma usata da queste nazioni aveva, inoltre, questa peculiare somiglianza con gli scorpioni, in quanto questi animali poggiano sulla loro parte anteriore delle braccia che hanno la forma di un arco; e così tutto il loro corpo, che termina con una coda armata di un pungiglione, rappresenta più o meno nella sua interezza la forma della balestra armata di una freccia. 2°. A causa della rapidità, perché lo scorpione è molto agile con la sua coda nel ferire l’uomo, e così queste nazioni erano molto abili e molto esperte nel maneggiare le loro armi, con le quali facevano piovere frecce mortali sui loro nemici. Ecco perché era molto difficile fare la guerra contro di loro, e la vittoria su di loro era raramente raggiunta. 3°. Questa somiglianza con lo scorpione si trova nella perfidia degli ariani, che era davvero come un veleno sottile e pericoloso, per mezzo del quale infettarono successivamente tutte le nazioni e quasi tutto il mondo, occupando uno dopo l’altro tutti i regni, e costituendo ovunque re ariani. 4°. Lo scorpione è un animale pericoloso, astuto e abile, che si nasconde nelle fessure delle pietre e negli angoli dei muri e delle case, per sorprendere gli uomini all’improvviso e ferire a morte chiunque non possa prevenirlo. Ora, tale era il carattere di queste nazioni barbare e feroci, molto astute nell’arte della guerra e molto ingegnose nell’invenzione di macchine, e allo stesso tempo prudenti e sapevano perfettamente come tendere trappole ai loro nemici per sorprenderli all’improvviso e impadronirsi dei loro paesi e delle loro città. Così essi ricoprirono il mondo di rovine e devastazioni.

Vers. 4. E fu loro proibito di danneggiare l’erba della terra. Queste parole ci mostrano la limitazione del potere ariano secondo la volontà di Dio, per la conservazione della sua Chiesa ed a vantaggio dei suoi eletti. Perché la giustizia di Dio permette, nei suoi imperscrutabili consigli, la maggior parte dei mali e delle calamità di questo mondo, in modo tale però da non portare al loro completo sterminio; e Dio sa come moderare e dirigere i mali che ci infligge, in modo che possano servire come castighi inflitti ai peccatori e agli empi, e come prove per gli eletti. Dio sa anche trarre dal male, beni sunlimi ed ammirabili. E ricevettero la proibizione, cioè la barbarie e la potenza di queste nazioni fu moderata e contenuta dai decreti di Dio. Per evitare che facessero del male all’erba della terra, cioè perché risparmiassero il popolo cristiano nei loro massacri, metaforicamente rappresentato dall’erba della terra. E a tutto ciò che era verde. Questo passaggio si applica alla nazione francese, che fu effettivamente risparmiata dai Goti e dai Vandali, e riservata come una giovane vite alla fede cattolica, che abbracciò con il suo re Clodoveo, che finalmente cedette alle continue sollecitazioni di Santa Clotilde, sua moglie, nell’anno 500 dell’era cristiana. Fu dopo una brillante vittoria ottenuta con l’aiuto del cielo sui Germani, che rgli divenne Cattolico e liberò l’Italia dall’ariano Alarico, re dei Visigoti, che uccise. Fu loro proibito danneggiare l’erba della terra, etc. ….. e a tutti gli alberi, cioè i prelati e i sacerdoti, che scamparono quasi tutti alla morte, sebbene ebbero molto da soffrire, soprattutto in Africa, per mano di Unerico, re dei Vandali. Ma solo agli uomini che non avevano il segno di Dio sulla fronte. Queste parole si riferiscono al resto dei pagani che non avevano ancora ricevuto il carattere del battesimo; è noto, infatti, che un gran numero di essi fu ucciso in Africa dai Vandali, ed anche nelle altre regioni che i barbari invasero. Ma siccome gli ariani si vantavano del nome di Cristiani, risparmiarono i Cattolici dalla morte, sebbene li affliggessero con molte calamità, facendo loro soffrire l’esilio ed altre avversità, come vediamo nella storia ecclesiastica.

Vers. 5E fu dato loro di non ucciderli. Questo passaggio si riferisce di nuovo ai Cristiani menzionati sopra. Nello stesso passaggio, la Scrittura passa talvolta da certe persone ad altre, come se questi fossero gli stessi di prima. (Ps. LXXVII, 38): « Quando li colpì, allora lo cercarono, ecc. », dove è evidente che coloro che furono colpiti a morte dal Signore non fossero quelli che lo cercavano. Ora, allo stesso modo, San Giovanni parla qui degli abitanti dell’Africa, alcuni dei quali erano Cristiani ed altri pagani. E così, passando dagli uni agli altri, dice nello stesso testo: E fu dato loro, cioè Dio permise a queste nazioni, non di uccidere i cristiani, ma di tormentarli. Questo è quello che è successo quando i Vescovi, i Dottori ed altri Cattolici furono mandati in esilio, e alcuni di loro furono anche maltrattati e perseguitati in vari modi senza perdere la vita. Infatti, come abbiamo detto, Unerico, re dei Vandali, sollevò una forte persecuzione contro gli ortodossi in Africa, ed in un solo colpo consegnò 4.966 Cescovi e sacerdoti ai Mori, per essere portati via nei deserti. Il suo successore fece la stessa cosa ed anche di peggio: fece strappare la lingua ai Vescovi ortodossi, il che non impedì loro, per un miracolo di Dio, di parlare e predicare. Dalla storia emerge la crudeltà con cui devastarono la Francia e ne uccisero gli abitanti. Sappiamo dalla stessa fonte quanti danni causaono i Vandali e gli Unni in Gallia. Si ricorda che Alarico, re dei Goti, pose l’assedio a Roma, che in seguito rimosse, e che l’anno seguente tornò in quella città, di cui si impadronì e saccheggiò per tre anni, senza tuttavia mettere a ferro e fuoco i suoi abitanti. La storia non è forse piena delle crudeltà di Attila, re degli Unni, chiamato il flagello di Dio; di Genserico, re dei Vandali, di Totila e Odoacre? E non sappiamo quanto questi ed altri barbari abbiano tormentato i Cristiani in mille modi diversi, a volte mettendoli in cattività, depredandoli e infliggendo loro orribili tormenti, nelle successive incursioni che fecero quasi in tutto il mondo? Per questo il testo aggiunge espressamente: E fu dato loro non di ucciderli, ma di tormentarli, a causa di vari crimini commessi dagli stessi Cristiani in diversi luoghi, e in Gallia in particolare, ed a causa dell’allentamento della disciplina ecclesiastica. Per cinque mesi. Queste parole designano la durata del potere e dell’impero di queste nazioni ariane. In questa occasione, bisogna notare che, nella Scrittura, i giorni contano come anni. Ora, come i mesi sono di 28, 30 o 31 giorni, prendendo un mese di 28 giorni, due mesi di 30 giorni, e altri due mesi di 31 giorni, si avranno cinque mesi, che fanno 150 giorni, cioè 150 anni, che è precisamente la durata del regno dei Goti, dall’anno di Gesù Cristo 377, fino all’anno 527, come è stato detto sopra. E il loro tormento era come quello dello scorpione quando punge un uomo. In queste parole troviamo un’altra caratteristica di queste nazioni; perché erano come una peste nella Chiesa Cattolica, infettando molti fedeli e facendoli morire spiritualmente, diffondendo il veleno dell’arianesimo nelle terre che occupavano. Perciò le ferite di questi nemici della Chiesa possono essere paragonate perfettamente al pungiglione dello scorpione; infatti come questo animale, quando vuole fare del male, 1° prima apre la pelle della sua vittima con il suo pungiglione; 2. fa fluire il suo veleno nella ferita 3° che provoca una ferita pericolosa; 4° che porta anche alla morte, se non si portano in tempo i rimedi appropriati; così queste nazioni 1° irruppero nei regni con la forza delle armi, per avere l’opportunità di fare del male e stabilirvi il loro potere. 2° Diffusero il veleno dell’errore nel corpo della Chiesa, che è stabilita in tutta la terra, e avvelenarono con esso i vari popoli. 3° Fecero una ferita profonda e pericolosa, calpestando la Chiesa e tutte le cose sante e sacre. 4°. Infine, causarono la morte spirituale di un gran numero di Cattolici, che abbandonarono la vera fede alla vista di un tale scandalo. I giusti che perseverarono nella loro fedeltà vennero afflitti e tormentati in presenza di tante calamità alle quali non potevano porre rimedio. Quindi l’Apostolo aggiunge immediatamente:

Vers. 6. – In quel tempo gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno; vorranno morire e la morte fuggirà da loro.

V. È infatti caratteristica dei santi e delle anime pie essere molto più angosciati che se dovessero sopportare la morte stessa, alla vista della perdita generale delle anime, la seduzione degli innocenti, la defezione dei fedeli, il disprezzo delle cose sante, la rovina delle chiese, l’esilio dei giusti e le bestemmie dei malvagi. Perché non potevano porvi rimedio, né impedire la prevaricazione della quale gemevano nei loro cuori. È allora che piangevano alla presenza del Signore, desiderando morire piuttosto che vedere i mali del loro popolo. Ne abbiamo un esempio nella Scrittura, che riferisce: « È meglio per noi morire in battaglia che vedere i mali del nostro popolo e del nostro santuario » (I. Mach., III, 59). ». E in questo tempo gli uomini cercheranno la morte, etc. Queste parole significano l’afflizione e la desolazione di quel tempo dell’arianesimo; e poiché queste disgrazie erano immense, specialmente per i prelati della Chiesa, l’Apostolo aggiunge: vorranno morire, e la morte fuggirà da loro. Possiamo vedere, infatti, da quanto precede, quanto grande fosse questa afflizione e desolazione che durò il considerevole spazio di 150 anni;  ed invase successivamente quasi tutti i regni, e si  sa che la Chiesa e i suoi prelati non hanno mai tanto da soffrire come quando hanno come avversari imperatori, re e principi; perché  allora i pilastri stessi della Chiesa si sgretolano, come Dio permise in particolare al tempo di Zenone, quando la Religione Cattolica non aveva un solo principe regnante, tra I suoi fedeli. Si dice che: Gli uomini cercheranno la morte e non la troveranno, per marcare la differenza del loro stato da quello dei martiri; perché al tempo delle prime persecuzioni, i fedeli cercavano con gioia e trovavano una morte gloriosa in mezzo ai tormenti, mentre in questo, Dio permise che i suoi eletti fossero orribilmente e a lungo tormentati, senza che ottenessero la gloria del martirio; cosa che era la più dolorosa da sopportare per gli uomini giusti.

Vers. 7. – E la faccia delle locuste era come quella di cavalli pronti alla battaglia; portavano sul capo come delle corone che sembravano d’oro. In questo testo l’Apostolo continua a sviluppare e spiegare le parole precedenti; e come aveva detto che i Goti e i Vandali erano locuste, ora indica le condizioni e le proprietà di queste nazioni sotto questo nome di locuste. 1° E la faccia delle locuste, cioè dei Goti e dei Vandali, era simile a dei cavalli preparati per la battaglia, per annunciare che sarebbero stati bellicosi, feroci e coraggiosi. Perché, proprio come i cavalli che stanno per combattere e ascoltano i corni e trombe, agitano le loro criniere, schiumano, solcano la terra con i piedi, sono quasi indomabili, si mostrano magnanimi e manifestano il loro ardore con i nitriti, calpestano tutto, e corrono verso la vittoria attraverso tutti gli ostacoli. Così, questi popoli del Nord aspettavano e desideravano la battaglia, e segnalavano il loro ardore, il loro coraggio e la loro impavidità con gli stessi gesti. Perciò l’Apostolo dice che erano come cavalli preparati per la battaglia; perché i cavalli sono pronti a correre in battaglia ogni volta che al loro cavaliere piace condurveli. Ora tali erano questi popoli, giustamente chiamati il flagello di Dio, aspettando solo il segnale della volontà divina per andare nel mondo a punire i Cristiani. Ecco perché si dice: « Tutto il male verrà dall’aquilone ». È dunque con tanta eloquenza quanto verità che San Giovanni rappresenta questi popoli come cavalli preparati alla battaglia. 2° Queste (le locuste) portavano sulle loro teste delle corone che sembravano d’oro. Queste parole denotano la falsa brillantezza dell’abilità, dell’astuzia, della lungimiranza e della prudenza umana, proprietà con cui queste nazioni barbare dovevano superare gli altri popoli e persino i Cristiani, secondo le parole di Gesù Cristo: (Luc. XVI, 8) « I figli di questo secolo sono più abili nel condurre i loro affari che i figli della luce. » Esse portavano come delle corone che sembravano d’oro, non che fossero corone come quelle indossate dai re, ma perché la saggezza è spesso paragonata ad una corona; infatti la saggezza deve formare dei re e incoronarli; e queste corone erano come corone che sembravano d’oro, cioè non erano assolutamente d’oro, ma assomigliavano all’oro, per esprimere la differenza della saggezza mondana dalla vera saggezza celeste, che solo è veramente come l’oro. 3°. E i loro volti erano come quelli degli uomini. Questo passaggio indica che queste nazioni dovevano essere cristiane. Perché bisogna sapere che in questo capitolo ci sono due diverse classi di uomini: – a. gli uomini che non sono segnati sulla fronte, e questi sono i gentili e i pagani, come è stato detto sopra; – b. e degli uomini semplicemente detti, che sono i Cattolici e i veri Cristiani di cui abbiamo parlato, parlando delle afflizioni che i Vandali inflissero loro. – In quel tempo gli uomini cercheranno la morte, cioè, perché queste nazioni barbare erano battezzate e si vantavano del nome di Cristiano, anche se non erano veramente tali, poiché erano infettati dall’errore di Ario, è con ragione che l’autore dell’Apocalisse dica che i volti erano simili a quelli degli uomini, per distinguerli perfettamente sia dai pagani che dai Cattolici.

Vers. 8. – 4° E i loro capelli erano come i capelli delle donne, perché queste nazioni lasciavano crescere i loro capelli, come si vede ancora qualche volta al giorno d’oggi. I capelli lunghi indicano forza, e anche se non sono più in uso, erano comunque molto utili ai guerrieri di quel tempo per preservarli contro il freddo e l’umidità nei bivacchi, ecc. La Scrittura dice che la forza di Sansone consisteva nei suoi capelli, che non tagliava, come facevano i nazareni tra i Giudei. Così sembra probabile che queste nazioni di cui parla San Giovanni avessero l’abitudine di lasciar crescere i loro capelli fin dall’infanzia senza mai tagliarli; ed è per questo che si dice che i loro capelli erano come quelli delle donne. – 5° E i loro denti come i denti di un leone. Queste parole indicano la ferocia, la furia e la forza che distingueva queste nazioni da tutte le altre. Infatti come il leone è considerato il più forte e terribile degli animali, avendo la sua forza principale nella testa e nei denti, con i quali depreda, strappa e divora tutto ciò che incontra; così anche queste nazioni dovevano essere le più feroci, crudeli e potenti, per sbranare e divorare gli altri.

Vers. 9. – 6° Portavano corazze come corazze di ferro. I guerrieri indossano la corazza per parare i colpi del nemico. Questa parola corazza deriva dal cuoio; anticamente i guerrieri proteggevano il loro petto con il cuoio più duro e forte, quello dei cammelli o di altri animali, come si fa ora con le corazze di ferro. Ecco perché è detto nel testo: Portavano corazze come corazze di ferro. Cioè, queste nazioni marciavano verso il nemico con la massima precauzione, fortemente armate e ben equipaggiate, non esponendosi incautamente ai dardi ed alle lance. Le loro corazze erano fatte di un cuoio così duro e forte da essere perfettamente paragonabile al ferro, ed erano allo stesso tempo così flessibili e ben adattate che resistevano ai colpi come se fossero state di ferro. 7°. E il rumore delle loro ali era come il rumore dei carri con molti cavalli che corrono alla battaglia. Qui si dice che queste nazioni avevano le ali per esprimere la loro velocità nelle spedizioni belliche. Sembravano volare di regno in regno e di paese in paese con i loro eserciti, il cui rapido movimento produceva un rumore spaventoso e devastava tutto sul loro cammino, come è stato detto sopra, (Isaia VII:18): « In quel giorno il Signore chiamerà con un fischio la mosca che è alla fine del fiume d’Egitto e l’ape dell’Assiria. E verranno a riposare presso i ruscelli, nelle cavità delle rocce, sulle siepi e su ogni arbusto. »

1° Per mosche e api il profeta intende le nazioni in guerra. 2°. Per ali si intendono anche le ali degli eserciti di queste nazioni, che, essendo schierati in buon ordine di battaglia, volavano in combattimento ed attaccavano il nemico con tanto coraggio, animosità, vivacità e clamore, che la terra fu scossa. La stessa cosa si vede nella Scrittura (I. Mach, IX , 13): « E la terra fu mossa dalla voce degli eserciti. » E siccome queste nazioni avevano acquisito una grande reputazione di coraggio e di valore militare, non meno che di abilità nell’arte della guerra, ottennero facilmente la vittoria sul nemico prevenuto e demoralizzato. E quindi il rumore delle loro ali era come il rumore dei carri con molti cavalli che corrono alla battaglia. Perché quando una grande moltitudine di combattenti corre in battaglia con i molti carri da guerra che di solito li accompagnano, fanno un rumore così orribile, che ispirano terrore e paura, e il suono delle trombe e dei corni non fanno che aggiungersi a questo orribile tumulto.  I cavalli stessi, eccitati e animati, corrono, saltano, nitriscono e alzano la criniera, mostrando così la loro gioia e il loro coraggio. Così facevano la guerra e andavano contro il nemico nazioni bellicose e barbare.

