IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (16).

IX COMANDAMENTO DI DIO

Questo comandamento è già stato spiegato nel VI, e lo sarà ancor più nel capitolo del matrimonio. È a questo precetto che si riferiscono le parole di Gesù nel capitolo V, 28 di San Matteo e quelle di San Paolo nell’Ep. ai Corinzi (X, 6).

X COMANDAMENTO DI DIO.

CON QUESTO COMANDAMENTO DIO PROIBISCE IL DESIDERIO DI ACQUISTARE INGIUSTAMENTE LA PROPRIETÀ ALTRUI.

Agli occhi di Dio, il desiderio equivale all’inganno.

Il desiderio è un atto della volontà colpevole quanto l’atto esterno (S. Matth. V, 20), per cui siamo obbligati a confessare questi peccati nella confessione (Conc. de Tr. 14, cap. 5).

IL SOCIALISMO

.1. NELL’ATTUALE PARTITO CHIAMATO SOCIALISMO, CI SONO UN GRAN NUMERO DI UOMINI, IL CUI SCOPO IDEALE È QUELLO DI ABOLIRE LA PROPRIETÀ PRIVATA CONTRO LA VOLONTÀ DEI PROPRIETARI.

Il socialismo pretende di ricostituire la società su nuove basi. I socialisti, che nella speranza di arrivare più rapidamente al loro obiettivo, impiegano mezzi violenti come la dinamite, l’assassinio, il saccheggio e lo scandalo nelle chiese, sono chiamati anarchici o nichilisti. Sarebbe troppo lungo fare una storia del socialismo in ogni Paese.

(Ogni catechista può farlo in base alla sua nazionalità).

1. I Socialisti hanno come programma la confisca dei beni (NAZIONALIZZAZIONE, COLLETTIVISMO) da parte dello Stato, di tutte le proprietà private e la condivisione equa di tutte le fortune e di tutto il lavoro tra i cittadini; i noltre la professione di ogni religione, di ogni autorità e ogni vita familiare regolare.

I socialisti accettano il principio di Proudhon secondo cui la proprietà è un furto; nello Stato ideale, quindi, nessuno possiederà proprietà personali; tutti riceveranno ciò che è loro necessario dalla proprietà collettiva. Tutti saranno costretti a lavorare e per ogni lavoro riceverà una ricevuta da scambiare con beni di consumo. – Lo Stato del futuro non conoscerà nessuna istituzione religiosa, nessuna autorità (né Dio, né il padrone). I socialisti si dichiarano apertamente apostoli dell’ateismo e della repubblica universale; alcuni, invece, nascondono il loro ateismo sotto la falsa formula che la religione è una questione privata. – I coniugi possono rimanere o uniti finché vogliono o separarsi a piacimento per contrarre una nuova unione (Bebel). I figli non appartengono ai genitori, ma allo Stato; rimangono con la madre finché sono neonati, poi vengono portati nelle scuole pubbliche, dove vengono cresciuti in condizioni che la penna si rifiuta di trascrivere.- La cucina familiare sarà sostituita dalla cucina pubblica. – Le carceri saranno abolite, perché ogni male viene generato dalla a proprietà privata, nel nuovo Stato tutti gli uomini saranno angeli! – I principi del socialismo sono stati adottati soprattutto da uomini senza religione; mossi dal desiderio di soddisfare le loro passioni poi hanno sedotto i poveri, i proletari che non avrebbero perso nulla con il collettivismo, soprattutto tra gli operai di fabbrica. Le condizioni particolari dell’industria moderna hanno contribuito molto alla diffusione del socialismo tra le classi lavoratrici.

2. La nascita e la diffusione del socialismo sono state causate da: la crescente miseria delle classi lavoratrici, l’avidita eccessiva di alcuni ricchi e la loro insaziabile brama di piacere, l’indebolimento del sentimento religioso del popolo.

Nel corpo, la maggior parte delle malattie è causata da disturbi dello stomaco, e i movimenti di malcontento popolare derivano molto spesso dall’indigenza materiale. (3° Congresso cattolico austriaco). Questa miseria generale è stata la conseguenza dell’introduzione delle macchine, che possono in un giorno produrre più lavoro in un giorno di quanto ne possano fare cento uomini in un mese, e che forniscono un lavoro più economico del lavoro manuale. Gli artigiani sono stati gradualmente costretti a rinunciare al loro mestiere, e a cadere in povertà. Questo sistema concentrava il capitale nelle mani dei produttori, sottraendolo agli altri settori della società. Di conseguenza, il numero di lavoratori poveri e scontenti aumentò, e più proletari ci sono, più c’è povertà (Bebel). Il disagio sociale ha provato lo stesso disagio del corpo fisico, quando il sangue accorre ad alcuni organi, mentre altri sono anemici. La grande industria, ansiosa di accumulare ingenti ricchezze, spesso trattava i suoi lavoratori in modo contrario ai principi evangelici: venivano pagati salari molto bassi, perché l’offerta di manodopera era considerevole, o si richiedeva un lavoro eccessivo, un lavoro di notte e persino un lavoro di domenica e nei giorni festivi. Non ci si curava della salute degli operai e ancor meno dei loro sentimenti religiosi e della loro moralità. Queste e altre cause rendevano inevitabilmente infelici e irreligiosi: inoltre, il lavoro a macchina favorisce la pigrizia della mente e di conseguenza l’adozione sconsiderata di belle e vuote parole; l’eccessivo affaticamento corporeo, invece, impedisce all’anima di elevarsi a Dio e porta all’empietà. Gli ambienti angusti, dove la povertà degli operai li costringeva a stringersi l’uno all’altro, contribuivano, da parte loro, alla distruzione delle virtù familiari. – D’altra parte, gli operai, vedendo l’avidità dei loro padroni e la loro sregolatezza nello spendere per il lusso ed il piacere, desideravano una situazione simile e si accanirono contro la proprietà e la ricchezza. I ricchi furono puniti laddove avevano peccato. Il socialismo, dunque, è in primo luogo il flagello di Dio contro i peccati dei ricchi. – Inoltre, la fede nel nostro tempo è minata dalla cattiva stampa, dalle società anticlericali, soprattutto dalla massoneria, in alcuni Paesi da leggi di persecuzione religiosa: l’esilio dei religiosi, il divieto delle missioni, la confisca dei beni ecclesiastici, la soppressione dell’insegnamento religioso nelle scuole, ecc.. Non dovrebbe sorprendere che una parte delle masse non creda più in Dio o nella vita futura, che disprezzi i comandamenti di Dio che protegge la proprietà, che vogliono avere il paradiso su questa terra. Bebel, inoltre, ha ammesso che il socialismo non sarebbe nato se il Cristianesimo fosse sempre stato osservato. – Gli operai che chiedono solo un miglioramento della loro sorte non sono quindi la causa del socialismo.

3. Se si vuole scongiurare il pericolo minaccioso del socialismo, la situazione dei lavoratori deve essere migliorata, i ricchi devono essere caritatevoli nei confronti dei poveri, che la religione sia restituita al popolo ed incrementata.

I socialisti non saranno sconfitti da misure coercitive più di quanto un bambino testardo con le botte. Se vogliamo avere successo, dobbiamo prevenirli con il l’amore; in altre parole, dobbiamo essere gentili e benevoli con loro. Soprattutto, i capi devono trattare i loro lavoratori secondo i principi della giustizia evangelica. “Miei fratelli – ha detto mons. Ketteler – mettiamo in pratica le massime del Vangelo per un solo giorno ed il male sociale scomparirà improvvisamente. Prima di tutto, il datore di lavoro è obbligato a dare al lavoratore un salario sufficiente a mantenere una vita veramente umana. “Il salario – dice il card. Manning – deve almeno bastare per una corretta famiglia operaia cristiana, cioè operosa, parsimoniosa e virtuosa”. Il lavoratore deve avere sicurezza; è indegno trattarlo come una semplice merce che non è più apprezzata non appena non produce più nulla (Abbate Hitze, deputato al Reichstag); deve godere dei diritti civili, perché paga le tasse (soprattutto quelle indirette) e le imposte del sangue (3° Congresso cattolico austriaco). Era inoltre necessario soddisfare il bisogno dell’operaio di essere istruito e di coltivare la sua mente con biblioteche e corsi per adulti (id.). Leone XIII raccomandava soprattutto la fondazione di circoli operai, in cui il lavoratore potesse sviluppare la sua attività e soddisfare il suo desiderio di esercitare un’influenza sugli altri (id.). La legislazione, da parte sua, deve impedire che il proletariato cresca troppo e che il capitale si concentri troppo in poche mani, favorendo la piccola industria; deve anche impedire che vengano uccisi i mestieri e l’agricoltura. (Id.) – I ricchi devono dare volentieri e generosamente (Tm, VI, 18); essi sono obbligati a fare l’elemosina più che mai, se vogliono evitare il rigore del giudizio e la dannazione eterna. Lo Stato, inoltre, ha il diritto di obbligare le grandi fortune a contribuire con il loro superfluo al bene generale. – Ma il rimedio più efficace contro il socialismo è la religione, perché il socialismo è fondamentalmente un’assenza di convinzioni religiose, perché il dogma fondamentale del socialismo è la negazione di Dio e della vita futura, il suo ideale è il godimento dei beni materiali. Colui che, nella lotta contro il socialismo, vuole ignorare la religione, è come un uomo la cui casa sta bruciando e che proibisce ai pompieri di entrare con il pretesto che potrebbero prendere qualcosa dalle sue provviste. La religione fornisce ai poveri il massimo dell’appagamento che desiderano.

4. Alcuni principi socialisti sono assolutamente inapplicabili, altri sono teoricamente ammissibili, ma non potrebbero essere applicati praticamente senza conseguenze disastrose.

L’uguaglianza assoluta tra gli uomini è utopica, soprattutto l’eguaglianza egàlitê nella divisione della proprietà. Se, infatti, lo Stato desse a ciascuno ciò che gli serve per vivere, non ci sarebbe nulla che impedisca di supporre che alcuni non lo consumino tutto e lo mettano da parte, il che costituirebbe già una disuguaglianza. Ma obbligare le persone a restituire ciò che hanno risparmiato sarebbe il peggior tipo di tirannia. L’uguaglianza assoluta è impraticabile su altri punti; la disuguaglianza è la legge della natura umana, ed è impossibile abolire le disuguaglianze che risultano da età, sesso, dalla salute, forza fisica, talenti e soprattutto carattere e moralità. Ora, queste diversità portano necessariamente alla diversità di situazione sociale e di proprietà. Non può esistere un intero esercito di ufficiali o di soldati comuni, così come la società è impossibile senza diversità. Ci sarà sempre bisogno di cittadini che si occupino di affari di Stato, legislazione, giustizia, amministrazione, organizzazione militare e così via, e questi uomini assumeranno di loro spontanea volontà, si porranno ad un livello più alto tra i loro concittadini, perché contribuiscono in modo più elevato all’interesse generale. (Leone XIII). Gli stessi socialisti conferiscono ai loro leaders uno status eccezionale. – La felicità perfetta è irraggiungibile qui sulla terra; per quanto si possa progredire e per quanto possano essere dure le sofferenze, le malattie, la morte, ecc. non potranno mai essere eliminate. La sofferenza ed il dolore sono l’eredità dell’uomo sulla terra; una vita dedicata esclusivamente al piacere Leone XIII). Inoltre, la felicità non si ottiene dai piaceri materiali, ma in Dio. Fino alla fine del mondo, ci saranno i viziosi, i criminali ed i poveri, secondo le parole di Gesù (S. Giov. XII, 8) – La nazionalizzazione della proprietà personale, inoltre, sarebbe impossibile senza un considerevole spargimento di sangue, perché pochi uomini si lascerebbero espropriare senza opporre resistenza; e una volta effettuata la divisione, ci sarebbero crudeli atti di vendetta da parte della minoranza oppressa. La comunità delle donne, in particolare, provocherebbe i crimini più terribili. In breve, sono le classi lavoratrici, a favore delle quali questa condivisione gioverebbe di meno (Leone XIII), perché un lavoratore è più abile e più industrioso di un altro, e riceverebbe solo un salario uniforme, il che provocherebbe il malcontento generale. Il socialismo sarebbe realizzabile solo in una società che non ha amore per la libertà e non ha bisogno di progresso. Questa umanità non esiste, nemmeno tra i barbari, perché l’uomo non è una bestia. Il socialismo distruggerebbe la civiltà, perché paralizzerebbe ogni molla di progresso e miglioramento (Mons. Ketteler). Nessuno si preoccuperebbe di cercare un’invenzione, perché verrebbe privato in anticipo di ogni vantaggio e ogni invenzione richiederebbe grandi sacrifici di denaro. La società socialista non sarebbe altro che una mandria di schiavi. Nessuno si preoccuperebbe di lavorare, perché si affiderebbe alla lungimiranza dello Stato. La pigrizia e la negligenza avrebbero un premio virtuale, a scapito della società. In alcune zone dell’Australia c’è un certo collettivismo, nel senso che lo Stato possiede tutta la terra. La conseguenza è che la maggior parte degli abitanti non lavora ed è esposta alla carestia, nonostante la grande fertilità del suolo, per nutrirsi si abbandonano al cannibalismo. L’esperienza ha dimostrato che le comuni americane in cui è stato sperimentato il collettivismo, sono state prontamente portate alla rovina da un aumento della criminalità. – Anche se i sogni socialisti siano per la maggior parte mere utopie, essi hanno tuttavia come tutti i mali, prodotto qualche bene. Come un uragano spazza via tutto ciò che è marcio, così il socialismo, che combatte con un notevole spirito di sacrificio, rende gli uomini di Stato consapevoli dei difetti dell’organizzazione sociale, e li costringe a fare riforme tempestive, nella stampa, sulla tribuna e nelle riunioni pubbliche, gli atti scandalosi di sfruttamento dei lavoratori da parte del capitalismo, preparando così un miglioramento della sorte dei diseredati. Questo non rende il socialismo migliore, perché il danno che provoca è maggiore del bene che può essere fatto senza di esso.

2. TUTTI COLORO CHE DESIDERANO L’APPROPRIAZIONE INGIUSTA DEI BENI ALTRUI VIVONO IN STATO DI PECCATO MORTALE E SI ESPONGONO ALLA DANNAZIONE ETERNA.

il solo desiderio di ottenere ingiustamente dei beni altrui è peccato che ne comporta molti altri. L’amore per le ricchezze, dice San Paolo, è la radice di tutti i mali. (Lo si può vedere nei discorsi pronunciati in alcune riunioni socialiste che traboccano di bestemmie, insulti diabolici ai Sacerdoti e alle autorità civili, e sono spesso accompagnati da aggressioni. – Alcuni socialisti arrivano al punto di permettere la falsa testimonianza davanti ai tribunali nell’interesse del partito; altri si spingono oltre, come si vede dai loro terribili attacchi con la dinamite e dagli assassinii commessi contro diversi uomini di Stato, fatti che hanno provocato leggi rigorose in Italia e in Francia. – È ingenuo obiettare alla comunità dei beni nella Chiesa primitiva. – Questo collettivismo cristiano è assolutamente diverso dal collettivismo socialista. La carità cristiana. Il Cristiano caritatevole dice al fratello: “Ciò che è mio è tuo”; il socialista dice al contrario: “Ciò che è tuo è mio”. Ciò che è tuo appartiene a me” -. Come se ciò che esiste lì fosse possibile anche nello Stato socialista. Il fondamento della vita religiosa è la rinuncia volontaria per amore di Dio, mentre il socialismo agirebbe per costrizione, senza alcun motivo e dall’eccitazione della passione del gioire.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (14).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca, ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; …

ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà. Lo Stato non è il proprietario sovrano della proprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale. Non i cittadini esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno. Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

1 . Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, la.estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui.

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno? – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di produrre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà.

Lo Stato non è il proprietario sovranodellaproprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale.

Non i cittadini non esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno.

Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

.1. Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, l’estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui..

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno?” – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di ptodurre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (15).

VIII. L’OTTAVO COMANDAMENTO DI DIO.

Nell’ottavo comandamento Dio proibisce qualsiasi attacco contro l’onore del prossimo e qualsiasi falsità.

I. IL DIVIETO DI FERIRE L’ONORE

.1 L’ONORE (UNA BUONA REPUTAZIONE) È UN BENE PREZIOSO PERCHÉ PERMETTE ALL’UOMO DI ACQUISIRE BENI TEMPORALI ED ETERNI.

L’onore consiste in ciò che i nostri simili pensano e dicono di noi, è il contrario della vergogna. Una buona reputazione è meglio di grandi ricchezze e l’amicizia è più preziosa dell’oro e dell’argento (Prov. XXII, 1). Di tutti i beni esteriori, l’onore è il più prezioso (S. Fr. di S.). È uno dei talenti che Dio ci ha affidato, perché chi gode di una buona reputazione ha influenza sui suoi simili e può condurli al bene; se invece gode di cattiva fama, le sue parole non hanno valore e gli altri gli dicono: “Medico, guarisci te stesso”. Senza una buona reputazione, non c’è piacere nella vita, non c’è vera felicità se gli altri ti disprezzano. D’altra parte, una buona reputazione era sufficiente per chi non aveva un soldo, per ottenere un’ottima posizione. Una buona reputazione è quindi fonte di prosperità; chi ce l’ha ha più probabilità di condurre una vita onesta rispetto a chi è disprezzato. Ciò che la buccia è per un frutto, così la reputazione è per un uomo, se una mela conserva la sua buccia, si può tenere anche per un anno, ma se la si sbuccia, si rovina dopo poco tempo. – Quindi una buona reputazione aiuta un uomo a conservare la sua virtù. Gli abiti della Domenica inducono i bambini ad astenersi dai giochi sporchi, ed una buona reputazione allontana gli adulti dal vizio.

2. SIAMO QUINDI OBBLIGATI AD OTTENERE UNA BUONA REPUTAZIONE PER NOI NOI STESSI; PRATICARE APERTAMENTE CIÒ CHE È BUONO, DIFENDERE IL NOSTRO ONORE QUANDO VIENE ATTACCATO.

Dio vuole che apprezziamo la buona reputazione, perché ha impiantato nelle nostre anime il senso dell’onore e la repulsione per le offese. Sopprimere questo sentimento sarebbe andare contro l’ordine stabilito da Dio (Card. Galura). – Siamo quindi obbligati a praticare apertamente il bene, secondo l’esplicito comando di Gesù: “Fate risplendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e lodino il Padre vostro celeste”. (S. Matth, V, 16). Le nostre opere buone sono un profumo (II Cor. II, 15) che ci rende graditi al prossimo, sono il modo migliore per difendere la nostra reputazione e mettere a tacere i nostri nemici. (1. S. Pietro VI, 12). Noi dobbiamo applicarci al bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini (II. Cor. VIII, 18), la nostra modestia deve essere nota a tutti (Phil. JV, 5), e dobbiamo evitare anche l’apparenza del male (1. Tess. V, 22). Va da sé che non dobbiamo fare il bene per piacere agli uomini e per essere lodati da loro, altrimenti perderemo ogni merito davanti a Dio (S. Matth. VI). – Noi siamo tenuti a difendere il nostro onore quando viene attaccato. I primi Cristiani erano accusati di ogni sorta di misfatti, di uccidere i bambini, spolverarli di farina e mangiarli. Essi respinsero queste calunnie; illustri studiosi scrissero delle Apologie e le indirizzarono agli imperatori. Cristo stesso si è difeso quando è stato accusato di scacciare i demoni in nome di Belzebù (S. Matth. XII, 27), e quando il valletto del sommo sacerdote gli diede un colpo con il pretesto che era stato insolente (S. Giovanni XVIII, 23). S. Paolo si difese spesso anche davanti al Sinedrio, ai magistrati romani ed all’imperatore. (Act. Ap. XXII, 26). – Tuttavia, non è cristiano essere suscettibili ed iniziare cause per nulla. Soffrire e trovare un accordo amichevole è più nobile che litigare e lamentarsi. “Un eccesso di suscettibilità dà all’accusa un’aria di verosimiglianza e fa credere agli uomini che non si ha fiducia nel proprio valore. Inoltre, la suscettibilità vi rende insopportabili, e fa aumentare la vostra rigidità ancora di più. (S. Fr. di S.) Inoltre, colui che è irreprensibile nella sua condotta non deve disperare per una lesione momentanea della sua reputazione, prima o poi otterrà la riparazione; non è lo stesso per chi ha un comportamento di cattiva condotta. Così è per i capelli: quando vengono tagliati, ricrescono più folti di prima, che non quando li si strappa dalla radice. Davide ha quindi giustamente chiamato la calunnia un rasoio (S. Fr. di S.). Nel difendere la propria reputazione, bisogna saper mantenere la calma. Anime forti e nobili non si commuovono per le sciocchezze; soffrono in silenzio ed esprimono il loro dolore solo nelle cose importanti. (S. F. di S.) Ci si deve difendere soltanto dall’accusa di atti veramente disonorevoli. (Id.) – Non dobbiamo dimenticare che molto spesso la pazienza di fronte agli insulti protegge la nostra reputazione meglio di una timida preoccupazione per il nostro onore. Grandi Santi, come San Francesco Saverio, il B. Clemente Hofbauer, hanno spesso subito gli insulti più violenti con la più grande compostezza, e così facendo hanno fatto rinsavire gli empi e li hanno convertiti.

Non dobbiamo essere troppo ansiosi di conquistare la stima degli uomini, altrimenti rischiamo di perdere l’amicizia di Dio ed il vero onore; inoltre, in alcuni casi è impossibile piacere sia a Dio che agli uomini.

L’eccessiva preoccupazione per la propria reputazione è segno che non si cerca Dio ma se stessi, È l’orgoglio che Dio abbatte. (S. Luca XIV, 11). L’onore è una creatura curiosa: quando lo inseguiamo, fugge; quando lo fuggiamo, ci insegue. – L’onore non può essere conquistato con la forza; deve essere acquistato con l’onestà e l’umiltà” (Card. Galura). – È impossibile servire Dio e compiacere il mondo (Gal I, 10); tutti coloro che conducono una vita pia sono esposti alle ingiurie ed alle bestemmie degli uomini, fino ad essere considerati degli stolti. (1. Cor. IV). Inoltre, ci sono molti stolti che distribuiscono lodi o biasimi, non in base al valore intrinseco degli uomini e delle loro azioni, ma secondo delle cose indifferenti, come la ricchezza, lo status o l’abbigliamento. Non importa quindi sforzarsi, per quanto ci si sforzi, non si otterrà mai l’approvazione di tutti.

3. SIAMO QUINDI OBBLIGATI AD OMETTERE TUTTO CIÒ CHE DANNEGGI LA REPUTAZIONE DEL NOSTRO PROSSIMO: IL SOSPETTO, IL GIUDIZIO TEMERARIO, LA CALUNNIA, LA MALDICENZA, L’INSULTO E L’ACCOGLIENZA FAVOREVOLE DI OSSERVAZIONI CONTRARIE ALL’ONORE.

Il sospetto e il giudizio temerario sono peccati del cuore, la maldicenza e la calunnia (che colpiscono gli assenti) l’ingiuria (che si fa apertamente in faccia) sono peccati della lingua, la ricezione favorevole di parole contrarie alla carità è un peccato dell’udito.

1. Il sospetto e il giudizio temerario consistono nel pensare male del prossimo senza una ragione sufficiente.

Questo era il peccato del fariseo nel tempio, che considerava il pubblicano un grande peccatore e a torto (S. Luca XVIII); degli amici di Giobbe, che mettevano in dubbio la sua pietà solo perché aveva subito una grande disgrazia (V); il fariseo Simone, che guardava ancora la Maddalena ai piedi di Gesù come una grande peccatrice, mentre lei era già una santa penitente, di cui Cristo prese le difese (S. Luca VII, 39). S. Paolo un giorno naufragò sull’isola di Malta. Accese un fuoco e una vipera si avvolse intorno alla sua mano. Questo fu sufficiente perché gli indigeni lo considerassero un assassino: ai loro occhi un uomo così perseguito dalla sorte non poteva essere che un criminale (Act. Ap. XXVIII.). (Un gioielliere aveva un apprendista molto onesto; un giorno trovò nella finestra a lato del letto del suo apprendista, due pietre preziose. Guardò subito l’apprendista come un ladro, lo picchiò e lo cacciò, ma presto trovò nello stesso posto nuove pietre preziose; si mise in osservazione e notò che “la sua gazza” era l’autore del furto. Si rammaricò del danno che aveva fatto al suo apprendista, ma il suo giudizio avventato era irreparabile. Il suo sospetto, tuttavia non sarebbe stato colpevole se avesse colto l’apprendista in flagrante). – Spesso pensiamo agli altri per il male di cui noi stessi siamo colpevoli: il cuore corrotto offusca la chiarezza del giudizio, proprio come una radice malvagia trasmette una linfa corrotta al frutto. “Chi non è malvagio non pensa male degli altri. (S. Greg. Naz.). Bisogna essere malvagi per sospettare facilmente degli altri. (S. G. Cris). Il monte comunica la sua forma esatta al metallo che vi è versato; è così che l’uomo modella secondo il proprio cuore le azioni che vede o le parole che sente. Lo stomaco sano trasforma in succhi sani anche il cibo difficile da digerire; lo stomaco malato rovina persino il buon cibo; così l’uomo virtuoso interpreta tutto in modo buono, il malvagio, tutto in modo negativo. (San Doroteo). – “Preferisco – diceva sant’Anselmo – ingannarmi pensando bene di un malvagio, piuttosto che pensare male di una buona; S. Tommaso aggiunge che nel primo caso non si commette ingiustizia, mentre nel secondo se ne è colpevoli. La stessa azione può essere considerata da mille angolazioni diverse; un cuore benevolo ne scoprirà sempre delle buone, mentre il malvagio troverà sempre il peggio. (S. Fr. di S.) La carità non pensa mai al male (l. Cor. XIII, 8), ed il giusto che è animato dallo spirito di carità si astiene anche quando vede il male, da ogni giudizio personale lascia il giudizio a Dio”. (S. Fr. di S.). Così agì San Giuseppe, lo sposo della Vergine (S. Matth. I, 19). Non pensare mai male del tuo prossimo dal tuo cuore (Zac. VIII, 17), e se vuoi che gli altri abbiano fiducia in te, dà loro fiducia, perché la fiducia genera fiducia, così come la sfiducia genera la sfiducia.

