CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: MAGGIO 2019

MAGGIO È IL MESE CHE LA CHIESA CATTOLICA DEDICA ALLA SANTISSIMA VERGINE MARIA

 …. La divozione a Maria Santissima è una cara eredità, che abbiamo ricevuto dai padri nostri. Sì, la divozione a Maria è una delle più splendide glorie della nostra Italia. E non poteva essere altrimenti. Da questo nostro fortunato Paese, che è il centro della Cattolica Chiesa, doveva partire altresì per le altre nazioni l’esempio di un culto, che nella Chiesa forma una parte tanto importante. Epperò non vi è monte, non vi è valle, per quanto remota e solitaria, dove non si scontri una sua immagine, che inviti il viandante a porgerle un riverente saluto. Non vi è paese e non vi è città che non abbia, oltre alle feste della Chiesa, consacrato a Lei una festa particolare, che sia come la festa che si celebra in famiglia ad onore della propria madre, e nella quale si vada a gara per solennizzarla e con sfarzo di ceri, e con sceltezza di musica e con splendore di rito. I geni poi della nostra poesia alla Vergine innalzarono i loro cantici più ispirati e sublimi, dall’Alighieri e dal Petrarca sino al Manzoni ed al Pellico. I geni della pittura, e Raffaello, e Tiziano, e Caravaggio, e frate Angelico, ritrassero la venerata effigie di Maria nelle loro tele più celebrate. I geni della musica trovarono per lei le note più tenere e soavi, e quelli della pietà e della scienza quali un S. Ambrogio, un S. Tommaso, un S. Bernardo, un S. Bernardino, un S. Filippo, un S. Alfonso ebbero per Maria il linguaggio più entusiastico ed espressivo. Tutti poi e dotti e idioti e grandi e piccoli, giovani e vecchi ebbero mai sempre come naturale in cuore la devozione a Maria, che può ben dirsi trasfusa dai padri ai figli, di generazione in generazione, col trasfondersi della vita. E Maria in ogni tempo rispose allo slancio dei padri nostri e ben possiamo asserire con gloria, che come non vi ha spazio considerevole di tempo, così non vi ha paese o città italiana, che non abbia ricevuto da Maria un qualche peculiar segno del suo amore. Tutta Italia ebbe in dono da Lei quella casa benedetta, nella quale nacque, trascorse tanto tempo della vita e divenne Madre del Verbo incarnato. Ed ogni provincia, ogni città e direi quasi ogni paese conta autenticamente le miracolose apparizioni di Lei, le sue speciali benedizioni, i suoi celesti insegnamenti, i suoi stupendi prodigi. Cosi Maria dando prova evidentissima del suo particolare affetto per la nostra Italia, corrispose all’affetto dei nostri padri. E noi non cammineremo sulle loro orme gloriose!? Non ci mostreremo veri eredi della loro antica pietà? Non cercheremo anzi di santamente emularli? Sì, senza dubbio, e ciò particolarmente in questo bel mese, che stiamo per consacrare a Maria. E fin di quest’oggi, prostrati dinnanzi al suo altare, esaltiamola e preghiamola col dirle: Ave, o Regina dei Cieli, Ave, o Signora degli Angeli; salve, radice e porta, dalla quale è nata al mondo la luce. Ti allieta, o Vergine gloriosa, bella sopra tutte; vale, o adorna d’ogni grazia, e prega per noi il tuo caro Gesù. Fanne degni di lodarti, o Vergine benedetta e dacci forza contro ad ogni tuo nemico. Così sia. [A. Carmagnola: La porta del cielo. S. E. I. Torino, 1986]

EXERCITIA

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Fidelibus, qui mense maio pio exercitio in honorem beatæ Mariæ Virginis publice peracto devote interfuerint, [Ai fedeli che nel mese di Maggio praticheranno in pubblico un pio esercizio in onore della Beata Vergine Maria, per ogni giorno del mese si concede …] conceditur:

Indulgentia septem annorum quolibet mensis die:

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea sacramentalem confessionem instituerint, ad sacram Synaxim accesserint et ad mentem Summi Pontifìcis oraverint [se lo avranno praticato almeno per 10 giorni, s. c.].

Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia beatæ Mariæ Virgini privatim præstiterint, [a coloro che lo praticheranno privatamente …] conceditur:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (Secret. Mem. 21 mart. 1815; S. C . Indulg., 18 iun. 1822; S. Pænit. Ap., 28 mart. 1933).

QUESTE SONO LE FESTE DEL MESE DI MAGGIO

1 Maggio S. Joseph opificis. I. Duplex I. classis

2 Maggio S. Athanasii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

3 Maggio Inventione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

1° Venerdì

4 Maggio S. Monicæ Viduæ    Duplex

1° Sabato

5 Maggio Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

  S. Pii V Papæ et Confessoris    Duplex

6 Maggio S. Joannis Apostoli ante Portam Latinam    Duplex majus *L1*

7 Maggio S. Stanislai Episcopi et Martyris    Duplex

8 Maggio In Apparitione S. Michaëlis Archangeli    Duplex majus *L1*

9 Maggio S. Gregorii Nazianzeni Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

10 Maggio S. Antonini Episcopi et Confessoris    Duplex

11 Maggio Ss. Philippi et Jacobi Apostolorum    Duplex II. classis *L1*_

12 Maggio Dominica III Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                   Ss. Nerei, Achillei et Domitillæ Virg. atque Pancratii Martyrum    Semiduplex

13 Maggio S. Roberti Bellarmino Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Maggio S. Bonifatii Martyris    Feria

15 Maggio S. Joannis Baptistæ de la Salle Confessoris    Duplex

16 Maggio S. Ubaldi Episcopi et Confessoris    Semiduplex

17 Maggio S. Paschalis Baylon Confessoris    Duplex

18 Maggio S. Venantii Martyris    Duplex

19 Maggio Dominica IV Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

               S. Petri Celestini Papæ et Confessoris    Duplex

20 Maggio S. Bernardini Senensis Confessoris    Semiduplex

25 Maggio S. Gregorii VII Papæ et Confessoris    Duplex

26 Maggio Dominica V Post Pascha    Semiduplex Dominica minor *I*

                    S. Philippi Neri Confessoris    Duplex

27 Maggio S. Bedæ Venerabilis Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                   Feria Secunda in Rogationibus    Semiduplex

28 Maggio S. Augustíni Episcopi et Confessoris    Duplex

                   Feria Tertia in Rogationibus    Semiduplex

29 Maggio In Vigilia Ascensionis    Feria

                    S. Mariæ Magdalenæ de Pazzis Virginis    Feria

30 Maggio In Ascensione Domini    Duplex I. classis *I*

31 Maggio S. Angelæ Mericiæ Virginis    Duplex

MAGGIO, IL MESE DELLA MADONNA

MAGGIO, IL MESE DELLA MADONNA

[A. Carmignola: La porta del cielo; S. E, I. Torino, 1896 – rist. 1944 imprim. L. Piscetti, revis. Arciv. Torino, 26 marzo 1896]

DISCORSO D’INTRODUZIONE

Della vera divozione a Maria.

Eccoci al mese di Maggio, che è il più bel mese dell’anno. In questo mese le campagne sono del tutto verdeggianti; i fiori sbocciando spargono le più soavi fragranze, e gli uccelli volando su pei rami degli alberi fauno sentire i loro dolcissimi gorgheggi. Oh quanto è bello il mese di Maggio! E questo bellissimo tra i mesi dell’anno la Chiesa consacra a Colei, che è la più pura, la più santa, la più bella fra tutte le creature, a Maria. Oh! potevasi scegliere meglio un altro mese a questo fine? No, certo. Ma che cosa vuol dire consacrare a Maria il mese di Maggio ogni buon Cristiano, di voto di Maria, lo sa: vuol dire praticare in questo mese in un modo tutto particolare la sua divozione. Tuttavia molti non sanno bene in che cosa consista la vera devozione a Maria, e però sebben consacrino a Lei questo mese, non fanno ciò in modo, che torni a Lei del tutto gradito. Poiché molti si pensano, che la divozione a Maria consista del tutto in certe pratiche esteriori, nel recitare in suo onore qualche Rosario, nel portare al collo la sua medaglia od il suo abitino, nel recarsi durante questo mese alle prediche o nel fare qualche devota lettura, e specialmente nel ricorrere a Lei per guadagnare qualche favore, per evitare qualche pericolo, per guarire da una malattia o per altro somigliante bisogno. Costoro sono in un gravissimo errore: perché sebbene tutto ciò faccia parte della divozione alla SS. Vergine, non è tuttavia ciò, che solamente la costituisca. È perciò di una somma convenienza che, stando per cominciare il mese di Maggio, in cui intendiamo più che mai di manifestare la divozione nostra a Maria, ci facciamo di questa divozione una chiara e giusta idea e riconosciamo che essa consiste massimamente in queste tre cose:

1° Nell’ammirare le grandezze di Maria.

2° dell’imitare le sue virtù.

3° dell’implorare i suoi benefizi.

I. — Quando un oggetto si presenta al nostro sguardo adorno di tutte o quasi tutte le perfezioni, di cui è capace, allora noi diciamo che è ammirabile. Così pure diciamo ammirabile quell’uomo, quella donna, quel giovane, che o nella sua vita o ne’ suoi atti, elevandosi al di sopra della vita e degli atti comuni alla maggior parte degli altri, ha dello straordinario. Or bene, qual mai fra le creature più di Maria ha da essere meritevole della nostra ammirazione? Ed invero, chi è Maria? Maria è la Madre di Dio, Colei che Iddio ha amata da tutta l’eternità sopra ogni altra sua creatura, epperò Colei che forma il più eccellente capolavoro, che sia uscito dalle mani dell’Altissimo. Maria, dobbiamo dire coi Santi, è quel grande e divino mondo, dove Iddio ha versato bellezze e tesori ineffabili: è quel paradiso terrestre, nel quale Gesù Cristo, novello Adamo, incarnandosi, ha operato meraviglie incomprensibili, ha recato quanto vi ha di più eccellente e bello. Che cosa sono mai gli ori e le perle più preziose dei mari e dei monti in confronto delle grandezze e dei privilegi, di cui venne arricchita Maria? Per certo è proprio qui il caso di esclamare coll’Apostolo : Nec oculus vidit, nec auris audivit, nec in cor hominis ascendit« e occhio vide, né orecchio intese, né il cuor dell’uomo ha compreso quanto sia grande Maria ». Epperciò i Santi medesimi, dopo di aver parlato e scritto di lei nel modo più eloquente, confessarono con rammarico di aver detto troppo poco in suo onore, essendo essa un’altezza inarrivabile, una larghezza incomprensibile,una profondità impenetrabile, una grandezza smisurata. E la Chiesa ancor essa si duole di non trovare lodi abbastanza atte ad è saltarla come meriterebbe: Quibus te laudibus efferata nescio(Uff. della B. V.). In somma così straordinarie sono le grandezze di Maria, che Ella medesima, non ostante la sua profonda umiltà, è stata costretta a dirlo in quel Cantico, che innalzavaa Dio incontrandosi colla sua cugina Elisabetta: Fecit mihi magna, qui potens est; « Colui che è potente ha fatto a me cose grandi ». Or dunque se tale è la Vergine non dovremo noi anzi tutto manifestarle la nostra divozione con l’avere per Lei l’animo nostro ripieno di santa ammirazione. Tuttavia poco gioverebbe questa ammirazione nostra, se non fosse feconda di quelle più belle e più vive lodi, che da noi le si possono tributare. Così per l’appunto si esplica ad ogni istante l’ammirazione, che hanno per Lei gli Angeli del paradiso. Essi tutti, dal primo all’ultimo coro, dice S. Bonaventura, le gridano incessantemente: Sancta, sancta, sancta Maria, Dei Genitrix et Virgo; e milioni e milioni di volte il dì le ripetono la salutazione dell’Arcangelo Gabriele: Ave Maria, e le si prostrano innanzi e le chiedono in grazia, che li onori con qualche comando. S. Michele, dice S. Agostino, sebbene principe della corte celeste, è il più zelante nel renderle e farle rendere ogni sorta di onori. Così pure hanno fatto i Santi; epperò pieni di ammirazione per Lei sono andati a gara per trovare le più ingegnose espressioni, che meglio valessero ad esaltarla, chiamandola chi il miracolo dei miracoli della grazia, della natura e della gloria, chi l’opera più bella che uscisse dalle mani del Creatore, chi lo specchio del potere divino, chi il teatro della divina gloria, chi il più splendido dei prodigi, chi altrimenti ancora. Così pure fa la Chiesa, la quale mai non lascia di lodare Maria e di eccitare i suoi figli a lodarla. E così facciamo anche noi: lodiamola nelle nostre preghiere, lodiamola nei nostri discorsi, lodiamola nei nostri cantici; e perché la nostra lode riesca a Lei più accetta, a Lei medesima raccomandiamoci, che ci renda ognora più degni di lodarla, dicendole sempre con tutto l’affetto del cuore: Fatemi degno di lodarvi, o Vergine santa. Dignare me, laudare te, Virgo sacrata.

II. — Ma se noi dobbiamo essere veri devoti di Maria anzitutto con l’ammirare le sue grandezze dobbiamo esserlo in secondo luogo con l’imitare le sue virtù. È più che naturale, che dal sentimento dell’ammirazione nasca in noi il desiderio della imitazione. Nel vedere il nostro prossimo compiere atti di virtù, di valore, di eroismo, se siamo di animo retto, diciamo tosto nel nostro cuore: oh se anch’io potessi fare il somigliante! Ora gettando il nostro sguardo sopra di Maria troviamo, è vero, delle grandezze che formano il suo esclusivo privilegio e delle quali il pretendere l’imitazione sarebbe senza dubbio una stoltezza, ma troviamo eziandio delle virtù, le quali non solo si debbono ammirare e venerare, ma ancora ai possono imitare; della vita di Maria, dice il grande S. Ambrogio, vi ha una regola di vivere, che serve di modello alle anime tutte di ogni età, di ogni sesso, di ogni condizione: Talis fuit Maria ut eius unius vita omnium sit disciplina(De Virginibus). Essa è modello ai sacerdoti, modello ai coniugati, modello ai padri ed alle madri di famiglia, modello ai figliuoli, modello ai giovani, modello ai vecchi, modello ai ricchi, ai poveri, ai dotti, agli idioti, ai giusti, ai tribolati, a tutti; sì, perché a motivo della sua condizione di Madre di Gesù Cristo si trovò nel caso di dare a tutti luminosisimi esempi, e di ogni genere di virtù. Sì, riandate pure col vostro pensiero tutte le virtù e infuse e morali: la fede, la speranza, la carità, la prudenza, la giustizia, la temperanza, la fortezza, l’umiltà, la pazienza, la rassegnazione, la modestia, la purità. Essa tutte le ebbe, niuna eccettuata: e tutte nel modo più perfetto, senza difetto di sorta, senza ombra benché minima di colpa. Or se Maria, nostra Madre, è questo nostro stupendo esemplare, noi che vogliamo essere i suoi veri figliuoli, non sentiremo vivamente il dovere di ricopiarlo nella nostra vita? Noi che diciamo e ripetiamo tante volte di amare Maria, non riconosceremo l’obbligo di renderci più che sia possibile a Lei somiglianti, imitandola nelle sue virtù? Ah! se così fosse, noi non professeremmo a Maria che una devozione falsissima. E come può dirsi vero devoto di Maria chi non fa violenza alcuna per evitare il peccato che tanto si oppone alla sua santità e tanto la disgusta! Chi asseconda del continuo le sue cattive passioni! Chi dorme in pace nelle sue perverse abitudini? Chi è sempre orgoglioso, avaro, impudico, collerico, maldicente, ingiusto, peccatore, vizioso? Egli ha un bel dire qualche Rosario, ha un bel digiunare qualche sabato, ha un bel accendere qualche candela alla Madonna, un bel portare indosso la sua medaglia o il suo abitino, con tutto ciò egli non è altro che un devoto esteriore di Maria, e se con queste esteriorità esso pretende ottenere delle grazie da Lei e massimamente quella della sua eterna salvezza, è per di più un disgraziato presuntuoso, il quale perciò della vera divozione a Maria non coglierà mai i frutti. Ah! la vera devozione, dice S. Agostino, consiste nell’imitare chi si onora: vera devotio imitari quod colimus. E se noi vogliamo essere veri devoti di Maria, dobbiamo assolutamente imitarla nelle sue virtù; imitarla nell’amor di Dio e staccare il cuor nostro dalle creature e dai beni miserabili di questa terra; imitarla nell’amor del prossimo e prestarci quanto più ci è possibile a soccorrerlo; imitarla nella fede ed allontanare da noi qualsiasi dubbio intorno alle verità di nostra santa Religione; imitarla nella purità e fuggire prontamente tutti i pericoli contro a questa così bella virtù, imitarla nella umiltà e combattere il nostro orgoglio, imitarla nella pazienza e portare volentieri la croce, che Iddio per nostro bene ci ha posto sulle spalle, imitarla in somma in tutte le sue virtù ricopiando nel modo più perfetto che ci sia possibile i pregi del suo bellissimo e santissimo animo. Allora sì noi potremo dire di amare davvero Maria, di amarla a fatti e non solo a parole; allora sì noi potremo rallegrarci di essere suoi veri figliuoli; allora noi potremo con grande fiducia appressarci al suo trono di grazia e compiere sicuramente la terza parte della sua divozione, che consiste nell’implorare i suoi benefizi.

III. — Sì, implorare i suoi benefizi, perché come Maria è il tesoro di ogni grandezza, il modello di ogni virtù, così Ella è la dispensiera di ogni grazia. Madre di Dio, quale Ella è, esercita sopra il suo cuore a nostro vantaggio tale potenza, che, come dice Riccardo da S. Lorenzo, essendo Gesù Cristo onnipotente per natura, essa lo è per grazia; e, come attesta S. Bernardino da Siena, la preghiera sua è un vero comando a cui Iddio benignamente si inchina, e, come soggiunge S. Bernardo, basta che essa voglia e tutto vien fatto. Quale Madre nostra poi ha tale per noi un cuore, che è mille volte più pronta essa a soccorrerci nei nostri bisogni, di quello che siamo pronti noi a ricorrere a Lei per aiuto, e così universale è la sua carità, che come Gesù Cristo ha escluso nessuno dal benefizio della sua redenzione, così Ella non esclude alcuno dai benefizi del suo amore. I giusti hanno da Lei le grazie per conservarsi e crescere nella virtù, i peccatori le ispirazioni, gli eccitamenti e gli aiuti a convertirsi, gli afflitti trovano in Lei consolazione, gli infermi la santità, i poveri soccorso, i tribolati d’ogni maniera sollievo e conforto, tutti ogni sorta di grazie e di favori celesti. E quello che è ancor più consolante, si è che questa nostra amorosissima Madre imitando la generosità di Dio, il quale è dives in omnes qui invocant Illum, è ricco verso tutti coloro che lo invocano, dispensa ancor Ella i suoi benefizi con tale sovrabbondanza da dare sempre di più di quello che a Lei si chiede. Largitas Mariæ, dice Riccardo, assimilat largitatem Filii sui, dal amplius quam petatur. E se talvolta pare, che Ella chiuda le orecchie alle nostre preghiere e non le esaudisca, egli è perché o non è bene per l’anima nostra che siamo subito ascoltati o domandiamo cose che all’anima nostra tornerebbero certamente di danno, sicché in queste medesime apparenti ripulse essa ci dà una prova bellissima del suo amore per noi e sommamente ci benefica. Se pertanto Maria ha per noi animo così generoso, ricorriamo a Lei con fiducia, invochiamo il suo santo aiuto, imploriamo i suoi benefizi. E ciò facciamo massimamente in questo mese che a Lei consacriamo. Certo in questo mese a ricambio delle nostre preghiere Ella tiene apparecchiate per noi particolarissime grazie, grazie che Ella verserà abbondanti sul nostro capo, se noi ammirando le sue grandezze, imitando le sue virtù, implorando il suo aiuto potremo addimostrarle col fatto, che noi siamo i suoi veri devoti.

FIORETTO

Consacrare a Maria tutte quante le azioni, che faremo nel mese di Maggio e recitare tre Ave Maria, perché ci aiuti a farle tutte sante.

GIACULATORIA.

Santa Maria, pregate per noi. Sancta Maria, ora prò nobis.

Esempio e preghiera.

La divozione a Maria Santissima è una cara eredità, che abbiamo ricevuto dai padri nostri. Sì, la divozione a Maria è una delle più splendide glorie della nostra Italia. E non poteva essere altrimenti. Da questo nostro fortunato Paese, che è il centro della Cattolica Chiesa, doveva partire altresì per le altre nazioni l’esempio di un culto, che nella Chiesa forma una parte tanto importante. Epperò non vi è monte, non vi è valle, per quanto remota e solitaria, dove non si scontri una sua immagine, che inviti il viandante a porgerle un riverente saluto. Non vi è paese e non vi è città che non abbia, oltre alle feste della Chiesa, consacrato a Lei una festa particolare, che sia come la festa che si celebra in famiglia ad onore della propria madre, e nella quale si vada a gara per solennizzarla e con sfarzo di ceri, e con sceltezza di musica e con splendore di rito. I geni poi della nostra poesia alla Vergine innalzarono i loro cantici più ispirati e sublimi, dall’Alighieri e dal Petrarca sino al Manzoni ed al Pellico. I geni della pittura, e Raffaello, e Tiziano, e Caravaggio, e frate Angelico, ritrassero la venerata effigie di Maria nelle loro tele più celebrate. I geni della musica trovarono per lei le note più tenere e soavi, e quelli della pietà e della scienza quali un S. Ambrogio, un S. Tommaso, un S. Bernardo, un S. Bernardino, un S. Filippo, un S. Alfonso ebbero per Maria il linguaggio più entusiastico ed espressivo. Tutti poi e dotti e idioti e grandi e piccoli, giovani e vecchi ebbero mai sempre come naturale in cuore la divozione a Maria, che può ben dirsi trasfusa dai padri ai figli, di generazione in generazione, col trasfondersi della vita. E Maria in ogni tempo rispose allo slancio dei padri nostri e ben possiamo asserire con gloria, che come non vi ha spazio considerevole di tempo, così non vi ha paese o città italiana, che non abbia ricevuto da Maria un qualche peculiar segno del suo amore. Tutta Italia ebbe in dono da Lei quella casa benedetta, nella quale nacque, trascorse tanto tempo della vita e divenne Madre del Verbo incarnato. Ed ogni provincia, ogni città e direi quasi ogni paese conta autenticamente le miracolose apparizioni di Lei, le sue speciali benedizioni, i suoi celesti insegnamenti, i suoi stupendi prodigi. Cosi Maria dando prova evidentissima del suo particolare affetto per la nostra Italia, corrispose all’affetto dei nostri padri. E noi non cammineremo sulle loro orme gloriose!? Non ci mostreremo veri eredi della loro antica pietà? Non cercheremo anzi di santamente emularli? Sì, senza dubbio, e ciò particolarmente in questo bel mese, che stiamo per consacrare a Maria. E fin di quest’oggi, prostrati dinnanzi al suo altare, esaltiamola e preghiamola col dirle: Ave, o Regina dei Cieli, Ave, o Signora degli Angeli; salve, radice e porta, dalla quale è nata al mondo la luce. Ti allieta, o Vergine gloriosa, bella sopra tutte; vale, o adorna d’ogni grazia, e prega per noi il tuo caro Gesù. Fanne degni di lodarti, o Vergine benedetta e dacci forza contro ad ogni tuo nemico. Così sia.

L’ECLISSE DELLA RELIGIONE

L’eclisse della religione

[Abate GIBIER: LE OBBIEZIONI CONTEMPORANEE CONTRO LA CHIESA; Serie Prima, Scuola Tipogr. Salesiana, FIRENZE, 1905]

CONFERENZA I

Signori,

Oggi inauguriamo il nostro undicesimo anno di Conferenze. Dopo avere confutate per ben due anni le obbiezioni rivolte contro la religione in generale, mi propongo in altri due anni di confutare le obbiezioni particolari rivolte contro la Chiesa Cattolica, contro il suo Fondatore, la sua fondazione e la sua storia. Ma, prima di tutto, la Chiesa Cattolica sta essa per morire o per rinascere? Mi sembra di dover rispondere a questa domanda: Presentemente assistiamo a un fenomeno che si potrebbe chiamare l’eclisse della idea religiosa. È bene guardare in faccia questo fenomeno, decomporlo, spiegarlo, per mettersi così in grado di non spaventarsene. – La Religione Cattolica subisce presso di noi un’eclisse. È misconosciuta dagli ignoranti, detestata dai corrotti, perseguitata dai rinnegati, abbandonata dai deboli.

È misconosciuta dagli ignoranti.

Se qualcuno pretendesse discutere di chimica perché  si serve di prodotti chimici come il sapone e la margarina, di fisica perché fa uso del gas e del petrolio, di procedura e di giurisprudenza perché di tanto in tanto ha qualche lite col vicino, col padrone di casa o con la serva, del mondo sidereo perché s’accorge che d’inverno il sole tramonta più presto che d’estate se qualcuno pretendesse di pronunziare degli oracoli a proposito di tutto ciò senza essersene occupato in modo speciale, senza averne perciò la dovuta competenza, si esporrebbe al rischio di farsi rider in faccia. Non sarebbe preso sul serio; sarebbe messo in ridicolo e se lo sarebbe meritato. Ma in fatto di Religione nessuno ha più scrupoli. Tutti ne parlano senza conoscerne neppur gli elementi. I più incompetenti la bistrattano, la giudicano, la condannano senza riflettere. A motivo dell’ignoranza, la Religione subisce, presso di noi, un’eclisse. Ma corre anche altri pericoli.

È detestata dai corrotti.

Dirsi seguace di Gesù Cristo, esser Cristiano, è un dichiararsi in favore della castità, della carità, dell’umiltà, del perdono delle offese, della giustizia riparatrice e senza compromessi, cose tutte che la natura umana paventa, e da cui istintivamente rifugge. C’è una quantità di gente che ha in orrore la Religione, che la respinge e la detesta, non per i suoi misteri, ma per i suoi precetti. “La vostra Religione è bella, buona, ed è migliore della nostra, ma bisogna riempirci il ventre, risponde al missionario l’Indiano goloso”. — “Come volete che faccia a esser contento di una sola donna? risponde il voluttuoso Asiatico”; — “ … come posso perdonare ai nemici miei e della mia tribù? dice il selvaggio feroce”; — “come posso stare senza far baldoria? grida l’Europeo corrotto”. « Lasciate le vostre passioni e crederete », dice Pascal. Ne dubitate? Guardate un po’. Quando lascia la fede il vostro cuore? Quando le passioni v’introducono il disordine. E quando vi ritorna? Quando la vecchiaia, o la morte vicina vi riconduce la calma. Non si assale quasi mai il Simbolo prima d’aver aperta una breccia nel Decalogo. Oggigiorno la sensualità dilaga da ogni parte; e il vizio è il padre dell’empietà. A motivo della corruzione invadente, la Religione subisce un’eclisse presso di noi. Essa è misconosciuta dagli ignoranti, è detestata dai corrotti.

