DOMENICA X DOPO PENTECOSTE (2021)

X DOMENICA DOPO PENTECOSTE (2021).

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti verdi.

La liturgia di questa Domenica ci insegna il vero concetto dell’umiltà cristiana che consiste nell’attribuire alla grazia dello Spirito Santo la nostra santità; poiché le nostre azioni non possono essere soprannaturali, cioè sante, se non procedono dallo Spirito Santo, che Gesù mandò agli Apostoli nel giorno della Pentecoste e che dona a tutti quelli che glielo chiedono. Dunque la nostra santificazione è impossibile se vogliamo raggiungerla da soli, perché, abbandonati a noi stessi noi non siamo che impotenti e peccatori. Dobbiamo a Dio se evitiamo il peccato, se ne otteniamo il perdono, se riusciamo a fare il bene, poiché nessuno può pronunciare neppure il santo nome di Gesù con un atto di fede soprannaturale, che affermi la sua regalità e divinità, se non mediante lo Spinto Santo. L’orgoglio è, dunque, il nemico di Dio, perché si appropria dei beni che solo lo Spirito Santo distribuisce a ciascuno nella misura che crede conveniente e impedisce alla potenza divina di manifestarsi nelle nostre anime in modo da farci credere che noi bastiamo a noi stessi. Come Dio potrebbe perdonarci (Oraz.), se noi non vogliamo riconoscerci colpevoli? Come potrebbe aver compassione di noi ed esercitare su noi la sua misericordia (Oraz.), se nel nostro cuore non vi è nessuna miseria riconosciuta cui il suo Cuore divino possa compatire? L’umile, invece, riconosce il proprio nulla perché sa che solo a questa condizione discenderà su lui la virtù di Cristo. Mentre la Chiesa sviluppa in questa Domenica tali pensieri, le letture, che fa durante questa settimana nel Breviario, danno due esempi di orgoglio e di grande umiltà. Dopo la figura del profeta Elia che si oppone così fortemente a quella di Achab e di Iezabele, dei quali nell’ufficio è ricordato il terribile castigo, vi è quella del giovane Gioas che contrasta fortemente con quella di Atalia. Figlia di Achab e di lezabele, empia come sua madre, Atalia sposa il re di Giuda loram, che morì poco dopo. Allora la regina si trovò padrona del regno di Giuda e per esserlo per sempre fece massacrare tutta la famiglia di David. Ma losabeth, sposa del gran sacerdote Joiada tolse dalla culla l’ultimo nato della famiglia reale e lo nascose nel Tempio. Questi si chiamava Gioas. Per sei anni Atalia regnò ed innalzò templi in onore del dio Baal perfino nell’atrio del Tempio. Nel settimo anno il gran sacerdote attorniato da uomini risoluti e armati, mostrò Gioàs che allora aveva sette anni e disse: « Voi circonderete il fanciullo regale e se qualcuno cercherà di passare fra le vostre file, lo ucciderete! ». E quando il popolo si riversò nell’atrio, all’ora della preghiera, Joiada fece venire avanti Gioas, l’unse e lo coronò al cospetto di tutta l’assemblea che applaudi e gridò: «Viva il Re!». Quando Atalia intese queste grida, uscì dal palazzo ed entrò nell’atrio e quando vide il giovane re assiso sul palco, circondato dai capi e acclamato dal popolo col suono delle trombe, stracciò le sue vesti e gridò: «Congiura! Tradimento!». Il gran sacerdote ordinò di farla uscire dal sacro recinto e quando essa giunse nel suo palazzo venne uccisa. La folla allora saccheggiò il tempio di Baal e non lasciò pietra su pietra. E il re Gioas si assise sul trono di David, suo avo; regnò quarant’anni a Gerusalemme e si dedicò a riparare e abbellire il Tempio (All., Com.). La Scrittura fa di lui questo bell’elogio: «Gioas fece quello che è giusto agli occhi di Dio» È questa l’Antifona del Magnificat dei Vespri alla quale fa eco quella dei II Vespri che è tratta dal Vangelo di questo giorno: « Questi (il pubblicano) ritornò a casa sua giustificato e non quello (il fariseo), poiché chi si esalta sarà umiliato e chi s’umilia sarà esaltato ». – « Quelli che si innalzano sono visti da Dio da lontano, dice S. Agostino. Egli vede da lontano i superbi, ma non perdona loro. « L’umile invece, come il pubblicano, si riconosce colpevole! ». Egli si batteva il petto, si castigava da sé, e Dio perdonava a quest’uomo perché confessava la sua miseria. Perché meravigliarsi che Dio non veda più in lui un peccatore dal momento che si riconosce da sé peccatore? Il pubblicano si teneva lontano ma Dio l’osservava da vicino » (Mattutino). Così l’umile fanciullo Gioas fu gradito a Dio perché la sua condotta avanti a Lui era quale doveva essere. Egli fece ciò che era giusto agli occhi del Signore. Atalia, invece, orgogliosa ed empia, non fece ciò che era giusto avanti al Signore, e sdegnò e insultò quelli che facevano il loro dovere, poiché l’orgoglio verso Dio si manifesta ogni giorno nel disprezzo verso il prossimo. Dice Pascal che vi sono due categorie di uomini: quelli che si stimano colpevoli di tutte le mancanze: i Santi; e quelli che si credono colpevoli di nulla: i peccatori. I primi sono umili e Dio li innalzerà glorificandoli, i secondi sono orgogliosi e Dio li abbasserà castigandoli. « Il diluvio, dice S. Giovanni Crisostomo, ha sommerso la terra, il fuoco ha bruciato Sodoma, il mare ha inghiottito l’esercito degli Egiziani, poiché non è altri che Dio, il quale abbia inflitto ai colpevoli questi castighi. Ma, dirai tu, Dio è indulgente. Tutto ciò allora non è che parola vana? E il ricco che disprezzava Lazzaro non fu punito? … e le vergini stolte non furono discacciate dallo Sposo? E quegli che si trova nel banchetto con le vesti sordide non verrà legato mani e piedi e non morrà? E colui che richiederà al compagno i cento denari non sarà dato al carnefice? Ma Dio si fermerà solo alle minacce? Sarebbe molto facile provare il contrario e dopo quello che Dio ha detto e fatto nel passato possiamo giudicare quello che farà nell’avvenire. Abbiamo piuttosto sempre in mente il pensiero del terribile tribunale, del fiume di fuoco, delle catene eterne nell’inferno, delle tenebre profonde, dello stridore dei denti e del verme che avvelena e rode » (2° Nott.). Questo sarà il mezzo migliore per rimanere nell’umiltà, che ci fa dire con la Chiesa: « Ogni volta che io ho invocato il Signore, questi ha esaudita la mia voce. Mettendomi al sicuro da quelli che mi perseguitavano, li ha umiliati, Egli che è prima di tutti i tempi » (lntr.). « Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dei tuoi occhi, perché i tuoi occhi vedono la giustizia » (Grad.). « Signore, io ho innalzata l’anima mia verso te, i miei nemici non mi derideranno perché quelli che hanno confidenza in te non saranno confusi » (Off.).

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIV: 17; 18; 20; 23
Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]


Ps LIV: 2
Exáudi, Deus, oratiónem meam, et ne despéxeris deprecatiónem meam: inténde mihi et exáudi me.

[O Signore, esaudisci la mia preghiera e non disprezzare la mia supplica: ascoltami ed esaudiscimi.]

Dum clamárem ad Dóminum, exaudívit vocem meam, ab his, qui appropínquant mihi: et humiliávit eos, qui est ante sæcula et manet in ætérnum: jacta cogitátum tuum in Dómino, et ipse te enútriet.

[Quando invocai il Signore, esaudí la mia preghiera, salvandomi da quelli che stavano contro di me: e li umiliò, Egli che è prima di tutti i secoli e sarà in eterno: abbandona al Signore ogni tua cura ed Egli ti nutrirà.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui omnipoténtiam tuam parcéndo máxime et miserándo maniféstas: multíplica super nos misericórdiam tuam; ut, ad tua promíssa curréntes, cœléstium bonórum fácias esse consórtes.

[O Dio, che manifesti la tua onnipotenza soprattutto perdonando e compatendo, moltiplica su di noi la tua misericordia, affinché quanti anelano alle tue promesse, Tu li renda partecipi dei beni celesti.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XII: 2-11
Fratres: Scitis, quóniam, cum gentes essétis, ad simulácra muta prout ducebámini eúntes. Ideo notum vobisfacio, quod nemo in Spíritu Dei loquens, dicit anáthema Jesu. Et nemo potest dícere, Dóminus Jesus, nisi in Spíritu Sancto. Divisiónes vero gratiárum sunt, idem autem Spíritus. Et divisiónes ministratiónum sunt, idem autem Dóminus. Et divisiónes operatiónum sunt, idem vero Deus, qui operátur ómnia in ómnibus. Unicuíque autem datur manifestátio Spíritus ad utilitátem. Alii quidem per Spíritum datur sermo sapiéntiæ álii autem sermo sciéntiæ secúndum eúndem Spíritum: álteri fides in eódem Spíritu: álii grátia sanitátum in uno Spíritu: álii operátio virtútum, álii prophétia, álii discrétio spirítuum, álii génera linguárum, álii interpretátio sermónum. Hæc autem ómnia operátur unus atque idem Spíritus, dívidens síngulis, prout vult.

[“Fratelli: Voi sapete che quando eravate gentili correvate ai simulacri muti, secondo che vi si conduceva. Perciò vi dichiaro che nessuno, il quale parli nello Spirito di Dio dice: «Anatema a Gesù»; e nessuno può dire: «Gesù Signore», se non nello Spirito Santo. C’è, sì, diversità di doni; ma lo Spirito è il medesimo. Ci sono ministeri diversi, ma il medesimo Signore; ci sono operazioni differenti, ma è il medesimo Dio che opera tutto in tutti. A ciascuno poi è data la manifestazione dello Spirito, perché sia d’utilità. Mediante lo Spirito a uno è data la parola di sapienza, a un altro è data la parola di scienza, secondo il medesimo Spirito. A un altro è data nel medesimo Spirito la fede; nel medesimo Spirito a un altro è dato il dono delle guarigioni: a un altro il potere di far miracoli; a un altro la profezia; a un altro il discernimento degli spiriti; a un altro la varietà delle lingue, a un altro il dono d’interpretarle. Ma tutte queste cose le opera l’unico e medesimo Spirito, il quale distribuisce a ciascuno come gli piace”].

UNITA’ NELLA VARIETA’ E VICEVERSA.

