IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (15).

VIII. L’OTTAVO COMANDAMENTO DI DIO.

Nell’ottavo comandamento Dio proibisce qualsiasi attacco contro l’onore del prossimo e qualsiasi falsità.

I. IL DIVIETO DI FERIRE L’ONORE

.1 L’ONORE (UNA BUONA REPUTAZIONE) È UN BENE PREZIOSO PERCHÉ PERMETTE ALL’UOMO DI ACQUISIRE BENI TEMPORALI ED ETERNI.

L’onore consiste in ciò che i nostri simili pensano e dicono di noi, è il contrario della vergogna. Una buona reputazione è meglio di grandi ricchezze e l’amicizia è più preziosa dell’oro e dell’argento (Prov. XXII, 1). Di tutti i beni esteriori, l’onore è il più prezioso (S. Fr. di S.). È uno dei talenti che Dio ci ha affidato, perché chi gode di una buona reputazione ha influenza sui suoi simili e può condurli al bene; se invece gode di cattiva fama, le sue parole non hanno valore e gli altri gli dicono: “Medico, guarisci te stesso”. Senza una buona reputazione, non c’è piacere nella vita, non c’è vera felicità se gli altri ti disprezzano. D’altra parte, una buona reputazione era sufficiente per chi non aveva un soldo, per ottenere un’ottima posizione. Una buona reputazione è quindi fonte di prosperità; chi ce l’ha ha più probabilità di condurre una vita onesta rispetto a chi è disprezzato. Ciò che la buccia è per un frutto, così la reputazione è per un uomo, se una mela conserva la sua buccia, si può tenere anche per un anno, ma se la si sbuccia, si rovina dopo poco tempo. – Quindi una buona reputazione aiuta un uomo a conservare la sua virtù. Gli abiti della Domenica inducono i bambini ad astenersi dai giochi sporchi, ed una buona reputazione allontana gli adulti dal vizio.

2. SIAMO QUINDI OBBLIGATI AD OTTENERE UNA BUONA REPUTAZIONE PER NOI NOI STESSI; PRATICARE APERTAMENTE CIÒ CHE È BUONO, DIFENDERE IL NOSTRO ONORE QUANDO VIENE ATTACCATO.

Dio vuole che apprezziamo la buona reputazione, perché ha impiantato nelle nostre anime il senso dell’onore e la repulsione per le offese. Sopprimere questo sentimento sarebbe andare contro l’ordine stabilito da Dio (Card. Galura). – Siamo quindi obbligati a praticare apertamente il bene, secondo l’esplicito comando di Gesù: “Fate risplendere la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e lodino il Padre vostro celeste”. (S. Matth, V, 16). Le nostre opere buone sono un profumo (II Cor. II, 15) che ci rende graditi al prossimo, sono il modo migliore per difendere la nostra reputazione e mettere a tacere i nostri nemici. (1. S. Pietro VI, 12). Noi dobbiamo applicarci al bene non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini (II. Cor. VIII, 18), la nostra modestia deve essere nota a tutti (Phil. JV, 5), e dobbiamo evitare anche l’apparenza del male (1. Tess. V, 22). Va da sé che non dobbiamo fare il bene per piacere agli uomini e per essere lodati da loro, altrimenti perderemo ogni merito davanti a Dio (S. Matth. VI). – Noi siamo tenuti a difendere il nostro onore quando viene attaccato. I primi Cristiani erano accusati di ogni sorta di misfatti, di uccidere i bambini, spolverarli di farina e mangiarli. Essi respinsero queste calunnie; illustri studiosi scrissero delle Apologie e le indirizzarono agli imperatori. Cristo stesso si è difeso quando è stato accusato di scacciare i demoni in nome di Belzebù (S. Matth. XII, 27), e quando il valletto del sommo sacerdote gli diede un colpo con il pretesto che era stato insolente (S. Giovanni XVIII, 23). S. Paolo si difese spesso anche davanti al Sinedrio, ai magistrati romani ed all’imperatore. (Act. Ap. XXII, 26). – Tuttavia, non è cristiano essere suscettibili ed iniziare cause per nulla. Soffrire e trovare un accordo amichevole è più nobile che litigare e lamentarsi. “Un eccesso di suscettibilità dà all’accusa un’aria di verosimiglianza e fa credere agli uomini che non si ha fiducia nel proprio valore. Inoltre, la suscettibilità vi rende insopportabili, e fa aumentare la vostra rigidità ancora di più. (S. Fr. di S.) Inoltre, colui che è irreprensibile nella sua condotta non deve disperare per una lesione momentanea della sua reputazione, prima o poi otterrà la riparazione; non è lo stesso per chi ha un comportamento di cattiva condotta. Così è per i capelli: quando vengono tagliati, ricrescono più folti di prima, che non quando li si strappa dalla radice. Davide ha quindi giustamente chiamato la calunnia un rasoio (S. Fr. di S.). Nel difendere la propria reputazione, bisogna saper mantenere la calma. Anime forti e nobili non si commuovono per le sciocchezze; soffrono in silenzio ed esprimono il loro dolore solo nelle cose importanti. (S. F. di S.) Ci si deve difendere soltanto dall’accusa di atti veramente disonorevoli. (Id.) – Non dobbiamo dimenticare che molto spesso la pazienza di fronte agli insulti protegge la nostra reputazione meglio di una timida preoccupazione per il nostro onore. Grandi Santi, come San Francesco Saverio, il B. Clemente Hofbauer, hanno spesso subito gli insulti più violenti con la più grande compostezza, e così facendo hanno fatto rinsavire gli empi e li hanno convertiti.

Non dobbiamo essere troppo ansiosi di conquistare la stima degli uomini, altrimenti rischiamo di perdere l’amicizia di Dio ed il vero onore; inoltre, in alcuni casi è impossibile piacere sia a Dio che agli uomini.

