LA PREGHIERA DI PETIZIONE (16)

28. — Come?… Quando?… Dove?…

Certe cose sta bene ripeterle. L’attitudine, la disposizione, i sentimenti ed anche il modo di esprimerci che dobbiamo avere quando preghiamo, devono essere in tutto somiglianti a quelli d’un poveretto quando domanda l’elemosina ad un signore, d’un figlio che chiede il fabbisogno al papà, d’un amico che domanda un favore all’amico. — Se la nostra preghiera non è tale, essa sarà qualsiasi altra cosa; ma vera preghiera non è. Perciò mi sembra che, quando preghiamoci sia pur necessaria un po’ di attenzione e di bella maniera. Eh, già! poiché diversamente non si potrebbero giustificare le seguenti espressioni della S. Scrittura e dei Santi, che metto qui alla rinfusa, ma che meritano di essere posatamente. meditate: « Prima della preghiera prepara l’anima tua, e non essere come uno che tenti Dio… Questo popolo mi onora colle labbra, ma il suo cuore è lontano da me » (Eccli.18, 22; Is. 29, 30). « Chi nelle sue preghiere non attende nè a Chi parla, nè di che cosa parla, stia pur certo che, per quanto meni le labbra, farà ben poco di bene » (S. Teresa di G.). « Come mai pretendi di essere esaudito, se non ascolti neppur te stesso? Vuoi forse che Dio si ricordi di te, quando tu stesso sei fuori di te? » (S. Cipriano). « Non è senza peccato chi (volontariamente) sta distratto nella preghiera. Pare che disprezzi Dio, come chi, parlando con un altro, non attende a ciò che dice » (S. Tamaso.d’Aquino). Eh, si! « faccio una grande ingiuria a Dio, allorchè lo prego di udir la mia preghiera, mentre io non ascolto me stesso. Lo scongiuro di badare a ciò che gli domando, mentre io non rifletto nè a me nè a Lui! (S. Bernardo). Per cui si deve credere che chi consciamente sta distratto nella preghiera, meriti la sentenza di S. Gregorio M., il quale ritiene che « Dio non ascolta quella preghiera, alla quale chi prega non sta attento ». Devi infatti pensare che « quale ti diporterai nel comparire davanti a Dio nella preghiera, tale si dimostrerà pur Dio verso di te o (S. Bernardo). – Per conseguenza puoi pur immaginarti come potrà essere accolta anche la preghiera di tanti i quali dicon sù le orazioni tanto da poter dire d’averle dette; di coloro che — al dire del santo Curato d’Ars — « quan0do pregano, par che dicano a Dio: Vi dirò due parole tanto per isbarazzarmi di Voi » — O anime! ma « come può essere che di tutti i padroni il peggio servito sia proprio l’Onnipotente?! ))(D’Hulst).

(1) Questa nota è per coloro che — per iscrupolo — sogliono ripetere le preghiere o parte delle preghiere già fatte. Essi — dice l’A Lapide — la sbagliano a far così: 1.° perchè questo loro scrupolo è vano e vizioso; 2°perchè tal ripetizione è irriverente; 3.° perchè così si alimentano e si accrescono gli scrupoli; 4.° perchè avendo già pronunziate smemoratamente le parole, hanno però soddisfatto all’obbligo di pregare; 5.° perchè, se anche erano distratti, tal distrazione ordinariamente non è volontaria e quindi neanche peccaminosa; 6.° perchè, se anche essa fosse stata in qualche modo volontaria e quindi pur peccaminosa, a tal peccato non si rimedia col ripetere la preghiera, ma bensì col pentirsi di essere stati volontariamente distratti »-In Eccli. 7, 15).

Eppure per tanti è proprio così. Dio, per essi, è sempre l’ultimo, come in tutto il resto, anche nella preghiera. S’accorgeranno però in morte con chi avevano da fare. Oh, se si accorgeranno!… E coloro che, pregando, nutrono il recondito desiderio che le loro preghiere non siano da Dio esaudite? Come si comporterà con costoro il Signore « che scruta il cuore e le reni » dell’uomo? (Salmo 7, 10). O cuore umano, tu hai davvero dei recessi insondabili; e guai se il Signore avesse a tener conto anche di tali sentimenti che, il più delle volte, non comportano vera responsabilità nell’individuo. Perciò preghiamo: O Signore, mondami dai miei peccati occulti! » (Salmo 18, 13).

Ma non deviamo. — Se dunque dalle nostre preghiere vogliamo trar profitto, « bisogna dir le orazioni fermandovi sopra il nostro pensiero profondamente ed eccitando i nostri affetti sopra il senso delle medesime, non affrettandoci in alcun modo per dirne molte, ma ingegnandoci a dir di vero cuore quelle che diremo; perché vale assai più un solo « Pater » detto con sentimento, che non molti recitati in fretta e distrattamente » (S. Francesco di Sales). — Questa norma è assai importante. È pur facile intuire che anche l’attitudine di chi prega debba essere composta e devota.

Chi sta distratto nella preghiera, merita la sentenza di S. Gregorio M., il quale ritiene che « Dio non ascrolta quella preghiera, alla quale chi prega non sta attento ». Devi infatti pensare che « quale ti diporterai nel comparire davanti a Dio nella preghiera, tale si dimostrerà pur Dio verso di te (S. Bernardo). Per conseguenza puoi pur immaginarti come potrà essere accolta anche la preghiera di tanti i quali dicon sù le orazioni tanto da poter dire d’averle dette; di coloro che — al dire del santo Curato d’Ars — « quando pregano, par che dicano a Dio: Vi dirò due parole tanto per isbarazzarmi di Voi » — O anime! ma « come può essere che di tutti i padroni il peggio servito sia proprio l’Onnipotente?! (D’Hulst). – Se mettiamo tanta cura a presentarci bene davanti a qualsiasi persona di riguardo, dobbiamo pur metterne un poca — sì, almeno un poca!— anche quando, pregando, ci presentiamo al (( Re dei re e al Dominatore dei dominanti » (Apoc. 19, 16). Ricordiamoci però che il nostro spirito dovrebbe essere sempre, cioè abitualmente, ben disposto davanti a Dio, per poter essere così ogni momento in grado di conversare, sia pur nel nostro intimo e senza muover !e labbra, con Lui; anche quando siamo sul lavoro, anche quando passiamo da un luogo all’altro, anche mentre ci nutriamo, anche conversando col prossimo, e perfino quando ci divertiamo. Anzi dovremmo sforzarci di giungere proprio a questo, onde assecondare il consiglio del Signore e il desiderio dell’Apostolo: « Bisogna pregar sempre e non venir mai meno… Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo » (Luc. 18, 1; I Tim. 2, 8). Avremo così raggiunto quello spirito di preghiera, che è spirito di continuo amoroso affiatamento con Dio e quindi pure di continua umile sottomissione al Signore. Oh! come bella sarebbe allora la vita anche su questa terra di miserie!

Dunque va bene pregare in ogni tempo e in ogni luogo (Si potrebbe aggiungere « in ogni lingua », poichè sta scritto: « Ogni ginocchio si piegherà davanti a Me, e ogni lingua liberamente confesserà Dio)) (Rom. 14, 11. Ma vedi anche Salmo 50, 16 e Filip. 2, 11). Anzi in privato ritengo che ognuno farebbe bene ad esprimersi nel proprio idioma, poichè esprimerebbe più esattamente, più cordialmente e più intelligibilmente i propri sentimenti. Non so se mi sbaglio a dir così.). In ogni tempo: però soprattutto, la mattina e la sera, durante i giorni festivi, prima e dopo i pasti, i lavori e i viaggi più importanti (1Recitate devotamente e non per uso le vostre orazioni mattina e sera, e non le trascurate, come tanti fanno, o per negligenza o per piccolo impedimento. Ma poichè, come dice S. Basilio, noi dovremmo più pregare che respirare, anche durante il giorno prendiamo l’uso delle orazioni giaculatorie, le quali, senza fatica alcuna e senza interrompere i nostri lavori, possiamo ripetere assai di frequente. Quando ci troviamo in un bisogno particolare, specialmente se una grave tentazione ci assalga, rivolgiamoci tosto a Dio con la preghiera » (Frassinetti). — La Chiesa, nei libri liturgici, ha preci speciali per prima e dopo i pasti e per coloro che fanno viaggio.), e specialmente quando si è tentati al male e in pericolo di cadere in peccato. Anzi guai a chi non si rivolge a Dio in quest’ultimo caso! Egli può dirsi perduto. In ogni luogo: cerchiamo però, più che possiamo,quei luoghi nei quali ci riesce più facile star raccolti e uniti con Dio; e riteniamo che il luogo più adatto e tutto proprio per pregare è la nostra Chiesa — grande o piccola: poco importa — la quale sostituisce e supera il grandioso tempio di Gerusalemme.