Gli uomini piccoli si rivelano colle loro unilateralità. C’è chi al mondo non vede, non vuole, non ama che la unità, una unità esagerata che diviene, né essi se ne dolgono, uniformità; c’è chi non vede, non vuole, non ama che la varietà, la diversità, una diversità che diviene, così esagerata, del che ad essi non cale, confusione babelica, caos. Per i primi tutti dovrebbero pensare allo stesso identico modo in tutto e per tutto, fare tutti la stessa cosa, farla tutti allo stesso modo. Per gli altri il rovescio, tutti pensare e agire diversamente. Estremismi opposti, figli della stessa micromania. Il Vangelo, il Cristianesimo ci si rivela grande e divino anche per quella formula « unitas in varietate » che è la sua divisa. N. S. Gesù ha detto una parola nella quale è lo spunto di quello che oggi dice San Paolo nel brano domenicale della Epistola prima ai Corinzi: « nella casa di mio Padre vi sono molte dimore. » La Casa è una, una la Chiesa, Casa di Dio, edificio classico e prediletto di Gesù Cristo; una per unità di culto. Se non fosse così, non sarebbe divina. Una nelle cose essenziali, sostanziali. Ma in questa bellissima e forte e compatta e vigorosa unità non si esaurisce la vita della Chiesa; se no saremmo, nell’uniformità plumbea. La casa è una e le stanze, anzi i piani sono molti e diversi. San Paolo riprende il pensiero evangelico e dice testualmente così: « Or vi sono (nella Chiesa) distinzioni (ossia varietà) di doni, ma non c’è che un medesimo Spirito; e c’è distinzione nei ministeri, ma non c’è che un medesimo Signore; e c’è distinzione nei modi di operare, ma non c’è che un medesimo Dio, il quale opera ogni cosa in tutti». Varietà, continua l’Apostolo, utile al corpo sociale, come, dico io, la varietà dei cibi è utile al corpo umano. Di questa varietà non bisogna né scandalizzarsi, né abusare. Alcuni estremisti se ne sono scandalizzati. Per esempio: i Greci, che poi si separarono dalla Chiesa, si scandalizzarono quando fu aggiunta una paroletta « Filioque » al Credo di Nicea, senza domandarsi se essa stonava o sintetizzava, armonizzava col Credo nel suo insieme, nel suo spirito. Altri ne abusano e vorrebbero portare la diversità dappertutto, dappertutto le novità, dimenticando l’aureo principio: «in necessariis unitas ». Varietà che nel campo pratico, l’operare e il modo dell’operare sono ben altrimenti ricche e accentuate che non siano nel campo teorico. Quante diversità, salva la unità essenziale, nei riti! Quante nell’azione dei Santi! Ecco qua dei Santi e delle spirituali famiglie dei Santi che son tutto calcolo e prudenza; altri e altre che sono tutta spontaneità e ingenuità. Santi che edificano monasteri grandiosi come spirituali reggie, quasi ad affermare la maestà dello spirito, e santi che fabbricano modestissimi conventini; Santi che sono tutto zelo e severità, altri il cui zelo realissimo è fatto di mansuetudine. Paolo che va a destra, Barnaba che va a sinistra e camminano per le vie di un unico apostolato. Ma lo Spirito è uno; lo Spirito di Dio, Spirito di verità d’amore. Rallegriamoci di questa varietà che è ricchezza e rispettiamola; rallegriamoci di questa unità e cerchiamola, lieti per conto nostro ciascuno del posto che gli è toccato nella casa del Padre, nella vigna del Signore, non smaniosi di cambiarlo, avidi solo di occuparlo degnamente.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XVI: 8; LXVIII: 2
Custódi me, Dómine, ut pupíllam óculi: sub umbra alárum tuárum prótege me.

[Custodiscimi, o Signore, come la pupilla dell’occhio: proteggimi sotto l’ombra delle tue ali.]

V. De vultu tuo judícium meum pródeat: óculi tui vídeant æquitátem.

[Venga da Te proclamato il mio diritto: poiché i tuoi occhi vedono l’equità.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

 Ps LXIV: 2
Te decet hymnus, Deus, in Sion: et tibi redde tu votum in Jerúsalem. Allelúja.

[A Te, o Dio, si addice l’inno in Sion: a Te si sciolga il voto in Gerusalemme. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Lucam.
Luc XVIII: 9-14.
In illo témpore: Dixit Jesus ad quosdam, qui in se confidébant tamquam justi et aspernabántur céteros, parábolam istam: Duo hómines ascendérunt in templum, ut orárent: unus pharisæus, et alter publicánus. Pharisæus stans, hæc apud se orábat: Deus, grátias ago tibi, quia non sum sicut céteri hóminum: raptóres, injústi, adúlteri: velut étiam hic publicánus. Jejúno bis in sábbato: décimas do ómnium, quæ possídeo. Et publicánus a longe stans nolébat nec óculos ad cœlum leváre: sed percutiébat pectus suum, dicens: Deus, propítius esto mihi peccatóri. Dico vobis: descéndit hic justificátus in domum suam ab illo: quia omnis qui se exáltat, humiliábitur: et qui se humíliat, exaltábitur.” 

 [“In quel tempo disse Gesù questa parabola per taluni, i quali confidavano in se stessi come giusti, e deprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio: uno Fariseo, e l’altro Pubblicano. Il Fariseo si stava, e dentro di sé orava così: Ti ringrazio, o Dio, che io non sono come gli altri uomini, rapaci, ingiusti, adulteri; ed anche come questo Pubblicano. Digiuno due volte la settimana; pago la decima di tutto quello che io posseggo Ma il Pubblicano, stando da lungi, non voleva nemmeno alzar gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi pietà di me peccatore. Vi dico, che questo se ne tornò giustificato a casa sua a differenza dell’altro: imperocché chiunque si esalta, sarà umiliato; e chi si umilia, sarà esaltato”].

Omelia

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me. ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F. M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se Lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per mettere assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. (Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla (Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può fare a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni del mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, F. M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia: S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F . M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da dare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, F. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, F. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  Signore, di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, F. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, F. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, F. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps XXIV: 1-3
Ad te, Dómine, levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te, o Signore, ho innalzata l’anima mia: o Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire: che non mi irridano i miei nemici: poiché quanti a Te si affidano non saranno confusi.]

Secreta

Tibi, Dómine, sacrifícia dicáta reddántur: quæ sic ad honórem nóminis tui deferénda tribuísti, ut eadem remédia fíeri nostra præstáres.

[A Te, o Signore, siano consacrate queste oblazioni, che in questo modo volesti offerte ad onore del tuo nome, da giovare pure a nostro rimedio.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps L: 21.
Acceptábis sacrificium justítiæ, oblatiónes et holocáusta, super altáre tuum, Dómine.

[Gradirai, o Signore, il sacrificio di giustizia, le oblazioni e gli olocausti sopra il tuo altare.]

Postcommunio

Orémus.
Quǽsumus, Dómine, Deus noster: ut, quos divínis reparáre non désinis sacraméntis, tuis non destítuas benígnus auxíliis.

[Ti preghiamo, o Signore Dio nostro: affinché benigno non privi dei tuoi aiuti coloro che non tralasci di rinnovare con divini sacramenti.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: “L’ORGOGLIO”

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

(Discorsi di s. G. B. M. VIANNEY Curato d’Ars – vol. II, 4° ed. Torino, Roma; Ed. Marietti, 1933)

L’orgoglio.

Non sum sicut cæteri hominum.

(Luc. XVIII, 11).

È questo, F. M., il linguaggio ordinario della falsa virtù, e quello dell’uomo orgoglioso che, soddisfatto di se stesso, è sempre pronto a criticare e censurare la condotta degli altri. È questo altresì il linguaggio dei ricchi che considerano i poveri come se fossero di natura differente dalla loro, e li trattano secondo questo modo di pensare. Anzi, aggiungo, F. M., questo è il linguaggio di quasi tutti gli uomini. Ve ne sono pochissimi, anche nelle più misere condizioni, che non siano vittime di questo maledetto peccato, che non abbiano buona stima di sé, mettendosi completamente al disopra dei propri simili, e che non spingano questo detestabile orgoglio fino a credere ch’essi valgono più di tanti altri. Ed io ne concludo che l’orgoglio è la sorgente di tutti i vizi, e la causa di tutti i mali presenti e futuri, e che noi portiamo sì innanzi il nostro accecamento che, spesso, ci gloriamo di ciò che dovrebbe coprirci di confusione. Gli uni si gloriano perché credono d’avere più spirito; gli altri per un palmo di terra o per un po’ di danaro; mentre dovrebbero tremare per il terribile conto che Dio ne domanderà loro un giorno. Ah! F. M., quanti avrebbero bisogno di fare quella preghiera che rivolgeva a Dio S. Agostino: “Dio mio, fatemi conoscere quello che sono; e non ho bisogno di altro per coprirmi di confusione e di disprezzo di me stesso, „ (Noverim me, ut oderim me). – Vi mostrerò dunque:

1° quanto l’orgoglio accechi l’uomo e lo renda odioso agli occhi di Dio e degli uomini;

2° in quanti modi ce ne rendiamo colpevoli;

e 3° ciò che dobbiamo fare per correggercene.

