DOMENICA V “quæ superfruit” DOPO EPIFANIA (2023)

DOMENICA V “quæ superfuit” DOPO EPIFANIA – III. Novembris (2023)

Semidoppio. Paramenti verdi.

Nei Vangeli delle precedenti Domeniche dopo l’Epifania la divinità di Gesù Cristo appariva nei suoi miracoli; oggi essa si afferma nella sua dottrina che « riempì di ammirazione » i Giudei di Nazaret (Com.). Gesù è nostro Re (Vers., Intr., All.), perché accoglie nel suo regno non solo i Giudei, ma anche i Gentili. Chiamati per pura misericordia a far parte del Corpo mistico di Cristo, bisogna dunque che anche noi usiamo misericordia al prossimo, perché noi facciamo in Gesù una cosa sola con Lui (Ep.). Perciò bisogna esercitarsi nella pazienza; perché nel regno di Dio, qui sulla terra, ci sono buoni e cattivi, e solo verranno separati per sempre gli uni dagli altri solo quando Gesù verrà per giudicare gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Jer XXIX :11; 12; 14

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2

Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

 [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.

 [Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17

Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

[“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „].

I SEGRETI DELLA CARITA’.

È uno dei tasti, questo della carità, che San Paolo batte più spesso e più volentieri. Nel che egli imita e persegue la tattica del Maestro divino Gesù. Pel Maestro la carità riassume la lettera della Legge e lo spirito dei Profeti: per il discepolo la carità è l’intreccio delle perfezioni. E la carità reciproca, pel discepolo come pel Maestro, deve spingersi, per essere carità fino al perdono. Se non arriva lì, se deliberatamente si ferma più in qua, non è carità: è un surrogato, una imitazione, una contraffazione, forse non è carità cristiana, carità vera. Sopportarci a vicenda dobbiamo, dice con grande senso della realtà vera, quotidiana della vita; sopportarci dobbiamo se vogliamo essere caritatevoli. La sopportazione concerne i nostri difetti, grazie ai quali ci si urta l’un l’altro. È una forma di pazienza necessaria, perché gli urti nella vita sono facili, anche indipendentemente dalla nostra volontà. Pensate che per uno può diventare difetto ciò che per un altro è pregio. La calma del flemmatico è di fastidio alla vivacità del temperamento impulsivo. Bisogna sopportarci per amare. La carità è viva a prezzo di pazienza. Perciò altrove San Paolo enumerando le qualità che la carità deve avere, pone in alto, in prima linea la pazienza: « Charitas patiens est ». – Ma non basta essere tolleranti dei difetti altrui, la carità esige da noi il perdono, la condonazione. Qui non si tratta più di difetti del prossimo, cioè di qualità altrui che spiacciono a noi. Non ci sono solo le vivacità che offendono la mia flemma, ci sono gli sgarbi veri e proprî che irritano la mia coscienza; umiliazioni che offendono la mia dignità, male parole che so di non meritare. Ci sono le offese meditate, calcolate, volute, gratuite, dannose. Provocano lo sdegno. L’istinto grida vendetta. E all’istinto fa eco un certo senso molto egoistico di giustizia. Vendetta? No, dice il Vangelo; no, dice Paolo in nome della carità, il programma nuovo del Cristianesimo: bisogna perdonare, condonare: « Sopportatevi l’un l’altro (sono le parole testuali dell’Apostolo nell’odierna Epistola) e condonatevi l’un l’altro, se avete motivo di lagnarvi ». Ma l’Apostolo dice anche il perché di questo precetto nuovo: ci insegna il segreto, la molla di questa virtù eroica. « Come Dio ha condonato a voi, così voi reciprocamente ». Terribile motivo, travolgente. Ogni giorno abbiamo bisogno del perdono di Dio, ogni giorno facciamo appello alla Sua misericordia, per ottenerla. «Perdonaci » gridiamo nella preghiera. « Dimitte nobis debita nostra ». Ma allora bisogna essere logici: non negare agli altri, ciò che si vuole, quasi si pretende per se stessi. E la preghiera quotidiana continua implacata ed implacabile: « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Come anche noi perdoniamo, condoniamo a chi si è fatto, si è reso nostro debitore offendendoci iniquamente. Atto eroico, atto difficilissimo questo del perdono ai nostri offensori, meno difficile quando se ne considera la misteriosa e reale giustizia e, sempre sulla scorta di San Paolo, un frutto prezioso e provvidenziale la pace. La pace è il sospiro dell’anima umana; la pace è l’atmosfera normale della vita: la pace è l’atmosfera normale della vita e della gioia. La guerra stessa, che ha i suoi fanatici non vale se non in quanto serve alla pace. Non si fa la guerra per la guerra, si fa la guerra per la vittoriosa pace, la pace nella vittoria. Ma la pace, non è, non sarà mai l’epilogo della vendetta. La vendetta ha un meccanismo fatto a catena. Una violenza, una ingiustizia produce l’altra: « Abjssum invocat … ».Il tuo schiaffo genera, in linea vendicativa, il mio pugno, il mio pugno il tuo bastone, il tuo bastone la mia rivoltella e così fino all’infinito. Dove e quando la vendetta fu costume e legge, la pace fu un mito astratto, un desiderio pio, una invocazione vana. Questa catena maledetta ed infinita di rappresaglie la tronca il perdono. È un punto fermo, è un cambiamento di registro, e l’intimazione efficace di un basta colle lagrime e col sangue. Alle anime veramente caritatevoli, perché caritatevoli fino al perdono, Paolo annuncia, come ricompensa la pace di Cristo, pace lieta tripudiante. « Et pax Christi exultet in cordibus vestris. » Perché, fratelli se vogliamo la pace sappiamo come e dove procurarcela: Col perdono imparato alla scuola di Gesù Cristo. Carità, perdono, pace sono tre fili di una sola, magnifica, infrangibile corda.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizáania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