2. La maldicenza consiste nel rivelare le colpe segrete del prossimo.

Questo peccato è un’ingiustizia, perché la colpa segreta del prossimo non gli fa ancora perdere la stima pubblica; quindi, chi rivela il peccato gliela toglie. – Anche ammettendo che questa stima sia infondata, non è lecito privare il prossimo di questa stima. È vietato privarne il prossimo più di quanto sia permesso rubare un bene male acquisito. – È vietato parlare male dei morti; un proverbio latino: de mortuis nil nisi bene, dice che si debbano dire solo cose buone su di loro. Ahimè, ci sono persone che assomigliano a delle jene e si dilettano, per così dire, a disseppellire cadaveri, a squarciarli con la loro lingua, rivelando colpe da tempo dimenticate; assomigliano anche a quegli insetti che si trovano più a loro agio sulla spazzatura; le mosche che si trovano più a loro agio su non sulle parti sane di un frutto, ma su quelle marce; ai vostri amici che rubano i frutti corrotti, a dei cani, che rubano carne corrotta e ossa da una bancarella di macelleria invece che la carne sana: in questo modo, i maldicenti vedono una serie di buone qualità nel loro prossimo, ma conservano un ricordo indelebile solo dei loro difetti. (S. Bern.). Sono anche come i maiali che amano sguazzare nel fango, perché si divertono solo a vedere i difetti degli altri. (Card. Hugo). Il calunniatore è peggio degli animali, perché gli animali non divorano nessuno dei loro simili, mentre il maldicente fa a pezzi il suo prossimo, persino il suo cadavere, cosa che i lupi non fanno nemmeno tra di loro (Gerson). La maldicenza è un peccato molto comune: “È raro – dice S. Gerolamo – che non si trovi qualcuno che non sia disposto a criticare il suo prossimo”. È un effetto dell’orgoglio far credere agli uomini che essi elevano la loro posizione denigrando quella degli altri (S. Fr. di S.). La maldicenza è un crimine terribile; è vergognoso entrare in una casa rstranea e sconvolgerla, ma è ancora più peccaminoso e vergognoso frugare nella vita del prossimo: (S. G. Cris.). Bisogna coprire e non dissotterrare rifiuti, perché è impossibile toccarli senza sporcarsi (S. Ign.). O follia degli uomini, dice sant’Alfonso, mostri il tuo zelo contro i difetti degli altri, e pecchi più gravemente con le tue maldicenze che non con colui di cui rimproveri la condotta. – Con una giusta punizione, la maldicenza si ritorce contro se stessa, perché denota un cuore malvagio. – Non c’è peccato nella maldicenza quando si ha un motivo onesto per rivelare la colpa del prossimo, quando, la si rivela solo per impedirne una seconda, quando si tratta di fare un favore all’offensore o al suo prossimo; ma anche quando un dovere di carità ci obbliga a parlare, dobbiamo risparmiare le persone e colpire solo il vizio. (S. F. di S.). Non c’è più maldicenza quando un’offesa è diventata pubblica; per esempio attraverso una sentenza del tribunale o un articolo di giornale. La denuncia è una sorta di calunnia; questo peccato consiste nel ripetere a qualcuno ciò che un terzo ha detto contro di lui. Il rapporto (denunzia) disturba la pace delle famiglie, di intere comunità e causa innumerevoli inimicizie. Questo peccato è più grave della calunnia (S. Th Aq, perché non solo lede la reputazione del prossimo, ma distrugge anche la concordia e la carità tra gli uomini, per cui l’informatore è maledetto da Dio (Eccli. XXVIII, 15).

3. La calunnia consiste nell’attribuire al prossimo colpe che non ha commesso; quando questa denuncia viene fatta all’autorità, diventa una falsa accusa.

Questo fu il peccato della moglie di Putifarre, che accusò Giuseppe al marito di aver cercato di sedurla. I Giudei calunniarono Gesù in presenza di Pilato quando lo accusarono di aver incitato il popolo a rifiutare il pagamento delle tasse, ecc. È il peccato delle anime basse che scrivono lettere anonime per calunniare il loro prossimo. C’è già una calunnia quando si ingigantisce un difetto altrimenti reale del prossimo. La calunnia nasce dalla vendetta, dall’odio e dall’ingratitudine; è doppiamente colpevole, perché lede sia la verità che la reputazione del nostro prossimo. È come il serpente che morde in silenzio. (Eccles. X, 11). Ci sono maldicenti che cercano di avvolgere le loro parole cattive in uno scherzo, una battuta, una malizia; questa calunnia è più crudele delle altre, perché si incide più facilmente nella mente degli ascoltatori, mentre la calunnia ordinaria sarebbe passata inosservata (S. Fr. di S.). Lo stesso vale per le maldicenze che sono precedute da elogi (ad esempio: È un uomo molto buono, ma…); questa battuta penetra profondamente nella mente, come una freccia scoccata da un arco la cui corda è stata tesa (Id). Questi uomini, dice il Salmista, hanno sulle labbra il veleno di una vipera (Sal. XIII, 3).

4. L’oltraggio o ingiuria consiste nel mostrare pubblicamente il disprezzo che si professi per lui.

La calunnia e la maldicenza si commettono in assenza del prossimo, mentre il disprezzo è commesso in faccia: è per la maldicenza ciò che la rapina è per il furto (S. Th. Aq ); essa mina la buona opinione che si ha del prossimo nel proprio ambiente, mentre gli insulti rovinano l’onore che gli si mostra esteriormente. – Semei insultò Davide, quando gli gridò: “uomo del diavolo”, e gli lanciò delle pietre (II Re XVI, 5); i Giudei insultavano spesso Gesù, chiamandolo samaritano, posseduto dal demonio (S. Giovanni VIII, 48). In genere si ricorre agli insulti quando si è nel torto, da cui il proverbio: “Tu ti adiri, dunque tu hai torto”. Infatti, chi è nel giusto non ha bisogno di ricorrere all’insulto; la verità vince da sola. – Dobbiamo classificare sotto l’insulto le parole piccanti elo scherno, che consiste nel rendere ridicolo qualcuno o nel farlo arrossire davanti agli altri. Queste parole offensive sono spesso molto dolorose per gli altri e li riempiono di amarezza. La Sacra Scrittura dice: “Le sferzate di una frusta fanno male, ma i colpi della lingua spezzano le ossa”. Le lingue cattive sono peggio della spada.

5. Ascoltare con piacere parole che ledono l’onore del prossimo è rendersi colpevole del peccato di colui che le preferisce.

Parlare male del prossimo è accendere il fuoco, ascoltarlo è mantenerlo acceso. Se non ci fosse nessuno ad ascoltare le maldicenze, non ci sarebbero maldicenti (S. Ign.). Ascoltarli significa quindi diventarne complici e, come diceva San Bernardo, non saprei decidere quale dei due peccati sia il più grave; c’è solo una differenza: Uno ha il diavolo sulla lingua e l’altro nell’orecchio. Non abbiamo alcun vantaggio, ma il più grande svantaggio, nell’apprendere che il tale o il talaltro sia colpevole; è quindi meglio dedicare i nostri sforzi all’esame della nostra stessa condotta. (S. G. Cris.). Così Gesù ci esorta a togliere la trave dai nostri occhi, prima di occuparci della pagliuzza nell’occhio del nostro prossimo (S. Luc. VI, 42). Ci preoccupiamo dei difetti del nostro prossimo più a lungo di quanto esaminiamo i nostri. (S. Bern.). Quindi non tolleriamo mai che si parli male del nostro prossimo davanti a noi; al contrario, cerchiamo di scusarlo e giustificarlo, mostriamo la nostra avversione e cambiamo discorso. – S. Agostino aveva la sua tavola con questo motto: “Stai lontano da questa tavola se non sei caritatevole”. Quando qualcuno parlava male davanti a Tommaso Moro, egli era solito dire scherzosamente: “Sono dell’opinione che la casa in cui ci troviamo sia molto solida e che l’architetto sia un buon uomo; con questo metteva in imbarazzo i maldicenti. La Scrittura dice: circonda il suo orecchio con una siepe di spine e non prestarlo mai ad un maldicente. (Eccli. XXVIII, 28). – La maldicenza è dunque una spada a tre punte che fa tre ferite, una al maldicente che cade nel peccato, la seconda alla vittima, la terza a chi ascolta, perché lo rende complice del peccato. (S. Bern.). Il calunniatore, facendo cadere nel peccato il suo complice, assomiglia al serpente le cui parole velenose fecero uscire Eva dal paradiso. (S. Ant. erem.).

6. Il peccato contrario alla reputazione del prossimo è tanto più grande quanto maggiore è il danno causato.

L’entità del danno causato al prossimo è la misura esatta della gravità del peccato (S. Th. Aq.). Questa gravità dipende innanzitutto dalla persona che commette il peccato: se si tratta di una persona considerata onorevole, il peccato sarà facilmente piu grave, perché si crede piuttosto a lui che agli altri, mentre non si crede ad un fanfarone; dipende poi dalla persona lesa: se gode di buona reputazione maggiore sarà il peccato. D’altra parte, sarà generalmente veniale, se se la persona in questione ha perso la sua reputazione. In ogni caso, è sempre da temere che il peccato veniale sia la via per le colpe gravi.

4. CHIUNQUE ABBIA ARRECATO UN DANNO ALLA REPUTAZIONE DEL PROSSIMO, È SEVERAMENTE OBBLIGATO A RIPARALA, O CON LE SCUSE, WUANDO LI HA COLPITI SEGRETAMENTE, O CON UNA RITRATTAZIONE QUANDO LO HA FATTO PUBBLICAMENTE.

Qualsiasi danno arrecato alla reputazione di un prossimo richiede una riparazione proporzionata alla colpa (S. F. di S.), non basta tracciare una linea sulla la ferita, bisogna anche guarirla, di conseguenza non è sufficiente cessare i propositi malevoli, ma bisogna anche riparare il danno causato. Questo non è facile, perché richiede un gran rinnegare se stesso, a volte è impossibile. Un sigillo si rompe presto , ma si ripara meno facilmente in modo da far sparire ogni traccia della rottura; un foglio di carta si macchia presto, ma è quasi impossibile, graffiandola, ripristinare il suo primitivo candore. Chi non vuole riparare il danno arrecato alla reputazione, non può ottenere né il perdono di Dio né l’assoluzione del Sacerdote.

Motivi che dovrebbero dissuaderci dal ledere la reputazione del nostro prossimo.

1. Chi giudica duramente il suo prossimo, un giorno sarà giudicato severamente da Dio.

“Non giudicate – disse Gesù – per non essere giudicati”. – “Sarà usata verso di voi la stessa misura che avete usato verso gli altri” (S. Matth. VII, 1-2). “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati”. (S. Luc VI, 37). (Un monaco di Uxi, che a causa della sua salute cagionevole non aveva potuto condurre una vita molto austera, mostrò grande gioia sul letto di morte. Quando l’abate gliene chiese il motivo, disse: “Non ho mai giudicato gli altri, anche quando ho dovuto soffrire, quindi spero che Dio mi perdonerà”).

2. Chi giudica il suo prossimo fa un’ingiustizia verso Dio, perché viola i suoi diritti.

C’è un solo Legislatore ed un solo Giudice: ma chi sei tu per arrogarti il diritto di giudicare? (S. Giac. IV, 12). Chi sei tu per giudicare il servo di un altro?.(Rom. XIV, 4). Se non hai una conoscenza infinita, non hai il diritto di giudicare; in effetti la malizia di un’azione dipende principalmente dall’intenzione, ed è proprio questa intenzione che ci è nascosta. (S. Fr. di S.).

3. Chi rovina la reputazione del suo prossimo è spesso punito duramente da Dio, già in questa vita, cadendo nella disgrazia che stava preparando per gli altri.

L’uomo che ha una lingua cattiva non sarà felice su questa terra (Sal. CXXXIX, 12). Jezàbel, moglie del re Achab, corruppe due falsi testimoni per accusare di blasfemia Naboth, che non voleva cedere al re la vigna che.il re bramava. La punizione fu terribile: il nuovo re la fece gettare dalle finestre del palazzo, calpestata sotto i piedi dei cavalli, ed i cani la divorarono (III Re XXI). – S. Gregorio di Antiochia era odiato dal governatore della Siria, Asterio. Egli incitò il popolo contro il Vescovo, al punto che egli non poteva più uscire per le strade senza essere insultato o bersagliato con pietre ed immondizia; fu insultato persino in mezzo al teatro. Dopo che il Vescovo si lamentò con l’imperatore, Asterio fu deposto; ma qualche tempo dopo fu richiamato al suo posto. Poco dopo celebrò un matrimonio, che diede luogo a solenni festeggiamenti popolari; ma nella stessa notte, un terremoto fece crollare una moltitudine di case e palazzi. Due terzi della città erano in rovina e 60.000 persone erano morte, compresi il governatore e sua moglie. – La maggior parte delle persone è colpita dalla disgrazia che si stava preparando per gli altri. Santa Elisabetta del Portogallo (†1336) aveva un paggio che distribuiva le sue elemosine; un paggio del re concepì l’invidia nei confronti del suo compagno e approfittò di una battuta di caccia per calunniarlo presso il suo padrone. Il re si arrabbiò e si recò immediatamente dal padrone di una fornace di calce, e gli disse: “Domani ti manderò un giovane che ti chiederà se gli ordini del re sono stati eseguiti; tu lo prenderai e lo getterai nella fornace. Il giorno dopo il paggio della regina ricevette l’ordine di recarsi alla fornace della calce. Sulla strada trovò una cappella dove si stava celebrando la Messa e assistette al santo Sacrificio. L’altro paggio, impaziente di sapere cosa gli fosse successo, si recò alla fornace e chiese con gioia se gli ordini del re erano stati eseguiti. Aveva appena parlato quando era già nella fornace e quando arrivò il primo paggio, i valletti stavano aspettando la loro ricompensa. Si può immaginare il terrore del re quando seppe di questo evento. Chi scava una fossa per gli altri spesso ci cade dentro lui stesso. (Sal. VII, 16). – Gli insulti e le offese sono puniti anche dai tribunali secolari.

4. L’abitudine di danneggiare la reputazione del prossimo porta alla dannazione.

Il polso non sempre dà un’indicazione precisa della gravità della malattia come la lingua nera; molti Cristiani pregano, frequentano la Chiesa e sono considerati pii, ma la loro lingua nerastra, con la quale lacerano la reputazione del loro prossimo è segno della morte prossima della loro anima (Sant’Alfonso). Questi peccati di lingua sono così gravi, perché la reputazione vale più della ricchezza (Prov. XXII, 1);.essi sono come una sorta di omicidio, perché privano il prossimo della vita sociale, di cui l’onore e la reputazione sono un prerequisito (S. Fr. di S.); inoltre, feriscono la carità, perché rattristano profondamente il prossimo. Colui che ha il senso del suo buon nome sopra ogni altra cosa, e nulla lo rattrista tanto come quando questo bene prezioso, preferisce perdere il suo patrimonio, a volte anche la sua vita. – I maldicenti e i calunniatori non possederanno il regno dei cieli (1. Cor. VI, 10); sono figli di satana (III. Re XXI, 13) e degni di morte (Rom. I, 32). Chi offende gravemente il proprio fratello è meritevole del fuoco della Geenna. (S. Matth. V, 22). La preghiera e il digiuno non possono salvarci dalla dannazione che ci procuriamo da soli con l’abuso della nostra lingua cattiva (S. Bern.).

2. IL DIVIETO DELLA FALSITÀ

DIO È LA VERITÀ STESSA; PER QUESTO MOTIVO PROIBISCE OGNI FALSITÀ, LA MENZOGNA, L’IPOCRISIA E L’ADULAZIONE.

Dio è la verità (S. Giovanni III, 33; Rom. III, 4), non può mentire (Eb. VI, 18). “Io sono – dice Gesù – la via, la verità e la vita (S. Giovanni XIV, 6). (Es. XXIII, 7; Lev. XIX, 11). “Abbandona ogni menzogna – dice San Paolo (Ef. IV, 25) – e ognuno dica la verità al suo prossimo”. Le vostre parole siano vere e sincere, se volete essere figli di Colui che è il Padre della verità e la verità stessa (S. F. di S.).

1. La menzogna consiste nel dire il contrario della verità, ingannare il prossimo.

La menzogna è un abuso del linguaggio, che è stato dato all’uomo non per ingannare ma per esprimere i suoi pensieri (S. Aug.). In genere mentiamo in primo luogo per uscire da un imbarazzo, proprio o del prossimo, come San Pietro nel vestibolo del sommo sacerdote quando affermava di non conoscere Gesù; poi per scherzo, quando si vuole divertire qualcuno, e infine quando si vuole danneggiare il prossimo, come Giacobbe quando ha finto di essere Esaù per ricevere la benedizione del padre. (Gen. XXVII). – Colui che racconta una storia immaginaria; una favola, una parabola, per insegnare al suo prossimo, non proferisce una menzogna, perché Cristo stesso ha fatto spesso uso di favole e parabole. Il bugiardo è come una moneta falsa che sembra essere qualcosa di diverso da ciò che è in realtà. (San Giovanni Climaco), come un orologio che batte un’ora diversa da quella che segna.

2. L’ipocrisia, o dissimulazione, è una menzogna che consiste nel parlare e nell’agire diversamente da come si pensa.

Giuda baciò Gesù nell’Orto degli Ulivi, come se fosse il suo migliore amico, (S. Matth. XX.VI, 49). Erode disse ai Magi: “Quando avrete trovato il bambino, venite ad informarmi, perché anch’io possa andare ad adorarlo”. Ma pensava tra sé: “Quando saprò dove si trova il bambino, lo farò uccidere”. (S. Matth. II). Questi sono ipocriti, che hanno l’apparenza della virtù e in realtà sono immorali; sono chiamati tartufi; assomigliano a satana che si traveste da angelo della luce. Peccare pubblicamente è meno grave che fingere di essere santi (Ger.). È ipocrisia anche compiere alcuni atti di pietà: prendere l’acqua santa, genuflettersi, senza pensare a nulla. L’ipocrita assomiglia ad un mucchio di letame coperto di neve; questo bel velo nasconde la sua vera natura. (Clemente Al.). Il Salvatore paragona gli ipocriti a sepolcri imbiancati, che sono belli all’esterno, ma che all’interno sono pieni di ossa e di putrefazione (S. Matth. XXIII, 27); a lupi travestiti da pecore (Id. VII, 15); pecore per il loro abbigliamento, ma lupi per la loro astuzia e crudeltà. (S. Bern.).

3. L’adulazione consiste nel lodare eccessivamente qualcuno si faccia contro le proprie convinzioni e nel proprio interesse.

Erode Agrippa, lo stesso che aveva fatto imprigionare S. Pietro, era contro gli abitanti di Tiro e Sidone. Essi vennero dal monarca, egli parlò loro, ed essi gridarono: “Questa è la voce di un Dio e non di un uomo”. Erode se ne rallegrò, ma subito un Angelo lo colpì ed egli morì, divorato dai vermi.(Act. Ap. XII, 23). – Gli adulatori parlano contro la loro convinzione, come specchi che mettono a sinistra ciò che è a destra e viceversa. Essi parlano favorevolmente in faccia di qualcuno e se ne prendono gioco non appena si volti. Gli adulatori cercano solo il proprio tornaconto (S. Giuda 14), come il gatto che fa le fusa ed il cane che scodinzola per un osso o un pezzo di carne. I furbi si abbassano e si piegano ovunque sperino di ottenere un vantaggio personale. (S. Bern.). Gli adulatori di solito circuiscono i ricchi, perché non c’è nulla da aspettarsi dai poveri; sono come le cavallette che non si vedono né d’inverno, né in luoghi dove non c’è erba; si trovano solo dove c’è abbondanza. (S. Vinc. Fer.). – Gli adulatori lodano senza misura, attribuiscono alle loro vittime qualità che non possiedono, o esagerano le qualità reali, o addirittura ne difendono le azioni cattive. È una razza molto pericolosa, perché nascondono i loro difetti al prossimo e lo precipita in colpe più gravi; un vero amico ci rende consapevoli dei nostri difetti, come un buon medico che ci dice con franchezza ciò che ci fa male e ciò che ci fa bene. L’adulatore invece non è in grado di fare del bene o del male; è interessato solo al favore, come un cuoco che cerca solo di rendere le sue pietanze gradevoli al palato, senza preoccuparsi del male che possano causare. L’adulatore mette un cuscino sotto la testa del peccatore per impedirgli di svegliarsi e per farlo perseverare nei suoi peccati (S. Vinc. Fer.); è un alimento per il peccato, come l’olio per il fuoco (Beda il Ven.); l’adulatore è il terreno di coltura di tutti i vizi. (S. Thom. Villan.). Poiché gli adulatori gettano l’uomo nel peccato, essi stessi saranno gettati nell’abisso (S. Bern.). – “Guai a voi ‘ disse loro Isaia – che chiamate male ciò che è bene e bene ciò che è male”. (V, 20). Dobbiamo quindi fare attenzione, non appena qualcuno ci mostra un particolare interesse e ci inonda di lodi, seguendo l’esempio della Beata Vergine, che ha tremato alla parola dell’Angelo.

Motivi per allontanarsi dalla falsità.

1. Il bugiardo somiglia al diavolo, dispiace a Dio, perde la fiducia dei suoi simili, causa molti torti e diventa capace di ogni sorta di misfatti.

Il bugiardo assomiglia al diavolo, perché il diavolo ha mostrato nel paradiso con la seduzione di Eva di essere un mentitore ed il padre della menzogna (S. Giovanni VIII, 14). Tutti coloro che mentono sono figli di satana (S. Aug.), non per natura, ma per imitazione (S. Amb.); è l’obbrobrio del mentitore (Eccli. IV, 30). – Il bugiardo dispiace a Dio, perché Dio è la verità. Gesù non trattò nessuno più severamente dei farisei, perché erano ipocriti (S. Matth, XXIII, 7); Egli ha riportato al bene peccatori di tutte le categorie, l’usuraio Zaccheo, il buon ladrone, la Maddalena, la Samaritana, Saulo il persecutore, ma non un solo bugiardo. Poiché Cristo è la verità, non ha avversario più fondamentale del bugiardo. La menzogna è stata quindi spesso punita severamente da Dio: Anania e Saffira furono fatti morire per aver ingannato gli Apostoli (Atti V); Giezi, il servo del profeta Eliseo, fu colpito dalla lebbra per aver mentito.(IV, Re V). Le labbra bugiarde sono un abominio per Dio. (Prov. XII, 22). – Il bugiardo perde la fiducia dei suoi simili. (Un pastore gridava spesso: al lupo!” per scherzo; i suoi compagni arrivavano e venivano ed erano sempre ingannati. Ma un giorno il lupo arrivò davvero ed il pastore gridò, ma i suoi compagni non vennero). Un bugiardo non viene più creduto, anche quando dice la verità; perde tutto il credito e diventa odioso agli uomini ed al Signore (S. Efrem). (Quando morì un romano noto per le sue bugie, l’imperatore Claudio fece abbattere la sua casa e scacciare i suoi figli.)- Il bugiardo causa molti danni. Gli esploratori che Mosè aveva inviato nella Terra Promessa, ispirarono un tale terrore nel popolo degli Israeliti, tanto che volevano uccidere i due esploratori che dicevano la verità, e tornare in Egitto. il Signore nella sua ira fu sul punto di distruggere il popolo (Num. XIII). Giacobbe, con la menzogna che gli era valsa la benedizione del padre, si attirò l’odio di Esaù, che lo costrinse a fuggire minacciandolo di morte (Gen. XXVII). (Ugiorno un signore disse a dei paesani in viaggio che la loro casa e metà del villaggio erano in fiamme. Un poveretto ne morì all’istante). La lingua è un organo molto piccolo ma è causa di immensi mali (S. Jac. III, 5); chi è sconsiderato nelle sue parole, cadrà in molti mali (Prov. XIII, 3), e il diavolo usa le nostre parole come una spada per ferirci (S. Ambr.). – La menzogna è il padre di molti vizi: giovane bugiardo, vecchio ladro. Dove c’è falsità c’è frode ed ogni tipo di malizia. (S. Aug.). Questo deriva dalla persuasione in cui il bugiardo si trova di poter negare la sua colpa quando viene scoperto (Senofonte).

