DOMENICA V “quæ superfruit” DOPO EPIFANIA (2023)

DOMENICA V “quæ superfuit” DOPO EPIFANIA – III. Novembris (2023)

Semidoppio. Paramenti verdi.

Nei Vangeli delle precedenti Domeniche dopo l’Epifania la divinità di Gesù Cristo appariva nei suoi miracoli; oggi essa si afferma nella sua dottrina che « riempì di ammirazione » i Giudei di Nazaret (Com.). Gesù è nostro Re (Vers., Intr., All.), perché accoglie nel suo regno non solo i Giudei, ma anche i Gentili. Chiamati per pura misericordia a far parte del Corpo mistico di Cristo, bisogna dunque che anche noi usiamo misericordia al prossimo, perché noi facciamo in Gesù una cosa sola con Lui (Ep.). Perciò bisogna esercitarsi nella pazienza; perché nel regno di Dio, qui sulla terra, ci sono buoni e cattivi, e solo verranno separati per sempre gli uni dagli altri solo quando Gesù verrà per giudicare gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Adjutórium nostrum in nómine Dómini.
R. Qui fecit cælum et terram.
Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et vobis, fratres: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et vos, fratres, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam, absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

V. Deus, tu convérsus vivificábis nos.
R. Et plebs tua lætábitur in te.
V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam.
R. Et salutáre tuum da nobis.
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.

Introitus

Jer XXIX :11; 12; 14

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

[Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]


Ps LXXXIV: 2

Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetta la tua terra, o Signore: hai distrutta la schiavitú di Giacobbe]

Dicit Dóminus: Ego cógito cogitatiónes pacis, et non afflictiónis: invocábitis me, et ego exáudiam vos: et redúcam captivitátem vestram de cunctis locis.

 [Dice il Signore: Io ho pensieri di pace e non di afflizione: mi invocherete e io vi esaudirò: vi ricondurrò da tutti i luoghi in cui siete stati condotti.]

Kyrie

S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Christe, eléison.
M. Christe, eléison.
S. Kýrie, eléison.
M. Kýrie, eléison.
S. Kýrie, eléison.

Gloria

Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu ✠ in glória Dei Patris. Amen.

Oratio

Orémus.
Famíliam tuam, quǽsumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ cœléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur.

 [Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses
Col III: 12-17

Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum.

[“Come eletti di Dio, santi e bene amati, vestite viscere di misericordia, benignità, umiltà, mitezza, pazienza, sopportandovi gli uni gli altri e perdonando, se alcuno ha querela contro di un altro; come il Signore ha perdonato a voi, voi pure così. Ma più di tutto vestite la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo, alla quale foste chiamati in un sol corpo, regni nei vostri cuori e siate riconoscenti. La  parola di Cristo abiti riccamente in voi con ogni sapienza, istruendovi ed ammonendovi tra voi con salmi ed inni e cantici spirituali, cantando con la grazia nei cuori vostri a Dio. Quanto fate in parole ed opere, tutto fate nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per lui „].

I SEGRETI DELLA CARITA’.