È perseguitata dai rinnegati.

Il tempo nostro abbonda di falsi scettici, di falsi impassibili, di falsi indifferenti i quali avevano delle credenze e le hanno rinnegate, ma non le hanno dimenticate. Hanno abbandonata la Chiesa, sbattendone la porta e bestemmiando, ma l’immagine della casa paterna li segue dovunque e li invade. Dicono di non creder più, ma una volta credevano, e l’anima loro resta inquieta come se credessero ancora. La Religione, che hanno scacciata dalla loro vita, rimane allo stato di rimorso nella loro memoria, nella loro coscienza. Se ne sono liberati malamente. Essa li importuna, li tormenta, li rende aspri, risentiti, furibondi, battaglieri. – Gli ignoranti e i corrotti sono talvolta indifferenti; i rinnegati non lo sono mai. « Questo tempio lo importuna, e l’empietà sua vorrebbe annientare il Dio da esso abbandonato. » Sono invasi ed agitati da una continua invasione d’odio antireligioso, che li rende capaci di ogni audacia e di ogni provocazione. In nome del libero pensiero, sopprimono ogni più elementare e più essenziale libertà: in nome della ragione si slanciano fino al delirio nel fanatismo, e in nome dell’unità morale della patria, compromettono la pace dei cittadini e l’avvenire dellanazione. – Il tempo nostro, in cui l’incredulità è insieme una moda, una forma d’orgoglio, e un mezzo di salire in alto, formicola di questi falsi spiriti forti i quali non son altro che dei rinnegati. E a motivo dell’apostasia la Religione subisce presso di noi un’eclisse. Essa è misconosciuta dagli ignoranti, detestata dai corrotti, e perseguitata dai rinnegati.

È abbandonata dai deboli.

Questo è il fenomeno che ci deve dar più da pensare. Ignoranti, corrotti e rinnegati più o meno ce n’è sempre, ma oggi più che mai gl’ignoranti, i corrotti, i rinnegati hanno influenza sui deboli, e li trascinano negli abissi della irreligiosità. Abbiamo al fianco nostro una piaga schifosa che potrebbe diventare mortale, e che io chiamo: l’apostasia dei deboli, delle classi popolari. Non voglio andare nella esagerazione. Abbiamo già, e avremo sempre più ottimi operai e capisquadra cristiani, è innegabile, tuttavia, nel suo insieme, il popolo rimane indifferente quando non è ostile. Sta lontano dalla Religione, e se gli si domandasse il perché, non saprebbe dirlo. Al più risponderebbe: « Signore, non andiamo alla Messa perché non ci si va » oppure: « Signore, non si usa ». Così fa l’umanità presa in massa. Non è ostile, ma fa come le pecore. In generale, gli uomini pendono dalla parte del vento. Obbediscono più agli impulsi che ai convincimenti; in altri tempi, la Religione ne ha avuto vantaggio, oggi ne soffre. Essa è abbandonata dai deboli, perseguitata dai rinnegati, detestata dai corrotti, misconosciuta dagli ignoranti.

La Religione presso di noi subisce un’eclisse. C’è da stupirsene, spaventarsene, perderci di coraggio? Niente affatto. Abbiamo fiducia in Dio. Pratichiamo la nostra Religione, e per difenderla meglio, cerchiamo di conoscerla bene.

Abbiamo fiducia in Dio. Durante una tempesta, un ragazzetto di dodici anni se ne stava tranquillo. « Non ho paura di nulla, diceva; al timone c’è mio padre. »

Il nostro Dio, Signori, sta al timone del mondo.

« Chi mette un freno all’infuriar dei flutti

Sa pur frenare dei malvagi l’ire;

Temo Dio, caro Abner, altro non temo…»

Ma, dite voi, non siamo soltanto in mezzo alla tempesta, siamo in mezzo alla notte. La Religione subisce, intorno a noi, un’eclisse. E che importa ciò? I teologi turchi hanno un assioma che i Cristiani farebbero bene a meditare. Essi dicono: « Se nella notte più nera, una formica nera camminasse su di un marmo nero. Dio la vedrebbe e sentirebbe il rumore delle sue zampette. » O Cattolici, Dio ci prova, ma non ci dimentica. Egli ci vede, ci sente, ed è con noi fino alla consumazione dei secoli. La Chiesa da Lui fondata, e di cui siamo i figlioli, è immortale. Abbiamo fiducia in Dio.

Pratichiamo apertamente la Religione. Subisce una eclisse? È il momento di glorificarla col nostro risoluto atteggiamento, con la nostra fedeltà incrollabile, col nostro esempio valoroso. Non ci vogliono né dispute, né recriminazioni, né anatemi, ma semplicemente affermazione della verità, diffusione del bene, divulgazione pacifica del Vangelo… Renderci forti, purificare il nostro proprio giardino, esporre le nostre dottrine, vivere la vita cristiana, palesare con le azioni nostre che siamo una forza, una utilità, una necessità, il grande serbatoio dell’ideale e della dignità morale… ecco il dovere dei Cattolici, e il mezzo per essi d’imporre la stima e l’obbedienza… E coloro i quali stanno più in alto, e che son veduti da più lontano, siano i più premurosi a dar l’esempio d’una vita cristiana sincerissima e della Religione professata apertamente! Il generale de Sonis diceva: Non ho mai trovato funzioni religiose troppo lunghe, e son sempre venuto via di chiesa con dispiacere. Posso dire che il tempo che vi ho passato è il migliore della mia vita. » Che belle parole, o Signori! Facciamole nostre. Amiamo la Chiesa, e veniamoci regolarmente. È nostro dovere. Se noi dobbiamo sempre rendere testimonianza alla nostra fede, in certe circostanze, come al giorno d’oggi, quest’obbligo diventa imperioso in modo particolare. In questo caso, l’astensione è un tradimento. – Ma bisognerà per far questo disturbarsi, bisognerà scomodarsi, bisognerà forse compromettersi, bisognerà di certo andar contro la corrente generale. Che cosa importa? La vita è azione, e l’azione, qualunque sia la forma che può prendere, è lotta. Son passati i tempi del « dolce far niente. » Abbiamo fiducia in Dio, è necessario: pratichiamo apertamente la Religione, è necessario del pari. E finalmente, giacché la Religione presso di noi subisce un’eclisse, cerchiamo di farla risplendere ….

Studiamo la Religione per metterci in grado di meglio difenderla. È conosciuta la Religione? Ahimè! a dodici anni si conosce un po’, a quindici, a vent’anni, non si conosce quasi più punto; a quarant’anni non si conosce più affatto. Eppure si deve difendere contro i più perfidi assalti d’un ambiente scettico e sofista. Venite, o Signori, ad armarvi a pie’ dell’altare e a pie’ del pulpito. Venite a cercare ai pie’ del pulpitola luce di Dio, la quale vi indicherà la vostra strada; ai pie’ dell’altare la grazia di Dio, la quale vi aiuterà a camminare senza debolezza. Sentite; finisco lasciandovi l’eco di questi bei versi di Lamartine:

Per me, s’erga o soccomba il nome tuo,

O Dio della mia culla sarai pure

Il Dio della mia tomba! Più la notte

Oscura diverrà, più gli occhi miei

S’affisseran nel lume che nei cieli

Risplende! E quando lo sprezzato altare,

Che la folla abbandona, ricadesse

A me sul capo… o tempio tanto amato,

Tempio dov’ebbi tutto, e tutto appresi.

L’ultima tua colonna abbraccerei;

Dovessi pur sotto le tue ruine

Sacre rimaner vittima informe..

Amen!

CONFERENZA II

Il Rinascere della religione

Signori,

Noi studieremo per due anni le obbiezioni rivolte contro la Chiesa, il suo Fondatore, la sua fondazione e la sua storia. Ma prima di tutto rispondo a una domanda preliminare. La Chiesa sta per morire o per rinascere? Io sostengo che sta per rinascere. L’eclisse della Religione Cattolica è soltanto locale, momentanea e superficiale. Il suo rinascere è necessario, certo e già visibile. Lo sostengo e ve lo provo.

I. L’eclisse della religione Cattolica è:

1 Locale. Avviene soltanto da noi. Guardiamo un po’ all’estero, che cosa vediamo? In Germania noi vediamo la Religione Cattolica in piena efflorescenza. Uno dei mei Vicari ha assistito poco tempo fa al Congresso dei Cattolici tedeschi a Colonia, ed ha visto e toccato con mano il loro numero sempre crescente, il loro organismo, le loro opere sempre più floride, la loro incontestata potenza. Hanno vinto Bismarck, hanno costretto i protestanti e i socialisti a rispettarli, ed ora sono gli arbitri del Reichtag e i padroni dell’Impero. Negli Stati Uniti vediamo del pari la Religione Cattolica in piena efflorescenza. Il 30 aprile ultimo, il presidente Roosevelt assisteva a una discussione di tesi teologiche all’Università cattolica di San Luigi, e si congratulava pubblicamente col Cardinal Gibbons, e coi Padri Gesuiti. Nel 1900, nella grande repubblica americana, le suore autoctone avevano nelle loro scuole 516 000 alunni, e le suore di Ordini la cui casa madre è in Francia, ne avevano 235.000. Nel momento attuale i nostri religiosi e le nostre religiose cacciati dalla madre patria se ne vanno, a centinaia e centinaia, negli Stati Uniti, dove sono ricevuti a braccia aperte, dove svolgeranno l’azione cristiana e civilizzatrice che è loro impedito di svolgere in Francia [oggi non saprebbero più dove andare … -ndr.]. L’eclisse della Religione Cattolica non è dunque così spaventevole come sembra a prima vista. È soltanto locale. Essa è:

Momentanea. Guardate un po’ il chicco di grano che si getta in terra. Anch’esso sparisce, s’eclissa. Non si vede più, si crede sia perduto per sempre. Aspettate un poco; lasciate che la terra lo ricopra e lo nasconda agli sguardi; lasciate che i passeggieri lo calpestino senza nemmeno supporre che esista; lasciate che la pioggia, la neve, il vento, le brine cadano sopra di lui e si accaniscano per distruggerlo. Ben presto, dopo aver germinato in silenzio, spunterà timidamente dal suolo, verdeggerà sotto le prime carezze del sole, diventerà uno stelo, poi una spiga, poi una messe, e finalmente un pane saporito e sostanzioso. Così è della Religione. Ha delle ore di accasciamento, ore di disfatta che si crederebbe definitiva. S’eclissa. Sembra vinta, morta, annichilita. No; germina e si prepara a rinascere. Dopo un accesso di febbre calda, i popoli rinsaviscono. Alle brume della persecuzione succede il sole della bella libertà. L’eclisse è stata solo momentanea. Noi sappiamo, o Signori, che la Chiesa è paziente perché è immortale, e che l’eternità sta per noi. I trionfi dell’empietà sono soltanto vittorie senza domani. L’avvenire è un chicco di grano, l’avvenire è il frumento evangelico che nutre il mondo; l’avvenire è la Religione Cattolica. La sua eclisse è locale e momentanea. Essa è …

Superficiale. Quanta gente c’è in cui si crede sia morta la Religione, e che pure le resta attaccata dal fondo delle proprie viscere! Guardate quel giovane che posa da spirito forte. Sa benissimo che non può far senza Religione, e infatti non vuol farne senza. Una sera, vergognandosi di se stesso, va a versare lacrime di pentimento nel fondo d’un confessionale. Fidanzato, conduce all’altare colei che ha scelta a compagna della sua vita; padre, fa battezzare i suoi figli e versa lacrime di dolcezza sulla loro prima comunione. Quando la morte viene a battere al suo focolare, quando gli rapisce un padre venerato, una sposa diletta, un bambino adorato, esso chiede consolazione e speranza a Dio ed alla sua santa Religione. In pubblico forse esso parla male della Religione e non la pratica, ma in privato, nel cuor suo, nella sua casa, chiede a Dio di perdonargli, ed apre le sue labbra alla preghiera. Libero pensatore, e mangiatore di preti da vivo, in punto di morte repudia la sua incredulità la quale non si mostra che alla superficie. Signori, in molti l’irreligione è soltanto apparente e superficiale. Guardate, a chi vanno a confidare le pene della loro coscienza, le loro pene del cuore, e anche le loro pene di affari? A chi vanno a domandar consiglio nelle loro ansie di famiglia, per esempio quando si tratta di accasare i loro figli e le loro figlie? Vanno forse a consultare i grandi oratori o i politici di professione? Vanno forse a consultare i giornalisti, la cui prosa leggono ogni mattina? No, vanno a cercare la luce, il buon consiglio, l’affetto disinteressato, la devozione vera, là dove sanno che tutte queste cose si trovano, cioè, dal ministro della Religione. Si è empi perché ciò è più comodo per far baldoria, ma quando si vuol diventar seri, e quando l’anima è addolorata ci si ritrova Cristiani. – L’eclisse della Religione non è tanto reale quanto sembra. Essa è locale, momentanea, molto spesso superficiale e apparente.

II. Il rinascere della religione cattolica è:

Necessario. Vogliamo che la società si tenga in piedi e cammini?Il rinascere della Religione è necessario. Nel 1787 Washinghton e i suoi compagni — erano cinquantacinque— stavano deliberando sulla futura costituzionedegli Stati Uniti. A un tratto, il vecchio Franklin si alzae dice: « Signori, preghiamo. Ho vissuto molto, e piùvado avanti negli anni, più sono colpito da questa verità,che è Dio colui il Quale governa gli affari degli uomini. Seun passerotto non può cadere a terra senza il suo permesso,potrà innalzarsi un impero senza il suo aiuto? »Vogliamo esser forti? È necessario il rinascere della Religione. Soltanto le forti credenze fanno i popoli forti.Vincitore dell’Austria, della Prussia e della Russia, Napoleoneviene a urtare contro la Spagna credente, laquale rende nulla la scienza dei generali dell’Impero,e divora un esercito francese di più di 300 000 uomini.Un popolo che oggi non crede più, firma la sua sentenzadi morte per domani. Vogliamo vivere? E ‘ necessarioil rinascere della Religione. Poche settimane fa, il generaleHartschmidt rendendo gli estremi onori a un suofratello d’armi, il generale Giovanninelli esclamava:« Sì, o Signori, la Religione è necessaria. Senza la fede, senza la Religione, l’esercito è perduto, è perduta la società, è perduta la patria! » Ahimè! lo vediamo pur troppo. La guerra fatta alla Religione disgrega, demoralizza, esaurisce la nazione. È tanto vero che lo stesso Renan,in un momento di sincerità, scrisse: « lo non sono Cattolico,ma son ben contento che vi siano Cattolici, suore di carità, curati di campagna, carmelitani, e se il sopprimere tutto ciò dipendesse da me, non lo farei davvero ». E in un altro luogo aggiunge: « L’uomo vale in proporzione del sentimento religioso che porta seco dalla sua prima educazione e che profuma la sua vita. » Il rinascere della Religione è necessario. Esso è:

Certo. Cent’anni fa, dopo le inenarrabili rovine della rivoluzione, la Chiesa di Francia rialzava le sue tende atterrate dall’uragano, e ricominciava ad insegnare, a combattere, a soffrire, a perdonare ed amare. In questi cento ultimi anni, non le sono state certamente risparmiate le prove. Che cosa ha fatto? Al pari di un illustre sopravvissuto al Terrore, essa può rispondere : « Ho vissuto! » Può rispondere anche meglio : « Sono rimasta in piedi! » Ma non basta. In mezzo a tante cose che, ai tempi nostri, sono cadute e continuano più che mai a cadere intorno a noi, è giusto il dire non solo che essa è rimasta in piedi, ma che vi è rimasta essa sola. Dopo la guerra del 1870, durante la quale il clero di Francia s’era mostrato tanto ardentemente patriota e nazionale, Bismarck diceva: « Non abbiamo trovato in piedi che il clero. » Ebbene, dopo trent’anni noi non abbiamo ancora piegato, e nel momento attuale non siamo punto disposti a piegare. Ci potranno disconoscere e calunniare, ma noi seguiteremo lo stesso a fare del bene a tutti. Ci potranno maledire per la imperiosità delle nostre dottrine e per l’immensità dei nostri benefici, ma non uccideranno il Vangelo di cui siamo i depositari ed i custodi, non sopprimeranno Gesù Cristo che è la sorgente d’ogni civiltà. Si può tentare molte cose contro di noi?… mi non si farà nulla senza di noi; altro che rovine sopra rovine. L a Chiesa rivivrà perché la Francia non vuol morire. È necessario il rinascere della religione.

Esso è certo. Esso è:

3″ Già visibile. Lo spirito pubblico si va strappando al gelo dell’indifferentismo. Un succo religioso, latente, si agita nelle viscere nostre. Siamo ripresi da una viva passione di curiosità per i grandi problemi. Ogni nostra facoltà: spirito, immaginazione, cuore, anima fanno ritorno alle vecchie divine canzoni che hanno cullato i nostri antenati. Qualcuno molto bene informato mi diceva non è molto: « Oggi il pubblico non cerca e non compra che due specie di libri: i libri di Religione o i libri di pornografia ». Questo è un fenomeno rivelatore. Il mondo si divide. Da un lato, tutto ciò che è retto ed onesto s’orienta verso la Religione, dall’altro, tutto il resto va al fango. Il campo si divide: per gl’indifferenti non c’è quasi più posto. Voi sentite dire talvolta che tutti i grandi uomini del tempo nostro non hanno più Religione. Nulla di più sciocco, perché nulla di più falso. I migliori spiriti invece, i più elevati, i più disinteressati professano il Cristianesimo e s’incamminano verso di lui. L’Huysman s’è ricondotto alla fede dall’arte, e Francesco Coppe dal soffrire. Il Bourget si convertì studiando la psicologia delle passioni; e logico senza rivali, vinto dalla sua propria ragione, il Brunetière mette a servizio della causa cattolica una teologia di buona lega com’è la sua critica letteraria, e una metafìsica impeccabile com’è la sua erudizione. Sì, il rinascere della Religione è visibile. Si manifesta sulle cime, ma ben presto farà trasalire le vallate.

— Tocca a voi, uomini, tocca soprattutto a voi di affrettare questo rinnovellamento della vita cristiana, questa primavera riparatrice che il mondo aspetta con impazienza. Il figlio di Tarquinio il Superbo assediava la città di Gabio, e mandava ambasciatori al padre suo per domandargli consiglio. Tarquinio non rispose: si contentò di atterrare, col suo bastone, davanti agli ambasciatori, nel giardino, la testa ai papaveri più alti. Ciò voleva dire che per prender Gabio bisognava disfarsi prima di tutto dei cittadini più influenti, il che fu subito fatto e con buon resultato. Gabio privata de’ suoi capi, cadde sotto il giogo di Tarquinio. La testa della società è l’uomo, siete voi, o Signori. Tenetevi fermi nella fede: non vi lasciate corrompere dall’empietà. Lavorate anzi per la conservazione e la diffusione dell’idea religiosa, e salvando l’anima vostra, voi salvate al tempo stesso il vostro focolare domestico, i vostri fratelli, il vostro paese!

Amen!

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. LEONE XIII – CHRISTI NOMEN

L’intento del Sommo Pontefice, in questa Lettera Enciclica, è quello di estendere il Nome ed il Regno di Cristo in ogni parte del pianeta non ancora convertito all’unico e vero Dio, e che non appartiene al suo vero gregge, cioè alla sua unica e vera Chiesa, la Chiesa Cattolica Romana, fuori dalla quale non c’è speranza assoluta di salvezza … extra quam nullus omnino salvatur! La conoscenza della vera fede, della retta dottrina scaturita dalla Tradizione Apostolica in primo luogo, e poi dalla Scrittura Sacra sapientemente interpretata dai Padri e dai Dottori orientali ed occidentali, e a seguire dal Magistero infallibile della Chiesa divinamente istituita, e guidata dal Santo Padre, è pilastro sul quale poggia tutta l’impalcatura del nostro edificio salvifico. Da qui l’assoluta preminenza dell’impegno di tutti, i prelati dell’intera Gerarchia, di tutti i pastori, anche i più umili e lontani, nonché di tutti i fedeli di ogni condizione, a concorrere con ogni mezzo, spirituale ed anche materiale ed economico, nell’assecondare gli auspici di Papa Leone XIII per l’opera di Propagazione della Fede, di quella fede cattolica foriera di benessere, innanzitutto spirituale per l’eterna salvezza dell’anima, e fonte pure limpida di vero progresso e di giustizia sociale, senza i quali non può esservi né pace né stabilità tra i popoli. Oggi un appello del genere non troverebbe naturalmente alcun seguito, anzi procurerebbe una violenta levata di scudi da parte degli operatori del nemico maligno, compresi gli apostati del “novus ordo con le stampelle maldestre delle “fraternità” e degli scismatici sedevacantisti, oltre che dei soliti avversari storici di Cristo, i kazari innanzitutto, gli gnostici occulti o palesi, con il codazzo delle obbedienze massoniche più o meno “illuminate”, degli atei increduli e dei filosofastri-scienziati azzeccagarbugli e prezzolati vari, dei mondialisti della finanza usuraia, tutti uniti come recita il salmo II “… Astiterunt reges terras, et  principes convenerunt in unum: adversus Dominum, et adversus Christum ejus …”, che però subito aggiunge: “… Qui habitat in cœlis, irridebit eos: et Dominus subsannabit eos. Tunc loquetur ad eos in ira sua: et infurore suo conturbabit eos” …. (chi ha intelletto comprenda, chi non ce l’ha… si arrangi!!).

CHRISTI NOMEN

L’Opera della Propagazione della Fede

Qua institutum “a Propagatione fideis fovetur et commendatur,

Ad Patriarchas, Primates, Archiepiscopos,

Episcopos aliosque locorum Ordinarios,

pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes.

Portare il nome ed estendere ogni giorno più il regno di Cristo tra le nazioni, condurre e ricondurre nel seno della Chiesa coloro che ne sono separati e le sono divenuti ostili, certamente, nessuno lo mette in dubbio, è uno degli obblighi fra tutti gli altri sacrosanti del sublime ministero a Noi affidato e ispirato dalla apostolica carità. Noi ne abbiamo fatto da lungo tempo l’oggetto delle Nostre preoccupazioni e della Nostra sollecitudine Quindi non abbiamo mai cessato di favorire e moltiplicare le tante missioni che spandono il lume della sapienza cristiana fra gli erranti e le opere che le sostengono coi sussidi raccolti fra i popoli cattolici. Lo abbiamo fatto specialmente nel terzo anno del Nostro pontificato con l’enciclica “Sancta Dei Civitas”, che aveva lo scopo di accrescere l’amore e la generosità dei Cattolici per l’Opera illustre della «Propagazione delle Fede». Ci piacque allora esaltare con le Nostre raccomandazioni  un’opera, i cui umili inizi erano stati seguiti da sviluppi tanto rapidi e meravigliosi, e che i nostri illustri predecessori, Pio VII, Leone XII, Pio VIII, Gregorio XVI, Pio IX, avevano colmato di elogi e di spirituali favori; un’opera che aveva offerto alle missioni di tutto il mondo un aiuto tanto efficace e che permetteva per l’avvenire soccorsi ancor più copiosi. E a Dio piacendo, le Nostre parole ottennero un felice risultato: le elargizioni dei fedeli corrisposero ai calorosi appelli dei Vescovi, e l’opera tanto benemerita fece in questi ultimi anni considerevoli progressi. Or ecco, nondimeno, che più stringenti bisogni richiedono dai Cattolici un nuovo slancio di zelo e di generosità; da voi, venerabili fratelli, tutta la vostra sagace operosità.- Voi lo sapete, con la Nostra lettera apostolica “Præclara” dello scorso giugno, Noi abbiamo creduto obbedire alla divina provvidenza, chiamando instantemente i popoli di tutto l’universo all’unità della fede cristiana; infatti Noi conseguiremmo il pieno adempimento di Nostri voti, se ci fosse dato di affrettare l’arrivo di quel tempo da Dio promesso nel quale «non vi sarà più che un solo ovile e un solo pastore» (Gv. X, 16). – Con quale particolare affetto Noi pensiamo all’Oriente e alle sue chiese illustri e venerande, ve l’ha indicato abbastanza la Nostra lettera apostolica sulla necessità di conservare e difendere la disciplina degli orientali. Lo avete egualmente compreso dalle disposizioni che abbiamo adottate per raggiungere il medesimo intento, dopo averne conferito coi patriarchi di quelle nazioni. Non ci nascondiamo, tuttavia, le grandi difficoltà di tale impresa e la Nostra impotenza a trionfarne; quindi riponiamo con invincibile fiducia in Dio tutta la Nostra speranza ed il successo dei Nostri sforzi. La sua sapienza Ce ne ha ispirato il pensiero e fatto iniziare l’esecuzione; la sua suprema bontà ci darà la forza e i mezzi di compierla. Le Nostre fervide preghiere non cessano d’implorare da Lui questa grazia, e Noi esortiamo insistentemente i fedeli a unire nella medesima intenzione le loro suppliche alle Nostre. Ma all’aiuto dall’alto che noi invochiamo con fiducia, è d’uopo aggiungere i mezzi umani, e Noi non dobbiamo trascurare nulla per cercare e indiare i passi buoni a condurci alla bramata mèta. – Per ricondurre all’unica Chiesa tutti gli orientali, quali che siano, che se ne sono separati, voi lo sentite, venerabili fratelli, nulla è più essenziale che reclutare anzitutto un numeroso clero di mezzo ad essi stessi, un clero encomiabile per dottrina e pietà e capace d’ispirare agli altri il desiderio dell’unione; poi, moltiplicare quanto più si può gli istituti ove la scienza e la disciplina cattolica verranno insegnate e armonizzate col particolare genio della nazione. È perciò opportunissimo aprire, dovunque sia vantaggioso, case speciali per l’educazione della gioventù, collegi in numero proporzionato alla densità della popolazione, affinché ogni rito possa esercitarsi con dignità, e affinché la diffusione dei loro migliori libri introduca tutti i fedeli alla conoscenza della verità religiosa. Il compimento di questo e altri simili disegni richiederà, lo intendete facilmente, grandi spese, e le chiese orientali non possono sopperire da sole a tante e così gravi esigenze, né Ci è possibile, nei calamitosi tempi che attraversiamo, concorrervi Noi stessi nella misura di quanto vorremmo. – Non ci resta perciò che domandare, nei limiti della moderazione, la maggior parte dei necessari sussidi all’Opera che raccomandiamo e il cui scopo si accorda perfettamente con quello che ci sta a cuore. Soltanto, per non recare alcun pregiudizio alle missioni apostoliche privandole d’una parte dei mezzi onde vivono, non si può mai abbastanza insistere presso i fedeli, affinché le loro elargizioni verso quest’opera si accrescano in proporzione dei nostri bisogni. È giusto raccomandare altresì l’opera consimile e tanto utile nelle «Scuole d’Oriente», i cui direttori hanno ugualmente preso impegno di applicare all’intento la più larga parte possibile delle elemosine che raccoglieranno. – Per tutti questi motivi, venerabili fratelli, Noi domandiamo specialmente il vostro concorso, e non dubitiamo che voi, i quali con zelo così costante sostenete con Noi e con ogni mezzo  cercate di promuovere la causa della Religione e della Chiesa, Ci accorderete efficace soccorso. Fate, dunque, ogni sforzo, acciocché tra i fedeli affidati alle vostre cure l’Associazione della « Propagazione della fede » abbia il più grande sviluppo possibile. Siamo certi, infatti, che un numero assai più considerevole di fedeli darà volenteroso il proprio nome e recherà più generose offerte, se, da voi istruito, vedrà chiaramente quanto nobile sia quest’opera, quanto copiose ricchezze spirituali essa procuri, e quanti vantaggi possa giustamente sperarne per il tempo presente la causa cristiana. E certo i cattolici si sentiranno profondamente commossi, quando udranno come nulla possa essere più gradito a Noi e utile alla Chiesa che il loro rivaleggiare di zelo nel raccogliere i mezzi necessari per condurre a buon fine i disegni che Noi abbiamo formulati per il bene delle chiese orientali. Dio, alla cui gloria mira la propagazione del nome cristiano e l’unità della fede e del governo spirituale, si degni nella sua bontà di benedire i Nostri desideri, di favorire la Nostra impresa e come pegno dei più preziosi favori celesti, accordiamo affettuosamente la benedizione apostolica a voi tutti, venerabili fratelli, al vostro clero e al vostro popolo.