Vers. 10Le loro code erano simili a quelle degli scorpioni: esse avevano il pungiglione. Con queste code intendiamo metaforicamente le conseguenze disastrose delle incursioni di questi barbari, che furono una rovina ed una devastazione universale di tutti i regni che attraversarono in vari momenti. Queste parole indicano anche il danno considerevole che questi popoli hanno causato alla Chiesa. Le loro code avevano un pungiglione. Questi pungiglioni significano anche i vari errori che queste nazioni hanno lasciato dietro di essi, allo stesso modo in cui certi animali velenosi lasciano dietro di loro il loro pungiglione nella ferita che hanno inferto. 9°. E il loro potere era di nuocere agli uomini per cinque mesi. In questo passo ci viene mostrata la seconda parte dei mali che risultarono da questa eresia per la Chiesa in generale, e per l’Impero Romano in particolare. Vediamo prima di tutto la lunghezza del tempo durante il quale i Longobardi posero il loro giogo di ferro sull’Italia. Questi Longobardi erano una nazione malvagia, tana e centro di tutte le altre nazioni barbare che, quando gli Unni, che erano loro alleati, avevano abbandonato la Pannonia, seguirono il loro re Alboino per invadere la Gallia Cisalpina e poi l’Italia, e per esercitarvi le loro devastazioni per 150 anni, come spiegato sopra. Da ciò dobbiamo concludere che i primi cinque mesi di cui si parla nel testo designano il tempo dell’occupazione dell’Italia e di altre terre da parte dei Goti e dei Vandali, e gli altri cinque mesi indicano la durata del giogo dei Longobardi sotto il quale la Chiesa e l’Impero Romano ebbero tanto a gemere. È storicamente vero che il loro regno fu più lungo e durò da 190 a 200 anni; ma il testo ha comunque ragione nel dire che essi danneggiarono la Chiesa solo per 150 anni, poiché uno dei loro re, Agilulfo, essendo diventato Cattolico con tutta la nazione, cessò di essere ostile nel Corso di tutto il suo regno, che durò 40 anni. Ora, sottraendo questo numero al precedente, otteniamo, secondo il testo, la durata del tempo durante il quale essi fecero del male agli uomini. E il loro potere era quello di danneggiare gli uomini per cinque mesi. Se non c’è menzione del resto del loro regno, è perché sarebbe stato superfluo; ma lo Spirito Santo non ispira né scrive nulla di inutile.

Vers. 11. 10°-Avevano sopra di loro come re l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon, e in greco Apollyon, e in latino lo Sterminatore. Attraverso questo Angelo re, lo Spirito Santo designa un essere di natura distinta e superiore; ed è l’angelo dei principati che, a capo dei suoi angeli malvagi, viene a sostenere i malvagi nella loro guerra empia e ad incitarli per affliggere, combattere e distruggere la Chiesa di Gesù Cristo, se possibile. Il testo indica solo uno e il principale di questi angeli, che è il rappresentante di tutti gli empi, gli eretici e i loro fautori e promotori, hanno in comune solo uno stesso obiettivo, che è quello di fare incessantemente una guerra di rovina e di sterminio contro Gesù Cristo e la sua Chiesa. Per spiegare meglio questo passaggio, non dobbiamo passare sotto silenzio che, secondo San Dionigi e l’opinione generale dei santi Dottori, gli angeli decaduti conservarono intatte le loro qualità naturali; e, di conseguenza, continuarono a possedere tra loro la distinzione degli ordini, secondo la distinzione delle loro nature. Inoltre, i Dottori ammettono comunemente che un certo numero di angeli si dimostrarono ribelli a Dio in ciascuno degli ordini o nove cori, così che i loro nomi distintivi furono mantenuti tra i demoni. Ora, il primo di questi ordini nella gerarchia infernale è quello dei principati, per cui gli angeli malvagi hanno il diritto e il potere di preminenza nei diversi regni e nelle guerre generali e particolari. Quindi, da questo consegue succede che, in opposizione agli angeli santi, che sono inviati da Dio per suscitare i regni e le nazioni al bene, gli angeli malvagi dello stesso ordine sono accreditati da lucifero onde incitare al male e alla tirannia contro i Cristiani, e per turbare la Chiesa militante con la guerra, etc. Tutto il male che possono fare nel regno di Dio con il suo permesso, lo compiono attraverso i loro satelliti, che governano, e che sono gli empi, gli eretici e i cattivi Cristiani. Perché sebbene tutti i regni e tutti gli uomini abbiano angeli buoni e cattivi che li ispirino, gli angeli buoni hanno il predominio sui cattivi, o i cattivi sui buoni, secondo la condizione di questi regni, secondo la scelta della volontà umana, e anche secondo ciò che Dio permette. Ed è dell’angelo malvagio che presiedeva alle erre dei Goti e dei Vandali che il testo aggiunge: Esse (queste nazioni) avevano per re l’angelo dell’abisso. In uno Stato, il re è colui che ha il predominio su tutti gli altri, tutti i suoi sudditi gli obbediscono, ascoltano la sua voce e lo seguono anche in guerra. Ora, tutti gli eretici costituiscono un vero regno il cui principe è sempre stato e sempre sarà Lucifero, che, attraverso i suoi vari capi a lui subordinati, guida i settari e gli empi nella guerra di questo mondo contro Cristo e la Sua Chiesa, a qualunque classe e tempo essi appartengano. Ed è solo da Dio che deriva il suo potere, o almeno il permesso di nuocere agli uomini nei grandi come nei piccoli stati. Essi avevano per re l’angelo dell’abisso, il cui nome in ebraico è Abaddon, in greco Apollyon e in latino lo Sterminatore. Qui la domanda è perché questo nome dell’angelo del dell’abisso si esprime in tre lingue. Per rispondere a questa domanda, dobbiamo sapere che San Giovanni ha scritto l’Apocalisse per la Chiesa universale; ora, queste tre lingue sono le principali, e contengono o rappresentano tutte le altre. Inoltre, queste tre lingue rappresentano, attraverso le principali nazioni e le principali epoche di queste lingue, tutta la Chiesa cattolica dalla sua origine alla sua consumazione.  – 1°. La Chiesa ebbe origine e cominciò a fiorire tra i Giudei più distinti per la loro santità, che si convertirono alla fede di Gesù Cristo, e il cui numero era davvero molto esiguo in proporzione a tutta la nazione. Ora fu da questi stessi Giudei, che erano diventati Cristiani, che sorsero i primi eretici che, sobillati da satana, intrapresero la guerra alla Chiesa di Cristo. Sappiamo dagli Atti degli Apostoli come le loro principali rivendicazioni fossero la circoncisione e il giogo della legge di Mosè,che cercavano di imporre ai gentili. 2° Poi venne la Chiesa greca, formata dai gentili, che brillava principalmente per il numero, l’istruzione e la virtù dei suoi santi maestri. Ma molti di questi greci, sedotti dall’angelo dell’abisso, dichiararono una guerra feroce contro la Chiesa di Gesù Cristo, insegnando i dogmi più pericolosi e introducendo scismi contro i sovrani Pontefici, i legittimi successori di San Pietro. Il più malvagio di questi fu Ario, che, come è stato detto, essendo sostenuto dall’imperatore Valente, corruppe i Goti e i Vandali. Ma, per un giusto giudizio di Dio, questo empio potere fu finalmente spezzato, e questa Chiesa greca, con tutto il suo impero, macchiato da mille errori, cadde sotto il potere dei Turchi e divenne loro tributaria, come lo è ancora in parte. (Si veda la Storia Ecclesiastica). 3°. Alla Chiesa greca e all’Impero d’Oriente sono succeduti la Chiesa latina e l’Impero d’Occidente, attraverso la conversione di tutte le nazioni che ne facevano parte, particolarmenre ai tempi di Carlo Magno. Questa Chiesa manterrà il suo impero in Occidente fino alla venuta del figlio della perdizione. Nel momento in cui la Chiesa è diventata latina, essa aveva 800 anni. Era allora nella sua quarta età, godendo di una pace e di una tranquillità perfette. Fu libera da ogni eresia per duecento anni, fino a Berengario il Sacramentario, che insorse contro di essa nelle Gallie. Questo eresiarca negò, come abbiamo già detto, la transustanziazione e la presenza reale del corpo e del sangue di Nostro Signore Gesù Cristo nella Santissima Eucaristia. satana, o l’angelo dell’abisso, non può soffrire che la Chiesa sia in pace; perciò cercò più volte dopo Berengario di continuare la guerra contro la Chiesa per mezzo di uomini empi, come vediamo nella Storia Ecclesiastica. Ma tutti i suoi sforzi furono paralizzati, e causarono piccolo o nessun danno alla Chiesa, che riuscì sempre a sopprimere gli eretici con la pietà dei suoi principi, con la vigilanza dei suoi Pontefici, e soprattutto con la protezione di Dio. Se esaminiamo le varie eresie, possiamo vedere che hanno preparato il mostro Lutero, quel drago infernale a cui la Germania diede la luce nel 1517, e il cui scopo evidente era la completa rovina della Chiesa latina. Questo eresiarca richiamò dall’inferno tutte le eresie precedenti e le vomitò dalla sua bocca impura contro questa Chiesa, come vedremo in seguito. È dunque chiaro, da quanto abbiamo appena detto, perché San Giovanni, scrivendo per la Chiesa universale, dà il nome di questo angelo dell’abisso in tre lingue: è per farci capire che si tratta sempre dello stesso demone, già re, capo e dottore dei Goti e dei Vandali, che presiedeva alla setta di Ario attraverso i Longobardi. Ed è questo stesso diavolo che sarà il capo, il re, il dottore e il seduttore di tutti gli eretici che verranno in seguito, e specialmente di quelli dei nostri giorni che negano il capo visibile della Chiesa.

Vers. 12Il primo “guai” è passato, ed ecco altri due “guai” che vengono dopo.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIV)

LA SUMMA PER TUTTI (5)

LA SUMMA PER TUTTI (5)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

Capo XIX.

Opera di conservazione e di governo.

272. Che cosa intendete col dire che Dio è Sovrano Signore di tutte le cose?

Intendo che tutte le cose del mondo creato da Dio sono soggette al governo unico, supremo ed assoluto di Dio stesso (CIII, 1,3).

273. E che cosa intendete col dire che tutte le cose del mondo creato da Dio sono soggette al governo unico, supremo ed assoluto di Dio stesso?

Intendo non esservi niente nel mondo degli spiriti, nel mondo dei corpi e nel mondo umano che possa sottrarsi all’azione di Dio che conserva tutti questi esseri e li conduce al fine per il quale li ha tutti creati (CIII, 4-8).

274. Qual è il fine a cui Dio col suo governo conduce tutti gli esseri che ha creati e conserva?

Il fine a cui Dio col suo governo conduce tutti gli esseri che ha creati e conserva è Egli stesso, ossia la sua propria gloria (CIII, art. 2).

275. Come dite che Dio e la sua gloria sono il fine di tutto l’universo conservato e governato da Lui?

Io dico. che Dio e la sua gloria sono il fine di tutto l’universo conservato e governato da Lui, perché Dio muove tutte le cose in questo universo creato e conservato da Lui, affinché si manifesti e si esplichi nell’ordine stesso dell’universo ciò che è nella intelligenza e nella volontà di Colui che lo ha fatto, lo conserva e lo governa (Ibid).

276. Dunque nell’ordine stesso dell’universo risplende e si manifesta la gloria esterna di Dio?

Sì; nell’ordine stesso dell’universo risplende e si manifesta la gloria esterna di Dio (Ibid.).

277. Può esservi qualche cosa di più grande e di più perfetto all’infuori di Dio, che questo ordine dell’universo creato, conservato e governato da Lui?

No; non vi può essere nell’ordine attuale delle cose niente di più grande né di più perfetto all’infuori di Dio, che questo ordine dell’universo creato, conservato e governato da Lui (XXV, 5,6).

278. Perché dite: nell’ordine «attuale» delle cose?

Perché essendo Dio infinito ed onnipotente, nessun ordine creato per quanto perfetto, saprebbe uguagliare la potenza infinita di Dio (Ibid.).

Capo XX.

Azione personale di Dio nel governo del mondo.

I miracoli.

279. Come governa Dio questo universo creato da Lui?

Conservandolo ed indirizzandolo al suo fine (CIII, 4).

280. Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri da Lui creati?

Sì; Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri creati da Lui, benché si serva anche di altri esseri determinati per conservarne altri ancora secondo l’ordine di dipendenza che ha stabilito tra loro creandoli (CIV, 1, 2).

281. Che cosa intendete col dire che Dio conserva da Se stesso tutti gli esseri da Lui creati?

Intendo che ciò che trovasi in fondo a tutti gli esseri dell’universo e fa sì che essi partecipino tutti nel fatto di essere, viene loro continuato direttamente dall’azione di Dio stesso (CIV, 1).

282. Questa conservazione nell’essere di tutti gli esseri che esistono, è essa pure propria di Dio come la loro creazione?

Sì; questa conservazione nell’essere di tutti gli esseri che esistono è essa pure propria di Dio come la loro creazione; perché ambedue vanno a terminare direttamente ed immediatamente all’essere, effetto proprio di Dio (CIV, 1 ad 4; VII, 1).

283. Potrebbe Dio far sì che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere?

Sì; Dio potrebbe fare che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere (CIV, 3).

284. Che cosa occorrerebbe a Dio per fare che tutti gli esseri esistenti cessassero di essere?

Basterebbe che Egli cessasse di voler loro continuare l’essere che hanno, e che continuano a ricevere da Lui ad ogni istante (/bid.).

285. Dunque l’essere di tutto ciò che è nel mondo si mantiene continuamente in una dipendenza assoluta da Dio?

Sì; l’essere di tutto ciò che è nel mondo si mantiene continuamente in un: assoluta dipendenza da Dio: quasi come la luce del giorno si trova in una assoluta dipendenza dalla presenza e dall’azione del sole. Soltanto mentre l’azione del sole è di necessità, l’azione di Dio è tutta di libertà e di bontà infinita (Ibid.).

286. Dio ha mai distrutto niente di ciò che ha fatto?

No; Dio non ha mai distrutto niente di ciò che ha fatto (CIV, 4).

287. Dio deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto?

No; Dio non deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto (Ibid.).

288. Perché dite che Dio non ha mai distrutto né deve mai distruggere niente di ciò che ha fatto?

Perché Dio non opera che per la sua gloria; e la sua gloria non richiede che Egli distrugga ciò che ha fatto, ma al contrario che lo conservi nell’essere (Ibid.).

289. Si possono produrre dei cambiamenti nelle cose fatte da Dio?

Sì; si possono produrre dei cambiamenti nelle cose fatte da Dio; cambiamenti più o meno profondi, secondo la diversità della natura e secondo la diversità degli stati rispetto ad una stessa natura.

290. Questi cambiamenti che possono prodursi e che di fatto si producono nelle cose fatte da Dio, rientrano nell’ordine del governo divino?

Sì; tutti i cambiamenti che possono prodursi e che di fatto si producono nelle cose fatte da Dio rientrano nell’ordine del governo divino; perché tutto ciò può e deve servire al fine di tale governo, che è la gloria di Dio ed il bene della sua opera.

291. Nelle cose fatte da Dio si danno dei cambiamenti dovuti all’azione propria di Dio?

Sì; nelle cose fatte da Dio si danno dei cambiamenti dovuti all’azione propria di Dio (CV, 1-8).

292. Quali sono i cambiamenti nelle cose fatte da Dio, dovuti all’azione propria di Dio?

Sono tutti i cambiamenti che riguardano in maniera immediata l’ultimo fondo degli esseri materiali, o la parte affettiva degli esseri spirituali; ed ancora ciò che vi è di primo in ogni azione della creatura (CV, 1, 4, 5).

293. Bisognerebbe attribuire all’azione propria di Dio i cambiamenti che avvenissero nelle cose materiali fatte da Lui, al di fuori delle cause seconde proporzionate a tali cambiamenti secondo il corso ordinario della natura?

Sì; ed è ciò che si chiama propriamente miracolo (CV, 6, 7).

294. Vi sono dunque dei miracoli operati da Dio?

Sì; certissimamente vi sono dei miracoli operati da Dio nel mondo materiale, e si possono dividere in tre grandi categorie secondoché si tratta di fatti che la natura è impotente a produrre in se stessi, o nel soggetto che li manifesta, o nel modo che si producono (CV, 8).

295. Perché Dio ha operato ed opera ancora queste specie di miracoli?

Dio ha operato ed opera ancora quando Gli piace queste specie di miracoli, per impressionare la mente degli uomini e condurli a riconoscere il suo intervento divino in ordine al loro bene ed alla sua gloria.

Capo XXI.

L’azione delle creature in questo governo.

L’ordine dell’universo.

296. Nei cambiamenti che si producono o possono prodursi nelle cose create da Dio, le creature possono agire ed agiscono le une sulle altre?

Sì; ed è anzi per questa azione delle creature le une sulle altre che è propriamente costituito l’ordine dell’universo (XLVII, 3).

297. Questa azione delle creature le une sulle altre è essa pure sottomessa all’azione del governo divino?

Sì; questa azione delie creature le une sulle altre è essa pure sottomessa nel più alto grado all’azione del governo divino (CIII, 6).

298. Che cosa volete dire quando dite che questa azione delle creature le une sulle altre è sottomessa nel più alto grado all’azione del governo divino?

Voglio dire che per questa stessa azione delle creature le une sulle altre Dio conduce tutte le creature al fine loro assegnato (Ibid).

299. Dio avrebbe potuto da Sé solo, con la sua azione propria, condurre al suo fine ciascuna delle sue creature?

Lo avrebbe potuto senza alcun dubbio; ma era cosa migliore che si servisse anche dell’azione delle creature le une sulle altre per condurle al loro fine; perché le creature ne riescono più perfette ed Egli stesso ne apparisce più grande.

300. Come dite che le creature ne riescono più perfette?

Perché esse partecipano all’azione sovrana di Dio che agisce sulle sue creature per condurle al loro fine (CIII, 6 ad 2).

301. Come dite che Dio ne apparisce più grande?

Perché è una nota di grandezza, di potenza e di maestà per un sovrano, avere al suo servizio una moltitudine di ministri che ne eseguiscono gli ordini assoluti (CIII, 6 ad 3).

302. Quando dunque tutte le creature agiscono le une sulle altre eseguiscono gli ordini assoluti di Dio?

Sì; tutte le creature, quando agiscono le une sulle altre, eseguiscono gli ordini assoluti di Dio; non potendo mai la loro azione sfuggire alla perfetta e sovrana ordinazione del governo divino (CIII, 7).

303. E affatto impossibile che vi sia qualche disordine nell’azione delle creature le une sulle altre, quando agiscono come strumenti di Dio nel governo del mondo?

Sì; perché la loro azione, qualunque essa sia, è sempre condotta a concorrere sotto l’azione suprema di Dio al bene dell’universo (CIII, 8 ad 1, ad 3).

304. Possono le creature, con la loro azione delle une sulle altre, essere causa di un male particolare?

Sì; le creature possono con la loro azione delle une sulle altre essere causa di un male particolare, sia nell’ordine fisico sia ancora nell’ordine morale; perché esse possono turbare questo o quell’ordine subalterno fra le creature, ed anche fra le diverse manifestazioni subordinate dei consigli e dei voleri divini (CIII, 8 ad 1).