[“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ ].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA ZIZZANIA NELLA VITA CRISTIANA

Aveva rivoltata in ogni senso la sua terra, l’aveva fatta passare con la zappa lotto per lotto scrutando i fili gialli della gramigna, l’aveva adeguata come un letto, e l’aveva seminata con la semente migliore. Ma poi, a primavera, quando il grano cominciò a ondeggiare sui solchi, si vide i servi tornare sbigottiti. « Padrone, il nostro campo è tutto una zizzania! non avevate sparso buon seme? ». Il Padrone comprese e gettò un lamento pieno d’amarezza: « È stato il mio nemico a rovinarmi! ». Mentre i suoi uomini dormivano placidi sonni, sognando abbondanti raccolti, l’uomo maligno era passato sopra i solchi, silenzioso e rapido come un uccello notturno, lasciando cadere a larghe manate la trista semente. « Aspettate! — aggiunse poi il Padrone — non ora è il tempo di strappare la zizzania, poiché svellereste anche il grano. Verrà la mietitura e allora sterperete tutta la zizzania e a fasci la getterete sul fuoco. Solo il buon grano troverà posto nel mio granaio ». – Tutto ciò che quel contadino aveva fatto per la sua terra, e molto più ancora, Dio ha fatto per l’anima nostra. L’ha creata bella della sua bellezza, splendida del suo splendore; l’ha irrigata col suo sangue preziosissimo; l’ha rinfrescata con la rugiada dei Sacramenti; l’ha seminata con un seme che dà frutti per la vita eterna. Se noi potessimo comprendere il valore d’un’anima in grazia! Se potessimo comprendere come anche le più piccole azioni, anche un bicchier d’acqua offerto all’ultimo povero, per la Grazia acquista un valore grandissimo! Certo non dormiremmo come quei contadini, ma giorno e notte staremmo vigili in mezzo al campo, perché l’uomo malefico non passi a gettare zizzania. Invece son troppi i Cristiani che sonnecchiano, che lasciano cadere invano il monito evangelico della vigilanza: il demonio passa e contamina ogni buon frutto con la sua zizzania. – Virgilio, grande poeta romano, ha descritto una favolosa scena, non priva di significato per noi. Un manipolo di eroi scampati dalla rovina della patria distrutta con fuoco e con ferro e con frode, dopo un doloroso viaggio, tocca le isole Strofadi. Lieti di poggiar piede su terra ferma, imbandiscono le mense: come tutto è preparato, ecco dalle rupi circostanti piombare a volo le Arpie, mostri schifosi e bavosi, a contaminare ogni vivanda ed ogni bevanda. Tutto è rovinato dal fetore e dal veleno. Gli eroi perseguitati devono fuggire altrove. Ma anche altrove, quando già le cosce dei capri e le coste dei buoi, rosolate allo spiedo, erano pronte per la loro fame, ecco il trepidare di ali terribili, improvvise, come folgori nere, le Arpie sono giù, con la bocca immonda deturpano ogni cibo; poi, lanciando grida malaugurose, spariscono nella convessa serenità del cielo. Invano quei profughi valorosi tenteranno la resistenza; dovranno tagliare le corde, levare le ancore, risolcare il dorso dell’acqua verso una terra fatale. – Proprio come le Arpie, così fanno i demoni, se appena possono, con i Cristiani. Vengono e cercano di rovinare ogni opera buona con la loro bava e la loro zizzania. E di zizzania contaminano la mente, il cuore, l’anima, tutte le azioni della giornata, così da renderle inservibili per la vita eterna. Le azioni che ogni uomo compie nel giro di un giorno sono, presso a poco, queste: la preghiera, il lavoro, il nutrimento, il riposo. Ora osserviamo come il nemico infernale faccia sopra questi campi la sua grama seminagione. – 1. NELLA PREGHIERA. Caino coltivava la terra, e soleva abbruciare in omaggio al Signore alcuni frutti de’ suoi campi. Ebbene, si legge che più d’una volta il fumo di quei sacrifici, invece d’elevarsi al cielo, cadeva subito pesantemente a terra in segno di riprovazione. Quel fumo è un’immagine della preghiera di molti Cristiani che gli Angeli non vogliono trasportare davanti al trono dell’Altissimo perché contaminata dalla zizzania diabolica. –  Zizzania del sonno. Ecco una famiglia buona che sta recitando il santo Rosario o la preghiera della sera. In un cantuccio c’è il padre che dorme, qualche figliuolo è già scappato a letto e la mamma è così stanca da non sapere a che mistero è giunta. Se invece della preghiera, ci fosse stato da chiacchierare con un amico, si tirava la mezzanotte e senza sonno. Oh com’è furbo il demonio! – Zizzania della distrazione. Ecco, quella buona persona è in Chiesa ad ascoltare la S. Messa; ma non è tutta in Chiesa: la sua mente è rimasta a casa in mezzo alle faccende, il suo cuore è lontano con quella persona. Ogni tanto s’accorge d’essere distratta, ma non si sforza di attendere al sublime mistero che si svolge all’altare. Le sue labbra si muovono a mormorare preghiere, ma la sua mente non sa quel che si dice. – Zizzania della sfiducia. Gesù passa vicino a molte anime e vi lascia cadere il seme di buone ispirazioni: « Prega di più, che ne