L’eccessiva preoccupazione per la propria reputazione è segno che non si cerca Dio ma se stessi, È l’orgoglio che Dio abbatte. (S. Luca XIV, 11). L’onore è una creatura curiosa: quando lo inseguiamo, fugge; quando lo fuggiamo, ci insegue. – L’onore non può essere conquistato con la forza; deve essere acquistato con l’onestà e l’umiltà” (Card. Galura). – È impossibile servire Dio e compiacere il mondo (Gal I, 10); tutti coloro che conducono una vita pia sono esposti alle ingiurie ed alle bestemmie degli uomini, fino ad essere considerati degli stolti. (1. Cor. IV). Inoltre, ci sono molti stolti che distribuiscono lodi o biasimi, non in base al valore intrinseco degli uomini e delle loro azioni, ma secondo delle cose indifferenti, come la ricchezza, lo status o l’abbigliamento. Non importa quindi sforzarsi, per quanto ci si sforzi, non si otterrà mai l’approvazione di tutti.

3. SIAMO QUINDI OBBLIGATI AD OMETTERE TUTTO CIÒ CHE DANNEGGI LA REPUTAZIONE DEL NOSTRO PROSSIMO: IL SOSPETTO, IL GIUDIZIO TEMERARIO, LA CALUNNIA, LA MALDICENZA, L’INSULTO E L’ACCOGLIENZA FAVOREVOLE DI OSSERVAZIONI CONTRARIE ALL’ONORE.

Il sospetto e il giudizio temerario sono peccati del cuore, la maldicenza e la calunnia (che colpiscono gli assenti) l’ingiuria (che si fa apertamente in faccia) sono peccati della lingua, la ricezione favorevole di parole contrarie alla carità è un peccato dell’udito.

1. Il sospetto e il giudizio temerario consistono nel pensare male del prossimo senza una ragione sufficiente.

Questo era il peccato del fariseo nel tempio, che considerava il pubblicano un grande peccatore e a torto (S. Luca XVIII); degli amici di Giobbe, che mettevano in dubbio la sua pietà solo perché aveva subito una grande disgrazia (V); il fariseo Simone, che guardava ancora la Maddalena ai piedi di Gesù come una grande peccatrice, mentre lei era già una santa penitente, di cui Cristo prese le difese (S. Luca VII, 39). S. Paolo un giorno naufragò sull’isola di Malta. Accese un fuoco e una vipera si avvolse intorno alla sua mano. Questo fu sufficiente perché gli indigeni lo considerassero un assassino: ai loro occhi un uomo così perseguito dalla sorte non poteva essere che un criminale (Act. Ap. XXVIII.). (Un gioielliere aveva un apprendista molto onesto; un giorno trovò nella finestra a lato del letto del suo apprendista, due pietre preziose. Guardò subito l’apprendista come un ladro, lo picchiò e lo cacciò, ma presto trovò nello stesso posto nuove pietre preziose; si mise in osservazione e notò che “la sua gazza” era l’autore del furto. Si rammaricò del danno che aveva fatto al suo apprendista, ma il suo giudizio avventato era irreparabile. Il suo sospetto, tuttavia non sarebbe stato colpevole se avesse colto l’apprendista in flagrante). – Spesso pensiamo agli altri per il male di cui noi stessi siamo colpevoli: il cuore corrotto offusca la chiarezza del giudizio, proprio come una radice malvagia trasmette una linfa corrotta al frutto. “Chi non è malvagio non pensa male degli altri. (S. Greg. Naz.). Bisogna essere malvagi per sospettare facilmente degli altri. (S. G. Cris). Il monte comunica la sua forma esatta al metallo che vi è versato; è così che l’uomo modella secondo il proprio cuore le azioni che vede o le parole che sente. Lo stomaco sano trasforma in succhi sani anche il cibo difficile da digerire; lo stomaco malato rovina persino il buon cibo; così l’uomo virtuoso interpreta tutto in modo buono, il malvagio, tutto in modo negativo. (San Doroteo). – “Preferisco – diceva sant’Anselmo – ingannarmi pensando bene di un malvagio, piuttosto che pensare male di una buona; S. Tommaso aggiunge che nel primo caso non si commette ingiustizia, mentre nel secondo se ne è colpevoli. La stessa azione può essere considerata da mille angolazioni diverse; un cuore benevolo ne scoprirà sempre delle buone, mentre il malvagio troverà sempre il peggio. (S. Fr. di S.) La carità non pensa mai al male (l. Cor. XIII, 8), ed il giusto che è animato dallo spirito di carità si astiene anche quando vede il male, da ogni giudizio personale lascia il giudizio a Dio”. (S. Fr. di S.). Così agì San Giuseppe, lo sposo della Vergine (S. Matth. I, 19). Non pensare mai male del tuo prossimo dal tuo cuore (Zac. VIII, 17), e se vuoi che gli altri abbiano fiducia in te, dà loro fiducia, perché la fiducia genera fiducia, così come la sfiducia genera la sfiducia.

