LO SCUDO DELLA FEDE (277)

LO SCUDO DELLA FEDE (277)

P. Secondo FRANCO, D.C.D.G.,

Risposte popolari alle OBIEZIONI PIU’ COMUNI contro la RELIGIONE (19)

4° Ediz., ROMA coi tipi della CIVILTA’ CATTOLICA, 1864.

CAPO XX.

VITA AVVENIRE

I. Morti noi, è finito tutto. II. Non è mai venuto nessuno dall’altro mondo.

A rovesciare tutta la religione, anzi pure tutte le virtù umane, nulla è così orribilmente efficace come l’indebolimento della fede intorno alla vita avvenire. Imperocché la speranza del premio anima ed accende soprattutto le anime generose, e poco men che loro non mette le ali al fianco, ed il timore di un gastigo, per ogni canto formidabilissimo, non può non raffrenare l’audacia di chi vuole commettere il male. Gli è perciò, che quelli, che al tutto vogliono gittarsi in braccio alle loro passioni, hanno trovato certi assimili, che loro vengano in aiuto.

I. Morti noi, è finito tutto: ecco il primo di essi. Ora che cos’è a rispondere? Io prego il lettore cortese a porvi ben mente. Se noi non fossimo per gran mercè divina fatti cristiani, ed ancora giacessimo nelle ombre della morte, siccome erano i nostri padri gentili e tuttora sono tanti poveri selvaggi nell’Oceania o nelle Indie, se fossimo ancora, dico, in questa condizione, tuttavia sarebbe un errore intollerabile. Imperocché, delle tante sette ed errori, e religioni false e bugiarde, che vi furono e che vi sono al mondo, se voi ne eccettuate alcuni pochi epicurei, niuna, per quanto stupida ed abbrutita, mai vi fu che non tenesse come indubitata una vita avvenire, nella quale le anime avessero un premio od una pena, proporzionata al modo che avevano tenuto o buono o reo nell’operare. Voi potete raccogliere questa verità dalle storie, le quali tutte vi fan sapere che ogni popolo ha ammesso un inferno ed un paradiso: poniamo pure che immersi in errori folli fingessero un paradiso di voluttà non convenevoli, un inferno di pene arbitrarie. I poeti più celebri dell’antichità, i filosofi più assennati, in ciò convengono coi codici religiosi di tutte le nazioni. Virgilio, tuttoché gentile, descriveva in mezzo a Roma pagana l’inferno, lo descrivevano gli Indiani, i Cinesi, i Persiani, gli Egizii, e quante sono le nazioni della terra, e tutti partono da questo principio, e tutti in questo risolvono la gran quistione della vita. Ora, in qual modo hanno fatto tutti i popoli a formare questo giudizio? Vi basterebbe l’animo di condannare tutti gli uomini, e grandi e piccoli, e dotti ed ignoranti, piuttostoché condannare alcuni pochi interessati nella gran causa di negare una vita futura,.per non doverla temere infelice? Se si dovesse risolvere questa causa a ragione di testimonianze e quanto al numero e quanto alla qualità, ognun vede che morti noi, è finito tutto sarebbe presto sentenziato. Eppure, oh con quanta efficacia il mondo intero ha testificato il suo sentimento intorno alla vita futura! Niuno dirà, che gli uomini vogliono burlare e ridere anche presso le tombe. Il dolore di chi perde i suoi cari, lo stato pieno di miserie a cui si riducono i nostri corpi, ne toglie perfino l’ombra della possibilità. Ora, cosa fanno gli uomini coi loro defunti, presso tutte le nazioni? La riverenza in che li tengono, le espiazioni che fanno per le anime, i riti, le cerimonie e perfino le superstizioni che si praticano a loro riguardo, tutte dimostrano che si crede che esse non solo abbiano un’altra vita, ma che perfino possano ritrarre vantaggio da quello che noi facciamo per loro. Sarebbe lungo l’esporre tutte ed anche inutile, poichè niuno, che abbia anche un poco sfiorate le storie, può dubitarne. Il