hai bisogno ». Quelle anime si mettono a pregare. Ma poi passa il demonio e vi semina mille dubbi cattivi. « Che cosa hai guadagnato a pregare fin qui? guarda il tale come è felice, come si fa ricco, e non prega mai! Credi tu che Iddio abbia il buon tempo d’ascoltarti? se davvero ti sentisse, riceveresti delle grazie, invece non ne hai avuto nemmeno una ». E le anime ingannate diminuiscono le loro orazioni e si lasciano invadere dalla zizzania. Vigilate, Cristiani, perché il nemico non dorme. – 2. NEL LAVORO. S. Ignazio, passando accanto a una casa in costruzione, osservò un giovane muratore che lavorava con lena e lietamente: di quando in quando poi levava gli occhî in cielo e mormorava una giaculatoria senza che nessuno se n’accorgesse. « Vedete quel muratore? — disse il Santo ad alcuni suoi compagni — ad ogni mattone che immura aggiunge una gemma alla corona di gloria che l’aspetta in Paradiso ». Veramente non solo quell’operaio, ma tutti i lavoratori di qualsiasi lavoro dovrebbero con la loro fatica aumentare i loro meriti per il Cielo. Invece spesso si lasciano sorprendere dal demonio che anche in quest’ora semina la sua malvagia zizzania. Zizzania del demonio sono le bestemmie con cui tanti sciagurati operai condiscono la loro produzione. Zizzania del demonio sono gli inganni e le frodi con cui gli operai cercano di sfruttare i padroni, ed i padroni cercano di sfruttare gli operai; con cui compratori e venditori cercano di rovinarsi a vicenda. Zizzania del demonio è la cattiva intenzione con cui molti uomini lavorano: essi non accettano le fatiche dalle mani di Dio, ma dopo aver imprecato contro i ricchi che mangiano senza sudare, acconsentono a lavorare solo per arricchire. Quando giungeranno al letto di morte, infelici, che cosa avanzeranno di tanti sudori? Nulla o quasi, perché gli Angeli getteranno al fuoco troppe delle loro fatiche come zizzania in fascio. – 3. NEL NUTRIMENTO. Un Cristiano dei primi secoli ci ha descritto il modo con cui i fedeli compivano il dovere di sostentare col cibo la vita. « Nei nostri pasti non vi è nessun istinto di golosità; non ci si mette a tavola senza prima aver innalzato a Dio una preghiera; non si mangia più di quanto sia necessario per placare la fame; non si beve più di quanto convenga ad una persona che vuol vivere casta; si parla lietamente come uno che sa d’essere ascoltato da Dio. E dopo che tutti han finito, si accendono le lucerne e si cantano le lodi del Signore. Il pasto incominciato con la preghiera, con la preghiera finisce. Si esce dall’agape pieni della propria anima come allora che si era entrati: con modestia, con delicatezza. Par quasi d’essere stati a una scuola di virtù e non alla refezione » (TERTULLIANO). Dall’esempio offertoci da quei veri Cristiani, subito risaltano ai nostri occhi i difetti con cui il demonio contamina i nostri pasti. E se anche a nessuno di noi si potesse ripetere la minaccia del profeta Amos: « Guai a te che cerchi le vivande squisite e rare, e i vini deliziosi in abbondanza, e non ti curi di un popolo in miseria che muore di fame! »; tuttavia quant’altra zizzania il demonio semina furtivamente sulla mostra mensa! – E innanzi tutto, c’è una piccola preghiera prima e dopo i pasti? Siamo dunque tornati pagani? Abbiamo insegnato ai nostri figliuoli a farsi il segno della croce prima e dopo il nutrimento o lasciamo che mangino come le bestie? Anzi ci sono taluni che fan peggio delle bestie. Nessun animale privo di ragione mangia quando non ha fame e beve quando non ha sete; solo l’uomo si sforza di riempire un ventre già sazio, e di bere oltre ogni saturità fino a sentirsi male. Se poi si dovesse esaminare i discorsi che si fanno, mangiando o bevendo, specialmente negli alberghi e nelle osterie, risulterebbe che in questo campo ogni buon grano è inaridito e sola domina la zizzania del demonio. – 4. NEL RIPOSO. Anche il riposo è sacro e ce lo insegna il grande Operaio che dopo aver creato il mondo, al settimo giorno riposò. Tutto è sacro nella vita del Cristiano, ed ogni azione, anche umile e indifferente, se fatta bene fa guadagnare il Paradiso. E il demonio questo lo sa e perciò anche il riposo vuol contaminare. E ci riesce. Quante donne si lasciano guastare le ore di sollievo dalla mormorazione maligna, dalla calunnia.  Quante fanciulle sciupano le ore di sollievo nell’ozio, stando sulla pubblica via quasi in attesa delle tentazioni. Del resto, badate come si passa la Domenica, giorno di riposo, e vi accorgerete quanta zizzania il demonio vi ha buttato. Passeggiate al monte o al lago senza la Messa; partite di sport senza la dottrina; lunghe sere consumate a spettacoli scandalosi ed a balli impudichi; discorsi troppo liberi e spesso osceni, promiscuità delle persone di diverso sesso. « Inimicus homo fecit hoc! ». È il nemico eterno che, come una Arpia immonda, è calato giù a insozzare di peccati tutta la nostra vita. – Per quarant’anni, nel lume incerto della mattina, la gloria di Dio si manifestava agli ebrei peregrinanti nel deserto. Sopra i loro attendamenti nuvole bianche fluttuavano e coprivano la terra di un cibo misterioso simile a cosa pestata nel mortaio, o a brina sull’erba del prato. Tutti ne raccoglievano poiché era dolcissimo come il fior della farina impastato di miele. Era la manna.  