2. La maldicenza consiste nel rivelare le colpe segrete del prossimo.

Questo peccato è un’ingiustizia, perché la colpa segreta del prossimo non gli fa ancora perdere la stima pubblica; quindi, chi rivela il peccato gliela toglie. – Anche ammettendo che questa stima sia infondata, non è lecito privare il prossimo di questa stima. È vietato privarne il prossimo più di quanto sia permesso rubare un bene male acquisito. – È vietato parlare male dei morti; un proverbio latino: de mortuis nil nisi bene, dice che si debbano dire solo cose buone su di loro. Ahimè, ci sono persone che assomigliano a delle jene e si dilettano, per così dire, a disseppellire cadaveri, a squarciarli con la loro lingua, rivelando colpe da tempo dimenticate; assomigliano anche a quegli insetti che si trovano più a loro agio sulla spazzatura; le mosche che si trovano più a loro agio su non sulle parti sane di un frutto, ma su quelle marce; ai vostri amici che rubano i frutti corrotti, a dei cani, che rubano carne corrotta e ossa da una bancarella di macelleria invece che la carne sana: in questo modo, i maldicenti vedono una serie di buone qualità nel loro prossimo, ma conservano un ricordo indelebile solo dei loro difetti. (S. Bern.). Sono anche come i maiali che amano sguazzare nel fango, perché si divertono solo a vedere i difetti degli altri. (Card. Hugo). Il calunniatore è peggio degli animali, perché gli animali non divorano nessuno dei loro simili, mentre il maldicente fa a pezzi il suo prossimo, persino il suo cadavere, cosa che i lupi non fanno nemmeno tra di loro (Gerson). La maldicenza è un peccato molto comune: “È raro – dice S. Gerolamo – che non si trovi qualcuno che non sia disposto a criticare il suo prossimo”. È un effetto dell’orgoglio far credere agli uomini che essi elevano la loro posizione denigrando quella degli altri (S. Fr. di S.). La maldicenza è un crimine terribile; è vergognoso entrare in una casa rstranea e sconvolgerla, ma è ancora più peccaminoso e vergognoso frugare nella vita del prossimo: (S. G. Cris.). Bisogna coprire e non dissotterrare rifiuti, perché è impossibile toccarli senza sporcarsi (S. Ign.). O follia degli uomini, dice sant’Alfonso, mostri il tuo zelo contro i difetti degli altri, e pecchi più gravemente con le tue maldicenze che non con colui di cui rimproveri la condotta. – Con una giusta punizione, la maldicenza si ritorce contro se stessa, perché denota un cuore malvagio. – Non c’è peccato nella maldicenza quando si ha un motivo onesto per rivelare la colpa del prossimo, quando, la si rivela solo per impedirne una seconda, quando si tratta di fare un favore all’offensore o al suo prossimo; ma anche quando un dovere di carità ci obbliga a parlare, dobbiamo risparmiare le persone e colpire solo il vizio. (S. F. di S.). Non c’è più maldicenza quando un’offesa è diventata pubblica; per esempio attraverso una sentenza del tribunale o un articolo di giornale. La denuncia è una sorta di calunnia; questo peccato consiste nel ripetere a qualcuno ciò che un terzo ha detto contro di lui. Il rapporto (denunzia) disturba la pace delle famiglie, di intere comunità e causa innumerevoli inimicizie. Questo peccato è più grave della calunnia (S. Th Aq, perché non solo lede la reputazione del prossimo, ma distrugge anche la concordia e la carità tra gli uomini, per cui l’informatore è maledetto da Dio (Eccli. XXVIII, 15).

3. La calunnia consiste nell’attribuire al prossimo colpe che non ha commesso; quando questa denuncia viene fatta all’autorità, diventa una falsa accusa.

Questo fu il peccato della moglie di Putifarre, che accusò Giuseppe al marito di aver cercato di sedurla. I Giudei calunniarono Gesù in presenza di Pilato quando lo accusarono di aver incitato il popolo a rifiutare il pagamento delle tasse, ecc. È il peccato delle anime basse che scrivono lettere anonime per calunniare il loro prossimo. C’è già una calunnia quando si ingigantisce un difetto altrimenti reale del prossimo. La calunnia nasce dalla vendetta, dall’odio e dall’ingratitudine; è doppiamente colpevole, perché lede sia la verità che la reputazione del nostro prossimo. È come il serpente che morde in silenzio. (Eccles. X, 11). Ci sono maldicenti che cercano di avvolgere le loro parole cattive in uno scherzo, una battuta, una malizia; questa calunnia è più crudele delle altre, perché si incide più facilmente nella mente degli ascoltatori, mentre la calunnia ordinaria sarebbe passata inosservata (S. Fr. di S.). Lo stesso vale per le maldicenze che sono precedute da elogi (ad esempio: È un uomo molto buono, ma…); questa battuta penetra profondamente nella mente, come una freccia scoccata da un arco la cui corda è stata tesa (Id). Questi uomini, dice il Salmista, hanno sulle labbra il veleno di una vipera (Sal. XIII, 3).

4. L’oltraggio o ingiuria consiste nel mostrare pubblicamente il disprezzo che si professi per lui.

La calunnia e la maldicenza si commettono in assenza del prossimo, mentre il disprezzo è commesso in faccia: è per la maldicenza ciò che la rapina è per il furto (S. Th. Aq ); essa mina la buona opinione che si ha del prossimo nel proprio ambiente, mentre gli insulti rovinano l’onore che gli si mostra esteriormente. – Semei insultò Davide, quando gli gridò: “uomo del diavolo”, e gli lanciò delle pietre (II Re XVI, 5); i Giudei insultavano spesso Gesù, chiamandolo samaritano, posseduto dal demonio (S. Giovanni VIII, 48). In genere si ricorre agli insulti quando si è nel torto, da cui il proverbio: “Tu ti adiri, dunque tu hai torto”. Infatti, chi è nel giusto non ha bisogno di ricorrere all’insulto; la verità vince da sola. – Dobbiamo classificare sotto l’insulto le parole piccanti elo scherno, che consiste nel rendere ridicolo qualcuno o nel farlo arrossire davanti agli altri. Queste parole offensive sono spesso molto dolorose per gli altri e li riempiono di amarezza. La Sacra Scrittura dice: “Le sferzate di una frusta fanno male, ma i colpi della lingua spezzano le ossa”. Le lingue cattive sono peggio della spada.

5. Ascoltare con piacere parole che ledono l’onore del prossimo è rendersi colpevole del peccato di colui che le preferisce.

Parlare male del prossimo è accendere il fuoco, ascoltarlo è mantenerlo acceso. Se non ci fosse nessuno ad ascoltare le maldicenze, non ci sarebbero maldicenti (S. Ign.). Ascoltarli significa quindi diventarne complici e, come diceva San Bernardo, non saprei decidere quale dei due peccati sia il più grave; c’è solo una differenza: Uno ha il diavolo sulla lingua e l’altro nell’orecchio. Non abbiamo alcun vantaggio, ma il più grande svantaggio, nell’apprendere che il tale o il talaltro sia colpevole; è quindi meglio dedicare i nostri sforzi all’esame della nostra stessa condotta. (S. G. Cris.). Così Gesù ci esorta a togliere la trave dai nostri occhi, prima di occuparci della pagliuzza nell’occhio del nostro prossimo (S. Luc. VI, 42). Ci preoccupiamo dei difetti del nostro prossimo più a lungo di quanto esaminiamo i nostri. (S. Bern.). Quindi non tolleriamo mai che si parli male del nostro prossimo davanti a noi; al contrario, cerchiamo di scusarlo e giustificarlo, mostriamo la nostra avversione e cambiamo discorso. – S. Agostino aveva la sua tavola con questo motto: “Stai lontano da questa tavola se non sei caritatevole”. Quando qualcuno parlava male davanti a Tommaso Moro, egli era solito dire scherzosamente: “Sono dell’opinione che la casa in cui ci troviamo sia molto solida e che l’architetto sia un buon uomo; con questo metteva in imbarazzo i maldicenti. La Scrittura dice: circonda il suo orecchio con una siepe di spine e non prestarlo mai ad un maldicente. (Eccli. XXVIII, 28). – La maldicenza è dunque una spada a tre punte che fa tre ferite, una al maldicente che cade nel peccato, la seconda alla vittima, la terza a chi ascolta, perché lo rende complice del peccato. (S. Bern.). Il calunniatore, facendo cadere nel peccato il suo complice, assomiglia al serpente le cui parole velenose fecero uscire Eva dal paradiso. (S. Ant. erem.).