Roma, presso San Pietro, 24 dicembre 1894, anno XVII del Nostro Pontificato.

DOMENICA I DOPO PASQUA (2019)

DOMENICA I dopo PASQUA (2019)

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

1 Pet II, 2. Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX: 2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

– Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  – Deo gratias.

Omelia I.

[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]

L A FEDE

“Carissimi: Tutto quello che è nato da Dio vince il mondo: e questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non colui che crede che, Gesù Cristo è figlio di Dio? Questi è Colui che èvenuto coll’acqua e col sangue, Gesù Cristo: non con l’acqua solamente, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una cosa sola. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono una cosa sola. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio èmaggiore. Ora, la testimonianza di Dio che è maggiore è questa, che egli ha reso al Figlio suo. Chi crede al Figlio di Dio, ha in sé la testimonianza di Dio” (1 Giov. 5, 4-10).

S. Giovanni, oltre il Vangelo e l’Apocalisse, scrisse tre lettere. La prima di queste è indirizzata ai fedeli dell’Asia minore, di cui Efeso, ove l’Apostolo dimorava, erane la capitale. Si potrebbe chiamare lettera accompagnatoria o introduzione del quarto Vangelo. Vi si fa risaltare la divinità di Gesù Cristo, e vi si danno prescrizioni per la pratica della vita cristiana, specialmente in relazione all’amor di Dio e all’amor del prossimo. L’epistola odierna è tolta da questa lettera. Per vincere il mondo con le sue concupiscenze, con i suoi errori, con le sue lusinghe, con le sue persecuzioni bisogna essere appoggiati a una fede viva nella divinità di Gesù Cristo. Fede che ha una base incrollabile, perché fondata sulla testimonianza del Padre, che proclama Gesù Cristo suo Figlio, quando è battezzato nelle acque del Giordano; dalla testimonianza del Figlio, che dimostra la sua divinità quando versa il sangue sulla croce; dalla testimonianza dello Spirito Santo, che, discendendo sopra gli Apostoli il giorno di Pentecoste, conferma la predizione di Gesù Cristo e quanto egli aveva insegnato sulla propria divinità. Accogliendo la testimonianza di Dio relativamente a Gesù Cristo, abbiam ben di più che la testimonianza degli uomini. Questo celebre passo di S. Giovanni ci suggerisce di parlar della Fede. Essa:

1. Ci fa trionfare delle passioni,

2. C i preserva dall’errore,

3. Ci fa rendere il dovuto omaggio a Dio.

1.

Questa è la vittoria che vince il mondo: la nostra fede. Chi erede che Gesù Cristo è Dio, e vive in conformità di questa credenza, trova la forza necessaria per trionfare del mondo. Le lusinghe, l’esempio del male che dilaga, la concupiscenza esercitano sull’uomo una forza a cui ben difficilmente si resiste con considerazioni umane. Ci vuole una forza superiore, e questa forza è la fede. I due discepoli che il giorno di Pasqua ritornano scoraggiati al castello di Emaus, sono accompagnati, nel cammino, da uno sconosciuto, che spiega loro parecchi luoghi della Sacra Scrittura. Rimasti soli, si dichiarano a vicenda: «Non ci ardeva forse il cuore in petto mentre per istrada ci parlava e ci interpretava le Scritture?» (Luc. XXIV, 32). Quella parola accendeva i loro cuori, perché chi parlava era Gesù. La parola di Dio avvince i cuori con le sublimi verità che rivela, e gli infiamma a compiere con entusiasmo i più grandi sacrifici, con l’assicurazione che non mancherà mai l’aiuto della grazia divina. La fede parla di Dio e dei suoi attributi. Credere che Dio è santo, e illudersi che non abbiano a dispiacergli i peccati, è cosa impossibile. Credere che è sapientissimo, e lusingarsi che gli sfuggano le azioni degli uomini, è inconciliabile. Credere che è giusto, e aspettarsi che non punisca le colpe e non premi la virtù è pretesa assurda. L’uomo che crede con fede viva nella parola di Dio, cerca di conformare a essa la propria vita, e con la grazia che viene da Dio, vi riesce. « I precetti di lui non sono gravosi, — dice l’Evangelista — perché tutto ciò che viene da Dio vince il mondo » (I Giov. V, 3-4). I beni che ci offre il mondo perdono ogni attrattiva quando consideriamo seriamente l’ammonimento di Gesù Cristo: « Che giova mai all’uomo guadagnar tutto il mondo se poi perde l’anima? » (Matt. XVI, 26). Nessuno potrà mai arrivare a contare il numero di coloro, che, meditando questa massima della nostra fede, si son guardati dal commettere ingiustizie a danno degli altri, hanno moderato il loro desiderio di possedere, hanno, magari, rinunciato alle ricchezze, ottenendo una vittoria completa sulla cupidigia dei beni di questa terra, « radice di tutti i mali » (I Tim. VI, 10). Contro chi possiede una fede viva perdono la loro forza anche le minacce del mondo. «Non temete — leggiamo nel Vangelo — coloro che uccidono il corpo e non possono uccider l’anima; temete piuttosto chi può mandare in perdizione all’inferno e l’anima e il corpo» (Matt. X, 28). Queste parole, ricordate nel tempo della prova, producono i forti, che disprezzano qualunque tormento, piuttosto che venir meno alla voce della coscienza. E fanno sorgere i martiri che accettano la morte più straziante, ma non si stancano di dare a Dio l’onore e l’omaggio che gli si deve. « L’operaio è degno della sua mercede » (I Tim. V, 18.). E la fede ci dice che chi lavora nel combattimento contro il mondo avrà la sua mercede. Una gloria, in confronto della quale « le sofferenze del tempo presente non hanno proporzione (Rom. VIII, 18). In vista di questa gloria, chi non è spinto a combattere costantemente il mondo fino alla vittoria, dicendo col Poverello d’Assisi: « Tanto è il bene che m’aspetto che ogni pena mi è diletto »?

2.

E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. La testimonianza dello Spirito Santo esclude ogni dubbio, perché è proprio di Lui il dire la verità. E quanto c’insegna la fede è appunto testimonianza dello Spirito Santo. Felice l’uomo che ha la fede, perché egli trova la luce vera fra le tenebre che coprono la faccia della terra. Ci sono delle verità che anche l’intelletto dell’uomo può scoprire: come, l’esistenza di Dio, la sua unità, la sua provvidenza, la spiritualità e immortalità dell’anima, la distinzione tra il bene e il male ecc. Abbandonato però l’uomo alla sola ragione, non può venire alla conoscenza di queste verità e alle conseguenze che ne derivano, senza molta riflessione e ragionamento. Ma la gran massa degli uomini non è portata al ragionamento. Basa le sue convinzioni non sul ragionamento, ma sulla fede. E anche coloro che, dotati di ingegno superiore agli altri, cercano di penetrare le verità naturali, non sempre arrivano a conoscerle come si deve; e, frequentemente, arrivano a conclusioni diverse. Che dire poi se c’entrano le passioni? Quanti errori intorno a Dio e ad altre verità fondamentali, anche tra i popoli più colti, come quelli della Grecia e di Roma! Se conobbero Dio, non ne conobbero bene né la natura né gli attribuiti. Si formarono molti dei, e si crearono degli idoli. Se conobbero Dio non gli prestarono il culto dovuto. Accecati dalla loro superbia, e seguendo le inclinazioni della corrotta natura, precipitarono in errori d’ogni sorta. « S’invanirono nei loro ragionamenti, e fu avvolto di tenebre il loro stolto cuore. Dicendo di essere sapienti divennero stolti, e scambiarono la gloria del Dio incorruttibile con un’immagine, rappresentante l’uomo corruttibile e uccelli e quadrupedi e rettili » (Rom. I, 21-23). Questa constatazione che l’Apostolo fa parlando del mondo greco-romano, ci dice di quanta importanza può essere la rivelazione, anche rispetto a quelle verità, che l’intelletto umano può conoscere da sé. Io mi avvio lungo una strada maestra, al valico d’una catena di monti. Ma le ore passano e il valico è ancor lontano. Quel continuo serpeggiar della strada comincia ad annoiarmi; il continuo salire, per quanto lento, mi fa sudare e mi stanca. Sarei ben felice se una veloce vettura si fermasse al mio fianco, e io fossi invitato a salirvi. In brevissimo tempo, senza sudore e logorio di forze, arriverei alla meta. La fede, anche nel campo delle verità naturali, mi porta con prontezza, senza fatica, là dove con le sole forze della ragione non si potrebbe arrivare che tardi, a stento, e non sempre felicemente. Se poi veniamo a parlare delle verità soprannaturali, come sono i misteri della nostra Religione, sarebbe da insensati pretendere di conoscerle con le forze della nostra ragione. «Non può esserci alcun dubbio che nella cognizione delle cose divine dobbiamo usare dell’insegnamento divino » (S. Ilario: De Trinitate L. 4, 14.). Noi che non conosciamo bene questa terra sulla quale siamo nati, abitiamo, ci nutriamo; che non siamo capaci di contare le arene del mare, né le gocce dell’oceano, né i giorni del mondo, non possiamo pretendere di arrivare con la nostra ragione a penetrare la profondità di Dio, a comprender cose che sono tanto al di sopra di noi, senza esservi guidati dal lume della fede.

3.

Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore. S. Giovanni intende parlare della testimonianza, che le tre Persone della SS. Trinità hanno fatto della divinità di Gesù Cristo; e si può applicare, in generale, a qualsiasi verità da Dio rivelata. Si dice: Chi crede facilmente, è facilmente ingannato. D’accordo; ma quando si crede con la testa nel sacco. Se io credo facilmente a un uomo che è degno di fede, non mi passa neppur per la mente il dubbio di essere ingannato. E questa mia sicurezza non è affatto irragionevole. « L’autorità — osserva S. Agostino — non è destituita di ragione quando si osserva a chi si presta fede » (De Vera Relig. c. 24, 45). È quello che possiamo constatare continuamente. In fatto di scienza, di arte, di cognizioni in genere, noi ci affidiamo alla autorità degli altri, e nessuno per questo ci accusa di essere irragionevoli. Gli ammalati credono alla parola del medico, perché sono persuasi che egli, che ha studio e pratica in proposito, conosce la malattia e i rimedi, e non vuole ingannarli. Gli scolari credono al maestro che ha l’ufficio e l’obbligo di insegnar loro la verità. Lo studioso di geografia conosce il nome dei continenti e dei vari Stati, in cui si dividono, e molto probabilmente in questi luoghi egli non è mai stato. Conosce l’altezza e l’estensione delle più importanti catene di monti, e forse non le ha mai valicate, né viste da lontano. Sa quali sono i fiumi principali, vi dice dove hanno la sorgente e dove la foce, vi annuncia esattamente la lunghezza del loro percorso; eppure non li ha mai visti né misurati. Egli crede a coloro che si occupano di questa materia. Si conoscono tanti fatti della storia antica e moderna; si precisa il tempo e il luogo dove avvennero, il nome delle persone che vi presero parte; eppure questa conoscenza non è diretta. Si crede alla parola di chi ne fu testimonio o agli scrittori che narrarono gli avvenimenti. Se è ragionevole che si creda alla testimonianza dei maestri e degli scrittori, perché li stimiamo seri e degni di fede, è molto più ragionevole che si creda alla testimonianza di Dio il quale, dopo aver parlato ai nostri padri per mezzo dei Profeti, « parlò a noi per mezzo del suo Figliuolo » (Ebr. 1, 2). Sarebbe inesplicabile credere agli uomini, che possono andar soggetti a errori, e non credere a Dio, che non può né errare, né ingannare. « Egli sa tutto lo scibile… annunzia le cose passate e quelle che accadranno, e segue la traccia di quelle occulte » (Eccl. XLII: 19). Se si considera l’indiscussa autorità di Dio, bisogna conchiudere con S. Gregorio Nazianzeno: « Per noi la fede è la perfezione del ragionare » (Or. theol. 3, 21). In fondo, noi rendiamo omaggio all’uomo, quando, sulla sua autorità, crediamo quanto egli dice. E credendo alla parola di Dio, gli rendiamo l’omaggio che ogni uomo è tenuto a rendergli. Per richiamare il popolo d’Israele, ritornato dalla schiavitù, a una vita più fervorosa, il Sacerdote Esdra legge il volume che contiene la parola di Dio. Egli legge in una piazza di Gerusalemme dall’alto di una tribuna. Appena apre il libro tutto il popolo si alza in piedi in segno di rispetto alla parola del Signore, e in piedi e in silenzio ascolta la lunga lettura (2 Esdrea VIII, 2-7). Piace certamente al Signore questo omaggio esterno reso alla sua parola, ma indubbiamente gli piace di più l’omaggio interno, l’omaggio della intelligenza, che gli si rende quando si crede fermamente alle verità da Lui rivelate.

Alleluja

Alleluia, alleluia – Matt XXVIII: 7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – 

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXII

“In quel tempo giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, ed essendo chiuso le porte, dove erano congregati i discepoli per paura de’ Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come mandò me il Padre, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi al venire di Gesù. Gli dissero però gli altri discepoli: Abbiam veduto il Signore. Ma egli disse loro: se non veggo nello mani di lui la fessura de’ chiodi, e non metto il mio dito nel luogo de’ chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pose in mezzo, o disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso: Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Rispose Tommaso, e dissegli: Signor mio, o Dio mio. Gli disse Gesù: Perché  hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro che non hanno veduto, e hanno creduto. Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de’ suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù ò il Cristo Figliuolo di Dio, ed affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui” (Jov. XX, 19-31).

Il Vangelo di questa domenica ci trasporta col pensiero nel Santo cenacolo e ci fa assistere a due importanti apparizioni, fatte da Gesù Cristo ai suoi Apostoli dopo la sua Risurrezione. E in una di esse ci mostra il divin Redentore confermare la missione di coloro che aveva scelti per la predicazione del suo santo Vangelo, e soprattutto affidare loro la podestà ammirabile della remissione dei peccati coll’istituzione solenne del Sacramento della Penitenza. Nella seconda apparizione ci pone innanzi l’amabilissimo Gesù, che rimproverando l’Apostolo S. Tommaso, la prima volta assente, della sua incredulità, fa a lui toccare col dito le sue piaghe e il suo costato aperto, e a tutti fa intendere come siano beati coloro, che credono alle verità della fede, benché non le veggano coi loro occhi materiali e non le comprendano con la loro ragione. Procuriamo pertanto a nostro ammaestramento di penetrare un po’ più a fondo queste verità così importanti.

1. È verità di fede che nella Chiesa vi è la facoltà di rimettere i peccati, e tutti i Cristiani del mondo, non esclusi gli eretici e gli scismatici, recitando il Simbolo degli Apostoli dicono: Credo la remissione dei peccati. Questa remissione o perdono dei peccati si fa per mezzo dei Sacramenti stabiliti da Gesù Cristo, dei quali uno de’ più necessari è appunto il Sacramento della Penitenza. Per mezzo di questo Sacramento ogni volta che una persona, avendo commesso peccati dopo il Battesimo, li confessa, ossia li dichiara ad un Sacerdote legittimo, con pentimento di averli commessi, concepito per motivi di fede, e con proposito di non più commetterli in avvenire, Iddio, per le parole dell’assoluzione dette dal Sacerdote, glieli perdona dal Cielo, le rimette la pena eterna, restituisce i beni perduti, la grazia e l’amicizia sua, le riconsegna il diritto al Regno celeste, se il peccato era mortale, le rende l’anima vieppiù bella e cara agli occhi suoi, e la fa meritevole di un aumento di gloria in Paradiso. Ora, che vi sia nei Sacerdoti cattolici questa facoltà di rimettere i peccati a chi li confessa con le dovute disposizioni, o non potendo, ha tuttavia il desiderio di confessarli, è verità che risulta evidente dal primo tratto del Vangelo di questa mattina. In quel tempo, esso ci dice, giunta la sera di quel giorno, il primo della settimana, (e lo stesso, che quello della sua Risurrezione) essendo chiuse le porte, dove erano congregati i discepoli per paura dei Giudei, venne Gesù, e si stette in mezzo, e disse loro: Pace a voi. E detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. Si rallegrarono pertanto i discepoli al vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi: come il Padre mandò me, anch’io mando voi. E detto questo, soffiò sopra di essi, e disse: Ricevete lo Spirito Santo: saran rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete. Poteva pertanto nostro Signore istituire in un modo più solenne e con termini più chiari il Sacramento delle sue misericordie? Ma qui è d’uopo osservare che con le citate parole Nostro Signor Gesù Cristo dà agli Apostoli un doppio potere, il potere cioè di rimettere e di ritenere, di perdonare e di non perdonare, di assolvere e di non assolvere. Quindi ne viene per legittima conseguenza l’obbligo imposto ai peccatori di confessare, ossia di manifestare le loro colpe, affinché il Sacerdote o confessore possa sapere quale delle due facoltà debba usare, se debba cioè pronunziare una sentenza di assoluzione, oppure di condanna. Al Sacerdote non è permesso di rimettere o non rimettere i peccati a capriccio, ma deve ciò fare con tutta ragionevolezza, come ministro di Dio e fedele dispensatore de’ suoi doni. Il confessore deve fare come un giudice, che condanna od assolve, ingiunge una pena grave o leggiera o non ne ingiunge alcuna, secondo che il reo dal processo risulta più o meno colpevole, oppure innocente. Né ciò egli può fare, se il reo o penitente medesimo non gli svela le proprie colpe. Le parole adunque, con le quali Gesù Cristo ha istituito il Sacramento della penitenza, sono pur quelle, con cui implicitamente ha istituita ed ordinata la Confessione propriamente detta, ossia manifestazione delle colpe al confessore. Ora chi non sa quanti Cristiani e quanti giovani sciagurati, i quali amando vivere in peccato, epperò rifuggendo del continuo dal Sacramento della Penitenza, per scusarsi della loro perversità vanno dicendo e ridicendo, insieme coi protestanti, che la Confessione è una invenzione degli uomini, dei Sacerdoti, e non è opera di Dio? Insensati ed infelici che essi sono! Insensati anzitutto, perché come mai dinnanzi a questa pagina di Vangelo, osano essi negare la Divina istituzione di questo Sacramento della Penitenza e della conseguente confessione delle proprie colpe ai Sacerdoti, successori agli Apostoli? Inoltre infelici, perché rigettando questo Sacramento non si privano forse di uno dei più grandi benefici di nostra santa fede? Noi pertanto guardiamoci bene dal dubitare di questa gran verità. E se alle volte ci assalisse intorno ad essa qualche dubbio, ricerchiamo tosto le sue origini; ed allora riconoscendo che un tal dubbio non nascerebbe d’altronde che dalla malvagità della vita, e dall’orribile brama di peccare senza freno, nel discoprire origini per lo meno così sospette, raffermiamoci mai sempre nel credere che la Confessione non è, non può essere opera degli uomini, ma che è veramente opera di Dio.

2. Prosegue il Santo Vangelo notando come a questa prima apparizione di Gesù a tutti gli Apostoli Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non si trovò con essi. Però gli altri discepoli gli dissero: Abbiam veduto il Signore. Ma egli rispose loro: Se non veggo nelle mani di lui la fessura dei chiodi, e non metto il mio dito nel luogo di essi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Così questo Apostolo si rifiutò di credere alla testimonianza di tutti gli altri Apostoli. E non pare inesplicabile questa sua incredulità? Tuttavia è assai più inesplicabile la incredulità di certi Cristiani e di certi giovani, i quali, col non voler credere alle verità della fede od anche solo col dubitarne, si rifiutano in realtà di credere non agli uomini, ma a Dio stesso. Ed in vero, poiché la nostra Religione è soprannaturale e divina, contiene perciò certe verità così sublimi e così misteriose, che nella vita presente non è dato all’uomo di comprenderne altro che una piccolissima parte. Il che tuttavia non ci dovrebbe meravigliare, poiché negli stessi oggetti materiali, che cadono sotto i nostri occhi, come le erbe, le piante, il fuoco, la struttura del corpo umano, scorgiamo molte cose di cui conosciamo bensì l’esistenza, ma delle quali non sappiamo darci ragione che in modo assai imperfetto. Onde se siamo costretti di ammettere segreti nelle cose materiali, che cadono sotto ai sensi, assai più dobbiamo ammetterli nelle cose spirituali. Con tutto ciò l’atto con cui l’uomo piega la sua volontà a credere, atto che chiamasi fede, è basato forse sopra un’autorità fallibile ed ingannatrice? Tutt’altro. Questa fede non è appoggiata sopra l’autorità degli uomini, che possono cadere in errore, ma sopra la parola di Dio, che è eterna, immutabile e che non può mai variare in cosa alcuna. Perciò a chiunque ci interrogasse del perché crediamo ai misteri di nostra santa Religione potremmo dare la risposta, che un bambino Cristiano diede ad un tiranno persecutore. S. Romano quando era condotto al martirio, vedendo la durezza del tiranno Asclepiade, volle provare di ammonirlo con un miracolo. Voltosi ad Asclepiade, gli disse: Se non credi a me, interroga quel bambino che tu vedi tra le braccia di sua madre, e dalla sua innocente bocca udrai confermato quanto ti ho predicato e ti predico intorno alla mia Religione. Il prefetto rimirò il bambino e persuaso che per l’età sua fosse incapace di articolare parola, dissegli per ischerzo: Sai tu dirmi chi sia il Cristo che i Cristiani adorano! Allora il bimbo snodò la lingua e alzando francamente la voce, forte gridò: Gesù Cristo, adorato dai Cristiani, è il vero Dio. – Chi ti disse questo? ripigliò Asclepiade. – L’altro replicò: Lo disse mia madre, la Chiesa. E chi lo disse a tua madre? ripigliò il prefetto meravigliato. – A mia madre lo disse Iddio. Ecco, alla nostra madre, la Chiesa, è Iddio stesso che ha rivelate le verità che la Chiesa ci propone a credere, sicché credendo alla Chiesa, noi crediamo a Dio stesso. Or bene, quale atto più grande, più nobile, e più doveroso ad un tempo noi possiamo fare, che credere a Dio? Eppure vi hanno tra gli uomini, di coloro i quali nel credere, che essi fanno, a tante cose, stanno a quel che ne dicono gli uomini e si fidano interamente della loro testimonianza, e poi non vogliono credere alle verità che Iddio medesimo ci ha insegnato e non si fidano della più splendida testimonianza che Egli stesso ha reso alle verità di ciò che si è degnato di insegnarci, e gridano: I dogmi della fede Cattolica, che vanno predicando il Papa, i Vescovi e i preti sono tutte storie, tutte favole. E perché? Perché appunto nelle verità, che loro vengono proposte a credere dalla fede cattolica, vi hanno cose che non possono vedere coi loro occhi materiali e neppure con quelli della loro ragione. E non è questo il massimo dell’orgoglio? Dal momento che le verità a cui bisogna credere sono state da Dio stesso rivelate, perché rifiutarsi di credere ed insultare ancora a coloro che credono? Ah! essi dicono che non vogliono per tal modo fare il sacrificio della loro dignità e della loro libertà! Graziosi davvero! Costoro, i quali per non avvilirsi e per non perdere la libertà non vogliono credere a Dio, si abbassano poi e si rendono miserabili schiavi di un uomo, di un romanzo e di un giornale. Perché, domandate pure a tutti cotesti liberi pensatori come la pensano, ed essi, se vogliono rispondervi il vero, vi dovranno confessare che la pensano come il loro maestro, come il romanzo, come il giornale che leggono: a questi essi credono ciecamente senza esibizione di prova e ci credono solo perché il maestro, il romanzo ed il giornale non sono di spirito Cristiano Cattolico. E si vantano liberi pensatori? Né liberi, né pensatori. Essi, come bambini contraddetti, battono i piedi per terra gridando: siamo liberi, siamo liberi: Ah! Ah! è il colmo della schiavitù. Del resto sapete che cosa vuol propriamente dire quel: « Non vogliamo credere se non quello che vediamo?» Vuol dire precisamente: «Non vogliamo fare quello che le verità, alle quali dovremmo credere, ci impongono di fare ». Le verità cattoliche non sono soltanto verità speculative, ma sono essenzialmente pratiche; non si impongono solamente all’intelligenza, ma eziandio alla volontà, affinché si applichi al bene e detesti il male. Ed è ciò appunto che non vogliono fare quei che si professano liberi pensatori. Il famoso calvinista Teodoro Beza dal dolcissimo S. Francesco di Sales convinto della verità ed invitato ad abbracciarla, rispondeva: Non posso. Ma il suo non posso non era altro che un non voglio abbandonare la donna, con la quale era malamente unito. Credetemi: Se questa innocentissima verità « due più due fanno quattro » domani avesse il potere di colpire le passioni dell’uomo, l’orgoglio, l’impudicizia, l’amor del danaro ed obbligare l’uomo a vivere dabbene, io vi assicuro che tutti costoro, che si rifiutano di credere alle verità cattoliche, salterebbero su a gridare: Come? due più due fanno quattro? È impossibile! È un assurdo! Sono i preti, che l’hanno inventato. È una nuova tirannide. Ma ritorniamo al Santo Vangelo.