Ma se qualcuno indugiava nella raccolta e si lasciava sorprendere dal calare del sole, ecco la manna brulicava di vermi e si squagliava. – Ogni giorno anche per noi il Signore fa piovere dal cielo abbondantissime grazie, le quali ci aiutano a compiere le opere buone che sono il cibo della vita eterna. Operamini non cibum qui perit sed qui permanet in vitam æternam (Giov., VI, 27). Ma  se le nostre opere, — la preghiera, il lavoro; il nutrimento, il riposo — le lasciamo contaminare dal calore del demonio, dal suo fuoco infernale, subito brulicheranno di vermi, e si squaglieranno. E noi avanzeremo, come il contadino della parabola, di aver lavorato e sudato tutta la vita per raccogliere fasci di amara zizzania. — UOMO NEMICO È LO SCANDALOSO. Forse, in tutto il Vecchio Testamento, non c’è un grido straziante come quello del patriarca Giacobbe quando gli riportarono a casa la tunica insanguinata del suo figliuolo Giuseppe. Egli, sbarrati gli occhi, la prese, la guardò, la riconobbe: « È la tunica. di mio figlio: una bestia feroce l’ha divorato » (Gen., XXXVII, 33). Questo è pure il grido che Gesù ripete davanti a tanti Cristiani: « Una bestia feroce l’ha divorato ». Vi è un uomo nemico che, come una bestia feroce, s’aggira a far strage di anime: l’uomo scandaloso. Che cosa è lo scandalo? Qualsiasi parola, qualsiasi azione che può indurre al peccato. Ed è anche contro lo scandalo che si può applicare la parabola che il Signore oggi ripete. Non quelli che uccidono il corpo bisogna temere, ma quelli che uccidono l’anima. Questi sono i veri nemici. È un assassino: Gioab, un ex-capo dell’esercito di Davide, era invidioso della crescente fortuna di Amasa presso il re. Si era vicino al paese di Gabaon e Amasa vedendo venire Gioab con alcuni soldati gli mosse incontro. Ma questi che vestiva una stretta tunica, nascondeva nella cintura una spada, fatta in modo che potesse, con un rapido movimento, uscir fuori dal fodero e colpire. Come furono vicini, Gioab esclamò: « Salute, o fratel mio! » E con la mano destra prese Amasa sotto il mento come per baciarlo. Amasa ingenuamente si lasciò baciare, e non fece attenzione alla spada che, in baleno Gioab estrasse e gli cacciò nel fianco. Alcuni uomini che sopraggiungevano trovarono in mezzo alla strada un cadavere con un fianco squarciato da cui usciva sangue e intestini (II Re, XX, 9-11). – Così; perfidi come Gioab sono gli uomini dello scandalo, si avvicinano col volto e col saluto di un amico, di un compagno, ma sotto gli abiti hanno l’arma fatale per massacrare l’anima. Triplice è la spada dello scandaloso: il cattivo esempio, la cattiva parola, il disprezzo del bene. a) Il mal esempio della moda, quante giovani ha trascinato verso l’abisso del male! Exempla trahunt. Soprattutto è disastroso il cattivo esempio dato da quelli che per età, per natura, per ufficio sono collocati più in alto. Se un padrone in bottega bestemmia, tutti gli operai diventano bestemmiatori. Se un adulto si permette una parola, un gesto; un’azione oscena, tra giovani, questi fatalmente si sentiranno attratti nel fango. E se il mal esempio è tra le mura domestiche, come si salverà la famiglia? Quando i figliuoli imparano dai genitori a non pregare, a mangiar di grasso nei giorni d’astinenza, a rubare, a litigare, a ubriacarsi, chi potrà poi richiamarli sulla strada buona? Exempla trahunt. b) Non solo l’esempio cattivo è uno scandalo, ma anche la parola cattiva, che scende nel profondo del cuore e vi si inficca come un dardo avvelenato. Eppure, nelle strade, sui treni, nelle osterie, nelle case, nell’officine specialmente, quante parole cattive! È l’uomo nemico che a larghe manate passa a seminare sul campo buono la zizzania della sua bocca. — « È inutile far tanta fatica: i peccati disonesti sono il minor male che può fare l’uomo e il Signore li compatisce volentieri. Forse che il paradiso è fatto per i Turchi? si salveranno egualmente; o tutti o nessuno ». –  « L’inferno è una favola che hanno inventato i nostri vecchi quando si pativa la fame, e i preti fanno il loro mestiere: son pagati per gridare ». « Non ho mai visto gente più fortunata di quella che sta alla larga dalla Chiesa: si fa come si vuole e si è più rispettati ». c) Tuttavia, più che con altro, si scandalizza il prossimo col disprezzo satanico della virtù. Quando il povero Giobbe, immiserito senza più figli che l’aiutassero, ammalato senza più un letto in cui adagiarsi, pregava continuamente e trovava conforto nella rassegnazione al volere di Dio, quella maligna di sua moglie, che non l’aveva nemmeno tollerato in casa, andava là a schernirlo: « Benedici Iddio, ma intanto