perchè è a dire o che tutte le nazioni sono in errore, o che morti noi, non è finito tutto. – Sebbene senza cercarne ragioni fuori di noi, in noi stessi abbiamo le prove che non finisce tutto finiti noi. Imperocché che cosa è quel desiderio in fondo a tutti i cuori di una immortalità beata? Al vedere che è sì universale, sì costante, non possiamo non riconoscere che ci è stampato nell’animo per mano di natura. Ora, che è altro la man di natura, se non la mano di Dio? E la mano di Dio, il quale poteva non scolpircelo, ce l’avrà scolpito appunto per ingannarci, anzi per illudere tutte le umane generazioni? No, non può essere. Una sapienza infinita non opera a caso, non imprime un desiderio che non debba avere effetto. Non è dunque un vano sentimento quello dell’immortalità. Similmente il timore delle pene dell’altra vita chi l’ha scolpito nel cuore degli uomini? Perché temono i peccatori all’appressarsi della morte? Perché questo palpito ancora nei Gentili, se non perché tutti sentono che non tanto si approssimano alla morte, quanto alla sentenza di un Giudice, il quale chiederà conto di quello che si è operato in vita? Al sentimento universale di natura si aggiunge quello che si ritrae dallo stesso Dio per confermarlo. Chiunque riconosce che Dio esiste, non può non riconoscere anche che Dio sia giusto, che Dio sia buono, che Dio sia provvido, che sia misericordioso. Un Dio che non fosse tale, non sarebbe più Dio; e se già altri non giunge alla forsennatezza di negare l’esistenza divina, bisogna che ammetta la giustizia, la provvidenza, la bontà, la misericordia nella divinità: ma ciò è lo stesso che riconoscere l’esistenza della vita futura. Imperocché chi non vede che qui sulla terra Iddio pei suoi altissimi fini, e soprattutto per esperimentare la nostra fedeltà, non vuole dare ai buoni il meritato compenso, né ai cattivi il meritato castigo? Se ne lagnano talora perfino i Santi, che l’empio sopraffà il buono, che il prepotente opprime il debole, che il ricco divora il povero, che l’iniquo prospera colle sue macchinazioni, colle sue trame, colle sue iniquità: ed al contrario che il giusto soccombe, che se ne giace tra le lagrime ed il dolore, vittima di chi l’opprime, lo diserta, lo schianta. Ora tutto ciò perché è tollerato da Dio? Unicamente perché quale oppressione debba valere a prova di fedeltà, ad esercizio di virtù momentaneo, e a discernere i buoni dai cattivi: ma poi un Dio buono non può non compensare con larga retribuzione i buoni, non può non punire con giusta severità i cattivi. Il perché debbe esservi un’altra vita, dove tutto ciò si faccia e si faccia con ogni santità, giustizia, misericordia, bontà. Quanto sono necessarie in Dio le divine perfezioni, altrettanto è necessaria la vita avvenire, ed altrettanto è falso che morti noi, è finito tutto. E di qui anzi si trae un’altra ragione efficacissima contro quell’empio assioma. Se non vi fosse un’altra vita, in cui si rendesse giustizia, avrebbero ragione tutti quelli, i quali vivono più perdutamente, che sfiorano tutte le delizie della terra, tutti i piaceri della carne, e che cogli empii, di cui si parla nella Sapienza, non pensano ad altro che a coronarsi di rose, ad inebriarsi di vini, a profumarsi di unguenti, a tuffare il labbro nel calice di tutti i diletti. Avrebbero ragione eziandio quelli, i quali colla prepotenza, coi soprusi, colle soperchierie e perfino colle violenze, colle rapine, cogli ammazzamenti si procacciano i beni del mondo: imperocché come il mondo è per lo più di quelli, i quali se lo usurpano, se non vi ha nulla da temere nella vita avvenire, nulla a