3. Otto giorni dopo (la sovraddetta apparizione), di nuovo erano i discepoli in casa, e Tommaso con essi. Viene Gesù, essendo chiuse le porte, e si pone in mezzo, e disse loro: Pace a voi. Quindi dice a Tommaso : Metti qua il dito, e osserva le mani mie, e accosta la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma fedele. Tommaso rispose, e dissegli: Signor mio, e Dio mio. E Gesù soggiunse: Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto, e hanno creduto. Così racconta il santo Vangelo avere operato Gesù con Tommaso incredulo. Conchiude poi dicendo: Vi sono anche molti altri segni fatti da Gesù in presenza de1 suoi discepoli, che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati registrati, affinché crediate che Gesù è il Cristo Figliuolo di Dio, e affinché credendo otteniate la vita nel nome di Lui. Dal che oh! quanto chiaramente si rileva l’importanza della fede! La si rileva anzi tutto dalla condotta di Gesù Cristo con S.Tommaso. Imperciocché, come nota S. Gregorio, non fu a caso l’incredulità di questo Apostolo. Iddio nella sua provvidenza e bontà la permise, affinché dubitando egli, mentre nel suo Maestro toccava le ferite della carne, sanasse in noi le ferite della incredulità nostra. Sicché a noi riuscì di maggior vantaggio l’incredulità di Tommaso, che la fede degli altri Apostoli credenti; perché mentre quegli fu indotto a credere col toccare, la mente nostra, lasciato ogni dubbio, vien rassodata nella fede. La si rileva in secondo luogo dalle parole dette da Gesù Cristo allo stesso S. Tommaso: Perché hai veduto, hai creduto; ma beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto. E finalmente dalla conclusione, che qui fa l’Evangelista S. Giovanni: Questi miracoli sono qui registrati, perché crediate. Riconoscendo adunque l’importanza di questa virtù, raffermiamoci mai sempre in essa. Sì, crediamo, e crediamo fermamente. Non ammettiamo mai nella nostra mente esitazioni, incertezze, dubbi di sorta. E se talvolta ne siamo all’improvviso sorpresi, cacciamoli tosto, disprezziamoli, non diamo loro importanza, dicendo tosto a noi medesimi: Come vorresti dubitare di ciò che hanno creduto tanti dotti, tanti scienziati, tanti Santi? di ciò che tutti i Dottori e tanti Padri della Chiesa hanno minutamente studiato, esaminato, discusso e trovato vero? di ciò che diciotto milioni di martiri hanno confessato col loro sangue, versato fra i più atroci tormenti? Che tutti costoro si siano ingannati? Che tu, tu la pensi giusta? Ah! Ah! Follia! Signore, credo, fermamente credo, a tutte le verità che vi siete degnato di rivelarci e che per mezzo della Santa Chiesa ci insegnate: Credo, Domine; adiuva incredulitatem meam (Marc. IX, 23). Inoltre crediamo interamente, vale a dire senza escludere alcuna delle verità che la Chiesa ci propone a credere. Tutte le verità della fede sono da Dio rivelate; quindi chi nega di credere un solo articolo di fede nega pur sempre di credere a Dio medesimo. Inoltre gli articoli di fede sono tutti legati insieme e formano una catena che lega la ragione con la rivelazione, e vengono a costituire una scala, per cui l’uomo monta fino a Dio. Ma rotto un anello della catena o spezzato un gradino di questa scala è rotta ogni relazione con Dio. Che varrebbe adunque dire di credere alla Chiesa, al Papa che è il Vicario di Gesù Cristo, se poi se ne disprezzassero gli insegnamenti? Parliamo chiaro: o tutti gli articoli di nostra fede o nessuno; perché il negarne un solo è negarli tutti. Pertanto, o miei cari, abborrite dalla compagnia di coloro, i quali, sebbene si professino Cristiani, tuttavia vanno dicendo di non poter credere o al Purgatorio, o alla grandezza e santità di Maria Vergine, od all’infallibilità del Sommo Pontefice. Tutti costoro non sono veri Cristiani, ma purtroppo eretici e scismatici, perché professano non già la fede di Gesù Cristo, ma l’errore, e sono perciò membri staccati dalla vera Chiesa. Finalmente la nostra fede sia congiunta con le opere. Gesù Cristo lo ha detto chiaro: Non tutti quelli che dicono: « Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma tutti quelli che faranno la volontà del mio divin Padre », vale a dire tutti coloro che accompagneranno la loro fede in Dio con le buone opere nell’osservanza della sua santa legge. E S. Giacomo ha soggiunto che la fede senza delle opere è morta. Quindi S. Gregorio conchiudendo il suo commento al fatto dell’odierno Vangelo, ben giustamente dice: Oh quanto ci rallegra la sentenza di Gesù Cristo: Beati qui non viderunt et crediderunt: beati quelli che non videro e pur credettero; perciocché in questa sentenza veniamo indicati noi, che, pur non vedendo con gli occhi della nostra carne, crediamo con quelli della nostra mente. Ma veniamo indicati noi, se alla fede nostra facciamo tener dietro le opere. Perciocché colui veramente crede, che esercita con le opere quel che crede. Facciamo adunque, o carissimi, di meritarci con esattezza l’elogio che Gesù Cristo, risorto, ha fatto oggi dei veri credenti, col credere fermamente, interamente ed operosamente, ed allora un giorno, oltre all’elogio della fede nostra, avremo anche il premio.

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ.

[Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Communio

[Joannes XX: 27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja.

[Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

 Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

LO SCUDO DELLA FEDE (58)

LO SCUDO DELLA FEDE (58)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO IX.

IL PROTESTANTISMO SI CONVINCE FALSO DA CIÒ CHE NON HA SANTITÀ NÉ MIRACOLI.

Nella Chiesa vera di Gesù Cristo vi deve essere la Santità. Ora questa è solamente tra i Cattolici, non tra i Protestanti: dunque la vera Chiesa è solo con noi. Noi non vogliamo dire con ciò, che tutti i Cattolici siano Santi, perché anzi Gesù Cristo ci avvertì che vi sarebbero stati dei peccatori e perciò lasciò stabiliti i Santi Sacramenti per la loro conversione e giustificazione: vogliamo dire solamente che la vera Religione ha da essere tanto buona, tanto santa, tanto pura che chiunque l’osservi com’è prescritta, possa diventare santo; e che però molti divengano veramente tali con l’aiuto divino e che mostrino anche coi fatti e perfino coi miracoli la loro Santità. Ora tutto questo è pienamente verificato nella Chiesa Cattolica. Dite: se uno osservasse veramente tutto quello che la S. Chiesa ci prescrive, sarebbe egli santo o no? Se osservasse tutti i comandamenti divini, tatti i precetti, tutte le leggi che essa ci presenta, sesi valesse di tutti i mezzi che offre nella preghiera e nei sacramenti, sarebbe egli Santo? Ci presenta mai nessuna cosa che sia cattiva? Dio buono! Neppure l’ombra. Tutto al contrario ci ha sempre allontanati dal male coi consigli, con gli esempi, con le minacce, con le promesse, e perfino coi castighi materni: ci ha sempre inculcate tutte le virtù, la pazienza, la mansuetudine, l’umiltà, la carità, la temperanza, la purezza, la fuga dai pericoli come sapete. Oh quanto dunque è pura tutta la legge Cattolica; Ed infatti con tutti questi Divini insegnamenti, quanti gran Santi non ha formati! – Così le volessero tutti dare retta. Come perverrebbero alla più eroica Santità! Intanto però chi non ammira il coraggio che essa seppe ispirare a tante persone le quali erano deboli come noi, eppure nella Santa Chiesa seppero praticare le virtù più sublimi fino a diventare gran Santi? In ogni secolo sono tanti e così ammirandi che il raccoglierne solo i nomi è opera di molti volumi. Questi seppero praticare la penitenza più rigida in mezzo alla più rara innocenza sin nelle Corti. come gli Enrichi, i Ferdinandi, i Ludovichi, le Cunegonde, le Clotildi; quelli seppero perdonare ai loro nemici e beneficarli in ogni maniera, come S. Giovan Gualberto. S. Ignazio, S. Francesco di Sales, S. Alfonso di Liguori. Altri si posero con un coraggio al tutto celeste a divorare fatiche sterminate per benefizio del prossimo, come S. Antonio di Padova, S. Bernardino da Siena, S. Francesco Saverio, S. Francesco Regis, S. Vincenzo de’ Paoli. Altri vissero nell’umana carne puri come gli Angeli del cielo, come S. LuigiGonzaga, S. Stanislao, S. Teresa, S. Caterina, sino alla B. Marianna di Gesù beatificata ai dì nostri. Io non finirei mai se volessi porre sott’occhio tutte le belle ed eroiche virtù che risplendettero in tuttii tempi sino alla nostra età nella Santa Chiesa: bastivi il sapere che sono uomini e donne di tutte le età, di tutti gli stati, di tutti i paesi, ed in tanto numero, che non si regge a formarne i processi. Ma più: anche il dono dei miracoli hanno avuto molti di loro, e questo èun privilegio innegabile e ed una conferma della nostra fede. Gesù Cristo ha promesso che quelli che avessero avuto fede in Lui, avrebbero fatti prodigi e miracoli strepitosi, come aveva fatto Egli stesso, ed anche maggiori (Giov. XIV, 12). Ora domandate un poco a tutti i Protestanti, da trecento anni che sono al mondo, se mai uno di loro ha fatto il minimo miracolo, se ha, non dico risuscitato un morto, ma risanata una piccola febbre? Tutti sonocostretti a dirvi di no. Ma la S. Chiesa Cattolica ne ha avuti una bella serie e costantissima anche in questi tre secoli. I Protestanti che non possono vantarne, si ostinano a negare che noi abbiamo avuti dei veri miracoli: ma questa loro ostinazione valse solamente a metterli in maggiore splendore. Il solo S. Francesco Saverio ne ha fatti tanti e così solenni e così illustri, alla presenza di tante persone che non si sono potuti negare neppure dagli Eretici Olandesi. S. Filippo Neri ne riempì tutta la città di Roma. S. Luigi Gonzaga ne fece una moltitudine in tutta Italia. S. Isidoro buon contadino spagnolo, ne conta gran numero nelle Spagne. –  Molti di questi miracoli furono esaminati con processi diligentissimi, autenticati da testimoni d’ogni fatta, verificati dagli stessi Protestanti, e tanto sicuri che non si possono mettere in dubbio da niuno che abbia fiore d’intendimento. Ora perché fuori della Religione Cattolica non si trovano più  miracoli? Perché almeno qualcuna delle sette Protestanti non ne vanta? Se ne trovasse almeno uno in trecento anni! Eppure tant’è: noi soli abbiamo la verità. Non è questa una bella prova in favore della Cattolica Chiesa? – Eppure vi è molto da aggiungere, perché mentre la Chiesa Cattolica è santa nelle sue dottrine e nella sua legge, il Protestantismo è iniquo nell’una e nell’altra. Voi che sentite solamente quei tristi che vi si nascondono sotto la pelle di pastore e che fingono di parlarvi di Gesù e di carità fraterna e di fede, non vene accorgete facilmente: ma se sapeste le orribili dottrine che hanno ingegnate al mondo, ne avreste orrore. Io ve ne accennerò qualcuna, lasciando le più astruse,  perché sebbene sianole più inique, pure voi non le intendereste neppure. Insegnano questi ribaldi che Dio comanda agli nomini delle cose impossibili, e che non dà loro la grazia per eseguirle, e che poi li manda all’inferno perché non le hanno eseguite; il che è un’orrenda bestemmia perché fa Iddio crudele, ingiusto e tiranno; laddove Egli è Padre di misericordia e di bontà, che non comanda se non quello che è possibile a farsi col suo divino aiuto, che non ci lascia mai mancare. Insegnano che per salvarsi basta aver la fede e che non sono necessarie le buone opere, con che distruggono tutti i meriti degli uomini ed aprono la strada a commettere ogni iniquità. Giungono fino a dire (… turatevi pure gli orecchi a sentire queste bestemmie) che Dio è autore del male, che è Dio che ci dà la spinta a commettere il peccato: il che è lo stesso che trattare Dio, come se fosse uno scellerato. Insegnano ancora che è impossibile osservare i Divini comandamenti, il che è lo stesso che autenticare tutte le iniquità: che non si debbono manifestare i propri peccati al Confessore, il che toglie ogni freno al vizio. – Riprendono i voti che si fanno a Dio. di povertà, castità ed obbedienza, ed insegnano che non si hanno da osservare e così fanno gli uomini sacrileghi. Pretendono che l’uomo non meriti nulla con le sue buone opere, e così li rendono scioperati e distruggono la virtù: non vogliono saper nulla di digiuni, di mortificazione, di penitenza, e così fomentano tutti i vizi della carne ed accrescono le tentazioni. Disprezzano il culto e l’invocazione dei Santi, e così tolgono a loro l’onore, a noi il patrocinio. Non vogliono che si preghi pei morti, e così negano la Comunione dei Santi e ci rendono crudeli persino contro i poveri defunti. Vogliono che tutti prendano moglie per obbligo, e così vengono ad annientare l’esempio di Gesù  Cristo e di tanti Santi che per virtù sono stati celibi. Queste sono solo alcune delle orribili empietà che insegnano i maestri di questa bella religione che vogliono farvi abbracciare: e non basta questo solo a mostrarvi la sua falsità ed a mettervene orrore? Non vi aspettate poi da loro la Santità, non vi aspettate né Apostoli, né Martiri, né Confessori, né Vergini, né altri Santi, perché con queste orribili dottrine non è possibile la Santità. Mi direte che ciò non ostante vi sono dei Protestanti che non sono così cattivi, e che anzi danno qualche buon esempio, che fanno limosine, che vivono costumatamente, e che però non possono avere tutte quelle ree massime. Sì miei cari, questo è vero, ma state bene attenti alla risposta che io vi darò. Vi sonotra i Protestanti di quelli che avendo avuta una buona educazione ed essendo dotati di buon senso e di naturale onestà, vivono onestamente e fanno anche qualche buona opera: ma fanno ciò, perché rinunziano in molte cose alla loro Religione per vivere secondo la nostra. Se essi obbedissero ciecamente ai loro maestri sarebbero tanti scellerati, ed invece per bontà di cuore, per rettitudine naturale fanno quel che prescrive la Religione Cattolica, per questo se ne trovano anche tra loro degli esemplari. In una parola questa è la differenza in fatto di santità: noi quando osserviamo perfettamente la nostra legge siamo Santi: essi se la osservassero perfettamente sarebbero scellerati, e solo perché non osservano la loro, ma si accostano alla nostra diventano buoni. Il che mostra che noi possediamo fortunatamente il gran dono della Santità, il quale compete unicamente alla Religione di Gesù Cristo. – Non vi parlo poi della mancanza totale che hanno i Protestanti dei miracoli, perché essi stessi sono costretti a concedere che ne sono privi: il che vuol dire che mancano della più bella prova che Gesù Cristo diede al mondo, per conoscere quelli che gli appartengono. Non vi parlo neppure della bella impresa che fece Lutero, quando avendo posto un uomo in una bara perché sorgesse poi a sua richiesta, con grande sua confusione fu trovatoveramente morto quello che per denaro era concorso a quella sacrilega finzione. Piuttosto da tutto ciò torneremo a confermarci sempre più nell’amore della Santa Fede, e ci terremo sempre più stretti alla Chiesa Cattolica che sola ha il privilegio della vera Santità e dei miracoli.

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (Agg. 2)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

AGGIUNTA AL COMBATTIMENTO SPIRITUALE. (2)

Che abbia Iddio fatto per l’uomo, e con che animo, e che sarebbe per fargli, se fosse bisogno.

CAP. XXI.

Quello che Iddio abbia fatto all’uomo, e per l’uomo, si può vedere medicando la Creazione, e la Redenzione. L’animo poi, con cui l’abbia fatto, ed operato la sua salute, supera l’infinito. – Infinito è stato il prezzo del riscatto, ma l’animo è stato più perché avrebbe voluto patire più e più volte morire, se fosse strato bisogno. Se dunque al riscatto tu devi tutta te stessa infinite volte, in qual modo resti debitrice all’anima di Dio verso di te, che avanza e supera esso riscatto.

Che faccia Iddio ogni giorno per l’uomo.

CAP. XXII.

Non giorno, non è momento che  l’uomo non riceva da Dio nuovi benefizi, perché ogni giorno e momento Iddio lo crea, conservandolo nell’essere. Ogni momento Iddio lo serve con le sue creature col Cielo, con l’aria, con la terra, con il mare, e con quanto è in loro. Ogni giorno gli dà la sua grazia, chiamandolo dal male al bene, guardandolo che non pecchi, e peccando lo aiuta perché più non pecchi. L’aspetta, lo chiama a penitenza, e venendo a Lui più presto gli perdona, che non è Egli presto a volere il perdono. Ogni giorno gli manda il suo Figliuolo, con tutte le ricchezze de’ misteri della Croce, e glielo tiene presente nel Sacramento dell’Altare.

Questa bontà mostri Iddio aspettando e tollerando il peccatore.

CAP. XXIII.

Perché tu conosca quanto di bontà mostri Iddio, sostenendo il peccatore, considera prima che amando Iddio la virtù indicibilmente, cosi all’incontro odia infinitamente. Che bontà dunque mostra Iddio sostenendo il peccatore, che innanzi agli occhi della sua purità e Maestà commette molte scelleratezze, non una, due, o tre volte , ma più, e più? – Ben mi avvedo (può dire il peccatore) Signor mio, che quando io peccavo, tu mi dicevi al cuore: Staremo a vedere, chi di noi due la vincerà, Tu ad offendermi, ed Io a perdonarti. Questo punto ben meditato, credo accenderà, con la grazia di Dio, il cuore del peccatore, perché presto si converta a Dio. Che se non lo farà, ha da temere molto gli alti ed inscrutabili giudizi di Dio, dai quali sogliono uscire colpi di vendetta molto presti, tremendi, e senz’alcun rimedio.

Che sia per fare Iddio nell’altra vita, non solo a chi l’ha sempre servito, ma al peccatore convertito.

CAP. XXIV

Sono tali, e tanti i favori, e le felicità, che si ricevono da Dio nella celeste Patria, che qui non si possono immaginare, né si sanno desiderare chiaramente, e compiutamente. Chi arriverà mai ad intender bene che cosa sia sedere l’uomo alla mensa di Dio, ministrandoli Egli, e cibandolo della sua beatitudine? Chi  s’immaginerà che cosa sia l’entrata dell’anime beate nel gaudio del Signor suo? E chi comprenderà mai l’amore e la stima, che mostra Iddio ai suoi Cittadini di cui parla S. Tommaso nell’Op. 63. Deus omnìpotens singulis Angelis sanctisque animabus in tantum se subiicit, quasi sit servus emptisius singulorum, quilibet vero ipsorum sit Deus suus. – O Signore, o Signore, chi va spesso profondamente considerando le tue opere verso le creature, ti ritrova così inebriato d’amore, che pare che la tua beatitudine consista in amarle, in far loro bene, ed in cibarle di te stesso. O Signore, dacci questa suddetta considerazione, in tal modo che poi ti amiamo, ed amandoti, diventiamo te stesso per unione amorosa. O cuore umano, dove corri? Appresso l’ombra? Appresso il vento? Appresso il niente? Lasciando quello che è ogni cosa? L’Onnipotenza? La somma Sapienza? L’ineffabile Bontà? L’increata Bellezza? Il sommo Bene, ed il Pelago infinito di ogni perfezione? Egli ti corre appresso, chiamandoti con tanti cari gridi e nuovi benefizi, non che con gli antichi solamente. Sai, donde nasce un tanto tuo male? Perché non ori! Perché non mediti! Onde stando senza luce, e senza calore, non è meraviglia che non ti muovi dalle opere delle tenebre. – Entra, entra ormai, o anima, o Religioso tiepido, nella scuola della suddetta meditazione ed orazione, che in essa tu imparerai per prova, che il vero studio del Cristiano e del Religioso, è studiare di negare la propria volontà, perché faccia quella di Dio, odiare se stesso, perché ami Dio. E che tutti gli altri studi, senza questo (siano pur di tutte le scienze) non sono altro, che legna di presunzione e di superbia, e che quanto più illuminano l’intelletto, più accecano la volontà a rovina delle proprie anime, di chi l’acquista.

Del quinto soccorso della volontà umana.

CAP. XXV

L’Oblio di noi stessi è un soccorso necessario alla volontà nostra, perché senza quello non verrà mai il soccorso dell’Amore divino, Autore d’ogni bene. Il modo di conseguirlo è che prima si domandi a Dio, poi, che si vadano meditando i danni, che ha fatto, e fa tuttavia l’amor proprio all’uomo. Non è  stato danno, né in cielo né in terra, che non sia nato dall’amor proprio. Questo amor proprio, e di noi stessi, è di tanta malignità, che se l’entrata sua in cielo fosse possibile, di subito da celeste Gerusalemme, diventerebbe una Babilonia. Or si consideri, che fa questa dentro un petto umano, ed in questa vita presente. Togli l’amor proprio dal mondo, che di subito l’Inferno si serra. E chi sarà quegli tanto empio contro se stesso, che meditando l’essere, la qualità, e gli effetti dell’amor proprio, non se gli sdegni contro, e non l’odi?

In qual modo si possa conoscere l’amor proprio.

CAP. XXVI

Perché tu conosca, quanto sia  in te largo e s’estenda il regno dell’amor proprio, ricorri spesso a vedere con quale passioni dell’anima sia più spesso occupata la volontà tua, perché non la ritroverai sola. E ritrovandola che ama o desidera, o che sia allegra, o mesta; considera allora bene, se la cosa amata, o desiderata, sia delle virtù e secondo i precetti di Dio, e l’allegrezza parimente, o la tristezza, se sia di quelle cose, di cui Dio vuole che ci rallegriamo, o attristiamo; ovvero il tutto nasca dal Mondo e dagli attacchi delle creature, perché sta negoziando con le creature, non per necessità, e quanto ricerca il bisogno, e come vuole Iddio; e s’è cosi, è chiaro che l’amor proprio regna nella tua volontà, e muove il tutto. Ma se i negozi ed occupazioni della volontà sono intorno alle virtù e nelle cose che vuole Iddio, è più da considerarsi, s’ella a quei negozi è mossa dalla volontà di Dio, oppure da qualche sua compiacenza e capriccio, perché spesso accade, che alcuno mosso da un so che di capriccio e compiacenza, si dia a diverse opere buone, come alle orazioni e digiuni, alle comunioni e ad altre opere sante. La prova di questo è in due modi. L’uno è se la volontà tua non si da nelle occasioni a tutte le opere che sono buone indifferentemente. E l’altro è, se sopravvenendo gli impedimenti, si lamenta, inquieta e turba; ovvero, succedendo a voglia sua, si compiace di se stessa, e si diletta. Che se è mossa da Dio, oltre il suddetto, s’ha da considerare, dove ed a che fine indirizza essa più le opere sue. Perché se il fine è il puro compiacimento di Dio, va bene il negozio, ma non però in tal modo che l’uomo vi si possa assicurare, tanto è sottile, ed acceso nelle opere buone e negli atti di virtù, l’amore di noi stessi. Quando appare manifesta questa crudelissima bestia dell’amor proprio, devesi con ogni odio perseguitare a morte, e nelle cose piccole, non che nelle grandi solamente. Dell’occulto si deve sempre star sospetto. Onde umiliata, datti la mano nel petto, dopo qualunque opera buona, pregando Iddio che ti perdoni e guardi, dall’amore di te stessa. Sarà dunque bene, che a buon ora la mattina, rivolta tu al Signore, ti protesti, che il tuo pensiero è di non offenderlo mai, e particolarmente in quel giorno, ma di far sempre in ogni cosa la sua divina volontà, e questo per piacergli. Del che ne pregherai spesso Iddio, che ti soccorra sempre e tenga la mano sul capo, acciocché tu conosca, e faccia quanto a Lui piace, e come a Lui piace.

Del sesto soccorso.

CAP. XXVII

L’ascoltare la Messa, è il sesto soccorso della volontà dell’uomo, la Comunione ancora e la Confessione. Perché essendo la grazia di Dio necessario soccorso, e principale della nostra volontà, acciò si guardi dal  male, e faccia il bene, ne segue che tutto quello in cui si acquista aumento di grazia, sia soccorso dalla volontà. Perché tu adunque ascoltando le Messe acquisti aumento di grazia, l’ascolterai nel seguente modo. Nella prima parte (che in tre si divide la Messa) che si estende dall’introito infino all’Offertorio, studierai di accenderti di un desiderio grande, che siccome il Figliuolo di Dio dal Cielo venne e nacque al Mondo, perché in questa nostra terra si accendesse il fuoco del suo amore, così si degni di venire e nascere con la sua virtù nell’intimo del tuo cuore, ut ardeat, non pensando ad altro, che a piacergli in ogni occasione, mentre vivi e sempre. Quando poi dal Sacerdote si dicono le orazioni, col desiderio acceso, domanda anco tu, anima bisognoso, le stesse grazie. E cominciandosi a dire l’Epistola e l’Evangelo, domanda con la mente a Dio intelletto e virtù, perché intenda il senso loro, e l’osservi in tutto. – Nella seconda parte, la quale incomincia dall’Offertorio fino alla Comunione, toltati tutta da ogni attacco e pensiero delle creature, e di te stessa, offriti tutta a Dio, e ad ogni suo volere. – Ed alzandosi l’Ostia, e il calice consacrato, adoraci il vero Corpo, e Sangue di Cristo, con tutta la Divinità. Contemplando sotto quegli accidenti di pane, e di vino ascoso, rendigli amorose grazie, che ogni giorno si degni venire a noi con i frutti preziosi dell’albero della Croce sua, e con la stessa offerta, per gli stessi fini, ch’Egli fece di sé al celeste Padre, offrilo tu ancora all’istesso Padre. Poi comunicandosi sacramentalmente il Sacerdote, comunicati spiritualmente, aprendogli il cuore, con chiuderlo a tutte le creature, affine che esso Signore vi accenda il fuoco del suo amore. Nella terza ed ultima parte, insieme col Sacerdote, egli con la lingua, e tu con la mente, domanderai quanto nelle orazioni dopo la Comunione si domanda.