I. — Sì, F . M., per darvi un’idea di questo maledetto peccato, bisognerebbe che Dio mi permettesse di strappare Lucifero dal fondo degli abissi, e di trascinarlo qui al mio posto, e che egli stesso vi dipingesse gli orrori di questo delitto, mostrandovi i beni che questo peccato gli ha rapito, cioè il cielo, ed i mali che gli ha attirato, cioè le pene dell’inferno. Ahimè! F. M., per un peccato d’un momento una punizione che durerà tutta un’eternità! Ed il peggio si è che più ne siamo presi, meno ce ne crediamo colpevoli. Infatti, un orgoglioso non vorrà mai persuadersi di esserlo, né riconoscere d’aver torto: quello che fa e dice è ben fatto e ben detto. Volete formarvi un’idea dell’enormità di questo peccato, F. M.? Vedete quanto ha fatto Iddio per espiarlo. Perché ha Egli voluto nascere da poveri genitori, vivere nell’oblio, passare nel mondo non come uno di mediocre condizione, ma come persona da nulla? Perché vedeva che questo peccato aveva talmente oltraggiato il Padre suo, che Egli non avrebbe mai potuto espiarlo se non abbandonandosi allo stato il più umiliante e spregevole qual è quello della povertà; giacché basta il non possedere nulla per essere disprezzato dagli uni e rigettato dagli altri. – Vedete, F. M., quanto sono grandi i mali arrecati da questo peccato. Senza questo peccato non vi sarebbe l’inferno. Senza questo peccato Adamo sarebbe ancora nel paradiso terrestre, e noi tutti felici, senza malattie, e senza tutte le altre miserie che ogni giorno ci opprimono: non la morte, non il giudizio che ha fatto tremare i più grandi santi; non eternità infelice da temere; il cielo ci sarebbe assicurato. Felici in questo mondo e più ancora nell’altro: la nostra vita sarebbe passata nel benedire le grandezze, le bontà del nostro Dio, e saremmo poi andati in corpo ed anima a continuare in cielo questa felice occupazione. Ah! che dico, F . M., senza questo malaugurato peccato Gesù Cristo non sarebbe morto! Oh, quanti tormenti risparmiati a questo divin Salvatore!… Ma, mi direte, perché questo peccato ha causato più male che gli altri? — Perché? Eccovelo. Se lucifero e gli altri angeli ribelli non fossero stati orgogliosi, non vi sarebbero stati i demoni, e, per conseguenza, nessuno avrebbe tentato i nostri progenitori, e questi avrebbero avuto la fortuna di perseverare. So bene che tutti i peccati oltraggiano Dio, che tutti i peccati mortali meritano un’eterna punizione: un avaro che cerca solo di accumulare, e sacrifica la salute, l’onore e la stessa vita per metterò assieme un po’ di danaro per l’avvenire, ingiuria certamente la Provvidenza di Dio, il quale ci ha promesso che se lo serviremo ed ameremo, avrà cura di noi. Un ubriacone che si abbandona agli eccessi del bere perdendo la ragione, mettendosi al di sotto dei bruti, fa un grande oltraggio a Dio che gli ha dato dei beni solo perché ne facesse buon uso, consacrando le proprie forze e la propria vita a servirlo. Un vendicativo che si vendica delle ingiurie fattegli, arreca una sanguinosa ingiuria a Gesù Cristo che, da tanti mesi o da tanti anni lo tollera sulla terra, e per di più, gli dà tutto ciò che gli è necessario, mentre non meriterebbe che di essere gettato nelle fiamme. Un impudico avvoltolandosi nel fango della passione, si mette al di sotto dei bruti, perde la propria anima e dà la morte al suo Dio, fa del tempio dello Spirito Santo il ricettacolo del demonio, “fa che le membra di Gesù Cristo diventino le membra di un’infame meretrice„ Tollens ergo membra Christi, faciam membra meretricis? Absit (I Cor. VI, 15), da fratello del Figlio di Dio diviene non solo fratello dei demoni, ma schiavo di satana. Questi sono delitti di cui nessuna parola potrà esprimere l’orrore, né la grandezza delle pene che meritano. Ebbene! F. M., io vi dico che questi peccati sono lontani dall’orgoglio, per l’oltraggio ch’essi arrecano a Dio, quanto il cielo lo è dalla terra: seguitemi, e vedrete che nulla è più facile ad intendersi. Quando commettiamo gli altri peccati, ora violiamo i comandamenti della legge di Dio, ora disprezziamo i suoi benefizi; oppure, se volete, rendiamo inutili tutte le fatiche, i dolori e la morte di Gesù Cristo. Ma costui, cioè l’orgoglioso, fa come un suddito che, non contento d’aver disprezzato e messo sotto i piedi le leggi e gli ordini del suo sovrano, spinge il suo furore fino a tentare di piantargli un pugnale nel petto, lo strappa dal trono, lo calpesta sotto i piedi, e prende il suo posto. Può darsi un’atrocità più grande, F. M.? Ebbene! ecco ciò che fa chi s’inorgoglisce quando riesce in ciò che tenta, o in ciò che brama. Mio Dio! quanto grande è il numero di costoro! Ascoltate, F. M., ciò che ci dice lo Spirito Santo parlando dell’orgoglioso: “Egli sarà in abbominazione davanti a Dio e davanti agli uomini. Poiché il Signore detesta l’orgoglioso ed il superbo. „ Gesù Cristo stesso ci dice “che ringraziava il Padre d’aver nascosto i suoi segreti agli orgogliosi „ (Matth. XI, 25). Infatti se scorriamo la sacra Scrittura vediamo che i mali con cui Dio opprime l’orgoglioso sono sì grandi e sì spaventosi da sembrare ch’Egli esaurisca il suo furore e la sua potenza per punirli, e vediamo pure che Dio sembra pigliar diletto nell’umiliare i superbi a mano a mano ch’essi vogliono innalzarsi. Spesso vediamo che l’orgoglioso cade in qualche vizio detestevole che lo disonora davanti al mondo. Rodriguez racconta (tom. III), che il demonio sotto la forma d’una donna sedusse Palladio, religioso stimatissimo per le sue austerità, ma di spirito assai orgoglioso. – Nota del Beato). – Il grande Nabucodònosor ce ne offre un bell’esempio. Quel principe era così orgoglioso, aveva così buona stima di sé, che voleva essere considerato come un Dio. Nel momento in cui era gonfio della grandezza di sua potenza, ode d’improvviso una voce dal cielo dire che il Signore non poteva più tollerare il suo orgoglio, e che, per fargli conoscere che v’era un Dio padrone dei regni, il suo regno gli sarebbe tolto e dato ad un altro; egli verrebbe cacciato dalla società degli uomini, dimorerebbe tra le belve selvagge, mangerebbe erba e strame come una bestia da soma. Ed in quell’ora stessa Dio gli sconvolse talmente il cervello, ch’egli credette d’essere una bestia e si rifugiò nelle foreste, fino a quando riconobbe di essere un nulla Dan. IV, 27- 34).Vedete i castighi che il Signore fece subire a Core, Dathan ed Abiron e a duecento fra i più ragguardevoli Israeliti. Pieni d’orgoglio, essi dicono a Mosè ed Aronne: “E perché non avremo anche noi l’onore di offrire l’incenso al Signore al pari di voi? „ Il Signore disse a Mosè e ad Aronne di segregarli con tutto ciò che loro apparteneva; perché voleva punirli… Ed appena essi furono segregati la terra s’aprì sotto i loro piedi, e li inghiottì vivi nell’inferno (Nm XVI). Vedete Erode che fece morire S. Giacomo ed imprigionare S. Pietro. Egli era così orgoglioso che un giorno vestito del suo paludamento regale ed assiso sul trono, parlando al popolo con grande enfasi, giunse a dire: “No, no, non è un uomo che vi parla, ma un Dio. „ E sull’istante un Angelo lo colpì con una malattia sì spaventosa, che i vermi lo corrosero vivo, morì disperato. Egli voleva essere onorato come un Dio, e fu consumato dal più vile degli insetti (Act. XII, 21-23). Vedete ancora Aman, quel celebre orgoglioso, il quale aveva comandato che tutti i sudditi si inginocchiassero davanti a lui. Infuriato perché Mardocheo lo disprezzava fece innalzare un patibolo per impiccarvelo; ma Iddio, che ha in orrore gli orgogliosi, permise che egli stesso vi venisse appeso (Esther VII, 10). Leggiamo nella storia che un solitario pieno d’orgoglio, volle mostrare la grandezza della sua fede. Essendo andato da S. Palemone, questi vedendolo far mostra del suo orgoglio, caritatevolmente gli osservò che era ben difficile avere la fede che egli diceva; che non avendo in noi nulla di buono, non possiamo far altro che umiliarci, gemere davanti a Dio o domandargli la grazia di non abbandonarci. Ma quel povero cieco, lungi dall’approfittare del caritatevole avviso, corse a gettarsi su di un braciere di fuoco, e Dio per mettere il colmo al suo orgoglio, permise che non sentisse neppure l’ardore del fuoco. Ma poco tempo dopo il religioso cadde in un vergognoso peccato contro la santa virtù della purità. Il demonio gli si presentò sotto forma di donna la quale seduta accanto a lui, tanto lo sollecitò ch’egli volle abbracciarla. Il demonio allora si gettò su di lui, lo percosse con ripetuti colpi e lo lasciò semivivo steso sul pavimento. Il disgraziato riconosciuto il suo fallo, cioè il suo orgoglio, ritornò da S. Palemone e gli confessò piangendo il proprio peccato. Cosa strana, F. M., mentre egli stava parlando, il demonio s’impadronì di lui, alla presenza di S. Palemone, lo trascinò con furore e lo precipitò in una fornace ardente, dove perdette la vita (Vita dei padri del deserto, t. I, p. 256). Sì, F. M., vediamo dappertutto che Dio si compiace di confondere gli orgogliosi. Non solo un orgoglioso è in abbominazione davanti a Dio, ma è altresì insopportabile agli uomini. — Perché? mi direte. — Perché egli non può intendersi con nessuno: ora vuol levarsi al di sopra dei suoi uguali, ora uguagliare quelli che gli sono superiori, di modo che non può andar d’accordo con nessuno. Così gli orgogliosi sono sempre in lite con alcuno, e perciò tutti li odiano, li fuggono, li disprezzano. No, F. M., non v’è peccato che operi un più grande cambiamento in chi lo commette; poiché l’Angelo, la creatura più bella, diventò per esso orribile demonio; ed esso, rese l’uomo, che era figlio di Dio, schiavo del demonio.