sperare, perché non godere almeno qui sulla terra quello che si può godere, e goderlo a qualunque costo? Anche il nome di virtù e di vizio scompare dalla terra se non vi è vita avvenire. Imperocché la virtù costa grandi travagli, il vizio al contrario è sommamente consentaneo alla nostra guasta natura. Se tutto il nostro vivere si limita qui alla terra, se la virtù non porta immensi e preziosissimi frutti per l’eternità, ed al contrario se il vizio non produce lagrime inconsolabili nell’altra vita, qual motivo di praticare quella e di guardarsi da questo con tanta fatica e con tanta inutilità? Il perché se morti noi, è finito tutto, bisogna dire che Dio abbia creati gli uomini non pel bene ma solo pel male; che in loro non abbia posto ordine di alcuna sorta, ma lasciatili in balia del caso; che a Lui non importi né di vizio nè di virtù; che sia lo stesso ai suoi occhi chi immola tutta la sua vita nei più eroici sacrifizii e chi la logora nei più immani delitti: bisogna dire che Dio non sia provvido, né giusto, né buono: in una parola, che non sia Dio: ed ecco in che ricade finalmente quel mostruoso assioma che morti noi, è finito tutto. E con tutto ciò fin qui voi l’avete considerato anche prescindendo dalla fede cristiana; ma se voi lo ponete sul labbro di un Cattolico, quel detto vi comparirà in una orridezza, se è possibile, anco maggiore; poiché è una formale negazione di tutto il Cristianesimo. Di grazia, non tacciate di esagerata questa proposizione prima di averla intesa. Che cosa è il Cristianesimo? È una religione che, non ammessa la vita avvenire, non è più altro che un ammasso di assurdi, di sciocchezze, di falsità. I beni che ci promette sono beni spirituali da non potersi conseguire in questa vita. Un regno di beatitudine, gaudii smisurati, possessione beatifica di Dio, cose grandi in eccesso, ma tutte per la vita avvenire, tutte per l’eternità. Se morti noi, è finito tutto, che cosa addivengono quelle promesse che sono il grande scopo della Religione cristiana? I castighi minacciati dalla legge cristiana sono principalmente, per non dire quasi unicamente, le pene smisurate del fuoco, dello stridore dei denti, del verme delle coscienze e della privazione di Dio in fondo all’inferno: ma tutto ciò è nella vita avvenire. Se non vi è vita avvenire, non vi è più castigo di sorta; e che cosa si debbono stimare tutte quelle minacce? Il Cristianesimo nei dogmi che propone a credere, nella vita che obbliga a condurre, è tutto stabilito sulla fede nella vita avvenire. Cardine e fondamento di tutta la nostra fede, come a lungo discorre san Paolo, è la risurrezione di Gesù e la vita che egli mena gloriosa in cielo, esemplare della nostra futura risurrezione e della vita che meneremo un giorno con Lui.. E perciò ci propone la nostra fede a credere esplicitamente la vita eterna. Se morti noi, è finito tutto, dov’è l’eternità della vita, se non vi è pure la vita? La perfezione che il Cristianesimo apportò sulla terra, consiste in ciò principalmente, che, in vista dei beni futuri, noi dispregiamo i presenti, in vista dello spirituale ed eterno noi non curiamo il sensibile ed il temporale: ma senza la vita eterna ognun vede che tutte le speranze che la fede ci dà, altro non sono che illusioni ed inganni. – Tutte le virtù cristiane ci portano o a disprezzare i beni esteriori, od a contrastare le lusinghe del senso, od a frenare le esorbitanze del nostro spirito: ma tutto ciò senza il compenso della vita eterna non ha punto significato. Imperocché, che cosa direste voi di chi vi togliesse tutto quello che avete qui tra mano, la casa, l’argento, le suppellettili, le