crepa! » Benedic Deo et morere! (Iob., II, 9). Con la stessa malignità, gli scandalosi cercano di disprezzare la virtù del prossimo. Ora è un compagno che sibila all’orecchio d’un giovane buono: « Non hai vergogna d’andare ancora all’Oratorio alla tua età? ». Ora è una compagna d’ufficio o d’officina che istiga le altre a ridere del vestito decente e del contegno serio di una pia fanciulla: « Sembra già una monacuzza inacidita! Altre volte si deride un uomo per la sua giustizia: « Fatti scrupolo del quattrino, che gli altri, senza sudare, fanno affari d’oro! ». E quante volte non si arriva fino a deridere la donna in ciò che ha di più glorioso, mettendola alla berlina perché Dio le ha concesso una numerosa figliolanza! Peccati di scandalo sono questi, o Cristiani! Né vale dire che si ha riguardo per non farsi vedere né sentire dai piccoli: quasi che quelli degli adulti non fossero peccati. E neppure vale la scusa di certuni: « io non intendevo rovinare gli altri, ma solo divertirmi ». Non importa: voi siete scandalosi, voi siete assassini delle anime. Meglio per voi se non foste nati mai! Meglio per voi, se appesa al collo una macina da mulino, foste precipitati in fondo al mare! – 2. È UN DEMONIO. Gesù ascendeva a Gerusalemme tristemente, parlando della sua passione vicina, della sua morte in croce. S. Pietro allora cominciò a sgridare il Maestro, dicendo: Questo non avverrà mail! Gesù allora voltandosi all’Apostolo gli disse una terribile parola: « Sta via da me, satana: tu mi sei di scandalo » (Mt., XVI, 23). S. Pietro non voleva indurre Gesù a peccato, ma solo ritrarlo dal bene che agli uomini sarebbe derivato dalla passione, eppure Gesù lo chiama satana. Non è dunque un’esagerazione dire che lo scandaloso è un demonio. – Il demonio odia Iddio e vuole la rovina eterna delle anime: ma egli è uno spirito e non può parlare: e non può agire visibilmente, ed allora al suo fine perverso si serve degli scandalosi come di istrumenti del suo mestiere. – Sansone adirato contro i Filistei ricorse ad uno stratagemma. Si era ai giorni della mietitura: le biade pallide e le spighe d’oro riempivano i campi, e qua e là già si rizzava qualche buca. Sansone prese trecento volpi, le legò a due a due per la coda e nel mezzo vi mise una torcia. Poi diede il fuoco, e sfrenò le bestie ardenti nei campi di biada e di frumento. Subito per la regione dei Filistei si destò un incendio immenso: ardeva tutta la terra con la paglia non ancora falciata e con quella già ammassata (Giudici, XV, 4-5). – Il demonio fa come Sansone: egli vuole far strage fra i Cristiani. E prende gli scandalosi e li incendia del suo fuoco infernale e poi li lancia, come volpi, ad abbruciare con le passioni ed il male le anime dei buoni. L’uomo che dà scandalo è dunque una volpe che già brucia. E forse era questa immagine che aveva in mente Gesù quando disse che lo scandaloso Erode era una volpe. Ite et dicite vulpi illi (Luc., XIII, 32). Ma guai all’uomo da cui venne lo scandalo! Quando Caino ebbe ucciso Abele, dalla terra insanguinata cominciò a salire al cielo un grido di vendetta (Gen., IV, 10). Ebbene, ogni volta che viene rovinata un’anima, il medesimo grido riprende a risuonare in cielo. E lo udrà anche lo scandaloso quando comparirà al tribunale di Dio per essere giudicato. Vox sanguinis fratris tui clamavi ad me de terra. Sarà la voce dell’anima discesa in inferno per colpa sua. Saranno le voci di tutte quelle anime a cui a poco a poco si è propagato il suo scandalo sulla terra. Sarà la voce della Vergine, la voce dei Santi, la voce degli Angeli. Sarà infine la voce stessa di Cristo che griderà: « Io ho dato tutta la vita e tutto il sangue per le anime e tu me le hai rovinate. Va via da me, o demonio! ». Vade post me, satana. Mosè fuggiasco arrivò alla regione di Madian, e ansimando sedette accanto ad un pozzo. Ed ecco vennero le sette figlie del sacerdote di Madian ad attingere acqua. Poi che ebbero riempito i canali per abbeverar il gregge, sopraggiunsero dei pastori che volevano scacciarle e fare ingiuria a loro. Mosè si rizzò, ed energicamente difese le figlie di Iethro, sacerdote di Madian. Quando le fanciulle giunsero a casa raccontarono tutto al padre, che disse: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Chiamatelo in casa, che mangi il nostro pane ». – Le anime; le figliuole di Cristo eterno sacerdote, sono nel mondo ingiuriate e minacciate dagli scandalosi. Insorgiamo anche noi, come Mosè, a difenderle. Difendiamo gli innocenti dalle bestemmie, dai cinematografi osceni, dal malo esempio! Difendiamo la gioventù dalla moda invereconda; dalle letture e dalle illustrazioni pornografiche, dai balli! Non dobbiamo avere nessun rispetto umano a protestare, ad impedire il male: è nostro dovere. Quando le anime da noi salvate entreranno in Paradiso, Iddio anche di noi dirà: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Aprite a lui la porta del cielo, ch’egli entri e goda del nostro godimento ».