II. — Questo peccato, mi direte, è veramente orribile; bisogna che chi lo commette non conosca né il bene che perde, né i mali che si attira, né infine gli oltraggi che arreca a Dio ed alla propria anima. Ma in che modo si può sapere d’esserne diventati colpevoli? — In che modo, amico ? Eccolo. Possiamo dire che questo peccato si trova in ogni parte, accompagna l’uomo in tutto ciò che fa e dice; è una specie di condimento che sta dappertutto. Ascoltatemi un momento e lo vedrete. Gesù Cristo ce ne dà un esempio nel Vangelo, dicendo che un fariseo essendo andato nel tempio per far orazione stava in piedi davanti a tutti, dicendo ad alta voce: “Vi ringrazio, o Signore, perché non sono come gli altri uomini, coperto di peccati; io passo la mia vita nel fare il bene e nel piacere a Voi. „ Ecco il vero tipo dell’orgoglioso: invece di ringraziare Dio perché è stato così buono da servirsi di lui per compiere il bene e d’essergliene riconoscente, considera tutto come cosa propria e non di Dio. Entriamo in qualche particolare, e vedrete che quasi nessuno ne va esente. Vecchi e giovani, poveri e ricchi; ognuno si loda e si vanta di ciò che non è e di ciò che non ha fatto. Ciascuno s’applaude ed ama d’esser applaudito; ciascuno s’affretta a mendicare le lodi degli uomini, e ciascuno lavora per attirarsele. Tale è la vita della maggior parte dei nostri simili. La porta per cui l’orgoglio entra con maggiore abbondanza è la porta delle ricchezze. Quando una persona comincia ad accrescere i suoi beni, voi la vedete cambiar modo di vivere; essa fa, come dice Gesù Cristo dei farisei: “Costoro bramano d’esser chiamati maestri, d’esser salutati, vogliono i primi posti: e amano comparire vestiti più riccamente. (Matth. XXIII, 5-6). „ Essa abbandona quell’aria di semplicità; salutata china appena il capo, senza levare il cappello; cammina a testa alta, e parlando cerca le parole più belle, di cui spesso non conosce il significato; ed ama ripeterle. Quell’uomo vi romperà la testa narrandovi le eredità avute, per farvi sapere che la sua sostanza s’è aumentata. Ogni sua cura è riposta nel cercare di farsi stimare e lodare. Sarà riuscito in qualche lavoro? s’affretta di pubblicarlo per far mostra del suo preteso talento. Se ha detto qualche cosa di cui è stato applaudito, non cessa di rompere le orecchie a quelli che gli sono dattorno fino ad annoiarli ed a farli ridere. Ha fatto qualche viaggio? Lo sentite dire cento volte più di ciò che ha fatto, detto e veduto: il che mette compassione a quelli che lo ascoltano. Stima di esser tenuto per persona di spirito, mentre nel loro interno tutti lo disprezzano. Nessuno può a meno di dire tra sé: Ecco un grande orgoglioso; poveretto è persuaso che si creda tutto ciò ch’egli dice!… Vedete una persona del mestiere che esamina il lavoro d’un altro, vi troverà mille difetti e dirà: “Che volete? non sa far di più! „ Ma siccome l’orgoglioso non abbassa mai gli altri senza innalzare se stesso, s’affretterà subito a parlare di qualche lavoro suo, che il tale ha trovato così ben fatto che ne ha parlato a molti. Un orgoglioso, vedendo più persone che parlano assieme, pensa si dica male o bene di lui. Una giovane avrà belle fattezze? o almeno crede d’averle? La vedete studiare il passo, con un’affettazione, con un orgoglio che sembra voler salire fino alle nubi. Ha camicie e vesti? lascerà l’armadio aperto per farle vedere. S’inorgoglisce delle sue galline e della sua casa. Si vanta di sapere confessarsi bene, di pregar bene il buon Dio, d’essere assai modesta in chiesa. Una madre s’inorgoglisce de’ suoi figli; un contadino perché le sue terre sono in migliore stato che quelle degli altri, che egli disprezza, e si vanta del suo sapere. Un giovane ha un orologio in tasca, e forse anche spesso non ha che la catena con cinque soldi in tasca? lo sentite dire: “Non so se è tardi, „ affinché gli si dica di guardare l’orologio, perché si sappia che egli ne ha uno. Se si giuoca d’azzardo, non avrà che due soldi da metter fuori, prenderà in mano tutto ciò che ha, e spesso anche, tutto ciò che non è suo; oppure dirà di più di quanto ha. Quanti domandano a prestito, per andar a partite di piacere, abiti e denaro. Una persona entra in una compagnia dove crede essere sconosciuta? la vedrete subito parlare della sua famiglia, dei suoi beni, dei suoi talenti e di tutto ciò che può distinguerla, e far conoscere ciò ch’essa è, o piuttosto quello che non è. No, F. M., non v’è nulla di così ridicolo e sciocco quanto il parlare sempre di ciò che si ha e di ciò che si fa. Ascoltate un padre di famiglia, quando le sue figlie sono in età di accasarsi. In tutte le compagnie in cui si trova, lo si sente dire: “Ho dato tante migliaia di lire in prestito, le mie ricchezze mi rendono tanto „ e poi domandategli cinque soldi per i poveri, egli non ha nulla. Un sarto od una sarta saranno riusciti bene a fare un vestito; se vedono passare quella persona che lo porta, e alcuno dice: come sta bene, non so chi l’ha fatto. „ — “L’ho fatto io „ subito diranno. E perché l’hanno detto? per far vedere la loro abilità. Ma se non sono riusciti bene, si guardano purtroppo dal parlarne, per timore d’essere umiliati. Le donne nella loro casa… e vi dirò che questo peccato è ancora più da temere in quelle persone che sembrano far professione di pietà. Eccone un bell’esempio. – Questo maledetto peccato dell’orgoglio s’infiltra anche nelle professioni più umili. Un agricoltore o un taglia legna, se sono vicini alla strada, metteranno nel loro lavoro tutte le cure “affinché – dicono – quando alcuno passerà non trovi ch’io non so lavorare. „ Questo peccato s’infiltra anche nel delitto e nella virtù; si vedono alcuni che si vantano d’aver fatto il male. Ascoltate la conversazione di parecchi ubbriaconi. “Ah! dicono, mi sono trovato un giorno col tale; ha voluto scommettere con me, a chi bevesse di più, senza ubbriacarsi; ed io assai presto l’ho vinto!„ È altresì orgoglio il desiderio di diventare più ricco e l’invidiare quelli che lo sono, perché si vedono i ricchi rispettati ed onorati. Si troveranno altri che, nel loro linguaggio, saranno estremamente umili, ed anche si disprezzeranno, facendo pubblicamente la confessione di loro debolezze. Ma dite loro qualche cosa che li punga un po’. Alla prima parola li vedete scaldarsi, rispondervi a dovere, fino al punto di diffamarvi e ledere la vostra riputazione, per un preteso affronto ricevuto. Avranno una grande umiltà, in apparenza, finché sono lodati ed onorati. Qualche volta se sentiamo parlare bene di un altro davanti a noi, proviamo fastidio, ci pare di restarne umiliati; mostriamo aria triste, oppure diciamo: Ma che? egli è come gli altri, ha fatto questo, ha detto quello, non ha tanta abilità come voi dite, voi non lo conoscete!… „ Io dico che l’orgoglio s’infiltra anche nelle nostre opere buone. Vi sono molti che fanno l’elemosina e rendono servizi al prossimo solo per essere stimati persone dabbene, persone caritatevoli. Se faranno l’elemosina davanti a qualcheduno, daranno di più che non se fossero soli. Vorranno far sapere che hanno fatto un po’ di bene, o reso qualche servizio al vicino e cominceranno a dire: “ Il tale è ben disgraziato, non ha di che vivere; è venuto un giorno da me, mi ha raccontato la sua miseria, ed io gli ho dato la tal cosa.„ Un orgoglioso non vuol mai essere rimproverato, egli ha sempre ragione: ciò che egli dice è ben detto, ciò che egli fa è ben fatto. E lo vedete esaminare continuamente la condotta degli altri; dappertutto trova difetti; non v’è in loro nulla di ben detto e di ben fatto. Una persona farà un’azione colle migliori intenzioni dal mondo, eccolo che, colla sua lingua velenosa, la interpreta male. E quanti non ve ne sono che per orgoglio, inventano tutto? Se raccontano ciò che hanno fatto, diranno assai più di quanto hanno fatto. Altri mentiscono per timore d’essere umiliati. Dirò di più; i vecchi si gloriano di ciò che non hanno fatto; a sentirli, sembrano i più grandi conquistatori del mondo, si direbbe che essi hanno percorso l’intero universo; ed i giovani si lodano di ciò che non faranno mai: tutti mentiscono, tutti corrono dietro al fumo dell’onore. Così va oggi il mondo, F. M., mettete la mano sulla vostra coscienza, scrutate il vostro cuore, e riconoscerete che quanto dico è vero. Ma la cosa più triste è che questo peccato getta le anime in tenebre così dense, che nessuno mai se ne crede colpevole. Conosciamo, è vero, quando gli altri falsamente si lodano, e si attribuiscono onori non meritati; ma quanto a noi crediamo di meritarli sempre. Io dico, F. M., che chiunque cerca la stima degli uomini è cieco. — Perché? mi direte. — Eccone la ragione, amico. Non dirò che egli perde tutto il merito di ciò che fa e che tutte le sue carità, tutte le sue preghiere e penitenze non saranno per lui che motivo di condanna. Egli crederà d’aver fatto qualche bene; e troverà tutto guastato dall’orgoglio. Ma io dico inoltre che egli è cieco. Se vuol meritare la stima di Dio e degli uomini, deve fuggirli invece di cercarli, deve persuadersi che è nulla, che merita nulla; allora è sicuro d’aver tutto. Vediamo ad ogni momento che più una persona vuol innalzarsi e più Dio permette ch’essa venga umiliata; e più essa vuol nascondersi, e più Dio ne fa conoscere la riputazione. Basta farvi attenzione per toccar con mano questa verità. Un orgoglioso si affanna a mendicare le lodi degli uomini; ed è conosciuto appena nella sua parrocchia! Ma chi si nasconde, quanto può, e si disprezza, andate lontano venticinque o cinquanta miglia, e vedrete pubblicate le sue buone qualità. Dirò di più: il suo onore vola ai quattro angoli del mondo: più egli si nasconde e più è conosciuto; e più l’altro vuol mostrarsi e più si affonda nelle tenebre, e perciò quasi nessuno lo conosce ed egli meno ancora conosce se stesso. Se il fariseo, come avete veduto, è il vero ritratto dell’orgoglioso, il pubblicano è l’immagine sensibile d’un cuore sinceramente penetrato del proprio nulla, dei suoi pochi meriti e della grande confidenza che bisogna avere in Dio. Gesù Cristo ce lo presenta come il perfetto modello al quale possiamo conformarci. Il pubblicano, ci dice S. Luca, dimentica tutto il bene che forse ha fatto durante la sua vita, per non occuparsi che della sua miseria spirituale e della sua indegnità; non osa comparire davanti ad un Dio sì santo. Lungi dall’imitare il fariseo, che si mette in un luogo dove può esser veduto da tutti e riceverne le lodi, il povero pubblicano, appena entrato nel tempio si nasconde in un canto, si considera come solo davanti al suo giudice, colla faccia verso terra, col cuore spezzato dal dolore, cogli occhi pieni di lagrime, non osa guardare l’altare, tanto è coperto di confusione alla vista dei suoi peccati e della santità di Dio, davanti al quale si trova indegno di comparire. E nella più grande amarezza del cuore grida: “Mio Dio, di grazia, abbiate pietà di me, perché sono un gran peccatore!„ Quest’umiltà commosse talmente il cuore di Dio, che, non solo gli perdonò tutti i suoi peccati, ma lo lodò pubblicamente, dicendo a tutti che quel pubblicano, sebbene peccatore, per la sua umiltà, gli era stato più gradito che il fariseo con tutta la sua mostra di buone opere: “poiché vi dico, sono parole di Gesù Cristo, che quel pubblicano ritornò a casa senza peccati, mentre il fariseo uscì dal tempio più colpevole di quando v’era entrato. Concludo quindi che chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato. „ Abbiamo visto, P . M., che cos’è l’orgoglio, quanto sia orribile questo vizio, quanto esso oltraggia il buon Dio, e finalmente come il Signore si compiace di punirlo. Vediamo che cos’è l’umiltà, la virtù contraria.