Della Comunione Sacramentale.

CAP. XXVIII

Poiché tu comunicandoti, riceva aumento grande di grazia, ci bisognano ottime disposizioni, le quali non potendole noi avere da noi, tali quali si convengono, si dirà con grande affetto la seguente Orazione. Conscientia nostras, quæsumus Domine, visitando purifica, ut veniens JESUS Christus Filius tuus, Dominus noster, cum omnibus Sanctis, paratam sibi in nobis inveniat mansionem. Qui tecum, etc. Ma per non mancare noi dalla nostra parte di far qualche cosa insieme con l’aiuto divino, la preparazione tua farà il considerare prima: a che fine Cristo istituì il Ss. Sacramento dell’Altare. E ritrovando, che fu, perché ci ricordassimo dell’amore che ci mostrò nei misteri della Croce, considera di più: A che fine vuole questa memoria. Ed essendo, a fine, perchè noi l’amassimo, ed ubbidissimo, ottima preparazione sarà la nostra, un desiderio e voglia accesa di amarlo, ed ubbidirlo, dolendoci che per lo passato non l’abbiamo amato, ma offeso. E con questo desiderio, e voglia accesa di amarlo, ci prepariamo infino al tempo della Comunione. In quello poi che sei per comunicarti, avvivando la fede, che sotto quegli accidenti di pane consacrato, sia il vero Agnello di Dio, che toglie i peccati, adoralo profondamente, e pregalo, che tolga dal tuo cuore ogni peccato occulto, con tutti gli altri, ricevilo con la speranza, che ti abbia a dare il suo amore. Ricevuto che l’avrai, ed introdotto nel tuo cuore, domandagli più e più volte il suo amore, ed ogni altro bisogno per piacergli. Dopo l’offrirai al Celeste Padre, per sacrificio di lode della sua immensa carità, che ci ha mostrata in questo beneficio, ed in tutti gli altri della Redenzione, e perchè ti dia il suo amore e per li bisogni dei  vivi, e dei morti.

Della Confessione Sacramentale.

CAP. XXIX

La Confessione, per esser fatta come si deve, ha bisogno di più cose. prima d’una buona ricercata di coscienza intorno ai precetti di Dio, ed allo stato tuo. E ritrovati i tuoi peccati, benché piccoli, piangili amaramente, considerando l’offesa della Maestà di Dio  e l’ingratitudine contro la sua bontà e carità, usata dall’uomo: onde vituperandoti, dirai contro te queste belle parole: Haccine reddis Domino, stulte, et insipiens? Nunquid non ipse est Pater tuus, qui possedit te, et fecit, et creavìt te? – E ripigliando più volte una voglia accesa, che non fosse stato offeso Dio, di’: Oh, che non fosse stato offeso il mio Creatore, il mio Padre Celeste, il mio Redentore, ed avessi io patito ogni altro male. – Poi rivolta à Dio, con erubescenza e fede, che ti abbia a perdonare, digli di tutto cuore: Pater, peccavi in cœlum, et coram te; jam non sum dìgnus vocari filius tuus; fac me sicut unum ex mercenariìs tuis. – E ripigliando di nuovo il dolore dell’offesa divina, con proponimento di voler piuttosto sopportare qualunque pena, che volontariamente offender Dio; confessa i tuoi peccati al Confessore con erubescenza e dolore, appunto come li hai fatti, senza scusarti, o accusar altri. Dopo la Confessione, rendi grazie a Dio, che contuttoché tanto e tante volte è offeso, non resta però, che Egli non sia più presto al perdonare, che il peccatore a ricevere il perdono. Dal che pigliando occasione di più dolerti d’aver offeso un sì benigno Padre, con più piena volontà proponi di non volere più offenderlo con l’aiuto suo, e di MARIA Vergine, e dell’Angelo Custode, e d’altro particolare tuo devoto Santo e Protettore.

Come s’abbia a vincere la passione disonesta.

CAP. XXX.

Tutte le altre passioni si vincono affrontandole, e combattendole, benché si ricevano delle ferite, e col richiamarle ancor a battaglia, insino a tanto, che si superino in ogni voglia loro, e grande e piccola. Ma questa passione disonesta non solo non bisogna eccitarla, ma allontanarla da tutte quelle cose che la potessero eccitare. Vincesi dunque la tentazione della carne, e si mortifica la passione disonesta, fuggendo, e non combattendo da fronte a fronte. Chi dunque più presto fugge, e più lontano, più sicuramente vince.  – I buoni abiti, la volontà sincera, le prove passate e le vittorie, le parentele, e gli oggetti di poca e brutta apparenza, che non minacciano pericolo, e qualsivoglia altra cosa, che paia promessa di sicurtà, non sono buoni argomenti, perchè tu non debba fuggire.  Fuggite, fuggi, se non vuoi esser presa, anima diletta. Che se vi sono delle persone, che praticando con persone pericolosissime tutta la vita loro, non siano cadute, questo non tocca a te, ma ai giudizi di Dio: oltre che, ove alle volte non si vedono le cadute, ivi si sta più per terra. Fuggi tu, ed ubbidisci agli  avvisi, ed esempi, che Iddio ti dà nella Scrittura, e nella vita di tanti gran Santi, ed ogni giorno in questo, ed in quello. Fuggi, fuggi, lenza volgerti indietro a vedere, o pensare da che oggetto tu sii fuggita, che anche in questo è il pericolo, che non ritorni addietro. E bisognando praticare, sia corta e presta la tua pratica, ed abbia piuttosto del rustico il trattare, che del gentile, che anche qui sta il rischio, la fiamma ed il fuoco. – Qui va bene quell’avviso: Ante languorem adhibe medicinam. Non aspettare, che t’infermi, ma fuggi a buon’ora, che quella è la medicina di salute. E venendoti per disgrazia l’infermità, tutta la salute sta che nell’istesso momento, che si sente: Tu teneas, et allidas parvulos tuos ad petram; correndo al Confessore, senza nascondergli un peccatuccio veniale di questa passione, perché questo nascosto, germoglia più, e si fa grande.

Da tante cose s’ha da fuggire, perché non si cada nel vizio disonesto.

CAP. XXXI

La fuga, perché non si diano le ali al ischio della passione dell’amore disonesto, ha da essere da molte cose. La prima, e principale è delle persone, che minacciano evidente pericolo. La seconda, anco dalle altre, quando si può. La terza, dalle visite, dalle ambasciate, dai presenti, ed amicizie, benché larghe, perché le cose larghe, si possono fare strette più facilmente che non le strette larghe. La quarta dai ragionamenti dì tal passione, dalle musiche e canzoni, e libri di poco buoni costumi. La quinta fuga, da pochi conosciuta ed avvertita, e meno praticata, la fuga dal diletto universale delle creature, come di vestimenti, di varie cose, che si tengono nelle camere solo per diletto, di cibi ed altre cose, i quali diletti, sebbene il più delle volte sono leciti, tuttavia avvezzano il cuore dell’uomo a dilettarsi, e lo tengono avido di diletto. Onde offrendoglisi poi il disonesto (che di natura sua è presto a ferire, ed a penetrare le midolla delle ossa), difficilmente esso cuore trova la via di mortificarsi nei diletti, non avendola mai altre volte praticata. Onde all’incontro i cuori avvezzi a fuggire dai diletti leciti, accadendo che se gli offrano degli illeciti e disonesti, ne fuggono dal nome solo, non che da essi, con facilità grande.

Che cosa s’abbia a fare, quando in questo vizio disonesto s’è caduto.

CAP. XXXII

Accadendo, che per disgrazia o talora per malizia tu sia caduta in questo vizio di carne, il rimedio è, perché tu non aggiunga peccato a peccato, che corra presto con ogni velocità, senz’altro esame di coscienza alla Confessione, ove lasciare tutte le prudenze umane, tu dica a bocca piena, e manifesti tutta la tua infermità, pigliando qualunque medicina e consiglio ti vien dato, sia pur amaro e duro, quanto si voglia. Non indugiare, siano pur cento e mille ragioni dell’indugio, perché se tu indugi, tu ricadi, dal cui ricadimento nascono poi altri indugi, di maniera, che da indugi, ricadimenti, e dai ricadimenti, nuovi indugi procedendo, verrai a passare gli anni, innanzi, che ti confessi, e che ti levi dal peccato. Per conclusione dunque di questo vizio disonesto, ti avviso di nuovo, che se non vuoi cadere, fuggi. E dei pensieri, che ti vengono per piccoli, che siano, stimali, e fuggili, niente manco dei grandi e per molta chiarezza, che avessi, quando li hai fuggiti presto, sono peccati leggeri, confessali pure, e scopri il tuo nemico al confessore. Ed essendo caduta, corri alla Confessione, non ti lasciando mai vincere dalla vergogna.

Di alcuni motivi, perché il peccatore debba convertirsi presto a Dio.

CAP. XXXIII.

Il primo motivo, perché il peccatore debba ritornare a Dio, è la considerazione dello stesso Iddio,  il quale essendo il sommo Bene, la somma Potenza, Sapienza, e Bontà, non deve l’uomo avere ardimento di offenderlo. – Non per via di prudenza, perché  è mala elezione, pigliarsela con l’onnipotenza, e col supremo Giudice, che l’ha da giudicare. Non per via di convenienza e di Giustizia, non essendo cosa da tollerarsi, che il niente, il fango, e la creatura offenda il Creatore: il servo il Signore, il beneficato il suo Benefattore: il figlio il Padre. – Il secondo motivo è l’obbligo grande del peccatore, perché presto ritorni in casa di suo Padre, essendo la conversione del figlio ed il ritorno in casa, onore al Padre, e festa a tutta la casa sua, alla vicinanza, ed agli Angioli del Cielo. Ché siccome prima, peccando, il figlio offese il Padre, e lo irritò, così ritornando con i pianti amari dell’offesa, e con piena volontà di volergli per l’avvenire in tutti i suoi precetti ubbidire, ed in ogni cosa, l’onora, lo rallegra, e gli ferisce in tal modo il cuore, e muove a misericordia, che non gli basta l’aspettarlo con desiderio, ma correndogli all’incontro, gli cade sul collo, lo bacia, e lo veste della sua grazia, e degli altri doni suoi. Il terzo è l’interesse proprio, perché ha da considerare ogni peccato, che se non si converte a tempo, di certo venendo l’inverno, ed il giorno del sabato, per sempre cadrà nelle pene dell’Inferno, dove quando mai non fosse altra pena, che l’accrescerglisi in infinito le passioni, che lo tenevano in peccato, senza speranza che pur una volta abbia di quelle acque che gli piacevano tanto, quanto ne può portare la sommità di un dito, questo lo dovrebbe atterrire. Né è buona fidanza il suo proponimento di convertirsi nell’ultimo di sua vita, o di là ad alcuni anni, o mesi, perché questo proponimento è pazzo, e pieno di empia malizia. Effetto di poco cervello è proporre di superare una difficoltà grande nel tempo, che l’uomo si trova più fiacco. Il peccatore continuando nel peccato, ogni giorno diventa più fiacco alla conversione, e per l’abito, che va più crescendo e convertendosi in natura, e per l’indisposizione maggiore a ricevere la grazia della conversione: ed anche perché sdegnando Dio con l’empia malizia di pigliarsi quanto può alle creature, e poi all’ultimo fiato, o tardi darsi a Dio interessatamente, viene a togliergli la voglia di aiutarlo efficacemente. È anche da pazzo il suddetto consiglio e proponimento perché,  concessagli la possanza della conversione, e la grazia efficacia, la sicurtà poi, che trattando non muoia di spirito, e senza parola come a tanti e tanti è avvenuto ed avviene, chi gliela data o darà. – Grida, grida, peccatore adesso che leggi, al tuo Signor dicendo: Converte me, et convertar, quia tu Dominus Deus meus! Né cessar mai, infino a tanto che non sii convertito al tuo Signore e Padre, piangendo dirottamente la sua offesa, con una rassegnazione a quanto gli piacerà per per sua soddisfazione.

Del modo di  procurarsi il pianto dell’offesa a Dio, e la conversione.

CAP. XXXIV

Miglior modo di procurarsi il pianto dell’offesa di Dio, non è che la meditazione della grandezza della Bontà di Dio, e non della sua carità che ha mostrato all’uomo. Perché chi considera, che peccando ha offeso il sommo Bene, e l’ineffabile Bontà, che non sa se non far bene, né altro ha fatto e fa tuttavia, piovendo delle sue grazie, e dando del suo lume ad amici e nemici, perchè poi l’abbia offeso per un niente, per un capriccio, e per un poco di falso diletto, non può che piangere dirottamente. Ti metterai dunque innanzi ad un Crocifisso, ove immaginandoti che dica: Aspice in me, e poi considera ad una ad una le mie piaghe, perchè dai tuoi peccati io sono stato piagato e così maltrattato, come tu vedi. – E sono pur Io il tuo Iddio, il tuo Creatore, il tuo benigno Signore, e pietoso Padre.  Onde, Revertere ad me, con pianto puro, con voglia accesa che Io non fossi stato offeso, e con piena volontà di voler tollerare qualunque pena, perchè più non mi offenda: Revertere ad me, quoniam redemi te. – Poi pigliato Cristo nella tua immaginazione con la Corona in capo di spine, e con la canna in mano, tutto piagato, t’immaginerai, che ti dica Ecce Homo! Ecco l’uomo, che amandoti con amore ineffabile ti ha redenta con questi scherni, con queste piaghe e con questo Sangue, Ecce Homo, quest’Uomo è l’offeso da te, dopo tanto amore mostrato, dopo tanti benefici. – Ecce Homo. Quest’Uomo è la misericordia di Dio, e la redenzione copiosa. Quest’Uomo, per te, con tutti i suoi meriti si offre al Padre ogni ora e momento. Quest’Uomo sedendo alla destra del Padre, per te interpella, e per te fa l’Avvocato, perchè dunque mi offendi? Perché non ritorni? Revertere ad me quia delevi ut nubem iniquitates tuas, et quasi nebulam peccata tua.

Di alcune ragioni perché si vive Senza pianto dell’offesa di Dio, senza virtù, e senza la Cristiana perfezione.

CAP. XXXV

La ragione perché l’uomo dorma nella tiepidità, né levandosi dal peccato si dia alla virtù, come si deve, sono molte, e fra le altre sono le seguenti: Perché l’uomo non abita dentro di sé a vedere, che si fa nella sua casa, e chi la possiede, ma vago e curioso, ne mena i giorni in passatempi di vanità. E se pure vi sta occupato in cose lecite e buone in se stesse, di quelle poi che importano alla virtù, ed alla perfezione Cristiana, non ne ha pensiero alcuno, e se talora l’ha, e conosce il suo bisogno, ed è da Dio chiamato ed ispirato a mutar vita, risponde: Cras, cras,… poi, poi. Né  mai viene l’Oggi, ed Adesso, perché avendo il vizio del Cras e del poi,  in ogni Oggi, ed in ogni Adesso, gli si partorisce il Cras, ed il Poi. Non mancano degli altri che credendosi che la mutazione vera della vita e gli esercizi delle virtù consistano in certe divozioni loro, spendono quali tutto il giorno a dire Pater noster, ed Ave,  senza però, che si metta la mano alla mortificazione delle passioni loro disordinate, le quali li tengono attaccati alle creature. – Altri si danno agli esercizi di virtù, ma fabbricano senza i fondamenti loro, avendo ciascheduna virtù il suo proprio fondamento, come l’umiltà ha per fondamento  il desiderio d’esser tenuta da poco, da nulla, ed esser confusa da altri, e d’esser vile negli occhi suoi, perché chi fonda prima, e fabbrica questo fondamento, con allegrezza poi riceve le pietre della fabbrica dell’umiltà che sono le poche stime, che questi e quelli fanno di noi, e le occasioni di fare atti d’umiltà. Onde accrescendosi il desiderio di essere bassamente stimati, e ricevendo volentieri la poca stima, che ne vien fatta da altri, si va acquistando l’umiltà, domandandola soprattutto spesso a Dio, in virtù del suo umiliato Figliuolo. E sebbene si fa tutto questo da alcuni, non si fa però per amore della virtù, e per piacere a Dio. Dal che ne nasce che gli atti della virtù, non corrispondono con tutti ed in ogni luogo: essendo con questi umile, e con quegli superbo. Umile in presenza d’altri, superbo con quelli, la stima dei quali non confà ai suoi disegni. Vi sono degli altri, che desiderando la perfezione cristiana, la vanno procurando dalle forze loro che son debolissime, dalle industrie ed esercizi propri, e non da Dio, col diffidarsi di loro stessi; epperò vanno in dietro piuttosto che innanzi. – Né manca chi appena entrato nella via della virtù, subito si dia a credere d’esser arrivato alla perfezione, e così fatto vano in se stesso, svanisca anco nelle virtù. Perché tu dunque acquisti la virtù e la perfezione Cristiana, prima  diffidati di te stessa, poi confidata in Dio, studia d’accenderti di desiderio, quanto più sia possibile, avanzandolo ogni giorno. Sta in oltre avvertita che non ti fugga dalle mani qualche occasione di virtù, sia pur essa grande, o piccola. E fuggendoti castigati in qualche cosa, né lasciar mai questo castigo. – E per molto, che cammini alla perfezione, ogni giorno fa conto, che allora incominci; e studiati di fare qualunque atto con tanta diligenza, come se in quello solamente consistesse la perfezione; e così fa poi nel secondo, nel terzo, e negli altri. Con quella diligenza guardati dai difetti piccioli, con cui i diligenti si guardano dai grandi. – Abbraccia la virtù per la virtù e per piacere a Dio, che a questo modo con tutti farai la stessa, sola ed accompagnata. E saprai a questo modo talora lasciare la virtù per la virtù, e Dio per Dio. Non declinare, né a destra, né alla sinistra, né ti voltare addietro. Sii discreta amica della solitudine, della meditazione, e dell’orazione, pregando spesso Iddio, che ti dia le virtù e la perfezione, che vai cercando, perché Iddio è il fonte d’ogni virtù e la perfezione, a cui ci chiamano ogni ora.

Dell’amore verso i nemici.

CAP. XXXVI

Avvenga, che la perfezione Cristiana sia la compita obbedienza dei precetti di Dio, nientedimeno dal precetto d’amare i nemici procede principalmente: tutto è somigliante al costume di Dio questo precetto. Onde volendo tu acquistare compendiosamente ed in breve la suddetta perfezione, studia d’osservare compitamente quanto comanda Cristo nel precetto d’amare i nemici. Amandoli, facendo loro bene e pregando per loro. Non a stampa e lentamente, ma con tanto affetto, che quasi scordata di te stessa, tutto il cuor tuo si dia all’amor loro, ed a pregare per loro. Del far loro bene poi, in quanto tocca al bene dell’anima, hai da stare avvertita, che da te piglino mai occasione d’offender le anime loro, mostrando sempre con i gesti del corpo, con le parole e con le opere, che li ami e stimi, e che in te è sempre prontezza di Servirli. Degli altri beni temporali, quelle, che s’ha da fare, la prudenza, ed il giudizio l’andrà raccogliendo dalla qualità dei nemici, dallo stato tuo e dalle occasioni. Se tu attenderai a questo, vedrai che la virtù, e la pace entrerà nel tuo cuore a gran piena. Né questo precetto ha quella difficoltà, che altri credono. Duro è alla natura, non è dubbio, ma a chi vuole, e sta sull’avviso d’esser presto a mortificar i moti della natura, e dell’odio, diventerà facile, portando egli nascostamente dentro una dolce pace, e facilità. Pure, perché li soccorra la nostra debolezza, ti servirai di quattro potentissimi aiuti. – Uno è l’orazione, spesso domandando a Cristo questo amore in virtù del suo, il quale stando in Croce, prima si ricordò dei nemici, poi della Madre, e nell’ultimo di se stesso. – Il secondo aiuto sarà il dire teco: Precetto del Signore è ch’io ami i nemici, dunque devo farlo. – Il terzo, che tu mirando in loro la viva immagine di Dio, che loro diede creandoli, ti svegli a stimarla, ed amarla. – Il quarto, che mirandovi di più il riscatto ineffabile, con che sono stati da Cristo riscattati, che non è stato oro, ed argento, ma il suo sangue, t’adopri in modo che non sia indarno speso, perso conculcato.

Dell’esame di coscienza.

CAP. XXXVII.

L’esame di coscienza da’ diligenti si suol fare tre volte il giorno: Innanzi pranzo, innanzi vespro; e innanzi, che si vada a letto. Che se questo non si può da alcuno, quello della sera non si deve tralasciare mai: che se Iddio due volte mirò l’opere che fece all’uomo, l’uomo non mirerà a quel tanto che fa a Dio, a cui egli ha di più a rendere stretto conto più d’una volta. L’esame si farà in questo modo: – prima domanderai a Dio lume perché tu conosca tutto l’interiore ed opere tue. – Poi comincerai a considerare come sei stata chiusa e raccolta nel tuo cuore, e come l’hai guardato. – Terzo, come hai in quel giorno obbedito a Dio in tutte le occasioni che ti ha date, perché lo servissi. Qui non dico altro, che quella terza considerazione chiude in sé lo stato, ed obbligo di ciascuno. Della corrispondenza alla grazia e delle opere buone, ringraziato che ne avrai Dio, scordatene affatto rimanendo desiderosa di cominciare di nuovo il tuo cammino, come se niente ancora avessi fatto. Dei mancamenti, difetti, e peccati, rivolta a Dio, digli dolendoti dell’offesa sua: Signore, io ho fatto da quello che sono. Nè qui mi sarei fermata, se la tua destra non mi avesse tenuta: del che ti rendo grazie: Fa’ tu ora, ti prego Signore mio, in nome del tuo diletto Figlio, da quel che sei. Perdonami e dammi grazia, perché più non ti offenda. Per penitenza poi dei tuoi mancamento, e per stimolo di emendazione, mortifica la tua volontà in qualche cosuccia lecita, che ciò a Lui molto piace. Lo stesso dico del corpo, e fa che non lasci queste, o somiglianti penitenze, se non vuoi, che le ricerche della tua coscienza siano piuttosto a stampa e per un non so che uso di tiepidi, senza frutto.

Di due Regole per vivere in pace.

CAP. XXXVIII.

Sebbene, chi vive secondo quel tanto che s’è detto fin qui, sempre sta in pace, tuttavia voglio in quest’ultimo Capitolo darti due regole racchiuse anco nel suddetto, le quali osservando, tu vivrai quieta in questo Mondo iniquo, quanto sia possibile. L’una è, che tu attenda con ogni diligenza a vieppiù chiudere la porta del tuo cuore ai desideri; essendo il desiderio il legno lungo della Croce e dell’inquietudine, il quale sarà grave secondo la grandezza del desiderio. E se. di più cose saranno i desideri, più saranno i legni a più croci preparati. Onde venendo poi le difficoltà, e gli impedimenti, che non si eseguisca il desiderio, ecco l’altro legno, ch’è il traverso della Croce, sopra della quale rimane inchiodato il desideroso. – Chi dunque non vuol Croce, non desideri, e ritrovandosi in Croce, lasci il desiderio che in quello che lo lascerà, egli sarà sceso dalla Croce. Né vi è altro rimedio. – L’altra regola è che quando sei molestata, ed offesa da altri, non ti dia alla considerazione di quelli, considerandovi diverse cose, e che non dovevano far questo con te, e chi sono, o si pensano d’essere e somiglianti cose, le quali tutte sono legna, ed accendimento d’ira, di sdegno, e d’odio. – Ma ricorri subito in tali casi alla virtù, ed ai precetti di Dio: perché tu sappi quel che devi fare e non falli peggio di loro. Che a questo modo ritroverai la via della virtù, e della pace. – Che se tu poi con te, non farai quello che devi, che meraviglia è, che altri teco nol facciano? E se ti piace di vendicarvi di chi ti offende, devi prima fare vendetta di te stessa, di cui non hai maggiore inimico, ed offensore.

IL FINE.

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (Agg. 1)

AGGIUNTA AL COMBATTIMENTO SPIRITUALE.

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Che cosa sia la perfezione Cristiana

CAPO PRIMO.

Perché, anima devota, non ti affatichi negli esercizi spirituali in vano, com’è accaduto a molti, e non corri senza saper dove; hai prima da intendere, che cosa sia la perfezione Cristiana. – La perfezione Cristiana altro non è che una compiuta osservanza dei precetti di Dio, e della sua legge affine di piacergli, senza che si declini alla destra, o alla sinistra o si rivolga addietro: Et hoc est omnis homo. – Di modo che lo scopo di tutta la vita del Cristiano, che vuole diventare perfetto, ha da esser uno studio di far abito, che dimenticandosi vieppiù ogni giorno e disavvezzandosi di fare la propria volontà, ogni cosa faccia, come mosso da sola volontà di Dio, a fine di piacergli, ed onorarlo.

Come bisogna combattere per conseguire la perfezione Cristiana.

CAP. II.

Con poche parole si è detto il molto, che si pretende: ma chiuderlo ora nelle mani, e metterlo in esecuzione. Hoc opus, hic labor est. Perché essendo in noi per il peccato dei primi Padri, e nostri mali abiti, una legge contraria a quella di Dio, bisogna combattere contra di noi stessi, ed anco contro il Mondo, ed il demonio, eccitatori, e motori delle nostre guerre.

Di tre cose, che ha bisogno il novello Soldato di Cristo.

CAP. III.

Protestandoci dunque la guerra, Soldato novello di Cristo, di tre cose hai di bisogno. D’animo grande, e risoluto di combattere, d’armi e di saperle maneggiare. La risoluzione di combattere la piglierai dalla considerazione frequente che: Militia est vita hominis super terram. E che quella guerra ha per legge che chi non combatte come si deve, del certo vi muore per sempre. La grandezza dell’animo l’acquisterai, prima con diffidarti di te stessa e poi confidare grandemente in Dio, e tener per cosa certa che Egli sta dentro di te, perché ti cavi dal pericolo. Hai dunque da stimare per sicuro che, assaltata dai nemici, ogni volta che sconfidata delle proprie forze e sapere, con confidenza ricorrerai alla potenza, sapienza, e bontà di Dio, ne riporterai combattendo la vittoria. L’armi sono: Resistenza, e Violenza.