305.  Questo male particolare avviene contrariamente all’ordine del governo divino?

No; questo male   particolare non avviene contrariamente all’ordine del governo divino preso nel suo insieme.

306.  Perché dite che questo male particolare non avviene contrariamente all’ordine del governo divino preso nel suo insieme?

Perché Dio è così sovranamente potente che subordina questo male particolare ad un ordine superiore, in virtù del quale serve anch’esso al bene del tutto (Ibid.: XIX, 6; XXIII, arti 5 ad 3).

307. Tutto è dunque meravigliosamente ordinato nell’azione delle creature le une sulle altre, sotto l’azione suprema e sovrana del governo divino?   

Sì; tutto è meravigliosamente ordinato, nell’azione delle creature le une sulle altre,                    

308. Possiamo noi su questa terra comprendere tale ordine meraviglioso del governo di Dio sul mondo?

Non lo possiamo assolutamente; perché per questo bisognerebbe conoscere tutto l’insieme delle creature e dei consigli divini.

309. Dove vedremo in tutto il suo splendore la bellezza e l’armonia del governo di Dio nel mondo?

Soltanto in cielo noi vedremo in tutto il suo splendore la bellezza e l’armonia del governo di Dio nel mondo,

CAPO XXII.

                            Fra gli angeli. – Le gerarchie e gli ordini.

310. L’azione delle creature le une sulle altre esiste nel mondo dei puri spiriti, ossia tra gli Angeli?

Sì; nel mondo dei puri spiriti ossia tra gli Angeli esiste l’azione di questi spiriti gli uni sugli altri.

311. Come si chiama l’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri?

Si chiama illuminazione (CVI, 1).

312. Perché chiamate illuminazione l’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri?

Perché i puri spiriti non agiscono gli uni sugli altri se non per comunicarsi la luce che ricevono da Dio, sulla scorta del suo governo (Ibid.).

313. Questa luce di Dio viene comunicata ai puri spiriti in una maniera graduale ed ordinata?

Sì; questa luce di Dio viene comunicata ai puri spiriti in una maniera graduata e meravigliosamente ordinata.

314. Che cosa intendete col dire che la luce di Dio è comunicata ai puri spiriti in maniera meravigliosamente ordinata?

Intendo che Dio la comunica anzitutto a quelli che sono più vicini a Lui, e questi agli altri Angeli per ordine dai più elevati fino agli ultimi, in modo che l’azione dei primi si comunica agli ultimi per l’azione degli intermedi (CVI, 3).

315. Vi sono dunque dei primi, dei secondi e degli ultimi in questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio sopra di essi?

Sì; vi sono dei primi, dei secondi e degli ultimi in questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio su di essi (CVIII, 2).

316. Potreste fare intendere con un paragone che cosa è questa subordinazione dell’azione dei puri spiriti gli uni sugli altri, per comunicarsi la luce che discende da Dio su di essi?

Si potrebbe paragonare ad un fiume di luce che discende limpido di roccia in roccia, alimentato continuamente dalle acque di un bel lago alla sommità della montagna.

317. Questa subordinazione degli Angeli tra loro comprende diversi gruppi?

Sì; questa subordinazione degli Angeli tra loro comprende diversi gruppi (CVIII).

318. Di quante specie sono questi gruppi?

Questi gruppi sono di due specie.

319. Come chiamate queste due specie di gruppi esistenti nella subordinazione degli Angeli tra loro?

Si chiamano gerarchie ed ordini o cori angelici (CVIII).

320. Che cosa intendete con la parola gerarchia?

La parola gerarchia è derivata dal greco e significa « principato sacro ».

321. Che cosa comprende la parola « principato »?

La parola « principato » comprende due cose: il principe ed il popolo amministrato sotto di lui (CVIII, 1).

322. E quando si dice « principato sacro » che cosa si vuol dire con questo?

Il « principato sacro » inteso nel suo senso pieno e perfetto designa la moltitudine delle creature ragionevoli chiamate a partecipare delle cose sante sotto il governo unico di Dio, Principe supremo e Re Sovrano di tutta questa moltitudine (Ibid.).

323. Non vi sarebbe dunque che un solo principato sacro ed una sola gerarchia nel mondo governato da Dio?

Sì; a considerare il principato sacro da parte di Dio, Principe supremo e Re Sovrano di tutte le creature ragionevoli governate da Lui, non vi è che un solo principato sacro, ossia una sola gerarchia che comprende gli Angeli e gli uomini (CVII, 1).

324. Come dunque ed in qual senso si parla di gerarchie al plurale, ed anche in modo speciale nel solo mondo dei puri spiriti, ossia degli Angeli?

Perché da parte della moltitudine ordinata sotto il Principe, il principato si diversifica secondoché la moltitudine deve ricevere in diverse maniere il governo del Principe stesso (CVIII, 1).

325. Potreste darmi un esempio di questa diversità nelle cose umane?

Sì; avviene nella stessa guisa che sotto un medesimo re si trovano città o province differenti, rette da diverse leggi e da ministri diversi (CVII, 1).

326. Vi è una gerarchia differente per gli uomini e per gli Angeli?

Sì; fintantoché gli uomini sono sulla terra vi è una gerarchia differente per gli uomini e per gli Angeli (CVIII, 1).

327. Perché dite fintantoché gli uomini sono sulla terra?

Perché in cielo gli uomini saranno ammessi nella gerarchia degli Angeli. (CVIII, 8)

328. Vi sono dunque più gerarchie tra gli Angeli?

Sì, tra gli Angeli vi sono più gerarchie (CVII, 1).

329. Quante gerarchie vi sono tra gli Angeli?

Tra gli Angeli vi sono tre gerarchie (CVII, 1).

330. Potreste dirmi come si distinguono queste tre gerarchie tra gli Angeli?

Queste tre gerarchie tra gli Angeli, si distinguono secondo una triplice maniera di riconoscere le ragioni delle delle cose concernenti il governo divino (CVIII, 1)

331. In qual maniera la prima gerarchia conosce le ragioni del governo divino?

Essa le conosce in quanto queste ragioni procedono dal Primo Principio universale che è Dio (CVIII, 1).

332 Che cosa consegue da ciò in ordine, in ordine agli Angeli di questa prima gerarchia?

Da ciò consegue, in ordine agli Angeli della prima gerarchia, che essi stanno vicino  a Dio in modo che tutti gli ordini dui questa gerarchia prenderanno i loro nomi da qualche ufficio avente per oggetto Dio stesso (CV. 1, 6)

333. In qual maniera la seconda gerarchia conosce le ragioni delle cose concernenti il governo divino?

Essa le conosce in quanto queste specie di ragioni dipendono dalle cause universali create (CVIII, 1).

334. Che cosa ne consegue per gli Angeli di questa seconda gerarchia?

Per gli Angeli di questa seconda gerarchia ne consegue che essi ricevono la loro illuminazione dalla prima gerarchia, e che i loro ordini traggono il nome da qualche ufficio avente relazione con la universalità delle creature governate da Dio (CVIII, 1, 6).

335. In qual maniera la terza gerarchia conosce le ragioni delle cose concernenti il governo divino?

Essa le conosce in quanto si applicano alle cose particolari ed in quanto dipendono dalle loro cause proprie (CVIII, 1).

336. Che cosa ne consegue per gli Angeli di questa terza gerarchia?

Per gli Angeli di questa terza gerarchia ne consegue che essi ricevono la luce divina secondo forme particolari che permettono loro di comunicarsi alle nostre intelligenze su questa terra, e che i loro ordini traggono il nome da atti limitati ad un uomo, come gli Angeli custodi; oppure ad una provincia come i Principati (CVIII, 1, 6).

337. Si troverebbe un esempio di questa triplice gerarchia nelle cose della terra?

Sì; si potrebbe trovare un esempio di questa triplice gerarchia nelle cose della terra. Avviene qui come tra gli ufficiali del re, tra i quali si trovano i ciambellani, i consiglieri, gli assessori che sono sempre presso la persona del Principe; poi gli ufficiali della curia reale dai quali dipendono gli affari di tutto il regime in generale; ed infine gli ufficiali che nel regime sono preposti ad una funzione determinata (CVIII, 6).

338. Sono distinti tra gli Angeli gli ordini dalle gerarchie?

Sì; tra gli Angeli gli ordini sono distinti dalle gerarchie (CVIII, 2).

339. In che consiste questa distinzione degli ordini dalle gerarchie tra gli Angeli?

Consiste in questo, che le gerarchie costituiscono diverse moltitudini di Angeli formanti diversi principati sotto il medesimo governo divino; mentre gli ordini costituiscono diverse classi in ciascuna delle moltitudini che formano una gerarchia (CVIII, 2).

340. Quanti ordini vi sono in ciascuna gerarchia?

In ciascuna gerarchia vi sono tre ordini (CVIII, 2).

341. Perché dite che in ciascuna gerarchia vi sono tre ordini?

Perché avviene come presso di noi, ove tutte le diverse classi che distinguono gli uomini in una stessa città si riducono a tre classi principali che sono la nobiltà, la borghesia ed il basso popolo (CVIII, 2).

342. Vi sono dunque in ciascuna gerarchia degli Angeli superiori, degli Angeli intermedi e degli Angeli inferiori?

Sì; e sono appunto i tre ordini di ciascuna gerarchia (CVIII, 2).

343. Bisogna dunque distinguere in tutto nove ordini angelici?

Sì; vi sono in tutto nove principali ordini angelici (CVIII, 5, 6).

344. Perché dite « principali »?

Perché in ciascun ordine vi sono ancora quasi all’infinito altre subordinazioni, avendo ciascun Angelo il suo posto distinto ed il suo ufficio particolare; ma non ci appartiene conoscerli su questa terra (CVIII, 8).

345. I nove ordini sono la stessa cosa che i nove cori degli Angeli?

Sì; i nove ordini sono la stessa cosa che i nove cori degli Angeli.

346. Perché è stato dato il nome di cori agli ordini angelici?

Perché i diversi ordini, compiendo i loro uffici in relazione al governo divino, costituiscono ciascuno degli aggruppamenti pieni di armonia, che fanno risplendere meravigliosamente la gloria di Dio nell’opera sua.

347. Potreste dirmi quali sono i nomi dei nove cori degli Angeli?

Sì; essi sono in ordine discendente: i Serafini, i Cherubini, i Troni; le Dominazioni, le Virtù, le Potestà; i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli (CVIII, 5).

348. Fra i demoni sono rimasti gli ordini?

Sì gli ordini sono rimasti anche fra i demoni; perché essi sono proporzionati alla natura degli Angeli, e la natura è restata la stessa anche tra i demoni.

349. Dunque i demoni sono subordinati tra loro come erano prima della loro caduta?

Sì; i demoni rimangono subordinati tra loro come erano prima della loro caduta (CIX, art. 1,2).

350. Tale ordine tra loro si esercita mai in relazione a qualche bene?

No; tale ordine tra loro non si esercita mai in relazione a qualche bene (CIX, 3).

351. Non si dà dunque alcuna illuminazione fra i demoni?

Fra i demoni non vi sono che le tenebre del male; e per questo il loro impero è chiamato l’impero delle tenebre (Ibid.).

Capo XXIII.

Azione degli Angeli buoni sul mondo dei corpi.

352. Dio si serve degli Angeli per il governo del mondo corporeo?

Sì; Dio si serve degli Angeli per il governo del mondo corporeo; perché il mondo corporeo è inferiore agli Angeli, ed in ogni governo ordinato gli esseri inferiori sono retti da quelli a loro superiori (CX, 1).

353. A quale ordine appartengono gli Angeli che governano il mondo corporeo?

Appartengono all’ordine delle Virtù (CX, art. 1 ad 3).

394. Che cosa fanno gli Angeli che servono al governo del mondo corporeo?

Gli Angeli che servono al governo del mondo corporeo attendono al compimento perfetto del piano provvidenziale e dei divini voleri, in tutto ciò che accade tra i diversi esseri che costituiscono il mondo dei corpi (CX, 1,2,8).

355. Dio opera tutti i cambiamenti che avvengono nel mondo dei corpi, compresi i miracoli, per la interposizione di questi Angeli dell’ordine delle Virtù?

Sì; Dio opera tutti i cambiamenti che avvengono nel mondo dei corpi, compresi i miracoli, per la interposizione di questi Angeli dell’ordine delle Virtù (CX, 4).

356. Quando Dio si serve dei suoi Angeli per operare qualche miracolo, il miracolo si compie per la virtù propria dell’Angelo?

No; il miracolo non si compie che per la virtù propria di Dio; ma Vangelo può concorrervi a modo di intercessione, ossia a titolo di strumento (CX, 4 ad 1).

Capo XXIV

Azione degli Angeli buoni rispetto all’uomo.

Gli angeli custodi.

357. L’Angelo può agire sull’uomo?

Sì; l’Angelo può agire sull’uomo a motivo della sua natura spirituale di ordine superiore (CXI).

358. L’Angelo può illuminare l’intelligenza e lo spirito dell’uomo?

Sì: l’Angelo può illuminare l’intelligenza e lo spirito dell’uomo, fortificando la sua virtù e mettendo alla sua portata la pura verità che egli stesso contempla (CXI, 1).

359. L’Angelo può cambiare la volontà dell’uomo, agendo su di essa direttamente?

No; l’Angelo non può cambiare la volontà dell’uomo agendo su di essa direttamente. essendo il movimento della volontà una inclinazione che non può dipendere direttamente che dalla volontà stessa o da Dio che ne è l’autore (CXI, 2).

360. Non vi è dunque altri che Dio che possa cambiare la volontà dell’uomo, agendo su di essa direttamente?

Sì; non vi è altri che Dio che possa cambiare la volontà dell’uomo agendo su di essa direttamente (CXI, 2).

361. L’Angelo può agire sulla immaginazione dell’uomo e sulle altre sue facoltà sensibili?

Sì; l’Angelo può agire sulla immaginazione dell’uomo e sulle altre sue facoltà sensibili, essendo queste facoltà legate a degli organi, e per conseguenza dipendenti dal mondo corporeo soggetto all’azione degli Angeli (CXI, 3).

862. L’Angelo può agire sui sensi dell’uomo?

Sì; e per la stessa ragione l’Angelo può agire sui sensi esterni dell’uomo ed impressionarli a suo piacimento; purché trattandosi di angeli malvagi, la loro azione non sia ostacolata da quella degli Angeli buoni (CXI, 4).

363. Gli Angeli buoni possono impedire e ostacolare l’azione degli angeli malvagi?

Sì, gli Angeli buoni possono impedire e ostacolare l’azione degli angeli malvagi, avendo stabilito l’ordine della giustizia divina, che gli angeli malvagi, a causa del loro peccato, siano sottomessi alla dominazione degli Angeli buoni (CXI, 4).

364. Gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini?

Sì; gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini; perché Dio si serve della loro azione presso gli uomini per promuovere il bene di questi ultimi, o per la esecuzione dei suoi disegni a loro riguardo (CXII, 1).

365. Tutti gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli uomini?

No; non tutti gli Angeli buoni possono essere mandati da Dio in missione presso gli

uomini (CXII, 2).

366. Quali sono quelli che non vengono mai mandati in missione presso gli uomini?

Sono tutti quelli della prima gerarchia (CXII, 2, 3).

867. Perché nessuno di questi Angeli viene mandato in missione presso gli uomini?

Perché il privilegio della loro gerarchia è di stare continuamente davanti a Dio (CXII, 3).

368. Come si chiamano gli Angeli della prima gerarchia in ragione di questo privilegio?

Si chiamano Angeli assistenti (CXII, 3).

369. Tutti gli Angeli delle altre due gerarchie possono essere mandati in missione presso gli uomini?

Sì; tutti gli Angeli delle altre due gerarchie possono essere mandati in missione presso gli uomini; in questo modo però che le Dominazioni presiedono alla esecuzione dei disegni divini, mentre gli altri, le Virtù, le Potestà, i Principati, gli Arcangeli e gli Angeli, attendono direttamente a tale esecuzione (CXII, 4).

370. Vi sono degli Angeli mandati da Dio presso gli uomini per proteggerli?

Sì; vi sono degli Angeli mandati presso gli uomini per proteggerli; avendo la Provvidenza del governo divino voluto che l’uomo, dai pensieri e dai voleri sì mutevoli e fragili, fosse assistito nel suo cammino verso il cielo da uno spirito beato, per sempre confermarlo nel bene (CXIII, 1).

371. Dio deputa presso gli uomini per proteggerli uno stesso Angelo per più uomini, oppure distintamente un Angelo per ogni uomo?

Dio deputa in missione presso gli uomini per proteggerli un Angelo distintamente per ogni uomo, essendo ogni anima umana più cara a Dio delle diverse specie di creature materiali, alle quali tuttavia è preposto un Angelo distinto che veglia a promuovere il loro bene (CXIII, 2).

372. A quale ordine appartengono gli Angeli deputati da Dio distintamente presso ciascun uomo per proteggerlo?

Gli Angeli deputati da Dio distintamente presso ciascun uomo per proteggerlo, appartengono all’ultimo dei nove cori degli Angeli (CXIII, 3).

373. Tutti gli uomini senza eccezione sono affidati da Dio alla custodia di uno dei suoi Angeli?

Sì; tutti gli uomini senza eccezione sono affidati da Dio alla custodia di uno dei suoi Angeli fintantoché vivono sulla terra, per causa del viaggio pericoloso che tutti debbono percorrere prima di arrivare alla meta (CXIII, 4).

374. Nostro Signor Gesù Cristo, in quanto uomo, ha avuto anch’Egli un Angelo custode?

No; perché Egli era Dio in persona e non conveniva a N. S. Gesù Cristo di avere un Angelo a custodirlo; ma ha avuto degli Angeli preposti all’insigne onore di servirlo (CXII, 4 ad 1).

375. Quando avviene che l’Angelo personale a ciascun uomo, è deputato da Dio presso di lui per proteggerlo?

Nello stesso istante in cui ogni uomo viene al mondo, riceve presso di sé l’Angelo incaricato da Dio di proteggerlo (CXIII, 5).

376. L’Angelo custode abbandona mai l’uomo alla cui custodia è preposto?

No; l’Angelo custode non abbandona mai l’uomo alla custodia del quale è preposto, e continua a vegliare su di lui senza alcuna interruzione fino all’ultimo momento della sua vita terrestre (CXIII, 6).