III. — Se “l’orgoglio è la sorgente di ogni vizio„ possiamo dire che l’umiltà è la sorgente ed il fondamento di ogni virtù (Prov. XV, 33); essa è la porta per la quale Iddio fa giungere a noi le sue grazie; essa perfeziona tutte le nostre azioni, e comunica loro tanto valore che le rende accette a Dio; finalmente essa ci fa padroni del cuore di Dio, il quale diventa, per così dire, nostro servo; poiché mai Iddio ha potuto resistere ad un cuore umile (1 Piet. V, 5). — Ma, mi direte, in che cosa consiste questa umiltà, che ci merita tante grazie? — Eccolo, amico. Ascoltatemi: voi avete già dovuto conoscere se siete presi dall’orgoglio; vedrete ora se avete la fortuna di possedere sì bella e rara virtù; se l’avete in tutta la sua integrità, il cielo è vostro. L’umiltà, ci dice S. Bernardo, consiste nel conoscere noi stessi, nel disprezzo di noi medesimi. L’umiltà è una fiaccola che ci mostra nettamente le nostre imperfezioni; essa, dunque, non consiste nelle parole, né nelle opere; ma nella conoscenza di noi stessi, conoscenza che ci fa scoprire un’infinità di difetti che il nostro orgoglio ci aveva nascosti fino ad ora. Io dico che questa virtù ci è assolutamente necessaria per andare in cielo; ascoltate ciò che ci dice Gesù Cristo nel Vangelo: “Se non sarete simili ad un fanciullo, non entrerete nel regno de’ cieli. In verità vi dico, che se non vi convertite, se non abbandonate quei sentimenti d’orgoglio e di ambizione, così naturali nell’uomo, non entrerete in cielo. „ (Math. XVIII, 3). “, ci dice il Savio, l’umiltà ottiene tutto.„ (Ps. CI, 18). Volete ricevere il perdono dei vostri peccati? Presentatevi a Dio nella persona dei suoi ministri, coperti di confusione, come indegni di ottenere la grazia che domandate, siete sicuri del perdono. Siete tentati? umiliatevi della vostra miseria, e riconoscete che da soli non potete che perdervi: siete allora sicuri d’esser liberati. O bella virtù quanto rendi cara un’anima a Dio! Gesù Cristo stesso non poteva darci una più bella idea della grandezza del suo merito, che dicendoci d’aver voluto prendere “la forma di servo, „ (Phil. II, 7), che è la più vile condizione. Che cosa rese la santa Vergine così cara a Dio se non la sua umiltà e il disprezzo che aveva di se stessa? – Leggiamo nella storia (Vita dei Padri del deserto, t. I, pag. 52) che S. Antonio ebbe una visione, nella quale Dio gli fece vedere il mondo tutto coperto da una rete, tenuta ai quattro capi dai demoni. “Ah! esclamò il santo, chi non potrà cadere in quella rete? „ — “Antonio, gli disse il Signore, l’umiltà sola basta: cioè, se riconoscete di nulla meritare, di non esser capaci di nulla, sarete vittoriosi.„ Un amico di S. Agostino, gli domandava qual era la virtù che bisognava praticare per essere più cari a Dio, ed egli rispose: “L’umiltà sola basta. Ho ben faticato per conoscere la via più sicura per andare a Dio, ma non ne ho trovato altra. „ Ascoltate ciò che ci dice la storia S. Macario, ritornando con una bracciata di legna, trovò il demonio armato di una falce tutta infiammata, che gli disse: “Macario, quanto mi fai soffrire per non poterti maltrattare; perché mi fai tanto patire? tutto ciò che tu fai io lo faccio meglio di te: se tu digiuni io non mangio mai; se tu vegli io non dormo; non v’è che una sola cosa che tu hai più di me e per la quale mi hai vinto. „ Sapete, F. M,, la cosa che era in S. Macario e che il demonio non aveva? Ah! amici miei, era l’umiltà. O bella virtù, quant’è felice e capace di grandi cose chi ti possiede! Infatti, F. M., quando pure aveste tutte le altre virtù e non questa, non avete nulla. Date le vostre ricchezze ai poveri, piangete i vostri peccati per tutta la vostra vita, fate penitenza finché il vostro corpo potrà resistere, vivete nel ritiro durante tutta l’esistenza vostra; se non avete l’umiltà non lascerete di dannarvi (Se non avete l’umiltà, non lascerete di dannarvi, „ cioè se non avete l’umiltà che il buon Dio domanda da voi vi esporrete al pericolo di dannarvi). Perciò vediamo che tutti i Santi hanno lavorato tutta la loro vita per acquistarla o per conservarla. Più Iddio li colmava di favori e più essi si umiliavano. Vedete S. Paolo, innalzato fino al terzo cielo, egli considera se stesso come un grande peccatore, un persecutore della Chiesa di Gesù Cristo, « un miserabile, un aborto, indegno del posto che occupa » (I Tim. I, 13; – 1 Cor. xv, 8, 9). Vedete S. Agostino, S. Martino: non osavano entrare in chiesa senza tremare, tanto li spaventava la loro miseria spirituale. E tali devono essere le nostre disposizioni se vogliamo essere cari a Dio. Vediamo, F. M., che più un albero è carico di frutti, e più i suoi rami si abbassano; così, più noi facciamo buone opere, più dobbiamo umiliarci riconoscendoci indegni che il buon Dio si serva d’un sì vile strumento per fare il bene. F. M., non possiamo conoscere un buon Cristiano se non dall’umiltà. Ma, mi direte, come si può conoscere se un Cristiano è umile? — Niente di più facile, e lo vedrete. Dapprima io dico che una persona veramente umile non parla mai di se stessa, né in bene né in male, ella si accontenta di umiliarsi davanti a Dio che la conosce. Non guarda che alla propria condotta, geme nel vedersi tanto colpevole: lavora a rendersi più degna di Dio. Non la sentite mai giudicare la condotta degli altri, ha buona opinione di tutti. Disprezza qualcheduno? disprezza solo sé medesima. Interpreta bene tutto quello che fanno i suoi fratelli; è persuasissima che ella sola è capace di far male. Quindi se parla del suo prossimo, ne parla solo in bene; se non ha nulla in bene da dire, tace; se vien disprezzata, pensa che riceve solo quanto si merita, e che dopo aver disprezzato Dio, essa merita ben di più: se si vede lodata arrossisce, e fugge, addolorandosi perché nel giorno del giudizio disingannerà quelli che la credono persona dabbene, mentre invece è tutta coperta di peccati. Ella ha tanto in orrore le lodi quanto gli orgogliosi amano le umiliazioni. Quelli che le fanno conoscere i suoi difetti saranno sempre suoi amici. Se ha del bene da rare, cercherà sempre di farlo a colui che l’ha calunniata o disprezzata. Gli orgogliosi cercano la compagnia di quelli che li adulano, e li stimano, ella invece li fuggirà per andare con quelli che sembrano avere cattiva opinione di lei. Il suo piacere sta nell’esser sola con Dio, mostrandogli la propria miseria e domandando pietà. Si trovi pur sola od in compagnia, non vedete nessun cambiamento nelle sue preghiere, né nel suo modo d’agire. Non facendo tutte le sue azioni che per poter piacere a Dio, non guarda affatto a quello che pensano o dicono gli altri. Lavora per piacere a Dio, e, quanto al mondo, può dire che lo mette sotto i piedi. Così pensano e fanno quelli che tengono come lor porzione, l’umiltà… – Gesù Cristo non sembra far distinzione tra il Sacramento del Battesimo, quello della Penitenza e l’umiltà. Ci dice che senza Battesimo non entreremo mai nel regno dei cieli, senza quello della Penitenza, dopo il peccato, non avremo il perdono, e dice poi, che senza l’umiltà, non entreremo in cielo (Matt. XVIII). Sì, P. M., se abbiamo l’umiltà, quand’anche fossimo coperti di peccati, siamo sicuri d’esser perdonati; e senza l’umiltà, se avessimo anche fatto tutte le buone opere possibili, non ci salveremo mai. Ecco un esempio che ve lo mostrerà nel miglior modo possibile. Si legge nel libro dei Re (III Re, XXI), che il re Acabbo era il più abominevole che avesse regnato fino allora; non credo che se ne possa dir di più di quello che dice lo Spirito Santo: ascoltate. “Era un re dato ad ogni sorta d’impudicizie, che metteva impunemente le mani su tutti i beni dei suoi sudditi; fece ribellare a Dio gli Israeliti, sembrava uomo venduto ed impegnato a fare ogni sorta di male: insomma coi suoi delitti superò quelli che l’avevano preceduto. Perciò Iddio, non potendo più tollerare i suoi delitti, ed avendo deciso di punirlo, chiama il suo profeta Elia, gli comanda di andare dal re e dirgli le sue decisioni: “Digli che i cani mangeranno le sue carni e berranno il suo sangue; farò cadere su di lui tutti i fulmini delle mie vendette; non gli risparmierò nulla, anche per mezzo di quei cani, farò sentire l’eccesso del mio furore.„ Osservate qui quattro cose, P. M.: 1° Si vide mai uomo più malvagio di lui? 2° Si vide mai una più chiara determinazione di far morire un uomo che merita tanto di esser punito? – 3 ° Si diede mai un ordine più preciso? – 4° In questo luogo, disse il Signore, tutto ciò avverrà.„ Si è mai visto nella storia un uomo condannato ad un supplizio più infame di quello di Acabbo, cioè di far mangiare la sua carne, e bere il suo sangue dai cani? Ah! F. M., chi potrà strapparlo dalle mani di un nemico così potente che ha già cominciata la sua vendetta? – Acabbo, sentito il profeta, si stracciò le vesti. Ascoltate ciò che gli dice il Signore: “Va, non sei più in tempo, hai aspettato troppo, ora mi rido di te. „ Ed Acabbo si copre di cilicio: “Tu forse credi, continua il  di muovermi a pietà e di far così revocare il mio comando; ora digiuni; bisognava digiunare pel sangue di tante persone che hai fatto morire.„ Allora gettatosi per terra, si coprì di cenere, e quando doveva uscir fuori, camminava colla testa nuda e cogli occhi a terra. “Profeta, disse il Signore, hai veduto come Acabbo si è umiliato, e prostrato colla faccia a terra? Ebbene! va a dirgli che, giacché si è umiliato, io non lo punirò, e non farò cadere su di lui la folgore e la vendetta che avevo preparata. Digli che la sua umiltà mi ha commosso, mi ha fatto revocare gli ordini, ed ha disarmata la mia collera. „ (III Reg., XXI). Ebbene, P. M., non avevo io ragione di dirvi che l’umiltà è la più bella e la più preziosa di tutte le virtù, che essa è onnipotente presso Dio, e che Dio nulla sa rifiutarle? Possedendola, avremo tutte le altre; senza di essa tutte le altre valgono nulla. Concludo, P. M., dicendo che conosceremo se un Cristiano è veramente tale dal disprezzo ch’egli ha di se stesso e di tutto ciò che fa, e se interpreta in bene tutto ciò che fa o dice il suo prossimo. E con questo, P. M., possiamo star sicuri che il nostro cuore gusterà la felicità sulla terra e che il cielo sarà per noi…

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: AGOSTO 2021

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: Agosto 2021

Surge! Jam terris fera bruma cessit,
Ridet in pratis decus omne florum,
Alma quæ Vitæ Génitrix fuísti,
Surge, María!