È uno dei tasti, questo della carità, che San Paolo batte più spesso e più volentieri. Nel che egli imita e persegue la tattica del Maestro divino Gesù. Pel Maestro la carità riassume la lettera della Legge e lo spirito dei Profeti: per il discepolo la carità è l’intreccio delle perfezioni. E la carità reciproca, pel discepolo come pel Maestro, deve spingersi, per essere carità fino al perdono. Se non arriva lì, se deliberatamente si ferma più in qua, non è carità: è un surrogato, una imitazione, una contraffazione, forse non è carità cristiana, carità vera. Sopportarci a vicenda dobbiamo, dice con grande senso della realtà vera, quotidiana della vita; sopportarci dobbiamo se vogliamo essere caritatevoli. La sopportazione concerne i nostri difetti, grazie ai quali ci si urta l’un l’altro. È una forma di pazienza necessaria, perché gli urti nella vita sono facili, anche indipendentemente dalla nostra volontà. Pensate che per uno può diventare difetto ciò che per un altro è pregio. La calma del flemmatico è di fastidio alla vivacità del temperamento impulsivo. Bisogna sopportarci per amare. La carità è viva a prezzo di pazienza. Perciò altrove San Paolo enumerando le qualità che la carità deve avere, pone in alto, in prima linea la pazienza: « Charitas patiens est ». – Ma non basta essere tolleranti dei difetti altrui, la carità esige da noi il perdono, la condonazione. Qui non si tratta più di difetti del prossimo, cioè di qualità altrui che spiacciono a noi. Non ci sono solo le vivacità che offendono la mia flemma, ci sono gli sgarbi veri e proprî che irritano la mia coscienza; umiliazioni che offendono la mia dignità, male parole che so di non meritare. Ci sono le offese meditate, calcolate, volute, gratuite, dannose. Provocano lo sdegno. L’istinto grida vendetta. E all’istinto fa eco un certo senso molto egoistico di giustizia. Vendetta? No, dice il Vangelo; no, dice Paolo in nome della carità, il programma nuovo del Cristianesimo: bisogna perdonare, condonare: « Sopportatevi l’un l’altro (sono le parole testuali dell’Apostolo nell’odierna Epistola) e condonatevi l’un l’altro, se avete motivo di lagnarvi ». Ma l’Apostolo dice anche il perché di questo precetto nuovo: ci insegna il segreto, la molla di questa virtù eroica. « Come Dio ha condonato a voi, così voi reciprocamente ». Terribile motivo, travolgente. Ogni giorno abbiamo bisogno del perdono di Dio, ogni giorno facciamo appello alla Sua misericordia, per ottenerla. «Perdonaci » gridiamo nella preghiera. « Dimitte nobis debita nostra ». Ma allora bisogna essere logici: non negare agli altri, ciò che si vuole, quasi si pretende per se stessi. E la preghiera quotidiana continua implacata ed implacabile: « Sicut et nos dimittimus debitoribus nostris ». Come anche noi perdoniamo, condoniamo a chi si è fatto, si è reso nostro debitore offendendoci iniquamente. Atto eroico, atto difficilissimo questo del perdono ai nostri offensori, meno difficile quando se ne considera la misteriosa e reale giustizia e, sempre sulla scorta di San Paolo, un frutto prezioso e provvidenziale la pace. La pace è il sospiro dell’anima umana; la pace è l’atmosfera normale della vita: la pace è l’atmosfera normale della vita e della gioia. La guerra stessa, che ha i suoi fanatici non vale se non in quanto serve alla pace. Non si fa la guerra per la guerra, si fa la guerra per la vittoriosa pace, la pace nella vittoria. Ma la pace, non è, non sarà mai l’epilogo della vendetta. La vendetta ha un meccanismo fatto a catena. Una violenza, una ingiustizia produce l’altra: « Abjssum invocat … ».Il tuo schiaffo genera, in linea vendicativa, il mio pugno, il mio pugno il tuo bastone, il tuo bastone la mia rivoltella e così fino all’infinito. Dove e quando la vendetta fu costume e legge, la pace fu un mito astratto, un desiderio pio, una invocazione vana. Questa catena maledetta ed infinita di rappresaglie la tronca il perdono. È un punto fermo, è un cambiamento di registro, e l’intimazione efficace di un basta colle lagrime e col sangue. Alle anime veramente caritatevoli, perché caritatevoli fino al perdono, Paolo annuncia, come ricompensa la pace di Cristo, pace lieta tripudiante. « Et pax Christi exultet in cordibus vestris. » Perché, fratelli se vogliamo la pace sappiamo come e dove procurarcela: Col perdono imparato alla scuola di Gesù Cristo. Carità, perdono, pace sono tre fili di una sola, magnifica, infrangibile corda.

P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939.

(Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps XLIII:8-9
Liberásti nos, Dómine, ex affligéntibus nos: et eos, qui nos odérunt, confudísti.

[Ci liberasti da coloro che ci affliggevano, o Signore, e confondesti quelli che ci odiavano.]

V. In Deo laudábimur tota die, et in nómine tuo confitébimur in saecula. Allelúja, allelúja
.

[In Dio ci glorieremo tutto il giorno e celebreremo il suo nome in eterno. Allelúia, allelúia.]

Ps: CXXIX: 1-2
De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam. Allelúja.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XIII: 24-30

In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum cœlórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizáania, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum.