Ma ciò che reca maggior dolore è il vedere l’inqualificabile contegno dei cristiani nei pomeriggidei giorni festivi. Ah! son piene le osterie,son piene le strade, son piene le tranvie, son pieni gli autobus, son pieni gli stadi e i cinematografi; e le Chiese son vuote! Non è forse anche questo uno dei più sicuri indizi, che — venuto ad intiepidirsi l’amore-verso Dio — anche la preghiera è quasi del tutto abbandonata? Ora che cosa possiamo noi attendere di buono da questo contegno dei cristiani stessi di fronte al loro Dio? Forse l’ordine, la tranquillità, la pace, il benessere e l’abbondanza dei beni di fortuna? O non sono invece a temersi sopra di noi i più tremendi castighi? Ricordiamoci di ciò che successe in passato. Quei popoli che si erano dimenticati di Dio ed allontanati da Lui, vennero spesso richiamati al loro dovere a suon di dolorosissime sferzate. Furono — è vero — sferzate misericordiose; ma furono sempre sferzate, le quali non garbano affatto. Ora vogliamo farne la prova anche noi? Ma ancorchè su questa terra ci venissero risparmiati i tremendi castighi di Dio che piomberanno certamente sopra tante nazioni prevaricatrici, per noi l’andrà sempre male, se non ritorneremo alla preghiera, anche alla preghiera fatta in comune nelle nostre famiglie, anche alla preghiera liturgica che si compie ogni di nelle nostre Chiese (1).

Abbiamo infatti continuo bisogno di grazie per poterci sostenere nell’amore di Dio. Ma (( il Signore ha promesso di non concedere le sue grazie se non a chi prega » (S. Alfonso). Ora come faremo a tirare innanzi senza l’aiuto di Dio? È impossibile! Ma riusciremo almeno a salvare l’anima nostra? Neppure questo ci sarà dato; poichè « chi non prega, certamente si danna » (S. Alfonso). – Quale sarà dunque la nostra sorte? Deh! « abbi pietà di noi; o Signore, abbi pietà di noi! » (Salmo 122, 3), e dàcci la forza d’intraprendere e la costanza di essere poi sempre fedeli alla preghiera ben fatta.

29 – Cercate anzitutto il regno di Dio.

Anche questo pensiero è assai consolante. I motivi per cui le nostre preghiere non vengono esaudite, sono passai ben compendiati da S. Basilio nelle seguenti parole: « Talora chiedi e non ottieni perchè hai domandato malamente, o mancando di fede, o conpoco desiderio di aver la grazia, o chiedendo cose non convenienti, o perchè non hai perseverato nella preghiera. Dunque secondo questo gran Santo, talvolta noi non siamo esauditi anche perchè non chiediamo cose convenienti. Quali sono pertanto le cose da chiedersi nelle nostre preghiere? Rispondo immediatamente: Noi dobbiamo chiedere al Signore tutte quelle cose che ci sono necessarie per promuovere l’onore di Dio e il miglioramento e la salvezza delle anime nostre e del nostro prossimo; e possiamo chiedere a Dio anche grazie e favori materiali ed economici, che non ostacolino la gloria di Dio, e il vero bene delle anime nostre e dei nostri fratelli di pellegrinaggio su questa terra. Questo in generale. Ed « in quanto ai beni spirituali — dice S. Alfonso — la sua promessa di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e perciò, esorta S. Agostino, che quelle cose che Dio assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle ». Perciò chiediamo pur francamente al Signore la grazia di ben conoscere lo scopo per cui siamo su questa terra, di Correggerci dei nostri difetti, di scansare i pericoli di offenderlo, di fuggire le occasioni di peccato, di apprendere bene la sua santa Legge per poterla meglio osservare, di vincer le tentazioni, di perdonare ai nemici, di perseverare nella sua grazia e nel suo amore fino alla morte, di poter riparare gli sconcerti della nostra vita passata, di ottenere il Paradiso, e simili: ben certi che tali preghiere saranno a Dio gradite e da Lui a tempo opportuno, esaudite. E se anche riscontrassimo che, per quanto siamo fedeli alla preghiera, il Signore permette egualmente che cadiamo in qualche difetto, talvolta perfin tale da umiliarci assai di fronte agli altri, non ce ne adontiamo nè facciamo il broncio con Lui; poichè pure in tal caso il Signore ci fa una grazia segnalatissima e ci dà una magnifica lezione: quella di umiliarci e di farci toccare con mano che è Lui il distributore della grazia e il datore della gloria: « La grazia e la gloria la darà il Signore » Salmo 83, 12), e che senza di Lui niente siamo e niente possiamo. Infatti « questa è tutta la grande scienza d’un cristiano: il riconoscere ch’egli è niente e niente può » (S. Agostino). Anzi di tanto in tanto per chi è soggetto o inclinato all’orgoglio, all’amor proprio, alla permalosità, come pure alla vanità, una di queste « cilecche » è più salutare d’una buona doccia per chi ha la testa calda. Rilevo poi di passaggio che alcune anime hanno una visuale un po’ strana delle cose: credono cioè che siano di gloria a Dio certe cose immaginate da esse come tali, senza che ci sia un solido fondamento nella realtà. Ora questeanime singolari che — al dire del Manzoni « prendono per cielo il proprio cervello » e così ritengono onorifiche per Dio cose che non son tali se non nella loro malata fantasia, sevogliono andar bene devono lasciarsi istruire e guidare — nè più, nè meno delle anime scrupolose – da un buono e saggio direttore spirituale; poichè diversamente invece di chiedere e di fare ciò che è gradito al Signore, fanno spropositi sopra spropositi prima nelle loro preghiere e poi nelle loro stesse azioni. – E riguardo al chieder grazie economiche e materiali, quale dev’essere la nostra norma? S. Alfonso dà questa regola: « Quando noi chiediamo a Dio grazie temporali, dobbiamo sempre domandarle con rassegnazione, e colla condizione (che Dio ce le conceda soltanto) se sono per giovarci all’anima; e quando vediamo che il Signore non ce le concede, teniamo per certo che Egli allora ce le nega per l’amore che ci porta e perchè vede che ci sarebbero dannose alla salute spirituale ». Certo — scrissi già in « Salva animam tuam » — il Signore, che è l’ottimo dei padri, « non ci darà quelle cose che potrebbero farci male, anche se gliele chiediamo insistentemente. Queste Egli fa bene a negarcele. Egli infatti deve avere giudizio per noi che spesso siamo dei fanciulloni senza giudizio anche nel domandargli favori e grazie che falsamente stimiamo a noi utili o necessarie. Quante volte il Signore potrebbe dire anche a noi: Non sapete ciò che domandate! » (Matteo 20, 22): essendo spesso noi in tutto simili a ingenui e ignoranti bambini che chiedono insistentemente e stizzosamente al babbo il rasoio o la rivoltella che vedono luccicare nelle sue mani!… Però anche allora il Signore si diporta con noi come una buona mamma si diporta col suo bambino per farlo tacere e acquietare: ci dà un’altra cosa più utile, più buona, più ricca e non di rado anche più gradevole di quella domandata. Sicchè, la preghiera ben fatta, in un modo o in un altro, è sempre esaudita ». — E poi, a questo proposito, non ha forse ragione anche S. Agostino, quando dice che « il medico (Dio) sa meglio dell’ammalato (noi) ciò che gli è più utile »? E talvolta non potrebbe pur verificarsi ciò che constata S. Giacomo: « Voi chiedete e non ottenete, perchè chiedete malamente per soddisfare i vostri piaceri »! (Giac. 4, 3). Ed eccoci così davanti ad un’altra questione: Che cosa hanno da chiedere a Dio i peccatori?… Vita lunga? Salute? Sostanze? Soldi? Fortuna nei loro affari? — Eh, già! Per poter continuare a gonfie vele, magari fino alla fine del mondo, nella loro vita di peccati, ed aver modo di accumulare a cataste le legna pel proprio inferno, l’andrebbe splendidamente bene proprio così! Invece guai se il Signore esaudisse queste loro preghiere e nello stesso tempo cessasse dallo scuoterli coi rimorsi! Sarebbe questo uno dei segni più sicuri ch’essi son destinati all’inferno! Ah, sì! « Poveri i peccatori che in questa vita son prosperati! È segno che Dio aspetta a renderli vittime della sua giustizia nella vita eterna! » (S. Alfonso). — Proprio così; avrebbero un premio materiale per quel po’ di bene che pur essi compiono quaggiù, e poi la dannazione eterna! Ah, mio Dio! quale orrenda prospettiva! Quindi la preghiera più saggia e nello stesso tempo più utile che i peccatori possono fare e che ha la certezza d’essere esaudita, è quella di chiedere a Dio, a Gesù Redentore, allo Spirito Santo od anche alla gran Madre di Dio, Mediatrice di tutte le grazie, la luce per conoscere la propria triste condizione, l’energia per risorgere dallo stato di peccato, la forza di abbandonare i propri vizi, la fortuna di rientrare nell’amicizia e nell’amor di Dio, la grazia di ottenere pietà e misericordia dal Signore. Oh! qual grazia grande, qual preziosissima fortuna è mai quella di poter prima veder con orrore e poi scuotere di dosso il sozzo straccio del peccato, la brutta casacca del vizio, l’orrenda cappa di satana, e — finalmente! — rivestire l’indumento della festa, della giustizia e della santità, che ci rende di nuovo figli di Dio, fratelli di Gesù, templi dello Spirito Santo ed eredi del Paradiso!