Lílium fulgens velut in rubéto,
Mortis auctórem teris una, carpens
Sóntibus fructum pátribus negátum
Arbore vitæ.

Arca non putri fabricáta ligno
Manna tu servas, fluit unde virtus,
Ipsa qua surgent animáta rursus
Ossa sepúlcris.

Prǽsidis mentis dócilis minístra,
Haud caro tabo pátitur resólvi;
Spíritus imo sine fine consors
Tendit ad astra.

Surge! Dilécto pete nixa cælum,
Sume consértum diadéma stellis,
Teque natórum récinens beátam
Excipe carmen.

Laus sit excélsæ Tríadi perénnis,
Quæ tibi, Virgo, tríbuit corónam,
Atque regínam statuítque nostram
Próvida matrem.
Amen.

[Inno  – dal Proprio dei Santi –
Sorgi! Cessi già in terra l’aspro inverno; rida nei prati ogni bellezza di fiori: tu, che fosti la divina Madre della Vita, sorgi, o Maria! / O giglio fulgente tra le spine, tu sola abbatti l’autore della morte, togliendo il frutto negato ai padri colpevoli con l’albero della vita. / Nell’arca fabbricata con legno non guasto conservi la manna, da cui fluisce la forza che dai sepolcri fa di nuovo risorgere, animate, le ossa. / Docile ministra della mente di Dio, la carne non si assoggetta alla corruzione; anzi per sempre consorte dello Spirito, sale al cielo, /Sorgi! Col tuo Diletto, vola in cielo, ricevi il diadema intrecciato di stelle ed accogli il carme dei figli, che ricanta, te beata. / Lode perenne alla Triade eccelsa, che a te, o Vergine, consegnò la corona
e provvide a stabilirti Regina e nostra Madre. Amen.]

Dagli Atti del Papa S. S. Pio XII


Poiché la Chiesa universale nel corso dei secoli ha manifestato la fede nell’Assunzione corporea della beata vergine Maria, e i vescovi del mondo cattolico con quasi unanime consenso chiesero che questa verità, fondata sulla sacra Scrittura, insita profondamente nell’animo dei fedeli e sommamente consona con le altre verità rivelate, fosse definita come dogma di fede divina e cattolica, il sommo pontefice Pio XII, annuendo ai voti di tutta la Chiesa, stabilì di proclamare solennemente questo privilegio della beata vergine Maria. Perciò il primo novembre 1950, anno del massimo giubileo, a Roma, nella piazza della basilica di san Pietro, alla presenza di moltissimi Cardinali e Vescovi di santa romana Chiesa giunti anche dalle più remote regioni, dinanzi ad un’ingente moltitudine di fedeli, col plauso dell’universo mondo cattolico, con infallibile oracolo proclamò in questi termini l’assunzione corporea in cielo della beata vergine Maria: « Dopo aver innalzato ancora a Dio supplici istanze, ed aver invocato la luce dello Spirito di verità, a gloria di Dio onnipotente, che ha riversato in Maria la sua speciale benevolenza, ad onore del suo Figlio, re immortale dei secoli e vincitore del peccato e della morte, a maggior gloria della sua augusta Madre ed a gioia ed esultanza di tutta la Chiesa, per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo esser dogma da Dio rivelato che l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo ».

Queste sono le feste del mese di Agosto 2021

1 Agosto Dominica X Post Pentecosten I. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                         S. Petri ad Vincula – 

2 Agosto S. Alfonsi Mariæ de Ligorio Episc. Conf. et Eccles. Doct. – Duplex

3 Agosto De Inventione S. Stephani Protomartyris    Semiduplex *L1*

4 Agosto S. Dominici Confessoris    Duplex majus

5 Agosto S. Mariæ Virginis ad Nives    Duplex

6 Agosto In Transfiguratione Domini Nostri Jesu Christi  –  Duplex II. classis *L1*

                  PRIMO VENERDI’

7 Agosto S. Cajetani Confessoris – Duplex

                   PRIMO SABATO

8 Agosto Dominica XI Post Pentecosten II. Augusti  – Semiduplex Dom. minor *I*

                    Ss. Cyriaci, Largi et Smaragdi Martyrum – Semiduplex

9 Agosto S. Joannis Mariæ Vianney Confessoris –  Duplex

10 Agosto S. Laurentii Martyris – Duplex II. classis *L1*

11 Agosto Ss. Tiburtii et Susannæ Virginum et Martyrum    Feria

12 Agosto S. Claræ Virginis – Duplex

13 Agosto Ss. Hippolyti et Cassiani Martyrum    Feria

14 Agosto In Vigilia Assumptionis B.M.V. – Duplex II. classis *L1*

15 Agosto In Assumptione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

                    Dominica XII Post Pentecosten III. Augusti   

16 Agosto S. Joachim Confessoris, Patris B. M. V. – Duplex II. classis

17 Agosto S. Hyacinthi Confessoris – Duplex

18 Agosto S. Agapiti Martyris    Feria

19 Agosto S. Joannis Eudes Confessoris – Duplex

20 Agosto S. Bernardi Abbatis et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

21 Agosto S. Joannæ Franciscæ Frémiot de Chantal Viduæ    Duplex

22 Agosto Dominica XIII Post Pentecosten IV. Augusti – Semiduplex Dom. minor *I*

              Immaculati Cordis Beatæ Mariæ Virginis – Duplex II. classis

23 Agosto S. Philippi Benitii Confessoris – Duplex

24 Agosto S. Bartholomæi Apostoli – Duplex II. classis

25 Agosto S. Ludovici Confessoris – Duplex

26 Agosto S. Zephyrini Papæ et Martyris    Feria

27 Agosto S. Josephi Calasanctii Confessoris Duplex

28 Agosto S. Augustini Episcopi et Confessoris et Ecclesiæ Doctoris – Duplex

29 Agosto Dominica XIV Post Pentecosten I. Septembris-Semiduplex Dom. minor *I*      In Decollatione S. Joannis Baptistæ 

30 Agosto S. Rosæ a Sancta Maria Limanæ Virginis – Duplex

31 Agosto S. Raymundi Nonnati Confessoris – Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE (167)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (III)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

III. — La Religione;

D. Ammettendo Dio e la Provvidenza di Dio, si è certamente preparati all’idea religiosa; ma non sì è forzati ad aderirvi. Che cosa veramente intendi tu per religione?

R. Della religione si possono dare definizioni abbastanza varie; io ti propongo questa: la religione è il vincolo che lega la creatura umana alla realtà misteriosa dalla quale sente di dipendere essa e l’ambiente in cui vive, e dalla quale per conseguenza dipende il suo destino.

D. Ma a che pro questo « vincolo »?

R. Questione immensa, tu ben lo supponi.

D. Io chiedo una breve indicazione.

R. Il visibile non basta al nostro sforzo di vita, a quello slancio interiore che ci anima. La potenza di espansione che si spiega in noi cerca un altro oggetto. Sia per la conoscenza, sia per la durata, la potenza, la rettitudine e la gioia del nostro essere, noi proviamo un bisogno di allargamento, di tutela, di pienezza felice che questo mondo non ci fornisce punto. La nostra mente è arrestata dal mistero, la nostra libertà è incatenata da fatalità inesorabili; il nostro appetito di felicità cozza con la sofferenza, con le umiliazioni, con le incomprensioni, con le separazioni, con la morte. La vita non ci appartiene e non ci basta. Le nostre relazioni col visibile lasciano libero un istinto di sociabilità superiore che il Dio sconosciuto sollecita e dovrà soddisfare. « L’infinito mi tormenta, a mio dispetto »; non è una vana parola. Per rispondere a questo soprappiù di attività interiore che nessun oggetto reale esaurisce, è veramente l’infinito, che in un modo o in un altro deve entrare nella nostra vita. Non si tratta di una forza estranea; bisogna che essa sia intima, poiché la vita interiore sarà la sua prima cliente; bisogna ancora che sia trascendente. A questo doppio segno non si riconosce forse la realtà sovrana, quella realtà che è il retrofondo di tutto e del nostro essere stesso, cioè il divino?

D. Credi tu veramente di avere così un fatto universale?

R. Sì, è un fatto universale; l’etnografia e la storia lo attestano. Ed è un fatto universale perché è un fatto umano e autentico, non è una superfetazione; non è un sentimento parassita; non è, etimologicamente, una superstizione; ma è una necessità vitale, richiesta da uno sforzo di adattamento superiore, e, se si può dire, di totalizzazione della vita. Niente è totale, per noi, se si sopprime l’oggetto della religione e la religione stessa. Onde la religione è «un prodotto dell’uomo normale », come dice Renan. Max Muller la chiama «la roccia solida, il granito primordiale e indistruttibile dell’anima umana ». Per Bergson, essa fa parte di ciò che egli chiama dati immediati della coscienza. Per questo Quatrefages ha definito l’uomo «un animale religioso »; «un animale che ha una finestra su Dio », come traduce lepidamente uno dei nostri giovani poeti (GIUSEPPE DELTEIL).

D. Io non posso trattenermi dal pensare che, seguendo lo slancio religioso, come tu dici, lo spirito umano fugge per la tangente, e sì crea una preoccupazione estranea alla vita.