La pietà è inconciliabile con la menzogna, perché lo Spirito Santo fugge dall’ipocrita. (Sap. I, 5). La pietà, il culto di chi parla contro i suoi sentimenti, non è altro che vanità. Non associatevi mai a lui, per non essere corrotti da lui (S. Giovanni Clim.). I bugiardi sono disonorati (Prov. XX, 28) e le loro parole sono un abominio per i giusti. (Eccli. XIII, 5).

2. L’abitudine alla menzogna porta facilmente al peccato mortale ed alla dannazione eterna.

La menzogna è di per sé un peccato veniale, ma diventa facilmente mortale, quando provoca grave danno o scandalo. L’abitudine alla menzogna costituisce un grave pericolo per la salvezza, perché Dio ritira le sue grazie dal bugiardo e lo Spirito Santo fugge davanti a lui. La bocca bugiarda uccide l’anima (Sap 1,11). Un ladro è spesso meno colpevole di un bugiardo; perché la cosa rubata può essere restituita, mentre la reputazione rovinata da una menzogna non può essere restituita; il ladro è migliore del bugiardo ostinato, ma entrambi vanno in rovina; perché la menzogna è il rimprovero dell’uomo. (Ecclesiastico X, 26, 27). Il bugiardo è come colui che sparge denaro falso su cui c’è l’effigie del diavolo. Nel giorno del giudizio essa sarà esibita, il Giudice chiederà: “Che cos’è questa effigie?” e sentendo la risposta: “Del diavolo”, dirà: “Restituite al diavolo ciò che gli appartiene” (S Th. Aq.). Dio sterminerà coloro che non dicono la verità (Sal. V, 7), il bugiardo non entrerà nel paradiso (Apoc. XXI, 13) perché Gesù ha pronunciato una terribile maledizione contro gli ipocriti. (S. Matt. XXIII,13).

Pertanto, la menzogna è colpevole, indipendentemente dal beneficio che se ne possa trarre.

Mentire per aiutare il prossimo è colpevole quanto rubare per fare l’elemosina. (S. Aug.); non è permesso mentire nemmeno per salvare la propria vita o quella del prossimo. (Id.). Sant’Antimo, Vescovo di Nicomedia, era molto ospitale verso i soldati incaricati di arrestarlo; essi volevano salvarlo mentendo, ma lui non lo permise e preferì subire il martirio. Non è permesso dire bugie. Non è permesso fare del male per procurare un bene (Rom. III, 8). La bontà del fine non giustifica mai la malizia dei mezzi. I nemici della Chiesa hanno spesso sostenuto che i Gesuiti insegnavano la liceità di mezzi malvagi per un fine lodevole. Per mettere a tacere i calunniatori il celebre P. Roh (1852) depositò 1000 scudi all’Università di Heidelberg, come premio per chiunque avesse scoperto questa massima in un libro di un gesuita. Il denaro è ancora lì! D’altra parte, questa massima si trova in una lettera di Voltaire al suo amico Thiérot (21 ottobre 1736): “La menzogna è un vizio quando causa un danno, è una virtù quando porta un bene”. Che bella filosofia!

Uno scherzo non è una menzogna, quando lo scherzo è evidente, a patto che ci si pensi; poiché manca l’intenzione di ingannare.

Uno che, in pieno inverno, dica: “Che caldo” non commetterebbe menzogna. Lo stesso non vale per certi scherzi di cattivo gusto che possono avere conseguenze disastrose, poiché è sempre un peccato ingannare il prossimo. – Si può dire che ogni cosa in sé, per quanto innocua possa sembrare, è dannosa, perché danneggia il prossimo o noi stessi, ferendo la verità e la rettitudine del cuore. Chi mente, anche per scherzo, da prova di duplicità. Siamo dunque sempre franchi e sinceri, se vogliamo essere figli di Colui che è il Padre della verità e la Verità stessa (S. Fr. di.S.).

È lecito dare una risposta equivoca a qualcuno che ci metta in imbarazzo con domande che non ha il diritto di fare.

Non abbiamo diritto ad una risposta quando non si ha il diritto di fare domande, è quindi lecito, in questi casi, dare risposte evasive, equivoche o equivalenti ad un rifiuto. S. Atanasio, vescovo di Alessandria, in fuga sul Nilo dalle persecuzioni dell’imperatore Giuliano, incontrò dei soldati che lo inseguivano. Essi chiesero dove si trovasse Atanasio. – “Egli non è lontano – fu detto loro – se vi affrettate, lo raggiungerete facilmente”. Atanasio fu salvato. Anche San Tommaso di Canterbury fu costretto a fuggire a cavallo sotto un misero travestimento. I satelliti del re d’Inghilterra lo incontrarono e gli chiesero se fosse lui l’Arcivescovo. “Giudicate voi stessi – disse – se un Arcivescovo viaggia in un simile assetto”. – L’Arcangelo Raffaele disse a Tobia che lui era Azarias, figlio di un giudeo opulento, – sottintendendo: quanto alla forma (Tobia. V, 18); se avesse detto chi era, non sarebbe stato in grado di eseguire gli ordini di Dio. Potete quindi rispondere con coraggio a chi vi chiede del segreto professionale: “Non lo so” (cioè per comunicarvelo). Cristo aveva detto, in questo senso, di non conoscere il giorno del giudizio. (S. Marco XIII, 32). Quando un uomo disonesto vuole da noi prendere in prestito denaro, possiamo dire con coraggio che non ne abbiamo (da dargliene). L’accusato può anche dare risposte evasive al giudice, quando.il giudice voglia estorcergli una dichiarazione, senza avere nemmeno l’inizio di una prova, perché nessuno è obbligato ad accusare se stesso (S. Alf.). In questi casi ci si può rifiutare di rispondere. S. Firmo, Vescovo di Tagaste, aveva nascosto nella sua casa un giovane che l’imperatore voleva far giustiziare ingiustamente; i carnefici erano venuti a chiedergli dove fosse il giovane, il Vescovo si rifiutò di rispondere, fu torturato e fece questa osservazione: Posso sacrificare la mia vita, ma non ho il diritto di rendere infelice un altro. Commosso da questa risposta, l’imperatore perdonò il giovane. Allo stesso modo, San Cipriano, avendo ricevuto l’ordine di fornire al giudice i nomi dei Sacerdoti di Cartagine, si rifiutò di farlo dicendo: “Mandateli a chiamare e ben presto li troverete”. Gesù stesso non rispose a tutte le domande di Pilato. – È ovvio che è inutile dire che le risposte equivoche sono ammesse solo quando sono richieste per l’onore di Dio, il bene del prossimo ed un serio interesse personale. Sarebbe un peccato contro la carità e la verità dare queste risposte con l’intenzione di ingannare. È vietato usarle soprattutto quando il prossimo ha diritto a tutta la verità, come nel caso degli acquisti, delle vendite e dei contratti. Per esempio, sarebbe una grande ingiustizia se, prima del loro matrimonio, due fidanzati usassero espressioni equivoche sulla loro fortuna.

3. La sincerità ci rende simili e graditi a Dio e ci fa guadagnare la stima dei nostri simili.

Il Cristo è la verità (S. Giovanni XIV, 6), quindi una persona sincera è come Gesù. – È quindi essa gradita a Dio, poiché Gesù lodò Natanaele perché “era un vero israelita in quanto non c’era nulla di falso in lui”. (Id. I, 17). – Egli è stimato dai suoi simili. Augusto, avendo saputo che tra i prigionieri che seguivano il suo carro trionfale, c’era un sacerdote a cui nessuno poteva rimproverare di aver mentito, lo fece liberare e gli dedicò una statua. S. Giovanni di Kenti un giorno fu sorpreso dai briganti e derubato; gli chiesero se avesse consegnato tutto e, alla sua risposta affermativa, lo lasciarono andare. Sol dopo si ricordò di avere ancora qualche moneta d’oro nella fodera del vestito; allora tornò sui suoi passi per darli ai rapinatori, che furono così commossi che gli restituirono tutto ciò che avevano preso (Ben. XIV). È quindi nel nostro stesso interesse confessare le nostre colpe con sincerità; questa sincerità ci ottiene subito o il perdono o una diminuzione della punizione. Nella sua fanciullezza Washington aveva danneggiato un albero di ciliegio con un’ascia; il padre, terribilmente incattivito, chiese chi avesse fatto il danno; Washington con semplicità rispose: “Padre, non voglio mentire; sono stato io”. – “La tua franchezza – rispose il padre profondamente commosso – vale più di cento ciliegi”, e gli rimise ogni punizione. E anche se la nostra franchezza ci ha causato qualche inconveniente, la pace della coscienza, sarà largamente ricompensata dalla pace della coscienza. La retta via è un cammino sicuro (Prov. X, 9), cioè l’onestà non ha nulla da temere. Per questo Gesù ci comanda di essere semplici come colombe (S. Matth. X, 16). Nessuno stratagemma vale la sincerità. (S. F. di S.)

3. I MEZZI PER COMBATTERE I PECCATI DELLA LINGUA.

I SS. Padri sono dell’opinione che con i peccati della lingua due terzi dei peccati scomparirebbero dal mondo.

Il modo più semplice per evitarli è praticare la discrezione e la prudenza nelle nostre parole; scusando o difendendo il nostro prossimo quando viene attaccato; evitando di ripetere commenti dispregiativi nei loro confronti.

Dobbiamo evitare di essere loquaci. Il silenzio è il miglior rimedio contro i peccati della lingua (Aug.), esso ne è la morte (S. Ant.). Colui che sa tacere sarà altrettanto prudente quando parla. I filosofi greci costringevano i loro discepoli a tacere per molto tempo, per insegnare loro a parlare con saggezza. (S. Greg. Gr.) La discrezione è la madre dei pensieri prudenti. (S. Ambr.) Chi custodisce la propria lingua, conserva la sua anima, ma chi è sconsiderato nelle sue parole andrà incontro a disgrazie (Prov. XIII, 8), perché è impossibile parlare molto senza peccare (Id. X, 19). Come lo sfregamento del ferro contro la pietra produce il fuoco, così la loquacità produce il peccato..(S. Giovanni Clim.) – Mentre tutti gli organi dei sensi sono liberi, la lingua è stata posta da Dio dietro la doppia barriera dei denti e delle labbra, per esortarci ad essere attenti al nostro linguaggio (S. Bern.). Bisogna avere il cuore sulla lingua, ma la lingua nel cuore (S. Umberto). Fate una scelta tra le vostre parole, come la fate nel cibo (S. Aug.); siate prudenti nell’aprire la bocca come nell’aprire la bocca, come nell’aprire la borsa (S. Vinc. F.). La Scrittura paragona la lingua ad un rasoio, per indicarci che dobbiamo essere attenti alla lingua come un medico fa con il suo strumento quando esegue un’operazione (S. Fr. di S.) Dobbiamo pensare bene prima di parlare, perché non possiamo più riprendere una parola che sia stata lasciata cadere, non più di quanto possiamo trattenere una pietra o una freccia lanciata (S. P. Dam.) Gesù ci avverte che al momento del giudizio daremo conto delle parole inutili (S. Matth. XII, 36), che il nostro linguaggio sarà sufficiente a giudicarci; perché, dice, “è dalle vostre parole che sarete giustificati o condannati”. (Id XII, 17). – La vita e la morte sono dunque in potere della lingua (Prov. XVIII, 21). – Se si attacca il nostro prossimo in nostra presenza, noi dobbiamo scusarlo. Parlate per il muto, dicono i Proverbi (XXXI, 8), cioè parlate per l’assente, che non può difendersi. Se qualcuno parla male del suo prossimo in nostra presenza, scusiamo la sua intenzione, se ciò non è possibile, scusiamolo a causa delle grandi tentazioni a cui è stato esposto o a causa della debolezza umana, con il che attenueremo sempre il rigore del giudizio. (S. Fr. di S.) Possiamo anche sottolineare il bene che il peccatore ha fatto dall’altra parte; così faceva Santa Teresa, e nessuno in sua presenza osava attaccare il proprio prossimo. È difficile dire qualcosa a qualcuno che non vuol sentirlo. (S. Gir.) Possiamo anche assumere un’aria molto seria per dimostrare la nostra avversione alle maldicenze per mettere in imbarazzo il maldicente; è così dura la pietra, che respinge la freccia verso colui che l’ha lanciata. Un volto triste dissipa le maldicenze come il vento del nord dissipa la pioggia (Prov, XXV, 23). È anche una buona idea deviare la conversazione su altri argomenti; in questo modo si impedisce al maldicente di continuare il suo eloquio, ma chi tollera le maldicenze, si rende complice. – Non ripetete mai la maldicenza; lasciatela che si infiammi nel vostro orecchio, non scoppierà: solo lo stolto prova dolore nel mantenere ciò che ha ascoltato (Ecclesiastico XIX, 10). Siamo molto riservati nelle nostre parole, perché potremmo facilmente ferire l’anima del nostro prossimo per il resto della sua vita, per non parlare delle punizioni che i tribunali potrebbero infliggerci. – Fatevi gli affari vostri e non quelli degli altri, e lasciate che ognuno spazzi davanti alla sua porta.

LO SCUDO DELLA FEDE (278)

LO SCUDO DELLA FEDE (278)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (19)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XXI.

I. Corte romana. II. Questa è solo una legge dei preti. III. Io credo a Dio, ma poi tante altre cose….

L’autorità della Chiesa è il sostegno di tutto l’edifizio cristiano; quindi è che tutti gl’increduli, tutti i protestanti, tutti i nemici di Dio hanno un fiele amarissimo contro di lei. Hanno perciò rivolte tutte le loro mire ad abbatterla, a rovesciarla. Vediamo gli assiomi principali che hanno accreditato contro di lei.

I. Urtano fin dalle prime nel nome stesso, mentre non è mai che la vogliano chiamare col suo nome. Noi Cattolici, quando vogliamo significare l’autorità suprema che regola la religione, diciamo la santa Chiesa, oppure la santa Sede, oppure la Sede apostolica: queste parole non le sentirete mai sul labbro degli scredenti: adoperano essi invece la formola maligna di Corte romana. Scambiatole così il nome, non hanno più difficoltà di adoperare a suo riguardo tutto un vocabolario d’insolenze. Tali sono poi le pretensioni di Roma, le esorbitanze di Roma, le usurpazioni della Corte di Roma, le mene, i raggiri della Curia romana, le scaltrezze, ecc. ecc. Ora che malizia, direte voi, cova qui sotto? Eccovela: si finge di parlare dei difetti degli uomini, e si assale la stessa istituzione. Ed è manifesto, poiché quando è che si adoperano tutte quelle formole sacrileghe? Quando si parla delle disposizioni che emanano da Roma o in materia di benefizi ecclesiastici, o di disciplina, o di riti, o di proibizione di libri, o di proposizioni da definire, o di dispense per matrimoni e somigliante. Ma in tutto ciò che ha da fare la Corte di Roma? Questa parola non può avere che la significazione che ha in ogni paese la parola Corte, e quando si tratta di principii, indicare cioè il complesso dei famigli, scudieri, staffieri, maestri di casa che servono al monarca o che lo assistono. Ora come entrano tutti costoro nel regolamento degli affari ecclesiastici? Nulla affatto. Dunque, la Corte di Roma non ci entra. Quella che c’entra è bensì la voce del supremo Pastore, o significata da sé stesso, o per mezzo de’ suoi prelati e delle sue Congregazioni, sia poi che parli ex cattedra per definire qualche punto, sia che solo disponga ed ordini il buon andamento di tutta la Chiesa. Ma allora è una stoltezza il nominare Corte di Roma quell’autorità, da cui procedono siffatti ordinamenti, poiché questa è la santa Sede, la Sede apostolica, la Cattedra di Pietro, il Vicario di Gesù Cristo, la santa Chiesa; e tra i fedeli non s’intende diversamente. Qual è dunque il motivo per cui si fa quella sostituzione? Eccovelo chiaro. Sonerebbe ancor troppo male fra i Cattolici il dire le pretensioni, le esorbitanze, ecc. della santa Sede e del Vicario di Gesù Cristo. Quelli che al tutto non sono protestanti, ne avrebbero orrore; bisogna perciò ammollire l’espressione e dare lo scambio ai lettori, quasi sottoindicando che si tratti degli uomini non della istituzione, e che se si riprendono quelli, questa si rispetta, laddove in realtà si insulta e si strazia la santa Chiesa sotto quel nome. – È una tattica di guerra un po’ vecchia mostrar di credere che siano solo disposizioni del ministro quelle che sono volontà del padrone per impugnarle a man salva; ma qui non fa prova, poiché nella Chiesa non vi sono ministri responsabili sopra cui cada la riprensione, ed essa va a ferire direttamente la santa Chiesa, o nella persona del suo Capo, o nella persona di quelli che hanno ricevuta da lui ogni autorità: epperò quei vocaboli debbono mettere orrore a tutti quelli che non sono ciechi ad intendere dove vada a parare il mal giuoco.

II. Ma non ci perdiamo in generalità, veniamo subito a quegli assiomi, con cui si leva di mezzo ogni autorità della Chiesa. Questa è solo una legge ecclesiastica, dicono, una legge de’ preti; e similmente: Io per me credo a Dio, ma poi tante altre cose…. Questi due principii sono sparsi pur troppo universalmente, e non mancano perfino di quelli che si credono Cattolici che fanno loro buon viso. Eppure, credereste? bastano essi soli a mettere in piedi il protestantismo, ed a distruggere tutta l’autorità della Chiesa. Questa è solo una legge ecclesiastica, una legge de’ preti. Si adopera questo assioma specialmente quando si tratta del digiuno, dell’astinenza delle carni, della proibizione de’ libri perversi e somigliante. Ora non provenendo tutte le disposizioni intorno a quei punti se non dalla santa Chiesa medesima, chi non vede che sotto quella formula s’impugna direttamente 1’autorità legislatrice di Lei! Richiami dunque il lettore alla mente alcune verità che comunemente sono nel mondo ignorate, che vedrà subito l’iniquità di quel detto. – Gesù Cristo, venuto sulla terra, ordinò e stabilì prima da sé medesimo la sua Religione e cominciò a diffonderla sulla terra: ma come era nella disposizione infinitamente savia della sua provvidenza di non volere egli stesso durare perpetuamente visibile nel mondo a continuare la dilatazione di essa, presso tutte le nazioni e tutte le generazioni avvenire, alle quali però era ordinata la sua istituzione, affidò quest’opera immensa ad un’autorità da Lui stabilità, cioè alla Chiesa, affinché in nome suo la continuasse. In qual modo poi si assicurò che cotesta autorità, che Egli lasciava sulla terra, avrebbe soddisfatto alla sua missione? Ecco il come. Gesù la ornò di tutte quelle prerogative che le erano necessarie allo scopo. La fondò sopra una rocca che mai non dovesse crollare, cioè sopra Pietro ed i suoi successori, la assicurò della sua assistenza per modo, che ella non potesse mai errare insegnando; disse chiaro che Egli sarebbe stato sempre con lei, che le avrebbe mandato il Santo suo Spirito. Quindi rivolgendosi a tutti gli uomini della terra, da quel padrone supremo e Redentore che era di tutti, notificò questa sua volontà ed impose loro che dovessero ad ogni modo stare soggetti alla Chiesa da sé fondata, continuatrice della missione che Egli aveva inaugurata sopra la terra. Né freddamente inculcò l’obbedienza a lei: assicurò che essa era la maestra da seguitare, la colonna ed il sostegno della verità, che chi avesse ascoltato lei, avrebbe con ciò solo ascoltato Lui stesso, come al contrario ogni disprezzo di lei l’avrebbe reputato disprezzo suo proprio: che però ci separassimo perfino da que’ ribelli che non le si arrendevano, che li avessimo al tutto in conto di gentili e di pubblicani. Affinché poi non potessimo errare nel riconoscere dove essa Chiesa fosse veramente, mantenendo le profezie che di lei vi erano, la fece come un monte cospicuo a tutte le genti. La illustrò con segni, miracoli, profezie, portenti d’ogni maniera; la circondò di tanta luce di santità che dovesse sfolgorare a tutti gli occhi; colla sua protezione l’assisté per modo che cadessero sempre invano i colpi avventati contro di lei, sicché niuno che voglia conoscere dove essa sia, mai non possa non ravvisarla. Ciò presupposto, ecco che cosa è la Chiesa. Essa è la continuazione dell’opera di Gesù sopra la terra. Essa è l’erede legittima dei diritti di Gesù, la depositaria fedele dei suoi tesori, la maestra infallibile delle sue dottrine. Essa possiede l’autorità di Gesù, vive dello spirito di Gesù, gode l’assistenza di Gesù, in nome di Gesù parla, ordina, comanda, concede e proibisce, scioglie e lega, apre il cielo e lo chiude, e tutto per espressa volontà di Gesù. Questa è la dottrina cattolica. Ora in faccia a questa verità ponete uno di quegl’infelici, che, all’occasione di un comando o divieto di santa Chiesa, si lascia uscire dalla chiostra dei denti la bella massima: Oh questa è sola una prescrizione dei preti, e con ciò crede di poter violare impunemente qualunque prescrizione: a chi fa ingiuria costui? Ad alcuni preti, ad alcuni uomini, oppure allo stesso Cristo? Rispondano di grazia. Se è vero che l’autorità della Chiesa non è altra da quella di Gesù Cristo, ognun vede dove vada a parare quel colpo. Che se non si ammette che l’autorità della Chiesa sia quella di Gesù, allora saremo anglicani, saremo calvinisti, saremo quaccheri. Saremo quel che volete, ma non saremo Cattolici. Il ricevere un ordine dal principe o riceverlo dal suo luogotenente in nome di lui, non è tutto lo stesso? Ed il ricusare obbedienza all’ordine venuto per mezzo del luogotenente, non è disobbedire al principe stesso? Ebbene dite il medesimo rispetto alla Chiesa, la quale parla in nome di Gesù, perché da Lui a ciò costituita. Né niuno dica: se io sapessi che è la Chiesa quella che parla e non un uomo, non avrei difficoltà ad obbedire; perocché questo sarebbe un mostrarsi, a vero dire, troppo grosso d’intendimento. E che? Volete che la Chiesa presa in astratto, sia quella che parla? La Chiesa parla quando parla il suo Capo, che è l’organo naturale della sua favella; la Chiesa parla quando i sacri Pastori congiunti al loro Capo si raccolgono nei Concili; la Chiesa parla quando tutti i Pastori sacri dell’universo, sottomessi al loro Capo, insegnano ad un modo. E sebbene il Vicario di Cristo non parli con tanta solennità quando fa parlare solo le sue congregazioni, pure siccome esse traggono da lui ogni autorità, non è meno debita la sommissione e l’obbedienza. E con ciò resta posta in chiaro abbastanza l’assurdità e l’empietà della massima sopraddetta.