Oh! — ripeto — qual grazia immensa è mai questa! quale splendida fortuna! Ottenutala, potranno essi pure domandare al Signore quant’altre grazie vorranno, come i giusti. Non sono forse anch’essi di nuovo amici di Dio? Ah, sì! essi si sono ormai riabilitati di fronte al Signore, il quale gettò nel profondo del mare tutte le loro iniquità (Mich. 7, 19); e possono quindi sperare con tutta confidenza da Lui ogni grazia ed ogni favore. Ritengasi penò che la migliore fra tutte le preghiere sia, per tutti, quella di ricercare continuamente che Dio sia glorificato e che si diffonda sempre più, prima in sè e poi negli altri, il suo Regno, che è « Regno di verità e di vita, Regno di santità e di grazia, Regno di giustizia, d’amore e di pace » (Liturgia); e di rimettersi — pel rimanente — alla sua infinita liberalità, secondo la parola e la promessa di Gesù: « Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia; e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù » (Matt. 6, 321). Infatti il Signore ci assicura che non ci mancherà il fabbisogno per la vita fisica e materiale, dicendoci: « Non vogliate angustiarvi dicendo: Cosa mangeremo, o cosa berremo, o di che ci vestiremo. Il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose » (Matt. 6, 31-32). — E l’esperienza lo conferma. Dice infatti il Salmista « sono stato giovane, ora son vecchio; ma non ho mai veduto il giusto abbandonato, né i suoi figli mendicare il pane » (Salmo 36, 25). E San Paolo — pur così oberato dalla predicazione del Vangelo — trovava tempo e modo di provvedere non solo alle proprie necessità, ma anche a quelle dei suoi compagni; come assicura egli stesso. « Al bisogno mio — disse ai seniori di Efeso — e di quelli che sono con me, provvedettero queste mie mani » (Att. 20, 244). – Ed avviene proprio così. Anzitutto i buoni Cristiani, come amici di Dio, sono da Lui in modo particolare benedetti anche nelle imprese economiche e materiali, conforme a quanto Egli stesso, già nell’Antico Testamento, assicurò a quanti avrebbero fedelmente osservati i suoi comandamenti (Deut. 28, 1-14). Poi essi certamente risparmieranno e metteranno da parte pei giorni di maggior bisogno (che neppure a loro mancheranno in questa valle di miserie e di dolori) se non altro, il corrispondente a quello che i peccatori sciupano nei vizi, nei divertimenti e nei bagordi. — Del resto come mai potrà essere misero il figlio d’un Padre sì ricco e sì buono? Potrà esserlo soltanto di sua spontanea volontà, per rendersi almeno un po’ somigliante al suo grande fratello Gesù, che con tutta verità, potè dire di se stesso: « Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli il loro nido; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » (Matt. 8, 20). Ma allora è l’amore che lo spinge a privarsi di tutto; e l’amore non sente pena. Anche allora però interviene il buon Dio; e ben presto verrà il momento che questi buoni figli di Dio potranno dire che la perdita dei loro beni apportò loro lucro anzichè discapito; poichè si avvererà la parola di Gesù, che disse: « Chiunque avrà abbandonato la casa, o i fratelli, o le sorelle, o il padre, o la madre, o la moglie, o i figliuoli, o i poderi per amore del mio nome, riceverà il centuplo » in questo mondo « e possederà la vita eterna – Matt. 19, 29). – « Dunque cercate in primo luogo il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in soprappiù » (Matt. 6, 33). — È Gesù che dice questo; e noi non dobbiamo fargli il torto di non credergli.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

Non vo asserirlo categoricamente: tuttavia mi sembra che da quanto ho detto fin qui, si dovrebbe facilmente capire quale debba essere la nostra preghiera per poter dire ch’essa è fatta bene. Per farmi però comprendere sempre meglio, mi servirò d’una similitudine che mi pare assai appropriata all’argomento che ho per mano. Come si diporta una buona bambina dai quattro ai sei anni, di fronte alla mamma, ch’è pur la sua provveditrice? — E’ presto detto. Ogni qualvolta essa ha bisogno di qualcosa, si presenta umilmente, sì, ma anche con tutta confidenza, semplicità e candore alla mamma; e con bella maniera e col cuore sulle labbra le chiede ciò di cui sente il bisogno. Ma quanti sono i bisogni d’una bambina? Essa ha sempre qualcosa da chiedere; e quindi tante son le preghiere, quanti sono i suoi più o meno reali bisogni. Una buona bambina poi non dubita nemmeno che la mamma possa darle un rifiuto. Essa sa che la mamma le vuol bene, e che, se anche pel momento non le dà ciò che essa chiede, gliela darà certamente a tempo opportuno, disposta a fare anche dei gravi sacrifici per procurarglielo. Perciò, quantunque a principio ne riceva un rifiuto, non s’imbroncia, non s’impermalisce, nè si perde d’animo; ma tanto prega, insiste, supplica e scongiura, finché riesce a strapparle ciò che desidera. E la mamma certamente, alla cara creaturina delle sue viscere, darà tutto ciò. che può darle, rifiutandole a mala pena quanta potesse recar danno alla sua salute ed incolumità. Se poi quella cara bambina avesse ad ammalarsi, oh, allora bisogna vedere ciò che sa fare una mamma per farla guarire e salvarla! (Mi piace vedere in Dio, « la cui natura è bontà », lo stesso contegno verso i grandi malati spirituali, che sono i poveri peccatori). Ma una buona bambina non ha solo lingua per domandare: essa ha anche cuore, e tanto cuore! Perciò procura di star vicina alla mamma; e lì, con tutta piacevolezza, sentimento e candore, le parla delle cose proprie, s’interessa delle cose di lei: dice e ripete tante e tante cosette! Se sa che un servizio torna gradito alla mamma, se può darle qualche aiuto, qualche conforto, qualche gioia, essa è pronta, essa lo fa, essa la dà, prevenendo spesso i di lei desideri. Se si accorge d’averla — anche senza volere — disgustata, ne sente subito gran pena, piange per dispiacere, le chiede perdono, promette di non far più così, e tutto si combina con un caldo bacio e con una reciproca stretta al cuore. Se poi viene a sapere che altri ha disgustata la sua buona mamma, essa ne prova una indicibile pena e ne sente immenso dolore; e corre tosto al suo seno per confortarla e consolarla colle sue buone parole, coi suoi vezzi amorosi, coi suoi amabili sorrisi, colle sue tenere carezze. – O cara ed amabile bambina, deh! insegnaci a trattare col nostro grande e buon Padre celeste e colla nostra amorosa Mamma che abbiamo in Paradiso, come tu sai trattare colla mamma del tuo cuore. Dicci però ancora che il Signore Iddio nostro è assai più buono e ricco di tua mamma, e che la gran Madre celeste ti vuole assai più bene, che non quella che hai quaggiù. Ed infine insinuaci pure che, di fronte a Dio ed alla Santissima Vergine, noi tutti — fossimo anche re e principi — siamo poveri bambini bisognosi di tutto, ma anche da loro tanto amati; ed allora noi saremo, convenientemente istruiti sulla preghiera. – Detto questo si vede chiaramente quale sia per tanti nostri uomini il più grande ostacolo che li trattiene dal pregare: l’orgoglio, la superbia. Pare incredibile che su questa terra piena di miserie, di debolezze, di malanni, di tranelli, di sofferenze, di languori, di disastri, di cataclismi, di malattie e di morti, possa tuttavia allignare la superbia e l’orgoglio! Eppure quanti di noi sono schiavi di questa, ch’io non esito a chiamare la più mostruosa di tutte le tendenze umane e la più vergognosa ed inconcepibile di tutte le passioni. Non per nulla però essa è la principessa di tutti i vizi! « Credo che la superbia sia un grande delitto — scrive S. Agostino. — E come no, se essa scacciò dal Paradiso l’Angelo per eccellenza, se di lui fece un diavolo, e lo bandì per tutta l’eternità dal regno de’ cieli? Grande delitto è la superbia e causa di tutti i delitti… Non è un piccolo male questo vizio, o fratelli. Esso fa che l’umiltà cristiana non sia gradita alle persone autorevoli e perbene. Per questo vizio esse sdegnano di sottomettere il collo al giogo di Cristo, e lo legano tanto più tenacemente a quello del peccato. Infatti, non possono non essergli soggette. Non vorrebbero esserlo, ma l’esserlo è loro utile. In quanto non vorrebbero essere soggette a nessuno, esse a non altro riescono che a non servire il Signore, che è buono, e non già a non servire affatto; poiché chi non vuol servire alla Carità (Dio è carità), serve necessariamente al peccato. Da questo che è il principio di tutti i vizi, poichè da esso son nati tutti gli altri, procede l’apostasia dal Signore » (Ennarr. 2, Ps. XVIII, n. 25). Questa deleteria disposizione dell’uomo pur di fronte al gran Dio, è assai vivamente ritratta, nel suo « Testamento di Gesù » (CP. I, med. III), dal ben noto P. Petazzi S. J., con queste parole: « Il Cristianesimo è la religione dell’umiltà, è la professione della propria impotenza a raggiungere Dio e della infinita degnazione di Lui che si abbassa per sollevare l’uomo consapevole della propria miseria. Qui è tutta la fede! Il riconoscere soltanto l’abbassamento di Dio verso l’uomo senza essere intimamente e praticamente convinti dell’abisso di miseria in cui l’uomo giace e giacerebbe sempre se Dio Salvatore non si chinasse sopra di lui, è rinnegare praticamente la fede. Questa è la vera ragione per cui molte anime sciagurate rifiutano il Cristianesimo: rifiutano il bacio e l’amplesso di Gesù Salvatore, non perché questo bacio non sia tenerissimo, ma perché per riceverlo bisogna cadere ai suoi piedi confessando di essere miserabili ». Perciò — aveva detto poco prima lo stesso Padre — « l’anima che crede in se stessa e fa assegnamento sulle sue forze, allorquando si trova ricaduta nelle antiche miserie, non trova più alcun punto di appoggio e se ne giace intorpidita, oppure tenta stoltamente di persuadere se stessa di non essere caduta davvero: non vuol dire quella parola che tanto schiaccia l’amor proprio: « Sono un miserabile! Abbi pietà di me! », e così ritarda e fors’anche impedisce l’amplesso misericordioso di Dio. L’anima (invece) che crede in Gesù, e solo in Lui, riconosce subito la propria miseria, lo chiama immantinente in soccorso; e Gesù la solleva con tanto amore che essa deve esclamare: « O Signore, Vi ringrazio d’avermi umiliata! » (Salmo CXVIII, 71). Dopo queste espressive parole del pio P. Petazzi, dovrebbero apparire in tutta la loro limpidezza anche queste poche e brevi sentenze, tratte dalla S. Scrittura e dagli scritti dei Santi: « Dio resiste ai superbi, e dà la grazia agli umili. Il Signore bada alle preghiere degli umili, e non disprezza le loro suppliche. Tu, o Dio, hai sempre mirato con buon occhio le preci degli umili. Se qualcuno crede d’esser qualcosa, mentre è nulla, si seduce » (Giac. IV, 6; Salmo CI, 18: Giud. 9, 16; Gal. VI, 3). — « In molti la presunzione d’esser fermi e stabili è di ostacolo alla loro fermezza e stabilità. Nessuno certamente sarà fermo, se non si crede debole ed infermo. Iddio dà della sua forza soltanto a chi sente e riconosce la propria debolezza » (Agostino). « Se alcuno dice di non aver timore, è segno che costui ha fiducia in se stesso e nei suoi propositi; ma questi con tal confidenza da se medesimo vien sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi al Signore; ed allora certamente cadrà » (S. Alfonso). Si sa: quanto dicono qui S. Agostino e S. Alfonso, sembrerà poco men che… arabo a tanti che leggeranno queste righe. Ma pure non è diversamente di così. Bisogna ben dire che la superbia e l’orgoglio fan venire le traveggole! – E’ poi forse questo il posto in cui riuscirà meno inopportuno che altrove, il rilievo che fa pure il Ramière « Dio, infinitamente liberale per natura — ei scrive — si compiace di proteggere i capi delle famiglie e quelli delle nazioni quando essi, con l’umiltà della preghiera, rispettano i diritti della sua gloria; ma senza venir meno a se stesso, non può loro concedere la sua protezione ove pretendano di bastare a se medesimi e far di sè il proprio nume ». – Del resto mi sembra che sia abbastanza ridicolo chi vuol farsi vedere grande perfino dinanzi a Dio: ridicolo, e nello stesso tempo orrendamente offensivo alla infinita Maestà di Dio. « Non per nulla nostro Signor Gesù Cristo ha dimostrato sempre uno speciale aborrimento e un’irriducibile avversione a questo peccato: Egli, la misericordia infinita, che si piega fino a terra per sollevare dal fango l’adultera; Egli il buon Pastore che non disdegna l’impuro contatto della peccatrice di Magdala, venuta dalle più spinose siepi; Egli il Padre tenerissimo che accoglie in un delirio d’amore il prodigo figliuolo, s’irrigidisce di fronte ai superbi e non ha per essi che parole di fuoco ed invettive sdegnose: Ipocriti, razza di vipere, sepolcri imbiancati! » (Cereda in « Rivista del Clero Italiano » 1939, pag. 438). – Quindi, se vogliamo veramente divenir grandi davanti a Dio e davanti a tutti, seguiamo il consiglio e l’esempio di quel Gesù che, dopo aver detto che « sarà esaltato chi si umilia », « umiliò se stesso fino alla morte, ed alla morte di croce » ( Luc. XIV, 11; Filip. II, 8). Eh, sì! Se vogliamo andare in Paradiso, bisogna che siamo umili, poiché sta scritto: « Se non vi farete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli » (Matt. XVIII, 3); e ciò anche perché il superbo non è in grado di adoperare bene « la chiave del cielo » S. Agostino) che è la preghiera. Infatti il Fariseo che andò al Tempio per « pregare », non riuscì ad altro che a vantare altezzosamente le sue benemerenze e a manifestare il suo disprezzo verso il prossimo; e fu da Gesù condannato senza remissione (Luc. XVIII, 10-14). Ah, no! Chi è superbo ed orgoglioso non può pregar bene; perciò non può essere esaudito nelle sue mire, e tanto meno può aspirare al Paradiso, dal quale fu espulso appunto il primo superbo, Lucifero, con tutti i suoi seguaci. Perciò non erra affatto il santo Curato d’Ars, quando, insieme ad altri, dice: « Un carro di buone opere trascinato dalla superbia, va sempre a finire nell’inferno; invece un carro di miserie trainato dall’umiltà, va in Paradiso ». Teniamolo bene a mente.