IL CREDO

Offertorium

Ps CXXIX: 1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Marc XI:24

Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus.

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (19)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XX.

VITA AVVENIRE

I. Morti noi, è finito tutto. II. Non è mai venuto nessuno dall’altro mondo.

A rovesciare tutta la religione, anzi pure tutte le virtù umane, nulla è così orribilmente efficace come l’indebolimento della fede intorno alla vita avvenire. Imperocché la speranza del premio anima ed accende soprattutto le anime generose, e poco men che loro non mette le ali al fianco, ed il timore di un gastigo, per ogni canto formidabilissimo, non può non raffrenare l’audacia di chi vuole commettere il male. Gli è perciò, che quelli, che al tutto vogliono gittarsi in braccio alle loro passioni, hanno trovato certi assimili, che loro vengano in aiuto.

I. Morti noi, è finito tutto: ecco il primo di essi. Ora che cos’è a rispondere? Io prego il lettore cortese a porvi ben mente. Se noi non fossimo per gran mercè divina fatti cristiani, ed ancora giacessimo nelle ombre della morte, siccome erano i nostri padri gentili e tuttora sono tanti poveri selvaggi nell’Oceania o nelle Indie, se fossimo ancora, dico, in questa condizione, tuttavia sarebbe un errore intollerabile. Imperocché, delle tante sette ed errori, e religioni false e bugiarde, che vi furono e che vi sono al mondo, se voi ne eccettuate alcuni pochi epicurei, niuna, per quanto stupida ed abbrutita, mai vi fu che non tenesse come indubitata una vita avvenire, nella quale le anime avessero un premio od una pena, proporzionata al modo che avevano tenuto o buono o reo nell’operare. Voi potete raccogliere questa verità dalle storie, le quali tutte vi fan sapere che ogni popolo ha ammesso un inferno ed un paradiso: poniamo pure che immersi in errori folli fingessero un paradiso di voluttà non convenevoli, un inferno di pene arbitrarie. I poeti più celebri dell’antichità, i filosofi più assennati, in ciò convengono coi codici religiosi di tutte le nazioni. Virgilio, tuttoché gentile, descriveva in mezzo a Roma pagana l’inferno, lo descrivevano gli Indiani, i Cinesi, i Persiani, gli Egizii, e quante sono le nazioni della terra, e tutti partono da questo principio, e tutti in questo risolvono la gran quistione della vita. Ora, in qual modo hanno fatto tutti i popoli a formare questo giudizio? Vi basterebbe l’animo di condannare tutti gli uomini, e grandi e piccoli, e dotti ed ignoranti, piuttostoché condannare alcuni pochi interessati nella gran causa di negare una vita futura,.per non doverla temere infelice? Se si dovesse risolvere questa causa a ragione di testimonianze e quanto al numero e quanto alla qualità, ognun vede che morti noi, è finito tutto sarebbe presto sentenziato. Eppure, oh con quanta efficacia il mondo intero ha testificato il suo sentimento intorno alla vita futura! Niuno dirà, che gli uomini vogliono burlare e ridere anche presso le tombe. Il dolore di chi perde i suoi cari, lo stato pieno di miserie a cui si riducono i nostri corpi, ne toglie perfino l’ombra della possibilità. Ora, cosa fanno gli uomini coi loro defunti, presso tutte le nazioni? La riverenza in che li tengono, le espiazioni che fanno per le anime, i riti, le cerimonie e perfino le superstizioni che si praticano a loro riguardo, tutte dimostrano che si crede che esse non solo abbiano un’altra vita, ma che perfino possano ritrarre vantaggio da quello che noi facciamo per loro. Sarebbe lungo l’esporre tutte ed anche inutile, poichè niuno, che abbia anche un poco sfiorate le storie, può dubitarne. Il perchè è a dire o che tutte le nazioni sono in errore, o che morti noi, non è finito tutto. – Sebbene senza cercarne ragioni fuori di noi, in noi stessi abbiamo le prove che non finisce tutto finiti noi. Imperocché che cosa è quel desiderio in fondo a tutti i cuori di una immortalità beata? Al vedere che è sì universale, sì costante, non possiamo non riconoscere che ci è stampato nell’animo per mano di natura. Ora, che è altro la man di natura, se non la mano di Dio? E la mano di Dio, il quale poteva non scolpircelo, ce l’avrà scolpito appunto per ingannarci, anzi per illudere tutte le umane generazioni? No, non può essere. Una sapienza infinita non opera a caso, non imprime un desiderio che non debba avere effetto. Non è dunque un vano sentimento quello dell’immortalità. Similmente il timore delle pene dell’altra vita chi l’ha scolpito nel cuore degli uomini? Perché temono i peccatori all’appressarsi della morte? Perché questo palpito ancora nei Gentili, se non perché tutti sentono che non tanto si approssimano alla morte, quanto alla sentenza di un Giudice, il quale chiederà conto di quello che si è operato in vita? Al sentimento universale di natura si aggiunge quello che si ritrae dallo stesso Dio per confermarlo. Chiunque riconosce che Dio esiste, non può non riconoscere anche che Dio sia giusto, che Dio sia buono, che Dio sia provvido, che sia misericordioso. Un Dio che non fosse tale, non sarebbe più Dio; e se già altri non giunge alla forsennatezza di negare l’esistenza divina, bisogna che ammetta la giustizia, la provvidenza, la bontà, la misericordia nella divinità: ma ciò è lo stesso che riconoscere l’esistenza della vita futura. Imperocché chi non vede che qui sulla terra Iddio pei suoi altissimi fini, e soprattutto per esperimentare la nostra fedeltà, non vuole dare ai buoni il meritato compenso, né ai cattivi il meritato castigo? Se ne lagnano talora perfino i Santi, che l’empio sopraffà il buono, che il prepotente opprime il debole, che il ricco divora il povero, che l’iniquo prospera colle sue macchinazioni, colle sue trame, colle sue iniquità: ed al contrario che il giusto soccombe, che se ne giace tra le lagrime ed il dolore, vittima di chi l’opprime, lo diserta, lo schianta. Ora tutto ciò perché è tollerato da Dio? Unicamente perché quale oppressione debba valere a prova di fedeltà, ad esercizio di virtù momentaneo, e a discernere i buoni dai cattivi: ma poi un Dio buono non può non compensare con larga retribuzione i buoni, non può non punire con giusta severità i cattivi. Il perché debbe esservi un’altra vita, dove tutto ciò si faccia e si faccia con ogni santità, giustizia, misericordia, bontà. Quanto sono necessarie in Dio le divine perfezioni, altrettanto è necessaria la vita avvenire, ed altrettanto è falso che morti noi, è finito tutto. E di qui anzi si trae un’altra ragione efficacissima contro quell’empio assioma. Se non vi fosse un’altra vita, in cui si rendesse giustizia, avrebbero ragione tutti quelli, i quali vivono più perdutamente, che sfiorano tutte le delizie della terra, tutti i piaceri della carne, e che cogli empii, di cui si parla nella Sapienza, non pensano ad altro che a coronarsi di rose, ad inebriarsi di vini, a profumarsi di unguenti, a tuffare il labbro nel calice di tutti i diletti. Avrebbero ragione eziandio quelli, i quali colla prepotenza, coi soprusi, colle soperchierie e perfino colle violenze, colle rapine, cogli ammazzamenti si procacciano i beni del mondo: imperocché come il mondo è per lo più di quelli, i quali se lo usurpano, se non vi ha nulla da temere nella vita