377. Gli Angeli si affliggono dei mali di coloro che custodiscono?

No; perché dopo aver fatto ciò che dipendeva da loro per impedirli, se avvengono, adorano in questo come in tutto la profondità dei disegni divini (CXIII, 7).

378. E cosa buona e raccomandabile nella pratica, affidarsi in tutto e spesso alla protezione del proprio Angelo custode?

Sì; è cosa eccellente e da raccomandarsi sommamente nella pratica, affidarsi in tutto e spesso alla protezione del proprio Angelo custode.

379. Questa protezione, quando la si invoca, ci è sempre infallibilmente assicurata?

Sì; questa protezione quando si invoca ci è sempre infallibilmente assicurata; in esecuzione però degli eterni consigli di Dio, ed in quanto ciò che ci riguarda è ordinato alla sua gloria (CXII, 8)

Capo XXV.

Azione degli angeli malvagi, ossia dei demoni.

380. I demoni possono assalire e tentare gli uomini?

Sì; i demoni possono assalire e tentare gli uomini.

381. Perché i demoni possono assalire e tentare gli uomini?

I demoni possono assalire e tentare gli uomini per la loro malizia, e perché Dio fa volgere la tentazione stessa al bene dei suoi eletti (CXIV, 1)

382 Il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni?

Sì, Il fatto o di tentare gli uomini è proprio dei demoni.

383. In che senso dite che il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni?

Il fatto di tentare gli uomini è proprio dei demoni nel senso che essi soli li tentano continuamente allo scopo di nuocere loro e perderli (CXIV, 2)

384. I demoni, per tentare gli uomini e sedurli, possono operare miracoli?

No; i demoni non possono operare dei veri miracoli per tentare gli uomini e sedurli; ma soltanto delle apparenze di miracoli.

385. Che cosa intendete con le parole « apparenze di miracoli?».

Intendo certi prodigi che superano il modo di agire degli esseri che ci circondano quale noi lo conosciamo, ma che non superano il potere naturale dell’insieme delle creature (CXIV, 4).

386. Da qual segno specialmente si riconoscono i falsi miracoli compiuti dai demoni?-

Si riconoscono specialmente dal segno che implicando sempre qualche cosa di cattivo, non possono avere per autore Dio come i veri miracoli (CXIV, 4 ad 3).

PARTE PRIMA

Capo XXVI

Azione del mondo materiale, ossia dell’insieme del cosmo.

387. Non vi sono che gli spiriti buoni o cattivi che concorrono all’azione di Dio nel suo suo governo del mondo?

No; non vi sono i soli spiriti buoni o cattivi che concorrono all’azione di Dio nel suo governo del mondo.

388. Quali sono gli altri esseri che ancora vi concorrono?

Sono tutti gli agenti cosmici, le cui forze mosse da Dio concorrono al fine del suo governo (CXV, 1)

389. Tutto il movimento del mondo della natura è nelle mani di Dio nel suo governo?

Sì; tutto il movimento del mondo della natura, con tutto l’insieme delle sue leggi, è nelle mani di Dio nel suo governo (CXVI, 2).

390. Dunque è per la effettuazione dei divini consigli e per concorrervi che ogni giorno il sole compare, i giorni si alternano con le notti e le stagioni tra loro, e volgono in un ordine che niente può cambiare i giorni, i mesi, gli anni ed i secoli?

Sì; è per la effettuazione dei divini consigli e per concorrervi, che ogni giorno compare il sole, i giorni si alternano con le notti e le stagioni tra loro, e volgono in un ordine che niente può turbare i giorni, i mesi, gli anni ed i secoli.

391. Si può dire che per l’uomo e per promuovere il suo bene Dio ha ordinato e mantiene nel suo corso regolare il movimento del mondo della natura?

Sì; si può e si deve dire che Dio ha ordinato e mantiene nel suo corso regolare il movimento del mondo della natura, in ordine all’uomo e per promuovere il suo bene.

392. L’uomo è dunque la creatura alla quale Dio ha ordinato in qualche modo tutte le altre, per provvedere ai suoi bisogni?

Sì; l’uomo è la creatura alla quale Dio in qualche modo ha ordinato tutte le altre, per provvedere ai suoi bisogni.

393. Perché Dio ha agito così con l’uomo?

Dio ha agito così con l’uomo perché l’uomo è la più debole delle sue creature, ed ha bisogno di tutto per il bene dell’anima e del corpo.

Capo XXVII.

Azione dell’uomo medesimo.

394. L’uomo, debole com’è, può anch’egli concorrere all’azione di Dio nel governo del mondo?

Sì; l’uomo può, malgrado la sua debolezza, concorrere efficacemente all’azione di Dio nel governo del mondo.

395. Come può l’uomo concorrere all’azione di Dio nel governo del mondo?

L’uomo concorre all’azione di Dio nel governo del mondo cooperando esso pure al bene dell’uomo stesso.

396. In qual maniera l’uomo può cooperare al bene dell’uomo?

L’uomo coopera al bene dell’uomo, servendo di strumento a Dio in ordine all’anima ed al corpo dell’uomo stesso.

397. Come avviene che l’uomo serve di strumento a Dio per l’anima dell’uomo?

L’uomo serve di strumento a Dio per l’anima dell’uomo, perché Dio crea l’anima di ciascun fanciullo che viene al mondo nella occasione dell’atto o della operazione dell’uomo; e perchè quest’anima si sviluppa in seguito e cresce in perfezione sotto l’azione del maestro che la istruisce (CXVII, CXVIII).

398. E come serve l’uomo di strumento a Dio per il corpo dell’uomo?

Perché secondo le leggi di natura stabilite da Lui, Dio ha voluto che il corpo del fanciullo sia formato e venga al mondo per la dolce interposizione di un padre e di una madre (CXIX).

Capo XXVIII

Punto di convergenza dove si ritrova tutto l’andamento del governo divino.

399. Intorno dunque alla culla del fanciullo noi vediamo fra gli uomini risplendere come nel loro centro tutte le soavità del governo di Dio nel mondo? Sì; intorno alla culla del fanciullo vediamo risplendere fra gli uomini come nel loro centro, tutte le soavità del governo di Dio nel mondo; perché tutto nel mondo è ordinato al bene di questo fanciullo: il padre e la madre che lo circondano; tutta la natura che lo fa vivere; gli Angeli che lo assistono; e Dio che lo destina alla gloria del cielo.

400. Vi è stata fra gli uomini una culla o una nascita su cui si siano manifestati in maniera incomparabile tutti gli splendori del governo di Dio nel mondo?

Sì; sulla culla e sulla nascita del Fanciullo che ci apparirà tosto come la via il cammino del ritorno dell’uomo verso Dio (CXIX, 2 ad 4).

401. E che cosa si vide infatti alla nascita di questo Fanciullo?

Alla nascita di questo Fanciullo si vide una concezione dovuta all’azione tutta soprannaturale dello Spirito Santo; una Madre rimasta Vergine; dei re e magi condotti da una stella, ed una moltitudine di spiriti celesti lodanti Dio ed esclamanti: Gloria a Dio nelle altezze celesti e pace in terra agli uomini di buona volontà.

402. Come si chiama questo Fanciullo di benedizione?

Egli non è altri che l’Emmanuele, ossia Dio con noi, e si chiama « Gesù ».

LA SUMMA PER TUTTI (6)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XII)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XII)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE Che comprende

LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO QUARTO

SUI CAPITOLI OTTO E NOVE

Apertura del settimo Sigillo, e i primi sei Angeli che suonarono la tromba.

SEZIONE I.

SUL CAPITOLO VIII.

I PRIMI QUATTRO ANGELI CHE QUI SUONARONO LA TROMBA.

§ 1.

L’apertura del settimo sigillo.

CAPITOLO VIII, VERSETTI 1-6.

Et cum aperuisset sigillum septimum, factum est silentium in cælo, quasi media hora. Et vidi septem angelos stantes in conspectu Dei: et datæ sunt illis septem tubæ. Et alius angelus venit, et stetit ante altare habens thuribulum aureum: et data sunt illi incensa multa, ut daret de orationibus sanctorum omnium super altare aureum, quod est ante thronum Dei. Et ascendit fumus incensorum de orationibus sanctorum de manu angeli coram Deo. Et accepit angelus thuribulum, et implevit illud de igne altaris, et misit in terram: et facta sunt tonitrua, et voces, et fulgura, et terræmotus magnus. Et septem angeli, qui habebant septem tubas, præparaverunt se ut tuba canerent.

[E avendo aperto il settimo sigillo, sì fece silenzio nel cielo quasi per mezz’ora. E vidi i sette Angeli che stavano dinanzi a Dio: e furono loro date sette trombe. E un altro Angelo venne, e si fermò avanti l’altare, tenendo un turibolo d’oro: e gli furono dati molti profumi affinchè offerisse delle orazioni di tutti i santi sopra l’altare d’oro, che è dinanzi al trono di Dìo.  E il fumo dei profumi delle orazioni dei santi salì dalla mano dell’Angelo davanti a Dio. E l’Angelo prese il turibolo, e lo empiè di fuoco dell’altare, e lo gettò sulla terra, e ne vennero tuoni, e voci, e folgori, e terremoto grande. E i sette Angeli, che avevano le sette trombe, si accinsero a suonarle.]

I. – Nell’apertura dei primi sei sigilli abbiamo visto la guerra della Chiesa contro i Giudei e i Gentili. Ora resta da descrivere, nell’apertura del settimo, la lotta di questa stessa Chiesa contro i principali eresiarchi ed i loro fautori, che tutti, fino alla consumazione dei secoli, sono inclusi sotto questo settimo sigillo. È anche sotto quest’ultimo sigillo che è designata la persecuzione di Giuliano l’Apostata e dei suoi figli, una persecuzione che fu di breve durata e che seguì il regno di Costantino Magno.

Vers. 1. – E quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, cioè quando Nostro Signore Gesù Cristo rivelò a San Giovanni le ultime persecuzioni che avrebbe ancora permesso contro la Sua Chiesa, fino alla fine del mondo, ci fu un silenzio in cielo di circa mezz’ora. Questo silenzio annuncia una nuova afflizione che la Chiesa ebbe a subire, in effetti, da Giuliano l’Apostata. Ma poiché questa persecuzione durò poco tempo e questo tiranno fu presto portato via dalla morte, il testo dice: Ci fu silenzio in cielo per circa mezz’ora. C’è una sorta di silenzio tra un popolo quando tutti sono sotto l’impressione di terrore, della paura e dello stupore all’avvicinarsi di nuove calamità. Questo è quello che successe in effetti alla Chiesa di Gesù Cristo al tempo dell’imperatore Giuliano. Si fece silenzio in cielo, cioè nella Chiesa. Giuliano aveva professato la vera  fede per vent’anni, anche se negli ultimi dieci anni della sua vita la religione che professava all’esterno non era altro che una vile ipocrisia, frutto della paura che Costanzo gli ispirava. Non appena fu sul trono, libero da questo imbarazzo, rinunciò solennemente alla fede di Gesù Cristo. Non contento di questo, si fece incoronare sommo pontefice con riti impuri, come vediamo in un inno romano composto dal sacerdote Prudenzo. Ordinò di riaprire i templi degli dei per offrire loro delle vittime. Si fece anche pontefice dei sacrifici di Eleusi. Infine, fece grandi sforzi per ricostruire, a favore dei Giudei, il tempio di Gerusalemme che Tito aveva distrutto nell’assedio di quella città. Di contro, Giuliano chiuse le chiese dei Cristiani e proibì loro il sacrificio pubblico della Messa. Così ci fu silenzio nella Chiesa per circa mezz’ora. Ma Dio non sopportò a lungo questo infame persecutore, perché nell’anno 363, dopo un anno e mezzo di regno, fu ferito nella guerra persiana e ne morì. È quindi a proposito che nel testo si dica che questo silenzio durò solo mezz’ora: infatti, dopo la sua morte le chiese dei Cristiani furono riaperte, i templi degli idoli furono chiusi di nuovo, e la Religione di Gesù Cristo ricominciò a godere della sua gioia e del suo riposo sotto gli imperatori Gioviano e Valentiniano, suoi successori, e sotto il Sommo Pontefice San Damaso.

II. Vers. 2. E vidi i sette angeli in piedi davanti alla faccia di Dio; e furono date loro sette trombe. Si farà menzione in seguito di questi sette angeli e delle loro trombe.

Vers. 3. E venne un altro angelo, che si fermò davanti all’altare. Quest’altro Angelo è San Damaso, che fu eletto Papa; ed è chiamato un altro, perché era l’opposto dei precedenti. Egli è annunciato tra gli altri angeli di cui si parla qui, perché alcuni di questi lo hanno effettivamente preceduto, ma il maggior numero di essi è venuto dopo di lui. Essi sono rappresentati tutti insieme davanti al trono per ricevervi le trombe; ma gli angeli che seguivano costui qui in questione, cioè San Damaso, lo seguivano solo nel senso che fecero risuonare le loro trombe dopo di lui. Ecco perché ci viene detto, prima di tutto, di questo Papa o Angelo: E venne un altro Angelo, San Damaso che fu eletto Papa, ma non fu subito accettato. E si arrestò davanti all’altare, cioè dopo che San Damaso fu eletto Papa, fu confermato e stabilito nel suo pontificato. È da notare che alla sua elezione, avvenuta nella basilica di Licino, egli fu sfidato dal diacono Ursicino, e che diverse persone di entrambi i partiti, che si erano formati in questa occasione, furono uccise in quel tempio, dove non ci si accontentò di combattere per i suffragi, ma si fece ricorso addirittura alla forza delle armi. Nonostante questa perturbazione, Damaso fu confermato con il consenso del clero e del popolo, e Ursicino fu assegnato alla Chiesa di Napoli. L’Apostolo esprime deliberatamente questa circostanza: E venne un altro Angelo, che stava davanti all’altare. Cioè, venne un altro Pontefice che governò effettivamente la Chiesa di Dio, perfettamente rappresentata qui dall’altare. Perché è sull’altare che Gesù Cristo viene immolato ed offerto ogni giorno nel santo Sacrificio della Messa, un Sacrificio incruento e propiziatorio accettato ogni giorno dalla mano del sacerdote dal Padre celeste. E venne un altro angelo, ecc. ….. che portava un turibolo d’oro, cioè un altro Pontefice di grande pietà, saggezza e carità; perché queste tre virtù sono metaforicamente rappresentate dal turibolo d’oro, dal fuoco che vi si trova, e dal fumo che ne esce. Ora, questo Papa eccelleva in queste tre virtù. Fu lui che per primo confermò con la sua autorità la Sacra Bibbia tradotta da San Girolamo, e che fece sostituire il Simbolo niceno con quello costantinopolitano nella Messa. Istituì le collegiali, costruì templi e abbellì notevolmente il culto divino. Inoltre, ordinò che i Salmi fossero cantati a due cori in tutte le chiese, e fece inserire alla fine di ogni Salmo il Gloria Patri, ecc. E gli furono dati molti profumi. Ora segue il frutto della saggezza di questo Pontefice nel culto divino che egli ampliò notevolmente, e nella Religione che fece fiorire in tutta la Chiesa. E gli furono dati molti profumi. Questi profumi sono l’accrescimento ed il fervore della preghiera che egli diffuse tra i servi di Dio. Salmo (CXL, 2): « Che la mia preghiera si elevi, o Signore, come il fumo dell’incenso alla vostra presenza. » Si dice che questi profumi gli furono dati perché li usasse con la sua autorità per restaurare e propagare il culto divino che l’empio Giuliano aveva distrutto, e per rendere omaggio a Dio; affinché presentasse le preghiere di tutti i santi sull’altare d’oro che è davanti al trono di Dio. Queste parole mostrano l’ufficio del Sommo Pontefice, che è quello di estendere e conservare il culto divino da se stesso e con tutti i ministri inferiori, e di riportare la devozione del popolo cristiano a gloria di Dio. Affinché presentasse, ecc…., sull’altare d’oro che è l’Umanità di Gesù Cristo, o l’Agnello che è alla presenza del trono; perché in Lui e attraverso di Lui tutte le nostre preghiere e i nostri meriti sono presentati a Dio, poiché è su Gesù Cristo che si fondano le nostre preghiere e i nostri meriti, ed è attraverso Gesù Cristo che il Padre li accetta come graditi, e senza Gesù Cristo questi meriti e queste preghiere non avrebbero alcun valore per la vita eterna.

Vers. 4.E il fumo dell’incenso che procede dalle preghiere dei santi salì dalla mano dell’angelo davanti a Dio. Cioè, questo miglioramento del culto sacro fu  straordinariamente gradito alla Maestà Divina, perché questo culto era il frutto del lavoro, dell’industria, della saggezza e della devozione di questo santo Pontefice, che qui rappresenta la persona morale della Chiesa universale.

VERS. 5. – E l’Angelo prese l’incensiere, lo riempì di fuoco dall’altare e lo gettò sulla terra; e ci furono tuoni, voci, lampi e un grande terremoto. Seguì un’altra grande e buona opera che fu fatta sotto questo santo Pontefice, cioè il Concilio di Costantinopoli, in cui 150 Padri della Chiesa decretarono il dogma della divinità dello Spirito Santo contro l’empio Macedonio ed i suoi seguaci, che lo negavano, così come Ario aveva osato negarlo in precedenza nella seconda Persona. Ecco perché l’Apostolo San Giovanni dice qui: E l’Angelo prese l’incensiere. L’Angelo, cioè San Damaso, prese il turibolo dell’anatema per far condannare l’empio Macedonio e consegnarlo a satana nel Concilio generale di Costantinopoli, che fu unanime, e la cui unanimità è rappresentata dal turibolo, perché tutti i cuori e le menti vi erano riuniti come in un unico vaso contenente il fuoco della carità. Lo riempì con il fuoco dell’altare, cioè con la divinità dello Spirito Santo, che è designata dal fuoco. Si dice che questo Angelo riempisse l’incensiere con il fuoco dell’altare, perché fu con il consenso universale di tutta la Chiesa, rappresentata dall’altare, che questo Papa, come Capo supremo e giudice delle controversie in materia di fede, dichiarò questa verità della divinità dello Spirito Santo. E lo gettò sulla terra, definendo dall’alto della Cattedra apostolica, e pubblicando per tutta la terra contro Macedonio e i suoi seguaci, che lo Spirito Santo è la Divinità stessa. E vennero tuoni, cioè scomuniche; e voci, o dichiarazioni di fede nello Spirito Santo; e lampi, cioè minacce di scomunica contro chiunque dovesse in futuro insegnare o credere qualcosa di contrario a questo dogma; ed un grande terremoto, cioè una grande alterazione e agitazione degli spiriti in queste circostanze. L’angelo gettò l’incensiere sulla terra, cioè contro i Macedoniani, spiriti terreni, le cui anime non potevano concepire altro che pensieri servili sullo Spirito Santo. Ed ecco i tuoni, le sante prediche su questo dogma della divinità dello Spirito Santo. E voci divine o lodi sulla sua divinità. E fulmini, cioè miracoli brillanti operati dalla sua virtù. E un grande terremoto; perché da questo i cuori degli uomini furono mossi e disposti a concepire pensieri giusti sulla divinità dello Spirito Santo.