III. E dovrebbe da ciò apparire eziandio la falsità dell’altra: Io credo a Dio, ma poi tante altre cose… Orsù che vogliono significare con quel tante altre cose?… Non osano dir chiaro quello che pensano, ma a buon intenditor poche parole. Vogliono dire, che quando si è creduto a Dio, non è poi necessario l’ammettere quello che insegna la Chiesa, non sacramenti, non messe, non digiuni, ecc. Or questo è anche più che protestantismo; è negazione di tutto il Cristianesimo, è deismo. Io ho sentito più d’una volta ripetere l’assioma sopraccennato da alcuni, i quali per una leggerezza non esplicabile forse neppur sospettavano l’orribile empietà che dicevano: eppure è tale. lmperocché per qual ragione basterà credere a Dio? Non ci può essere altra ragione che questa. O perché tutto il rimanente non sia rivelato da Dio, oppure perché anche posta la rivelazione, non sia obbligatorio per gli uomini l’accettarla. Ma per sostenere il primo bisogna dichiarare che sia una favola tutto quello che fin qui si è creduto di lui; che sono finzioni le profezie che si sono pubblicate di lui, e che la espettazione di 40 secoli del liberatore promesso fu un’illusione. Bisogna credere che la vita intera di Cristo colle sue divine virtù, coi suoi portenti, colla sua risurrezione è tutto una favola; che tutti i miracoli, fatti per persuadere la sua divinità, siano state imposture e giuochi di mano; che furono tanti stolidi tutti quei milioni d’uomini che vi hanno creduto, peggio ancora quelli che, per mantenere sì sciocca credenza, hanno versato il sangue; bisogna finalmente concedere che tutto il cambiamento avvenuto nel mondo per l’opera di Gesù, e la carità del prossimo, e la purezza del vivere, e la santità più eroica, non ha avuto mai origine da altro che da un’ impostura solenne, di cui il mondo non ha mai veduta e mai non vedrà più l’uguale. Per sostenere il secondo bisogna ammettere un’altra ipotesi ancor più assurda. Cioè che essendo vera tutta la rivelazione, e vero che Gesù ha parlato ed ha fondata una Chiesa, dopo tutto quello che ha fatto per stabilirla ed aggregarvi tutti gli uomini, non gl’importa poi nulla che gli uomini vi prendano parte e la ascoltino. Che se non si può ammettere né l’una né l’altra ipotesi, almeno da chi è sano di mente, bisognerà non solo credere a Dio, ma credere ancora a Dio incarnato, cioè a Gesù Cristo, e quindi a quello che ha insegnato, a quello che ha stabilito; bisognerà credere alla Chiesa da Lui fondata, ai sacramenti da Lui stabiliti, ai comandi da Lui dati, ai divieti da Lui posti, a tutto quello che la Chiesa da Lui autorizzata insegnerà. Se si ammette la divinità di Cristo, la sua rivelazione, la sua opera ristoratrice, e che Egli non sia indifferente intorno a quello che ha stabilito, è innegabile la conseguenza. – Laonde coloro che professano di non credere a tante altre cose, farebbero bene a non vantarsi neppure di credere a Dio: perocché mentre non credono a queste altre cose, fanno segno evidente di non credergli in niuna. Chi crede a Dio osserva e si assicura se Egli abbia parlato; ma quando poi ha fatto ciò, quando è certo che ha parlato, crede universalmente a tutto quello che Egli ha detto. Ha Dio proposto misteri? Ed Egli, li ammette sulla sua parola. Ha Dio stabiliti Sacramenti per le varie necessità dei fedeli? Ed Egli in quelle necessità li riceve. Ha costituita madre e maestra la Chiesa? Ed egli la riverisce da figliuolo obbediente e la ascolta da discepolo sottomesso. Ha questa Chiesa coll’autorità del suo sposo divino fatte leggi, prescrizioni, divieti? Ed egli si tiene in dovere di osservare ogni cosa per l’appunto. Il credere a Dio importa tutto ciò; e chi grida che crede a Dio, ma poi non crede a quello che Dio ha rivelato, costui si burla di Dio e degli uomini; di Dio, poiché è uno strazio che fa della divina autorità; e degli uomini, poiché è una fiaba quello di cui si vanta. – E ciò per non dir nulla della graziosa espressione, che è quella di una creatura, la quale, entrando in discorso col suo Creatore, determina quello che le basta di fare per lui e dice a Dio sul volto, ed il predica ancora agli altri, che a lei basta di credere che Dio esista. Sono dunque tutti scomparsi i diritti della divinità sopra gli uomini? Non tocca più a Dio di determinare quello che ha da bastare e quello che non basterà? Ha perduto tutti i suoi diritti a nostro riguardo? La sua onnipotenza è venuta meno? La sua sapienza si è annichilata, si è smarrita la sua bontà e soprattutto il suo dominio è stato manomesso da alcuno? Oppur compiacendosi egli (giacché è una degnazione che mai non finiremo di comprendere) di parlarci, di regolarci, di determinarci anche minutamente quello che vuole da noi, e facendo tutto ciò per puro nostro bene, e mosso da un amore immenso, toccherà a noi il dargli il veto, prescrivergli i limiti fin dove si debba stendere colle sue prescrizioni? E noi in forza di questo nostro decreto gli diremo, a cagione di esempio, che non è nostra volontà di onorarlo col sentir Messa, col presentarci ai piedi di un confessore, coll’accostarci a riceverlo, col dar retta alle sollecitudini della Chiesa? Dio buono! E non è questa la più inaudita temerità che mai sia entrata in uno spirito diabolico? Un suddito che dicesse al suo monarca, od un figliuolo che dicesse a suo padre, mi basta di riconoscere la vostra persona, e ricusando ogni altro atto di sudditanza o di riverenza intendesse di aver soddisfatto al suo dovere, non sarebbe un mostro? Ed un uomo che freddamente dice a Dio che gli basta di credere a Lui, significandogli con ciò che non intende di prestargli un culto, con quai colori potrà ritrarsi? – Non ho detto senza ragione che costui rinneghi tutto il Cristianesimo. Imperocché che non sia più Cattolico è evidente, mentre non si dà Cattolico dove non vi ha dipendenza dalla Chiesa: ma è forse almen protestante? Niuno lo dirà, poiché le sette protestantiche riconoscono almeno una qualche rivelazione. Potrebbe compararsi al giudeo, a quale pur riconosce Iddio; ma al giudeo è anche inferiore, mentre questi se non riconosce Gesù per Messia; almeno lo adombra in qualche suo rito, e per quanto vanamente, pure lo aspetta. È un deista, il quale rigettando tutta l’opera dell’Incarnazione del Figliuolo di Dio, ricusa di prestare un colto qualunque alla stessa divinità. Ecco il significato ultimo di quella formola che passa così snella in mezzo alle conversazione di oggidì: Basta credere a Dia, ma poi…

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (12).

VI COMAMDAMENTO DI DIO.

1. Il 6° CCOMANDAMENO DI DIO PROIBISCE QUALSIASI COSA CHE POSSA DANNEGGIARE LA NOSTRA INNOCENZA O QUELLA DEL NOSTRO PROSSIMO.

È saggio non parlare in modo troppo esplicito dei peccati contrari a questo Comandamento (S. Liguori), perché già feriamo la castità nominando l’impurità. (S. Fr. di S.). S. Paolo aveva già detto: “Che non si senta parlare di alcuna impurità in mezzo a voi, come si conviene ai santi”(Efesini V, 3). Tuttavia, la Scrittura ci mette in guardia spesso e con urgenza da questo vizio, né la Chiesa può venir meno a questo dovere, perché il vizio dell’impurità danneggia il maggior numero di anime, e sono poche le anime all’inferno che ne sono state esenti. (S. Lig.).

Dio proibisce in particolare:

1. Pensieri e desideri contrari alla purezza.

I pensieri impuri sono proibiti perché portano ad azioni malvagie, come la scintilla che accende un grande fuoco. Bisogna spegnere il fuoco dell’impurità impurità sul campo, altrimenti è come una scintilla che cade sulla paglia e provoca un fuoco impossibile da spegnere (S. Greg. M.). L’impurità è come un serpente la cui testa deve essere schiacciata subito per non dargli il tempo di di lanciare il suo veleno (S. Gir.). Il modo migliore per difenderci da questi pensieri è la preghiera; finché ci dispiacciono, questi pensieri non ci rendono colpevoli, ma pecchiamo non appena ci soffermiamo su di essi con piacere, perché i pensieri cattivi sono un abominio davanti a Dio. (Prov. XV, 26). Dobbiamo fuggire i pensieri cattivi come un assassino, perché essi danno morte all’anima. A volte sorgono in noi desideri malvagi, cioè la volontà di commettere peccato. Un desiderio malvagio è come la radice da cui proviene un’azione malvagia: esso deve essere represso immediatamente. Non appena abbiamo acconsentito, c’è un atto della volontà, ed in questo caso il cattivo desiderio è, secondo la parola di Cristo, colpevole come l’atto stesso (S. Matth. V, 8).

2. Parole che offendono l’innocenza.

Chi dice cose indecenti ha la coscienza sporca; è impossibile trovare al mondo un uomo immorale nel linguaggio e puro nella morale.(Sidone Apollinare). Si finisce per fare ciò che si prova piacere a sentire (S. Bern.). Chi si diletta a parlare in modo vergognoso non è lontano dal comportarsi in modo vergognoso (S. Gir.). “Parla sempre in modo tale – disse San Luigi al figlio sul letto di morte – che se tutto il mondo lo venisse a sapere, tu non te ne dovresti vergognare”. – La lingua è solo un piccolo organo (Giacomo III, 5) ma essa può fare un grande male. Molti sono morti per il filo della spada, ma non altrettanti per la propria lingua. (Ecclesiastico XXVIII,22).

3. Azioni che feriscono l’innocenza.

Esse portano nomi diversi a seconda del loro grado di opposizione alle leggi di natura o a seconda che le persone che le commettono siano celibi, sposate, consacrate a Dio o parenti.

4. Sguardi sfacciati e troppo curiosi.

Dio ci proibisce la curiosità degli occhi per allontanarci dal peccato, come un padre proibisce al proprio figlio di toccare un coltello. Il piacere degli occhi si impadronisce presto del cuore stesso (S. Aug.), per cui chi guarda imprudentemente attraverso le finestre del corpo, cade quasi necessariamente in desideri peccaminosi (S. Greg. M.). La curiosità degli occhi accende il fuoco della concupiscenza come un incendio. (Eccli. IX, 9.) Chi lascia vagare lo sguardo assomiglia ad un cocchiere che trascura di tenere d’occhio i suoi cavalli, questi finiranno per trascinarlo nell’abisso (S. G. Cris.), o ad una fortezza le cui porte non sorvegliate cadono facilmente in potere dei nemici. Davide non avrebbe dovuto versare tante lacrime se avesse tenuto gli occhi aperti. (Santa Chiara da Montefalco). Quando siete per le strade, non guardate tutto ciò che vedete. (Eccli. IX, 7.) La curiosità causò la perdita della moglie di Lot.

5. Guardare immagini indecenti, assistere a spettacoli teatrali di cattivo gusto, la lettura di libri o giornali immorali.

Le immagini e gli spettacoli indecenti sono ancora più pericolosi delle cattive parole, perché ciò che si vede ha un’influenza maggiore sull’anima di ciò che si sente. Soprattutto, evitate la lettura di romanzi; sono tanto più malvagi in quanto suscitano le passioni in forme pulite e seducenti. Proibite con severità ai vostri figli, diceva S. Alfonso, di leggere romanzi; essi fanno spesso più male dei libri apertamente disonesti, perché, perché lasciano nel cuore degli adolescenti delle impressioni che li portano al peccato. Lo stesso Jean-Jacques Rousseau, il libero pensatore, diceva: “Una ragazza pura non ha mai letto romanzi “.

6. Abbigliamento indecente o eccessivamente lussuoso.

Le persone che si vestono in modo indecente sono strumenti di satana, che si serve di loro per perdere le anime (S. Bern.). La vanità ed il lusso nel vestire aumentano notevolmente il potere del diavolo. Quando ci si veste con l’intenzione di attirare gli sguardi non si può più pretendere di essere casti e modesti nell’anima. (S. Fil. de N.). Il desiderio di piacere non viene da un cuore innocente; è solo una trappola per attirare il prossimo nel vizio. (Tert.). Le ragazze e le donne di dubbia moralità sono le uniche che si permettono di abbagliare il pubblico con una cura appariscente. San Cipriano diceva che per coloro per i quali i vestiti sono tutto, la morale non è nulla. “Che le donne siano vestite come richiede l’onestà: che si vestano con modestia e carità, e non con capelli ricci, né con ornamenti d’oro, né con perle, né con abiti sontuosi, ma rivestite con opere buone ” (I Tim. Il, 9).

2. I PECCATI CONTRO IL 6° COMANDAMENTO SONO PER LO PIÙ MORTALI E SOGGETTI A PUNIZIONI DIVINE MOLTO SEVERE.

Basti pensare al diluvio, a Sodoma e Gomorra; inoltre, ne parleremo ancora nel capitolo sui peccati capitali. Collocando questo comandamento tra il 5° e 7°, Dio ci ha mostrato che i peccati della carne sono colpevoli quanto l’omicidio ed il furto. – Oggi, al contrario, si scrivono libri e si recitano opere teatrali in cui il vizio viene rappresentato a tinte seducenti come un’inclinazione legittima.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXI)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (12).

2. DOVERI VERSO LA VITA DEL NOSTRO PROSSIMO.

Siamo obbligati a evitare tutto ciò che possa rovinare la salute o la vita del nostro prossimo.

1. PECCHIAMO, QUINDI QUANDO ODIAMO IL NOSTRO PROSSIMO, SI DANNEGGIA LA SUA SALUTE, SI SFIDA A DUELLO, O ACCETTIAMO UNA SUA PROVOCAZIONE O LO UCCIDIAMO INGIUSTAMENTE ED INTENZIONALMENTE.

1. Odiare il prossimo significa, per così dire, ucciderlo nella sua volontà.

L’odio porta spesso all’omicidio. Odiare è pianificare la vendetta: vediamo questo desiderio di uccidere in Esaù verso Giacobbe, dei figli di Giacobbe verso Giuseppe, di Saul verso Davide. “Non c’è differenza – dice Salviano – tra chi uccide e chi odia, perché davanti a Dio l’intenzione è considerata come un atto; da qui le parole di San Giovanni (I, cap. III, 15): “Chi odia il proprio fratello è un omicida”. Nel sermone sul Monte, Gesù aveva già equiparato l’odio all’omicidio (S. Matth. V, 22). L’odio riflesso è di solito un peccato grave, perché è raro che una persona desideri per il suo prossimo un danno di poca importanza. – Odiare i difetti o le azioni malvagie di qualcuno, non è ancora odio, perché questa avversione può essere conciliata con l’amore per la persona.

2. Si danneggia la salute del prossimo con litigi e risse, adulterazione di alimenti, scherzi pericolosi e imprudenza dolosa.

I litigi eccitano i nostri vicini e li privano della calma interiore e dell’appagamento necessario per una buona salute. Le dispute spesso portano a spargimenti di sangue (Ecclesiastico XXVIII, 13). – Le risse di solito causano ferite, come si può vedere in molti casi giudiziari. – L’adulterazione dei prodotti alimentari è un peccato molto diffuso al giorno d’oggi. Le sostanze nocive vengono mescolate alla farina, al burro, al latte, alle spezie, al caffè, vino, birra, miele, ecc. oppure si vendono per denaro prodotti artificiali privi di valore nutrizionale per prodotti naturali. Questi truffatori sono fondamentalmente omicidi, e meritano la severità del codice: nel Medioevo venivano talvolta bruciati o sepolti vivi con i loro prodotti alimentari adulterati (Cronistoria di Norimberga 1456). – Alcuni scherzi pericolosi sono molto colpevoli,.come rompere le gambe, essere tirati giù da una sedia, ecc. Ci sono anche delle imprudenze che causano la morte del prossimo o almeno gravi incidenti: lanciare sassi a caso, andare in auto o su un velocipede a velocità troppo elevata.su strade o vie trafficate, sparare a caso durante la caccia, lasciare bambini piccoli incustoditi, scoprire i tetti senza un segnale che avverta i passanti, lasciare le auto sulle strade di notte senza illuminarle, ecc.

3. Un duello non è altro che un omicidio, punibile dalla Chiesa con la pena della scomunica e del rifiuto della sepoltura ecclesiastica (Conc. Tr. 25 ,19 ). –

La sfida così come l’accettazione sono anch’esse soggette a questa pena. È ugualmente vietato collaborare in qualsiasi modo o assistere come testimone (Pio IX, 12 ottobre 1869). Dire che l’avversario concede il permesso di ucciderlo è una scusa insana, perché nessuno può concedere un diritto che egli stesso non possiede. Tutti i Cattolici sono quindi obbligati a rifiutare il duello, anche a rischio di apparire vili, secondo le regole militari o del mondo, o di perdere anche un’alta posizione.(Benedetto XIV). Il duello è di solito provocato per ripristinare il proprio onore mediante il ferimento o la morte dell’avversario, e si concordano il luogo, il giorno e l’ora del duello e le armi da usare. Il duellante è doppiamente omicida, perché intende uccidere il suo avversario e si espone al pericolo di essere ucciso. Il duello è una sciocchezza, perché con il pretesto di salvare il proprio onore, lo si perde agli occhi delle persone veramente oneste, dalle quali si viene giustamente visti come schiavi delle passioni più basse: orgoglio, odio e crudeltà. Inoltre, l’onore non ha alcun rapporto con la forza fisica e l’abilità nel maneggiare le armi, altrimenti il più forte ed il più abile sarebbe sempre il più onorevole. Nei paesi civilizzati ci sono tribunali per vendicare l’onore dei cittadini; è da questi che bisogna farsi rendere giustizia. Questo è ancora solo il punto di vista della ragione, ma se dal punto di vista cristiano, vogliamo acquisire meriti davanti a Dio, non dobbiamo, secondo gli insegnamenti e l’esempio di Gesù, vendicarci, ma soffrire pazientemente l’ingiustizia. – Questo è l’eroismo più sublime che si possa immaginare. I più grandi uomini di guerra hanno sempre vietato il duello nel modo più rigoroso. Gustavo-Adolfo una volta permise a due ufficiali di battersi: all’ora convenuta.si presentò con un picchetto di soldati e disse: “Combattete se volete, ma guai a voi se qualcuno di voi cade, farò decapitare immediatamente il superstite” È facile immaginare il risultato di questo intervento.

4. Uccidere il prossimo premeditatamente e ingiustamente è un peccato che grida vendetta a Dio; si chiama assassinio.

Caino era un assassino, e Dio stesso dichiarò che il sangue di Abele gridava vendetta contro il cielo. (Gen. IV). L’assassino deruba l’uomo del suo bene terreno più prezioso; lo priva della possibilità di acquisire meriti e di prepararsi alla morte. – Chi provoca la morte del prossimo senza premeditazione non è colpevole di omicidio, ma raramente sarà esente dal grave peccato di omicidio per imprudenza. – Il boia che giustizia un condannato a morte in nome dell’autorità, non commette omicidio, perché non agisce ingiustamente.

2. SI COMMETTE UN PECCATO PIÙ GRAVE DELL’OMICIDIO QUANDO SI ROVINALA VITA DELLANIMA DEL PROSSIMO, SIA PER SEDUZIONE O PER SCANDALO.

Tu sei l’assassino di colui che le tue parole portano al male; lo scandalo è un omicidio (S. Aug.) ancora più grave di quello corporale, perché la vita dell’anima è più preziosa di quella del corpo. L’omicidio più orribile è quello dell’anima. Se si uccidessero mille corpi, il male non sarebbe così grande come la caduta all’inferno di un’anima. E se il sangue di Abele gridò così violentemente a Dio per la vendetta contro suo fratello, tanto più violento sarà il grido del sangue di un’anima contro colui che lo avrà portato alla morte eterna, tanto più terribile sarà la sua maledizione contro colui che lo avrà piombato in questa disgrazia. (S. Thom. Villan.). Anche la seduzione e lo scandalo sono un peccato così grande, perché il vizio si trasmette agli altri come un fiume in piena perché chi è stato sedotto sedurrà ancora altri. L’anima ingannata sedurrà altri, così come l’uccello preso dall’uccellatore ed il pesce preso dal pescatore servono da esca per nuove catture. (S. Efr.). La seduzione assomiglia ad una valanga, all’inizio piccola, poi sempre più grande, che alla fine trasporta enormi masse di neve nell’abisso. Lo scandalo è come un fermento che penetra gradualmente in tutta la pasta.

La seduzione è il tentativo di indurre qualcuno al peccato.

Eva sedusse Adamo. Il seduttore assomiglia al diavolo, le cui astuzie hanno indotto i nostri primi genitori nel paradiso alla disobbedienza contro Dio. (Si vedano, ad esempio, gli Atti di San Policarpo (187) e la storia di San Giovanni Nepomuceno: Re Venceslao fece di tutto per fargli violare il segreto della confessione; gli offrì una sede episcopale, lo fece rinchiudere in una prigione, lo torturò con un ferro rovente e infine minacciò di gettarlo nella Moldava). L’ingannatore agisce con la stessa astuzia di un cacciatore o di un pescatore che usa colla e trappole. (S. Efr.). I persecutori cercavano quasi tutti con le loro carezze, minacce o torture di indurre i martiri all’apostasia, alla trasgressione della volontà di Dio. – Il peccato di seduzione si commette anche con l’allontanare qualcuno dal bene, ad esempio da una vocazione religiosa, dall’adempimento di un dovere o dalla generosità. – Le seduzioni più comuni sono quelle all’immoralità o alla ribellione: un’opera diabolica, anche se il diavolo non si mostra, perché se lo facesse gli uomini aborrirebbero il male. Egli fa compiere quest’opera ai suoi scagnozzi, e così gli è più facile raggiungere i suoi scopi (Origene). Oggi, soprattutto le giovani donne devono stare molto attente quando cercano un lavoro nelle grandi città o all’estero. Ci sono delle vere agenzie che promettono di offrire loro un futuro radioso per poi farle precipitare in un abisso di vergogna e di miseria.

Lo scandalo consiste in parole, azioni od omissioni che offendono il prossimo e possono indurlo al peccato. –

Per esempio, diamo scandalo apparendo in pubblico in stato di ubriachezza, proferendo parole sconvenienti o blasfeme, mostrando immagini disoneste, mettendo in scena spettacoli leggeri, mangiando carne in pubblico il venerdì, lavorare la domenica, mancare di rispetto al luogo sacro, pubblicare libri cattivi, deridere nei giornali le verità della fede ed i ministri della Chiesa, ecc. Questo dà ai nostri vicini l’opportunità di fare lo stesso. Questo vale in particolare per i bambini, che imitano facilmente il male che vedono fare ai genitori o ad uomini grandi. Dare scandalo è come scavare una fossa in cui il prossimo può facilmente cadere, a suo danno come una casa che crolla e fa crollare le case vicine. La persona scandalosa è più cattiva del diavolo, perché fa dannare i suoi fratelli, cosa che il diavolo non fa. Lo scandalo è il più grande peccato contro la carità del prossimo. – Ci sono però uomini malvagi che si scandalizzano per le azioni più nobili; gli ebrei si offesero per le azioni di Gesù. In questi casi, si tratta di uno scandalo ricevuto e non dato, e il peccato è dalla parte di chi si offende. Gesù diceva ai suoi Apostoli che non dovevano preoccuparsi di loro: lasciateli essi sono ciechi che guidano altri ciechi (S. Matteo XV, 14). – Gesù ci insegna la gravità dello scandalo con queste parole: “… sarebbe meglio che gli venisse legata al collo una macina da mulino e venisse gettato in mare (ib. XVIII); Egli annuncia anche che nell’ultimo giorno farà radunare dai suoi Angeli quelli che hanno dato scandalo, per gettarli nella fornace dove ci sarà pianto e stridore di denti (Ib. XIII). – Lo scandalo può essere, in via eccezionale, solo veniale quando il cattivo esempio si riferisce solo a cose leggere o quando non potevamo prevedere il male nell’anima del nostro prossimo.

PRR EVITARE IL PIÙ POSSIBILE LO SCANDALO, DOBBIAMO OSSERVARE LE SEGUENTI REGOLE:

1. Si devono omettere le azioni consentite, anche quelle buone azioni che sono solo consigliate, se offendono il nostro prossimo. Se qualcuno avesse il permesso, per un motivo legittimo, di mangiare carne nei giorni di magro e sapesse che gli altri si scandalizzerebbero nel vederlo usare questa dispensa, non dovrebbe mangiare di fronte a loro; se non potesse astenersi dal farlo, dovrebbe almeno dare loro una spiegazione. Dopo di che non sarebbe più responsabile dello scandalo che gli altri potrebbero averne. Così diceva S. Paolo: “Se ciò che mangio arreca offesa al mio fratello, preferisco non mangiare mai carne per tutta la vita, per non offendere il mio fratello. (1. Cor. VIII, 13). Eleazar preferì morire piuttosto che mangiare le carni non consentite, lasciando credere di aver mangiato carne di maiale: non voleva essere colpevole di scandalo. (II Macch. VI, 18).

2. Le azioni comandate da Dio non devono giammai essere omesse, perché gli altri se ne formalizzerebbero; tuttavia, queste anime deboli devono essere istruite per evitare lo scandalo.

Una buona azione non può mai essere un vero scandalo, ma al contrario un soggetto di edificazione. È colui che si scandalizza che commette un peccato, perché si deve essere viziosi per scandalizzarsi del bene (Terr.). È meglio permettere questo scandalo che tradire la verità. (Id.). Gesù sapeva che i Giudei si sarebbero scandalizzati per le sue guarigioni di sabato. Non ha omesso le guarigioni in giorno di sabato per questo motivo, ma li ha istruiti dicendo loro: “Se qualcuno di voi ha una pecora che cade in una fossa di sabato, non la prenderà e non la tirerà fuori? Non è migliore un uomo e più eccellente di una pecora? È dunque lecito fare del bene nei giorni di sabato (S. Matth. XII, 10). – Si potrebbe, in caso di necessità, omettere una o l’altra delle azioni comandate dalla legge umana, anche da quella ecclesiastica (ad esempio, la partecipazione alla Messa), se fosse necessario per evitare uno scandalo; ma sarebbe poi necessario illuminare la falsa coscienza di questi deboli. – Come regola generale, le leggi umane non obbligano fino al punto di costringere a subire un danno grave, perché Gesù dice che il suo giogo è dolce ed il suo fardello leggero (S. Matth. XI). La cosa migliore sarebbe agire immediatamente dopo essersi spiegato: un’azione energica spesso abbrevia tutte le lamentele.