avvenire, nulla a sperare, perché non godere almeno qui sulla terra quello che si può godere, e goderlo a qualunque costo? Anche il nome di virtù e di vizio scompare dalla terra se non vi è vita avvenire. Imperocché la virtù costa grandi travagli, il vizio al contrario è sommamente consentaneo alla nostra guasta natura. Se tutto il nostro vivere si limita qui alla terra, se la virtù non porta immensi e preziosissimi frutti per l’eternità, ed al contrario se il vizio non produce lagrime inconsolabili nell’altra vita, qual motivo di praticare quella e di guardarsi da questo con tanta fatica e con tanta inutilità? Il perché se morti noi, è finito tutto, bisogna dire che Dio abbia creati gli uomini non pel bene ma solo pel male; che in loro non abbia posto ordine di alcuna sorta, ma lasciatili in balia del caso; che a Lui non importi né di vizio nè di virtù; che sia lo stesso ai suoi occhi chi immola tutta la sua vita nei più eroici sacrifizii e chi la logora nei più immani delitti: bisogna dire che Dio non sia provvido, né giusto, né buono: in una parola, che non sia Dio: ed ecco in che ricade finalmente quel mostruoso assioma che morti noi, è finito tutto. E con tutto ciò fin qui voi l’avete considerato anche prescindendo dalla fede cristiana; ma se voi lo ponete sul labbro di un Cattolico, quel detto vi comparirà in una orridezza, se è possibile, anco maggiore; poiché è una formale negazione di tutto il Cristianesimo. Di grazia, non tacciate di esagerata questa proposizione prima di averla intesa. Che cosa è il Cristianesimo? È una religione che, non ammessa la vita avvenire, non è più altro che un ammasso di assurdi, di sciocchezze, di falsità. I beni che ci promette sono beni spirituali da non potersi conseguire in questa vita. Un regno di beatitudine, gaudii smisurati, possessione beatifica di Dio, cose grandi in eccesso, ma tutte per la vita avvenire, tutte per l’eternità. Se morti noi, è finito tutto, che cosa addivengono quelle promesse che sono il grande scopo della Religione cristiana? I castighi minacciati dalla legge cristiana sono principalmente, per non dire quasi unicamente, le pene smisurate del fuoco, dello stridore dei denti, del verme delle coscienze e della privazione di Dio in fondo all’inferno: ma tutto ciò è nella vita avvenire. Se non vi è vita avvenire, non vi è più castigo di sorta; e che cosa si debbono stimare tutte quelle minacce? Il Cristianesimo nei dogmi che propone a credere, nella vita che obbliga a condurre, è tutto stabilito sulla fede nella vita avvenire. Cardine e fondamento di tutta la nostra fede, come a lungo discorre san Paolo, è la risurrezione di Gesù e la vita che egli mena gloriosa in cielo, esemplare della nostra futura risurrezione e della vita che meneremo un giorno con Lui.. E perciò ci propone la nostra fede a credere esplicitamente la vita eterna. Se morti noi, è finito tutto, dov’è l’eternità della vita, se non vi è pure la vita? La perfezione che il Cristianesimo apportò sulla terra, consiste in ciò principalmente, che, in vista dei beni futuri, noi dispregiamo i presenti, in vista dello spirituale ed eterno noi non curiamo il sensibile ed il temporale: ma senza la vita eterna ognun vede che tutte le speranze che la fede ci dà, altro non sono che illusioni ed inganni. – Tutte le virtù cristiane ci portano o a disprezzare i beni esteriori, od a contrastare le lusinghe del senso, od a frenare le esorbitanze del nostro spirito: ma tutto ciò senza il compenso della vita eterna non ha punto significato. Imperocché, che cosa direste voi di chi vi togliesse tutto quello che avete qui tra mano, la casa, l’argento, le suppellettili, le sostanze, sulla promessa che egli vi porrà in un paese amenissimo, in un palagio riccamente fornito; se poi né questo paese, né questo palagío esistessero? Sarebbe costui un traditore, che vi ha levato il presente che possedevate, in vista di quello, che non può darvi. Lo stesso potreste dire di Gesù, il quale con le virtù che vi comanda, vi spoglierebbe dei beni esterni, dei diletti del corpo, delle soddisfazioni dello spirito, promettendovi gran soprabbondanza di beni nell’altra vita, senza tuttavia potervi mantenere nulla di quello che vi promette, perché, nel supposto di costoro, non vi sarebbe neppure altra vita. – Inoltre, tutta la certezza della santa fede dove andrebbe a finire? Noi non crediamo alla fede senza motivi saldissimi e potentissime ragioni che a ciò ci spingono. Le abbiamo in altro luogo accennate, e sono prove storiche di fatto, prove di ragione, prove di esperienza. Concorrono a raffermarci nella fede le voci di Dio, colle profezie, coi miracoli e i martirii e colla propagazione e col mantenimento prodigioso della Religione. Vi concorrono i pii grandi uomini della terra col loro consenso ed autorità e profondi ragionamenti. Vi concorre perfino l’inferno col suo furore e col riconoscere visibilmente la potenza del Cristianesimo. Tantoché fu ben detto nella Scrittura, che le testimonianze, che Dio ci ha dato in tal proposito, non solo sono bastevoli, ma sono perfino soverchie: Testimonia tua credibilia facta sunt nimis. Ma tutte queste testimonianze ché mettono fuori di ogni dubbio la nostra fede, che cosa testificano principalmente? La vita avvenire; poiché la vita avvenire nel cielo è quella che ci propongono ad acquistare. Per la vita avvenire è fondata la santa Chiesa, la quale combatte in questa terra solo per trionfare nella Gerusalemme celeste. I Sacramenti sono tutti stabiliti, come altrettanti mezzi per giungere alla vita avvenire. – Nell’orazione principalmente chiediamo la vita avvenire. Ora se morti noi, è finito tutto, come dicono gli empii, bisogna dunque rinnegare tutta la fede, la Chiesa, i Sacramenti, le preghiere, tutto il Cristianesimo, e condannare i Martiri, i Profeti, gli Apostoli ed i Dottori, come quelli che, d’accordo tutti insieme, ci hanno ingannato. Io non dubito che ad un lettore assennato, non dico Cattolico, farà qualche orrore il gettarsi in sì grande abisso: eppure vi si precipita chiunque dice da senno quell’empia parola. – Del resto, l’hanno creduta vera poi almeno quelli che l’hanno inventata? Nulla meno. Lo stesso Voltaire, il quale tanto faceva per persuadersi che non vi era né paradiso, né inferno, per non essere obbligato a sperar quello, od a temere questo, mai non vi pervenne. Imperocché scrivendogli una volta uno dei suoi amici scellerati, che finalmente eragli riuscito di levarsi la paura dell’inferno, egli, con quel sarcasmo suo consueto, per mostrargli che non gliel credeva, “voi, gli rispose, siete più fortunato di me, perché a me non è ancora riuscito.” E quello che disse in vita, lo disse in morte, quando mandò cercando il confessore, sebbene, per giusto giudizio di Dio, noi potesse avere. E similmente operarono molti di quei più famosi increduli, i quali, presso alla morte, tanto credettero all’eterna vita, che vollero per questo riconciliarsi con Dio. Un solo mezzo vi ha per poter morire freddamente senza timore dell’avvenire: aver congiunto ad un’estrema malizia un’ignoranza estrema, per tutto il corso della vita, di tutto quello che è, non dico Cristianesimo, ma pure sentimento religioso. Vegga, dunque, ognuno quello che dice, quando ripete quella mostruosa parola.