R. Estranea alla vita inferiore e parziale, sì; estranea alla vita umana integrale, no. Se mi fosse lecito servirmi di un paragone un po’ strano, direi: Vi sono animali striscianti animali ambulanti, animali volanti, e solo l’uomo si schiera in queste tre specie: egli striscia per la sua vita fisica; cammina per la sua ragione; vola per la religione.

D. Vi son di quelli che non provano punto il bisogno di volare.

E. Vi son anche di quelli che non sentono affatto il bisogno di camminare, cioè di esser ragionevoli; vi sono perfino di quelli che rifiutano di strisciare menando la vita fisica, poiché si uccidono. L’uomo nondimeno per natura, è un vivente e un essere ragionevole. È parimenti, per natura, un essere religioso, benché a volte, per lo meno durante lunghi periodi della sua vita, egli non lo senta. «I cuori angusti, scrive Rousseau, non sentono mai il vuoto, perché sono sempre pieni di niente ». Ciò non si verifica meno dei cuori larghi, quando consentono, per impulso di passione o per negligenza, al loro proprio restringimento.

D. È dunque possibile che si abbia bisogno di essere destati a questo sentimento che dici istintivo?

E. Vi sono infatti degli istinti che dormono, come vi sono degli istinti che si corrompono. È la gloria della religione il rispondere, nello stesso tempo che agli inviti degli uomini, ai loro presentimenti ignorati.

D. Mi sembra paradossale dare alla vita un orientamento non proporzionato ad essa.

R. «Quello che mi occupa, scrive Emilio Faguet, è ciò che è secondo la mia misura; quello che mi preoccupa, è ciò che mi oltrepassa, I metafisici — e gli uomini religiosi — sono trattati da folli da alcuni belli spiriti o da alcuni spiriti più o meno belli; ma il « demente » sarebbe colui che, svegliandosi in treno e non sapendo più donde è partito e non sapendo dove va, contemplasse il suo scompartimento, lo verificasse, lo analizzasse, prendesse delle note, e non si desse pensiero donde ha potuto partire e dove può arrivare ».

D. Vi furono sempre molti dementi di questa specie, e temo che tu esageri, almeno per la Francia, l’importanza del fatto religioso.

R. Apri solo il piccolo Larousse tascabile alla parola Saint. Lì si vede come il popolo di Francia è nato, e quali furono i padrini del suo battesimo.

D. Ad ogni modo, molti ci vedono oggi un anacronismo.

R. Coloro che chiamano la religione un anacronismo dimostrano col loro atteggiamento che essa è piuttosto ai loro occhi un rimprovero. Di fatto, la religione è la preoccupazione di tutti, e più ancora di coloro che la negano.

D. Se certuni fanno a meno della religione, è certamente perché non è loro necessaria.

R. Necessaria perché?

D. Per essere felici e buoni.

R. Ma se la religione è vera, è necessaria a tutti per essere nel vero, ed essere nel vero è necessario per essere buoni, necessario per essere felici, come essere sulla buona strada è necessario per essere un buon viaggiatore, e perché si arrivi.

D. Tu rischi di attribuire alla religione ciò che dovrebbe essere attribuito alla morale?

R. Una vita morale è indispensabile a tutti, e chi pretendesse di sottrarvisi sotto colore di religione, più ancora che l’uomo, offenderebbe la religione stessa. Ma la moralità senza la religione non potrebbe bastare; perché, oltre le impotenze alle quali sovviene la religione e le nostre cadute ch’essa rialza, è ancora un articolo di legge morale di rendere a Dio quello che gli è dovuto, e come Egli lo intende.

D. Resta che in certi limiti, la moralità, di fatto, sì mostra indipendente dalla religione.

R. Coloro che se lo immaginano ignorano dunque che le loro idee morali sono idee religiose a mala pena abbozzate; che la loro moralità è venuta alla luce e non sussiste se non in grazia di un ambiente spirituale impregnato di senso cristiano? Colui che parla dell’inutilità della religione per la sua vita morale rassomiglia all’arbusto che, nella foresta umida, credesse inutili la sorgente, le piogge, i fiumi, il lontano oceano.

D. La religione non avrebbe oggi dei succedanei più alti di lei stessa a compiere il suo ufficio, di modo che la parte che essa si attribuisce ancora non sarebbe che una parte usurpata?

R. Di quali succedanei parli tu?

D. Ho già menzionato la morale, ora penso alla scienza.

R. Abbiamo veduto la scienza impotente a sostituire Dio come spiegazione delle cose; eppure la spiegazione è la parte sua propria: tanto meno sarà essa in grado di fare altre parti divine, che non sono più del suo dominio.

D. Eppure la scienza importa alla vita.

E. Sì certamente! La scienza è una conoscenza direttrice di un potere; essa accerta l’ordine dei fenomeni e se ne vale per l’azione, per utilissime creazioni. Ma il suo valore esplicativo è debole; anzi molti lo mettono in dubbio; esso è nulla finora riguardo ai fatti più generali, quelli che condizionano e potrebbero giustificare tutti i fenomeni visibili. In quanto all’interpretazione e alla direzione della vita umana, la scienza è, per natura, radicalmente impotente, o meglio estranea. E che cosa offre essa di efficace contro il dolore, la miseria morale, l’insufficienza vitale, la morte?

D. Donde avviene allora che là dove la scienza avanza, la religione indietreggia?

R. Tu generalizzi indebitamente; questo fatto, là dove si produce, è dovuto a un’ostruzione momentanea, a un’infedeltà orgogliosa. Oppure intendi parlare delle false religioni. Infatti è ben certo che la scienza ha detronizzato il dio-sole, il dio-nube, il Giove che lancia la folgore, il dragone che produce le ecclissi, e tutto ciò che rassomiglia a questi trastulli religiosi. Essa ha eliminato i guaritori per incantesimo, le streghe, gli oracoli; ha contribuito a epurare il sentimento religioso in seno alle popolazioni cristiane stesse, e conviene essergliene grati. Ma nulla di tutto questo tocca il fondo delle cose, e il dominio del soprannaturale resta inviolato; la vita è lasciata alle sue insufficienze essenziali; di fronte alle conquiste della scienza, noi sentiamo forse più che mai quel che manca alla scienza e quel che fa d’uopo agli uomini al di là di tutto l’umano. A forza di misurare il visibile, si deve giudicare sempre più come un vuoto spaventoso l’assenza dell’invisibile.

D. Non si vedono tuttavia di quelli che si attaccano alla scienza disperatamente, come all’unica salvezza?

R. Costoro non sono generalmente dei sapienti, e sono spesso degli appassionati che cercano un alibi per il loro odio, «Io sospetto fortemente, come scrive Andrea Gide a proposito di Remy Gourmont, che non amino tanto la scienza se non per detestare meglio la religione »,

D. Ma se sono dei genii?

R. Allora sono « degli uomini prodigiosi a cui manca tutto » (RENATO SCHWOB).

D. Credi tu che la scienza e la religione si disputeranno così per lungo tempo la direzione delle anime?

R. È troppo anormale che si sia fatto della scienza un duello tra l’uomo e Dio; un tale stato di cose è transitorio! « Vaneggiare dei proprii lumi », come dice Barbey d’Aurevilly, è cosa che mai non ha se non un tempo. Ascolta una bella profezia ottimista. « Noi siamo in un’era del mondo in cui l’umanità sta per fare un passo. Dopo tre secoli, essa porta innanzi un piede da gigante accanto alla natura, e non sapendo dove posare l’altro, si snerva e si stanca. Il mondo è troppo piccolo per i suoi due piedi, gli occorre l’al di là, come per misurare il sole occorre all’astronomo un’altra base diversa dalla terra. Un giorno, la religione e la scienza che sembrano oggi allontanarsi l’una dall’altra, come i due piedi di un uomo che cammini con la lentezza dei secoli, si ricongiungeranno nella luce, E l’umanità avrà fatto il suo passo » (GIUSEPPE SERRE).

D. Tra i succedanei religiosi, volevo anche parlare dell’arte. Non hai detto tu stesso: l’arte è una religione?

R. Lo dicevo per metafora, a cagione dello stretto rapporto di questi due ordini di fatti. Ma come l’arte sostituirebbe la religione, poiché in fondo vive di essa? Per una parte le è identica, perché anch’essa si eleva, da ciò che si vede, a quello che non si vede, poi anch’essa discende alle radici delle cose. Ma bisogna che essa si completi. L’artista non religioso è un artista incompleto. L’artista che rigettasse veramente e radicalmente ogni religione, non avrebbe più nulla da dire.

D. Tuttavia a molti artisti bastò l’arte.

R. Certi l’hanno detto; forse l’hanno pensato; ma il loro cuore non lo credeva. Dagnan-Bouveret, pochi anni prima della sua morte ammirabilmente cristiana, scriveva: « La mia povera mente, che non si pasce che di dubbi, trova almeno nella contemplazione della luce e dell’ombra qualche cosa di bello e d’indiscutibile nella sua eternità, che l’attira e affascina. E si abbandona a questa certezza evidente per lei, problematica per il cieco, insufficiente per il credente, con tutto il trasporto d’un disperato ».

D. La filosofia, almeno, può bastare a se stessa, poiché è una sapienza.

R. Essa è un « amore della sapienza », come indica il suo nome, e appunto per questo, il suo compito è di condurre alla religione, di rischiarare la religione ne’ suoi rapporti coi pensieri terrestri, di costituire, in grazia della religione che la prolunga dall’alto, la sintesi eminente del sapere. Ma sostituire la religione non sarebbe possibile alla filosofia se non a patto che essa disponesse del suo proprio oggetto, in vece di conoscerlo soltanto — se essa lo conoscesse con una cognizione sicura, in vece di cedere a tutti i venti di dottrina — se lo conoscesse con una cognizione viva, in vece di costituirsi in un sistema di astrazioni, e se avesse il potere di diffondere questa cognizione in tutti gli uomini, invece di confinarsi nei limiti d’una scuola o anche di un cervello. La filosofia è un mandarinato; la filosofia vede lacerare le sue membra che le sette si dividono; la filosofia vive di nozioni astratte, quasi ignara dell’azione, estranea all’immaginazione e al cuore degli uomini, impotente a sostenere la vita senza disporre di nessuna promessa eterna, non fosse che per quella parte di eternità che il tempo importa. La religione vuole essere un vincolo effettivo tra l’uomo e Dio; la filosofia non offre in fatto di vincolo altro che il tenue filo della logica dimostrativa, vero filo della Vergine, che svolazza in aria e non porta niente. Che cosa è una scuola filosofica di fronte alla Chiesa universale? e che cosa è l’insegnamento d’una filosofia umana di fronte a questo: Dio è nostro Padre; Egli c’invita, in seno alla sua Trinità, a un’intimità domestica; Lui stesso ha visitato la nostra terra e misteriosamente l’abita ancora; Egli ci unisce in una società della quale è l’invisibile capo, della quale il suo Spirito è l’anima, e, dopo questo tempo di prova durante la quale ci consola, ci promette una vita perfetta, la reintegrazione del nostro corpo, una perpetua e comune felicità?