[“Gesù disse questa parabola: Il regno dei cieli è simile ad un uomo, che seminò seme buono nel suo campo. Ma mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico e soprasseminò zizzania nel mezzo del grano e se ne andò. E quando l’erba fu nata ed ebbe fatto frutto, apparvero anche le zizzanie. E i servi del padre di famiglia vennero a lui e gli dissero: Padrone, non seminasti tu buona semenza nel campo? Donde adunque le zizzanie? Ed egli disse loro: Un qualche nemico ha fatto ciò. Ed essi a lui: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla? Ma egli disse: No! perché talora, raccogliendo le zizzanie, insieme con esse non abbiate a svellere anche il grano. Lasciate crescere insieme le une e l’altro fino alla mietitura, e allora dirò ai mietitori: Raccogliete prima le zizzanie e legatele in fasci per bruciarle: il grano poi riponete nel mio granaio „ ].

OMELIA

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

LA ZIZZANIA NELLA VITA CRISTIANA

Aveva rivoltata in ogni senso la sua terra, l’aveva fatta passare con la zappa lotto per lotto scrutando i fili gialli della gramigna, l’aveva adeguata come un letto, e l’aveva seminata con la semente migliore. Ma poi, a primavera, quando il grano cominciò a ondeggiare sui solchi, si vide i servi tornare sbigottiti. « Padrone, il nostro campo è tutto una zizzania! non avevate sparso buon seme? ». Il Padrone comprese e gettò un lamento pieno d’amarezza: « È stato il mio nemico a rovinarmi! ». Mentre i suoi uomini dormivano placidi sonni, sognando abbondanti raccolti, l’uomo maligno era passato sopra i solchi, silenzioso e rapido come un uccello notturno, lasciando cadere a larghe manate la trista semente. « Aspettate! — aggiunse poi il Padrone — non ora è il tempo di strappare la zizzania, poiché svellereste anche il grano. Verrà la mietitura e allora sterperete tutta la zizzania e a fasci la getterete sul fuoco. Solo il buon grano troverà posto nel mio granaio ». – Tutto ciò che quel contadino aveva fatto per la sua terra, e molto più ancora, Dio ha fatto per l’anima nostra. L’ha creata bella della sua bellezza, splendida del suo splendore; l’ha irrigata col suo sangue preziosissimo; l’ha rinfrescata con la rugiada dei Sacramenti; l’ha seminata con un seme che dà frutti per la vita eterna. Se noi potessimo comprendere il valore d’un’anima in grazia! Se potessimo comprendere come anche le più piccole azioni, anche un bicchier d’acqua offerto all’ultimo povero, per la Grazia acquista un valore grandissimo! Certo non dormiremmo come quei contadini, ma giorno e notte staremmo vigili in mezzo al campo, perché l’uomo malefico non passi a gettare zizzania. Invece son troppi i Cristiani che sonnecchiano, che lasciano cadere invano il monito evangelico della vigilanza: il demonio passa e contamina ogni buon frutto con la sua zizzania. – Virgilio, grande poeta romano, ha descritto una favolosa scena, non priva di significato per noi. Un manipolo di eroi scampati dalla rovina della patria distrutta con fuoco e con ferro e con frode, dopo un doloroso viaggio, tocca le isole Strofadi. Lieti di poggiar piede su terra ferma, imbandiscono le mense: come tutto è preparato, ecco dalle rupi circostanti piombare a volo le Arpie, mostri schifosi e bavosi, a contaminare ogni vivanda ed ogni bevanda. Tutto è rovinato dal fetore e dal veleno. Gli eroi perseguitati devono fuggire altrove. Ma anche altrove, quando già le cosce dei capri e le coste dei buoi, rosolate allo spiedo, erano pronte per la loro fame, ecco il trepidare di ali terribili, improvvise, come folgori nere, le Arpie sono giù, con la bocca immonda deturpano ogni cibo; poi, lanciando grida malaugurose, spariscono nella convessa serenità del cielo. Invano quei profughi valorosi tenteranno la resistenza; dovranno tagliare le corde, levare le ancore, risolcare il dorso dell’acqua verso una terra fatale. – Proprio come le Arpie, così fanno i demoni, se appena possono, con i Cristiani. Vengono e cercano di rovinare ogni opera buona con la loro bava e la loro zizzania. E di zizzania contaminano la mente, il cuore, l’anima, tutte le azioni della giornata, così da