27. — Altre cose importanti a sapersi.

E’ troppo evidente che non ha buona disposizione per essere esaudito chi s’impermalisce o s’indispettisce se Dio non dà immediatamente corso favorevole alle istanze rivoltegli. Il nostro grande e buon Amico celeste si alzerà, sì, anche nottetempo, se ricorreremo a lui per chiedergli il pane di cui abbiamo bisogno. Ma se egli ci fa capire che, prima di venire ad accontentarci, vuole che gli scuotiamo ben bene la porta di casa e che disturbiamo anche gli Angeli ed i Santi del Paradiso, perchè staremo noi titubanti? Oh! diamo pur dentro con insistenza (Luc. XI, 5-8); tanto più che abbiamo anche qualche pezzo grosso che ci dà spalla. Infatti « S. Girolamo dice che le nostre preghiere, quanto più son perseveranti, tanto più sono accette a Dio » (S. Alfonso). E perciò « bisogna che continuamente facciamo, per così dire, violenza a Dio, affinché ci soccorra sempre; ma violenza che gli è cara » (S. Alfonso). – Proprio così. A te infatti convien credere che « Dio non ingannerà la tua fiducia. Se tarda a venire, aspettalo; poiché verrà certamente, e non tarderà » (Abac. II, 3). Anzi « sappi che chi umilmente persevera a chiedermi grazie — disse Gesù a S. Caterina — farà acquisto di tutte le virtù ». Eh, sì! « La preghiera è un’ambasciatrice assai nota presso il Re dei cieli; e come tale è abituata a penetrare fino nel gabinetto del Re, e colla sua importunità piega il suo cuore che è pieno di tenerezza » (S. Bernardino). – E se non ci vediamo tosto esauditi, riteniamo che la grazia da noi richiesta ci vien differita o commutata in altra migliore per il maggior bene delle anime nostre. Ma della perseveranza della preghiera si è già detto assai nel cap. 17 e 23; e quindi passo oltre, non senza aver però avvertito d’una cosa assai importante che è la seguente: Dalla perseveranza nella preghiera dipende la perseveranza del vivere in grazia di Dio, la perseveranza finale ed una buona morte seguita dal premio eterno del Paradiso: « Chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvo » (Matt. X, 22). – Ma altri ostacoli ancora possono impedire l’efficacia delle nostre preghiere; tra i quali, non ultimi, sono la scarsezza della nostra fede e la mancanza di fiducia. Che cosa infatti si dovrebbe dire di chi non credesse all’infinita potenza e bontà di Dio, ed alla buona disposizione ch’Egli ha di concederci i suoi favori? Ah! la preghiera (ma è poi preghiera questa?) di chi si trova in tale stato d’animo è già viziata in radice. È ben vero che il Signore ha già fatto delle grazie e talvolta dei veri miracoli perfino in favore di increduli e persone disperate, che non s’aspettavano certo da Dio, un tiro somigliante. Noi però non possiamo fare assegnamento su tali favori del tutto straordinari. Dobbiamo invece fare attenzione a quanto ci dicono in proposito le Ss. Scritture, i Ss. Padri e gli Uomini di Dio. Ecco qua, per esempio: « Se voi avrete fede e non vacillerete, non solo farete com’è stato fatto a questa ficaia (Gesù l’aveva fatta seccare sull’istante); ma se anche diceste a questo monte: Levati di là e gettati nel mare, sarà fatto. Ogni cosa che domanderete con fede, l’otterrete » (Matt. XXI, 21-22). « Chieda però con fede senza esitare affatto » (Giac. 1, 6), poiché « chiunque ha fede è certo della potenza di Dio e della sua misericordia » (S. Tom. d’Aq.); invece « Dio non vuole esaudirci, se non chiediamo con certezza di essere esauditi » (S. Alfonso). E se la nostra fede fosse scarsa? Ma « perché la fede è poca, debole, deficiente anche in anime che pretendono di vivere proprio cristianamente? Perché non pregano o non pregano bene! Nutrimento della fede è la preghiera umile, fiduciosa, perseverante » (Calvi. « Vita inter. I ed. pag. 126). Già! « Il fondamento della preghiera è la fede. Dunque crediamo per poter pregare, e preghiamo che questa fede che ci fa pregare, non ci manchi mai, nè s’intiepidisca » (S. Agostino). — Teniamo nel debito conto questi saggi avvertimenti. Riguardo poi alla fiducia, « guardate, o figliuoli, le umane generazioni, e sappiate che niuno sperò nel Signore e rimase confuso. Chi mai l’invocò, e ne fu disprezzato?… Poiché ha riposto in me la sua fiducia, Io lo libererò. Se c’è tra di voi chi ha bisogno di sapienza, la domandi a Dio che dà a tutti abbondantemente e non rimprovera, e gli sarà data » (Eccli. II, 11-12: Salmo XC, 14; Giac. 1, 5). Perciò « noi umiliamo le nostre preci davanti al tuo cospetto, Dio, non fidati nella giustizia delle nostre opere, ma pieni di fiducia nella tua grande misericordia » (Dan. IX, 18). Infatti « l’impetrare ciò che chiediamo non si fonda — come già dicemmo — sul nostro merito, ma sulla divina misericordia » (S. Tom. d’Aq.); e « la divina misericordia è una fonte immensa : chi vi porta il vaso più grande di confidenza, ne riporta maggior abbondanza di beni » (S. Bernardo). – Riteniamo pure che, se « i principi ascoltano pochi; Dio invece ascolta tutti quelli che voglion parlargli » (Crisostomo); anzi « quando Dio ci vede andare a Lui, inclina il suo cuore giù giù fino alla sua misera creatura, come un padre che s’inchina per ascoltare il suo bambino che gli parla » (Curato d’Ars). Ah, sì! « più vuole Iddio concedere, che noi ricevere; più vuole Egli aver di noi misericordia, che non desideriamo noi di esser liberati !dalle nostre miserie » (S. Agostino). Infatti « Dio è munifico per natura e liberalissimo per essenza; perciò a Lui costa più il ricusare che il dare » (Ramière). Quindi « il domandare con diffidenza i beni dell’ordine soprannaturale a Colui che si è mostrato così prodigo dell’aria, della luce, di tutte le cose necessarie ed anche superflue nell’ordine naturale, non sarebbe forse un supporre ch’Egli faccia meno conto della vita e della salvezza delle anime nostre che della vita e salute del nostro corpo? » (Ramière). Ma sì! Dio sa ciò che ci occorre, Dio può darci ciò che ci abbisogna, Dio è infinitamente buono e tutto inclinato a favorirci, Dio per giunta si è impegnato a darci tutto ciò che gli chiederemo; e noi saremo titubanti nelle nostre preghiere? Ah, se in passato « non hai ricevuto le grazie » che hai chieste, ritieni pure che ciò avvenne « perché non le hai chieste con confidenza » (S. Basilio). È pure interessante in argomento ciò che scrive il Ven. P. Luigi da Granata: « Vi sono molti servi di Dio – ei scrive — che sono abituati al digiuno, all’orazione, all’elemosina e ad altre virtù; ma molto pochi quelli che abbiano (pur nell’orazione) quella fiducia che aveva Susanna, che condannata a morte e già prossima al luogo dell’esecuzione, teneva — come dice la Scrittura — l’anima confidata in Dio. Chi vuol trarre argomenti autoritativi per indurre a questa fiducia, potrebbe copiare tutti i Libri santi, specialmente i Salmi ed i Profeti, poiché nulla vi è in essi maggiormente inculcato della speranza in Dio e della certezza del suo soccorso per quelli che sperano in Lui ». Convien credere a quanto dice, e seguire il suo implicito consiglio di leggere specialmente quelle parti della S. Scrittura ch’Egli nominativamente suggerisce. Gl’inviti che il Signore ci fa in esse di confidare illimitatamente in Lui infonderanno nel nostro cuore appunto quella fiduciosa confidenza nella sua bontà e misericordia, che deve distinguere le nostre preghiere, affinché esse siano infallibilmente esaudite. Ah, sì! « Accostiamoci con fiducia al trono della grazia per ottenere misericordia e per trovare grazia per l’opportuno aiuto » nel momento del bisogno (Ebr. IV, 16); e stiamo certi che non ne partiremo a mani vuote. Si, o Signore, concedimi la grazia ch’io possa sempre dirti: « Io vivo sperando in Te ». — Così si avvererà pure ch’« io non sarò confuso in eterno » (Salmo XXX, 2).