D. Non è questa una filosofia?

R. È una filosofia, e la più grandiosa. « Il Cristianesimo è la prima religione che sia stata, nello stesso tempo, una filosofia » (Pietro Lasserre). Ma tal è nello stesso tempo. Il Cristianesimo è ancora un’altra cosa, esso è una fede.

D. Vi sono delle grandi filosofie fuori della fede.

R. Le filosofie senza fede sono come case vecchie sopra un promontorio di sabbia; esse scintillano al sole, ma l’interno è mediocre, e di fuori il mare le corrode.

D. Non dicono dunque mai il vero, o il vero che dicono, non avrebbe pregio?

R. Dicono spesso il vero, ed esse stesse sarebbero vere, se tollerassero il loro proprio compimento nella verità plenaria. Ma oltre ai loro errori, credendo di bastare a se stesse, si annichilano; perché chi rigetta il tutto non può conservare la parte, e « chi ritira il Verbo, distrugge la parola » (PAOLO CLAUDEL). « Ogni filosofia, scrive Lachelier, è astratta e formale, semplice aspirazione o folle esigenza del pensiero, che non finisce in religione ».

D. Perché la filosofia non è fatta per tutti?

R. Per la stessa ragione che il calcolo integrale.

D. Perché non fa capo a qualche cosa di fisso e di sicuro?

R. Perché lo spirito umano è debole, orgoglioso, appassionato, e quello che è sicuro, in queste condizioni, è l’insicurezza; quello che è fisso, è la disputa. Le divisioni della mente e i suoi traviamenti hanno le medesime cause che le nostre liti domestiche o sociali, e sono i nostri vizi.

D. Ma tutto questo non agisce punto nel mondo religioso?

R. Questo agisce dovunque; anche i teologi non sono meno divisi, nel loro campo, che i filosofi nel proprio. Ma la religione ha modo di limitare questo male umano con mezzi divini; essa può mantenere l’essenziale e pervenire al cuore dell’unità umana. Gli errori teologici girano attorno al dogma, il quale rimane, mentre l’errore filosofico, periodicamente, altera o spazza via tutto. Perciò la filosofia disserta senza concludere, là dove la religione afferma; la filosofia ricomincia, mentre la religione conserva ed applica. Ma al di sopra di tutto, la religione è universalmente umana, popolare nel grande senso, nello stesso tempo che sublime. Il suo Dio non è un interlocutore dei genii, ma un Padre; ai genii si rivolge come agli altri, ma inoltre Egli « annunzia il Vangelo ai piccoli »; ecco il suo segno; Egli conta con quelli che non contano punto.

D. Tu patrocini per le religioni positive, o il vero che dicono non e specialmente per la tua; ma vi è una religione naturale, e che potrebbe bastare.

R. Quello che si chiama religione naturale non è che una filosofia, vagamente tinta di una religiosità presa dal Cristianesimo. In materia propriamente religiosa, essa fu chiamata « un corridoio aperto sopra il nulla » (ALBERTO DE MUN).

D. Quello che è naturale può forse essere un nulla?

E. La religione naturale è così poco nella natura che non è mai esistita. Fu scritto un libro o due con questo titolo; ma un libro non è un fatto. In nessun secolo, in nessun paese, si è prodotto un fatto collettivo che meriti l’appellazione che si usurpa.

D. E se si producesse?

R. Si produrrebbe necessariamente coi caratteri che io rilevo. La religione naturale è una pura filosofia, per conseguenza accessibile solo ai privilegiati, e la più umile umanità ha bisogno di vivere. È una dottrina astratta, tutta in idee, e vi sono i fatti; vi sono le particolarità del nostro essere, le difficoltà della nostra vita, gli accidenti della nostra via; vi è il male in noi e attorno a noi, e le incertezze delle nostre menti, e le debolezze del nostro volere, e gli eccitamenti dei nostri sensi, e i pericoli come le felici possibilità della vita collettiva. Che cosa ci propone la religione naturale per sovvenire a tutto questo? Con quale autorità? e per quali fini superiori che essa possa garantire? È un programma seducente in apparenza; è un manuale per un allievo maestro dei tempi andati; ma non un Credo o un formulario d’azione proprio di un’istituzione vivente; non è una religione.

D. Tu ricusi perfino di concepire uno sviluppo della vita naturale fuori del soprannaturale religioso?

R. Una natura fatta per l’infinito e che si chiude all’infinito non può che rattrappirsi e finalmente corrompersi. Essa è capace di qualche bene, ma non del bene.

D. Ecco per me la religione che tutti potrebbero ammettere: una religione puramente spirituale, cioè consistente in uno spirito, in un orientamento superiore del quale Cristo fosse il grande maestro, di cui il Vangelo fosse il libro scelto; che guidasse la nostra vita, ma senza rinchiuderci in un dogma stretto e rigido, sotto un’autorità dispotica, sottoposti a riti fastidiosi.

R. Questa supposta religione dello spirito è la religione del vago, la religione di coloro che non ne hanno punto e non ne vogliono avere, ma che una volta ne avevano una e ne hanno conservato il ricordo nostalgico. Essi credono al vero, al bello e al buono senza definire né l’uno né l’altro, senza garantire né facilitare il loro regno, senza unirci nel loro culto e nella loro pratica, senza mostrare la meta a cui ci faranno pervenire, insomma, senza effettuare niente di ciò che è l’oggetto d’una religione, né dare la minima risposta alle questioni che una religione propone. Sotto pretesto di « spirito », si abbandonano così gli uomini a un completo denudamento spirituale, e senza speranza.

D. Questa religione ha tuttavia degli adepti.

R. Ho detto il perché. Essa è predicata da vecchi cattolici romani diventati già protestanti ortodossi, diventati più recentemente protestanti liberali o razionalisti; essa è predicata anche da quei Cattolici snaturati che il modernismo ha prodotti. È il « profumo del vaso vuoto » di cui parlava Renan. Ma l’umanità non vive punto di profumo, né di vuoto; specialmente la più umile umanità, la massa, che questo bel dilettantismo non raggiunge.

D. I dilettanti di cui parli si orientano almeno verso l’avvenire, tu verso il passato.

R. Noi ci orientiamo verso l’eternità. L’idea che solo l’avvenire offre una speranza è un pregiudizio evoluzionista senz’alcun fondamento. L’evoluzione non tocca nel loro fondo altro che le realtà inferiori; quanto più si sale, tanto più si arriva a ciò che è immutabile e permanente, ed è naturalmente il caso della vita religiosa, rapporto essenziale dell’uomo, se così posso dire, con Colui che non muta,

D. Un ultimo succedaneo della religione non si potrebbe trovare nella politica, nel senso più largo della parola? Hai notato tu stesso l’aspetto sociale delle religioni: non sarebbero esse, a questo titolo, delle anticipazioni, e la laicità associata a un umanismo superiore, non sarebbe forse la verità definitiva?

R. Il giorno che mi sarà additata una società che funzioni fuori dell’influsso diretto o indiretto d’un principio religioso, io crederò al « laicismo » in quanto principio sociale. Ma fin qui gli onori della vita pubblica furono riservati alle religioni e alle loro filiali più o meno fedeli. Non vi fu mai società laica sotto il cielo.

D. La nostra, in Francia, dopo la separazione delle Chiese e dello Stato non sarebbe affatto laica?

R. Non ti fermare ai testi legislativi, ai discorsi, ai programmi; noi parliamo di vita sociale, e la vita sociale è tautt’altra cosa che questo.

D. Che cosa è dunque la nostra società detta « laica »?

R. È una società cristiana che della fede ha rigettato tutto ciò che desiderava di perdere, e che ne conserva, dopo avergli tolto la marca, tutto ciò che desidera di conservare.

D. E che sarebbe una società veramente laica?

R. Il nulla organizzato.

D. La religione dunque, secondo te, è necessaria alla civiltà?

R. Come una madre è necessaria a sua figlia, come un’anima è necessaria al suo corpo. La religione è l’anima delle civiltà; ne è l’origine. Si possono costruire delle ipotesi; ma i fatti sono più sicuri. Ora, nel fatto, le civiltà e le religioni si presentano nella storia come un unico fenomeno sociale. Le civiltà antiche procedono dagli dèi e dal loro culto; la civiltà moderna, che sola merita veramente questo titolo, lo merita a cagione del Cristianesimo, del quale è interamente formata. Quando la laicità avrà prodotto qualche cosa di indipendente che sia veramente e unicamente di essa, le cui origini religiose non siano evidenti per tutti, si potrà paragonare il suo valore di civiltà a quello del Cristianesimo. Per il momento, non ne parliamo.

D. Allora devi temere, per la civiltà, il movimento che ci porta via.

R. La notte che si estenderà sopra la nostra civiltà, se la Chiesa se ne ritira, sarà più nera che quella da cui la Chiesa l’aveva tratta un tempo. La civiltà e la morale sono un prestito consentito al mondo moderno dal Cristianesimo. Tu potresti sostituire ciò che non dipendesse che da te stesso; potresti quindi ignorarlo e dissiparlo senza rischio. Ma ciò che hai da altri e che altri ti mantiene per un influsso segreto, lo perdi per l’ingratitudine, nello stesso tempo che l’amicizia più preziosa che te lo assicurerebbe. « Non cercare il regno di Dio, e il resto ti sarà ritirato per soprappiù » (AGOSTINO COCHIN).

D. Ecco una terribile sentenza! Ma ne fai una profezia?

R. Io credo all’avvenire, perché credo a Dio e all’uomo, perché vedo all’opera immense forze del bene. Si ha un bel fare, ma la nostra civiltà è ancora adagiata a piè della croce come una leonessa impaziente o distratta. Se tuttavia il movimento « laico » avesse il sopravvento, e se gli uomini di domani non sapessero riprendersi e fermarsi a tempo sopra la china, la stessa violenza dei fatti materiali riaprirebbe per noi il mondo dello spirito.

D. Sarebbe ancora la salvezza.

R. La verità può vincere l’errore dandogli vinta la causa, come un fino politico si vale del partito avverso lasciandogli momentaneamente il potere.

D. Da chi dipende l’avvenire che tu vagheggi?

R. L’avvenire è nelle mani delle giovinezze nuove. L’avvenire è nelle mani di Dio.