3. È lecito ferire o addirittura uccidere il prossimo, quando un malfattore minaccia la nostra vita o un oggetto che è assolutamente essenziale per la vita e non possiamo difenderci altrimenti. Questo si chiama diritto alla legittima difesa.

Un atto commesso in questo caso non è colposo, perché il suo scopo non è la morte del nostro prossimo, ma la conservazione della nostra vita; e le azioni derivano dal loro valore morale dal loro scopo diretto e non da una conseguenza non voluta. (S. Th.). Ma deve trattarsi di un atto di difesa, non di vendetta; se possiamo fuggire, dobbiamo ricorrere a questo, e se è sufficiente ferire l’aggressore, non è permesso ucciderlo. Il fatto che l’aggressore sia pazzo non cambia la legge. Le donne, in particolare, possono usarlo contro chi attenterebbe alla loro purezza (S. Ant.). Questo diritto può anche essere usato per proteggere il prossimo, come fece Mosè quando uccise un egiziano per salvare un ebreo dai suoi attacchi. (Es. II). Possiamo uccidere qualcuno che attacca la nostra proprietà solo quando è assolutamente necessario per la nostra vita, perché in quel caso è la sua vita che stiamo difendendo. Non potremmo, ad esempio, uccidere un ladro che ci sottrae un indumento (Innoc. XI). Non è più legittima difesa quando si è semplicemente insultati (Id.). Il potere civile ha anche il diritto di condannare a morte i criminali ed i soldati possono uccidere i nemici in caso di guerra. Il potere civile detiene la spada come rappresentante di Dio; S. Paolo dice che il potere civile ha il diritto di uccidere i nemici in caso di guerra. Paolo dice che non la tiene invano, ma per punire coloro che fanno il male. (Rom, XIII, 14). L’autorità della società è quella di Dio stesso; è Lui e non essa che esegue, così come non è la spada che colpisce, ma la mano che la impugna. (S. Aug.). Ovviamente la pena di morte non deve essere pronunciata arbitrariamente, ma solo quando sia assolutamente necessario per mantenere l’ordine nella società. La pena di morte non è altro che l’esercizio del diritto della società alla legittima difesa. Si può tagliare un arto per salvare il corpo, così come si può eliminare un criminale dalla società per salvarla. (S. Th. Aq.). Va da sé che il crimine deve essere provato, perché è meglio lasciare il crimine impunito che punire un innocente (Trajan). Naturalmente, lo scopo della pena di morte non è quello di emendare il il colpevole, né come obiettivo diretto l’ispirazione di un terrore salutare, poiché ci sarebbero altri mezzi per farlo. È un errore credere che la Chiesa sostenga la legittimità della pena di morte attraverso l’attaccamento alla pena di ritorsione: Occhio per occhio per occhio, ecc. Questa massima è ebraica, non cristiana; la Chiesa ha sempre aborrito lo spargimento di sangue e desidera che ogni peccatore abbia il maggior tempo possibile per prepararsi alla morte; Essa insegna solo che la pena di morte non è contraria alla legge divina. – La carriera militare non è proibita da Dio, perché in nessun punto il Vangelo si ordina o consiglia ai soldati di lasciare il servizio; dice solo di accontentarsi della paga e di non fare violenza a nessuno. Lo stato militare non è condannato da Dio, perché molti soldati erano a lui favorevoli: Davide, il centurione Cornelio al quale Dio mandò S. Pietro a Cesarea, Abramo che fu benedetto nel nome del Signore da Melchisedech dopo una spedizione bellica. (Gen. XIV). Il soldato non deve essere crudele contro coloro che sono fuori dal combattimento, il che sarebbe un crimine contro il diritto delle nazioni. La Chiesa proibisce ai suoi ministri di portare le armi, perché la guerra è incompatibile con le loro sublimi funzioni; così tutte le nazioni civilizzate esonerano i Sacerdoti dal servizio militare.

4. CHIUNQUE DANNEGGI INGIUSTAMENTE LA VITA CORPOREA O SPIRITUALE DEL SUO PROSSIMO, È RIIGOROSAMENTE TENUTO A RIPARARE PER QUANTO POSSIBILE IL DANNO CAUSATO.

Se ha ferito il prossimo è tenuto a pagare l’onorario del medico, il danno causato al suo patrimonio; se lo ha ucciso, è obbligato a risarcire i suoi beneficiari. Se lo ha sedotto o scandalizzato, è obbligato a riparare le conseguenze negative con il buon esempio, la preghiera, i buoni consigli, ecc. Se rifiuta o trascura questa riparazione, il peccato non sarà mai perdonato, nonostante tutte le assoluzioni. – Nella maggior parte dei casi, ahimè, è impossibile riparare completamente all’omicidio di corpi ed anime. Aveva ragione l’eretico Berengario quando sul letto di morte disse: “Presto comparirò davanti al tribunale di Dio; spero di essere perdonato per i miei peccati, ma per i peccati di coloro che ho sedotto, temo di essere perduto, perché non vedo il modo di riparare al male che ho fatto. – Lo stato di peccato mortale è un crimine irreparabile, come lo scandalo che ha fatto precipitare un’anima all’inferno. Non dobbiamo quindi stupirci che Dio abbia definito l’omicidio un crimine che grida vendetta contro di Lui, e che Gesù ha detto: Guai a colui per cui avviene scandali (S. Luca XVII, 1).

Dei motivi che ci devono dissuadere dal togliere la vita a noi stessi ed al prossimo.

1 . Attentare alla propria vita (vita e salute) significa attirarsi gravi malori ed un gran castigo da parte di Dio.

Ogni giorno la stampa riporta incidenti – con feriti o morti – accaduti a persone che hanno incautamente messo a rischio la propria vita: addestratori di animali, turisti sciocchi, fantini alle corse, toreri, ecc. – Sappiamo anche quali terribili malattie suscitano la maggior parte dei vizi. – Anche Santi come San Gregorio Magno e San Bernardo espiavano dolorosamente l’imprudenza delle loro mortificazioni. Quanti suicidi non muoiono subito, ma vivono per qualche tempo tra atroci sofferenze.

2. I tentativi di attentato alla vita del prossimo provocano orribili rimorsi, sono spesso puniti in questa vita da una morte violenta e nell’eternità dall’inferno.

Dopo l’omicidio di Abele, Caino non trovò pace sulla terra (Gen. IV, 16) e questo è il destino di molti assassini. La maggior parte di loro muore di morte violenta, o sul patibolo, per suicidio o per assassinio. Chiunque abbia versato il sangue dell’uomo sarà punito con lo spargimento del suo stesso sangue (Gen. IX, 6): chi usa la spada perirà di spada (Gesù a Pietro). In effetti a Dio piace talvolta applicare la pena della ritorsione; Aman, il favorito del re di Persia, Assuero, aveva ottenuto il permesso di uccidere in un solo giorno tutti i Giudei del regno: egli stesso fu impiccato sulla forca che aveva preparato per Mardocheo (Esth. III). Saul, che aveva più volte attentato alla vita di Davide e aveva ingiustamente giustiziato il sommo sacerdote con altri 80 sacerdoti, si suicidò (I. Re XXII-XXXI). Il Faraone aveva fatto annegare nel Nilo tutti i bambini maschi degli Ebrei, e lui stesso con tutti i suoi combattenti fu sommerso dal mare Rosso. (Es. XIV). La morte di Gesù fu terribilmente vendicata in Giuda, in Pilato e tutto il popolo ebraico all’assedio di Gerusalemme, dove perirono quasi un milione di ebrei. Tutti i persecutori della Chiesa morirono di morte violenta: Nerone si suicidò, Giuliano l’Apostata cadde in battaglia, ecc.; Antioco, che aveva martirizzato Eleazar e i fratelli Maccabei, fu divorato vivo dai vermi. I due ladroni al Calvario ebbero le ossa spezzate, come avevano fatto nei loro omicidi. Gli omicidi non entreranno nel regno di Dio (Gal. V, 19), avranno la loro parte nel lago pieno di zolfo ardente (Apoc. XXI, 8). – Gli stessi castighi hanno spesso raggiunto gli assassini di anime, uomini che hanno privato le anime della vita della fede con i loro discorsi o i loro scritti. Ario è morto durante una processione, e J.-J. Rousseau è morto improvvisamente.

3. Chi odia il prossimo perde il riposo dell’anima e la grazia di Dio. Le sue preghiere non vengono esaudite e rischia di essere dannato.

Chi è animato dallo spirito di odio e di vendetta non ha riposo; la sua anima è come un punto di ebollizione e sembra che un boia la scortichi continuamente (S. G. Cris.). – L’odio porta alla perdita della grazia di Dio. “Non si può essere in unione con Cristo ed in discordia col proprio fratello. Se gli operatori di pace sono figli di Dio, quelli che seminano discordia sono certamente figli di satana (S. Gregge. Naz.). Il fuoco dell’odio è inestinguibile come quello dell’inferno, in cui bruciano, e provano che sono figli dell’inferno (S. Lor. Giust.). Come una ferita è incurabile finché l’arma non sia lontana da essa, allo stesso modo la preghiera è riprovata da Dio, finché il dardo dell’odio sia fisso nel suo cuore (S. Aug). Per questo Gesù ha detto: “Se, quando presentate la vostra offerta all’altare, ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia il tuo dono davanti all’altare e va’ a riconciliarti prima con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono” (S. Matth. V, 23). – Gesù ha detto: “Chiunque si adira con il proprio fratello merita di essere condannato al Giudizio. (Ib. 22). – I sentimenti di odio devono essere soppressi immediatamente, il sole non deve tramontare sulla nostra rabbia (Efes. IV, 26). Quando una lussazione è rimessa immediatamente, l’arto torna facilmente nella sua posizione normale: se, al contrario, il trattamento viene trascurato, rischia di rimanere nella sua falsa posizione. Lo stesso si può dire dell’inimicizia: la riconciliazione immediata costa poca fatica, ma qualche tempo dopo, accecati dall’ira, non siamo così sereni da concedere il perdono: dobbiamo quindi affrettarci a placarla. (S. G. Cris.). Se sapessimo che la nostra casa è infestata da serpenti, ci affretteremmo a liberarla; ma l’odio e l’inimicizia non sono non sono che serpenti, e noi non li cacceremmo dal nostro cuore, che è il tempio di Dio (S. Aug.).

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3. LA MANIERA DI TRATTARE GLI ANIMALI.

Dio ha creato gli animali per la sua gloria e per il nostro servizio. Con la loro varietà, le loro attitudini, la loro utilità, gli animali proclamano l’onnipotenza e la saggezza del Creatore. Essi ci servono, fornendoci ciò che è utile per il nostro sostentamento: cibo, vestiti, medicine, aiutandoci nel nostro lavoro, ci deliziano con la loro gentilezza, i loro canti, i loro colori, ecc.; altri ci danno l’esempio di ciò che è buono: le api e le formiche ci esortano a lavorare, le cicogne ad amare i nostri figli, le pecore ad essere pazienti, i galli alla vigilanza, ecc.

La provvidenza di Dio si estende agli animali.

Dio ha organizzato il regno animale in modo mirabile. La struttura corporea di ogni animale corrisponde al ruolo che deve svolgere, come la talpa, il riccio, il cammello e così via. Dio ha dato a ciascuno di loro alcune attitudini naturali che servono a preservarli. Ognuno di loro sa come trovare il cibo, costruire il nido, accudire i suoi piccoli, attaccare la parte più debole dei suoi nemici, ecc. Ciascuno è dotato delle armi necessarie alla sua difesa: il bue è armato con le corna, il cavallo con gli zoccoli, l’elefante con la proboscide, il cane con l’olfatto, il riccio con le punte, la lepre con l’udito e la velocità. Alcuni animali come la lepre, la pernice e l’allodola sono protetti perché hanno il colore del terreno; i piccioni viaggiatori e gli uccelli migratori trovano con meravigliosa facilità la direzione da prendere ed i loro nidi, che spesso si trovano a centinaia di leghe di distanza. Molti mammiferi indossano in inverno un mantello più caldo, più adatto al clima. Queste cure della Provvidenza hanno portato Gesù a dire: “Nessun passero cade a terra senza la volontà del Padre che è nei cieli (S. Matth. X, 29). Così l’uomo, come re della creazione, deve prendersi cura degli animali e non abusare della sua superiorità su di loro. –

L’uomo è obbligato a prendersi cura degli animali, ad astenersi dalla crudeltà, a non uccidere alcun animale utile senza motivo, ma anche a non mostrare esagerata tenerezza nei loro confronti.

Noi siamo obbligati a prenderci cura degli animali. “Il giusto – dicono i Proverbi (XII, 20) – si prende cura dei suoi animali, ma il cuore dell’ingiusto è crudele. Chi ha animali deve dare loro il cibo adeguato, mantenerli puliti ed evitare tutto ciò che potrebbe danneggiarli. (In estate, non dare loro l’acqua al momento sbagliato; in inverno, non permettere che vengano parcheggiati senza motivo sulle strade, (ad esempio davanti alle locande). È una cosa nobile pensare ai piccoli uccelli in inverno e dare loro del cibo, preparare per loro delle cassette sugli alberi per l’estate onde nidificare. Questa sensibilità verso gli animali nobilita il cuore umano, come l’esperienza ha dimostrato con i bambini crudeli e i prigionieri. – Non è lecito tormentare gli animali e trattarli come esseri che non provino dolore. È così che spesso vediamo contadini e dei vetturini sovraccaricare i loro animali, poi si arrabbiano e li picchiano senza senso; altri non danno loro nemmeno un po’ di cibo sufficiente o li tengono in stalle sporche. – Alcuni cocchieri tormentano i loro animali facendoli correre troppo, senza nemmeno dare loro, secondo la legge di Mosè (Es. XX 8-11) un giorno di riposo alla settimana. I macellai ed i ricercatori, quando nell’esercizio della loro professione, nei loro esperimenti (vivisezione) prolungano o aumentano inutilmente il dolore degli animali; i bambini quando maltrattano uccelli o trafiggono gli insetti senza prima ucciderli; i cacciatori che inseguono le prede con alcuni segugi, nel tiro al piccione come praticato in alcune città d’acqua; i cavalieri nelle cosiddette incursioni forzate… Mai tormentare una bestia, essa è sensibile come noi. – È vietato uccidere gli animali utili, perché sono manodopera gratuita per l’uomo: una sola coppia di uccelli ed i loro piccoli divorano migliaia di insetti all’anno che noi non potremmo mai distruggere con le nostre mani. E pensare che in Alto Adige e in Italia, le rondini ed altri uccelli viaggiatori vengono uccisi in massa con inaudita crudeltà. Ci sono uccellatori che uccidono diverse centinaia di chilogrammi di uccelli da richiamo.

centinaia di chilogrammi di uccelli canori al giorno, per venderli ai fabbricanti di cappelli per signora, che ne impiegano milioni: 25 milioni solo in Inghilterra. Si dice addirittura che la crudeltà si spinga fino a scuoiare vivi i colibrì per preservare la brillantezza dei loro colori. Ciò vale anche per gli insetti dannosi per l’agricoltura, vigneti e foreste. Senza dubbio è lecito distruggere gli animali dannosi, ma è sempre vietato torturarli o addirittura ucciderli quando sono di proprietà altrui. (Oltre agli uccelli canori, altri animali utili sono i pipistrelli, le api, le talpe, le rane, i rospi e i serpenti). -D’altra parte, non dobbiamo avere un eccesso di tenerezza per gli animali che li faccia preferire all’uomo, considerandoli come idoli a cui dedicare tutti i nostri pensieri e le nostre cure, seguendo l’esempio degli egiziani che adoravano i gatti, i buoi, ecc. Un uomo religioso una volta disse ad una signora che amava così tanto gli animali, quanto sarebbe più utile per te se amassi il tuo Dio con lo stesso affetto con cui ami gli animali!

Chi è crudele o troppo tenero con gli animali, diventa facilmente duro e crudele con i loro simili.

I bambini che tormentano le bestie sono molto disposti a tormentare gli uomini. La maggior parte dei tiranni sono stati tormentatori di animali in gioventù. – Un criminale che stava per essere giustiziato si rivolse ancora una volta al popolo e disse: “Fin dalla mia giovinezza ho provato piacere nel torturare gli animali. Da giovane mi sono divertito a torturare le bestie, poi ho aggredito gli uomini, ecco perché sto morendo sul patibolo. – Un giorno una signora stava passeggiando con il suo bambino e il suo cagnolino; quando giunse ad un ponte prese il cane in braccio e lasciò il bambino a se stesso: “Donna senza cuore “, disse qualcuno che la incontrò, “non ti vergogni di lasciar correre il tuo bambino e di portare la tua bestia, quando invece dovresti fare il contrario” Guardiamoci dall’eccessiva tenerezza per gli animali: ci renderebbe crudeli.

La crudeltà e l’eccessiva tenerezza verso gli animali sono solitamente puniti da Dio.

Torturare gli animali significa distruggere il progetto della creazione, abusare del potere che ci è stato affidato, ed è quindi un’offesa al Creatore. Dio considera questi uomini crudeli come carnefici ai quali applicherà la pena della ritorsione. Un contadino era solito colpire i suoi cavalli ai piedi con un frustino; lui stesso, in seguito, si ammalò di gotta, rimase paralizzato alle gambe e soffrì di dolori atroci: sul letto di morte confessò e pianse la sua colpa. Il figlio di un contadino si divertiva a catturare uccelli e li scuoiava vivi, poi strappava loro le zampe. Più tardi cadde nel calderone bollente di una birreria, si scottò e dovette subire l’amputazione delle gambe: visse ancora per qualche anno da zoppo, rimase per tutta la vita un terribile esempio della vendetta di Dio e non smise mai di esortare gli altri ad essere gentili con gli animali. L’Areopago di Atene condannò a morte un bambino che aveva cavato gli occhi alle quaglie e poi le aveva lasciate volare via; questo tribunale pensava che un bambino con tali istinti malvagi non potesse che diventare un uomo perverso (Quintiliano in: Istituzioni V, 9). – La stampa riporta spesso che la tal persona sia morta di avvelenamento del sangue per aver baciato dei cani o che lo stesso disordine abbia introdotto nel corpo parassiti mortali.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXII)

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (19)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XX.

VITA AVVENIRE

I. Morti noi, è finito tutto. II. Non è mai venuto nessuno dall’altro mondo.

A rovesciare tutta la religione, anzi pure tutte le virtù umane, nulla è così orribilmente efficace come l’indebolimento della fede intorno alla vita avvenire. Imperocché la speranza del premio anima ed accende soprattutto le anime generose, e poco men che loro non mette le ali al fianco, ed il timore di un gastigo, per ogni canto formidabilissimo, non può non raffrenare l’audacia di chi vuole commettere il male. Gli è perciò, che quelli, che al tutto vogliono gittarsi in braccio alle loro passioni, hanno trovato certi assimili, che loro vengano in aiuto.