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (14)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (14)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (14)

OSSIA IL MEZZO PIU’ INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

24 – Il mondo senza preghiera.

    Più vado innanzi nella vita, e più vedo che il mondo va male. Che si tratti soltanto di impressione soggettiva? Cioè che, andando in avanti cogli anni, scopra bensì sempre nuovi mali che non m’erano fino allora noti, ma che pur esistevano già prima? — Non credo! Per tante e tante cose ho troppe prove, troppi indizi in contrario. Prendo in considerazione un ambiente solo: quello in cui son nato e cresciuto, quello perciò che m’è più noto e che non è certo il peggiore, quello ancora ch’è il più diffuso: il ceto del popolo delle nostre campagne. Quand’era giovinetto un atto immorale disonorava la persona, che l’aveva commesso, per tutta la vita: oggi invece chi si scompone più per queste opere di Sodoma? — Una volta chi bestemmiava era tenuto per un figlio legittimo di satana: adesso reca stupore un uomo che non bestemmi. — Quand’ero piccino, se il padre udiva una parola poco bella scappata dalla bocca d’un suo bambino, un’occhiata significativa o, tutt’al più, un manrovescio salutare, metteva tutto a posto per sempre: invece attualmente, quando il bambino pronuncia le prime parole – spesso le bestemmie apprese dal babbo o le parole oscene apprese dalla mamma o dalla sorella maggiore — si dice con compiacenza: « Com’è bravo il nostro bimbo! Già sa parlare! » — Non oltre mezzo secolo fa, chi lavorava la festa o ne marinava la Messa, era segnato a dito come un eretico e un pagano: ai nostri giorni invece in molti paesi si contano sulle dita gli uomini che vanno alla Messa domenicale, si lavora e si traffica la festa come se il far ciò sia la cosa più lecita ed onesta; e specialmente il pomeriggio di quei santi giorni (che una volta era dedicato al Vespro, al Catechismo e alla benedizione eucaristica, e — soltanto dopo — alle visite ai congiunti, a qualche passeggiata o a qualche onesto divertimento) è oggi quasi universalmente dissacrato e — sopratutto dalla gioventù — considerato come il tempo più adatto e più propizio per andar a caccia di occasioni peccaminose. — Anche la foggia del vestire, specialmente quella muliebre, quanto è diventata più immorale e davvero provocante, pur nei nostri paesi! Non è forse vero infatti che tante figliuole, per voler seguire la moda del giorno, divengono un continuo allettamento ed un’efficace provocazione al peccato brutto? Oh! anche se esse non mirano direttamente a scandalizzare gli altri, pure di fatto le fanno. Ah, sì! « L’inferno è in festa! Da dieci anni a questa parte i peccati si sono moltiplicati per cento, per cinquecento a causa della moda maledetta! » (P. Matteo Crawley, nel 1929). E si potrebbe continuare. – C’è chi vorrebbe attribuire tanti disordini all’ignoranza; che — anche da predicatori di vaglia — suolsi chiamare « l’ottavo sacramento »! Oh! io non vado a cozzare contro chi osa sostenere un tal giudizio in proposito. Infatti per chiunque, in qualsiasi modo pecchi, si potrà sempre fare la preghiera di Gesù Crocifisso: « Padre, perdona loro perché non sanno ciò che fanno! » (Luc. XX, 34); poiché il peccato è un tale abisso che nessun mortale riuscirà mai a scrutare nelle sue profondità « I peccati chi li comprende? » (Salmo XVIII, 13). Ma da questo allo scusare per ignoranza chi commette tanti disordini ad occhi aperti (tale è l’impressione che fanno quei predicatori), il passo è — a mio modo di vedere — troppo lungo. Il Signore infatti non iscusa neanche i pagani che vanno contro la legge naturale da Lui impressa nei loro cuori; poiché di essi sta scritto che « li ha accecati la loro malizia », e che perciò « essi sono inescusabili » (Sap. II, 21; Rom. I, 20). E fra noi ci sarà chi osi scusare i Cristiani — Cattolici — romani, e perfin quelli che son vicinissimi alla fonte della verità, i quali in gran numero vanno, non solo contro i precetti della Chiesa e contro la legge divino-positiva, ma perfin contro la stessa legge naturale, pur in ciò che è comandato o proibito direttamente? Eh, via! I peccatori medesimi non hanno il coraggio di scusarsi; poiché ben sanno che per essi le leggi di Dio e della Chiesa vengono — almeno ai nostri giorni e nei nostri paesi — continuamente richiamate nelle nostre chiese; senza contare che ci sono oggi pur tanti altri mezzi, coi quali si può facilmente venir a conoscere ciò che si deve credere e fare per rendere contento il Signore e tranquilla la coscienza. Trattarli quindi sempre con grande carità, compatirli, compiangere la loro misera condizione, oh, sì e tanto! Ma scusarli, no, se non in casi veramente rarissimi di buona o dubbia fede. – Ma allora— dirà taluno — come si può spiegare tanta colluvie di colpe, commesse oggi con tanta facilità e indifferenza? Rispondo col presentare un altro quadro della vita attuale messa in relazione con quella d’una volta. Forse dal confronto di questo quadro con quello che ho già tracciato, sortirà ciò che purtroppo temo e che ritengo più rispondente a verità. Non molti anni addietro nelle nostre famiglie si recitavano in comune le preghiere quotidiane, specialmente quelle della sera. Ora non più. C’è, sì, ancora qualche mamma pia e seria che insegna le orazioni ai propri bimbi; ma tante donne oggi hanno ben altro per la testa, che di pregare! — Una volta quando suonava l’«Angelus» a mezzodì, il capofamiglia si scopriva il capo e — sospeso il lavoro — recitava, anche in mezzo ai campi, il saluto angelico alla Madonna; al quale rispondevano con tono franco e devoto tutti i presenti. Oggi invece quel suono non dice più altro, se non che è venuta l’ora d’andar a mangiare! — Un tempo non lontano, la sera durante tutta la stagione invernale, non mancava mai nelle nostre famiglie la comune devota recita del S. Rosario. Conosco anzi un paese in cui il Rosario era considerato come la colonna di sostegno delle famiglie. Esso veniva intonato e sostenuto dal capo-famiglia, e tutti lo accompagnavano piamente. Oggi invece gli uomini hanno abdicato vergognosamente a tale onore; in qualche famiglia c’è ancora la nonna che vuol sostenerlo. Ma che succede? La seguono le donne e le ragazze. Fra mezzo a queste poche voci si ode il basso mormorio del nonno. E poi? E poi i bambini sonnecchiano o si stuzzicano fra di loro. L’uomo maturo, quello che suda, lavora e mantiene la famiglia, è là seduto, colle gambe accavallate, che continua a leggere, senza scomporsi, il giornale, che scorre e sfoglia l’illustrazione più o meno pornografica. E la gioventù maschile, appena s’accorge dei preparativi del Rosario, esce alla chetichella per andar… dove?… Io non lo so precisamente. So però che una volta la notte, specialmente quella senza luna, era la miglior amica dei ladri e dei sozzoni!… — Ed anche qui si potrebbe continuar a dare ancora di belle pennellate. – Dunque da una parte — I quadro — i peccati sono aumentati a dismisura; e dall’altra — II quadro — si prega poco, si prega male, non si prega. Ora io domando: Che la pensi male chi sospetta fortemente che l’aumento dei peccati si debba attribuire — più che ad altro — alla diminuzione dello spirito di preghiera, che — in fondo in fondo — non è altro che lo spirito di unione con Dio? Infatti, se la vera preghiera ottiene infallibilmente la grazia di evitare i peccati, come ho detto e provato tante volte, questi peccati non possono trovarsi se non in chi non prega o non prega bene. – Non è molto (1939) il Card. Schuster di Milano ebbe a dire: « Il popolo non viene più alla dottrina cristiana (e, soggiungo io, neppure ai sacramenti) perchè la sua vita è pagana ». Ma perchè mai è pagana questa vita del nostro popolo, se non perchè essa non è attivata dalla grazia attuale efficace, che le vien impetrata soltanto dalla fervente preghiera? Se il popolo nostro, quantunque quasi pagano, si mettesse a pregare davvero, Gesù, che è « resurrezione e vita » (Giov. XI, 25), lo farebbe risorgere e rivivere. Invece non prega, e per giunta son pochi coloro che pregano per lui; ed egli continua purtroppo a sprofondarsi sempre più « nelle tenebre e nelle ombre della morte» (Luc. I, 79). — Ed ecco — secondo me — provato un’altra volta che quella che manca è specialmente la preghiera. E fra non molto vedremo anche il grande Donoso Cortes a darmi ragione. – Il male ad ogni modo c’è, ed è assai grande. Ed esso serpeggia distesamente anche fra coloro che, recitando il « Pater noster », vorrebbero aver la pretesa di essere dei genuini figli di Dio! Ma quali figli! quali figli hai mai, o mio Dio! Oh! lasciamolo dire a Lui stesso. « Se sono Padre — Egli domanda — dov’è l’onore che mi si dà? Ah! io li ho nutriti ed esaltati come figliuoli, ed essi mi hanno disprezzato! » (Malach. I, 6; Is. I, 2). Oh, davvero! a più di uno di questi figli di Dio, si potrebbero gettare in faccia queste roventi parole del Crisostomo: « Con qual fronte puoi mirar nascere il sole, senza adorare l’amoroso Signore che te lo manda? Come puoi prendere il cibo, senza ringraziare il buon Dio che ti provvede e t’alimenta? Come puoi metterti a letto la sera, senza benedire il Signore per i tanti benefici da Lui ricevuti durante il giorno?)) Ma gli domandassi almeno perdono della tua ingratitudine e delle mancanze Commesse! Ah! « è cosa orrenda passare anche un giorno solo senza preghiera! » (Tertulliano). – « Cristiano senza orazione, animale senza ragione! » (Filippo Neri). « Chi non prega è morto! » (S. Bonaventura). Ah! — gemeva il Ven. Contardo Ferrini « io non saprei concepire una vita senza preghiera: uno svegliarsi il mattino senza incontrare il sorriso di Dio, un reclinare la sera il capo, ma non sul petto di Cristo. Una tal vita dovrebbe somigliare a notte tenebrosa piena di avvilimento e di sconforto, incapace di resistere alle prove, abbandonata al reprobo senso, ignara delle gioie sante dello spirito. Ah, povera vita! Come si possa durarla in tale stato è per me un mistero! » — Così un professore laico! Ma non è forse questa la tua vita? E ti pare che questa vita sia degna di un Cristiano o anche solo di un uomo? Ah, taci? Ne hai ben donde! Ah, poveri uomini! A quanti di loro il buon Dio potrebbe dire queste meste parole: « Vedere questi uomini che gemono, che stentano, che languiscono! Sapere di avere in mano tutto ciò di cui han bisogno, essere più che disposto a conceder loro ogni cosa; e vederlo da essi rifiutare e vederlo perfin disprezzare, ah! è cosa che mi passa il cuore! — Forse in un non lontano avvenire chi mi legge troverà che realmente Gesù disse queste precise parole ad un’anima privilegiata. Ma ancorché ciò non si verificasse, esse purtroppo riproducono la realtà delle cose. – Non è forse vero che tanti uomini ricercano e quindi stimano solo ciò che può lusingare i loro sensi e interessare la loro vita economica e materiale; mentre invece tutto ciò che riguarda la vita dello spirito non ha per essi alcun senso e quindi nessun valore? Ora questo in gran parte dipende dal fatto che non pregano. Infatti « chi non prega è come una gallina od un tacchino che non possono sollevarsi in aria. Se volano un pochino, tosto ricadono, si avvòltolano nella terra e nel fango, se ne insudiciano, e pare non trovino diletto o gusto in altro » (Curato d’Ars). Proprio così! Non si può adoperare similitudine più appropriata di questa per ritrarre al vivo la misera condizione in cui giace la maggior parte degli uomini dei nostri giorni! Ora, domando io, potrebbero mai essere più sventurati di così? « Ah! io » unisco la mia voce a quella del Ven. Contardo Ferrini, e « supplico il Signore che la preghiera non abbia a morire mai sulle mie labbra: che prima abbia ad uscire il mio spirito, che ammutolirsi così miseramente. Sì, perché il giorno che tacesse la preghiera sulle mie labbra, sarebbe finita in me ogni vita morale, sarebbe finita l’aspirazione al bene, sarebbero finiti i conforti migliori dell’anima mia. Se tacesse la mia preghiera, vorrebbe dire che Dio m’ha abbandonato ». Ma si noti bene: ciò che sarebbe per me individuo, sarà pure per la società, se essa non ritornerà ad unirsi a Dio colla preghiera.

25. — La preghiera e gli uomini grandi.