Vers. 6. – Subito i sette Angeli che avevano le sette trombe si prepararono a suonarle. Vedremo, nel prossimo paragrafo, chi sono questi sette angeli con le loro trombe.

§ II

I primi due Angeli che suonarono la tromba.

CAPITOLO VIII VERSETTI 7-9.

Et primus angelus tuba cecinit, et facta est grando, et ignis, mista in sanguine, et missum est in terram, et tertia pars terræ combusta est, et tertia pars arborum concremata est, et omne foenum viride combustum est. Et secundus angelus tuba cecinit: et tamquam mons magnus igne ardens missus est in mare, et facta est tertia pars maris sanguis, et mortua est tertia pars creaturæ eorum, quæ habebant animas in mari, et tertia pars navium interiit.

[E il primo Angelo diede fiato alla tromba, e si fece grandine e fuoco mescolati con sangue, e furono gettati sopra la terra, e la terza parte della terra fu arsa, e la terza parte degli alberi furono arsi, e ogni erba verde fu arsa. E il secondo Angelo diede fiato alla tromba: e fu gettato nel mare quasi un gran monte ardente di fuoco, e la terza parte del mare diventò sangue, e la terza parte delle creature animate del mare morì, e la terza parte delle navi perì.]

I. Con i quattro angeli che suonano la tromba, che sono il soggetto dei prossimi due paragrafi, intendiamo gli eresiarchi che, dopo la sconfitta dei Giudei e dei gentili, iniziarono una nuova guerra contro la Chiesa di Gesù Cristo, attaccando il mistero della Santissima Trinità, la Divinità di Cristo e dello Spirito Santo, l’Umanità, la Persona, la Natura e la Volontà del Verbo incarnato, etc. Questi quattro eresiarchi rappresentano l’universalità di tutti gli altri eretici che derivano quasi tutti la loro origine da questi quattro principali, e che fondarono i loro errori sulla falsa dottrina di questi. Questo numero quattro è scelto di proposito, per similitudine con il numero degli animali, o dei quattro Evangelisti. Infatti come la verità doveva essere predicata per le quattro parti del mondo, e seminata come grano dai quattro Evangelisti, così Dio premise che l’errore o la confusione fosse diffusa anche da questi quattro angeli che rappresentano tutti gli eretici. 1° Il diavolo, l’antico nemico dell’umanità, il padre degli eretici e dei bugiardi, si sforza di imitare ciò che Gesù-Cristo fa per la salvezza degli uomini, con atti simili nella forma esteriore, ma che in realtà tendono direttamente alla distruzione di ogni verità e di ogni bene. 2°. Si suona la tromba quando si vuole fare la guerra e prepararsi alla battaglia, o quando si vuole promulgare un decreto. Ora, il primo di questi atti è adatto agli ultimi tre angeli, e il secondo è adatto agli eresiarchi che, pieni di orgoglio, hanno diffuso i loro impuri dogmi ed errori in tutto il mondo in tempi diversi.

Vers. 7. – Il primo angelo suonò la tromba. Questo primo angelo fu Ario, un sacerdote di Alessandria, che, nell’anno di Gesù Cristo 315, sotto Alessandro, Vescovo di quella città e sotto l’imperatore Costantino il Grande e il papa San Silvestro, osarono insegnare che Gesù Cristo è solo simile al Padre, ma non ha la sua stessa sostanza. Fu contro questa eresia che si tenne il primo Concilio di Nicea, uno dei quattro principali concili di quel tempo, al quale aderirono 318 Vescovi cattolici. Ario, Fotino e Sabellio furono condannati. Sebbene Ario sia apparso prima di Giuliano l’Apostata e di Papa Damaso, il testo parla di lui al secondo luogo, perché fu solo dopo questi che la sua dottrina fu propagata e sviluppata a tal punto che la Chiesa ne gemette, ed il Breviario Romano, in occasione della festa di San Damaso, che si celebra l’11 dicembre, dice: “Il mondo si stupì nel vedersi ariano”. – Grandine e fuoco misto a sangue caddero sulla terra, e la terza parte della terra e degli alberi fu bruciata, e tutta l’erba verde è stata consumata. Qui seguono le tempeste, le lotte e gli immensi danni che la cristianità ha dovuto subire al suono di questa tromba. La grandine cadde sulla terra. Queste parole annunciano un temporale molto tempestoso che, nel linguaggio ordinario, viene solitamente indicato come una grandinata; questa tempesta infatti rovinò e divise il regno di Cristo in quel tempo. Leggiamo in Hist. eccl. 1. 10: « A causa di questa tempesta il volto della Chiesa divenne livido e orribile. infatti non era più combattuta da nemici stranieri come prima, ma era devastata da guerre e da lotte intestine. I fedeli si anatemizzavano a vicenda, e tutti pretendevano di essere nel seno della verità. »  La proprietà della grandine è quella di devastare i raccolti più fiorenti, i vigneti ed i campi, e di distruggere fiori, alberi e frutti, lasciando dietro di sé tracce di rovina; e tale fu la terribile consequenza dell’eresia di Ario, che distrusse, per così dire, tutto lo splendore che il grande Costantino aveva dato alla Chiesa di Cristo. Grandine e fuoco misto a sangue caddero sulla terra, cioè il fuoco della gelosia e la grandine del dissenso che faceva scorrere il sangue, soprattutto sotto l’imperatore Valente, che, caduto in questa terribile eresia, perseguitò i Cattolici, a volte bruciandoli, a volte massacrandoli con il ferro o con altri nuovi generi di supplizi. – Cadde sulla terra, etc., perché quasi tutto l’universo era infettato da questo veleno, che penetrava ovunque, e che esercitò la sua influenza maligna per tanto lungo tempo, perchè piaceva a quasi tutti gli uomini. E la terza parte della terra e degli alberi fu bruciata, e tutta l’erba verde fu consumata. Queste parole denotano la caduta generale dei Cristiani di quel tempo, e il notevole declino della vera Chiesa. Infatti San Giovanni parla qui della terza parte della cristianità che disertò, cioè la terza parte dei laici, o del popolo, che egli designa con la parola terra, perché questa porzione del regno di Cristo era interamente assorbita dalle cose terrene e mondane. L’Apostolo parla anche della terza parte del clero, che egli designa con il termine di alberi, perché i sacerdoti devono essere superiori ai semplici fedeli, nella conoscenza delle sacre Scritture e nella pratica delle cose celesti, etc. Inoltre, gli ecclesiastici sono come alberi che devono dare frutti soprannaturali nella loro stagione, con la loro vita e la loro morale; e devono produrre foglie e frutti dai loro buoni esempi. Ora la terza parte di questi alberi perì, poiché, secondo la relazione di Sant’Ilario, 105 Vescovi furono infettati dall’errore ariano. E tutta l’erba fu consumata. San Giovanni si riferisce qui soprattutto ai Goti, che possono essere considerati come “erba verde”, perché, essendo disposti ad abbracciare il Cristianesimo, chiesero all’imperatore Valente dei sacerdoti per istruirli nei misteri e nei sacramenti della fede cattolica. Ma questo principe eretico mandò loro, invece, dei ministri ariani che li corruppero. Questa infame perfidia merita, senza dubbio, di essere punita con un furore tutto speciale da parte delle sue stesse vittime, nelle fiamme vendicative dell’eternità! Anno di Cristo 378.

II. Vers. 8Il secondo angelo suonò la tromba. Questo secondo angelo era Macedonio, Vescovo di Costantinopoli, che fece risentire le sue bestemmie contro lo Spirito Santo, rappresentandolo come una semplice creatura e come il servo del Figlio. Questo nuovo errore fu contrastato dal Concilio Ecumenico di Costantinopoli, il secondo dei Concili generali di quel tempo, al quale aderirono 150 Vescovi sotto Graziano e l’imperatore Teodosio, ed il Papa San Damaso nell’anno 381. E cadde nel mare come una grande montagna in fiamme. Questo eresiarca è paragonato ad una grande montagna in fiamme, a causa del suo orgoglio, della sua ambizione e della sua abominevole superbia, compiacendosi del suo errore con cui non negava, come Ario, la divinità del Figlio e dello Spirito Santo, ma negava solo la divinità dello Spirito Santo, dicendo che non è consustanziale al Padre. – Quest’uomo empio è raffigurato come un fuoco ardente, perché, essendo stato rigettato dalla sua sede episcopale, si infiammò, e bruciando di invidia, rabbia e furore, ed essendo stato costretto a ritirarsi come privato in un luogo segreto, chiamato i Chiostri, vicino a Costantinopoli, non cessò di vomitare dalla sua bocca impura il fuoco delle sue bestemmie contro lo Spirito Santo. E cadde nel mare. 1° Qui il mare è inteso a significare il mistero della Santa Trinità, che è impenetrabile agli occhi dell’intelligenza umana, come le profondità del mare lo sono ai nostri occhi, ed infinitamente di più. Inoltre, come le acque che bagnano la terra escono dal mare per ritornarvi, così tutti i beni naturali e soprannaturali vengono da Dio, uno in tre Persone, e devono tornare a questo stesso principio dal quale decorrono. 2° Il mare qui rappresenta lo stesso Spirito Santo; perché come il mare dà vita e prosperità a tutte le creature che sono in esso, che senza di esso non potrebbero esistere, così lo Spirito Santo è il mare vivificante in cui tutti noi abbiamo ricevuto la vita delle nostre anime nel Battesimo, ed è attraverso lo Spirito Santo che viviamo, perché se non fossimo irrigati con le sue acque della grazia, moriremmo presto. 3°. Per mare intendiamo ancora la Chiesa, a causa del Battesimo, poiché essa può essere considerata come il mare, dal momento che, come il mare è il ricettacolo di tutte le acque, così la Chiesa riceve e raccoglie tutti i fedeli attraverso il Battesimo. 4°. Il mare rappresenta anche il mondo, che è, infatti, come un mare in movimento, agitato dalle onde delle tentazioni e delle avversità, e che contiene il bene mescolato al male, proprio come il mare contiene i pesci buoni e quelli cattivi. – Ora, questa comparazione del mare in tutti i suoi significati ed accezioni qui citati, si applica perfettamente a questa grande montagna ardente caduta in questo mare di cui parla San Giovanni. Basta considerare attentamente la questione per convincersene. – E la terza parte del mare divenne sangue. 1° Il sangue qui rappresenta, in senso figurato, lo sconvolgimento che fu manifestato esternamente da questa eresia, riguardo alla credenza allo Spirito Santo e alla Santa Trinità, e riguardo al suo significato della Chiesa. 2° Si deve comprendere anche questo sangue nel suo significato proprio; infatti questa eresia di Macedonio, come quella di Ario, fece versare molto sangue nel mondo, come si vede dalla storia della Chiesa.

Vers. 9. E la terza parte delle creature che vivono nel mare, morì, cioè la terza parte dei Cristiani perse la vita dell’anima che avevano prima attraverso con la vera fede e l’amore nello Spirito Santo, quando ancora appartenevano alla Chiesa di Gesù Cristo, nella quale solo si può avere vita. E la terza parte delle creature che vivono nel mondo morì, cioè la terza parte dei cristiani ha perso la vita dell’anima che prima  possedevano attraverso la vera fede e l’amore nello Spirito Santo, quando ancora appartenevano alla Chiesa di Gesù Cristo, nella quale solo si può avere vita. Così tutti coloro che abbandonarono la Chiesa per aderire alla perfidia di questa nuova eresia perirono immediatamente. Infatti, come pochi sono i pesci che possono vivere fuori dal mare, così sono poche le anime, e ancora meno, che possono vivere ed essere salvate fuori dalla vera Chiesa di Gesù Cristo. La terza parte è qui espressa in modo definito, ma va intesa in senso indefinito: significa in realtà una grande e notevole parte della cristianità. E la terza parte delle navi perì. Vale a dire che un numero considerevole di prelati e pastori d’anime furono infettati da questa eresia, quando avrebbero essi dovuto condurre i fedeli al porto sicuro della salvezza.

§ III.

Del terzo e quarto angelo.

CAPITOLO VIII. VERSETTI 10-13.

Et tertius angelus tuba cecinit: et cecidit de caelo stella magna, ardens tamquam facula, et cecidit in tertiam partem fluminum, et in fontes aquarum: et nomen stellae dicitur Absinthium, et facta est tertia pars aquarum in absinthium; et multi hominum mortui sunt de aquis, quia amaræ factæ sunt. Et quartus angelus tuba cecinit: et percussa est tertia pars solis, et tertia pars lunæ, et tertia pars stellarum, ita ut obscuraretur tertia pars eorum, et diei non luceret pars tertia, et noctis similiter. Et vidi, et audivi vocem unius aquilae volantis per medium cæli dicentis voce magna: Væ, væ, væ habitantibus in terra de ceteris vocibus trium angelorum, qui erant tuba canituri.

[E il terzo Angelo diede fiato alla tromba: e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una fiaccola, e cadde nella terza parte dei fiumi e delle fontane: e il nome della stella si dice Assenzio; e la terza parte dell’acque diventò assenzio: e molti uomini morirono di quelle acque, perché diventate amare. E il quarto Angelo diede fiato alla tromba; e fu percossa la terza parte del sole, e la terza parte della luna, e la terza parte delle stelle, di modo che la loro terza parte fu oscurata, e la terza parte del giorno non splendeva e similmente della notte. E vidi, e udii la voce di un’aquila che volava per mezzo il cielo, e con gran voce diceva: Guai, guai, guai agli abitanti della terra per le altre voci dei tre Angeli che stanno per suonare la tromba.]

I. Vers. 10Il terzo angelo suonò la tromba. Questo terzo angelo era l’eresiarca Pelagio, che aveva come discepolo ed imitatore il suo contemporaneo Celestino. Entrambi erano monaci. Essi propagarono i loro errori al tempo degli imperatori Onorio ed Arcadio, e sotto il pontificato di Innocenzo I e di San Agostino, Vescovo di Ippona. Fu in questa occasione che la Chiesa celebrò il Concilio di Milano, che li condannò nell’anno 416. Anche il Concilio generale di Efeso fu riunito in quel periodo contro Nestorio. Pelagio infettò la Siria e le isole britanniche, sua patria, con la sua eresia, ed i suoi seguaci fecero lo stesso in altre terre. Pelagio, supponendo che il libero arbitrio debba essere anteposto alla grazia divina, insegnò: 1° che non è per la misericordia di Dio a causa di Gesù Cristo, e senza merito da parte nostra, che l’uomo è giustificato, ma che è attraverso le proprie virtù e le buone opere naturali che egli può ottenere per sé una vera e solida giustizia davanti a Dio; e che non è per la fede di Gesù Cristo, ma per le nostre forze, che possiamo ottenere la remissione dei nostri peccati.

2°. Egli insegnò che la morte di Adamo non fu una punizione per il peccato, ma una conseguenza delle condizioni della natura. 3°. Egli affermò pure che il Battesimo non è necessario ai bambini, perché negava l’esistenza del peccato originale. 4°. Egli disse che i giusti sono esenti dal peccato di questo mondo, perché una volta che un uomo è diventato giusto, non può più peccare. 5°. Una volta che un uomo ha ricevuto la grazia del Battesimo, non può più abusare del suo libero arbitrio e non può più commettere il peccato. 6°. Infine predicò che le preghiere della Chiesa per la conversione degli infedeli e dei peccatori o per la perseveranza dei Giusti sono inutile, e che il libero arbitrio è sufficiente per tutti.   – Ora è di questo eresiarca che l’Apostolo dice nella sua Apocalisse: Il terzo angelo suonò la tromba, cioè Pelagio cominciò a promulgare i suoi abominevoli vaneggiamenti. E una grande stella, ardente come una torcia, cadde dal cielo. Questa stella era Celestino, il suo discepolo e imitatore che, al suono della tromba del suo maestro, cadde dalla Chiesa militante nell’eresia. È chiamata una grande stella, perché era un uomo colto ed un uomo religioso, due qualità che davano alla sua dottrina un’apparenza di verità. Ecco perché l’Apostolo dice di questa stella che bruciava come una torcia. Con queste parole esprime il potere di questo eresiarca. Perché con la brillantezza della sua letteratura e sotto il suo abito di un religioso, è stato in grado di dare alla sua falsa dottrina una tale apparenza di verità e santità che ha contagiato e sedotto un gran numero di uomini. È chiamato ardente, perché era un acerrimo nemico e un formidabile avversario della grazia dello Spirito Santo. E cadde sulla terza parte dei fiumi e sulle fontane. I fiumi e le fontane sono una metafora usata da San Giovanni per esprimere il Battesimo e le grazie che lo Spirito Santo concede ai giusti in questa vita. Ora, questi sono i fiumi e le fontane di grazia, di cui questo eresiarca ha avvelenato la terza parte, facendo seccare queste sorgenti per un numero considerevole di fedeli che hanno smesso di credere in loro e di attingere da loro.

Vers. 11. – Il nome della stella era assenzio. Queste parole esprimono la proprietà di questa eresia che consisteva nel rendere la grazia dello Spirito Santo amara, odiosa e insipida agli uomini. Infatti come l’acqua dolce è piacevole e desiderabile per chi ha sete, così la grazia dello Spirito Santo ed il Battesimo sono desiderabili per i peccatori, quando hanno fede in Gesù Cristo. Ma questo demone gettò l’assenzio della sua infame eresia su queste acque, e le rese amare agli uomini, che riempì di presunzione delle loro proprie forze e del loro libero arbitrio; dal momento che senza la grazia di Dio, la pratica delle buone opere è per sua natura amara come l’assenzio, specialmente dopo il peccato originale. E la terza parte delle acque fu trasformata in assenzio, cioè una grande e notevole parte dei credenti fu infettata e corrotta da questa empietà. E molti uomini morirono a causa delle acque, perché erano amare. Per uomini, l’Apostolo designa i prudenti ed i sapienti del mondo che sono morti della morte dell’anima,  a causa delle acque, cioè a causa di quei dogmi perversi sulla grazia e sul Battesimo. Perché erano amari nell’apparenza e nella stima e nella falsa credenza degli uomini che li consideravano così, mentre al contrario erano pieni della dolcezza dello Spirito Santo che riempie l’anima alterata del peccatore con le acque della sua grazia.