I. Morti noi, è finito tutto: ecco il primo di essi. Ora che cos’è a rispondere? Io prego il lettore cortese a porvi ben mente. Se noi non fossimo per gran mercè divina fatti cristiani, ed ancora giacessimo nelle ombre della morte, siccome erano i nostri padri gentili e tuttora sono tanti poveri selvaggi nell’Oceania o nelle Indie, se fossimo ancora, dico, in questa condizione, tuttavia sarebbe un errore intollerabile. Imperocché, delle tante sette ed errori, e religioni false e bugiarde, che vi furono e che vi sono al mondo, se voi ne eccettuate alcuni pochi epicurei, niuna, per quanto stupida ed abbrutita, mai vi fu che non tenesse come indubitata una vita avvenire, nella quale le anime avessero un premio od una pena, proporzionata al modo che avevano tenuto o buono o reo nell’operare. Voi potete raccogliere questa verità dalle storie, le quali tutte vi fan sapere che ogni popolo ha ammesso un inferno ed un paradiso: poniamo pure che immersi in errori folli fingessero un paradiso di voluttà non convenevoli, un inferno di pene arbitrarie. I poeti più celebri dell’antichità, i filosofi più assennati, in ciò convengono coi codici religiosi di tutte le nazioni. Virgilio, tuttoché gentile, descriveva in mezzo a Roma pagana l’inferno, lo descrivevano gli Indiani, i Cinesi, i Persiani, gli Egizii, e quante sono le nazioni della terra, e tutti partono da questo principio, e tutti in questo risolvono la gran quistione della vita. Ora, in qual modo hanno fatto tutti i popoli a formare questo giudizio? Vi basterebbe l’animo di condannare tutti gli uomini, e grandi e piccoli, e dotti ed ignoranti, piuttostoché condannare alcuni pochi interessati nella gran causa di negare una vita futura,.per non doverla temere infelice? Se si dovesse risolvere questa causa a ragione di testimonianze e quanto al numero e quanto alla qualità, ognun vede che morti noi, è finito tutto sarebbe presto sentenziato. Eppure, oh con quanta efficacia il mondo intero ha testificato il suo sentimento intorno alla vita futura! Niuno dirà, che gli uomini vogliono burlare e ridere anche presso le tombe. Il dolore di chi perde i suoi cari, lo stato pieno di miserie a cui si riducono i nostri corpi, ne toglie perfino l’ombra della possibilità. Ora, cosa fanno gli uomini coi loro defunti, presso tutte le nazioni? La riverenza in che li tengono, le espiazioni che fanno per le anime, i riti, le cerimonie e perfino le superstizioni che si praticano a loro riguardo, tutte dimostrano che si crede che esse non solo abbiano un’altra vita, ma che perfino possano ritrarre vantaggio da quello che noi facciamo per loro. Sarebbe lungo l’esporre tutte ed anche inutile, poichè niuno, che abbia anche un poco sfiorate le storie, può dubitarne. Il perchè è a dire o che tutte le nazioni sono in errore, o che morti noi, non è finito tutto. – Sebbene senza cercarne ragioni fuori di noi, in noi stessi abbiamo le prove che non finisce tutto finiti noi. Imperocché che cosa è quel desiderio in fondo a tutti i cuori di una immortalità beata? Al vedere che è sì universale, sì costante, non possiamo non riconoscere che ci è stampato nell’animo per mano di natura. Ora, che è altro la man di natura, se non la mano di Dio? E la mano di Dio, il quale poteva non scolpircelo, ce l’avrà scolpito appunto per ingannarci, anzi per illudere tutte le umane generazioni? No, non può essere. Una sapienza infinita non opera a caso, non imprime un desiderio che non debba avere effetto. Non è dunque un vano sentimento quello dell’immortalità. Similmente il timore delle pene dell’altra vita chi l’ha scolpito nel cuore degli uomini? Perché temono i peccatori all’appressarsi della morte? Perché questo palpito ancora nei Gentili, se non perché tutti sentono che non tanto si approssimano alla morte, quanto alla sentenza di un Giudice, il quale chiederà conto di quello che si è operato in vita? Al sentimento universale di natura si aggiunge quello che si ritrae dallo stesso Dio per confermarlo. Chiunque riconosce che Dio esiste, non può non riconoscere anche che Dio sia giusto, che Dio sia buono, che Dio sia provvido, che sia misericordioso. Un Dio che non fosse tale, non sarebbe più Dio; e se già altri non giunge alla forsennatezza di negare l’esistenza divina, bisogna che ammetta la giustizia, la provvidenza, la bontà, la misericordia nella divinità: ma ciò è lo stesso che riconoscere l’esistenza della vita futura. Imperocché chi non vede che qui sulla terra Iddio pei suoi altissimi fini, e soprattutto per esperimentare la nostra fedeltà, non vuole dare ai buoni il meritato compenso, né ai cattivi il meritato castigo? Se ne lagnano talora perfino i Santi, che l’empio sopraffà il buono, che il prepotente opprime il debole, che il ricco divora il povero, che l’iniquo prospera colle sue macchinazioni, colle sue trame, colle sue iniquità: ed al contrario che il giusto soccombe, che se ne giace tra le lagrime ed il dolore, vittima di chi l’opprime, lo diserta, lo schianta. Ora tutto ciò perché è tollerato da Dio? Unicamente perché quale oppressione debba valere a prova di fedeltà, ad esercizio di virtù momentaneo, e a discernere i buoni dai cattivi: ma poi un Dio buono non può non compensare con larga retribuzione i buoni, non può non punire con giusta severità i cattivi. Il perché debbe esservi un’altra vita, dove tutto ciò si faccia e si faccia con ogni santità, giustizia, misericordia, bontà. Quanto sono necessarie in Dio le divine perfezioni, altrettanto è necessaria la vita avvenire, ed altrettanto è falso che morti noi, è finito tutto. E di qui anzi si trae un’altra ragione efficacissima contro quell’empio assioma. Se non vi fosse un’altra vita, in cui si rendesse giustizia, avrebbero ragione tutti quelli, i quali vivono più perdutamente, che sfiorano tutte le delizie della terra, tutti i piaceri della carne, e che cogli empii, di cui si parla nella Sapienza, non pensano ad altro che a coronarsi di rose, ad inebriarsi di vini, a profumarsi di unguenti, a tuffare il labbro nel calice di tutti i diletti. Avrebbero ragione eziandio quelli, i quali colla prepotenza, coi soprusi, colle soperchierie e perfino colle violenze, colle rapine, cogli ammazzamenti si procacciano i beni del mondo: imperocché come il mondo è per lo più di quelli, i quali se lo usurpano, se non vi ha nulla da temere nella vita avvenire, nulla a sperare, perché non godere almeno qui sulla terra quello che si può godere, e goderlo a qualunque costo? Anche il nome di virtù e di vizio scompare dalla terra se non vi è vita avvenire. Imperocché la virtù costa grandi travagli, il vizio al contrario è sommamente consentaneo alla nostra guasta natura. Se tutto il nostro vivere si limita qui alla terra, se la virtù non porta immensi e preziosissimi frutti per l’eternità, ed al contrario se il vizio non produce lagrime inconsolabili nell’altra vita, qual motivo di praticare quella e di guardarsi da questo con tanta fatica e con tanta inutilità? Il perché se morti noi, è finito tutto, bisogna dire che Dio abbia creati gli uomini non pel bene ma solo pel male; che in loro non abbia posto ordine di alcuna sorta, ma lasciatili in balia del caso; che a Lui non importi né di vizio nè di virtù; che sia lo stesso ai suoi occhi chi immola tutta la sua vita nei più eroici sacrifizii e chi la logora nei più immani delitti: bisogna dire che Dio non sia provvido, né giusto, né buono: in una parola, che non sia Dio: ed ecco in che ricade finalmente quel mostruoso assioma che morti noi, è finito tutto. E con tutto ciò fin qui voi l’avete considerato anche prescindendo dalla fede cristiana; ma se voi lo ponete sul labbro di un Cattolico, quel detto vi comparirà in una orridezza, se è possibile, anco maggiore; poiché è una formale negazione di tutto il Cristianesimo. Di grazia, non tacciate di esagerata questa proposizione prima di averla intesa. Che cosa è il Cristianesimo? È una religione che, non ammessa la vita avvenire, non è più altro che un ammasso di assurdi, di sciocchezze, di falsità. I beni che ci promette sono beni spirituali da non potersi conseguire in questa vita. Un regno di beatitudine, gaudii smisurati, possessione beatifica di Dio, cose grandi in eccesso, ma tutte per la vita avvenire, tutte per l’eternità. Se morti noi, è finito tutto, che cosa addivengono quelle promesse che sono il grande scopo della Religione cristiana? I castighi minacciati dalla legge cristiana sono principalmente, per non dire quasi unicamente, le pene smisurate del fuoco, dello stridore dei denti, del verme delle coscienze e della privazione di Dio in fondo all’inferno: ma tutto ciò è nella vita avvenire. Se non vi è vita avvenire, non vi è più castigo di sorta; e che cosa si debbono stimare tutte quelle minacce? Il Cristianesimo nei dogmi che propone a credere, nella vita che obbliga a condurre, è tutto stabilito sulla fede nella vita avvenire. Cardine e fondamento di tutta la nostra fede, come a lungo discorre san Paolo, è la risurrezione di Gesù e la vita che egli mena gloriosa in cielo, esemplare della nostra futura risurrezione e della vita che meneremo un giorno con Lui.. E perciò ci propone la nostra fede a credere esplicitamente la vita eterna. Se morti noi, è finito tutto, dov’è l’eternità della vita, se non vi è pure la vita? La perfezione che il Cristianesimo apportò sulla terra, consiste in ciò principalmente, che, in vista dei beni futuri, noi dispregiamo i presenti, in vista dello spirituale ed eterno noi non curiamo il sensibile ed il temporale: ma senza la vita eterna ognun vede che tutte le speranze che la fede ci dà, altro non sono che illusioni ed inganni. – Tutte le virtù cristiane ci portano o a disprezzare i beni esteriori, od a contrastare le lusinghe del senso, od a frenare le esorbitanze del nostro spirito: ma tutto ciò senza il compenso della vita eterna non ha punto significato. Imperocché, che cosa direste voi di chi vi togliesse tutto quello che avete qui tra mano, la casa, l’argento, le suppellettili, le sostanze, sulla promessa che egli vi porrà in un paese amenissimo, in un palagio riccamente fornito; se poi né questo paese, né questo palagío esistessero? Sarebbe costui un traditore, che vi ha levato il presente che possedevate, in vista di quello, che non può darvi. Lo stesso potreste dire di Gesù, il quale con le virtù che vi comanda, vi spoglierebbe dei beni esterni, dei diletti del corpo, delle soddisfazioni dello spirito, promettendovi gran soprabbondanza di beni nell’altra vita, senza tuttavia potervi mantenere nulla di quello che vi promette, perché, nel supposto di costoro, non vi sarebbe neppure altra vita. – Inoltre, tutta la certezza della santa fede dove andrebbe a finire? Noi non crediamo alla fede senza motivi saldissimi e potentissime ragioni che a ciò ci spingono. Le abbiamo in altro luogo accennate, e sono prove storiche di fatto, prove di ragione, prove di esperienza. Concorrono a raffermarci nella fede le voci di Dio, colle profezie, coi miracoli e i martirii e colla propagazione e col mantenimento prodigioso della Religione. Vi concorrono i pii grandi uomini della terra col loro consenso ed autorità e profondi ragionamenti. Vi concorre perfino l’inferno col suo furore e col riconoscere visibilmente la potenza del Cristianesimo. Tantoché fu ben detto nella Scrittura, che le testimonianze, che Dio ci ha dato in tal proposito, non solo sono bastevoli, ma sono perfino soverchie: Testimonia tua credibilia facta sunt nimis. Ma tutte queste testimonianze ché mettono fuori di ogni dubbio la nostra fede, che cosa testificano principalmente? La vita avvenire; poiché la vita avvenire nel cielo è quella che ci propongono ad acquistare. Per la vita avvenire è fondata la santa Chiesa, la quale combatte in questa terra solo per trionfare nella Gerusalemme celeste. I Sacramenti sono tutti stabiliti, come altrettanti mezzi per giungere alla vita avvenire. – Nell’orazione principalmente chiediamo la vita avvenire. Ora se morti noi, è finito tutto, come dicono gli empii, bisogna dunque rinnegare tutta la fede, la Chiesa, i Sacramenti, le preghiere, tutto il Cristianesimo, e condannare i Martiri, i Profeti, gli Apostoli ed i Dottori, come quelli che, d’accordo tutti insieme, ci hanno ingannato. Io non dubito che ad un lettore assennato, non dico Cattolico, farà qualche orrore il gettarsi in sì grande abisso: eppure vi si precipita chiunque dice da senno quell’empia parola. – Del resto, l’hanno creduta vera poi almeno quelli che l’hanno inventata? Nulla meno. Lo stesso Voltaire, il quale tanto faceva per persuadersi che non vi era né paradiso, né inferno, per non essere obbligato a sperar quello, od a temere questo, mai non vi pervenne. Imperocché scrivendogli una volta uno dei suoi amici scellerati, che finalmente eragli riuscito di levarsi la paura dell’inferno, egli, con quel sarcasmo suo consueto, per mostrargli che non gliel credeva, “voi, gli rispose, siete più fortunato di me, perché a me non è ancora riuscito.” E quello che disse in vita, lo disse in morte, quando mandò cercando il confessore, sebbene, per giusto giudizio di Dio, noi potesse avere. E similmente operarono molti di quei più famosi increduli, i quali, presso alla morte, tanto credettero all’eterna vita, che vollero per questo riconciliarsi con Dio. Un solo mezzo vi ha per poter morire freddamente senza timore dell’avvenire: aver congiunto ad un’estrema malizia un’ignoranza estrema, per tutto il corso della vita, di tutto quello che è, non dico Cristianesimo, ma pure sentimento religioso. Vegga, dunque, ognuno quello che dice, quando ripete quella mostruosa parola.

II. L’altro assioma è: Ma non è venuto niuno dall’altro mondo a dirci come colà vadano le cose. Chi ha inteso quello che abbiamo detto di sopra, non ha più bisogno di risposta speciale a questo nuovo detto; tuttavia, facciamoci sopra qualche osservazione. Niuno è mai venuto dall’altro mondo. Sia pure. E dunque non avremo più modo di sapere le cose, se non venga qualcuno dall’altro mondo a dircele? E che? Non abbiamo noi che siamo in questo mondo la ragione, la quale ci discopre molte cose che non cadono sotto i sensi, e che non ci sono testificate da altri uomini? – Se non volete credere ad altro che agli occhi vostri corporei, vi converrà rinunziare a tutte le verità che si deducono per raziocinio. Poffare! Si è studiata tanta filosofia ai nostri tempi, che ci fanno da filosofi fino i putti che frequentano la metodica, e poi si discrede a quello che si deduce per raziocinio! Perché dunque credete che due e due fanno quattro, e che dieci aggiunti a dieci fan venti? Chi è venuto dall’altro mondo a dirvelo? Oh per questo basta il raziocinio. Sì. E non basta il raziocinio per capire che Dio è giusto, e che se è giusto bisogna che punisca i malvagi e premii i buoni? Che non facendolo in questa vita, l’ha da fare in un’altra? Non basta il raziocinio per dedurre che se vi ha un Dio, vi vuole una religione; che se un Dio l’ha rivelata, bisogna crederla; che se ha operato miracoli di ogni fatta in favore del Cristianesimo, questo dev’esser vero, ed andate dicendo, di altre innumerabili verità? Che se si tratta di quelle verità, le quali sorpassano il raziocinio e che appartengono alla santa fede, è egli vero Che niuno sia venuto dall’altro mondo a dircele? I Profeti non ci hanno prenunziato l’avvenire, ispirati da chi era all’altro mondo? Il Figliuolo di Dio non era forse in tutta l’eternità in seno del Padre, e fattosi uomo, non è venuto ad annunciarci quello che Egli ivi aveva appreso? Gli Apostoli nun l’hanno inteso dalla bocca di Lui? Non ha parlato con loro e prima e dopo la risurrezione? I santi Vangeli non sono forse la parola di chi è venuto a bella posta dall’altro mondo per ammaestrarci? Il maestro adunque vi è, ed è autorevole, ed è efficace, ed è un Dio: e la ragione bene impiegata basta a convincerne che esso è tale: che senso adunque hanno quelle parole: Niuno è venuto dall’altro mondo? Inoltre, se quel detto diventasse la regola dell’operare umano, basterebbe a piombare un uomo nel baratro della più mostruosa ignoranza e del più stupido abbrutinamento, che mai siasi potuto immaginare. Imperocchè che cosa sonerebbe in pratica? Che tutto quello che riguarda la religione è tutto incerto, e tutto si può trascurare senza alcun danno. Per niun altro fine si adopera quel detto, almeno da chi l’intende. Ora che cosa è questo se non proclamare che non vi ha verità religiosa, e quindi non vi ha verità morale? Se la verità religiosa è dubbia, è come se non fosse. Gli uomini già ricalcitrano, già si ribellano alle leggi certe, alle leggi anche solennemente promulgate e con rigor mantenute: pensate se sarebbero disposti a sottoporsi a leggi dubbiose ed a leggi incerte. – Le verità religiose poi, le cristiane soprattutto, impongono pesi all’inferma nostra natura non così agevoli a sostenersi; il perché coll’interesse che hanno le passioni a scuoterle, dove esse fossero già dubbie in sé medesime, non ne rimarrebbe più nulla in piedi. Quindi è che il proclamare che nessuno è venuto dall’altro mondo torna in pratica a dire: che siamo sciolti da ogni legge umana e divina, che ognun faccia quel che meglio gli piace, e che, vissuti questi pochi giorni e goduto il più che si possa il mondo, ritorneremo nel nulla donde fummo cavati. Gran che! Iddio ha innalzati gli uomini fino a renderli di poco inferiori agli Angeli; eppure ve n’ha di quelli che troverebbero ogni lor delizia nell’essere pari ai ciacchi! Convien dire che chi aspira ad un vanto sì nobile, ne riconosca in sè le qualità: ma voi, lettore assennato, sapendo che le verità che noi crediamo sono state pubblicate da Colui che era in seno del Padre, non vi commovete a queste voci di aspide e di serpente.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (11).

V. COMANDAMENTO DI DIO.

Il 5° comandamento di Dio ci proibisce di attaccare la nostra vita e quella dei nostri prossimi, e la crudeltà verso gli animali.

I. I NOSTRI DOVERI VERSO LA NOSTRA VITA.

Il corpo è l’oggetto delle più belle cerimonie della Chiesa nell’amministrazione dei Sacramenti, con cui la Chiesa vuole ispirarci un grande rispetto per il nostro corpo e farci capire il suo valore e la sua dignità.

1. LA SALUTE E LA VITA DEL CORPO SONO DI GRANDE VALORE PER LA VITA DELL’ANIMA E DELLA ETERNA SALVEZZA.

Il corpo è la dimora creata da Dio per l’anima immortale; lo stato del corpo dipende spesso da quello dell’anima.

Il corpo fatto di limo era all’inizio una dimora disabitata: Dio ha creato allora l’anima per farla abitare. S. Paolo chiamava il suo corpo una tenda che presto sarebbe stato costretto a lasciare. L’anima è dunque l’abitante del corpo e, come una casa malsana fa ammalare il corpo, così un corpo malsano fa ammalare l’anima. E così è per noi come di un uovo; se il guscio è liso, il pulcino che esso contiene sarà in sofferenza, allo stesso modo, una ferita al corpo si ripercuote sull’anima che lo abita. Gli antichi dicevano: Un’anima sana in un corpo sano, mens sana in corpore sano. – Il corpo non è una nostra proprietà, ma di Dio (I. Cor. VI, 13), e non solo perché Dio l’ha creato, ma anche perché è una proprietà di Dio e Gesù Cristo l’ha riscattato a costo del suo sangue prezioso (ibidem. 9); e noi siamo tenuti a rispettare la proprietà altrui. Noi siamo solo inquilini della dimora in cui Dio ha posto la nostra anima e non abbiamo il diritto di danneggiarla o distruggerla, possiamo solo usarla come useremmo una proprietà altrui (S. Bern.); di conseguenza non possiamo fare del nostro corpo ciò che “vogliamo”, ma ciò che vuole Dio (Galura).

Il nostro corpo è anche lo strumento dell’anima, che ci è stata affidata da Dio affinché possiamo accumulare meriti per la vita eterna.

Il corpo può essere abusato come qualsiasi altro strumento, per questo San Paolo invitava i suoi fedeli a non fare delle loro membra strumenti di iniquità (Rm IV, 13).

Il corpo è uno di quei talenti di cui un giorno Dio ci chiederà conto. (S. Matth. XXV, 19). “Renderemo conto – dice il famoso curato Kneipp – del modo in cui abbiamo trattato il nostro corpo, che è la dimora dell’anima immortale e lo strumento per mezzo del quale abbiamo dovuto compiere i nostri doveri di stato”. A Santa Gertrude, Gesù stesso ha fatto questa rivelazione: “Alla risurrezione dei morti i corpi riceveranno una ricompensa speciale, una gloria più grande ed una maggiore perfezione per la cura che gli è stata data in vista del mio servizio”.

2. SIAMO QUINDI TENUTI A PRESERVARE LA NOSTRA SALUTE E LA NOSTRA VITA, ATTRAVERSO L’ORDINE, LA TEMPERANZA, LA PULIZIA E L’USO DEI RIMEDI NECESSARI IN CASO DI MALATTIA.

La salute è più preziosa di immense ricchezze (Ecclesiastico, XXX, 16), perché quanto meglio preserviamo la nostra salute e la nostra vita, tanto più saremo in grado di accumulare questi tesori che né la ruggine né le tarme possono divorare, che i ladri non possono dissotterrare né portare via (S. Matth. VI, 20). Abbreviando la nostra vita per negligenza accorciamo il tempo di semina della vita eterna. Se risparmiamo i nostri vestiti per farli durare più a lungo, quanto più dobbiamo risparmiare il corpo, che è l’abito dell’anima. L’aquila difende il suo nido non per l’uovo in sé, ma per l’aquilotto che contiene; così dobbiamo difendere il nostro corpo, che è l’involucro della nostra anima. La pulizia è quindi un dovere rigoroso: pulizia del corpo stesso, della biancheria, degli abiti, dell’abitazione, del letto, pulizia dell’aria degli appartamenti, che non può essere arieggiata che troppo spesso. L’igiene è metà della salute. – Poi c’è la temperanza nel bere e nel bere e mangiare; essa è uno dei modi migliori per mantenere la salute e prolungare la vita. Dopo dieci giorni di vita frugale, Daniele e i suoi compagni, alla corte di Nabucodonosor, avevano un aspetto migliore degli altri giovani. (Dan. I). Molti uomini illustri, come S. Paolo, S. Gregorio Magno e S. Basilio, hanno vissuto in modo frugale. Essi avevano una salute robusta; la temperanza sviluppò la loro forza fino a renderli capaci di attività straordinarie. – Inoltre, l’ordine è necessario nel mangiare, nell’alzarsi e nell’andare a letto, nel lavorare, ecc. Mantenete l’ordine e l’ordine vi manterrà. (S. Aug.) Non siate mai oziosi; il lavoro non serve solo a guadagnare il pane quotidiano ma conserva anche la salute favorendo il regolare funzionamento dell’organismo, stimolando l’appetito, ecc. Il sangue si corrompe con l’ozio come l’acqua dall’immobilità. Tuttavia, il lavoro non deve eccedere le nostre forze: un fiore moderatamente annaffiato crescerà bene, ma se viene annegato nell’acqua, perirà. Allo stesso modo, un lavoro moderato mantiene la salute, un lavoro eccessivo la rovina (Plutarco). – Il lavoro domenicale senza una seria necessità è quindi un peccato non solo contro il 3°, ma anche contro il 5° comandamento. Infine, in caso di malattia dobbiamo utilizzare i rimedi necessari; di conseguenza, dobbiamo consultare il medico e seguire le sue prescrizioni. “Onora il medico – dice la Scrittura – per la necessità, perché l’Onnipotente lo ha creato (Ecclesiastico XXXVIII, 1); l’Altissimo ha fatto germogliare i rimedi della terra e l’uomo saggio non li rifiuta.(1b. 4). Si è esentati dal ricorrere al medico per mancanza di risorse o quando sia necessario sottoporsi ad un’operazione incerta ed insolita. Tuttavia, la preoccupazione per la nostra salute e per la nostra vita non deve giungere fino al punto da dimenticare la nostra salvezza.

I beni temporali, e quindi anche la vita e la salute, vanno perseguiti non per se stessi, come obiettivo, ma come mezzo per raggiungere un fine, ma solo in relazione alla vita eterna. – “Non amate il vostro corpo – dice San Bernardo – in modo tale da far credere che siete diventati tutta di carne. Amalo, ma ama ancora di più la tua anima. Lo spirito di Dio non rimane in un uomo che è diventato tutto carne (Gen. VI, 3), cioè che ha solo sentimenti carnali”. L’amore per le cose della carne è una morte … è nemico di Dio (Rom. VIII, 6, 7). Più il corpo viene adulato ed abbellito, più l’anima viene trascurata e rovinata (S. Aug.). Perciò Cristo ci esorta a non esagerare le nostre preoccupazioni per il cibo ed il vestiario, perché ” … il Padre celeste sa che ne abbiamo bisogno e si prenderà cura di noi uomini molto meglio di quanto faccia con i fiori del campo e degli uccelli del cielo, che Egli nutre anche se non lavorano.” (S. Matth. VI, 25).

3. SIAMO OBBLIIGATI AD EVITARE TUTTO CIÒ CHE POTREBBE DANNEGGIARE LA NOSTRA SALUTE O TOGLIERCI LA VITA.

Pecchiamo, quindi, esponendoci presuntuosamente al pericolo di morte, danneggiando la nostra salute o la nostra vita con l’ucciderci.

1. Coloro che si espongono criminalmente al pericolo di morte, che fanno spettacoli pericolosi o che sono imprudenti.

I danzatori di corda, i cavalieri del circo, i domatori di bestie feroci – a meno che non prendano precauzioni straordinarie – vivono in uno stato di peccato. Queste professioni sono quindi immorali e riprovevoli. La maggior parte di questi uomini di spettacolo non sono molto religiosi e molti di loro hanno già pagato con la vita la loro imprudenza. – L’imprudenza può essere un peccato grave nella ginnastica e nello sport. Troppi audaci escursionisti e aeronauti hanno avuto incidenti mortali. Le corride, che sono il piacere nazionale e dovrebbero piuttosto essere chiamate il vizio nazionale della Spagna, sono già costate la vita a migliaia di persone. – Anche l’imprudenza è un peccato. Molte persone sono state investite da un treno ferroviario, perché, nonostante il suo avvicinarsi, volevano ancora attraversare la strada; altre sono state colpite da un fulmine, perché durante un temporale si sono rifugiate sotto un albero o si sono messi alla finestra aperta, nonostante gli avvertimenti dell’esperienza e della scienza. In tempi di epidemie, non si devono visitare i malati senza aver preso precauzioni o senza essere stati chiamati a farlo come i Ssacerdoti, medici, infermieri, ecc. che possono contare su una speciale protezione da parte della Provvidenza di Dio. Siamo anche colpevoli di trascurare alcune regole e precauzioni, ad esempio facendo bagni troppo freddi, bevendo bevande troppo fredde, anche ghiacciate, maneggiando armi da fuoco, saltando da treni in movimento, o lavorare su torri o edifici, ecc. pulire le finestre ai piani superiori, toccare le condutture elettriche. Ci sono bambini maleducati che si aggrappano ai sedili posteriori delle auto e spesso pagano con la vita questa cattiva e peccaminosa abitudine. È una follia e un crimine scommettere che si ingurgiterà questa o quella notevole quantità di cibo o di bevande. – Dobbiamo quindi essere attenti e ponderati, e non rischiare mai la nostra vita in modo avventato.

2. Danneggiamo la nostra salute in modo colpevole con i piaceri eccessivi, per certi abusi nell’abbigliamento, dall’uso smodato di cibi e bevande insalubri.

I piaceri eccessivi includono il ballo, il gioco d’azzardo prolungato, tto di notte, l’abuso di tabacco ed il bere in grandi quantità; l’intemperanza ha causato la morte di molti uomini”(Ecclesiastico XXXVII, 34). – Le mode colpevoli nell’abbigliamento come, ad esempio, quella del corsetto; questa insensata costrizione della vita impedisce lo sviluppo ed il funzionamento del corpo, e provoca disturbi organici molto gravi, che spesso hanno portato alla morte improvvisa (Curato Kneipp, Dr. Virchow). Anche la stampa ha spesso riportato incidenti o lesioni causati da scarpe troppo strette: flebiti, vele varicose, infiammazioni del piede che hanno richiesto perfino amputazioni. È la punizione della vanità. – Tra le bevande pericolose e dannose se usate troppo frequentemente, ricordiamo l’alcol, seguito dal caffè e dal tè. Queste sostanze non contengono nutrienti, ma sostanze eccitanti che producono solo una momentanea eccitazione: farne un uso frequente significa rischiare di perdere forza e deperirsi. (L’abitudine di bere caffè è dannosa soprattutto per i bambini, ai quali succede quello che succede ad una casa costruita con materiali scadenti, che crolla prima del tempo. Il Vescovo Kneipp ha detto: “Se avessi abbastanza soldi, comprerei tutto il caffè esistente in modo che non venga più piantato, per salvare i giovani”). Il caffè, il cui uso è diventato così diffuso negli ultimi tempi, è in gran parte responsabile del nervosismo della generazione di oggi. Lo stesso vale per il tè, ma è soprattutto l’alcol a provocare i danni più terribili al corpo e all’anima.

3. Il suicidio è generalmente commesso da uomini in miseria o peccato, che disperano dell’aiuto e della misericordia di Dio: spesso viene commesso anche da persone irresponsabili e quindi innocenti.