sostanze, sulla promessa che egli vi porrà in un paese amenissimo, in un palagio riccamente fornito; se poi né questo paese, né questo palagío esistessero? Sarebbe costui un traditore, che vi ha levato il presente che possedevate, in vista di quello, che non può darvi. Lo stesso potreste dire di Gesù, il quale con le virtù che vi comanda, vi spoglierebbe dei beni esterni, dei diletti del corpo, delle soddisfazioni dello spirito, promettendovi gran soprabbondanza di beni nell’altra vita, senza tuttavia potervi mantenere nulla di quello che vi promette, perché, nel supposto di costoro, non vi sarebbe neppure altra vita. – Inoltre, tutta la certezza della santa fede dove andrebbe a finire? Noi non crediamo alla fede senza motivi saldissimi e potentissime ragioni che a ciò ci spingono. Le abbiamo in altro luogo accennate, e sono prove storiche di fatto, prove di ragione, prove di esperienza. Concorrono a raffermarci nella fede le voci di Dio, colle profezie, coi miracoli e i martirii e colla propagazione e col mantenimento prodigioso della Religione. Vi concorrono i pii grandi uomini della terra col loro consenso ed autorità e profondi ragionamenti. Vi concorre perfino l’inferno col suo furore e col riconoscere visibilmente la potenza del Cristianesimo. Tantoché fu ben detto nella Scrittura, che le testimonianze, che Dio ci ha dato in tal proposito, non solo sono bastevoli, ma sono perfino soverchie: Testimonia tua credibilia facta sunt nimis. Ma tutte queste testimonianze ché mettono fuori di ogni dubbio la nostra fede, che cosa testificano principalmente? La vita avvenire; poiché la vita avvenire nel cielo è quella che ci propongono ad acquistare. Per la vita avvenire è fondata la santa Chiesa, la quale combatte in questa terra solo per trionfare nella Gerusalemme celeste. I Sacramenti sono tutti stabiliti, come altrettanti mezzi per giungere alla vita avvenire. – Nell’orazione principalmente chiediamo la vita avvenire. Ora se morti noi, è finito tutto, come dicono gli empii, bisogna dunque rinnegare tutta la fede, la Chiesa, i Sacramenti, le preghiere, tutto il Cristianesimo, e condannare i Martiri, i Profeti, gli Apostoli ed i Dottori, come quelli che, d’accordo tutti insieme, ci hanno ingannato. Io non dubito che ad un lettore assennato, non dico Cattolico, farà qualche orrore il gettarsi in sì grande abisso: eppure vi si precipita chiunque dice da senno quell’empia parola. – Del resto, l’hanno creduta vera poi almeno quelli che l’hanno inventata? Nulla meno. Lo stesso Voltaire, il quale tanto faceva per persuadersi che non vi era né paradiso, né inferno, per non essere obbligato a sperar quello, od a temere questo, mai non vi pervenne. Imperocché scrivendogli una volta uno dei suoi amici scellerati, che finalmente eragli riuscito di levarsi la paura dell’inferno, egli, con quel sarcasmo suo consueto, per mostrargli che non gliel credeva, “voi, gli rispose, siete più fortunato di me, perché a me non è ancora riuscito.” E quello che disse in vita, lo disse in morte, quando mandò cercando il confessore, sebbene, per giusto giudizio di Dio, noi potesse avere. E similmente operarono molti di quei più famosi increduli, i quali, presso alla morte, tanto credettero all’eterna vita, che vollero per questo riconciliarsi con Dio. Un solo mezzo vi ha per poter morire freddamente senza timore dell’avvenire: aver congiunto ad un’estrema malizia un’ignoranza estrema, per tutto il corso della vita, di tutto quello che è, non dico Cristianesimo, ma pure sentimento religioso. Vegga, dunque, ognuno quello che dice, quando ripete quella mostruosa parola.