renderle inservibili per la vita eterna. Le azioni che ogni uomo compie nel giro di un giorno sono, presso a poco, queste: la preghiera, il lavoro, il nutrimento, il riposo. Ora osserviamo come il nemico infernale faccia sopra questi campi la sua grama seminagione. – 1. NELLA PREGHIERA. Caino coltivava la terra, e soleva abbruciare in omaggio al Signore alcuni frutti de’ suoi campi. Ebbene, si legge che più d’una volta il fumo di quei sacrifici, invece d’elevarsi al cielo, cadeva subito pesantemente a terra in segno di riprovazione. Quel fumo è un’immagine della preghiera di molti Cristiani che gli Angeli non vogliono trasportare davanti al trono dell’Altissimo perché contaminata dalla zizzania diabolica. –  Zizzania del sonno. Ecco una famiglia buona che sta recitando il santo Rosario o la preghiera della sera. In un cantuccio c’è il padre che dorme, qualche figliuolo è già scappato a letto e la mamma è così stanca da non sapere a che mistero è giunta. Se invece della preghiera, ci fosse stato da chiacchierare con un amico, si tirava la mezzanotte e senza sonno. Oh com’è furbo il demonio! – Zizzania della distrazione. Ecco, quella buona persona è in Chiesa ad ascoltare la S. Messa; ma non è tutta in Chiesa: la sua mente è rimasta a casa in mezzo alle faccende, il suo cuore è lontano con quella persona. Ogni tanto s’accorge d’essere distratta, ma non si sforza di attendere al sublime mistero che si svolge all’altare. Le sue labbra si muovono a mormorare preghiere, ma la sua mente non sa quel che si dice. – Zizzania della sfiducia. Gesù passa vicino a molte anime e vi lascia cadere il seme di buone ispirazioni: « Prega di più, che ne hai bisogno ». Quelle anime si mettono a pregare. Ma poi passa il demonio e vi semina mille dubbi cattivi. « Che cosa hai guadagnato a pregare fin qui? guarda il tale come è felice, come si fa ricco, e non prega mai! Credi tu che Iddio abbia il buon tempo d’ascoltarti? se davvero ti sentisse, riceveresti delle grazie, invece non ne hai avuto nemmeno una ». E le anime ingannate diminuiscono le loro orazioni e si lasciano invadere dalla zizzania. Vigilate, Cristiani, perché il nemico non dorme. – 2. NEL LAVORO. S. Ignazio, passando accanto a una casa in costruzione, osservò un giovane muratore che lavorava con lena e lietamente: di quando in quando poi levava gli occhî in cielo e mormorava una giaculatoria senza che nessuno se n’accorgesse. « Vedete quel muratore? — disse il Santo ad alcuni suoi compagni — ad ogni mattone che immura aggiunge una gemma alla corona di gloria che l’aspetta in Paradiso ». Veramente non solo quell’operaio, ma tutti i lavoratori di qualsiasi lavoro dovrebbero con la loro fatica aumentare i loro meriti per il Cielo. Invece spesso si lasciano sorprendere dal demonio che anche in quest’ora semina la sua malvagia zizzania. Zizzania del demonio sono le bestemmie con cui tanti sciagurati operai condiscono la loro produzione. Zizzania del demonio sono gli inganni e le frodi con cui gli operai cercano di sfruttare i padroni, ed i padroni cercano di sfruttare gli operai; con cui compratori e venditori cercano di rovinarsi a vicenda. Zizzania del demonio è la cattiva intenzione con cui molti uomini lavorano: essi non accettano le fatiche dalle mani di Dio, ma dopo aver imprecato contro i ricchi che mangiano senza sudare, acconsentono a lavorare solo per arricchire. Quando giungeranno al letto di morte, infelici, che cosa avanzeranno di tanti sudori? Nulla o quasi, perché gli Angeli getteranno al fuoco troppe delle loro fatiche come zizzania in fascio. – 3. NEL NUTRIMENTO. Un Cristiano dei primi secoli ci ha descritto il modo con cui i fedeli compivano il dovere di sostentare col cibo la vita. « Nei nostri pasti non vi è nessun istinto di golosità; non ci si mette a tavola senza prima aver innalzato a Dio una preghiera; non si mangia più di quanto sia necessario per placare la fame; non si beve più di quanto convenga ad una persona che vuol vivere casta; si parla lietamente come uno che sa d’essere ascoltato da Dio. E dopo che tutti han finito, si accendono le lucerne e si cantano le lodi del Signore. Il pasto incominciato