Della resistenza e violenza, e nell’arte di maneggiarla.

CAP. IV.

La resistenza, e violenza, benché siano armi gravi e penose, tuttavia sono necessarie e riportatrici delle vittorie. Si maneggiano quelle armi nel seguente modo. Quando dalla tua corrotta volontà e mali abiti, perché tu non voglia e faccia le cose volute da Dio, sei combattuta; hai da resistere dicendo: Sì, sì, che le voglio fare. Con la stessa resistenza ti opporrai quando sei chiamata e tirata alle voglie dei mali abiti e della corrotta volontà, dicendo: No, no. La volontà di Dio voglio io fare con l’aiuto suo sempre. Deh Iddio mio, soccorrimi presto, perché questa voglia, che per tua grazia ho adesso di fare sempre la tua volontà, non sia soffocata poi nelle occasioni della mia antica e corrotta volontà. E sentendo gran pena nel resistere, e debolezza di volontà, hai da farti ogni sorte di violenza, ricordandoti qui, che il Regno dei Cieli patisce violenza, e che violenti a se stessi ed alle proprie passioni lo rapiscono. – Che se la pena , e la violenza sarà così grave, che ti senti angustiare il cuore, va col pensiero nell’orto a Cristo, ed accompagnando le angosce tue con le sue, pregalo che in virtù delle sue ti dia la vittoria di te stesso, acciò di cuore possa dire al Celeste Padre: Non sicut ego volo, sed sicut tu, fiat voluntas tua. Onde poi piegherai più, e più volte la tua volontà a quella di Dio, volendo come egli voleva che volessi. Studiandoti di fare qualunque atto con tanta pienezza di volontà e purità, come se in quell’uno solamente consistesse tutta la perfezione, ogni piacimento, ed onore di Dio. Ed a questo modo poi farai il secondo ed il terzo, ed il quarto e gli altri. – Di più ricordandoti alle volte di aver trasgredito alcun precetto, dogliti della trasgressione, e piglia maggior vigore d’animo di ubbidire a Dio in quel precetto che ti trovi nelle mani, ed in qualunque altro nelle occasioni. Ed avverti qui, perché non tralasci mai occasione alcuna, per piccola che sia, di ubbidire a Dio, che se gli sarai ubbidiente nelle piccole cose, Iddio ti darà nuova grazia di ubbidire poi con facilità nelle maggiori. Avvezzati ancora, che venendoti a mente alcuno dei precetti divini, tu prima adori Dio, e poi lo preghi che nelle occasioni ti soccorra, perché gli ubbidisci.

Che bisogna vegliare di continuo sopra la nostra volontà, per vedere con quale delle passioni se la fa.

CAP. V.

Sta in te raccolta, quanto più si può, perché conosca, quale delle tue passioni se la faccia più spesso la tua volontà, che da quella suole più che da altre esser ingannata, e fatta serva. Onde non essendo solita la volontà dell’Uomo stare senza la compagnia di alcuna delle nostre passioni, è di bisogno, che ella o ami, o odi, o desideri, o fugga, o stia allegra, o si rattristi, o speri, o si disperi, o sia audace, o iraconda. E ritrovandola appassionata non  secondo vuole Dio, ma secondo il suo proprio amore, affaticati, perché dall’amor di se stessa la pieghi all’amor di Dio, ed all’osservanza dei precetti di Dio, e della sua legge. Il che tu devi fare non solamente nelle passioni di momento, che ai peccati muovono, ma in quelle che nei veniali fanno cadere: perché quelle, benché si muovano leggermente, e vadano pian piano, tuttavia ci tengono infermi e senza virtù, quando sono volontarie, ed in pericolo grande di cadere nei peccati mortali.

Come levando la prima passione, Che è  l’amore delle creature e di noi stessi, e dandola a Dio,tutto il resto rimane ben regolato ed ordinato.

CAP. VI.

Perché tu compendiosamente, e con ordine liberi la tua volontà dalle passioni disordinate, è di bisogno, che tutta ti dii a vincere ed ordinare la prima passione che è l’amore, perché questa tutte le altre la seguitano con le stesse pedate, nascendo da essa, ed in essa avendo la loro radice e vita. come chiaramente discorrendo si vede; perchè quel tanto si desidera, che s’ama, ed in questo si diletta, l’uomo. Quel tanto s’odia, o fugge, e ci attrista, che impedisce, ed offende la cosa amata, né altro si spera che la cosa amata. E di questa stessa disperiamo quando le difficoltà di conseguirla ci paiono insuperabili ed invincibili. Né alcuno teme, o è audace o si sdegna; se non con quello, che impedisce o per offendere la cosa amata. – Il modo di vincere, ed ordinarela prima passione, si è il considerare nella cosa, che ella ama e sta attaccata, le qualità sue, e che si pretende in quell’attacco ed amore. E ritrovando qualità di bellezza e di bontà, e pretendenza di diletto, e di utile, potrai dire a te stessa più e più volte: E che maggior bellezza e bontà di quella di Dio, che è l’unico fonte di bene, e perfezione? E quale pretendenza d’utile e di diletto si può immaginare maggiore, che amare Dio, poiché amandolo, si trasforma l’uomo in Lui, in lui solo dilettandosi, e lui godendo? Di più il cuore dell’uomo è di Dio, perché lo stesso Iddio l’ha creato, e poi redento, ed ogni giorno con nuovi benefizi lo domanda dicendo: Fili, probe mihi cor tuum. Sicché toccando a Dio il cuor umano tutto, per tante ragioni che più a basso si diranno, ed essendo piccolo molto a soddisfare agli obblighi, che s’hanno con Dio, deve ognuno esserne gelosissimo, perché non ami altro che il solo Dio e con quella moderanza e modo che piace a Dio. La stessa gelosia si deve avere anche (essendo queste due il fondamento della fabbrica della perfezione), della passione dell’odio, perché non odi altro che il peccato, e quanto induce al peccato.

Che bisogna soccorrere la volontàUmana.

CAP. VII.

E perché la volontà nostra appassionata è molto fiacca a resistere e superare le sue passioni per ordinarle a Dio, ed alla sua ubbidienza (come ben mostra l’esperienza che, benché ella voglia, e proponga di mortificarsi, tuttavia nelle occasioni poi soffocata dalle sue passioni e svanito ogni suo proponimento e voglia, se le da in preda) perciò bisogna non solo nelle occasioni soccorrerla, ed ajutarla, a buon’ora ancora, acciocché pigliando forza contro se stesa, si stessa, si vinca, e liberi dalla servitù delle sue passioni, dandosi tutta a Dio ed al suo piacimento.

Come vincendo il Mondo, vienela volontà dell’uomo ad esser soccorsa grandemente.

CAP. VIII.

Movendoci, e pigliando forza le nostre passioni dal mondo, e dalle cose sue, mentre egli ci mostra le sue grandezze, ricchezze, e diletti; benne segue che, dato a terra il Mondo con le sue cose, viene la volontà dell’uomo a respirare, ed a volgersi  altrove, non potendo ella stare senza amare, e senza dilettarsi. – Il modo di dare a terra il mondo, è considerare profondamente  che cosa sono nel vero le sue cose e le sue promesse. Nel che, per non errare, accecati noi forse da qualche nostra passione, e conchiusone quel, che ne dice il sapientissimo Salomone, che di tutto aveva fatta esperienza: Vanitas, dice egli, Vanitarum, et omnia vanitas et afflictio spiritus. Questa verità si prova ogni giorno che, desiderando il cuor dell’uomo di saziarsi, con tutto che alle volte abbia quanto desidera, pur non resta mai sazio, ma con maggior fame, e quello non per altro se non perché pascendosi egli delle cose del Mondo, viene a pascersi d’ombra, di vanità, e di bugia, cose che non danno nutrimento alcuno. Le promesse del Mondo sono tutte false e piene d’ inganni. Promette una cosa per un’altra. Promette felicità e dà inquietudine. Promette e non dà il più delle volte. Dà, e presto toglie. E non togliendo presto più poi affligge gli appassionati che hanno i loro desideri posti nel fango. Ai quali si può dire: Filli hominum, usquequo gravi corde, ne quid deligitis vanitatem et quaeritis mendacium? – Ma concedasi ad un certo modo a costoro che gli apparenti beni di questo mondo siano veri beni, che diranno della prestezza, con che ne passa la vita dell’uomo? Ove sono la felicità e grandezze e la superbia dei principi, dei regi e degli imperatori? Sono pure passate. Il modo dunque,perché ti vincail Mondo, di tal maniera che egli puzzi a te, e tu a lui, o vogliamo dire, che a te sia crocifisso, e tu a lui, si è, che prima, che gli si attacchi la volontà, te gli faccia innanzi con una profonda considerazione delle sue vanità, e bugie, e poi con la volontà, che così non essendo né la volontà, né l’intelletto appassionati, con facilità lo disprezzerai, e ad ogni creatura, che ti farà innanzi, potrai dire: Sei tu creatura? leva, leva l’attacco tuo, perché io vo cercando nelle creature il Creatore, e lo spirituale, non il corporale. Quello, che vi dà l’operare e le virtù, e non voi voglio, e desidero amare.

Del secondo soccorso della volontà.

CAP. IX.

Il secondo soccorso della volontà umana, consiste in cacciar fuori il principe delle tenebre, come autore d’ogni disordinato accadimento delle nostre passioni. Si caccia fuori questo nemico e si vince ogni volta, che noi nelle concupiscenze nostre e desideri disordinati vinciamo e superiamo. Sicché volendo che il demonio fugga da te, resiste alle tue passioni, che questa è la resistenza che S. Giacomo vuole che se gli faccia. E qui è da avvertire che il demonio così alle volte ci assalta, accendendo le  concupiscenze della carne e le passioni, che pare, che l’uomo sia costretto a cedergli. Ma non è da sbigottirti. Resisti pure e tieni per certo che Dio è teco perché non ti sia fatta soverchieria. Resisti, dice, che al certo, preservando vincerai. Ho detto: perseverando, perché non basta resistere una, due o tre volte, ma ogni volta che egli tenterà. Perché è costume del demonio, di tentare domani quel che oggi non ha potuto, e in altra settimana, quel che in questa non ha ottenuto, e così va continuando con gran pazienza di tempo in tempo, or con furia, or con destrezza, in fino a tanto che gli vien fatto di vincerci. Onde bisogna essere costante sempre con l’armi in mano, né fidarsi mai per molto che si abbiano avuto delle vittorie, giacché la vita dell’uomo è una continua guerra, la vittoria della quale non consiste in oggi, e domani, ma nel fine.  Che se tu in questo senti pena, sappi, che più pena sente assai il| demonio, quando se gli resiste. Onde se gli può dire a tua consolazione: A penare, va demonio infernale; ma perché tu peni iniquamente, ed io per non offendevi il mio Signore, la pena tua sarà eterna, e la mia, per grazia di Dio, si muterà in pace eterna.

Delle tentazioni della superbiaSpirituale.

CAP. X

Nel precedente Capitolo ti ho parlato delle tentazioni che il demonio ci suole dare con le grandezze del Mondo, ricchezze e diletti, ma ora ti parlo delle tentazioni della superbia spirituale, compiacenza, e vanagloria, tanto più pericolosa e da temersi, quanto che è meno conosciuta e più nemica di Dio. O quanti generosi soldati gran servi di Dio, dopo le vittorie di molti e molti anni, ha dato questa superbia, e fatti servi di Lucifero. Lo scampodi questo tremendo colpo ed occulto laccio, è il tremare sempre, ed operare opere buone con timore, e tremore, che queste non siano, per qualche occulto verme d’amor proprio e di superbia guaste ed odiose a Dio. E perciò umiliandosi in quelle, devesi cercare sempre di farle migliori, come se niente per addietro si avesse operato di bene. E quando ci paresse (il che non deve mai stimarti) di aver fatta ogni cosa, dottiamo di tutto cuore dire: Servi inutiles sumus. E sopra tutto ricorrere spesso a Cristo che, liberandoci d’ogni superbia, ci insegni ed aiuti ad essere umili di cuore. Ed anche ricorrere spesso all’umilissima Madre di Dio, pregandola ci impetri la vera umiltà, la quale è il fondamento delle virtù, e le accresce e le accompagna acciò non si perdano, ma s’aumentino e s’assicurano. Di questa materia d’umiltà avendone parlato a lungo nel Combattimento Spirituale, non dico altro qui.

Del terzo soccorso della volontà umana.

CAP. XI

Il terzo soccorso, con che spessissime volte s’ha da soccorrere la volontà nostra, è l’orazione: avvezzandoti, che in quello che tu sei assalita, ricorra subito a Dio, dicendo: Deus, in adiutorium meum intende: Domine ad adiuvandum me festina. – Il tuo combattimento dunque farà con l’orazione, con la resistenza nella presenza di Dio, sempre vestita di diffidenza di te stessa e confidenza in Lui. Che se combatterai con questo modo ed apparato, tieni per sicura la vittoria. Che cosa non supera, e non vince l’orazione? Che cosa è che non ributti la resistenza accompagnata con la diffidenza di se stessa e confidenza in Dio? – E da qual pugna può essere vinto, chi sta in presenza di Dio con animo di piacergli?

In qual modo abbia da abituarsi l’uomo per tenere ogni volta che vorrà, presente Dio.

CAP. XII

Perché tu abbi l’uso di tenere presente Dio ogni volta che vorrai, studiati di ripigliar spesso un pensiero che innanzi a te sta nascostamente Iddio, che ti mira e considera qualunque tuo pensiero ed opera. Oppure che tutte le creature le quali vedi, siano quasi tanti cancelli per i quali il nascosto Iddio ti guarda ed alle volte dica: Petite et accipietis: omnis enim qui petit, accipit, et pulsanti aperietur. Potrai anche farti presente Dio, mirando le creature nelle quali, lasciando il corporale, va col pensiero a Dio che loro ministra l’essere, il moto e la virtù di operare. – Quando dunque vorrai orare combattendo o facendo alcuna cosa, rappresentati a Dio in uno dei suddetti modi,prega poi, e domandagli aiuto, e soccorso. E sappi qui, anima devota, che se tu ti farai familiare alla presenza di Dio, ne riporterai vittorie, e tesori infiniti . E tra gli altri tu ti guarderai da moti, da pensieri, da parole, e da opere, che non convengono alla preferenza di Dio, ed alla vita del Figliuolo suo. E la stessa presenza di Dio ti infonderà virtù, perché tu possa stare in sua presenza. Che se dalla presenza, e vicinanza degli agenti naturali, che sono di virtù limitata e finita, se ne riporta delle loro qualità, e virtù, che s’ha da dire della presenza di Dio, che è d’infinita virtù, e comunicabile indicibilmente? – Oltre il Suddetto modo d’orare, Deus, in adjutorium meum intende : Domine ad ajuvandum me festina,  che è per ogni bisogno, potrai ancora orare in altri modi più particolari. Come desiderando tu di conoscere e fare la volontà di Dio, l’orazione tua farà una delle seguenti: Benedictus es Domine, doce me facere justificationes tuas. Deduc me Domine, in semìtam mandatorum tuorum. Utinam dirigantur via mea ad custodìendas justificationes tuas. –  E per dimandare a Dio quanto se gli può domandare, e gli piace che se gli domandi, userai l’Orazione Dominicale, la quale si deve dire con tutto l’affetto del cuore e con ogni attenzione.

Di alcuni avvisi intorno all’orazione.

CAP. XIII

Prima hai d’avvertire, che l’orazione (non parlo delle meditazioni, delle quali si dirà appresso) devono esser brevi nel modo suddetto, ma spesse, piene di desiderio, e d’attuale fede, che Iddio ti abbia a soccorrere, se non a modo tuo, e quando tu vorresti, con assai miglior soccorso, e più opportuno tempo. – Secondo, che vadano sempre accompagnate, quando attualmente, quando in virtù, con una delle seguenti clausolette. – Per tua bontà. Secondo le tue promesse. Ad onore tuo. In nome del tuo diletto Figlio. In virtù della tua Passione. In nome di Maria Vergine, Figlia, e Sposa, e Madre tua. – Terzo, che alle volte segli aggiungano dell’Orazioni giaculatorie, come: Concedimi Signore l’amor tuo in nome del tuo diletto Figlio. E quando sarà Signor mio che io l’abbia? quando? Il che anco si può fare dopo ciascuna domanda dell’Orazione Dominicale: oppure dopo tutte, come, Pater noster, qui es in cœlis, Sanctificetur nomen tuum. Ma quando sarà, nostro Celeste Padre che il nome tuo sia conosciuto per tutto ilMondo, onorato, e glorificato? quando Iddio mio? Quando? E così dopo le altre domande. – Quarto, che domandandosi delle virtù, e grazie, sarà bene considerare ilpiù delle volte il valore della virtù, ed il bisogno che se ne ha: La grandezza di Dio e della sua bontà: I meriti di chi domanda, che a questo modo si domanderà con più affetto, e desiderio, con più riverenza, e confidenza, e con più umiltà; e similmente s’ha da considerare il fine della domanda, acciò sia per piacere a Dio, e ad onore suo.

Di un altro modo di orare

CAP. XIV

Si suole anco orare perfettamente, stando in presenza di Dio col pensiero senza altro dire, giuculandogli di tempo in tempo sospiri, volgendogli un occhio, ed un cuore desideroso piacergli, ed un breve ed infuocato desiderio che ti conceda la grazia domandata nelle orazioni precedenti.

Del quarto soccorso della volontà Umana

CAP. XV

Il quarto soccorso della volontà nostra è l’amore divino, il quale soccorre e fortifica in tal modo la volontà che non è cosa che non possa, né passione e tentazione che non vinca. Il modo di conseguirlo è l’orazione, domandandolo spesso a Dio, e la meditazione, meditando quei punti che sono atti, con la grazia di Dio, ad accenderlo nella terra dei cuori umani.Questi sono: Chi è Iddio. Quanta, e quale la potenza, Sapienza, Bontà, e Bellezza di Dio. Che ha fatto Iddio per l’uomo, e che sarebbe di più per fargli, se fosse di bisogno. Con che animo l’abbia fatto. Che cosa faccia ogni giorno all’uomo, e che cosa è per fargli nell’altra vita, se qui vivendo, ubbidisce ai suoi precetti, per fargli piacere e con purità di mente.

Della meditazione dell’Esseredi Dio.

CAP. XVI

Che cosa sia Iddio, Egli stesso, che compitamente si conosce, l’ha detto rispondendo e così dicendo: Ego sum, qui sum! E tale, e tanto questo predicato di Dio, che non si può dare a creatura alcuna; non a Principi, non a’ Regi, o Imperatori, non ad Angioli, non a tutto il Mondo insieme, perché ogni cosa ha l’essere dipendente da Dio, e come da sé è un bel niente. E da qui appare, quanto vano è l’uomo, che ama le creature e gli sta attaccato, non amando in esse il Creatore e le creature secondo vuole esso Signore. È vano, dico perché ama le vanità. È vano, perché pensa saziarsidi quelle cose, che da sé non sono. È vano, perché s’affatica di avere di quelle cose, che col dare tolgono ed uccidono. Se dunque hai ad amare, come che bisogna amare, amisi Iddio, che empie e sazia il cuore.

Della meditazione della Potenzadi Dio.

CAP. XVII

Già si sa, che non questa o quella sola potenza del Mondo, ma tutte unite insieme volendo edificare non Regni, non Città, ma un solo Palagio, pure hanno bisogno di varie materie e maestranze, e di molto spazio di tempo, se poi con tutto ciò l’edificio riesce appunto a voglia loro. Ma Iddio con la sua potenza, di niente  in un subito creò tutto l’universo, e poteva crearne per la stessa facilità infiniti altri, e distruggerli, e ridurli a niente. Questo solo punto, quanto più profondamente si medita, e mediterà, tanto più se ne caveranno nuovi stuporied incentivi di amare un Signore sì possente.

Della Meditazione della Sapienzadi Dio.

CAP. XVIII

Quanto poi sia alta, ed  inscrutabile la Sapienza di Dio, non è chi lo possa comprendere. Pure perché ne abbi qualche cognizione, vogli l’occhio dell’ornamento del Cielo, alla vaghezza della terra e ditutto l’universo, che non ritroverai altro che Sapienza incomprensibile dell’Architetto divino. Volgi la mente al vivere degli uomini, ed agli accidenti vari, che occorrono, che non è cosa tanto disordinata, che nel cospetto di Dio non sia Sapienza inscrutabile. Medita i misteri della redenzione, che li troverai tutti pieni d’altissima Sapienza: O altitudo, divitiarum Sapientia, et scientia Dei! Quam incomprehensibilia sunt judicia ejus!

Della Meditazione della Bontàdi Dio.

CAP. XIX

La bontà di Dio è, siccome tutte le altre sue infinite perfezioni, in se stessa incomprensibile, ma per che di fuori e tanta, che non è cosa al mondo in che non si ritrovi. La creazione è dalla Bontà di Dio, la Conservazione e Governo è della Bontà di Dio, la Redenzione ci mostra, che ineffabile ed infinita è la Bontà di Dio, dandoci qui per nostro riscatto il proprio Figlio, e parimente per cibo quotidiano nel Sacramento dell’Altare.

Meditazione della Bellezzadi Dio.

CAP. XX

Della Bellezza diDio questo deve bastare a tutti, ch’ella è tale e tanta, che contemplando se stesso Iddio ab Aeterno, senza che altrove mai si rivalga, resta nella capacità sua infinita, incomprensibilmente sazio e beato. O uomo, conosci ormai la dignità alla qual sei chiamato dalla Bontà di Dio, e non esser più di sì guasto cuore, che spregiata questa, dia il tuo amore alla vanità, alle bugie, ed all’ombre. – Ti chiama Iddio all’amore della sua Potenza, Sapienza, Bontà, al diletto della sua bellezza ed all’entrar nel suo gaudio; e tu ti fai sorda? Pensa, pensa ai fatti tuoi, che non ti sopraggiunga tempo, ove il pentimento non giova.

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (11)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (11)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Della Comunione Spirituale

CAP. LVI

Benché non si possa ricevere sacramentalmente il Signore più d’una volta il giorno, nientedimeno spiritualmente si può ricevere (come ho detto) ogni ora ed ogni momento, e questo da nessuna creatura, fuori che la negligenza, o altra nostra colpa ci può essere tolto. E sarà alle volte questa Comunione tanto fruttuosa e cara a DIO, quanto per avventura non saranno molte altre sacramentali, per difetto di coloro che le ricevono. Quante volte dunque ti disporrai e preparerai a tal Comunione, riceverai pronto il Figliuolo di Dio, che di se stesso con le proprie mani spiritualmente ti ciberà. – Per apparecchiarti a ciò, rivolgiti con la mente a Lui con questo fine, e con un breve sguardo nei tuoi mancamentì, dogliti seco dell’offesa sua, e con ogni umiltà, e fede pregalo, che si degni venire nella tua povera anima con nuova grazia per sanarla, e fortificarla contro i nemici. Oppure quando sei per violentarti e mortificarti in qualunque tuo appetito, o per fare qualche atto di virtù, fa tutto affine di preparare il cuor tuo al Signore, che di continuo te lo domanda. E rivoltandoti a Lui, chiamalo con desiderio, che venga con la grazia sua a sanarti e liberarti dai nemici, perché Egli solo possegga il cuor tuo. Ovvero, rammentandoti della passata sacramentale Comunione, dì con acceso cuore: Quando Signor mio ti riceverò un’altra volta, quando, quando?Che se vorrai prepararti e comunicarti spiritualmente con più debito modo, indirizza dalla sera innanzi tutte le mortificazioni, gli atti delle virtù ed ogni altra opera buona, affine di ricevere spiritualmente il tuo Signore. E la mattina a buon’ora considerando che bene, che felicità è di quell’anima che degnamente riceve il SS. Sacramento dell’Altare; poiché in esso le virtù perdute si riacquistano, l’anima ritorna nella prima bellezza, e se le comunicano i frutti ed i meriti della passione di esso Figliuolo di Dio, e quando piace a Dio, che noi lo riceviamo, ed abbiamo i detti beni, studiati di accendere nel cuor tuo un desiderio grande di riceverlo per piacergli. Ed accesa che sarai di questo desiderio, rivolgiti a Lui, dicendogli: “Poiché a me, Signore, non è concesso, che in questo giorno sacramentalmente io ti riceva, fa Tu, bontà, e potenza increata, che io degnamente, perdonandomi ogni fallo e sanandomi, ti riceva spiritualmente adesso, ogni ora, ed ogni giorno, con darmi nuova grazia, e fortezza contro tutti i nemici, e particolarmente questo, a cui per piacere a te io faccio guerra.”

Del rendimento di grazie.

CAP. LVII

Perché tutto il bene che abbiamo e facciamo, è di Dio, e da Dio siamo debitori di rendergli grazie di ogni nostro buon esercizio e vittoria di tutti i benefici che dalla sua pietosa mano abbiamo ricevuti, particolari  e comuni. – E per far questo con debito modo, si ha da considerare il fine, da che si muove il Signore a comunicarci le grazie sue; che da questa considerazione e conoscimento, si viene ad imparare, come vuole Iddio essere ringraziato. E perché in ogni beneficio, il Signore principalmente intende l’onore suo e di tirarci all’amore e servizio suo, prima considera teco a questo modo. Con che potenza, sapienza e bontà il mio Iddio mi ha concesso e fatto questo beneficio e grazia? – Poi vedendo che in te (come da te) non è cosa degna di beneficio alcuno, anzi non altro che demerito ed ingratitudine, con umiltà profonda al Signore dirai: E com’è Signore, che ti degni riguardare un cane morto, facendomi tanti benefizi? Sia il tuo nome benedetto nei secoli dei secoli. – E finalmente vedendo che Egli da te col benefizio ricerca che tu l’ami e lo serva, infiammati d’amore verso un tanto amoroso Signore e di sincero desiderio di servirlo a modo suo. E perciò, a questo aggiungerai una piena offerta, la quale farai nel seguente modo.

Dell’Offerta.