6. Il peccato contrario alla reputazione del prossimo è tanto più grande quanto maggiore è il danno causato.

L’entità del danno causato al prossimo è la misura esatta della gravità del peccato (S. Th. Aq.). Questa gravità dipende innanzitutto dalla persona che commette il peccato: se si tratta di una persona considerata onorevole, il peccato sarà facilmente piu grave, perché si crede piuttosto a lui che agli altri, mentre non si crede ad un fanfarone; dipende poi dalla persona lesa: se gode di buona reputazione maggiore sarà il peccato. D’altra parte, sarà generalmente veniale, se se la persona in questione ha perso la sua reputazione. In ogni caso, è sempre da temere che il peccato veniale sia la via per le colpe gravi.

4. CHIUNQUE ABBIA ARRECATO UN DANNO ALLA REPUTAZIONE DEL PROSSIMO, È SEVERAMENTE OBBLIGATO A RIPARALA, O CON LE SCUSE, WUANDO LI HA COLPITI SEGRETAMENTE, O CON UNA RITRATTAZIONE QUANDO LO HA FATTO PUBBLICAMENTE.

Qualsiasi danno arrecato alla reputazione di un prossimo richiede una riparazione proporzionata alla colpa (S. F. di S.), non basta tracciare una linea sulla la ferita, bisogna anche guarirla, di conseguenza non è sufficiente cessare i propositi malevoli, ma bisogna anche riparare il danno causato. Questo non è facile, perché richiede un gran rinnegare se stesso, a volte è impossibile. Un sigillo si rompe presto , ma si ripara meno facilmente in modo da far sparire ogni traccia della rottura; un foglio di carta si macchia presto, ma è quasi impossibile, graffiandola, ripristinare il suo primitivo candore. Chi non vuole riparare il danno arrecato alla reputazione, non può ottenere né il perdono di Dio né l’assoluzione del Sacerdote.

Motivi che dovrebbero dissuaderci dal ledere la reputazione del nostro prossimo.

1. Chi giudica duramente il suo prossimo, un giorno sarà giudicato severamente da Dio.

“Non giudicate – disse Gesù – per non essere giudicati”. – “Sarà usata verso di voi la stessa misura che avete usato verso gli altri” (S. Matth. VII, 1-2). “Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati”. (S. Luc VI, 37). (Un monaco di Uxi, che a causa della sua salute cagionevole non aveva potuto condurre una vita molto austera, mostrò grande gioia sul letto di morte. Quando l’abate gliene chiese il motivo, disse: “Non ho mai giudicato gli altri, anche quando ho dovuto soffrire, quindi spero che Dio mi perdonerà”).

2. Chi giudica il suo prossimo fa un’ingiustizia verso Dio, perché viola i suoi diritti.

C’è un solo Legislatore ed un solo Giudice: ma chi sei tu per arrogarti il diritto di giudicare? (S. Giac. IV, 12). Chi sei tu per giudicare il servo di un altro?.(Rom. XIV, 4). Se non hai una conoscenza infinita, non hai il diritto di giudicare; in effetti la malizia di un’azione dipende principalmente dall’intenzione, ed è proprio questa intenzione che ci è nascosta. (S. Fr. di S.).

3. Chi rovina la reputazione del suo prossimo è spesso punito duramente da Dio, già in questa vita, cadendo nella disgrazia che stava preparando per gli altri.

L’uomo che ha una lingua cattiva non sarà felice su questa terra (Sal. CXXXIX, 12). Jezàbel, moglie del re Achab, corruppe due falsi testimoni per accusare di blasfemia Naboth, che non voleva cedere al re la vigna che.il re bramava. La punizione fu terribile: il nuovo re la fece gettare dalle finestre del palazzo, calpestata sotto i piedi dei cavalli, ed i cani la divorarono (III Re XXI). – S. Gregorio di Antiochia era odiato dal governatore della Siria, Asterio. Egli incitò il popolo contro il Vescovo, al punto che egli non poteva più uscire per le strade senza essere insultato o bersagliato con pietre ed immondizia; fu insultato persino in mezzo al teatro. Dopo che il Vescovo si lamentò con l’imperatore, Asterio fu deposto; ma qualche tempo dopo fu richiamato al suo posto. Poco dopo celebrò un matrimonio, che diede luogo a solenni festeggiamenti popolari; ma nella stessa notte, un terremoto fece crollare una moltitudine di case e palazzi. Due terzi della città erano in rovina e 60.000 persone erano morte, compresi il governatore e sua moglie. – La maggior parte delle persone è colpita dalla disgrazia che si stava preparando per gli altri. Santa Elisabetta del Portogallo (†1336) aveva un paggio che distribuiva le sue elemosine; un paggio del re concepì l’invidia nei confronti del suo compagno e approfittò di una battuta di caccia per calunniarlo presso il suo padrone. Il re si arrabbiò e si recò immediatamente dal padrone di una fornace di calce, e gli disse: “Domani ti manderò un giovane che ti chiederà se gli ordini del re sono stati eseguiti; tu lo prenderai e lo getterai nella fornace. Il giorno dopo il paggio della regina ricevette l’ordine di recarsi alla fornace della calce. Sulla strada trovò una cappella dove si stava celebrando la Messa e assistette al santo Sacrificio. L’altro paggio, impaziente di sapere cosa gli fosse successo, si recò alla fornace e chiese con gioia se gli ordini del re erano stati eseguiti. Aveva appena parlato quando era già nella fornace e quando arrivò il primo paggio, i valletti stavano aspettando la loro ricompensa. Si può immaginare il terrore del re quando seppe di questo evento. Chi scava una fossa per gli altri spesso ci cade dentro lui stesso. (Sal. VII, 16). – Gli insulti e le offese sono puniti anche dai tribunali secolari.