Tanti deridono e scherniscono coloro che pregano, e così seri convinti di compiere una vera prodezza da superuomini. Uno di questi si permise un giorno in presenza del patriotta Mazzini — che pur non portava addosso neppure traccia della muffa di sacristia — di canzonare un sacerdote che piamente recitava il Breviario, sperando che il celebre genovese approvasse ed assecondasse il suo atto inconsulto e volgare. Ma gl’incolse maluccio; poiché il Mazzini gli fe’ tosto passare l’uzzolo, dicendogli: « Lascia che lodi Iddio. Egli fa certamente un mestiere più nobile del nostro ». Eh, già! tanti che strisciano servilmente dinnanzi ad una persona autorevole nella spesso bella speranza di averne un favore od almeno un sorriso, oppur fanno in modo ridicolo e compassionevole i melensi paraninfi attorno ad una donna corrotta e corruttrice (il motivo è meglio tacerlo!), si stimerebbero poi minorati nel loro prestigio e nella loro dignità di uomini, se fossero sorpresi in atto di umile e confidente supplica dinanzi al Padrone di tutte le cose, Re dell’universo e loro Padre celeste; e ciò senza neppur lontanamente sospettare di perdere, con tal contegno, ogni diritto ad essere più ritenuti per uomini veramente seri e degni di stima. Ma tant’è! Il mondo è fatto così. Invece gli uomini veramente grandi avevano un concetto ben diverso della preghiera; ed a noi riuscirà sempre salutare l’ascoltarli. È e sarà sempre classico quanto in modo piano, ma pure in termini teologici, scrive sulla preghiera il grande Bourdaloue: « Nessuna decisione di fede — ei scrive — è stata mai più autenticata né ricevuta dal mondo cristiano con maggior sommissione e rispetto, che quella nella quale la Chiesa dichiara la necessità della preghiera. Senza la grazia del Redentore io — con qualsiasi capitale di virtù naturali io possa avere e per qualsiasi buon uso mi faccia della ragione e della libertà — sono sempre nell’assoluta impossibilità di pervenire al termine della salvezza. Senza l’aiuto della grazia, non solamente non posso giungere a questo felice termine della salute eterna, ma nè tampoco posso dispormivi, né cominciare a sperarla, nè desiderarla e neppure pensarvi. Senza la grazia non salute: dunque non v’è salute senza la preghiera; perchè all’infuori della prima grazia, tutto parte da essa; ed è di fede che la preghiera è il mezzo efficace ed universale con cui Dio vuole che otteniamo tutte le altre grazie. Ecco la regola da Gesù Cristo prescritta, ecco la chiave dei tesori della misericordia celeste, ecco il divino canale che ci porta i grandi beni di Dio. Dio, il quale nulla ci deve per giustizia, nè può nulla doverci se non per motivo di misericordia o tutt’al più di fedeltà, non si è impegnato con noi per questi stessi titoli di fedeltà e di misericordia, se non dipendentemente dalla condizione della preghiera. Perciò non solamente senza essere ingiusto, ma senza cessare neppure di essere fedele e misericordioso, Egli può non concederci queste grazie, quando noi non lo preghiamo.., e certe grazie così grandi, quali son quelle per la eterna salute, ben meritano almeno la fatica di doverle domandare! » – Dopo ciò ben poteva anche il Lacordaire chiamar la preghiera « la regina del mondo, la più grande leva delle grazie ». Ma qui si dirà: « Sì, tanto il Bourdaloue come il Lacordaire, furono oratori celebri. Ma uno era Vescovo e l’altro religioso; e quindi non potevano parlare diversamente ». Ah, così? Ecco allora un laico, anzi un liberale spagnolo: Donoso Cortes, il quale, per lettera, manifesta ad A. De Blanche questi sentimenti sulla preghiera: « Credo che pel mondo siano più vantaggiosi coloro che pregano, che non quelli che combattono, e che se il mondo va di male in peggio, ciò è perché vi sono più battaglie che preghiere. Se potessimo penetrare nei segreti di Dio e della storia, ritengo che rimarremmo sbalorditi al vedere i prodigiosi effetti della preghiera, anche nelle cose umane. Su tale punto ho un convincimento così profondo che ritengo che se ci fosse un’ora sola in un sol giorno in cui la terra non mandasse al cielo alcuna preghiera, quel giorno e quell’ora sarebbero l’ultimo giorno e l’ultima ora dell’universo ». – Oh! che splendido panegirico della preghiera! Il medesimo concetto della preghiera ebbero pure Victor Hugó e il Klopstok. Questi infatti asserì che « chi prega, lavora più e meglio di tutti »; e il primo disse: « chi è assorto in preghiera non sta ozioso. Le braccia incrociate operano, le mani giunte lavorano, gli occhi rivolti al cielo sono la migliore di tutte le azioni ». — E non erano santi, né uno, né l’altro; ma ben possono far coro col Cortes contro tutti coloro che vorrebbero soppressi gli Ordini religiosi contemplativi e le Suore claustrali, per lo specioso motivo che sono inutili parassiti. Ah! parassiti i Religiosi? Essi sono invece i più efficaci parafulmini stornanti le più aspre vendette che Dio dovrebbe prendersi contro le orrende ed innumerevoli iniquità degli uomini. Ai precedenti può aggiungersi quello che, ai suoi tempi, fa il più celebre medico di re e di principi, il Recamier: « Quando un malato mi dà qualche pensiero — era solito a dire — quando io non so più che pesci pigliare, quando trovo che la medicina non giova più e che la terapeutica riesce inefficace, io ricorro a Colui che può guarire ogni male ». — Ricorreva poi spessissimo al Rosario: « La Vergine — diceva – è sì buona che, tolti casi eccezionali, la preghiera è senz’altro esaudita ». – Anche il nostro Manzoni ci fece capire quant’egli credesse alla potenza della preghiera, quando — nei suoi « Promessi Sposi » — scrisse di Lucia, delittuosamente sequestrata nel castello dell’Innominato, queste parole: « In quel momento si rammentò che poteva almeno pregare, e insieme con quel pensiero le spuntò in cuore come un’improvvisa speranza. Prese di nuovo la sua corona e ricominciò il Rosario; e di mano in mano che la preghiera usciva dal suo labbro tremante, il cuore sentiva crescere una fiducia indeterminata… S’alzò e si mise in ginocchio, e tenendo giunte al petto le mani, dalle quali pendeva la corona, alzò il viso e le pupille al cielo, e disse: O Vergine Santissima! Voi a cui mi sono raccomandata tante volte, e che tante volte mi avete consolata! Voi che avete patito tanti dolori, e siete ora tanto gloriosa, e avete fatto tanti miracoli per i poveri tribolati, aiutatemi! fatemi uscire da questo pericolo, fatemi tornar salva con mia madre, o Madre del Signore! » — Si noti che il Manzoni fa coincidere con questa preghiera — che fu pienamente esaudita — il principio ed il seguito di quella tempestosa agitazione interna — operata dalla grazia attuale — che doveva condurre l’Innominato a tal mutazione del suo animo, da trasformare il tiranno in liberatore di Lucia, ed il feroce e crudele bandito in un grande benefattore dei dintorni. – Oltre ogni dire espressive sono pure le parole che Daniele O’ Connel rivolse a coloro che un anno lo sollecitarono ad abbandonare il suo tradizionale ritiro spirituale, per correre in Parlamento a sostenere la causa dell’oppressa Irlanda. « Rassicuratevi milord, — disse al messo — che pregando e confessando i miei peccati, io difendo qui la nostra causa dinanzi a Dio… L’emancipazione dell’Irlanda non perderà nulla… Lasciate che il Parlamento urli le sue minacce. In ginocchio io non sono meno potente che in piedi col braccio teso per combattere. Mi dò a Gesù Cristo per essere più utile al mio paese ». -‘Il Franklin ancora, nel 1787, mentre i 55 Delegati del Nord-America deliberavano con Washington la costituzione della Confederazione Americana, s’alzò, e — fra l’altre cose che disse – ebbe pure queste grandi parole: « Signori, preghiamo! Ho vissuto molto; e più vado innanzi negli anni, più mi persuado che è Dio che governa gli affari degli uomini ». — Abbiamo dunque qui un protestante, il quale oltreché riconoscere che ogni bene ci vien da Dio, dà pure una solenne lezione a tanti Cattolici che si vergognano di lasciarsi sorprendere in atto di preghiera. – E lasceremo da parte il nostro grande Marconi? Com’egli riconobbe lealmente d’avere scoperta la telegrafia senza fili e la radio coll’aiuto di Dio, così non molto addietro, in un’intervista concessa ad un grande giornale inglese, fece questa franca professione di fede: « Io son fiero di dire che son Cristiano e credente. Io credo nella potenza della preghiera. Io vi credo non solo come fedele Cattolico, ma anche come uomo di scienza ». E così anche il Morse, che inventò il telegrafo comune, francamente attribuì la sua utilissima invenzione al Signore. « Quando mi trovavo arenato nel mio studio — disse — mi mettevo in ginocchio, pregavo, e la luce tornava alla mia mente; sicché quest’invenzione la posso dire di Dio ». — Ah! gli uomini grandi, avevano pur grandi parole! Ora, dopo ciò, perché non accoglieremo noi l’invito che in « Carlambrogio da M. » ci fa il grande storico italiano, Cesare Cantù, incitandoci alla preghiera? Eccolo: « Qualunque sia la vostra condizione, pregate. La preghiera è uno scudo contro le tentazioni, un balsamo che cicatrizza le ferite, una mano invisibile che sostiene il barcollante, un braccio soccorrente a chi è caduto. In essa v’è qualcosa di commovente insieme e di maestoso. La preghiera, o amici, salda la fede, rianima la speranza, mantiene la carità; le tre prime virtù del Cristiano ». Ma ancor più pressante è l’invito che ci fa il principe dell’oratoria italiana, cioè il Segneri: « Io – tuona egli — vorrei dar fiato ad una tromba come quella che si farà sentire in tutto il mondo nel dì del giudizio, e gridar forte a tutti: Pregate, pregate, se volete salvarvi! ». Ah, sì! ascoltiamo questo accorato grido: ci salveremo noi. Ripetiamolo poi a tutte le anime che incontreremo sulla nostra via, e coopereremo alla salvezza loro. Si, ascoltiamo e ripetiamo questo grido!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (15)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (13)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (13)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (13)

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N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