CAP. LVIII

Perché l’offerta di te stessa sia da tutte le parti cara a Dio, di due cose ha ella bisogno: Una è l’unione con le offerte che fece Cristo al Padre, l’altra, che la volontà tua sia distaccata da qualunque attacco di creatura. – Per la prima cosa, hai da sapere che il Figliuolo di Dio, vivendo in questa valle di lacrime, non pure se stesso e le opere sue con se stesso, e le opere nostre offriva al celeste Padre. Talché le offerte nostre si hanno da fare in unione e confidenza alle sue. – Nella seconda cosa, considera bene, innanzi che ti offra, se la tua volontà ha qualche attacco, perché avendolo, ti devi prima staccare da ogni affetto e ricorri perciò a Dio, affine, che staccandoti Egli con la sua destra, possa tu offrirti alla sua Divina Maestra sciolta, o libera da ogni altra cosa. – E sta molto avvertita in questo perché se tu ti offri a Dio, stando attaccata alle creature, non offri il tuo, ma quello degli altri, sento che tu non sei tua, ma di quelle creature a cui la volontà tua sta attaccata, cosa che spiace al Signore, quasi che se li voglia dare la burla.- E di qui avviene, che le tante offerte che a Dio facciamo di noi stessi, non pure vacue ne ritornano e senza frutto, ma cadiamo di poi in vari difetti e peccati. – Possiamo noi offrire noi stessi a Dio, benché attaccati con le creature, ma affine però che la sua bontà ci sciolga, perché possiamo poi darci totalmente alla sua divina Maestà ed al servigio suo, e quello dobbiamo farlo spesso e con grande affetto.  Sia dunque la tua offerta senz’attacco e senza proprietà d’alcun tuo volere, non mirando né a beni terreni, né a celesti, ma alla pura volontà e provvidenza divina, alla quale ti devi tutta uniformare e sacrificare in olocausto perpetuo e, scordata d’ogni cosa creata, dire: Ecco o Signore e Creatore mio, il tutto ed ogni mia voglia in mano della tua volontà ed eterna provvidenza, fa’ di me ciò che ti pare e piace in vita ed in morte e dopo morte, così nel tempo, come nell’eternità. –  Se farai a questo modo sinceramente (del che te ne avvedrai quando accadono cose contrarie) tu diventerai di terrena, evangelica negoziatrice e felicissima, perché tu sarai di Dio, ed Iddio sarà tuo, essendo sempre Egli di coloro che togliendosi dalle creature e da loro stessi, tutti si danno e sacrificano a Sua Divina Maestà. – Or tu vedi qui, figliuola, un modo potentissimo di vincere tutti i tuoi nemici, perché se così ti unisce con Dio la detta offerta, che tu diventi tutta sua ed Egli tutto tuo, qual nemico e qual potenza ti potrà giammai offendere? – E quando vorrai offrirgli alcuna opera tua, come digiuni, orazioni, atti di penitenza ed altre cose buone, volta prima la mente all’offerta che Cristo faceva al Padre dei suoi digiuni, orazioni ed altre opere, ed in confidenza del valore e virtù di queste, offri poi le tue. Che se vorrai al Padre celeste fare offerte delle opere di Cristo per i debiti tuoi, tu la farai a questo modo. – Darai uno sguardo generale e talvolta distinto ai tuoi peccati, e vedendo chiaramente che non è possibile che tu da te possa placare l’ira di Dio, né soddisfare la divina giustizia, ricorrerai  alla vita e passione del Figliuol suo, pensando ad alcuna sua operazione, come per esempio, quando digiunava, orava, sopportava e spargeva il Sangue, dove vedrai che, per renderti placato il Padre e per lo debito delle tue iniquità, gli offriva quelle sue opere, passioni e Sangue, quasi dicendo: Ecco, Padre eterno, che secondo la tua volontà io soddisfo alla tua giustizia, sovrabbondantemente, per li peccati e debiti di N. piaccia alla tua Divina Maestà di perdonargli, e riceverla nel numero dei tuoi eletti. – Onde tu allora quella stessa offerta e queste preghiere offri per te ad esso Padre, supplicandolo che in virtù loro ti rimetta ogni debito. E questo potrai fare, non solamente passando da uno ad un altro mistero, ma anche dall’uno all’altro Atto di ciascun di essi, e non pure per te, ma per altri ancora ti potrà servire questo modo  di offerta.

Della Devozione sensibile edelle aridità.

CAP. LIX

La devozione sensibile è cagionata ora dalla natura, ora dal demonio, ed ora dalla grazia: dai frutti suoi potrai discernere d’onde proceda; perché se non ne segue in te miglioramento di vita, hai da dubitare che sia dal demonio o dalla natura, e tanto più quanto sarà accompagnata da maggior gusto, dolcezza ed attacco e da qualche stima di te stessa. – Onde, quando ti sentirai addolcire la mente dai gusti spirituali, non stare a disputare da che parte ti vengano, né ti appoggiare ad essi, né ti lasciar cavare dalla cognizione del tuo niente, e con maggior diligenza ed odio di te stessa, studiati di tener libero cuor tuo da qualunque attacco, benché spirituale, e desidera  dolo Dio ed il suo compiacimento che a questo modo, o sia il gusto dalla natura o dal demonio, ti diventerà dalla grazia. L’aridità può procedere parimenti dalle tre dette cagioni. Dal demonio per intiepidire la mente e rivoltarla dall’impresa spirituale a’ trattenimenti e diletti del mondo. Da noi stessi per le nostre colpe, attacchi della terra, e negligenze; dalla grazia, o per darci avviso che siamo più diligenti a lasciare ogni attacco, ed occupazione che sia Iddio, ed in Lui non si termini; o perché conosciamo per esperienza che ogni nostro bene ci viene da Lui, o perché più stimiamo per l’avvenire i doni suoi, e siamo più umili e cauti a conservarli, o per unirci più strettamente con Sua divina Maestà con la totale rinunzia di noi stessi, anco nelle delizie spirituali, acciocché a queste attaccato il nostro affetto, non dividiamo il cuore che il Signore vuole tutto per sé, oppure perché Egli si compiace per nostro bene di vederci combattere con tutte le nostre forze ed uso della grazia sua. – Dunque, se ti sentirai arida entra in te stessa a vedere per qual tuo difetto ti sia stata sottratta la devozione sensibile, e contro quello prendi la pugna, non per recuperare la sensibilità  della grazia, ma per togliere da te quello, che spiace a Dio. – E non trovando il difetto, sia la tua devozione sensibile, la vera devozione ch’è la rassegnazione pronta alla volontà di Dio. E però fa che a nessun conto tu tralasci i tuoi esercizi spirituali, ma seguili con ogni sforzo per infruttuosi ed insipidi che ti paressero, bevendo volentieri il calice di amaritudini, che nell’aridità ti porge l’amorosa volontà di Dio. E se l’aridità talora fosse accompagnata da tante e così folte tenebre di mente, che tu non sappi né dove voltarti, né che partito prendere; non però ti sbigottire, ma sta solitaria e salda in Croce, lontana da ogni diletto terreno, ancora che dal mondo o dalle creature ti fosse offerto. Occulta la tua passione a qualunque persona, eccetto che al tuo padre spirituale al quale la scoprirai non per alleggerimento di pena, ma per tuo ammaestramento nel modo di sopportarla, secondo il piacimento di Dio. Le comunioni, orazioni, e gli altri esercizi, non li usare perché tu scenda di Croce, ma per ricevere forza di esaltare detta Croce a maggior gloria del Crocifisso. E non potendo per la confusione di mente, meditare ed orare a modo tuo, medita nel miglior modo che puoi. E quello che non puoi eseguire con l’intelletto, fatti violenza, perché l’eseguisca con la volontà e con le parole, favellando teco e col Signore, che ne vedrai effetti mirabili, e così il cuor tuo piglierà fiato, e forza. Potrai dunque in tal caso dire: Quare tristis es, anima mea etquare conturbas me? Spera in Deo, quoniam adhuc confitebor illi, salutare vultus mei, et Deus meus. Ut quid, Domine, recessisti longe, despicis in opportunitate in tribulatione? Non me derelinquas usquequaque. – E ricordandoti di quella sacra dottrina, che Iddio infuse nel tempo delle tribolazioni alla sua diletta Sara, moglie di Tobia, servitene anche tu dicendo con viva voce: Hoc autem prò certo habet omnis, qui te colit, quod vita ejus si in probatione fuerit, coronabitur; si autem in tribulatione fuerit, liberabitur: et si in correptione fuerit, ad misericordiam tuam venire licebit. Non enim delectaris in perditionibus nostris, quia post tempestatem tranquillum facis, et post lacrimationem et fletum, exultatione infundis. Sit nomen tuum, Deus Israel benedictum in sæcula. (Tob. III, 22-23). [Ma questo è tenuto Per certo da chiunque ti onora, che se la sua vita sarà messa alla prova, ei sarà coronato;  e s’ei, sarà in tribolazione, sarà liberato; e se  sarà sotto la verga potrà pervenire alla tua misericordia. Perocchè tu della perdizione nostra non hai diletto, e dopo la tempesta fai la bonaccia, e dopo le lacrime, e i sospiri infondi il giubilo. Sia il nome tuo, o Dio d’Israele, benedetto pe’ secoli.] – Ti ricorderai ancora del tuo Cristo che nell’orto e nella Croce, a sua gran pena, dal Padre suo abbandonato, e con esso sopportando la Croce di tutto cuore dirai: Fiat voluntas tua. – Che, così facendo, la tua pazienza ed orazione leveranno le fiamme del sacrificio del tuo cuore insino al trono di Dio, rimanendo tu vera devota. Essendo (come ti ho detto) la vera devozione, una viva prontezza di verità e ferma, di seguire Cristo con la Croce in spalla per qualunque via a sé ne invita e chiama, e volere Dio per Dio, e lasciare talvolta Dio per Dio. E se da questa e non dalla sensibile devozione, molte persone che attendono allo spirito, e massimamente le donne, misurassero il profitto loro, non sarebbero ingannate da loro stesse né dal demonio, né si dorrebbero inutilmente da loro stesse, anzi ingratamente, d’un tanto bene che loro fa il Signore, ed attenderebbero con fervore maggiore a servire S. D. M. che tutto dispone a gloria sua e nostro bene. Ed in questo ancora s’ingannano le donne, che con timore e prudenza si guardano dalle occasioni di peccati, le quali essendo talora molestate da orribili, brutti e spaventevoli pensieri, e quando da visioni ancora bruttissime, si confondono, si perdono d’animo, e si danno a credere d’esser abbandonate e lontane in tutto da Dio, non potendosi persuadere, che in mente piena di sì fatti pensieri vi possa abitare il suo divino spirito. – Così restando molto abbattute, quasi sono per disperarsi, e lasciano ogni loro buon esercizio, ritornarsene all’Egitto. Né comprendono bene queste, la grazia che loro fa il Signore, il quale le lascia assalire da questi spiriti di tentazione, per ridurle al conoscimento di loro stesse, e perché come bisognose di aiuto, si accostino a Lui. Onde ingratamente si dolgono di quello, di che dovrebbero restarne obbligate alla sua infinita bontà. – Quello, che tu devi fare in tali avvenimenti, si è, che ti profondi nella considerazione della tua inclinazione perversa, la quale vuole Iddio per tuo bene, che tu conosca pronta ad ogni gravissimo male, e che senza il suo soccorso precipiteresti in estrema rovina. E da questo entra in speranza e confidenza ch’Egli sia per aiuto, poiché ti fa vedere il pericolo, e ti vuol tirare più presto a sé con l’orazione, e col ricorso a Lui, al quale perciò ne devi rendere umilissime grazie. E tieni per certo, che simili spiriti di tentazione, e pensieri brutti meglio si cacciano con una paziente tolleranza della pena, e con una destra rivolta di spalle, che con troppo ansiosa resistenza.

 Dell’Esame della Coscienza.

CAP. LX

Per l’esame della coscienza, considera tre cose:

Le cadute di quel giorno.

La cagione loro, e

L’animo, e la prontezza, che tieni per far loro guerra, ed acquistare le virtù loro contrarie.

Intorno alle cadute farai, quanto ti ho detto nel Capitolo di quando siamo feriti.  La cagione di esse ti sforzerai di abbattere, e mandare a terra. – La volontà per far questo e per l’acquisto delle virtù, fortificherai con la diffidenza di te stessa, con la confidenza in Dio, con l’orazione, e con la moltitudine degli atti odiosi del vizio, e desiderosi della virtù contraria. – Le vittorie ed opere buone, che avrai fatte, ti siano sospette. Oltre che non consiglio che molto le consideri, per lo pericolo quali inevitabile, almeno di qualche motivo occulto di vanagloria, e superbia. Onde lasciatele addietro tutte alla misericordia di Dio, quali essi siano, indrizza il tuo pensiero al molto più, che ti rimane da fare. Per quanto tocca poi al rendimento di grazie dei doni e favori, che il Signore ti ha fatti in quel giorno, riconoscilo per fattore d’ogni bene e ringrazialo, perché ti ha liberata da tanti nemici manifesti, e molto più dagli occulti; che ti ha dati pensieri buoni occasioni delle virtù e di ogni altro benefizio che tu non conosci.

Come in questa battaglia fa bisogna continuare, combattendo sempre fino alla morte.

CAP. LXI

Fra le altre cose, che si ricercano in questo combattimento, l’una è la perseveranza, con la quale dobbiamo attendere a mortificare sempre le nostre passioni, che in questa vita non muoiono mai, anzi come mal’erba ogn’or germogliano. E questa è battaglia, che siccome non finisce se non con la vita, così non si può da noi fuggire, e chi non vi combatte di necessità vi resta preso e morto. Oltre ciò si ha da far con nemici che ci portano odio continuo, onde non se ne può sperar pace né tregua giammai, poiché più crudelmente uccidono, chi più cerca di farsi lor amico. Non ti hai però da spaventare per la potenza, e numero loro, perché in questa battaglia non può restare perditore se non chi vuole. E tutta la forza dei nostri nemici sta in mano del Capitano, per l’onore del quale abbiamo a combattere. Egli non pure non permetterà che ti sia fatta soverchieria, ma per te ancora prenderà le armi, e come più potente di tutt’i tuoi avversari ti darà la vittoria in mano, se tu però con lui insieme, virilmente combattendo, non in te, ma nella sua potenza, e bontà confiderai. – E se il Signore non cosi presto  ti concedesse la palma, non ti perdere d’animo, perché tu hai da essere certa (e questo ti gioverà anco a combattere confidentemente) ch’Egli tutte le cose, che ti si faranno incontro, e quelle che più ti pareranno lontane, anzi contrarie alla tua vittoria (siano di che forte si vogliano) convertirà in benefizio, e vantaggio tuo, se tu ti porterai da fedele e generosa combattitrice. Tu dunque figliuola seguendo il tuo celeste Capitano, che per te ha vinto il Mondo, e dato morte a sè stesso, attendi con magnanimo cuore a quella battaglia, ed alla totale distruzione i tutti i tuoi nemici: che se pure uno ne lasciassi vivo, ti farebbe come stecco negli occhi, e lancia nei fianchi, che t’impedirebbe il corso di così gloriosa vittoria.

Del modo di apparecchiarsi controi nemici che ci assaltano nel tempo della morte.

CAP. LXII

Avvegnaché tutta la nostra vita sia una guerra continua spra la terra, la principale però, e più segnalata giornata è nell’ultima ora del gran pellegrinaggio, poiché chiunque in quei punto cade, non si leva più. Quello che tu hai da fare per trovarti bene apparecchiata allora, è che in questo tempo, che ti è concesso, tu combatta virilmente, essendo, che chi combatte bene in vita, facilmente per l’abito buono già fatto,  ottiene vittoria nel punto della morte. – Oltre a ciò pensa spesse fiate con attenta considerazione alla morte, perché quando ti verrà sopra, la temerai meno, e la mente farà libera e pronta alla battaglia. Gli uomini mondani fuggono da questo pensiero, per non interrompere il compiacimento loro nelle cose terrene alle quali stando volentieri attaccati con amore, sentirebbe pena, se pensassero al doverle lasciare. Così non si diminuisce l’affetto loro disordinato, anzi sempre va più prendendo forza, onde poi il separarli da quella vita, e da cose tanto caro è loro di affanno inestimabile e maggiore alle volte in quelli che più lungamente le hanno goduto.Potrai anche per far meglio questo importante apparecchio immaginarti qualche fiata dì trovarti sola, senz’aiuto alcuno possa fra le ristrettezze della morte, e ridurti alla mente le cose frequenti che ti potrebbero a quel tempo travagliare, e qui poi discorrerai intorno ai rimedi, che ti porterò per potertene meglio servire in quest’ultima angustia, perché il colpo, che si ha da fare una volta sola, fa bisogno, che bene prima s’impari, per non commettere errore, dove non ha luogo l’emenda.

Di quattro assalti dei nostri  nemici nel tempo della morte; e primadell’assalto contro la fede, e del modo di difendersi.

CAP. LXIII

Quattro sono gli assalti principali, e più pericolosi, coi quali i nostri nemici sogliono farsi incontro a noi nel tempo della morte. Questi sono: La tentazione della fede. La disperazione. La vanagloria e varie illusioni, e trasfigurazione di demoni in Angioli di luce. Quanto al primo affare, se l’inimico ti comincerà a tentare con suoi falsi argomenti, ritirati presto dall’intelletto alla volontà dicendo: va addietro satanasso, padre di menzogna, ch’io non ti voglio pur udire, bastandomi di credere, quanto crede la Santa Chiesa Romana.E non dar luogo, per quanto puoi, a pensieri della fede, per amici che ti paressero, tenendoli per motivi del demonio per attaccare briga. Che se pure non fossi a tempo per ritirare la mente a segno, sta forte e falda bene, per non cedere a qualunque ragione, o autorità di scritture che l’avversario allegasse, perché tutte saranno tronche, o mal allegate, o mal interpretate, ancorché a te paressero buone, chiare, ed evidenti. E se l’astuto serpente ti domandasse quello, che crede la Chiesa Romana, non gli rispondere, ma vedendo la sua fallacia, e che pur ti vorrebbe prendere in parole, fa un atto interiore di più viva fede, oppure per farlo scoppiare di sdegno, rispondigli, che la S. Chiesa Romana crede la verità: e se replicasse ilmaligno: Qual è questa verità? tu ripiglia: Quello appunto, ch’ella crede. – Sopra tutto tieni sempre il cuore intento al Crocifisso, dicendo: Iddio mio Creatore, e Salvator mio, soccorrimi presto, e non ti partire da me, perché io non mi parta dalla verità  della tua Santa Fede Cattolica; e piacciati, che in quella, come per tua grazi a nata sono, così a gloria tua finisca questa vita mortale.

Dell’assalto della disperazione, e del suo riparo.

CAP. LXIV

L’altro assalto, col quale si sforza il perverso demonio di abbatterci affatto, è lo spavento, che ci mette con la memoria delle nostre colpe, per farci precipitare dentro la fossa della disperazione. In questo pericolo, attendi a questa regola certa, che i pensieri dei tuoi peccati sono dalla grazia, ed a tua salute, quando in te fanno effetto di umiltà, di dolore dell’offesa di Dio, e di confidenza nella bontà sua. Ma quando t’inquietano e pongono in diffidenza, e pusillanimità, ancorché a te paressero di cose vere, e sufficienti a darti adintendere che tu sei dannata, e che per te. non vi è più tempo di salute, riconoscili pure per effetto dell’ingannatore; umiliati più, e più confida in Dio, che a questo modo con le stesse sue armi, vincerai il nemico, ed al Signore darai la gloria. Dogliati sì dell’offesa divina, ogni volta che ti viene a memoria, ma però con confidenza nella tua passione domandane perdono. Di più ti dico che, se ti paresse che lo stesso Dio ti dicesse, che tu non sei delle sue pecorelle, tu però non dovresti lasciare in conto veruno la confidenza in Lui, ma umilmente dirgli: Hai ben ragione per i miei peccati, Signore mio, di riprovarmi , ma io nella tua pietà ne ho una maggiore, perché tu mi perdoni. Onde ti domando la salute di questa meschina creatura tua, dannata sì dalla sua malizia, ma redenta col prezzo del tuo Sangue. Mi voglio, Redentor mio, a gloria tua salvare, e con fiducia della tua immensa misericordia, mi lascio tutta nelle tue mani. Fa’ di me quanto ti piace, perché tu sei il mio unico Signore, che se anco mi uccidessi, pure in te voglio tener vive le speranze mie.

Dell’ assalto della vanagloria.

CAP. LXV

Il terzo assalto è della vanagloria, e presunzione. In questo non ti lasciar mai in niuna via immaginabile indurre ad una minima compiacenza di te, né  delle opere tue. Ma il tuo compiacimento sia nel Signore puramente, nella sua pietà, e nelle opere della sua vita, e passione. Avvilisciti sempre più negli occhi tuoi, infino all’ultimo spirito d’ogni bene fatto da te, che ti si rappresentasse davanti, riconosci Dio solo per Autore. Ricorri all’aiuto suo, ma non l’aspettare per i meriti tuoi, per molte, e grandi battaglie che avessi superate. E sta sempre in un santo timore, confessando sinceramente, che tutte le tue provvisioni farebbero vane, se sotto l’ombra delle sue ali non ti raccogliesse il tuo Dio, nella cui protezione unicamente confiderai. seguendo questi avvisi non potranno contro te prevalere i tuoi nemici. E cosi ti aprirai la strada per passare lietamente alla Gerusalemme celeste.

Dell’assalto delle illusioni, e false apparenze nel punto della morte.

CAP. LXVI

Se l’ostinato nostro nemico, che non si stanca mai di travagliare ti assalisce con apparenze false, e trasfigurazioni in Angiolo di luce, sta pur ferma e salda nella cognizione del tuo niente e digli arditamente: Ritorna infelice nelle tue tenebre ch’io non merito visioni, né ho bisogno di altro, che  della misericordia dei mio Gesù, e dei preghi di Maria Vergine, di S. Giuseppe e degli altri Santi. – E se pure ti paresse per molti quasi evidenti segni che fossero cose venute dal Cielo, ricusale pure e scacciale lungi da te, quanto puoi, né temer, che questa resistenza fondata nella tua indegnità dispiaccia al Signore, perché se il negozio farà suo, saprà Egli bene chiarirlo, e tu niente perderai, poiché chi dà la grazia agli umili non la leva per atti, che si facciano d’umiltà. – Queste sono l’armi più comuni che il nemico suole ad operare contro noi in quell’estremo passo. Ciascuno poi va tentando, secondo le particolari inclinazioni, alle quali il conosce più soggetto. Però prima, che si avvicini l’ora del gran conflitto, dobbiamo contro le nostre passioni più violente e che più ci signoreggiano, armarci bene, e combattere valentemente, per facilitare la vittoria, nel tempo che ci toglie ogni altro tempo di poterlo fare.

Pugnabis contra eos usque ad internecionem (1. Reg. XV, l8).

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (10)

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE (10)

[P. Lorenzo SCUPOLI, presso G. A. Pezzana, Venezia – 1767)

Della meditazione della passione di Cristo per cavarne diversi affetti.