4. L’abitudine di danneggiare la reputazione del prossimo porta alla dannazione.

Il polso non sempre dà un’indicazione precisa della gravità della malattia come la lingua nera; molti Cristiani pregano, frequentano la Chiesa e sono considerati pii, ma la loro lingua nerastra, con la quale lacerano la reputazione del loro prossimo è segno della morte prossima della loro anima (Sant’Alfonso). Questi peccati di lingua sono così gravi, perché la reputazione vale più della ricchezza (Prov. XXII, 1);.essi sono come una sorta di omicidio, perché privano il prossimo della vita sociale, di cui l’onore e la reputazione sono un prerequisito (S. Fr. di S.); inoltre, feriscono la carità, perché rattristano profondamente il prossimo. Colui che ha il senso del suo buon nome sopra ogni altra cosa, e nulla lo rattrista tanto come quando questo bene prezioso, preferisce perdere il suo patrimonio, a volte anche la sua vita. – I maldicenti e i calunniatori non possederanno il regno dei cieli (1. Cor. VI, 10); sono figli di satana (III. Re XXI, 13) e degni di morte (Rom. I, 32). Chi offende gravemente il proprio fratello è meritevole del fuoco della Geenna. (S. Matth. V, 22). La preghiera e il digiuno non possono salvarci dalla dannazione che ci procuriamo da soli con l’abuso della nostra lingua cattiva (S. Bern.).

2. IL DIVIETO DELLA FALSITÀ

DIO È LA VERITÀ STESSA; PER QUESTO MOTIVO PROIBISCE OGNI FALSITÀ, LA MENZOGNA, L’IPOCRISIA E L’ADULAZIONE.

Dio è la verità (S. Giovanni III, 33; Rom. III, 4), non può mentire (Eb. VI, 18). “Io sono – dice Gesù – la via, la verità e la vita (S. Giovanni XIV, 6). (Es. XXIII, 7; Lev. XIX, 11). “Abbandona ogni menzogna – dice San Paolo (Ef. IV, 25) – e ognuno dica la verità al suo prossimo”. Le vostre parole siano vere e sincere, se volete essere figli di Colui che è il Padre della verità e la verità stessa (S. F. di S.).

1. La menzogna consiste nel dire il contrario della verità, ingannare il prossimo.

La menzogna è un abuso del linguaggio, che è stato dato all’uomo non per ingannare ma per esprimere i suoi pensieri (S. Aug.). In genere mentiamo in primo luogo per uscire da un imbarazzo, proprio o del prossimo, come San Pietro nel vestibolo del sommo sacerdote quando affermava di non conoscere Gesù; poi per scherzo, quando si vuole divertire qualcuno, e infine quando si vuole danneggiare il prossimo, come Giacobbe quando ha finto di essere Esaù per ricevere la benedizione del padre. (Gen. XXVII). – Colui che racconta una storia immaginaria; una favola, una parabola, per insegnare al suo prossimo, non proferisce una menzogna, perché Cristo stesso ha fatto spesso uso di favole e parabole. Il bugiardo è come una moneta falsa che sembra essere qualcosa di diverso da ciò che è in realtà. (San Giovanni Climaco), come un orologio che batte un’ora diversa da quella che segna.

2. L’ipocrisia, o dissimulazione, è una menzogna che consiste nel parlare e nell’agire diversamente da come si pensa.

Giuda baciò Gesù nell’Orto degli Ulivi, come se fosse il suo migliore amico, (S. Matth. XX.VI, 49). Erode disse ai Magi: “Quando avrete trovato il bambino, venite ad informarmi, perché anch’io possa andare ad adorarlo”. Ma pensava tra sé: “Quando saprò dove si trova il bambino, lo farò uccidere”. (S. Matth. II). Questi sono ipocriti, che hanno l’apparenza della virtù e in realtà sono immorali; sono chiamati tartufi; assomigliano a satana che si traveste da angelo della luce. Peccare pubblicamente è meno grave che fingere di essere santi (Ger.). È ipocrisia anche compiere alcuni atti di pietà: prendere l’acqua santa, genuflettersi, senza pensare a nulla. L’ipocrita assomiglia ad un mucchio di letame coperto di neve; questo bel velo nasconde la sua vera natura. (Clemente Al.). Il Salvatore paragona gli ipocriti a sepolcri imbiancati, che sono belli all’esterno, ma che all’interno sono pieni di ossa e di putrefazione (S. Matth. XXIII, 27); a lupi travestiti da pecore (Id. VII, 15); pecore per il loro abbigliamento, ma lupi per la loro astuzia e crudeltà. (S. Bern.).

3. L’adulazione consiste nel lodare eccessivamente qualcuno si faccia contro le proprie convinzioni e nel proprio interesse.