Fu spinto dall’estremo del pericolo che Saul, ferito e circondato da nemici, si gettò sulla punta della sua spada (I Re XXXI). Il carceriere di S. Paolo a Filippi, vedendo le porte della prigione aperte, si disperò e voleva uccidersi con la spada (Atti Ap. XVI, 27). Giuda si disperò per la gravità del suo crimine e si impiccò. (S. Matt. XXVII). La stampa riporta troppo spesso il suicidio di persone che hanno perso la loro fortuna in qualche bisca, come quella di Monaco, che sono state coinvolte in un amore colpevole, o che hanno commesso colpe per le quali temono una severa punizione. Nel nostro tempo, persone sfortunate si suicidano per sciocchezze. È vero che molti suicidi sono causati dalla follia, dalla pazzia e dalla nevrosi, da malattie nervose che tolgono la responsabilità. Bisogna quindi guardarsi dal giudicare temerariamente le tristi vittime del suicidio. Tuttavia, la causa principale e più frequente di questo crimine è la mancanza di religione, la mancanza di fede nella vita futura, in un Dio che aiuta gli sfortunati e perdona i peccatori pentiti. – L’aumento del numero di suicidi è proporzionale alla diminuzione delle convinzioni religiose; questo è un dato di fatto. – Già gli antichi consideravano questo crimine come disonorevole: tagliavano la mano con cui il suicida si era ucciso e la seppellivano separatamente (S. Isid.). La Chiesa ha rifiutato la sepoltura ecclesiastica, tranne che per coloro le cui facoltà mentali erano compromesse; ma anche questi sono sepolti con la minore solennità possibile. Questo rifiuto non è un’affermazione di dannazione, è solo un’espressione di orrore per questo fatto ed un mezzo per distogliere gli altri da esso. – L’uomo non è il proprietario ma solo il beneficiario della sua vita; solo Dio ne è il padrone, la dà e la toglie quando Egli vuole (Deut. XXXII, 39). Il suicidio è quindi un attacco impudente ai diritti di Dio, un disprezzo per Dio attraverso il rifiuto sprezzante del più prezioso dei suoi doni. Il suicidio è un furto ai danni di tutto il genere umano, al quale il criminale dovrebbe prima restituire tutto ciò che ha ricevuto da esso (Mons. Gaume); è anche un’ingiustizia nei confronti della famiglia, che viene gettata nel disonore e spesso nella miseria, una crudeltà inaudita verso se stessi ed un orribile scandalo. Il suicidio, dice Lattanzio, è un crimine più orribile dell’omicidio, che può almeno essere punito dalla società. Il suicidio non è quindi un atto di eroismo; al contrario, è un atto di viltà, come la diserzione di fronte al nemico nel sopportare le difficoltà della vita. Ogni Cristiano dovrebbe anche capire che il suicidio non porta alla felicità, né libera dai mali, ma che precipita nella vera miseria dell’inferno che è l’inferno. – La stampa mondana spesso giustifica il suicidio dicendo: X ha espiato la sua colpa con la morte: una massima empia, perché il suicidio non espia nulla, anzi, è solo un’altra colpa che si aggiunge alle altre!

4. È lecito, persino meritorio, sacrificare la propria salute o la propria vita, quando ciò è necessario per ottenere la vita eterna o per salvare la vita dell’anima o del corpo di un altro essere umano.

Piuttosto che peccare, i martiri hanno tutti preferito sacrificare la propria vita terrena per assicurarsi la vita eterna, come ha detto il Salvatore: “Chi conserva la propria vita la perderà, e chi perderà la sua vita per causa mia la troverà ” (Matteo X, 39). È secondo questa massima che Eleazar agì nell’Antico Testamento, come i 7 fratelli Maccabei; nel Nuovo Testamento hanno agito secondo questa massima San Lorenzo, San Maurizio, ecc. I missionari nei Paesi pagani vivono in perpetuo pericolo di morte e quasi tutti hanno la salute rovinata dal clima e dal lavoro: San Francesco Saverio, l’Apostolo delle Indie, era spesso così stanco per la predicazione e l’amministrazione del Battesimo che la sera non riusciva a parlare né a muovere le braccia. Tuttavia, i missionari al contrario, accumulano grandi meriti; lo stesso vale per i Sacerdoti, i medici e infermieri che visitano e curano persone con malattie contagiose. S. Luigi Gonzaga e S. Carlo Borromeo morirono di peste, che avevano contratto curando gli appestati. È consentito anche esporsi alla morte per un atto di soccorso, in caso di incendio, caduta in acqua, ecc.; per difendere il proprio Paese in caso di guerra. Gesù Cristo stesso ci ha dato l’esempio sacrificandosi sulla croce per la salvezza del mondo. – Un’anima ha un valore così grande che per salvarla è necessario sacrificare non solo i beni terreni, ma anche la propria vita (S. Vinc. de P.) Naturalmente, bisogna avere l’intenzione di compiere la buona azione e non approfittarne per suicidarsi, il che sarebbe un crimine: la morte non è voluta direttamente, è ammessa solo come conseguenza.

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (10).

2. I DOVERI VERSO I SUPERIORI.

1. PER IL GOVERNO DELLA SOCIETÀ UMANA, DIO HA ISTITUITO DUE POTERI, QUELLO SPIRITUALE ED IL POTERE TEMPORALE. AL POTERE SPIRITUALE HA SOTTOPOSTO LE ANIME, AL POTERE SECOLARE HA AFFIDATO IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELL’ORDINE MATERIALE.

In tutta la creazione vediamo la subordinazione di alcuni esseri ad altri: il regno minerale alimenta il regno vegetale, quest’ultimo il regno animale, e tutto è a disposizione dell’uomo. C’è una subordinazione anche tra gli animali: le api hanno una regina, e certi uccelli, certe bestie selvatiche, alcune specie di pesci hanno dei capi che li comandano militarmente; nel nostro stesso corpo ci sono membri soggetti uni agli altri. E lo stesso fenomeno si riscontra nel mondo degli spiriti, dove ci sono diversi ordini di Angeli. Dio ha voluto anche che nella società umana ci fossero inferiori e superiori, subordinati e superiori, e questa subordinazione è diventata addirittura necessaria; infatti, senza autorità, la società sarebbe come un esercito senza capi, (S. G. Cris.). Ciò che la struttura è per l’edificio, l’autorità è per lo Stato. Senza l’ossatura le mura crollano, così come la società senza un governo che mantenga l’unione dei suoi membri (Id.). Proprio come gli uomini dopo il peccato originale si volgevano l’un contro l’altro come bestie selvagge, fino al punto in cui un fratello uccideva il fratello, Dio fu costretto a dare dei capi a questi selvaggi per frenare le loro passioni. (S. Remi). Dobbiamo essere grati alla Provvidenza di aver istituito delle autorità affinché non siamo sballottati come le onde del mare (S. Isid.). Le autorità sono un’immagine del potere e della provvidenza divina sugli uomini (Leone XIII). – Come nel firmamento ci sono il giorno e la notte, così ci sono due poteri: il potere spirituale e il potere temporale. Il primo, come il sole, è superiore all’altro, perché conduce l’uomo al suo fine celeste ed eterno, mentre il potere dello Stato ha in vista solo il bene terreno e transitorio dei suoi cittadini. “Il regno di Cristo, come il sole, illumina il giorno del mondo delle anime; il potere secolare, come la luna, illumina la notte delle cose temporali. (Innoc. III.). Gli interessi terreni sono affidati all’impero, gli interessi del cielo al sacerdozio (S. G. Cris.). Pur avendo domini distinti, i due poteri si completano a vicenda, sono come i due cherubini che coprivano l’arca con le loro ali.

2. DIO HA AFFIDATO LA SUPREMA AUTORITÀ SPIRITUALE AL PAPA, LA SOVRANITÀ TEMPORALE AL CAPO DI STATO, CHE NELLA MAGGIOR PARTE DEI PAESI CONDIVIDE LA SUA AUTORITÀ CON IL POPOLO.

È un errore credere che le autorità derivino il loro potere dal popolo. Al contrario, tutte le autorità derivano il loro potere da Dio. È stato Gesù a dire a Pietro: “Pasci i miei agnelli, le mie pecore” (S. Giovanni XXI, 17). È dunque da Gesù che Pietro è stato costituito principe degli Apostoli e capo visibile di tutta la Chiesa militante (Concilio Vaticano 4,1), con un primato ed una supremazia di giurisdizione che per diritto divino sono perpetuati nel Vescovo di Roma (Id. 4, 2). – L’origine divina del potere secolare è dimostrata dalle parole di Gesù a Pilato: “Non avresti alcun potere su di me se non fosse ti fosse stato dato dall’alto”. (S. Giovanni XIX, 11). È attraverso Dio che i re regnano e che i legislatori decretano la giustizia (Eccli. VIII, 15). – Principi, è il Signore che vi ha dato la vostra autorità, è l’Altissimo che vi ha dato il vostro potere (Sap. VI, 4). Ogni potere viene da Dio, e quelli sono stabiliti da Dio (Rom. XIII, 1). È su questa base che i capi di Stato possono dire di esserlo per grazia di Dio. Nella maggior parte degli Stati il sovrano è solo costituzionale, cioè è obbligato a tenere in considerazione dei rappresentanti del popolo; in Europa i sovrani di Russia e Turchia sono assoluti. Ma il popolo deve ricordare che nel condividere il potere ne condividono anche la responsabilità.

3. ABBIAMO NEI CONFRONTI DEL PAPA E DEL CAPO DELLO STATO, DOVERI ANALOGHI A QUELLI CHE ABBIAMO NEI CONFRONTI DI DIO, PERCHÉ SONO I SUOI RAPPRESENTANTI.

I rappresentanti di Dio, siano essi Sacerdoti o laici, sono spesso chiamati servi di Dio (Sap. VI, 6), unti del Signore (Re XXIV, 7; XXVI, o) e persino dèi (Es. XXI, 6; XXII, 28), così come il rappresentante di un re è chiamato viceré. Il Papa è chiamato il servo dei servi di Dio. – A Dio dobbiamo adorazione e fedeltà (1° comm.), rispetto (2° comm.), servizio (3° comm.), così dobbiamo ai suoi rappresentanti obbedienza, fedeltà, rispetto e servizio. E dobbiamo adempiere a questi doveri con tanta più buona volontà in quanto il Papa e il Capo dello Stato hanno gravi e molteplici preoccupazioni nel loro governo, contrariamente all’opinione di coloro che ritengono la loro vita comoda e facile. Mentre i passeggeri chiacchierano e si divertono, il pilota si preoccupa e lavora costantemente. Ad ogni istante ha l’occhio puntato sull’orizzonte e sulla bussola, è esposto a tutti i tipi di condizioni atmosferiche e spesso privato del sonno. Lo stesso vale per i superiori. – A molti sembra che le autorità non abbiano altro che doveri ed i subordinati solo diritti.

I doveri verso il Papa sono i seguenti: obbedirgli in materia religiosa, essergli fedele, rispettarlo e sostenerlo nel suo difficile compito con le nostre preghiere e le nostre elemosine.

Il Papa deve essere obbedito nelle questioni religiose. “I fedeli di ogni rito e di ogni grado sono soggetti al Papa e tenuti alla sincera obbedienza nei suoi confronti” (Conc. Vatic. IV, 3). Il Papa è per il Corpo Mistico di Cristo, per la Chiesa (1. Cor. XII, 27) ciò che il capo è per il corpo umano: il capo governa tutte le membra, il Papa tutti i fedeli. Essendo il Vicario di Cristo, è attraverso di lui che impariamo la volontà di Dio; nessuno meglio del Papa può applicare a se stesso le parole di S. Paolo: … Noi siamo ambasciatori di Cristo, ed è Dio che vi esorta per mezzo di noi (II. Cor. V, 20). In materia civile non siamo sudditi del Papa ma dello Stato. – Dobbiamo rimanere fedelmente attaccati al Papa, perché egli è capo della Chiesa e la roccia su cui essa è costruita (S. Matth. XVI, 18); separarsi dal Papa, come fecero i greci (1053), è separarsi da Dio. Possiamo applicare ai poveri scismatici le lamentele di Dio a Samuele: “Non hanno risposto a te, ma a me, perché Io non perché non regni su di loro”. (I Re VIII, 7). – Dobbiamo rispettare il Papa, secondo il comando di Cristo che disse ai suoi Apostoli: “Chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me disprezza il Padre mio che mi ha mandato” (S. Luc. X, 16). Ora, poiché il Papa è il primo tra i rappresentanti di Gesù Cristo, è a lui che si deve il più profondo rispetto. È a causa della sua dignità che lo chiamiamo Sua Santità. – Infine, dobbiamo sostenere il Papa con la preghiera e l’elemosina. I primi Cristiani pregavano già per Pietro in cattività (Atti degli Apostoli XII). I Papi non sono mai stati completamente esenti da persecuzioni. Bisogna quindi imitare l’esempio della Chiesa primitiva. Chi non prega per i propri genitori è un cattivo figlio, e chi non prega per il Papa è un cattivo Cristiano” (B. Clem. Hofbauer), perché è gradito a Dio che preghiamo per le autorità. (I. Tim. Il, 3). – Il Papa è tenuto a provvedere alle molteplici necessità della Chiesa e alla propagazione della fede tra gli infedeli, e a molte istituzioni e stabilimenti. L’elemosina gli è tanto più necessaria in quanto è stato privato dei suoi beni temporali. Queste elemosine sono chiamate denari di San Pietro. Se ogni Cattolico donasse questo semplice denaro, un centesimo! che milioni raccoglieremmo. Ma ci sono di quelli che trascurano questo dovere. – I nemici della Chiesa chiamano i Cattolici fedeli al Papa ultramontani, perché il Papa abita al di là delle montagne, oltre le Alpi; con questo appellativo pretendono di denunciarli come cattivi patrioti. Al contrario, i Cattolici sono cittadini tanto più devoti al loro Paese quanto più sono fedeli alla loro Religione. “Quanto più grande è il timore di Dio -diceva Origene – maggiori sono i servizi che un cittadino rende a Cesare. – I doveri verso il Papa sono la regola dei nostri doveri verso i nostri pastori. I fedeli sono anche obbligati a provvedere al loro sostentamento. Gesù ha ordinato che “chi predica il Vangelo vive del Vangelo” (I. Cor. IX, 14) e “l’operaio è degno del suo salario” (I. Tim. V, 18).

I doveri verso il Capo dello Stato (e lo Stato) consistono nell’obbedire alle leggi giuste che promulga, essergli fedeli, rispettarlo e nel pagare i contributi e l’imposta del sangue.

Le leggi dello Stato devono essere rispettate, perché gli ordini delle autorità sono ordini di Dio (Rm. XIII, 2), non solo per timore, ma per amore di Dio (id. 5), seguendo l’esempio di Maria e Giuseppe che si recarono a Betlemme per sottomettersi alla legge del censimento. (S. Luc. II). Ma quando le leggi prescrivono qualcosa di contrario alla volontà di Dio, dobbiamo agire secondo la regola degli Apostoli: è meglio obbedire a Dio che obbedire agli uomini“, una massima che già avevano messo in pratica i tre giovani nella fornace, i 7 fratelli Maccabei, e poi seguita da S. Maurizio e la Legione Tebana. Bisogna rimanere fedeli al proprio Paese, soprattutto durante la guerra e questo è ciò a cui ci impegna il giuramento alla bandiera. Non è mai permesso ribellarsi, perché resistere all’autorità (al di fuori della legge) significa resistere all’ordine di Dio (Rm. XIII, 1); per amore del bene generale, dobbiamo sottometterci non solo ai buoni padroni, ma anche a quelli sgradevoli (1 S. Pietro, II, 18). Poiché i cattivi governanti sono generalmente una punizione di Dio per i peccati del popolo (S. Aug.), le nazioni mal governate devono prima convertirsi e poi pregare per la conversione dei loro governanti. (S. Th. Aq.). – Siamo tenuti a rispettare il Capo dello Stato. Temete Dio, dice San Pietro, e onorate il re. (I e III, 17). Davide ci ha dato un bell’esempio di questo, risparmiando Saul che lo perseguitava, perché era lontano dal Signore, anche se ebbe due volte l’opportunità di ucciderlo. (I Re XXIV). È per rispetto al Capo dello Stato che l’inno nazionale viene suonato in sua presenza, che le case vengano pavimentate e illuminate, ecc. – Dobbiamo anche pregare per il sovrano, perché questa preghiera è gradita a Dio (I Tim. 11,3). Pregando per lui preghiamo per noi stessi, perché gli otteniamo la grazia di governarci utilmente. – Cristo ha approvato il pagamento delle tasse dicendo: “Date a Cesare ciò che è di Cesare” (S. Matth. XXII, 21) ed Egli stesso le pagò per se stesso e per Pietro, con la moneta portata in bocca dal pesce che Gesù aveva ordinato a Pietro di pescare (S. Matth. XVII, 26). È giusto che coloro che godono dei benefici della società contribuiscano alle spese per il mantenimento del buon ordine e della prosperità del Paese. Proprio come lo stomaco rimanda alle membra la forza del cibo, così il governo utilizza i proventi delle tasse per il bene pubblico: la costruzione di scuole, strade e ferrovie, ospedali, per il mantenimento dell’esercito e dei dipendenti pubblici. Questa apologia dello stomaco era l’argomento di Menenio Agrippa quando i plebei si erano ritirati sull’Aventino. L’evasione fiscale è quindi un atto colpevole (Rom. XIII, 6). Chiamano l’imposta del sangue il servizio militare che deve essere prestato da cittadini abili in tempo di pace, e di guerra, ed il cui scopo è quello di mantenere la pace e difendere la patria; sacrificare la propria vita, soprattutto in guerra, per il bene dei propri connazionali è un’azione molto meritoria davanti a Dio. Abbiamo un bell’esempio dello spirito di sacrificio patriottico nel re di Sparta, Leonida, e nei suoi trecento soldati che difesero le Termopili contro le immense forze dei Persiani, e che, traditi alla fine da Efialte morì eroicamente (481 a.C.). Le nazioni civilizzate esentano i Sacerdoti cattolici dal servizio militare, perché lo spargimento di sangue è incompatibile con il loro stato. – I doveri nei confronti del Capo dello Stato devono essere trasferiti proporzionalmente sui funzionari pubblici. “Siate soggetti sia al sovrano, perché ha il potere supremo, sia ai magistrati da lui nominati, perché questa è la volontà di Dio”. (I. S. Pietro II, 14).

I cittadini devono sostenere il Capo dello Stato anche inviando deputati capaci e di sentimenti cristiani in tutti gli organi elettivi.

Il sovrano costituzionale promulga solo le leggi deliberate e fatte dai deputati del popolo. Per questo la responsabilità di fronte a Dio è immensa per i parlamentari che fanno le leggi e per i cittadini che eleggono i deputati. Il vescovo di Annecy diceva questo agli elettori che hanno eletto deputati anticattolici: “Io, elettore cattolico, sono la causa di tutte le disgrazie e le persecuzioni della Chiesa in Francia. Io sono la causa della soppressione del Catechismo nelle scuole, della pratica della religione per i dipendenti pubblici, della morte dei malati senza i sacramenti, della messa al bando degli Ordini religiosi e di tutte le oppressioni della Chiesa”. – I cittadini sono vincolati dalla volontà del loro Dio e Signore, anche nell’esercizio dei loro diritti civici, cioè il diritto di voto, e renderà conto al tribunale di Dio del modo in cui lo ha esercitato. (Mons. Schobel di Leitmeritz). In tutte le relazioni umane dobbiamo essere guidati dalle verità cristiane. Perciò non si deve dire che la politica non abbia nulla a che fare con la religione. (Circolare dell’episcopato austriaco, 1 febbraio 1891). Ministri, funzionari, senatori, deputati, membri di qualsiasi consiglio, tutti, senza eccezione, dovranno un giorno rendere conto di tutte le parole che hanno pronunciato, di tutti i voti che hanno espresso, tutti, senza eccezioni, renderanno conto davanti a Dio di tutto ciò che hanno fatto ed ogni elettore, dei rappresentanti che ha eletto. (Vesc. d’Annecy). – Gli elettori sono quindi obbligati a votare per uomini esperti che conoscano le esigenze dei loro elettori, che abbiano le conoscenze ed i talenti necessari per il loro mandato; per uomini con convinzioni cristiane, perché quelli senza tali convinzioni sono raramente di carattere coscienzioso. Un membro del Parlamento che non sia fedele a Dio è raramente fedele ai suoi elettori. Inoltre, dal momento che i parlamenti spesso trattano gli interessi più diretti della religione e della Chiesa, i Cattolici sono particolarmente obbligati a mandare solo deputati che abbiano familiarità con le questioni religiose e siano sinceramente devoti alla Chiesa (Circ. de l’episc. austr. 1891).

Un cittadino che dà il suo voto ad un nemico della Religione o che lo favorisca astenendosi, si assume una grave responsabilità.

I Cattolici, dice il Vescovo già citato, non possono mai in coscienza eleggere un uomo che sia cattolico solo di nome, che disprezza le leggi della Chiesa, che non frequenti mai le funzioni religiose, che trascuri il dovere pasquale, che si abboni alla stampa antireligiosa senza essere obbligato a farlo dalla sua situazione personale, che forse si fa beffe anche delle istituzioni religiose; essi sono tenuti ad impedire l’elezione di un tale candidato con tutti i mezzi legittimi. Ne consegue che i Cattolici sono obbligati di dare al candidato un preavviso formale per spiegare la sua professione di Fede sulle scuole cristiane, sul matrimonio, sul riposo domenicale, ecc. Se le sue affermazioni sono insoddisfacenti o se dà solo risposte evasive, deve essere combattuto per evitare la responsabilità davanti al tribunale di Dio. – L’esercizio del diritto elettorale è obbligatorio davanti a Dio quando, facendolo, si può impedire il male e procurare il bene, soprattutto il bene morale. Che nessuno dica: “La mia voce non servirà a nulla! Perché spesso un voto è decisivo, e anche se non emerge il candidato giusto, anche se non dovesse emergere il candidato giusto, il nostro voto contribuirebbe ad accrescere il prestigio e l’influenza della minoranza. L’esperienza dimostra inoltre che l’astensionismo sia contagioso e che esso faciliti il trionfo del candidato sbagliato. – Al momento delle elezioni le stesse persone che non godono del diritto di voto non devono rimanere inattivi; devono pregare che le elezioni vadano a favore del bene dei singoli, della famiglia, del Paese e della Religione. Per questo motivo, molti Vescovi prescrivono preghiere pubbliche prima delle elezioni o delle sedute dei parlamenti.

4. CHIUNQUE DISOBBEDISCA GRAVEMENTE ALLE AUTORITÀ RELIGIOSE O CIVILI, SI ESPONE A GRAVI PUNIZIONI E ALLA DANNAZIONE ETERNA.

Coré e i suoi complici, che si erano ribellati ad Aronne, furono inghiottiti dalla terra davanti a tutto il popolo per dare loro un esempio salutare (Numeri XVI), ed è impossibile immaginare una fine più triste di quella di Assalonne che si era ribellato a suo padre e suo re (II Re XVIII). Semei aveva lanciato pietre a Davide quando era fuggito oltre il torrente di Ceron; Salomone gli vietò sotto pena di morte, di non passarlo mai: egli trasgredì questo divieto e fu giustiziato. (III. Re II, 16). I tribunali sono ancora oggi severi per i reati gravi. – Chi resiste alle potenze resiste all’ordine di Dio e si rende degno della dannazione eterna. (Rom. XIII, 2).

3. I DOVERI DELL’AUTORITÀ.

.1. UN CRISTIANO NON DEVE ASPIRARE AD UN UFFICIO PER IL QUALE NON ABBIA LE CAPACITÀ NECESSARIE. (Eccli. VII, 6).

In questo, Mosè deve essere il nostro modello: non si è arrogato l’incarico di guidare gli israeliti; lo accettò solo per ordine divino, dopo aver pregato Dio di dispensarlo da tale incarico a causa della sua debolezza; e spesso, appesantito dal peso della sua dignità, implorava il Signore di liberarlo. Gregorio Magno fuggì nel deserto per evitare di essere eletto Papa (590), seguendo l’esempio di Sant’Ambrogio e di S. Agostino, che accettarono la dignità episcopale solo contro la loro volontà. Eppure tutti questi grandi uomini avevano indubbiamente le capacità richieste per queste alte cariche. È quindi una presunzione colpevole cercare una dignità senza averne la forza e la capacità necessarie, senza essere chiamati ad essa da Dio (Card. Bona); è come cercare di governare una nave senza aver mai toccato un timone (S. Vinc. Ferr.), o portare un fardello troppo pesante (S. Ambr.). In queste condizioni non si compiono i doveri di stato e si assomiglia ad un grande candelabro non acceso: si è, come disse Gesù, il ladro che entra nell’ovile dalla finestra (San Giovanni X.). – Chiunque abbia le competenze necessarie per un lavoro e sia sicuro di fare del bene in esso, può desiderarlo: è, ad esempio, perfettamente legittimo per un Cattolico convinto, dotato di conoscenza e del dono della parola, candidarsi ad un seggio parlamentare od a qualsiasi altra carica. È anche permesso desiderare il Sacerdozio (1 Tim. III, 1).

2. CHI È STATO CHIAMATO DA DIO AD ESERCITARE UN’AUTORITÀ NON DEVE ESSERNE ORGOGLIOSO, MA CONDIDERARE LA PROPRIA RESPONSABILITÀ.