CAP. LI

Quello che sopra ho detto intorno alla Passione del Signore serve per orare e meditare e per via di domande, ed ora soggiungo: come possiamo dalla stessa trarne diversi affetti. Ti proponi (per esempio) di meditare la Crocifissione, nel qual mistero, fra gli altri punti, puoi considerare i seguenti. – Primo. Come essendo il Signore sopra il monte Calvario, furiosamente spogliato da quelle arrabbiate genti, se gli tracciarono a pezzi le carni, attaccate, per le passate battiture ai vestimenti. – Secondo. Come gli fu levata di capo la Corona di spine, la quale essendogli poi rimessa, gli fu cagione di nuove ferite. – Terzo. Come fu a colpi di martello e chiodi crudelmente confitto in Croce. – Quarto. Come le sue sacre membra, non arrivando all’aperture fatto per lo detto effetto, furono con tanta violenza tirate da quei cani che gli ossi tutti slogati si potevano numerare ad uno ad uno. – Quinto. Come pendendo il Signore sul duro legno, né avendo altro sostegno, che dei chiodi, per lo peso del corpo, che calava abbasso, si allargarono ed inasprirono con indicibile dolore le sue sacratissime piaghe. Da questi o altri punti, volendo eccitar in te affetto d’amore, studiati con la meditazione di essi, di passare da cognizione in maggior cognizione dell’infinita bontà del tuo Signore e amore verso di te, che per te volle tanto patire che, quanto si aumenta in te questa cognizione, tanto crescerà parimenti l’amore. Dalla stessa cognizione della bontà ed amore infinito che lo stesso Signore ti ha mostrato, facilmente ne caverai contrizione e dolore di avere offeso tante volte e con tanta ingratitudine il tuo Dio, che per le tue iniquità è stato maltrattato; e stracciato in tante maniere. Per indotti a speranza, considera che in quello stato di tanta calamità, è caduto un Signore sì grande per estinguere il peccato e liberarti dai lacci del demonio e delle colpe tue particolari, per renderti propizio il suo Padre eterno, e per darti confidenza di ricorrere a Lui in ogni tuo bisogno. – Allegrezza ne sentirai passando dalle sue pene agli effetti loro, cioè che per quelle purga i peccati di tutto il mondo, placa l’ira del Padre, confonde il principe delle tenebre, uccide la morte e riempie le sedie Angeliche. Di più muoviti ad allegrezza per lo contento che ne riceve la Santissima Trinità, con Maria Vergine, la Chiesa trionfante e militante. Per incitarti all’odio dei tuoi peccati, tutti i punti che mediterai, applica a questo solo fine, come se per altro effetto il Signore non avesse patito, che per indurti all’odio delle tue male inclinazioni, e di quella appunto che ti domina, e più dispiace alla sua divina bontà. Per muoverti a meraviglia considera qual cosa può essere maggiore di questa, vedere il Creatore dell’universo, che a tutte le cose dà vita, esser perseguitato a morte dalle creature, vedere conculcata, avvilita la Maestà suprema! La giustizia condannata, sputacchiata la bellezza di Dio, odiato l’amore  del celeste Padre. Quella luce increata ed inaccessibile, ridotta in potestà delle tenebre; la stessa gloria e felicità, reputata disonore e vituperio del genere umano ed abissata in estrema miseria. Per compassionare il tuo addolorato Signore, oltre il meditar le sue pene esteriori, penetra col pensiero ad altre, senza paragone maggiori, che internamente lo tormentavano. Che se per quelle ti affliggerai, per quelle sia meraviglia, come non si spezzi il tuo cuore di doglia. Vedeva l’anima di Cristo l’offesa divina, come ora la vede in Cielo, la conosceva degnissima sopra modo d’ogni onore e servigio, ed a quello per ineffabile suo amore verso di lei, desiderava che tutte le creature s’impiegassero con tutte le forze loro. Onde vedendola per lo contrario, per le infinite colpe ed abbominevoli scelleratezze del mondo, così umanamente offesa e vituperata, era in un istesso tempo trafitta da infinite punture di doglie, le quali tanto più la cruciavano, quanto maggiore era il suo amore e desiderio, che sì alta Maestà fosse da tutti onorata e servita. – E come la grandezza di questo amore e desiderio non si può capire, cosi non è, chi possa arrivare a conoscere, quanto acerba e grave fosse perciò l’afflizione del Crocifisso Signore. Di più amando Egli tutte le creature indicibilmente, a proporzione di questo amore, si dolse sopra modo per tutti i loro peccati per li quali erano per separarsi da Lui, perché per ogni peccato mortale che avevano fatto, ed avevano da fare tutti gli uomini che furono, e faranno mai tante volte, quante ciascuno peccava, altrettante si separava dall’anima del Signore, con la quale era per carità consunto. Separazione tanto più dolorosa, che quella dei corporali membri, quando si disgiungono dal luogo loro naturale: quanto l’anima, per essere puro spirito, e del corpo più nobile e più perfetta, era perciò più capace di dolore. Fra queste passioni per le creature, fu acerbissima quella che provò il Signore per tatti i peccati dei dannati, i quali non potendo mai più riunirsi a Lui, erano per patire eterni incomparabili tormenti. E se l’anima intenerita del caro Gesù, passerà più avanti col pensiero, troverà in Lui per compatirle, pene pur troppo gravi non pure per li peccati commessi, ma per quelli ancora che non furono commessi mai: perché non è dubbio che il perdono di quelli e la preservazione da questi, ei guadagnò il Signor Nostro a costo dei suoi preziosi travagli. Non ti mancheranno, figliuola altre considerazioni per condolerti col tuo appassionato Crocifisso. Perché non è stato, né sarà mai dolore alcuno in qualsivoglia ragionevole creatura, ch’Egli in se stesso non abbia sentito. Le ingiurie e le tentazioni, le infamie e le penitenze, ed ogni angustia e travaglio di tutti gli uomini del mondo cruciarono l’anima di Cristo più vivamente che non fecero di quegli stessi che le patirono. Perché tutte le loro afflizioni, grandi e piccole dell’anima e del corpo, fino ad una minima doglia di capo e puntura d’ago, vide perfettamente, e per la sua immensa carità volle compatire ed imprimere nel cuor suo il pietosissimo Signor nostro. Ma quanto l’accorarono le pene della sua SS. Madre, non è chi lo possa spiegare. Perché Ella in tutti i modi, e per tutti i rispetti che il Signor si dolse e patì tanto, in tutti ancora, benché non così intensamente, ma però acerbissimamente si dolse e patì la Verginella Santa. E questi suoi dolori stessi rinnovarono al suo benedetto Figliuolo le interne plaghe, e ne restò, come tante saette infocate d’amore, ferito il suo dolcissimo Cuore, il quale per tanti tormenti, che ho detto, e per altri quali infiniti occulti a noi, ben si potrebbe dire, che fosse un “amoroso inferno di volontarie pene”, come si scrive di un’anima devota, che così con santa semplicità soleva chiamarlo. Se tu, Figliuola, consideri bene la cagione di tutti i suddetti dolori che tollerò il nostro Crocifisso Redentore e Signore, altri non troverai, che il peccato. Onde ne segue chiaramente, che il vero e principale compatire, ed il rendimento di grazie, ch’Egli da noi ricerca e gli dobbiamo indicibilmente, è il dolerci noi puramente per amor suo, della sua offesa, odiare sopra ogni odio il peccato e combattere generosamente contro tutti i nemici suoi e le male nostre inclinazioni, perché spogliatici dell’uomo vecchio e degli atti suoi ci vestiamo del nuovo, ornando l’animo nostro delle virtù evangeliche.

Dei profitti, che si possono trarre dalla  meditazione del Crocifisso,e della imitazione delle sue virtù.

CAP. LII

Tra gli altri profitti, che sono molti, che tu devi cavare da questa santa meditazione, l’uno sia che tu non pure ti dolga dei peccati tuoi passati, ma anche ti affligga perché vivano in te le disordinate tue passioni, che hanno posto in croce il tuo Signore. – L’altro, che tu le chieda perdono delle tue colpe e la grazia del perfetto odio di te stessa per non offenderlo più, anzi, in ricompensa di tanti suoi affanni per te, amarlo e servirlo per l’avvenire perfettamente; il che senza quest’odio non si può fare. – Il terzo, che con effetto tu perseguiti a morte ogni tua mala inclinazione per piccola che sia. – Il quarto è, che a tutto poteri ti sforzi d’imitare le virtù del Salvatore, il quale ha patito non pure per redimerci, soddisfacendo per le nostre iniquità, ma anco per darci esempio di seguitare i suoi santi vestigi. Qui ti propongo un modo di meditazione che ti servirà per questo effetto. Desiderando tu adunque di far acquisto (per esempio) della pazienza, per imitare il tuo Cristo, considera i seguenti punti: primo; quello che faccia l’anima di Cristo appassionato verso Dio. – Secondo che faccia Iddio verso l’anima di Cristo. – Terzo, che faccia l’anima di Cristo verso la stessa ed il suo sacratissimo Corpo. – Quarto, quello che faccia Cristo verso di noi. – Quinto, quello che noi dobbiamo fare verso Cristo. Primieramente dunque considera, come l’anima di Cristo, stando tutta intenta in Dio, stupisce vedendo quella infinita e incomprensibile grandezza, a pari di cui tutte le cose create sono come un puro niente, sottoposta (stando più immobile nella sua gloria) a sopportare in terra trattamenti degnissimi per l’uomo, da cui non ha ricevuto altro che infedeltà ed ingiurie, e come l’adora, la ringrazia, e tutta se le offre. – Secondo. Mira appresso che fa Iddio verso l’anima di Cristo, come vuole e la spinge a sostenere per noi le guanciate, gli sputi, le bestemmie, i flagelli, le spine e la Croce, scoprendole il suo compiacimento di vederla tutta ricolmata d’ogni sorta di obbrobri ed afflizioni. – Terzo. Da quello passa all’anima di Cristo, e pensa come col suo intelletto tutto lume scorgendo, quanto sia grande in Dio questo compiacimento, e con l’affetto tutto fuoco amando sua Divina Maestà, sopra ogni misura, e per l’infinito suo merito, e per gli obblighi immensi che gli aveva; essendo da lei invitata a patire per nostro amore ed esempio, contenta e lieta si dispone ad ubbidire prontamente alla sua santissima volontà. E chi può penetrare dentro quei profondi desideri, che di ciò aveva quell’anima purissima, ed amorosissima? Quivi ella si trova quasi in un labirinto di travagli, cercando sempre e non trovando (come vorrebbe) nuovi modi e vie di patimenti. E però liberamente dà tutta se stessa e le sue innocentissime carni, perché ne facessero ciò che volessero, in discrezione e preda degl’iniqui uomini, e demoni dell’inferno. – Quarto. Dopo questo riguarda il tuo Gesù, che con occhi di pietà verso di te rivolto ti dice: Ecco, figliuola, dove, per non volerti tu fare un poco di violenza, mi hanno condotto le tue smoderate voglie. Ecco quanto patisco e quanto allegramente per tuo amore, e per darti esempio di vera pazienza. Per tutti i dolori miei, ti prego, figliuola, che tu porti volentieri questa Croce, ed ogni altra che a me più piaccia, lasciandoti affatto nelle mani di tutti i persecutori che ti darò, siano pure vili e crudeli quanto più si possa, contro l’onore ed il corpo tuo. Oh, se tu sapessi la consolazione che ne sentirò! Ma puoi bene vederla in quelle ferite che ho volute come care gioie ricevere, per ornare di preziose virtù la povera anima tua, da me, sopra ogni tua stima diletta. E se io per questo sono ridotto a così estremo passo, perché, sposa mia cara, non vorrai tu patire un poco per soddisfare al cuor mio, ed addolcire quelle piaghe che mi ha cagionate la tua impazienza, la quale più che le piaghe tue stesse, così amaramente mi afflisse? – Quinto. Pensa poi bene. Chi sia quello che cosi teco ragiona e vedrai, che è lo stesso Re di gloria Cristo vero Dio, ed uomo vero. Confiderà la grandezza dei suoi tormenti, e vituperi che sarebbero indegni del più infame ladro del mondo. Vedi il tuo Signore fra tanti strazi stare non pure immobile e paziente a meraviglia, ma che ne gode, come di sue nozze. E che siccome per poco acqua più si accende il fuoco, così con l’aumento dei cruciati, che alla sua sovrabbondante carità erano piccioli, cresceva più sempre il godimento e la brama di soffrirne di maggiori. Considera che tutto ciò ha patito ed operato, il clementissimo Signore, non per forza né per suo interesse, ma (come Egli ti ha detto) per la carità sua verso di te, e perché tu a sua imitazione ti eserciti nella virtù della pazienza: e penetrando bene à dentro quello che Egli da te vuole, ed al contento che gli darai con l’esercitarti in quella virtù, produci atti d’infuocate voglie di portare non solo pazientemente, ma con allegrezza, la tua Croce d’allora ed ogni altra, quando fosse più grave, per meglio imitare il tuo Dio, e dargli maggior conforto. – E ponendoti innanzi gli occhi della mente le sue ignominie ed amarezze gustate per te, e la costanza sua, vergognati di stimare che la tua sia pura ombra di pazienza, né i tuoi siano veri dolori e vituperi. E temi e trema, che anco un minimo pensiero di non voler patire per amore del tuo Signore, trovi luogo da fermarsi pure un poco dentro al tuo cuore. Questo stesso Signore crocifisso, figliuola mia, è il libro ch’io ti dò a leggere, dal quale tu potrai cavarne il vero ritratto d’ogni virtù. Perché essendo libro di vita, non pure ammaestra l’intelletto con parole, ma anche con il vivo esempio infiamma la volontà. Dei libri è pieno tutto il mondo, e nondimeno non possono tutti insieme così perfettamente insegnare il modo d’acquistare tutte le virtù, come si fa mirando in Dio Crocifisso. – E sappi figliuola, che coloro che spendono molte ore in piangere la passione di Nostro Signore e considerare la pazienza sua, e poi nelle avvesità, che sopravvengono, si mostrano cosi impazienti, come se nell’orazione avessero ogni altra cosa appreso, sono simili a dei soldati del mondo che, sotto i padiglioni avanti il tempo della battaglia si promettono cose grandi, e poi al comparir dei nemici, lasciate le armi, si danno a fuggire. E qual cosa può essere più stolta, e miserabile di questa, che mirare come in un lucido specchio le virtù del Signore ed amarle, ed ammirarle, e poi scordarsene affatto, o non stimarle, quando si presenta l’occasione di esercitarle?

Del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

CAP. LIII

Sin qui figliuola, ti ho (come hai veduto) provveduta di quattro armi, che ti bisognavano per vincere i tuoi nemici, e di molti avvertimenti, per maneggiarle bene, ma ora resta che io te ne proponga un’altra, che è il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia. Che siccome questo Sacramento è sopra tutti gli altri Sacramenti, così questa quint’arma è superiore a tutte le altre. Le quattro suddette pigliano il valore, e dai meriti e grazia che ci hanno meritato il Sangue di Cristo, ma quest’arma è il Sangue e la carne con l’anima e la divinità di Cristo. Con quelle si combatte contro i nemici, con la virtù di Cristo, e Cristo li combatte insieme con noi, poiché, chi mangia la carne di Cristo, e beve il suo Sangue, sta con Cristo e Cristo sta con Lui. E perché questo SS. Sacramento, e quest’arma in due modi si può esercitare, e pigliare Sacramentalmente una volta il giorno, e spiritualmente ogni ora, ed ogni momento, non devi lasciare di prenderla spessissime volte nel secondo modo, e sempre, quando ti è concesso, nel primo.

Del modo di ricevere il SS. Sacramento dell’Eucaristia.

CAP. LIV

Per diversi fini possiamo noi accostarci a questo Divinissimo Sacramento, per conseguire li quali abbiamo a fare diverse cose divise in tre tempi. Avanti la comunione, quando stiamo per comunicarci: e dopo la comunione. – Avanti la comunione (e ricevasi pure per qual fine si voglia) è di bisogno, che ci laviamo e mondiamo col Sacramento della penitenza dalla macchia di peccato mortale, se vi fosse, e che con l’affetto di tutto cuore ci diamo tutti con tutta l’anima, con tutte le forze, e con tutte le potenze a Gesù Cristo, ed a quanto piace a Lui giacché Egli in questo Sacratissimo Sacramento a noi dà il sangue suo, e la carne, con l’anima, con la divinità, o con i meriti suoi: e considerando che poco e quasi niente è il dono nostro a rispetto del suo, dobbiamo considerare d’avere, quanto mai gli hanno offerto e dato tutte le creature umane e celesti, per darlo a sua Divina Maestà. Onde volendo tu riceverlo a fine, che si vincano in te e distruggano i tuoi e suoi nemici, avanti che ti comunichi, comincia dalla sera, o quanto prima, a considerare il desiderio che ha il Figliuolo di Dio, che tu gli dia luogo nel cuor tuo, con questo Sacramento, per unirsi teco, ed aiutarti ad espugnare ogni tua viziosa passione. Questo desiderio è nel Signor nostro così grande ed immenso, che da creato intelletto non può esser compreso. Tu per fartene in qualche parte capace, t’imprimerai bene nella mente due cose. Una è il compiacimento ineffabile del sopra buono Iddio di starsi con noi, poiché questo chiama delizie sue. – L’altra è il considerare, ch’Egli odia sopra modo il peccato, e come impedimento ed ostacolo alla sua unione con noi tanto da Lui bramata, e come in tutto contrario alle Divine perfezioni sue, perché essendo Egli sommo bene, pura luce e bellezza infinita, non può se non odiare, ed abbominare infinitamente il peccato, che altro non è che tenebre, difetto e macchia intollerabile delle anime nostre. Ed è così ardente quest’odio del Signore contro il peccato, che alla sua distruzione sono state ordinate tutte le opere del vecchio e nuovo Testamento, e particolarmente quelle della sacratissima passione del suo Figliuolo, il quale dicono gl’illuminati Servi di Dio, che per annullare in noi ogni nostra ben piccola colpa, di nuovo (se fosse bisogno) si esporrebbe a ben mille morti. Dalle quali considerazioni, venendo tu a comprendere, benché molto imperfettamente, la grandezza del desiderio che tiene il Signore di entrare nel cuor tuo, per scacciare fuori ed abbattere in tutto i tuoi e suoi nemici, ecciterai in te una viva voglia di riceverlo per l’istesso effetto. – Cosi fatta tutta generosa, e preso d’animo dalla speranza della venuta in te del tuo celeste Capitano, chiama più volte a battaglia la passione che hai presa per vincere e reprimerla con replicate ed odiose voglie, producendo atti di virtù a quella contrari, e così andrai continuando la sera e la mattina avanti la SS. Comunione. – Quando poi sarai per prendere il Santo Sacramento, un poco avanti darai un breve sguardo ai tuoi mancamenti dalla precedente Comunione fino allora, i quali così sono stati da te commessi, come se Iddio non fosse, né avesse per te tanto tollerato ne’ misteri della Croce, facendo tu più conto di un vile contento e delle tue voglie, che della volontà di Dio e del suo onore, e con vergogna di te medesima, e con un santo timore ti confonderai nella tua ingratitudine ed indegnità. Ma pensando poi, che l’abisso smisurato della bontà del tuo Signore, chiama l’abisso della tua ingratitudine e poca fede, accostati a Lui confidentemente, dandogli largo luogo nel cuore, perché se ne faccia total Padrone. Ed allora gli darai largo luogo, quando da esso cuore ne scaccerai fuori qualunque affetto delle creature, chiudendolo poi perché altro non vi entri, che il tuo Signore. – Comunicata che sarai, ritirati subito nel segreto del cuor tuo, ed adoratelo prima, così con ogni umiltà e riverenza, ragiona mentalmente col tuo Signore: Tu vedi unico mio bene, quanto facilmente io ti offenda, e quanto possa contro di me questa passione e che da me non valgo a liberarmi. Però tua è principalmente questa pugna, e da te solo spero la vittoria, benché a me ancora bisogni combattere. Poi rivolta al Padre Eterno, offrigli per rendimento di grazie, e per la vittoria di te stessa il suo benedetto Figliuolo, ch’Egli ti ha dato e che già tieni dentro di te, e generosamente combattendo contro la suddetta passione, con fede  aspetta la vittoria da Dio, che non è per mancarti, se dal tuo canto tu farai quanto potrai, ancorché la ritardasse.

Come dobbiamo prepararci alle Comunione, affine di eccitare in noi l’amore.

CAP. LV

Per eccitarti con questo sopra-celeste Sacramento ad amar il tuo Dio, ti volterai col pensiero all’amore suo verso di te, meditando dalla sera innanzi. – Come quel grande ed onnipotente Signore, non contento d’averti creata ad immagine e somiglianza sua, e d’avere mandato in terra il suo Unigenito Figlio a patire trentatré anni per le tue iniquità e sopportar asprissimi travagli, e la penosa morte della Croce per ricomperarti, volle di più lasciartelo per tuo cibo e bisogno nel SS. Sacramento dell’Altare. Considera bene, figliuola l’eccellenza incomprensibile di questo amore, che lo rendono in tutte le sue parti perfettissimo e singolare. Perché se miriamo al tempo, il nostro Iddio ci ha amato perpetuamente e senza alcun principio, e quanto Egli è eterno nella sua divinità, tanto ancora eterno è l’amore col quale avanti tutti i secoli fu stabilito nella sua mente di darci il suo Figlio in questo modo meraviglioso. Di che giubbilando dentro di te per interna letizia, potrai così dire: Dunque in quell’abisso di eternità, la mia piccolezza era tanto stimata ed amata dal sommo Dio, ch’Egli pensava di me e bramava, con voglie di carità ineffabile, di darmi il suo stesso Figliuolo in cibo? – Secondo. Di più, tutti gli altri amori, per grandi, che siano, hanno qualche termine, né possono più oltre estendersi, ma questo solo del Signor nostro è senza misura. E però volendo soddisfarsi a pieno, ha dato il proprio Figliuolo, di Maestà ed infinità uguale a Lui,  e di una stessa sostanza e natura. Onde tanto è l’amore, quanto il dono, e tanto il dono, quanto l’amore, e l’uno e l’altro così grande, che maggior grandezza da nessuno intelletto immaginar si puote. – Terzo. Né ad amarci è stato tirato Iddio da alcuna necessità o forza, ma in sua intrinseca naturale bontà unicamente l’ha mosso a tale e tanto incomprensibile affetto verso di noi. – Quarto. Né opera alcuna o merito nostro ha potuto precedere, perché quell’immenso Signore facesse con la meschinità nostra  tanto eccesso di amore, ma per sua sola liberalità, tutto si è Egli donato a noi indegnissime creature sue. – Quinto. E se ti rivolti col pensiero alla purità di questo amore vedrai che non è, come gli amori mondani, mischiato con alcuno interesse, poiché il Signore nostro non ha bisogno dei nostri beni, essendo Egli senza noi in sé stesso solo, felicissimo, e gloriosissimo, come è stata la sua ineffabile bontà e carità puramente impiegata in noi, non per suo, ma per beneficio nostro. – Il che pensando tu bene, dirai fra te medesima: Com’è , che Signore tanto sublime, ponga il suo cuore in creatura così bassa? Che vuoi tu, Re di gloria? che aspetti da me, che altro non sono che poca polvere? Scorgo io bene, Dio mio, nel lume della tua sola carità, che un solo disegno ne hai, che più chiaramente mi scopri la purità del tuo amore verso di me, poiché non per altro mi ti doni tutto in cibo, che per convertirmi tutta in te, non  per bisogno che di me tu abbia, ma perché vivendola in me, io in te, io diventi per union amorosa tu stesso, e della viltà del cuore terreno si faccia teco un solo divino cuore. –  Onde tu piena di stupore, e giocondità, vedendoti così altamente pregiata, ed amata da Dio, e conoscendo ch’Egli col suo onnipotente amore altro non intende, né vuole da te, che ritirare in sé tutto l’amor tuo, togliendoti prima da tutte le creature, e poi anco da te stessa, che creatura sei; offriti tutta al tuo Signore in olocausto, perché da qui in poi il suo solo amore e piacimento divino muova l’intelletto, la volontà, la memoria tua, e regga i sensi tuoi. – E vedendo poi, che nessuna cosa possa in te produrre sì divini effetti, come il ricercarlo degnamente nel SS. Sacramento dell’Altare, aprigli il cuore per quell’effetto, con le seguenti orazioni giaculatorie ed aspirazioni amorose: « Oh cibo sopraceleste, quando sia quell’ora che non con altro fuoco che del tuo amore io mi santifichi tutta a te, quando, quando, o amore increato? Oh pane vivo, quando io vivrò solamente in te, per te, ed a te? Deh quando, vita mia, vita bella, gioconda, ed eterna? O manna celeste, quando fastidita io di qualunque altro cibo terreno te sola bramerò? di te sola mi pascerò? quando sarà, dolcezza mia, quando unico mio bene? Deh Signor mio amoroso ed onnipotente, libera ormai questo misero cuore da ogni attacco e da ogni viziosa passione, ornalo delle tue sante virtù, e di quel fine puro di fare ogni cosa puramente per piacere a te, che a questo modo verrò io ad aprirti il cuore, ti invierò e ti farò dolce violenza, perché vi entri: onde tu, Signore, senza resistenza opererai poi in me quegli effetti, che hai sempre desiderati. » – Ed in questi amorosi affetti ti potrai esercitare la sera, e la mattina, per l’apparecchio della Comunione. Avvicinandosi poi il tempo della comunione, pensa, che cosa sei per pigliare: il Figliuolo di Dio, di Maestà incomprensibile avanti della quale tremano i Cieli, e le potestà tutte; il Santo dei Santi, lo Specchio senza macchia e la Purità incomprensibile, alla comparazione della quale non è creatura che monda sia; quello che, come verme e feccia della plebe, volle per amor tuo essere rifiutato, calpestato, illuso, sputacchiato, e crocifisso dalla malizia ed iniquità del mondo. Sei (dico) per ricevere Dio, in mano del quale sta la vita e la morte di tutto l’universo. – Che tu all’incontro, come da te sei un niente, e che per lo peccato e malizia tua, ti sei fatta inferiore a qualunque vilissima ed immonda creatura irrazionale, degna d’esser confusa ed illusa da tutti i demoni infernali. E che in cambio di gratitudine e tanti immensi ed innumerabili benefìci, hai nei tuoi capricci e voglie spregiato un tanto e tale, alto ed amorevole Signore, e conculcato il suo prezioso sangue. – Che con tutto ciò, nella sua carità perpetua ed immutabile bontà, Egli ti chiama alla sua divina mensa, e talora ti costringe, perché vi vada con minacce di morte e chiude la porta della sua pietà, né anco ti volta le sue divine spalle, benché tu per natura sei lebbrosa, zoppa, idropica, cieca, indemoniata, e ti sei data a molti fornicatori. Questo solo domanda da te; Primo, che ti dolga dell’offesa sua. Secondo. Che abbi sopra ogni altra cosa in odio il peccato e grande e picciolo. Terzo. Che tutto ti offra e dia con l’affetto di sempre, e con gli effetti sei nelle occasioni alla volontà obbedienza sua. Quarto. Che speri poi, ed abbi ferma fede, che Egli ti perdonerà, ti farà monda, e guarderà da tutti i nemici tuoi. Confortata da questo amore ineffabile del Signore, ti accosterai poi per comunicarti con un timore santo ed amoroso, dicendo: Io, Signore, non son degna di riceverti per tante e tante volte, che gravemente ti ho offeso, né ancora ho pianto come devo, l’offesa tua. Io, Signore non sono degna di riceverti, perché non sono affatto monda dagli affetti de’ peccai veniali. Io, Signore, non sono degna di riceverti, perché ancora non sinceramente mi sono data al tuo amore, alla tua volontà, ed all’ubbidienza tua. Deh! Signor mio onnipotente ed infinitamente buono, nella virtù della tua bontà e parola, fammi degna, che con quella fede (amor mio) io ti riceva. – Comunicata che sarai, rinchiuditi subito nel segreto del cuor tuo, e scordata di qualunque cosa creata, a questo o somigliante modo ragiona col tuo Signore: O Altissimo Re del Cielo, chi ti ha condotto dentro di me, che sono miserabile, povera, cieca ed ignuda, ed Egli ti risponderà, Amore. E tu replicando dirai: O Amore increato, o Amore dolce, che cosa vuoi tu da me? Non altro ti dirà Egli, che Amore, né altro fuoco voglio, che arda nell’Altare del tuo cuore e nei sacrifici tuoi, ed in tutte le opere tue, che il fuoco dell’amor mio, che consumando ogni altro amore ed ogni tua propria volontà, mi dia odore soavissimo. Questo ho domandato e domando sempre, perché bramo d’essere tutto tuo, e che tu sii tutta mia. Il che non sarà giammai, mentre non facendo di te quella rassegnazione che tanto mi diletta, starai attaccata all’amore di te medesima al tuo proprio parere, e ad ogni tua voglia, e reputazione. – Ti domando l’odio di te stessa per darti il mio amore; e il tuo cuore perché si unisca col mio, che per questo mi fu aperto in Croce, e chieggo tutta te, perché io sia tutto tuo. Tu vedi, che io sono d’incomparabile prezzo, e niente di meno  per mia bontà valgo, quanto vali tu. Comprami dunque ormai anima mia diletta, con dare te a me. Io voglio, figliuola mia dolce, da te, che tu niente voglia, niente pensi, niente intenda, niente veda fuori di me e della mia volontà; acciocché io in te tutto voglia, pensi, intenda e veda, in modo che il tuo niente assorto nell’abisso della mia infinità in questa si converta: così tu sarai in me pienamente felice, e beata ed Io in te tutto contento. Finalmente offrirai al Padre suo Figliuolo, prima per rendimento di grazie, poi per li bisogni suoi, di tutta la Chiesa Santa, di tutt’i tuoi, di quelli a’ quale sei obbligata, e per le anime del Purgatorio; e questa offerta la farai con la memoria ed unione di quella che Egli fece di se stesso quando tutto cruento e pendendo in Croce, si offrì al Padre. – Ed in questo modo gli potrai offrir tutti i sacrifici, che in  quel giorno si fanno nella Chiesa Romana.