Erode Agrippa, lo stesso che aveva fatto imprigionare S. Pietro, era contro gli abitanti di Tiro e Sidone. Essi vennero dal monarca, egli parlò loro, ed essi gridarono: “Questa è la voce di un Dio e non di un uomo”. Erode se ne rallegrò, ma subito un Angelo lo colpì ed egli morì, divorato dai vermi.(Act. Ap. XII, 23). – Gli adulatori parlano contro la loro convinzione, come specchi che mettono a sinistra ciò che è a destra e viceversa. Essi parlano favorevolmente in faccia di qualcuno e se ne prendono gioco non appena si volti. Gli adulatori cercano solo il proprio tornaconto (S. Giuda 14), come il gatto che fa le fusa ed il cane che scodinzola per un osso o un pezzo di carne. I furbi si abbassano e si piegano ovunque sperino di ottenere un vantaggio personale. (S. Bern.). Gli adulatori di solito circuiscono i ricchi, perché non c’è nulla da aspettarsi dai poveri; sono come le cavallette che non si vedono né d’inverno, né in luoghi dove non c’è erba; si trovano solo dove c’è abbondanza. (S. Vinc. Fer.). – Gli adulatori lodano senza misura, attribuiscono alle loro vittime qualità che non possiedono, o esagerano le qualità reali, o addirittura ne difendono le azioni cattive. È una razza molto pericolosa, perché nascondono i loro difetti al prossimo e lo precipita in colpe più gravi; un vero amico ci rende consapevoli dei nostri difetti, come un buon medico che ci dice con franchezza ciò che ci fa male e ciò che ci fa bene. L’adulatore invece non è in grado di fare del bene o del male; è interessato solo al favore, come un cuoco che cerca solo di rendere le sue pietanze gradevoli al palato, senza preoccuparsi del male che possano causare. L’adulatore mette un cuscino sotto la testa del peccatore per impedirgli di svegliarsi e per farlo perseverare nei suoi peccati (S. Vinc. Fer.); è un alimento per il peccato, come l’olio per il fuoco (Beda il Ven.); l’adulatore è il terreno di coltura di tutti i vizi. (S. Thom. Villan.). Poiché gli adulatori gettano l’uomo nel peccato, essi stessi saranno gettati nell’abisso (S. Bern.). – “Guai a voi ‘ disse loro Isaia – che chiamate male ciò che è bene e bene ciò che è male”. (V, 20). Dobbiamo quindi fare attenzione, non appena qualcuno ci mostra un particolare interesse e ci inonda di lodi, seguendo l’esempio della Beata Vergine, che ha tremato alla parola dell’Angelo.

Motivi per allontanarsi dalla falsità.

1. Il bugiardo somiglia al diavolo, dispiace a Dio, perde la fiducia dei suoi simili, causa molti torti e diventa capace di ogni sorta di misfatti.

Il bugiardo assomiglia al diavolo, perché il diavolo ha mostrato nel paradiso con la seduzione di Eva di essere un mentitore ed il padre della menzogna (S. Giovanni VIII, 14). Tutti coloro che mentono sono figli di satana (S. Aug.), non per natura, ma per imitazione (S. Amb.); è l’obbrobrio del mentitore (Eccli. IV, 30). – Il bugiardo dispiace a Dio, perché Dio è la verità. Gesù non trattò nessuno più severamente dei farisei, perché erano ipocriti (S. Matth, XXIII, 7); Egli ha riportato al bene peccatori di tutte le categorie, l’usuraio Zaccheo, il buon ladrone, la Maddalena, la Samaritana, Saulo il persecutore, ma non un solo bugiardo. Poiché Cristo è la verità, non ha avversario più fondamentale del bugiardo. La menzogna è stata quindi spesso punita severamente da Dio: Anania e Saffira furono fatti morire per aver ingannato gli Apostoli (Atti V); Giezi, il servo del profeta Eliseo, fu colpito dalla lebbra per aver mentito.(IV, Re V). Le labbra bugiarde sono un abominio per Dio. (Prov. XII, 22). – Il bugiardo perde la fiducia dei suoi simili. (Un pastore gridava spesso: al lupo!” per scherzo; i suoi compagni arrivavano e venivano ed erano sempre ingannati. Ma un giorno il lupo arrivò davvero ed il pastore gridò, ma i suoi compagni non vennero). Un bugiardo non viene più creduto, anche quando dice la verità; perde tutto il credito e diventa odioso agli uomini ed al Signore (S. Efrem). (Quando morì un romano noto per le sue bugie, l’imperatore Claudio fece abbattere la sua casa e scacciare i suoi figli.)- Il bugiardo causa molti danni. Gli esploratori che Mosè aveva inviato nella Terra Promessa, ispirarono un tale terrore nel popolo degli Israeliti, tanto che volevano uccidere i due esploratori che dicevano la verità, e tornare in Egitto. il Signore nella sua ira fu sul punto di distruggere il popolo (Num. XIII). Giacobbe, con la menzogna che gli era valsa la benedizione del padre, si attirò l’odio di Esaù, che lo costrinse a fuggire minacciandolo di morte (Gen. XXVII). (Ugiorno un signore disse a dei paesani in viaggio che la loro casa e metà del villaggio erano in fiamme. Un poveretto ne morì all’istante). La lingua è un organo molto piccolo ma è causa di immensi mali (S. Jac. III, 5); chi è sconsiderato nelle sue parole, cadrà in molti mali (Prov. XIII, 3), e il diavolo usa le nostre parole come una spada per ferirci (S. Ambr.). – La menzogna è il padre di molti vizi: giovane bugiardo, vecchio ladro. Dove c’è falsità c’è frode ed ogni tipo di malizia. (S. Aug.). Questo deriva dalla persuasione in cui il bugiardo si trova di poter negare la sua colpa quando viene scoperto (Senofonte).

La pietà è inconciliabile con la menzogna, perché lo Spirito Santo fugge dall’ipocrita. (Sap. I, 5). La pietà, il culto di chi parla contro i suoi sentimenti, non è altro che vanità. Non associatevi mai a lui, per non essere corrotti da lui (S. Giovanni Clim.). I bugiardi sono disonorati (Prov. XX, 28) e le loro parole sono un abominio per i giusti. (Eccli. XIII, 5).