con la preghiera, con la preghiera finisce. Si esce dall’agape pieni della propria anima come allora che si era entrati: con modestia, con delicatezza. Par quasi d’essere stati a una scuola di virtù e non alla refezione » (TERTULLIANO). Dall’esempio offertoci da quei veri Cristiani, subito risaltano ai nostri occhi i difetti con cui il demonio contamina i nostri pasti. E se anche a nessuno di noi si potesse ripetere la minaccia del profeta Amos: « Guai a te che cerchi le vivande squisite e rare, e i vini deliziosi in abbondanza, e non ti curi di un popolo in miseria che muore di fame! »; tuttavia quant’altra zizzania il demonio semina furtivamente sulla mostra mensa! – E innanzi tutto, c’è una piccola preghiera prima e dopo i pasti? Siamo dunque tornati pagani? Abbiamo insegnato ai nostri figliuoli a farsi il segno della croce prima e dopo il nutrimento o lasciamo che mangino come le bestie? Anzi ci sono taluni che fan peggio delle bestie. Nessun animale privo di ragione mangia quando non ha fame e beve quando non ha sete; solo l’uomo si sforza di riempire un ventre già sazio, e di bere oltre ogni saturità fino a sentirsi male. Se poi si dovesse esaminare i discorsi che si fanno, mangiando o bevendo, specialmente negli alberghi e nelle osterie, risulterebbe che in questo campo ogni buon grano è inaridito e sola domina la zizzania del demonio. – 4. NEL RIPOSO. Anche il riposo è sacro e ce lo insegna il grande Operaio che dopo aver creato il mondo, al settimo giorno riposò. Tutto è sacro nella vita del Cristiano, ed ogni azione, anche umile e indifferente, se fatta bene fa guadagnare il Paradiso. E il demonio questo lo sa e perciò anche il riposo vuol contaminare. E ci riesce. Quante donne si lasciano guastare le ore di sollievo dalla mormorazione maligna, dalla calunnia.  Quante fanciulle sciupano le ore di sollievo nell’ozio, stando sulla pubblica via quasi in attesa delle tentazioni. Del resto, badate come si passa la Domenica, giorno di riposo, e vi accorgerete quanta zizzania il demonio vi ha buttato. Passeggiate al monte o al lago senza la Messa; partite di sport senza la dottrina; lunghe sere consumate a spettacoli scandalosi ed a balli impudichi; discorsi troppo liberi e spesso osceni, promiscuità delle persone di diverso sesso. « Inimicus homo fecit hoc! ». È il nemico eterno che, come una Arpia immonda, è calato giù a insozzare di peccati tutta la nostra vita. – Per quarant’anni, nel lume incerto della mattina, la gloria di Dio si manifestava agli ebrei peregrinanti nel deserto. Sopra i loro attendamenti nuvole bianche fluttuavano e coprivano la terra di un cibo misterioso simile a cosa pestata nel mortaio, o a brina sull’erba del prato. Tutti ne raccoglievano poiché era dolcissimo come il fior della farina impastato di miele. Era la manna.  Ma se qualcuno indugiava nella raccolta e si lasciava sorprendere dal calare del sole, ecco la manna brulicava di vermi e si squagliava. – Ogni giorno anche per noi il Signore fa piovere dal cielo abbondantissime grazie, le quali ci aiutano a compiere le opere buone che sono il cibo della vita eterna. Operamini non cibum qui perit sed qui permanet in vitam æternam (Giov., VI, 27). Ma  se le nostre opere, — la preghiera, il lavoro; il nutrimento, il riposo — le lasciamo contaminare dal calore del demonio, dal suo fuoco infernale, subito brulicheranno di vermi, e si squaglieranno. E noi avanzeremo, come il contadino della parabola, di aver lavorato e sudato tutta la vita per raccogliere fasci di amara zizzania. — UOMO NEMICO È LO SCANDALOSO. Forse, in tutto il Vecchio Testamento, non c’è un grido straziante come quello del patriarca Giacobbe quando gli riportarono a casa la tunica insanguinata del suo figliuolo Giuseppe. Egli, sbarrati gli occhi, la prese, la guardò, la riconobbe: « È la tunica. di mio figlio: una bestia feroce l’ha divorato » (Gen., XXXVII, 33). Questo è pure il grido che Gesù ripete davanti a tanti Cristiani: « Una bestia feroce l’ha divorato ». Vi è un uomo nemico che, come una bestia feroce, s’aggira a far strage di anime: l’uomo scandaloso. Che cosa è lo scandalo? Qualsiasi parola, qualsiasi