Si può essere sicuri di essere stati chiamati da Dio quando non si è fatto nulla per ottenere una dignità; un serio appello da parte del popolo o dei superiori equivale ad una chiamata di Dio. Quando San Gregorio si vide inseguito dal popolo nella foresta selvaggia dove si era ritirato, non esitò più a salire sul trono pontificio, poiché vide in questo la volontà di Dio. S. Alfonso accettò la sede vescovile di S. Agata (vicino a Napoli) quando fu costretto a farlo da Papa Clemente XIII (1762). Quando il padrone ordina al suo servo di salire, quest’ultimo non deve opporre resistenza. (S. Aug.). Le dignità sembrano essere conferite dagli uomini, ma in realtà vengono da Dio, da cui solo provengono i talenti. (S. Matth. XXV). Un giardiniere dirige l’acqua della sua fontana spesso su un albero molto piccolo, così Dio dirige spesso il favore di principi e grandi uomini su coloro che ha destinato agli onori ed alle dignità: il cuore del re è nella mano di Dio, che lo dirige come un ruscello la dove vuole. (Prov. XXI, 1). – È una follia essere orgogliosi di una carica, perché una carica non rende un uomo migliore agli occhi di Dio, solo la virtù lo rende veramente grande; poiché le dignità terrene sono effimere ed assomigliano al fumo e al sogno, che appaiono e scompaiono in un istante (S. Thom. Aq.), mentre l’onore della virtù è eterno. Molti di coloro che erano primi saranno ultimi e viceversa. (S. Matth. XIX, 30). Erode era un re, Maria e Giuseppe erano solo poveri; loro erano pii ed amati da Dio, l’altro era empio: essi oggi sono elevati alle più alte dignità del Cielo, ed Erode?! Il legno marcio brilla nelle nell’oscurità, ma alla luce si vede il suo stato miserabile; così anche molti di coloro che nell’ombra di questa vita appaiono nello splendore delle dignità, avranno il loro marcio al momento del giudizio, quando Dio scoprirà tutto ciò che è nascosto e rivelerà i sentimenti di tutti (S. Bonav.). – Coloro che sono costituiti in dignità subiranno un giudizio severo (Sap. VI, 6); più alta è la dignità, più grande è la responsabilità: questo pensiero dovrebbe ispirare i grandi della terra all’umiltà, coscienza e preoccupazione. – Dio chiede a coloro che detengono una carica, di adempierla come se non la possedessero, cioè di usarla come se si trattasse di una cosa affidata loro solo per un giorno o un’ora, a che essi sono pronti a rinunciare in qualsiasi momento (S. Gertrude).

3. CHI RICOPRE UN INCARICO DEVE FARE TUTTO CIÒ CHE È IN SUO POTERE PER IL BENE DEI SUOI SUBORDINATI, ESSERE GIUSTO ED IMPARZIALE.

Le autorità sono un riflesso del potere divino; devono quindi prendere a modello Dio (Leone XIII), soprattutto perché sono suoi rappresentanti. Quando un sovrano invia un ambasciatore, quest’ultimo può agire solo secondo le sue istruzioni. Se agisce di propria iniziativa, viene rimproverato: così è per i superiori. – I superiori devono essere buoni e preoccuparsi solo del bene dei loro inferiori, perché questo è l’unico scopo del loro ufficio. I vili adulatori persuadono i grandi che il popolo esiste solo per servirli; è vero il contrario: i grandi esistono solo per il bene del popolo. I principi sono ministri di Dio per il bene dell’umanità. (Rm XIII, 4), non devono favorire gli interessi di uno o più singoli, perché sono istituiti per il bene generale (Leone X III); è addirittura opportuno che sacrifichino i propri vantaggi all’interesse generale, come Cristo che ha dato la vita per le sue pecore (S. Giovanni X, 11). Il pastore è esposto a mille pericoli per gli animali destinati al macello, quanto più noi dobbiamo sacrificarci per le anime immortali, chiamate alla vita eterna, che Gesù ha redento con il suo sangue e per il quale un giorno renderemo conto (S. Giovanni Crisostomo.). – I superiori devono essere imparziali e trattare tutti con bontà, anche i poveri, ricordando che Dio non fa distinzione tra le persone (II. Paral. XIX; Rom. II, 11), che Dio è il Creatore, il Provveditore, l’aiutante dei grandi come dei piccoli e di coloro che sono nel bisogno, che è vicino a coloro i cui cuori sono nella tribolazione (Sal. XXXIII, 19), che quanto più un’anima è priva di consolazioni umane, più può contare sulla misericordia divina. – “Imparate a fare il bene – dice Geremia (I, 17) – cercate ciò che è giusto, aiutate gli oppressi, rendete giustizia all’orfano, difendete la vedova.” Purtroppo i potenti spesso abusano del loro potere, e prendono il loro potere come misura del loro diritto (S. Greg. M.); al contrario, dovrebbero stare molto attenti a far sentire il peso della loro autorità oltre lo stretto necessario. – I superbi considerano la benevolenza fraterna verso i loro inferiori come una mancanza di dignità; pensano di perdere il loro onore e sono altezzosi; ma la dignità si perde solo con la vanità e il vizio. – Le autorità devono essere giuste, cioè non devono lasciarsi corrompere (Es. XXIII, 8), né lasciarsi accecare dal fascino della ricchezza e della grandezza, fino al punto da commettere iniquità (Lev X, 15), come Pilato che, per paura di essere denunciato a Cesare, condannò Gesù, nonostante fosse convinto della sua innocenza, e che tuttavia cadde nell’onta che temeva: fu infatti accusato dai Giudei davanti all’imperatore che lo bandì a Vienne in Francia. Dio maledice i giudici ingiusti. (Deut. XXVII, 19). “Se il mio amato padre – disse Tommaso Moro – venisse al mio tribunale a perorare la causa di satana, che io odio con tutto il cuore, e satana avesse ragione, io giudicherei in suo favore”. – I superiori non devono mai condannare un inferiore senza averlo ascoltato. La leggenda narra di un sovrano che, quando qualcuno veniva accusato, si tappò un orecchio e disse: “Presto solo un orecchio all’accusatore, l’altro è per il difensore dell’accusato. Dio stesso ha condannato Adamo solo dopo averlo convinto per sua stessa ammissione.

4. I SUPERIORI SONO TENUTI A DARE IL BUON ESEMPIO.

L’obbligo di dare il buon esempio ha due ragioni. In primo luogo, tutti hanno un occhio aperto per coloro che sono costituiti in dignità: essi sono la città sul monte che non può essere nascosta (S. Matth. V, 14); tutti si regolano come essi: tali i superiori, tali gli inferiori (Ecclesiastico X, 2), e quelli daranno conto della loro condotta. Anche gli esempi dei grandi uomini hanno più influenza delle loro parole, che arrivano al cuore meno dei fatti. (S. Greg. M.). – I superiori sono anche obbligati a pregare per i loro inferiori: come il vignaiolo nel Vangelo, devono pregare il padrone della vigna di non tagliare e bruciare il fico sterile, ma di dargli del concime ed aspettare un altro anno per vedere se porta frutto. (S. Greg. Naz.). Il diritto ecclesiastico impone espressamente questo dovere ai pastori d’anime, che sono tenuti tutte le domeniche e feste, ad offrire il Santo Sacrificio per i loro parrocchiani vivi e defunti.

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XVIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXVIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (9).

IL IV° COMANDAMENTO DI DIO.

Nel 4° Comandamento Dio ci ordina di onorare i suoi rappresentanti sulla terra, i genitori, e le autorità ecclesiastiche e civili.

I. DOVERI VERSO I GENITORI.

1. DOBBIAMO ONORARE I NOSTRI GENITORI COME RAPPRESENTANTI DI DIO ED I NOSTRI PIÙ GRANDI BENEFATTORI.

In senso stretto, siamo figli solo del Padre celeste. “Non dovete chiamare padre nessuno sulla terra; avete un solo Padre, che è nei cieli. (S. Matth. XXIII, 9). Ma il Padre celeste ci fa nutrire e crescere dai nostri genitori, che sono quindi, i rappresentanti di Dio Creatore nel darci la vita. Dobbiamo quindi onorarli come onoriamo Dio, proprio come il rappresentante di un Capo di Stato con il rispetto dovuto a quel sovrano. Il disprezzo per i genitori si riflette su Dio. Agostino esclamò dopo la sua conversione: “Mio Dio, disprezzando la madre che Voi mi avete dato, ho disprezzato Voi stesso! – I nostri genitori sono i nostri più grandi benefattori. “Quante sofferenze – dice sant’Ambrogio – quante sofferenze ha sopportato tua madre per te! Quante notti insonni, quante privazioni di cibo! Che angoscia quando eri in pericolo! Quali dolori e quali fatiche e lavori ha sopportato tuo padre per guadagnarsi il tuo sostentamento e i tuoi vestiti! E se i tuoi genitori hanno sofferto tanto per te, come potresti essere ingrato nei loro confronti?”. – Lo stesso Figlio di Dio ha onorato sua madre e il suo padre adottivo. “Onorate dunque i vostri genitori – dice Sant’Ambrogio -poiché il Figlio di Dio ha onorato i suoi, ai quali, secondo il Vangelo, era sottomesso. Se Dio ha onorato le sue umili creature, che cosa non dovete voi ai vostri genitori? N.S. era sottomesso ai suoi genitori: amava e onorava sua madre, di cui era il creatore, amava e onorava il suo padre nutrizio, che Lui stesso nutriva. (S. Ger.).

2. NOI DOBBIAMO ONORARE I NOSTRI GENITORI MOSTRANDO LORO RISPETTO, AMORE E SOTTOMISSIONE.

L’onore prescritto da Dio include necessariamente l’obbedienza e l’amore, perché sono inseparabili dall’onore. – L’amore che dobbiamo ai nostri genitori è un amore di gratitudine. “Il primo dovere di un Cristiano è quello di riconoscere i sacrifici dei genitori e la propria preoccupazione per la loro educazione”. (S. Cirillo di Gerus.), – Il rispetto e l’obbedienza sono dovuti alla loro dignità di rappresentanti di Dio. – Il dovere del rispetto e dell’amore dura quanto la vita; quello dell’obbedienza cessa in un determinato momento e in determinate circostanze; i motivi del rispetto e dell’amore restano ma non quelli dell’obbedienza.

Il rispetto per i genitori consiste nel venerarli nel nostro cuore come rappresentanti di Dio, ed esprimere questa venerazione nelle nostre parole e nelle azioni. –

Il rispetto deve essere prima di tutto interiore, perché senza di esso, il rispetto esteriore sarebbe solo ipocrisia. Gesù diede a sua Madre un segno di rispetto alle nozze di Cana; pur dicendole che non era ancora giunto il momento in cui sarebbe apparso come operatore di miracoli, esaudì la sua preghiera, per non gettarle discredito davanti agli invitati. (S. G. Cris.). Coriolano, che aveva giurato la rovina di Roma e le cui suppliche dei senatori e dei pontefici, né l’offerta dei più ricchi doni, avevano avuto successo, alle preghiere di sua madre, vi si prostrò davanti e disse: “Madre! Hai salvato Roma, ma hai perso tuo figlio!”. Levò l’assedio e fu ucciso dai Volsci (491 a.C.). Tuttavia, siamo tenuti a rispettare i nostri genitori, anche se sono poveri e in una posizione inferiore. Giuseppe in Egitto onorò suo padre, anche se era un semplice pastore, presentandolo al Faraone (Gen. XLVII, 7). In presenza di sua madre, che era di bassa estrazione, Salomone si alzò dal trono, la salutò e la fece sedere alla sua destra (III Re XI, 19). Benedetto XI (1303) non permise che la madre gli si presentasse in abiti sontuosi, ella che era una semplice lavandaia; le fece indossare la sua veste di donna comune, e poi la ricevette con rispetto. Anche se i genitori non dovessero condurre una vita edificante, dobbiamo loro rispetto a causa della loro autorità su di noi. Una statua rozza di Gesù non è meno degna di venerazione. Dobbiamo coprire i difetti dei nostri genitori con il manto della carità, cioè sopportarli in silenzio e comportarci come Shem e Japhet nei confronti di Noè, che trovarono in una situazione imbarazzante (Gen. IX, 23). “Loda tuo padre – dice la Sapienza (III, 9) – con parole, azioni e con pazienza!

L’amore dei genitori consiste nella benevolenza e nella beneficenza.

Prima di tutto, dobbiamo amare i nostri genitori perché sono i nostri prossimi (l’immagine di Dio). Ma la carità comune non è sufficiente, abbiamo bisogno di un amore speciale, e questo perché ci amano in modo straordinario (chi ha intenzioni migliori di loro nei nostri confronti?) e ci hanno fatto dono di innumerevoli benefici. L’amore consiste nel volere e fare il bene. Giuseppe in Egitto mostrò gentilezza (tenerezza) al vecchio padre Giacobbe gettandosi al suo collo, baciandolo, piangendo (Gen. XLVI, 29). Ma la tenerezza da sola non è di grande aiuto per i genitori. I genitori si devono amare non solo con le labbra e le parole, ma anche nella verità. (I. S. Giovanni III, 18). Dobbiamo quindi aiutare i genitori nelle loro necessità, nelle loro malattie e pregare per loro. Tommaso Moro, Cancelliere d’Inghilterra, essendo stato giustiziato per la sua fede, per ordine di Enrico VIII, nessuno osò seppellirlo per paura del re. Sua figlia Margherita si assunse questo compito ed il tiranno, toccato da questa pietà filiale, non osò mostrare la sua ira. Troviamo persino negli animali una sorta di affetto per i loro genitori; secondo Plutarco i giovani leoni portano le loro prede ai vecchi leoni decrepiti, e secondo Sant’Ambrogio le giovani cicogne scaldano, scaldano le vecchie, le nutrono e le aiutano a volare. “Figlio mio – dice il Saggio (Sap. III, 14) – prenditi cura di tuo padre nella sua vecchiaia”. Dobbiamo vedere del resto Gesù che, morendo, raccomanda sua madre alle cure di San Giovanni (S. Giovanni XIX, 26).

L’obbedienza ai genitori consiste nell’eseguire i loro ordini legittimi, finché siamo loro soggetti.

“Figlioli, dice San Paolo, obbedite in tutto ai vostri genitori”. (Col. III, 20). Infatti, essendo loro dovere educare i figli, hanno anche il diritto di essere obbediti, così come nello Stato ci sono governanti e governati; non c’è senza ciò, alcun ordine e felicità domestica. I vecchi sono obbligati a possedere la perfezione morale, i giovani sono obbligati a sottomettersi e ad obbedire. (S. Bern.). I bambini, invece, sono obbligati a fare solo ciò che sia loro permesso: se per qualche disgrazia gli ordini dei genitori fossero contrari ad un comandamento di Dio, si dovrebbe applicare la massima degli apostoli: “è giusto obbedire a Dio piuttosto che agli uomini.” – Il re visigoto Leovigilde fece rinchiudere il figlio S. Ermenegildo in una prigione a Siviglia, per aver abbracciato la fede cattolica, e poi inviò un messaggero a S. Ermenegildo per offrirgli il perdono se fosse tornato all’arianesimo. “Dite a mio padre – rispose il giovane principe – che rinuncio al suo perdono, alla corona, persino alla mia vita, piuttosto che rinnegare la mia fede”; e fu giustiziato (586). La stessa storia è raccontata per Santa Barbara, di Santa Perpetua, del giovane S. Vito, ecc. ecc. Se l’obbedienza al nostro padre terreno ci separasse dal Padre celeste, non potremmo prestarla (S. Ambr.). I genitori che ordinano cose illecite minano la loro autorità; tagliano, per così dire, il ramo che li sostiene. Una volta un padre ordinò al figlio di lavorare la domenica, con il pretesto che ciò fosse buono solo per i bambini. “Allora -rispose il figlio – io non sono obbligato ad obbedire nemmeno a te”, il 4° Comandamento vale solo per i bambini piccoli.” – Tuttavia, i genitori non sono più obbligati a dare ai loro figli ordini, quando non sono più sotto il loro potere, e l’obbedienza si estende solo a quelle cose che i genitori hanno il diritto di comandare. (S. Th. Aq.), ma non alla vocazione; essa viene da Dio e non dai genitori, comprende tutta la vita, e quindi lungo un tempo che non cade più sotto l’autorità paterna. San Francesco d’Assisi non permise al padre di costringerlo a intraprendere la carriera del commercio, né Santa Rosa da Lima di entrare nel matrimonio. Questo non significa che i figli non debbano chiedere consiglio ai genitori che hanno più esperienza di vita e sono portati dall’affetto a dare i consigli più sinceri e vantaggiosi. “Figli miei – dice il libro dei Proverbi (1, 8), ascoltate gli insegnamenti di vostro padre! È soprattutto per la vocazione, per la scelta di uno stato di vita.

3. NOI ABBIAMO DOVERI SIMILI NEI CONFRONTI DEI RAPPRESENTANTI DEI NOSTRI GENITORI, I NOSTRI INSEGNANTI, I NOSTRI SUPERIORI, VERSO GLI ANZIANI.

Dobbiamo rispettare gli anziani: alzarci davanti a loro (Lev. XIX, 32), lasciarli parlare per prima (Sap. XXXII, 4). Gli Spartani tenevano in grande onore i vecchi: un vecchio venne un giorno ad assistere ai giochi olimpici e nessuno si alzò al suo passaggio, tranne gli spartani, che si alzarono tutti per fargli posto. Di Alessandro Magno si dice anche che un giorno, mentre era seduto al fuoco del bivacco, vide un vecchio soldato che tremava per il freddo; si alzò, andò a prenderlo e lo mise in modo che potesse riscaldarsi. Il consiglio di un vecchio è degno di nota; da lui impariamo la saggezza e la prudenza. (Sap. VIII, 9). La gioventù è sconsiderata ma la vecchiaia è prudente ed esperta. Gli anziani consigliarono a Roboamo, figlio di Salomone, di cedere ai desideri del popolo; egli preferì ascoltare gli stolti consigli dei suoi giovani compagni e disse al popolo: “Mio padre vi ha picchiato con le verghe, io vi flagellerò con punte di ferro”. Il risultato fu che 10 tribù si separarono da lui(III Re, XII). Dio stesso aveva istituito tra gli Israeliti un consiglio di 70 anziani (Num. IV, 29); i Romani erano governati dal senato (dal latino senex, vecchio); i Lacedemoni dai Gerontes (vecchio). – Non disprezziamo mai la vecchiaia, perché anche noi vogliamo raggiungerla (Sap. VIII, 9). – I bambini che si burlavano del profeta Eliseo a causa della sua testa calva vennero lacerati dagli orsi. (IV. Re IV). Si deve essere indulgenti verso le debolezze degli anziani, non dire mai una parola dura nei loro confronti, ma parlare loro come ad un padre. (1. Tim. V, 1).

4. DIO HA PROMESSO AI FIGLI CHE RISPETTANO I GENITORI, UNA LUNGA VITA, LA FELICITÀ E LA SUA BENEDIZIONE QUAGGIÙ.

Al Sinai, Dio promise come ricompensa per l’osservanza del 4° comandamento una vita lunga (Es. XX, 12) e S. Paolo assicura la felicità sulla terra a coloro che onorano i loro genitori. (Ef. VI, 3). Giuseppe era molto sottomesso a Giacobbe, che lo preferiva ai suoi fratelli; divenne padrone dell’Egitto e raggiunse l’età di 110 anni (Gen, 4). Se noi amiamo coloro che ci hanno dato la vita, saremo ricompensati con una lunga vita. Un soldato che ha ricevuto un feudo dal suo sovrano merita di mantenerlo finché continua a servire; ma la vita è come il feudo dei nostri genitori, quindi meritiamo di mantenerlo finché li onoriamo. (S. Th. Aq.). Onorare i propri genitori significa onorare la propria età. Dio proporziona la ricompensa al buon lavoro: concede ai figli rispettosi la vecchiaia, che è una vera felicità, perché è l’occasione per accumulare grandi meriti per l’eternità. Nell’Antico Testamento, una lunga vita era una ricompensa tanto più desiderabile perché accorciava il tempo di attesa nel limbo. – Nel Nuovo Testamento, una morte prematura ma santa non è una deroga alla parola di Dio, al contrario, perché questa morte ci porta alla vita eterna. (Ger.) Inoltre, una vita innocente è già una vita lunga, secondo le parole della Scrittura: “una vita senza macchia è una vecchiaia” (Sap. IV, 9), e Dio spesso prende un figlio buono in gioventù, affinché la malvagità del mondo non perverta il suo cuore. (Id. 11). – La benedizione dei genitori sui figli ha effetti salutari; lo vediamo nella benedizione di Noè sui suoi figli Shem e Giafet, il primo dei quali era un antenato del Messia ed il secondo, il ceppo degli europei, la razza cristiana e civilizzata; da quella di Tobia sul figlio prima del suo viaggio. Onora tuo padre perché ti benedica; questa benedizione è il fondamento della casa dei figli (Eccli. III, 10). Chi onora la madre raccoglie tesori per sé (id. 5) ed il bene fatto al padre non sarà mai dimenticato (Id. 15). Molti figli rispettosi raggiungono la fortuna, gli onori (Giuseppe in Egitto) o almeno la vera felicità interiore, perché è meglio essere beati e felici che essere ricchi. (S. Ambr.). – Coloro che onorano i propri genitori hanno “essi stessi figli ben educati che sono la loro felicità. (Eccli. III, 6 e S. P. Dam.),

Peccati contro il 4° comandamento di Dio.

1. SI PECCA CONTRO QUESTO COMANDAMENTO QUANDO SI MANCA AI GENITORI DI RISPETTO, AFFETTO, OD OBBEDIENZA.

Disprezziamo i nostri genitori quando siamo scortesi con loro, quando rispondiamo loro male, arrossiamo di loro, ecc. Cham rise di suo padre Noè, quando quest’ultimo, sorpreso dal vino che non conosceva, si addormentò nella sua tenda senza vestiti sufficienti (Gen. IX.; Noè maledisse lui e i suoi discendenti, che oggi popolano l’Africa e languono nel paganesimo più barbaro. – Si manca di affetto verso i propri genitori quando li si odia, li si trascura nel momento del bisogno, li si deruba, ecc. I figli di Giacobbe rattristarono il loro padre vendendo Giuseppe e lo ingannarono (Gen. XXVII). Assalonne cospirò contro suo padre sotto la porta del palazzo, lo ingannò quando si ritirò ad Ebron e si ribellò a lui (II. Re XV-XVIII). – I figli di Eli peccarono contro di lui per disobbedienza. (I Re II).

2. DIO MINACCIA I FIGLI CATTIVI DI DISGRAZIE E DISONORE QUI SULLA TERRA, UNA MORTE INFELICE E LA DANNAZIONE ETERNA.

La punizione è molto severa, perché è un grande crimine essere ingrato verso i più degni benefattori. S. Agostino racconta che a Cesarea in Cappadocia i due figli di una vedova che avevano insultato e maltrattato la loro madre furono immediatamente colpiti con un tremito di tutte le membra, e che vagarono per il mondo finché non furono guariti a Ippona, sua città episcopale, dalle reliquie di S. Stefano. (Città di Dio, XXII, 8). Chi dimentica il proprio padre e la propria madre sarà dimenticato Dio e sarà consegnato al disonore. (Eccli. XXIII, 19). Come un albero che non porta frutto, così il giovane che è stato disobbediente sarà senza onore nella sua vecchiaia (S. Cipr.). – I cattivi figli spesso muoiono di una morte miserabile come i figli di Héli, che perirono in battaglia (I. Re IV, 11); perfido Assalonne, che combatté contro il padre, fu sconfitto e rimase nella disfatta appeso per i capelli a un albero, dove fu trafitto da Joab con tre giavellotti (II. Re XVIII). – Dio punisce eternamente i figli cattivi. Se si dimostra rigoroso verso coloro che avranno mancato di carità verso i semplici estranei, tanto più sarà terribile per coloro che hanno mancato di affetto verso i loro genitori. (S. Bernardino). Chi non obbedisce ai genitori, dice San Paolo (Rm 1,30), è degni di morte. Sia maledetto colui che non onora il padre e la madre (Es. XXI, lô) e l’occhio di chi li disprezza sia strappato dal corvo e divorato dall’aquila (Prov. XXX, 14). Il popolo, diceva un comando formale di Dio a Mosè, lapiderà un figlio disobbediente e recalcitrante alle ingiunzioni di suo padre e di sua madre affinché tutto Israele loconosca e sia pieno di timore. (Deut. XXI, 18-21). – Per un giusto castigo della Provvidenza, i figli malvagi spesso hanno a loro volta figli malvagi che li maltrattano; questo è un fatto di esperienza. Siamo puniti dove uno ha peccato (Sap. XI, 17). Cham si era preso gioco di suo padre, e dei suoi discendenti, divennero così empi che Dio ordinò la loro distruzione. (Gen. IX).

CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XIX)