2. L’abitudine alla menzogna porta facilmente al peccato mortale ed alla dannazione eterna.

La menzogna è di per sé un peccato veniale, ma diventa facilmente mortale, quando provoca grave danno o scandalo. L’abitudine alla menzogna costituisce un grave pericolo per la salvezza, perché Dio ritira le sue grazie dal bugiardo e lo Spirito Santo fugge davanti a lui. La bocca bugiarda uccide l’anima (Sap 1,11). Un ladro è spesso meno colpevole di un bugiardo; perché la cosa rubata può essere restituita, mentre la reputazione rovinata da una menzogna non può essere restituita; il ladro è migliore del bugiardo ostinato, ma entrambi vanno in rovina; perché la menzogna è il rimprovero dell’uomo. (Ecclesiastico X, 26, 27). Il bugiardo è come colui che sparge denaro falso su cui c’è l’effigie del diavolo. Nel giorno del giudizio essa sarà esibita, il Giudice chiederà: “Che cos’è questa effigie?” e sentendo la risposta: “Del diavolo”, dirà: “Restituite al diavolo ciò che gli appartiene” (S Th. Aq.). Dio sterminerà coloro che non dicono la verità (Sal. V, 7), il bugiardo non entrerà nel paradiso (Apoc. XXI, 13) perché Gesù ha pronunciato una terribile maledizione contro gli ipocriti. (S. Matt. XXIII,13).

Pertanto, la menzogna è colpevole, indipendentemente dal beneficio che se ne possa trarre.

Mentire per aiutare il prossimo è colpevole quanto rubare per fare l’elemosina. (S. Aug.); non è permesso mentire nemmeno per salvare la propria vita o quella del prossimo. (Id.). Sant’Antimo, Vescovo di Nicomedia, era molto ospitale verso i soldati incaricati di arrestarlo; essi volevano salvarlo mentendo, ma lui non lo permise e preferì subire il martirio. Non è permesso dire bugie. Non è permesso fare del male per procurare un bene (Rom. III, 8). La bontà del fine non giustifica mai la malizia dei mezzi. I nemici della Chiesa hanno spesso sostenuto che i Gesuiti insegnavano la liceità di mezzi malvagi per un fine lodevole. Per mettere a tacere i calunniatori il celebre P. Roh (1852) depositò 1000 scudi all’Università di Heidelberg, come premio per chiunque avesse scoperto questa massima in un libro di un gesuita. Il denaro è ancora lì! D’altra parte, questa massima si trova in una lettera di Voltaire al suo amico Thiérot (21 ottobre 1736): “La menzogna è un vizio quando causa un danno, è una virtù quando porta un bene”. Che bella filosofia!

Uno scherzo non è una menzogna, quando lo scherzo è evidente, a patto che ci si pensi; poiché manca l’intenzione di ingannare.

Uno che, in pieno inverno, dica: “Che caldo” non commetterebbe menzogna. Lo stesso non vale per certi scherzi di cattivo gusto che possono avere conseguenze disastrose, poiché è sempre un peccato ingannare il prossimo. – Si può dire che ogni cosa in sé, per quanto innocua possa sembrare, è dannosa, perché danneggia il prossimo o noi stessi, ferendo la verità e la rettitudine del cuore. Chi mente, anche per scherzo, da prova di duplicità. Siamo dunque sempre franchi e sinceri, se vogliamo essere figli di Colui che è il Padre della verità e la Verità stessa (S. Fr. di.S.).

È lecito dare una risposta equivoca a qualcuno che ci metta in imbarazzo con domande che non ha il diritto di fare.

Non abbiamo diritto ad una risposta quando non si ha il diritto di fare domande, è quindi lecito, in questi casi, dare risposte evasive, equivoche o equivalenti ad un rifiuto. S. Atanasio, vescovo di Alessandria, in fuga sul Nilo dalle persecuzioni dell’imperatore Giuliano, incontrò dei soldati che lo inseguivano. Essi chiesero dove si trovasse Atanasio. – “Egli non è lontano – fu detto loro – se vi affrettate, lo raggiungerete facilmente”. Atanasio fu salvato. Anche San Tommaso di Canterbury fu costretto a fuggire a cavallo sotto un misero travestimento. I satelliti del re d’Inghilterra lo incontrarono e gli chiesero se fosse lui l’Arcivescovo. “Giudicate voi stessi – disse – se un Arcivescovo viaggia in un simile assetto”. – L’Arcangelo Raffaele disse a Tobia che lui era Azarias, figlio di un giudeo opulento, – sottintendendo: quanto alla forma (Tobia. V, 18); se avesse detto chi era, non sarebbe stato in grado di eseguire gli ordini di Dio. Potete quindi rispondere con coraggio a chi vi chiede del segreto professionale: “Non lo so” (cioè per comunicarvelo). Cristo aveva detto, in questo senso, di non conoscere il giorno del giudizio. (S. Marco XIII, 32). Quando un uomo disonesto vuole da noi prendere in prestito denaro, possiamo dire con coraggio che non ne abbiamo (da dargliene). L’accusato può anche dare risposte evasive al giudice, quando.il giudice voglia estorcergli una dichiarazione, senza avere nemmeno l’inizio di una prova, perché nessuno è obbligato ad accusare se stesso (S. Alf.). In questi casi ci si può rifiutare di rispondere. S. Firmo, Vescovo di Tagaste, aveva nascosto nella sua casa un giovane che l’imperatore voleva far giustiziare ingiustamente; i carnefici erano venuti a chiedergli dove fosse il giovane, il Vescovo si rifiutò di rispondere, fu torturato e fece questa osservazione: Posso sacrificare la mia vita, ma non ho il diritto di rendere infelice un altro. Commosso da questa risposta, l’imperatore perdonò il giovane. Allo stesso modo, San Cipriano, avendo ricevuto l’ordine di fornire al giudice i nomi dei Sacerdoti di Cartagine, si rifiutò di farlo dicendo: “Mandateli a chiamare e ben presto li troverete”. Gesù stesso non rispose a tutte le domande di Pilato. – È ovvio che è inutile dire che le risposte equivoche sono ammesse solo quando sono richieste per l’onore di Dio, il bene del prossimo ed un serio interesse personale. Sarebbe un peccato contro la carità e la verità dare queste risposte con l’intenzione di ingannare. È vietato usarle soprattutto quando il prossimo ha diritto a tutta la verità, come nel caso degli acquisti, delle vendite e dei contratti. Per esempio, sarebbe una grande ingiustizia se, prima del loro matrimonio, due fidanzati usassero espressioni equivoche sulla loro fortuna.