II. Vers. 12. – Il quarto angelo suonò la tromba. Questo quarto angelo era l’eresiarca Nestorio, Vescovo di Costantinopoli, che apparve sotto Teodosio il Giovane e Papa Celestino, nell’anno di Cristo 428. In questa occasione fu convocato il Concilio generale di Efeso, il terzo dei quattro principali Concili di quel tempo, che condannò Nestorio per aver insegnato contro la verità della fede cattolica che Gesù Cristo, il Figlio di Dio, non era nato dalla beata Vergine Maria come Dio, ma solo come uomo; e che quindi, Maria non dovrebbe essere chiamata la Madre di Dio, ma solo la Madre di Cristo. Egli diceva anche che c’erano due persone in Gesù Cristo, come ci sono due nature, cioè la persona divina e la persona umana. Lo stesso Eutiche combatté mirabilmente questa eresia al tempo del Concilio; ma poiché si lasciò trascinare dall’odio contro la falsa dottrina di Nestorio, si dimenticò fino al punto di negare non solo le due persone in Gesù Cristo, il che era giusto, ma negò anche la le due nature, così che accusava coloro che confessavano esservi due nature in Gesù Cristo di essere nestoriani, sebbene fossero ben distinte l’una dall’altra. Questo nuovo eresiarca cadde in una tale follia che insegnò che Cristo non era nato dalla Vergine Maria secondo la carne, ma che il suo corpo, come raggio di luce solare, era sceso dal cielo sulla terra nel suo grembo, e che al momento della sua incarnazione, la sua carne fu cambiata nella Divinità. Così la prima di queste eresie fu l’occasione della seconda, nell’anno 448. Si convocò contro costui il Concilio di Calcedonia, l’ultimo dei quattro principali Concili di quel tempo sotto l’imperatore Marciano e il il sovrano pontefice Leone I, nell’anno 451. È in questa occasione che San Giovanni dice nel contesto: Il quarto angelo, Nestorio, suonò la tromba, predicando questa eresia. E fu colpita la terza parte del sole e la terza parte della luna. Il sole è inteso qui come la divinità e la luna come l’umanità di Cristo che è come lo sgabello di Dio. Il sole significa anche Gesù Cristo, e la luna la beata Vergine Maria, o la Chiesa Cattolica, tutti colpiti o attaccati sia dall’eresia di Nestorio che da quella di Eutiche, se non intrinsecamente, poiché in sé sono invulnerabili, almeno relativamente ai fedeli credenti che furono sedotti e colpiti di cecità dalle tenebre di questi errori.  – E la terza parte delle stelle, etc. – Le stelle sono i Vescovi, i prelati e i dottori che, essendosi lasciati avvolgere e accecare dalla notte di questi errori, si smarrirono e lasciarono la vera Chiesa di Cristo. E questi eresiarchi bestemmiavano contro il Nuovo e l’Antico Testamento e contro il Vangelo e i profeti. Perciò San Giovanni aggiunge subito: Così che la loro terza parte si oscurò, e il giorno perse la terza parte della sua luce, e la notte pure. Vale a dire, che le principali testimonianze del Nuovo Testamento, espressione del giorno, e quelle dell’Antico Testamento, designante la notte, riguardanti la vera umanità di Cristo, la sua incarnazione nel seno della beata Vergine Maria, e l’unità della sua Persona divina, furono così oscurate nella mente dei fedeli dalla perfidia di questi due eresiarchi, che queste testimonianze cessarono di brillare in tutta la loro verità agli occhi dei fedeli. Ora queste quattro eresie di cui si parla qui furono come la porta d’ingresso di tutte le eresie che seguirono, e anche di quelle che precedettero, poiché questi furono i prodromi, e quelle le conseguenze.

III. Vers. 13. – E vidi e udii la voce di un’aquila che volava in mezzo all’aria e diceva ad alta voce: “Guai, guai, guai a quelli che abitano sulla terra a causa dei tre angeli che devono suonare la tromba. In questo versetto, San Giovanni annuncia gli immensi mali e le tribolazioni che verranno sul mondo intero alla voce dei tre ultimi angeli. Una parte di queste calamità fu causata dalle precedenti eresie, e l’altra parte sarà prodotta dagli errori che descriveremo nei capitoli seguenti. – E vidi e sentii la voce di un’aquila che volava in mezzo all’aria, ecc. Quest’aquila è San Giovanni Evangelista stesso, che è salito nelle alte regioni del cielo, attraverso la rivelazione che gli è stata data. Egli vedeva nel suo spirito tutti gli eventi che dovevano essere compiuti nella Chiesa nel tempo, fino alla consumazione dei tempi. E poiché gli orrori di questi ultimi eventi dovevano superare anche quelli dei precedenti, si preoccupò di informarne tutta la cristianità, affinché i fedeli di buona volontà che ne sarebbero stati testimoni non si scandalizzassero, né cadessero o fossero fuorviati, perché i colpi che si possono prevedere sono solitamente meno funesti. disastrosi. Ho sentito la voce di un’aquila, etc, …che diceva ad alta voce, per fare presagire la grandezza delle tribolazioni avvenire: Guai! Guai, guai, guai agli abitanti della terra, a causa dei tre angeli che devono suonare la tromba. Per gli abitanti della terra si intende l’intera razza umana, ivi compresi buoni e cattivi; perché tutti saranno vittime di questi eventi, come vedremo più avanti. – (Da ciò che è stato appena detto su quest’aquila che rappresenta San Giovanni Evangelista stesso, possiamo capire perché la sua Apocalisse sia stata così a lungo fraintesa; e possiamo vedere che lo scopo di questa rivelazione era soprattutto quello di informare la Chiesa degli ultimi e più grandi mali che dovevano affliggerla.).

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (XIII)

LA SUMMA PER TUTTI (4)

LA SUMMA PER TUTTI (4)

R. P. TOMMASO PÈGUES

LA SOMMA TEOLOGICA Di S. TOMMASO DI AQUINO IN FORMA DI CATECHISMO PER TUTTI I FEDELI

PARTE PRIMA

Capo XII

I corpi.  Loro creazione..- Opera dei sei giorni.

166. Qual è la seconda categoria degli esseri creati da Dio: nel mondo, alla estremità opposta alla categoria degli spiriti?

La seconda categoria degli esseri creati da Dio nel mondo, alla estremità opposta alla categoria degli spiriti, è quella dei corpi.

167. Tutto l’insieme del mondo dei corpi è stato creato da Dio?

Sì; tutto l’insieme del mondo dei corpi è stato creato da Dio (LXV, 5).

168. Dunque Dio stesso ha creato la terra e tutto ciò che in essa vediamo; il mare e tutto. ciò che contiene; il cielo col sole, la luna e le stelle?

Sì; Dio stesso ha creato la terra e tutto  ciò che in essa vediamo; il mare e tutto ciò che

contiene; il cielo col sole, la luna e le stelle.

169. Quando ha creato Dio tutto questo mondo dei corpi?

Dio ha creato tutto questo mondo dei corpi al principio del mondo, nello stesso tempo

in cui creava il mondo degli spiriti (LXI, 3; LXVI, 4).

170. Dio ha creato istantaneamente il mondo dei corpi nello stesso tempo che creava il mondo degli spiriti?

Sì; Dio ha creato istantaneamente il mondo dei corpi nello stesso tempo del mondo degli spiriti (ibid.).

171. I mondo dei corpi fu da questo primo istante tale quale è oggi?

No; il mondo dei corpi non fu da questo primo istante tale quale è oggi (LXVI, 1).

172. In quale stato fu creato da Dio il mondo dei corpi?

Il mondo dei corpi fu creato da Dio allo stato di « caos ».

173. Che cosa intendete col dire che il mondo dei corpi fu creato da Dio allo stato di «caos»?

Intendo dire che Dio creò prima gli elementi donde doveva uscire il mondo dei corpi quale oggi lo vediamo (LXVI, 1,2).

174. Chi trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale lo vediamo oggi?

Dio trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale lo vediamo oggi.

175. Dio trasse dai primi elementi il mondo dei corpi quale oggi lo vediamo, in una sola volta?

No; non in una sola volta ma con varii interventi successivi Dio trasse dai primi elementi il mondo dei «corpi quale lo vediamo oggi.

176. Quanti sono stati gli interventi di Dio, onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi?

Sono stati sei gli interventi divini onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi.

177. Come si chiamano questi sei interventi, divini, onde portare il mondo dei corpi allo stato in cui lo vediamo oggi?

Si chiamano i sei giorni della creazione (LXXIV, 1, 2).

178. A che cosa si limitò il primo giorno della creazione?

Il primo giorno della creazione si limitò alla creazione della luce (LXVII, 4).

179. A che cosa si limitò il secondo giorno della creazione?

Il secondo giorno della creazione si limitò alla creazione del firmamento (LXVII, 1).

180. A che cosa si limitò il terzo giorno della creazione?

Il terzo giorno della creazione si limitò alla separazione, ossia alla distinzione dei mari e dei continenti, ed alla produzione delle piante

181. A che cosa si limitò il quarto giorno della creazione?

Il quarto giorno della creazione si limitò alla creazione del sole, della luna e delle stelle (LXX, 1).

182. A che cosa si limitò il quinto giorno della creazione?

Il quinto giorno della creazione si limitò alla creazione dei pesci e degli uccelli (LXXI).

183. A che cosa si limitò il sesto giorno della creazione?

Il sèsto giorno della creazione si limitò alla creazione degli animali terrestri ed a quella dell’uomo (LXXII).

184. Come sappiamo noi che Dio ha creato in siffatta maniera il mondo quale noi lo vediamo?

Noi sappiamo che Dio ha creato in siffatta maniera il mondo come lo vediamo, perché Egli stesso ce lo ha detto.

185. Dove ci ha detto Dio di aver creato il mondo come lo vediamo, in tale maniera?

Nel primo capitolo della Genesi, al principio della Sacra Scrittura, Dio ci ha detto di aver creato in tale maniera il mondo quale lo vediamo.

186. La scienza si accorda con questo primo capitolo della Genesi?

Non vi è dubbio che la vera scienza si accorderà sempre con questo primo capitolo

della Genesi.

187. Perchè dite che la «vera » scienza. Si accorderà sempre con questo primo. Capitolo della Genesi?

Perché la vera scienza vede le cose come sono, e nessuno sa come sono le cose meglio di Dio stesso che le ha create; ed in questo primo capitolo della Genesi ci ha detto appunto come le ha. create.

188. Non vi potrà dunque essere mai contraddizione tra la scienza e la Scrittura in ciò che

riguarda la creazione del mondo dei corpi?

No; non vi potrà mai essere contraddizione tra la vera scienza e la Scrittura in ciò

che riguarda la creazione del mondo dei corpi (LXVII-LXXIV).

Capo XIII.

L’uomo. – La sua natura.

La sua anima spirituale ed immortale.

189. Fra gli esseri che sono nel mondo dei corpi, se ne trova uno che forma come un mondo a parte, ossia una categoria affatto distinta nell’insieme del mondo creato da Dio?

Sì; vi è l’uomo.

190. Che cosa è l’uomo? –

L’uomo è un composto di spirito e di corpo, ed in cui si trovano in qualche modo riuniti il mondo degli spiriti ed il mondo dei corpi (LXXV).

191. Come si chiama lo spirito che è nell’uomo?

Si chiama anima (LXXV, 1-4).

192. Soltanto l’uomo ha un’anima nel mondo dei corpi?

No; non soltanto l’uomo ha un’anima nel mondo dei corpi.

193. Quali sono gli altri esseri che hanno pure un’anima nel mondo dei corpi?

Sono le piante e gli animali.

194. Che differenza passa tra l’anima delle piante e degli animali e quella dell’uomo? Vi è questa differenza, che l’anima delle piante non è che per la vita vegetativa; quella degli animali per la vita vegetativa e sensitiva; ed oltre a tutto questo l’anima dell’uomo è per la vita del pensiero.

195. Dunque l’uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi del mondo dei corpi per la vita del pensiero?

Sì; per la vita del pensiero l’uomo si distingue da tutti gli altri esseri viventi del mondo dei corpi.

196. In questa vita del pensiero l’anima umana è in sé indipendente dal corpo?

Sì; in questa vita del pensiero l’anima umana è in sé indipendente dal corpo (LXXV, 2).

197. Potreste darmi una ragione che stabilisca questa. verità?

Sì; la ragione è che l’oggetto del pensiero è cosa del tutto incorporea.

198. Come si deduce da questo che l’anima umana nella vita del pensiero è in sé indipendente dal corpo?.

Perché se non fosse essa stessa del tutto incorporea non potrebbe raggiungere l’oggetto del pensiero che è affatto incorporeo (Ibid.).

199. Che cosa si deduce da questa verità?

Si deduce che l’anima umana è immortale (LXXV, 6).

200. Potreste mostrarmi come si deduce da questa verità che l’anima umana è immortale?

Sì; ciò si deduce perché se essa ha un’operazione in cui il corpo non ha alcuna parte, bisogna che abbia anche un essere proprio indipendente dal corpo.

201. Che cosa si deduce dal fatto che l’anima umana ha un essere proprio, indipendente dal corpo?

Si deduce che se il corpo muore per la separazione dell’anima, l’anima non può morire (ibid.).

202. L’anima umana deve dunque sopravvivere sempre?

Sì; l’anima umana deve sopravvivere sempre.

203. Ma perché allora l’anima umana è stata unita ad un corpo?

L’anima umana è stata unita ad un corpo per formare con esso questo tutto armonioso

e sostanziale che si chiama uomo (LXXV, 4).

204. Dunque l’anima umana non è stata unita accidentalmente al suo corpo?

No; l’anima umana non è stata unita accidentalmente al suo corpo, ma perché è fatta

per esso (LXXVI, 1).

205. Che cosa opera l’anima umana nel corpo a cui è unita?

Essa dà a questo corpo tutto ciò che ha come perfezione; vale a dire gli dà l’essere, il vivere ed il sentire, riservando a sé sola l’atto di pensare (LXXVI, 3, 4).

Capo XIV,

Le sue facoltà Vegetative e sensitive.

206. Dobbiamo ammettere nell’anima umana diverse facoltà che si riferiscono a questi diversi atti?

Sì; bisogna ammettere nell’anima diverse facoltà che si riferiscono a questi diversi atti, con la sola eccezione della prima perfezione che l’anima dona essa stessa, vale a dire l’essere del corpo (LXXVII).

207. Quali sono le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di vivere?

Le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di vivere sono le facoltà vegetative.

208. Potreste dirmi quali sono queste facoltà?

Sì; sono tre e cioè: la facoltà di nutrirsi, di crescere e di riprodursi (LXXVIII, 2).

209. Quali sono le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di sentire?

Le facoltà dell’anima che danno al corpo la possibilità di sentire sono le facoltà sensibili.

210. Potreste dirmi quali sono queste facoltà?

Sì; queste facoltà sono di due specie, cioè: le facoltà di conoscere e le facoltà di amare.

211. Quali sono le facoltà sensibili che danno al corpo li possibilità di conoscere?

Le facoltà sensibili che danno al corpo la possibilità di conoscere sono le facoltà dei cinque sensi esterni (LXXVIII, 3).

212. Come si chiamano le facoltà dei cinque sensi esterni?

Si chiamano facoltà di vedere, di udire, di sentire o di odorare, di gustare e di toccare (Ibid.).

213. Ed i cinque sensi esterni come si chiamano?

Si chiamano: la vista, l’udito, l’odorato, il gusto ed il tatto (ibid.).

214. Vi sono pure facoltà sensibili conoscitive, che rimangono interne senza che appariscano al di fuori?

Sì; e sono: il senso centrale, la immaginazione, l’istinto e la memoria (LXXVIII, 4).

Capo XV

La sua intelligenza ed il suo atto di conoscere.

215. Vi sono nell’uomo altre facoltà di conoscere?

Sì; vi è un’altra facoltà, di conoscere nell’uomo, ed è la sua facoltà principale.

216. Come si chiama questa facoltà principale di conoscere?

Si chiama ragione o intelligenza (LXXIX, 1).

217. Ragione od intelligenza sono una stessa facoltà di conoscere nell’uomo?

Sì; la ragione e la intelligenza sono nell’uomo una stessa facoltà di conoscere (LXXIX, art. 8).

218. Perché si chiama con questo doppio nome?

Si chiama con questo doppio nome perché nel suo atto di conoscere qualche volta percepisce subito senza bisogno di ragionare, mentre altre volte bisogna che ragioni (1bid.),

219. Il ragionamento è atto proprio dell’uomo?

Sì; il ragionamento è atto proprio dell’uomo; perché tra tutti gli esseri esistenti egli solo può ragionare, o può aver bisogno di ragionare,

220. È una perfezione per l’uomo il poter ragionare?

Sì; è una perfezione per l’uomo il poter ragionare; ma è una imperfezione l’averne bisogno.

221. Perché dite che per l’uomo è una perfezione il poter ragionare?

Perché così l’uomo può conoscere la verità; ciò che non possono gli esseri inferiori a lui quali sono gli animali senza ragione.

222. Perchè dite che è una imperfezione per l’uomo l’aver bisogno di ragionare?

Perché in tal modo non arriva a conoscere la verità che lentamente e con la possibilità di errare; mentre l’Angelo e Dio che non hanno bisogno di ragionare apprendono la verità in un solo istante e senza errore.

223. Potreste dirmi che cosa significa conoscere la verità?

Conoscere la verità significa sapere ciò che è.

224. E non sapere ciò che è che cosa vuol dire?

Vuol dire essere nella ignoranza o nell’errore.

225. Vi è differenza tra queste due cose: essere nella ignoranza ed essere nell’errore?

Sì; vi è una grandissima differenza tra l’essere nella ignoranza ed essere nell’errore; perché essere nella ignoranza è semplicemente non sapere ciò che è; mentre essere nell’errore è affermare che una cosa è quando non è, o che essa non è quando invece è.