azione che può indurre al peccato. Ed è anche contro lo scandalo che si può applicare la parabola che il Signore oggi ripete. Non quelli che uccidono il corpo bisogna temere, ma quelli che uccidono l’anima. Questi sono i veri nemici. È un assassino: Gioab, un ex-capo dell’esercito di Davide, era invidioso della crescente fortuna di Amasa presso il re. Si era vicino al paese di Gabaon e Amasa vedendo venire Gioab con alcuni soldati gli mosse incontro. Ma questi che vestiva una stretta tunica, nascondeva nella cintura una spada, fatta in modo che potesse, con un rapido movimento, uscir fuori dal fodero e colpire. Come furono vicini, Gioab esclamò: « Salute, o fratel mio! » E con la mano destra prese Amasa sotto il mento come per baciarlo. Amasa ingenuamente si lasciò baciare, e non fece attenzione alla spada che, in baleno Gioab estrasse e gli cacciò nel fianco. Alcuni uomini che sopraggiungevano trovarono in mezzo alla strada un cadavere con un fianco squarciato da cui usciva sangue e intestini (II Re, XX, 9-11). – Così; perfidi come Gioab sono gli uomini dello scandalo, si avvicinano col volto e col saluto di un amico, di un compagno, ma sotto gli abiti hanno l’arma fatale per massacrare l’anima. Triplice è la spada dello scandaloso: il cattivo esempio, la cattiva parola, il disprezzo del bene. a) Il mal esempio della moda, quante giovani ha trascinato verso l’abisso del male! Exempla trahunt. Soprattutto è disastroso il cattivo esempio dato da quelli che per età, per natura, per ufficio sono collocati più in alto. Se un padrone in bottega bestemmia, tutti gli operai diventano bestemmiatori. Se un adulto si permette una parola, un gesto; un’azione oscena, tra giovani, questi fatalmente si sentiranno attratti nel fango. E se il mal esempio è tra le mura domestiche, come si salverà la famiglia? Quando i figliuoli imparano dai genitori a non pregare, a mangiar di grasso nei giorni d’astinenza, a rubare, a litigare, a ubriacarsi, chi potrà poi richiamarli sulla strada buona? Exempla trahunt. b) Non solo l’esempio cattivo è uno scandalo, ma anche la parola cattiva, che scende nel profondo del cuore e vi si inficca come un dardo avvelenato. Eppure, nelle strade, sui treni, nelle osterie, nelle case, nell’officine specialmente, quante parole cattive! È l’uomo nemico che a larghe manate passa a seminare sul campo buono la zizzania della sua bocca. — « È inutile far tanta fatica: i peccati disonesti sono il minor male che può fare l’uomo e il Signore li compatisce volentieri. Forse che il paradiso è fatto per i Turchi? si salveranno egualmente; o tutti o nessuno ». –  « L’inferno è una favola che hanno inventato i nostri vecchi quando si pativa la fame, e i preti fanno il loro mestiere: son pagati per gridare ». « Non ho mai visto gente più fortunata di quella che sta alla larga dalla Chiesa: si fa come si vuole e si è più rispettati ». c) Tuttavia, più che con altro, si scandalizza il prossimo col disprezzo satanico della virtù. Quando il povero Giobbe, immiserito senza più figli che l’aiutassero, ammalato senza più un letto in cui adagiarsi, pregava continuamente e trovava conforto nella rassegnazione al volere di Dio, quella maligna di sua moglie, che non l’aveva nemmeno tollerato in casa, andava là a schernirlo: « Benedici Iddio, ma intanto crepa! » Benedic Deo et morere! (Iob., II, 9). Con la stessa malignità, gli scandalosi cercano di disprezzare la virtù del prossimo. Ora è un compagno che sibila all’orecchio d’un giovane buono: « Non hai vergogna d’andare ancora all’Oratorio alla tua età? ». Ora è una compagna d’ufficio o d’officina che istiga le altre a ridere del vestito decente e del contegno serio di una pia fanciulla: « Sembra già una monacuzza inacidita! Altre volte si deride un uomo per la sua giustizia: « Fatti scrupolo del quattrino, che gli altri, senza sudare, fanno affari d’oro! ». E quante volte non si arriva fino a deridere la donna in ciò che ha di più glorioso, mettendola alla berlina perché Dio le ha concesso una numerosa figliolanza! Peccati di scandalo sono questi, o Cristiani! Né vale dire che si ha riguardo per non farsi vedere né