3. La sincerità ci rende simili e graditi a Dio e ci fa guadagnare la stima dei nostri simili.

Il Cristo è la verità (S. Giovanni XIV, 6), quindi una persona sincera è come Gesù. – È quindi essa gradita a Dio, poiché Gesù lodò Natanaele perché “era un vero israelita in quanto non c’era nulla di falso in lui”. (Id. I, 17). – Egli è stimato dai suoi simili. Augusto, avendo saputo che tra i prigionieri che seguivano il suo carro trionfale, c’era un sacerdote a cui nessuno poteva rimproverare di aver mentito, lo fece liberare e gli dedicò una statua. S. Giovanni di Kenti un giorno fu sorpreso dai briganti e derubato; gli chiesero se avesse consegnato tutto e, alla sua risposta affermativa, lo lasciarono andare. Sol dopo si ricordò di avere ancora qualche moneta d’oro nella fodera del vestito; allora tornò sui suoi passi per darli ai rapinatori, che furono così commossi che gli restituirono tutto ciò che avevano preso (Ben. XIV). È quindi nel nostro stesso interesse confessare le nostre colpe con sincerità; questa sincerità ci ottiene subito o il perdono o una diminuzione della punizione. Nella sua fanciullezza Washington aveva danneggiato un albero di ciliegio con un’ascia; il padre, terribilmente incattivito, chiese chi avesse fatto il danno; Washington con semplicità rispose: “Padre, non voglio mentire; sono stato io”. – “La tua franchezza – rispose il padre profondamente commosso – vale più di cento ciliegi”, e gli rimise ogni punizione. E anche se la nostra franchezza ci ha causato qualche inconveniente, la pace della coscienza, sarà largamente ricompensata dalla pace della coscienza. La retta via è un cammino sicuro (Prov. X, 9), cioè l’onestà non ha nulla da temere. Per questo Gesù ci comanda di essere semplici come colombe (S. Matth. X, 16). Nessuno stratagemma vale la sincerità. (S. F. di S.)

3. I MEZZI PER COMBATTERE I PECCATI DELLA LINGUA.

I SS. Padri sono dell’opinione che con i peccati della lingua due terzi dei peccati scomparirebbero dal mondo.

Il modo più semplice per evitarli è praticare la discrezione e la prudenza nelle nostre parole; scusando o difendendo il nostro prossimo quando viene attaccato; evitando di ripetere commenti dispregiativi nei loro confronti.

Dobbiamo evitare di essere loquaci. Il silenzio è il miglior rimedio contro i peccati della lingua (Aug.), esso ne è la morte (S. Ant.). Colui che sa tacere sarà altrettanto prudente quando parla. I filosofi greci costringevano i loro discepoli a tacere per molto tempo, per insegnare loro a parlare con saggezza. (S. Greg. Gr.) La discrezione è la madre dei pensieri prudenti. (S. Ambr.) Chi custodisce la propria lingua, conserva la sua anima, ma chi è sconsiderato nelle sue parole andrà incontro a disgrazie (Prov. XIII, 8), perché è impossibile parlare molto senza peccare (Id. X, 19). Come lo sfregamento del ferro contro la pietra produce il fuoco, così la loquacità produce il peccato..(S. Giovanni Clim.) – Mentre tutti gli organi dei sensi sono liberi, la lingua è stata posta da Dio dietro la doppia barriera dei denti e delle labbra, per esortarci ad essere attenti al nostro linguaggio (S. Bern.). Bisogna avere il cuore sulla lingua, ma la lingua nel cuore (S. Umberto). Fate una scelta tra le vostre parole, come la fate nel cibo (S. Aug.); siate prudenti nell’aprire la bocca come nell’aprire la bocca, come nell’aprire la borsa (S. Vinc. F.). La Scrittura paragona la lingua ad un rasoio, per indicarci che dobbiamo essere attenti alla lingua come un medico fa con il suo strumento quando esegue un’operazione (S. Fr. di S.) Dobbiamo pensare bene prima di parlare, perché non possiamo più riprendere una parola che sia stata lasciata cadere, non più di quanto possiamo trattenere una pietra o una freccia lanciata (S. P. Dam.) Gesù ci avverte che al momento del giudizio daremo conto delle parole inutili (S. Matth. XII, 36), che il nostro linguaggio sarà sufficiente a giudicarci; perché, dice, “è dalle vostre parole che sarete giustificati o condannati”. (Id XII, 17). – La vita e la morte sono dunque in potere della lingua (Prov. XVIII, 21). – Se si attacca il nostro prossimo in nostra presenza, noi dobbiamo scusarlo. Parlate per il muto, dicono i Proverbi (XXXI, 8), cioè parlate per l’assente, che non può difendersi. Se qualcuno parla male del suo prossimo in nostra presenza, scusiamo la sua intenzione, se ciò non è possibile, scusiamolo a causa delle grandi tentazioni a cui è stato esposto o a causa della debolezza umana, con il che attenueremo sempre il rigore del giudizio. (S. Fr. di S.) Possiamo anche sottolineare il bene che il peccatore ha fatto dall’altra parte; così faceva Santa Teresa, e nessuno in sua presenza osava attaccare il proprio prossimo. È difficile dire qualcosa a qualcuno che non vuol sentirlo. (S. Gir.) Possiamo anche assumere un’aria molto seria per dimostrare la nostra avversione alle maldicenze per mettere in imbarazzo il maldicente; è così dura la pietra, che respinge la freccia verso colui che l’ha lanciata. Un volto triste dissipa le maldicenze come il vento del nord dissipa la pioggia (Prov, XXV, 23). È anche una buona idea deviare la conversazione su altri argomenti; in questo modo si impedisce al maldicente di continuare il suo eloquio, ma chi tollera le maldicenze, si rende complice. – Non ripetete mai la maldicenza; lasciatela che si infiammi nel vostro orecchio, non scoppierà: solo lo stolto prova dolore nel mantenere ciò che ha ascoltato (Ecclesiastico XIX, 10). Siamo molto riservati nelle nostre parole, perché potremmo facilmente ferire l’anima del nostro prossimo per il resto della sua vita, per non parlare delle punizioni che i tribunali potrebbero infliggerci. – Fatevi gli affari vostri e non quelli degli altri, e lasciate che ognuno spazzi davanti alla sua porta.