226. È un male per l’uomo essere nell’errore?

Sì; è un male grandissimo per l’uomo essere nell’errore; perché il bene proprio dell’uomo consiste nella verità che è il bene della sua intelligenza;

227. L’uomo nascendo porta seco la verità?

No; l’uomo nascendo non porta seco la verità; perché se egli ha fin da allora la intelligenza, non l’ha che allo stato di facoltà vuota, che per acquistare la verità deve attendere lo sviluppo sufficiente delle facoltà sensibili destinate ad aiutarla (LXXXIV, 5).

228. Quando incomincia l’uomo a conoscere la verità?

L’uomo incomincia a conoscere la verità all’uso di ragione, vale a dire circa il suo settimo anno di età.

229. L’uomo può conoscere tutto con la ragione?

No; l’uomo non può conoscere tutto di conoscenza propria con la ragione, considerando la ragione stessa nei soli limiti delle sue forze naturali (XII, 4; LXXXVI, 2, 4).

230. Quali sono le cose che l’uomo può conoscere naturalmente con la ragione?

L’uomo può conoscere naturalmente con la ragione le cose sensibili e tutto ciò che esse rivelano.

231. Può l’uomo conoscere se stesso con la ragione naturale?

Sì; l’uomo può conoscere se stesso con la ragione naturale; perché egli stesso è un essere sensibile che con l’aiuto di ciò che cade sotto i suoi sensi può, per via di ragionamento, conoscere quello che si richiede per essere ciò che è (LXXXVII).

232. Può l’uomo conoscere gli Angeli, ossia i puri spiriti?

L’uomo non può conoscere che imperfettamente gli Angeli o puri spiriti.

233. Perché l’uomo non può conoscere che imperfettamente gli Angeli o puri spiriti?

Perché non può conoscerli in se stessi, a motivo della loro natura che non appartiene alle nature sensibili, oggetto proprio della ragione dell’uomo (LXXXVIII, 1,2).

234. Può l’uomo conoscere Dio in Se stesso?

No; l’uomo non può naturalmente conoscere Dio in Se stesso, essendo Egli infinitamente superiore alle nature sensibili, che sono il solo oggetto proporzionato alla ragione dell’uomo nell’ordine della sua conoscenza naturale (LXXXVII, 3).

235. Dunque solo imperfettamente l’uomo può conoscere. Dio con la sua sola ragione, abbandonata alle sole sue forze naturali?

Sì; soltanto in modo imperfetto l’uomo può conoscere Dio con la sua ragione, abbandonata alle sole sue forze naturali.

236: È tuttavia una perfezione per l’uomo di poter conoscere Dio con la sua ragione?

Sì; è una perfezione grandissima per l’uomo di poter conoscere sebbene imperfettamente Dio con la sua ragione; perché con questo si innalza infinitamente sopra gli altri esseri che non hanno la ragione, e perché con ciò stesso ha potuto essere elevato alla suprema dignità di figlio di Dio per mezzo della grazia, con la quale la sua ragione è chiamata a conoscere Dio come è in Se stesso; ora imperfettamente con la fede, e dopo nella piena chiarezza della luce di gloria (XII, 4 ad 3, 5, 8,10, 13).

237. Innalzato così alla dignità di figliuolo di Dio per mezzo della grazia, l’uomo è potuto divenire simile agli Angeli? »

Sì; innalzato alla dignità di figliuolo di Dio per mezzo della grazia, l’uomo diviene in qualche modo simile agli Angeli, potendo anche essere superiore ad essi nell’ordine della grazia, quantunque resti loro inferiore nell’ordine della natura (CVII, 8).

Capo X

Sue facoltà di amare. – Libero arbitrio.

238. Vi sono nell’uomo altre facoltà oltre le facoltà di conoscere?

Sì; nell’uomo vi sono anche le facoltà di amare.

239. Che cosa intendete per facoltà di amare nell’uomo?

Intendo il potere che è in lui di volgersi con moto affettivo verso tutto ciò che dalle sue facoltà conoscitive gli vien presentato come un bene, e di ritrarsi da tutto ciò che gli vien presentato come un male.

240. Vi sono più specie di facoltà di amare nell’uomo?

Sì; vi sono due specie di facoltà di amare nell’uomo, in ordine alle due specie di cognizione che sono in lui.

241. Come si chiama la prima specie di facoltà di amare nell’uomo?

Si chiama cuore, nel senso affettivo sensibile dato a questa parola (LXXXI).

242. E come si chiama la seconda specie di facoltà di amare nell’uomo?

La seconda specie di facoltà di amare nell’uomo si chiama volontà (LXXXII).

243. Si può dare il nome di cuore anche alla volontà nell’uomo?

Sì; si può dare il nome di cuore anche alla volontà nell’uomo, ma in senso più alto ed affatto immateriale.

244. Quale è la più perfetta delle due facoltà di amare nell’uomo?

È la volontà.

245. L’uomo è detto dotato di libero arbitrio per la volontà?

Sì; per la volontà l’uomo è detto dotato di libero arbitrio; perché la volontà non volgendosi da se stessa e necessariamente che al bene sotto la ragione generale di bene, resta padrona del suo atto ogniqualvolta si tratta di un bene particolare qualunque, potendo insieme volerlo e non volerlo (LXXXIII).

246. È la volontà sola che costituisce il libero arbitrio dell’uomo?

No; non è la volontà sola che costituisce il libero arbitrio dell’uomo; ma la volontà in unione con la intelligenza ossia con la ragione.

247. L’uomo, per la sua intelligenza e la sua volontà dotata di libero arbitrio, è il re della creazione nel mondo dei corpi?

Sì; l’uomo per la sua intelligenza e la sua volontà dotata di libero arbitrio è il re della creazione nel mondo dei corpi, essendo tutti gli altri esseri del mondo dei corpi al di sotto di lui per la loro natura, ed essendo tutti fatti per servirlo nel viaggio di ritorno verso Dio per mezzo degli atti del suo libero arbitrio.

Capo XVII.

L’origine dell’uomo, ossia la sua creazione e la sua formazione da parte di Dio.

248. Gli uomini che sono attualmente sulla terra e tutti quelli che li hanno preceduti, vengono da un solo padre e da una sola madre?

Sì; tutti gli uomini che attualmente sono sulla terra e quelli che li hanno preceduti vengono da un solo padre e da una sola madre.

249. Come si chiamano il primo uomo e la prima donna da cui sono nati tutti gli uomini?

Si chiamano Adamo ed Eva.

250. Chi è stato il creatore di Adamo e di Eva?

Dio è stato il creatore di Adamo e di Eva.

251. Come ha creato Dio Adamo ed Eva?

Dio ha creato Adamo ed Eva dando loro il corpo e l’anima.

252. Come ha dato Dio l’anima ad Adamo ed Eva?

Dio ha dato l’anima ad Adamo ed Eva creandola (XC, 1, 2).

253. Come ci ha detto Dio che aveva dato il corpo ad Adamo ed Eva?

Dio ci ha detto che aveva dato il corpo ad Adamo formandolo Egli stesso dal fango della terra, e che aveva dato il corpo ad Eva formandola da una costola di Adamo (XCI, XCII).

254. Dobbiamo dire che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Sì; dobbiamo dire che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio (XCII).

255. Che cosa vogliamo dire quando diciamo che l’uomo è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Vogliamo dire che Dio ha dato all’uomo una natura è tali operazioni, che in ciò che hanno di più nobile ci permettono di intravedere ciò che è Dio nella sua natura spirituale e nella vita intima delle sue tre auguste Persone, e di imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine (XCIII, 5-9).

256. Potreste mostrarmi in qual modo la natura e le operazioni dell’uomo in ciò che hanno di più nobile permettano di intravedere ciò che è Dio nella sua natura spirituale e nella vita intima delle sue tre auguste Persone?

Ciò avviene inquantochè l’anima nostra nella sua parte superiore è anch’essa una natura spirituale, le cui operazioni più alte sono l’atto di pensare e di amare, elevandosi sino alla prima verità ed al primo bene che è Dio stesso.

257. Come possiamo intravedere in questo atto di pensare e di amare la vita intima delle tre auguste Persone della Santissima Trinità?

Perché la nostra mente quando pensa a Dio concepisce un verbo interiore in cui ritrova il suo oggetto, e sotto la pressione di questo pensiero che concepisce il verbo, si produce l’atto di amore verso il medesimo oggetto che la mente ha concepito (XCIII, 6).

258. Come possiamo noi imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine?

Noi possiamo imitare la perfezione che è la caratteristica delle Persone divine facendo di Dio concepito ed amato nel nostro spirito, e nel nostro cuore, il primo ed ultimo oggetto di tutta la nostra vita pensante ed amante (XCIII, 7).

259. Non vi è che l’uomo nel mondo corporeo che sia stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio?

Sì; non vi è che l’uomo che è stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio nel mondo corporeo, in ragione della sua natura spirituale (XCIII, 2).

260. Le altre creature del mondo corporeo non conservano niente di Dio che le ha fatte?

Sì; le altre creature del mondo corporeo conservano in sé il vestigio ossia la traccia di Dio che le ha fatte, in ragione delle perfezioni di ordine inferiore che sono in esse (XCIII, 6).

Capo XVIII

Lo stato di felicità in cui fu creato.

261. L’uomo fu creato da Dio in uno stato di grande perfezione?

Sì; l’uomo fu creato da Dio in uno stato di grande perfezione.

262. Potreste dirmi che cosa comportava questo stato di perfezione in cui l’uomo fu creato da Dio?

Questo stato di perfezione in cui l’uomo fu creato da Dio comportava: una scienza completa senza ombra di errore nella sua intelligenza; la giustizia originale e tutte le virtù nella sua anima e nel suo cuore; l’impero assoluto dell’anima sul corpo e sopra ogni altra creatura inferiore all’uomo (XCIV, XCV, XCVI).

263. Questo stato di perfezione era soltanto proprio del primo uomo, oppure doveva essere comune a tutti nel corso delle generazioni?

Era proprio di Adamo per quanto riguarda la scienza; ma la giustizia originale ed i doni di integrità dovevano comunicarsi a tutti per ragione di origine, essendo – inseparabili

dalla natura fintantoché non ne fosse stata spogliata dal peccato (XCIV, CI, 1).

264. Sarebbe dovuto morire l’uomo nello stato in cui fu creato da Dio?

No; l’uomo non sarebbe dovuto morire nello stato in cui fu creato da Dio (XCVII, 1).

265. Avrebbe potuto soffrire l’uomo nello stato in cui fu creato da Dio?

No; l’uomo non avrebbe potuto soffrire nello stato in cui fu creato da Dio, perché la

sua anima per un privilegio speciale avrebbe tenuto il corpo come al riparo da ogni male, ed essa stessa non sarebbe potuta essere da niente contrariata, fintantochè fosse rimasta sottomessa a Dio per sua volontà (XCVII, 2).

266. L’uomo fu dunque creato da Dio in un vero stato di felicità?

Sì; l’uomo fu creato da Dio in un vero stato di felicità.

267. Questo stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio, era lo stato della sua ultima e perfetta felicità?

No; questo stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio non era lo stato della sua ultima e perfetta felicità, perché era temporaneo e doveva essere seguito da un altro stato definitivo (XCIV, 1 ad 1).

268. Come si potrebbe dunque chiamare questo, stato di felicità in cui l’uomo fu creato da Dio?

Si potrebbe chiamare uno stato di prima felicità che doveva preparare l’uomo a ricevere, per via di merito, lo stato di ultima felicità a titolo di ricompensa (XCIV, 1 ad 2; XCV, 4).

269. Dove avrebbe ricevuto l’uomo questo Stato di ultima e perfetta, felicità se fosse rimasto fedele?

Lo avrebbe ricevuto nel cielo della gloria con gli Angeli, dove Dio lo avrebbe trasferito dopo un certo tempo di prova (XCIV, 1 ad 1).

270. Dove stava l’uomo ad attendere di essere trasferito nel cielo della gloria?

Stava in un giardino di delizie preparato da Dio per accoglierlo (CII).

271. Come è stato chiamato questo giardino di delizie?

È stato chiamato Paradiso terrestre (Ibid.).

LA SUMMA PER TUTTI (5)

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “RESPICIENTES EA OMNIA”

« … Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali … » Questo passaggio della Lettera Enciclica “Respicientes”, scritta da S. S. Pio IX all’indomani dell’usurpazione dei territori dello Stato Pontificio, suona come condanna irrevocabile, tremenda ed inappellabile presso il tribunale di Dio, per tutti coloro che all’epoca collaborarono, e ancora oggi sostengono la status usurpante dei territori della Chiesa sottratti con la violenza alla giurisdizione del Monarca e Santo Padre, legittimo regnante per grazia divina. La storia ci ha confortato in questa valutazione, mostrandoci la fine ingloriosa anche sulla terra: 1) della Monarchia sabauda, cacciata ingloriosamente via per sempre a calci nel fondoschiena; 2) dei militari e dei comandanti di truppe sacrileghe poi annientate in guerre successive: Crimea, guerre di Indipendenza – cioè di usurpazione –, guerre mondiali e coloniali catastrofiche, dittatura e successivo regime social comunista e massonico ancora oggi al governo (anche se mascherato da nomi diversi); 3) della Nazione intera che non ha finito di pagare ancora i suoi debiti con Dio per la sua vigliaccheria, apostasia, infamia, ingiustizia. Ma guai a noi, perché il Signore non dimentica e colpisce, quando meno ci si aspetta, i padri nelle generazioni successive; lo possiamo costatare proprio oggi con il male più grave che possa colpire una Nazione: l’apostasia dalla fede Cattolica, una morale totalmente sovvertita e furiosamente pagana, un cumulo di eresie sostenute da antipapi usurpanti e dai modernisti del novus ordo, capaci di falcidiare senza pietà una quantità incalcolabile di anime ignare e gaudenti e mandarle senza indugi all’inferno a bruciare per l’eternità…

ENCICLICA
«RESPICIENTES EA OMNIA»

«Protesta energicamente contro la presa di Roma e la dichiarazione
di considerare la Santa Sede Apostolica
come prigioniera di fatto.
Commina la scomunica maggiore ai fautori e cooperatori
delle invasioni dello Stato della Chiesa
»

(S. S. PIO IX)