II. L’altro assioma è: Ma non è venuto niuno dall’altro mondo a dirci come colà vadano le cose. Chi ha inteso quello che abbiamo detto di sopra, non ha più bisogno di risposta speciale a questo nuovo detto; tuttavia, facciamoci sopra qualche osservazione. Niuno è mai venuto dall’altro mondo. Sia pure. E dunque non avremo più modo di sapere le cose, se non venga qualcuno dall’altro mondo a dircele? E che? Non abbiamo noi che siamo in questo mondo la ragione, la quale ci discopre molte cose che non cadono sotto i sensi, e che non ci sono testificate da altri uomini? – Se non volete credere ad altro che agli occhi vostri corporei, vi converrà rinunziare a tutte le verità che si deducono per raziocinio. Poffare! Si è studiata tanta filosofia ai nostri tempi, che ci fanno da filosofi fino i putti che frequentano la metodica, e poi si discrede a quello che si deduce per raziocinio! Perché dunque credete che due e due fanno quattro, e che dieci aggiunti a dieci fan venti? Chi è venuto dall’altro mondo a dirvelo? Oh per questo basta il raziocinio. Sì. E non basta il raziocinio per capire che Dio è giusto, e che se è giusto bisogna che punisca i malvagi e premii i buoni? Che non facendolo in questa vita, l’ha da fare in un’altra? Non basta il raziocinio per dedurre che se vi ha un Dio, vi vuole una religione; che se un Dio l’ha rivelata, bisogna crederla; che se ha operato miracoli di ogni fatta in favore del Cristianesimo, questo dev’esser vero, ed andate dicendo, di altre innumerabili verità? Che se si tratta di quelle verità, le quali sorpassano il raziocinio e che appartengono alla santa fede, è egli vero Che niuno sia venuto dall’altro mondo a dircele? I Profeti non ci hanno prenunziato l’avvenire, ispirati da chi era all’altro mondo? Il Figliuolo di Dio non era forse in tutta l’eternità in seno del Padre, e fattosi uomo, non è venuto ad annunciarci quello che Egli ivi aveva appreso? Gli Apostoli nun l’hanno inteso dalla bocca di Lui? Non ha parlato con loro e prima e dopo la risurrezione? I santi Vangeli non sono forse la parola di chi è venuto a bella posta dall’altro mondo per ammaestrarci? Il maestro adunque vi è, ed è autorevole, ed è efficace, ed è un Dio: e la ragione bene impiegata basta a convincerne che esso è tale: che senso adunque hanno quelle parole: Niuno è venuto dall’altro mondo? Inoltre, se quel detto diventasse la regola dell’operare umano, basterebbe a piombare un uomo nel baratro della più mostruosa ignoranza e del più stupido abbrutinamento, che mai siasi potuto immaginare. Imperocchè che cosa sonerebbe in pratica? Che tutto quello che riguarda la religione è tutto incerto, e tutto si può trascurare senza alcun danno. Per niun altro fine si adopera quel detto, almeno da chi l’intende. Ora che cosa è questo se non proclamare che non vi ha verità religiosa, e quindi non vi ha verità morale? Se la verità religiosa è dubbia, è come se non fosse. Gli uomini già ricalcitrano, già si ribellano alle leggi certe, alle leggi anche solennemente promulgate e con rigor mantenute: pensate se sarebbero disposti a sottoporsi a leggi dubbiose ed a leggi incerte. – Le verità religiose poi, le cristiane soprattutto, impongono pesi all’inferma nostra natura non così agevoli a sostenersi; il perché coll’interesse che hanno le passioni a scuoterle, dove esse fossero già dubbie in sé medesime, non ne rimarrebbe più nulla in piedi. Quindi è che il proclamare che nessuno è venuto dall’altro mondo torna in pratica a dire: che siamo sciolti da ogni legge umana e divina, che ognun faccia quel che meglio gli piace, e che, vissuti questi pochi giorni e goduto il più che si possa il mondo, ritorneremo nel nulla donde fummo cavati. Gran che! Iddio ha innalzati gli uomini fino a renderli di poco inferiori agli Angeli; eppure ve n’ha di quelli che troverebbero ogni lor delizia nell’essere pari ai ciacchi! Convien dire che chi aspira ad un vanto sì nobile, ne riconosca in sè le qualità: ma voi, lettore assennato, sapendo che le verità che noi crediamo sono state pubblicate da Colui che era in seno del Padre, non vi commovete a queste voci di aspide e di serpente.