II. L’altro assioma è: Ma non è venuto niuno dall’altro mondo a dirci come colà vadano le cose. Chi ha inteso quello che abbiamo detto di sopra, non ha più bisogno di risposta speciale a questo nuovo detto; tuttavia, facciamoci sopra qualche osservazione. Niuno è mai venuto dall’altro mondo. Sia pure. E dunque non avremo più modo di sapere le cose, se non venga qualcuno dall’altro mondo a dircele? E che? Non abbiamo noi che siamo in questo mondo la ragione, la quale ci discopre molte cose che non cadono sotto i sensi, e che non ci sono testificate da altri uomini? – Se non volete credere ad altro che agli occhi vostri corporei, vi converrà rinunziare a tutte le verità che si deducono per raziocinio. Poffare! Si è studiata tanta filosofia ai nostri tempi, che ci fanno da filosofi fino i putti che frequentano la metodica, e poi si discrede a quello che si deduce per raziocinio! Perché dunque credete che due e due fanno quattro, e che dieci aggiunti a dieci fan venti? Chi è venuto dall’altro mondo a dirvelo? Oh per questo basta il raziocinio. Sì. E non basta il raziocinio per capire che Dio è giusto, e che se è giusto bisogna che punisca i malvagi e premii i buoni? Che non facendolo in questa vita, l’ha da fare in un’altra? Non basta il raziocinio per dedurre che se vi ha un Dio, vi vuole una religione; che se un Dio l’ha rivelata, bisogna crederla; che se ha operato miracoli di ogni fatta in favore del Cristianesimo, questo dev’esser vero, ed andate dicendo, di altre innumerabili verità? Che se si tratta di quelle verità, le quali sorpassano il raziocinio e che appartengono alla santa fede, è egli vero Che niuno sia venuto dall’altro mondo a dircele? I Profeti non ci hanno prenunziato l’avvenire, ispirati da chi era all’altro mondo? Il Figliuolo di Dio non era forse in tutta l’eternità in seno del Padre, e fattosi uomo, non è venuto ad annunciarci quello che Egli ivi aveva appreso? Gli Apostoli nun l’hanno inteso dalla bocca di Lui? Non ha parlato con loro e prima e dopo la risurrezione? I santi Vangeli non sono forse la parola di chi è venuto a bella posta dall’altro mondo per ammaestrarci? Il maestro adunque vi è, ed è autorevole, ed è efficace, ed è un Dio: e la ragione bene impiegata basta a convincerne che esso è tale: che senso adunque hanno quelle parole: Niuno è venuto dall’altro mondo? Inoltre, se quel detto diventasse la regola dell’operare umano, basterebbe a piombare un uomo nel baratro della più mostruosa ignoranza e del più stupido abbrutinamento, che mai siasi potuto immaginare. Imperocchè che cosa sonerebbe in pratica? Che tutto quello che riguarda la religione è tutto incerto, e tutto si può trascurare senza alcun danno. Per niun altro fine si adopera quel detto, almeno da chi l’intende. Ora che cosa è questo se non proclamare che non vi ha verità religiosa, e quindi non vi ha verità morale? Se la verità religiosa è dubbia, è come se non fosse. Gli uomini già ricalcitrano, già si ribellano alle leggi certe, alle leggi anche solennemente promulgate e con rigor mantenute: pensate se sarebbero disposti a sottoporsi a leggi dubbiose ed a leggi incerte. – Le verità religiose poi, le cristiane soprattutto, impongono pesi all’inferma nostra natura non così agevoli a sostenersi; il perché coll’interesse che hanno le passioni a scuoterle, dove esse fossero già dubbie in sé medesime, non ne rimarrebbe più nulla in piedi. Quindi è che il proclamare che nessuno è venuto dall’altro mondo torna in pratica a dire: che siamo sciolti da ogni legge umana e divina, che ognun faccia quel che meglio gli piace, e che, vissuti questi pochi giorni e goduto il più che si possa il mondo, ritorneremo nel nulla donde fummo cavati. Gran che! Iddio ha innalzati gli uomini fino a renderli di poco inferiori agli Angeli; eppure ve n’ha di quelli che troverebbero ogni lor delizia nell’essere pari ai ciacchi! Convien dire che chi aspira ad un vanto sì nobile, ne riconosca in sè le qualità: ma voi, lettore assennato, sapendo che le verità che noi crediamo sono state pubblicate da Colui che era in seno del Padre, non vi commovete a queste voci di aspide e di serpente.