VENERABILI FRATELLI
SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Considerando tutto ciò che il governo subalpino da molti anni va senza interruzione perpetrando per rovesciare il Principato civile concesso a questa Sede Apostolica per particolare volontà di Dio, affinché i successori del beato Pietro potessero nell’esercizio della loro giurisdizione spirituale godere la necessaria e sicura pienezza di libertà; per forza, o Venerabili Fratelli, siamo turbati da grande intimo dolore per così audace cospirazione contro la Chiesa di Dio e questa Santa Sede: e in questi tempi così funesti nei quali quel governo, seguendo i consigli rovinosi delle sette, ha compiuto contro ogni diritto, con la forza delle armi, la sacrilega invasione già da gran tempo premeditata di questa Nostra alma Città e delle altre città che Ci erano rimaste dopo la precedente usurpazione; mentre Noi rispettiamo i misteriosi voleri di Dio umilmente prostrati dinanzi a Lui, siamo costretti a servirCi delle parole del profeta: “Io piango e il mio occhio versa lacrime, perché molto si è allontanato da me il Consolatore abbattendo l’anima mia; i miei figli sono perduti poiché il nemico ha vinto” (Jer. thr. I, 16). – Già da gran tempo, Venerabili Fratelli, fu da Noi assai chiaramente esposta e palesata al mondo cattolico la storia di questa nefasta guerra, il che abbiamo fatto con parecchie Allocuzioni, Encicliche, Brevi, mandati, intenti diversi; e cioè il 1° Gennaio 1850, il 22 Gennaio e il 26 Luglio 1855, il 18 e 26 Giugno e il 26 Settembre 1859, il 19 Gennaio 1860; con Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860; nonché con Allocuzioni del 28 Settembre 1860, del 18 Marzo e del 30 Settembre 1861, del 20 Settembre, del 17 Ottobre e del 16 Novembre 1867. La serie di questi documenti fa conoscere e conferma le gravissime ingiurie arrecate dal governo subalpino alla suprema autorità Nostra di questa Santa Sede, anche prima dell’occupazione del dominio ecclesiastico incominciata negli scorsi anni; ingiurie arrecate sia emanando leggi contro il Diritto naturale divino ed ecclesiastico, sia assoggettando i sacerdoti, le Compagnie religiose e i Vescovi stessi ad indegni maltrattamenti; sia venendo meno alla fede che implicavano le solenni convenzioni strette con la Sede Apostolica e negando risolutamente la loro inviolabilità persino nel tempo in cui quel governo dichiarava di voler iniziare nuove trattative con Noi. Dai medesimi documenti appare chiaro, Venerabili Fratelli, e apparirà chiaro a tutta la posterità, con quali artifici e con quante astute e indegne macchinazioni quel governo sia giunto a opprimere i giusti e santi diritti di questa Apostolica Sede e nello stesso tempo si conoscerà quanta premura Ci siamo data per reprimere per quanto era in Noi la sua audacia che aumentava di giorno in giorno e per difendere la causa della Chiesa. Sapete bene che nell’anno 1859 molte città importanti dell’Emilia, a mezzo di scritti clandestini, cospiratori, armi e denaro furono spinte dal potere subalpino alla ribellione; e che non molto tempo dopo, indetti i comizi popolari e captati i voti, si finse un plebiscito e con questo inganno le Nostre province di quella regione furono strappate al Nostro paterno dominio, mentre i buoni si opponevano invano. È anche risaputo che nell’anno seguente il medesimo governo, per fare sua preda le altre province di questa Santa Sede poste nel Piceno, nell’Umbria e nel patrimonio di San Pietro, adducendo falsi pretesti circondò con improvviso impeto e con grande esercito i Nostri soldati e la schiera volontaria della Gioventù Cattolica, che spinta da sentimento religioso e da pietà verso il Padre comune era volata da tutto il mondo a Nostra difesa; e che con sanguinosa battaglia schiacciò queste milizie che non sospettavano così improvvisa eruzione e che tuttavia lottarono intrepidamente per la Religione. Tutti conoscono la sfacciata ipocrisia e l’impudenza di quel governo che per diminuire la brutta impressione di questa sacrilega usurpazione non esitò a proclamare di aver invaso quelle province per ristabilirvi i principi dell’ordine morale; mentre invece in realtà promosse ovunque la diffusione e il culto di tutte le false dottrine ovunque allentò le briglie ai desideri e all’empietà, castigando inoltre ingiustamente i sacri Vescovi e gli Ecclesiastici di ogni grado che imprigionò e lasciò pubblicamente insultare, mentre permetteva che andassero impuniti i persecutori e coloro che non rispettavano neppure la dignità del Pontificato nella Nostra persona. Inoltre è noto che Noi, come era Nostro dovere, non solo Ci siamo sempre opposti ai ripetuti consigli e suggerimenti che Ci venivano dati perché tradissimo vergognosamente il Nostro dovere, sia abbandonando e consegnando ad altri i diritti e i possessi della Chiesa, sia concludendo una infame conciliazione con gli usurpatori; ma che anche abbiamo contrapposto a queste inique, temerarie e delittuose azioni, perpetrate contro ogni diritto umano e divino, solenni proteste di fronte a Dio e agli uomini; che abbiamo dichiarato i loro autori e fautori soggetti alle censure ecclesiastiche e che ove ce n’è stato bisogno li abbiamo con tali censure ripetutamente puniti. Infine, è risaputo che quel governo, nonostante tutto, ha persistito nella sua ribelle attività e ha cercato continuamente di provocare l’insurrezione nelle altre Nostre province e soprattutto in Roma, con l’introdurvi dei sobillatori e con artifici di ogni genere. – Ma poiché questi tentativi non riuscivano secondo l’aspettativa, per l’incrollabile fede dei Nostri soldati e l’amore e la devozione dei Nostri popoli che Ci venivano manifestati in modo splendido e costante, finalmente si scatenò contro di Noi quella violenta tempesta dell’anno 1867 quando nell’autunno furono mandate contro i Nostri territori e contro questa città coorti di sciagurati ardenti di delittuoso furore e aiutate da quel governo (e parecchi di questi già da prima stavano nascosti in Roma) e dalla loro violenza, dalle loro armi feroci ci sarebbe stato da temere ogni atroce crudeltà per Noi e per i Nostri direttissimi sudditi, come appariva chiaramente, se Dio misericordioso, con il valore delle Nostre milizie e il valido aiuto delle legioni mandateCi dalla nobile Nazione Francese, non avesse reso vani i loro assalti. – In tante battaglie, in così grande susseguirsi di pericoli e di crudeli tribolazioni, la Divina Provvidenza Ci apportava grandissimo conforto con la vostra grande, affettuosa pietà, Venerabili Fratelli, e con quella dei Vostri fedeli, verso Noi e questa Apostolica Sede; pietà che avete dimostrata sempre con grandi opere e prove di cattolica carità. E benché la gravissima crisi nella quale Ci troviamo Ci abbia appena lasciato un po’ di tregua, tuttavia con l’aiuto di Dio non abbiamo mai differita nessuna delle cure dirette a proteggere la prosperità temporale dei Nostri sudditi; e quale tranquillità e sicurezza pubblica vi fossero presso di Noi, quale fosse la condizione di tutte le attività intellettuali e artistiche, quali fossero la fede in Noi e la volontà dei Nostri popoli, hanno potuto sapere molto bene tutte le Nazioni dalle quali affluirono a gara in ogni tempo innumerevoli forestieri in questa città, specialmente in occasione delle numerose celebrazioni e delle solenni manifestazioni sacre che abbiamo compiuto. – Stando così le cose e godendo il Nostro popolo una tranquilla pace, il re subalpino e il suo governo, colta l’occasione di una grande guerra scoppiata fra due potentissime Nazioni d’Europa, con una delle quali avevano pattuito che avrebbero mantenuto inviolato lo stato presente del dominio ecclesiastico e che non lo avrebbero lasciato turbare da uomini di partito, decretarono immediatamente di invadere le altre terre del Nostro dominio e persino la Nostra Sede e di assoggettarle al loro potere. E quali cause si accampavano per questa invasione nemica? Certamente tutti conoscono le cose che sono trattate in una lettera del re dell’8 Settembre scorso diretta a Noi e trasmessaCi dal suo ambasciatore presso di Noi, lettera nella quale con lungo e subdolo giro di parole e di pensieri, ostentandosi figlio rispettoso e buon cattolico e sostenendo la causa dell’ordine pubblico e della salvezza del Pontificato stesso e della Nostra persona, Ci domandava di non prendere il rovesciamento del Nostro potere temporale come un atto di ostilità e di ritirarsi spontaneamente da tale potere fidandoCi delle futili garanzie che egli Ci faceva con le quali, diceva, i desideri dei popoli italiani verrebbero conciliati con il supremo diritto e la libertà dell’autorità spirituale del Romano Pontefice. Noi, naturalmente, Ci siamo molto meravigliati vedendo come la violenza che stavamo per subire di momento in momento si volesse coprire e dissimulare, e Ci addolorammo intimamente della triste sorte del re che, spinto da cattivi consigli, ogni giorno infligge nuove ferite alla Chiesa e, avendo più rispetto per gli uomini che per Dio, non pensa che vi è in Cielo il Re dei Re e il Signore dei Signori, il quale “non escluderà nessuno, non temerà la grandezza di nessuno, poiché egli fece il piccolo e il grande e tormenti più forti sovrastano ai più forti” (Sap. VI, 8-9). Per quel che riguarda poi le richieste che Ci sono state rivolte, crediamo di non dover esitare, obbedendo alle leggi del dovere e della coscienza, a seguire gli esempi dei Nostri Predecessori, e soprattutto di Pio VII di felice memoria, del quale bisogna qui che esprimiamo e facciamo Nostri i sentimenti d’animo invitto da lui dimostrati in una circostanza assolutamente simile a questa: “Ricordammo, con Sant’Ambrogio, che il Santo uomo Naboth possessore della sua vigna, avendogli il Re domandato di cedergli la sua vigna dove sradicate le viti avrebbe seminato dei volgari ortaggi, rispose: non cederò mai ad altri l’eredità dei miei padri. Di conseguenza giudicammo che a Noi fosse assai meno lecito cedere tanto antica e sacra eredità (cioè il dominio temporale di questa Santa Sede posseduto per tanta serie di secoli dai Romani Pontefici Nostri Predecessori per palese volere della Divina Provvidenza), o tacitamente acconsentire che chiunque si impadronisse della capitale del Mondo Cattolico, dove sconvolta e distrutta la santissima forma di governo che fu da Gesù Cristo lasciata alla sua Santa Chiesa e regolata dai sacri canoni fondati sullo Spirito di Dio, sostituirebbe a questa un codice contrario assolutamente, non solo ai sacri canoni, ma anche ai precetti evangelici e introdurrebbe, secondo il solito, quel nuovo ordine di cose che tende apertamente ad associare ed a confondere con la Chiesa Cattolica tutte le superstizioni e le sette. Naboth difese le sue viti anche col suo sangue. Potevamo Noi, qualunque cosa stesse per accaderCi, esimersi dal difendere i diritti e possessi della Santa Romana Chiesa, dal momento che per mantenerli secondo tutte le Nostre possibilità fummo vincolati da un sacro solenne giuramento? O dal difendere la libertà della Sede Apostolica, che è così legata alla libertà e utilità di tutta la Chiesa? Ancorché mancassero altri argomenti, le cose che ora accadono dimostrano fin troppo efficacemente quanta realmente sia la convenienza e la necessità di questo Principato temporale che garantisce al Capo supremo della Chiesa il sicuro e libero esercizio di quel potere spirituale che per volontà divina gli fu dato su tutto il mondo” (Lett. Apost. 10 Giugno 1809). – Seguendo dunque questo modo di sentire, che abbiamo costantemente manifestato in parecchie Nostre allocuzioni, rispondendo al re, disapprovammo le sue ingiuste pretese in modo tuttavia da mostrare il Nostro acerbo dolore insieme al Nostro paterno affetto che non può fare a meno di preoccuparsi neppure per i figli che imitano il ribelle Assalonne. Questa lettera non era ancora stata portata al re, quando nel frattempo dal suo esercito furono occupate le città finora intatte e tranquille del Nostro Stato Pontificio, mentre venivano facilmente sconfitte le milizie ausiliarie dove tentavano di opporre resistenza; e poco dopo sorse quel funesto giorno che fu il 20 Settembre scorso; giorno nel quale vedemmo questa Città, sede principale degli Apostoli, centro della Religione Cattolica e rifugio di molte genti, assediata da molte migliaia di armati; e mentre si faceva breccia nelle sue mura e si spargeva il terrore con continuo getto di proiettili, fummo addolorati di vederla espugnata per comando di colui che poco prima tanto nobilmente aveva dichiarato di essere animato da affetto filiale per Noi e da fedele sentimento religioso. – Che cosa può essere più funesto di quel giorno per Noi e per tutte le anime buone? Di quel giorno nel quale, entrate le milizie in Roma che era piena di una moltitudine di stranieri sediziosi, vedemmo immediatamente sconvolto e rovesciato l’ordine pubblico, vedemmo insultata empiamente nella Nostra umile persona la dignità e santità del Sommo Pontificato, vedemmo le fedelissime coorti dei Nostri soldati insultate in tutti i modi, vedemmo dominare dappertutto sfrenata insolente libertà, là dove poco prima splendeva l’affetto dei figli desiderosi di confortare la tristezza del Padre comune? Da quel giorno poi si susseguirono sotto i Nostri occhi tali cose, che non si possono ricordare senza la giusta indignazione di tutti i buoni: perfidi libri zeppi di menzogne e di empie malvagità cominciarono a essere proposti come acquisto conveniente e a poco a poco ad essere divulgati; moltissimi giornali furono sparsi di giorno in giorno, miranti a corrompere le menti e i buoni costumi, a disprezzare e calunniare la Religione e infiammare l’opinione pubblica contro di Noi e questa Apostolica Sede; si pubblicarono illustrazioni vergognose e indegne e altre opere del genere con le quali le cose e le persone sacre erano derise e esposte al pubblico scherno; furono decretate onoranze e monumenti a coloro che avevano pagato per legittima condanna il fio dei più gravi delitti i ministri della Chiesa contro i quali è più ardente l’odio erano insultati e alcuni anche feriti a tradimento; alcune case religiose furono sottoposte a ingiuste perquisizioni; fu violato il Nostro Palazzo Quirinale e da questo, dove aveva sede, uno fra i Cardinali di Santa Romana Chiesa fu costretto a forza ad andarsene immediatamente e agli altri ecclesiastici Nostri familiari fu proibito di frequentare il Quirinale e furono molestati in tutti i modi; si fecero leggi e decreti che offendono manifestamente e calpestano la libertà, l’immunità, le proprietà e i diritti della Chiesa di Dio; e questi gravissimi mali dobbiamo dire con grande dolore che aumenteranno ancora se Dio benigno non lo impedirà, mentre Noi, impossibilitati dalla Nostra condizione a portare alcun rimedio, ogni giorno più dolorosamente dobbiamo renderCi conto della prigionia nella quale Ci troviamo e della mancanza di quella piena libertà che con la menzogna si fa credere al mondo che Ci è stata lasciata per esercitare il Nostro Apostolico Ministero e che il governo invasore va raccontando di aver voluto convalidare con le cosiddette necessarie guarentigie. – E non possiamo qui passare sotto silenzio quell’enorme delitto che certamente vi è noto, o Venerabili Fratelli. Infatti, come se i possessi e i diritti della Sede Apostolica, sacri e inviolabili per tanti titoli e sempre riconosciuti per tanti secoli, potessero essere contestati e rimessi in discussione; e come se le censure gravissime, nelle quali immediatamente e senza nessuna nuova dichiarazione incorrono i violatori di tali diritti e possessi, potessero perdere la loro efficacia per la ribellione e la tracotanza popolare; per abbellire la sacrilega spoliazione che abbiamo sofferta con ogni disprezzo del diritto naturale e umano, si escogitò quell’apparato e quella finzione di plebiscito usata nelle province strappate a Noi; e coloro che di solito si rallegrano delle perfidie non arrossiscono in questa occasione di ostentare per tutte le città d’Italia come per una manifestazione trionfale la ribellione e il disprezzo delle Censure ecclesiastiche, andando contro i fraterni sentimenti della maggior parte degli italiani, la devozione, la pietà e la fede dei quali verso Noi e la Santa Chiesa vengono oppresse in tutti i modi perché non possano liberamente espandersi. – Noi frattanto, che da Dio siamo stati posti a guidare e a governare tutta la Casa d’Israele e siamo stati creati supremi protettori della Religione, della giustizia e difensori dei diritti della Chiesa, per non essere rimproverati di fronte a Dio e alla Chiesa di essere stati zitti e di avere così tacitamente assentito a tanto sciagurato sconvolgimento, rinnoviamo e riconfermiamo quanto abbiamo altrove solennemente dichiarato nelle Allocuzioni, nelle Encicliche e nei Brevi qui sopra citati e nella recente protesta che per comando Nostro e in Nostro nome il Cardinale incaricato degli affari pubblici ha mandato proprio il 20 Settembre agli ambasciatori, ministri e incaricati di affari delle Nazioni estere costituite presso di Noi; e di nuovo con la massima solennità dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, che la Nostra idea, la Nostra intenzione e la Nostra volontà è di conservare integri e inviolabili tutti i domini e i diritti di questa Santa Sede e di trasmetterli ai Nostri successori; che qualunque usurpazione, compiuta sia ora che prima, è ingiusta, violenta, vana e nulla e che tutte le azioni dei ribelli e degli invasori, sia quelle compiete finora, sia quelle che eventualmente si compiranno in futuro per consolidare tale usurpazione, fin da ora sono da Noi condannate, annullate, cassate e abrogate. – Dichiariamo inoltre, protestando innanzi a Dio e a tutto il mondo cattolico, che siamo tenuti in una prigionia tale che non possiamo esercitare sicuramente, tranquillamente e liberamente la Nostra suprema Autorità pastorale. Finalmente, uniformandosi al motto di San Paolo: “Che cosa ha a che fare la giustizia con l’ingiustizia? Qual società vi può essere tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Cristo e Belial? ” (II Cor. VI, 14-15), apertamente dichiariamo che Noi, memori del Nostro dovere e del solenne giuramento che Ci vincola, non acconsentiamo e non acconsentiremo mai a nessuna conciliazione che distrugga o diminuisca in qualche modo i diritti Nostri, e quindi di Dio e della Santa Sede; come pure Ci dichiariamo pronti, con l’aiuto della Grazia Divina, vecchi come siamo, a bere fino al fondo, per la Chiesa di Cristo, il calice che Egli stesso si degnò di bere per lei, a non aderire mai alle inique richieste che Ci si propongono e a non assecondarle mai. Diceva infatti il Nostro Predecessore Pio VII: “Far violenza a questo Supremo Impero della Sede Apostolica, separarne il potere temporale da quello spirituale, dissociare le funzioni di pastore e di principe, staccarle, distruggerle, non è altro che voler calpestare e rovinare l’opera di Dio, che danneggiare il più possibile la Religione, che privarla della più efficace difesa, così che il suo Sommo rettore Pastore e Vicario di Dio non possa portare ai Cattolici sparsi per tutta la terra e invocanti da lui aiuto e forza quei soccorsi che si esigono dalla sua spirituale potestà, la quale non deve essere intralciata da nessuno“.

Ma poiché i Nostri ammonimenti, domande e proteste, sono riusciti vani, Noi con l’autorità di Dio Onnipotente, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo a voi, Venerabili Fratelli, e per mezzo vostro a tutta la Chiesa, che tutti coloro che si distinguono per qualche dignità, anche degna di particolare menzione, che abbiano perpetrato l’invasione, l’usurpazione o l’occupazione di qualunque provincia del Nostro dominio e di quest’alma Città, e così pure i loro mandanti, fautori, collaboratori, consiglieri, seguaci o chiunque altro procuri con qualunque pretesto, in qualsiasi modo, o operi per se stesso l’esecuzione delle suddette scelleratezze, incorrono nella scomunica maggiore e nelle altre censure e pene ecclesiastiche inflitte dai Sacri Canoni, dalle Costituzioni Apostoliche e dai decreti dei Concili generali, soprattutto di quello di Trento, nella forma e nel tenore espressi nella sotto ricordata Nostra Lettera Apostolica del 26 Marzo 1860.

Poiché non dimentichiamo che occupiamo in terra il posto di Colui che venne a ricuperare e a salvare ciò che era perduto, niente desideriamo più che accogliere con paterno affetto i figli che avevano deviato e che ritornano a Noi; perciò, levando le mani al Cielo con umile cuore, mentre rimettiamo a Dio e gli raccomandiamo la giusta causa che è sua piuttosto che Nostra, lo preghiamo e lo supplichiamo per la sua profonda misericordia di assistere e di aiutare efficacemente Noi e la Sua Chiesa e pietoso e benevolo di fare in modo che i nemici della Chiesa pensino all’eterno danno che si vanno preparando, cerchino di placare prima del giorno della vendetta la sua formidabile giustizia e cambiando idea confortino il pianto della Santa Madre Chiesa e la Nostra tristezza. – Per poter conseguire dalla Divina Clemenza tanto notevole beneficio, vi esortiamo molto insistentemente, o Venerabili Fratelli, a congiungere unitamente ai fedeli a voi affidati le vostre fervide preghiere ai Nostri voti; e rivolgendoci tutti insieme al trono di Grazia e di misericordia facciamo intercedere l’Immacolata Vergine Maria Madre di Dio e i Beati Apostoli Pietro e Paolo. “La Chiesa di Dio dall’origine fino a questi tempi più volte fu torturata e più volte salvata. Sua è questa voce: spesso mi assalirono fin dalla giovinezza; non poterono nulla su di me. I peccatori fabbricarono sul mio dorso e prolungarono le loro malvagità. E neppure ora il Signore trascurerà lo sforzo dei peccatori più che la sorte dei giusti. Non è indebolita la mano di Dio e non è divenuta impotente a salvare. Anche in questa circostanza senza dubbio libererà la Sua sposa, Egli che la riscattò col Suo sangue, la dotò col Suo Spirito, la ornò di doni celesti e nello stesso tempo la arricchì di doni terreni“. – Frattanto, invocando i più abbondanti benefizi delle Celesti Grazie per voi, Venerabili Fratelli, e per tutti i fedeli ecclesiastici e laici affidati alla vostra vigilanza, come pegno del Nostro particolare affetto per voi, caldamente impartiamo dal più profondo del cuore l’Apostolica Benedizione a voi e ai Nostri diletti figli.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 1° novembre 1870, anno XXV del Nostro Pontificato.

PIO PP. IX