sentire dai piccoli: quasi che quelli degli adulti non fossero peccati. E neppure vale la scusa di certuni: « io non intendevo rovinare gli altri, ma solo divertirmi ». Non importa: voi siete scandalosi, voi siete assassini delle anime. Meglio per voi se non foste nati mai! Meglio per voi, se appesa al collo una macina da mulino, foste precipitati in fondo al mare! – 2. È UN DEMONIO. Gesù ascendeva a Gerusalemme tristemente, parlando della sua passione vicina, della sua morte in croce. S. Pietro allora cominciò a sgridare il Maestro, dicendo: Questo non avverrà mail! Gesù allora voltandosi all’Apostolo gli disse una terribile parola: « Sta via da me, satana: tu mi sei di scandalo » (Mt., XVI, 23). S. Pietro non voleva indurre Gesù a peccato, ma solo ritrarlo dal bene che agli uomini sarebbe derivato dalla passione, eppure Gesù lo chiama satana. Non è dunque un’esagerazione dire che lo scandaloso è un demonio. – Il demonio odia Iddio e vuole la rovina eterna delle anime: ma egli è uno spirito e non può parlare: e non può agire visibilmente, ed allora al suo fine perverso si serve degli scandalosi come di istrumenti del suo mestiere. – Sansone adirato contro i Filistei ricorse ad uno stratagemma. Si era ai giorni della mietitura: le biade pallide e le spighe d’oro riempivano i campi, e qua e là già si rizzava qualche buca. Sansone prese trecento volpi, le legò a due a due per la coda e nel mezzo vi mise una torcia. Poi diede il fuoco, e sfrenò le bestie ardenti nei campi di biada e di frumento. Subito per la regione dei Filistei si destò un incendio immenso: ardeva tutta la terra con la paglia non ancora falciata e con quella già ammassata (Giudici, XV, 4-5). – Il demonio fa come Sansone: egli vuole far strage fra i Cristiani. E prende gli scandalosi e li incendia del suo fuoco infernale e poi li lancia, come volpi, ad abbruciare con le passioni ed il male le anime dei buoni. L’uomo che dà scandalo è dunque una volpe che già brucia. E forse era questa immagine che aveva in mente Gesù quando disse che lo scandaloso Erode era una volpe. Ite et dicite vulpi illi (Luc., XIII, 32). Ma guai all’uomo da cui venne lo scandalo! Quando Caino ebbe ucciso Abele, dalla terra insanguinata cominciò a salire al cielo un grido di vendetta (Gen., IV, 10). Ebbene, ogni volta che viene rovinata un’anima, il medesimo grido riprende a risuonare in cielo. E lo udrà anche lo scandaloso quando comparirà al tribunale di Dio per essere giudicato. Vox sanguinis fratris tui clamavi ad me de terra. Sarà la voce dell’anima discesa in inferno per colpa sua. Saranno le voci di tutte quelle anime a cui a poco a poco si è propagato il suo scandalo sulla terra. Sarà la voce della Vergine, la voce dei Santi, la voce degli Angeli. Sarà infine la voce stessa di Cristo che griderà: « Io ho dato tutta la vita e tutto il sangue per le anime e tu me le hai rovinate. Va via da me, o demonio! ». Vade post me, satana. Mosè fuggiasco arrivò alla regione di Madian, e ansimando sedette accanto ad un pozzo. Ed ecco vennero le sette figlie del sacerdote di Madian ad attingere acqua. Poi che ebbero riempito i canali per abbeverar il gregge, sopraggiunsero dei pastori che volevano scacciarle e fare ingiuria a loro. Mosè si rizzò, ed energicamente difese le figlie di Iethro, sacerdote di Madian. Quando le fanciulle giunsero a casa raccontarono tutto al padre, che disse: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Chiamatelo in casa, che mangi il nostro pane ». – Le anime; le figliuole di Cristo eterno sacerdote, sono nel mondo ingiuriate e minacciate dagli scandalosi. Insorgiamo anche noi, come Mosè, a difenderle. Difendiamo gli innocenti dalle bestemmie, dai cinematografi osceni, dal malo esempio! Difendiamo la gioventù dalla moda invereconda; dalle letture e dalle illustrazioni pornografiche, dai balli! Non dobbiamo avere nessun rispetto umano a protestare, ad impedire il male: è nostro dovere. Quando le anime da noi salvate entreranno in Paradiso, Iddio anche di noi dirà: « Dov’è quell’uomo? Perché lo avete lasciato partire? Aprite a lui la porta del cielo, ch’egli entri e goda del nostro godimento ».

IL CREDO

Offertorium

Ps CXXIX: 1-2

De profúndis clamávi ad te, Dómine: Dómine, exáudi oratiónem meam: de profúndis clamávi ad te, Dómine.

[Dal profondo Ti invoco, o Signore: o Signore, esaudisci la mia preghiera: dal profondo Ti invoco, o Signore.]

Secreta

Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Præfatio

V. Dóminus vobíscum.
R. Et cum spíritu tuo.
V. Sursum corda.
R. Habémus ad Dóminum.
V. Grátias agámus Dómino, Deo nostro.
R. Dignum et justum est.

de sanctissima Trinitate
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubíque grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Qui cum unigénito Fílio tuo et Spíritu Sancto unus es Deus, unus es Dóminus: non in uníus singularitáte persónæ, sed in uníus Trinitáte substántiæ. Quod enim de tua glória, revelánte te, crédimus, hoc de Fílio tuo, hoc de Spíritu Sancto sine differéntia discretiónis sentímus. Ut in confessióne veræ sempiternǽque Deitátis, et in persónis propríetas, et in esséntia únitas, et in majestáte adorétur æquálitas. Quam laudant Angeli atque Archángeli, Chérubim quoque ac Séraphim: qui non cessant clamáre quotídie, una voce dicéntes:

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: che col Figlio tuo unigénito e con lo Spirito Santo, sei un Dio solo ed un solo Signore, non nella singolarità di una sola persona, ma nella Trinità di una sola sostanza. Cosí che quanto per tua rivelazione crediamo della tua gloria, il medesimo sentiamo, senza distinzione, e di tuo Figlio e dello Spirito Santo. Affinché nella professione della vera e sempiterna Divinità, si adori: e la proprietà nelle persone e l’unità nell’essenza e l’uguaglianza nella maestà. La quale lodano gli Angeli e gli Arcangeli, i Cherubini e i Serafini, che non cessano ogni giorno di acclamare, dicendo ad una voce:]

Sanctus,

Sanctus, Sanctus Dóminus, Deus Sábaoth. Pleni sunt cæli et terra glória tua. Hosánna in excélsis. Benedíctus, qui venit in nómine Dómini. Hosánna in excélsis.

Preparatio Communionis
Orémus: Præcéptis salutáribus móniti, et divína institutióne formáti audémus dícere:

Pater noster

qui es in cælis. Sanctificétur nomen tuum. Advéniat regnum tuum. Fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie. Et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris. Et ne nos indúcas in tentatiónem:
R. Sed líbera nos a malo.
S. Amen.

Agnus Dei

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: dona nobis pacem.

Panem cæléstem accípiam, et nomen Dómini invocábo.

V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.
V. Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Marc XI:24

Amen, dico vobis, quidquid orántes pétitis, crédite, quia accipiétis, et fiet vobis.

[In verità vi dico: tutto quello che domandate, credete di ottenerlo e vi sarà dato.]

Postcommunio

Quǽsumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus.

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

2 pensieri riguardo “DOMENICA V “quæ superfruit” DOPO EPIFANIA (2023)”

  1. Quest’anno non ce l’abbiamo fatta, abbiamo avuto tanto da pubblicare e le nostre forze sono limitate. Se ci saremo ancora, speriamo il prossimo Avvento di aggiungere la liturgia ambrosiana. Vi auguriamo buon anno liturgico. W Cristo Re!

  2. Buongiorno.
    Gli ambrosiani hanno iniziato l’avvento.
    Riuscite a mettere la liturgia?
    Cmq…
    GRAZIE in ogni caso

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