22. Preghiera e apostolato.

Quanto scrivo qui potrà forse esser utile ai Sacerdoti e Missionari, quantunque essi abbiano altri sussidi migliori di questo nella loro opera di apostolato. Almeno in parte potrà giovare pure a quanti si dedicano in modo particolare all’Azione, Cattolica, ed anche ai genitori ed agli educatori cristiani che intendono riuscire con profitto nella cristiana formazione della gioventù. Abbiamo già udito (cap. 14) ciò che scrive Mons. Olgiati in una delle sue belle conferenze che corrono per le mani di tutti. Qui riporto il tratto per disteso. « Siccome l’Azione Cattolica — ei scrive — ha finalità eminentemente spirituali, non può avere la sua base se non in Dio e nella preghiera. Spesso si lavora molto e si prega poco o niente; ed in tal modo si costruisce la casa sulla sabbia. L’Azione Cattolica senza preghiera, mancherebbe appunto di sostegno ». E al lume della fede egli ha perfettamente ragione. Infatti « se il Signore non edifica Lui stesso la casa, invano s’affaticano coloro che lavorano per edificarla; e se il Signore non fa buona guardia alla città, indarno vigila chi la custodisce » (Salmo CXXVI, 1). – Eppure non pochi, specialmente tra i giovani, hanno la tendenza a fare e predicare molto; ma poi si ricordano poco della preghiera. Essi dicono: « Brevis oratio penetrat eoelum: quella che penetra il cielo è la preghiera breve ». In pratica poi avviene che anche quella brevissima formola di preghiera che si dice, si recita male; cioè — tutti preoccupati, come si è, di quanto si deve dire o fare — si recita senza attenzione, senza cuore e senza riverenza. E così, quantunque Apollo abbia piantato e Paolo inaffiato abbondantemente, non si riscontra poi quell’incremento che ci si riprometteva. – Altri poi interpretano erroneamente l’infelice frase « il lavoro è preghiera »; e trascurano la preghiera vera, che è « domanda di cose convenienti da Dio» (S. Tommaso d’Aquino) (« Il grande teol. Suarez, dopo aver detto che l’espressione « il lavoro è preghiera » è molto impropria e che, a suo parere, non ha fondamento nelle S. Scritture, sconsiglia d’usarla » – « Vivere in Cristo »,pag. 132). E così la grazia di Dio, non invocata colla fervente preghiera, non discende sulle loro fatiche apostoliche. E la colpa, che in gran parte è proprio loro, vien invece non di rado fatta piombare – provocando ulteriori guai — sull’ambiente o sul popolo che vien qualificato per… zotico, refrattario e — talvolta — peggio ancora! E qui riporto la voce di uno che oggi è molto quotato a questo proposito: il P. Corti S. J. Ecco com’egli si esprime: « Qualcuno dice: Abbreviamo la preghiera per dare maggior tempo all’istruzione, alla spiegazione ed allo studio della dottrina cristiana. Ma questo è un errore grave e fatale. A chi parla a questo modo risponde S. Alfonso, Dottore della Chiesa, grande Missionario, grande Vescovo e non meno grande Catechista: Le prediche, le meditazioni, e quindi anche i catechismi e tutti gli altri mezzi non servono a vivere in grazia di Dio a chi non prega » (In « Rivista del Clero Italiano » Agosto 1938). – E pur troppo per quanti non pregano, o pregano poco, o non promuovono la preghiera, si avvera quanto si legge in « Vivere in Cristo ».(pag. 139). « Qualche volta — scrive quell’autore — noi vediamo apostoli che non si sono risparmiati in nulla. Hanno incontrato spese fino a ricoprirsi di debiti; hanno studiato fino ad esaurirsi; hanno lavorato fino a consumare la salute e fors’anche ad abbreviarsi la vita. Eppure devono confessare con gli Apostoli: « O Maestro, dopo aver lavorato tutta la notte, non abbiamo preso niente! » (Luc. V, 5). Quale fu la causa? Forse sovente ci si dimentica dell’assoluta necessità della grazia attuale per aver successi nell’apostolato ». — Si osservi però che in quel libro stesso, poche pagine addietro, è detto che solo colla preghiera si può assicurarsi in modo infallibile la grazia efficace. Questo però non dovrebbe recar stupore, né sembrar strano ad alcuno di noi che apparteniamo alla sequela di Cristo. Non disse forse il Divin Maestro che senza di Lui non possiamo far nulla? (Giov. XV, 5). Tutti i Santi, ed in modo particolare i grandi apostoli « S. Francesco di Sales, S. Vincenzo de’ Paoli, S. Francesco Saverio, S. Alfonso de’ Liguori… intendevano che senza la preghiera l’uomo apostolico è un soldato senz’armi; capivano che essendo Dio il Padrone dei cuori, si promuove la conversione dei peccatori più col patrocinarne la causa presso il Signore, che con qualsiasi altro mezzo » (Ramière). – « Dieci Carmelitane che pregano — diceva un Vescovo della Cocincina, citato dal P. Chautard – mi daranno più aiuto che venti missionari che predicano ». Del resto giova vedere la cosa un po’ più in concreto. Prendiamo gli ubriaconi e i lussuriosi. Che serve dir loro che fanno male a vivere così? Essi stessi son convinti, convintissimi a proprie spese (e che spese!) che la loro vita è un disastro continuato per sè, per la famiglia, pel loro paese. Eppure, quanti di essi si convertono davvero e mutano stabilmente in bene la loro vergognosa vitaccia? Se essi non hanno una grazia attuale specialissima, son perduti per sempre. Ora questa grazia onnipotente, questa grande misericordia può essere loro impetrata solo dalle preghiere assidue e ferventi. Dalle preghiere loro? Macché! Essi non pregano! Dunque solo dalle assidue e ferventi preghiere dei buoni. – Sono queste le preghiere che hanno più valore impetrativo di tutte le altre. È ben vero che « a Dio piacque di salvare i credenti (e anche i non credenti) per mezzo della stoltezza della predicazione » (I Cor. 1, 21) e che quindi non si deve tralasciare il « predica la parola, insisti a tempo e fuori tempo; riprendi, supplica, esorta con ogni pazienza e dottrina » (II Tim. 4, 2). Anzi è proprio questo l’ufficio specifico dell’uomo apostolico. Tuttavia, se « la predicazione è il canale che distribuisce le grazie », è pur vero che « la preghiera è la sorgente delle grazie » (S. Francesco d’Assisi); e se la sorgente non butta, il canale resta senza l’acqua delle grazie. Ricordiamoci bene che « tutta la fiducia che non è basata sulla preghiera, è vana » (Meschler), e che quindi « la società sarà rigenerata solo dal santo che prega » (Toniolo). Si. proprio « la preghiera è il rimedio universale ed efficace pei mali della società » (Ramière). – Eh, sì! « la vita dell’anima è la grazia, e il mezzo onnipotente per far discendere la grazia nelle anime, è la preghiera ». Perciò « mediante la preghiera l’uomo… in favore dei suoi fratelli esercita un apostolato utile e fecondo di frutti eccellenti » (Ramière). E si noti che « la preghiera offerta per la salvezza del prossimo non ha minore efficacia di quella che offriamo per la nostra stessa salvezza » (Ramière). Infatti « Dio guarisce sempre l’anima che prega e per cui prega » (S. Lorenzo Giustiniani). Perciò « è in nostra facoltà di ottenere ai nostri fratelli, come a noi, le grazie attuali più poderose. Noi abbiamo per far questo, un mezzo facile, efficace, infallibile: la preghiera » (Ramière). E « se anche qualche volta le preghiere che facciamo per la salvezza del prossimo mancano di efficacia, ciò non avviene perché esse non ottengano da Dio le grazie che gli chiediamo, ma solo perché il peccatore si ostina a respingere le grazie. Siccome però non ci è dato conoscere le interne disposizioni delle anime, non v’è sulla terra un solo peccatore ostinato, per il quale non possiamo e non dobbiamo pregare » (Ramière), sull’esempio di S. Monica per S. Agostino, suo figlio. In ogni caso ci resterà sempre il merito e — a suo tempo — il premio per le nostre supplici preghiere in favore dei peccatori. – Ben altre cose vorrei soggiungere su questo argomento di grande attualità; ma ogni cosa, per quanto bella ed interessante, vuol avere un buon termine. – Raccomando però vivamente che dall’apostolato (Comunque e da chiunque sia fatto) non si disgiunga mai la preghiera ben fatta. Perciò quanti hanno l’incarico di lavorare nell’Azione cattolica, o in qualche Confraternita od Associazione religiosa, preghino e facciano pregare molto; gli educatori e i genitori si raccomandino sempre al Signore, supplicandolo a rendere efficace e duratura la loro azione educativa e formatrice in favore della gioventù affidata alla loro tutela e responsabilità; e « chi è confessore o predicatore non lasci mai (di pregare e) di esortar a pregare, se vuol vedere salvate le anime » (S. Alfonso). È questa la via più sicura per ottenere salutari e durevoli successi nell’opera sublime dell’apostolato intrapresa da Gesù e da Lui trasmessa ai suoi discepoli ed ai loro successori.

23. – Chi prega certamente si salva.

Il seguente paragone, che porta il Melher, fa un po’ riflettere. « Un uomo — ci scrive — che passa la maggior parte della sua vita in terra ferma e solo raramente e per breve tempo va in mare, può sperar di morire in terra ferma. Un marinaio invece che vive sempre sul mare e solo di tanto in tanto e per breve tempo mette piede a terra, deve aspettarsi di trovare la sua tomba negli abissi del mare. Così chi vive abitualmente in grazia di Dio e, se gli accade di commettere qualche peccato, tosto se ne pente e si confessa, può sperare di morire in grazia di Dio e di andare in Paradiso. Chi, al contrario, passa la vita, si può dire, abitualmente in peccato mortale, e solo raramente si concilia con Dio, e poi tosto ricade nelle sue solite colpe, deve seriamente temere che la morte lo colga in peccato mortale e lo precipiti nell’inferno ». – Ora — chiedo io — che si deve pensare di tanti Cristiani dei nostri giorni, i quali abitualmente trascurano la Messa festiva, non osservano quasi mai le leggi dell’astinenza e del digiuno, bestemmiano ad ogni piè sospinto, si ubriacano facilmente, fanno raramente la Pasqua, non intervengono quasi mai al Catechismo, parlano sporco, commettono sozzure innominabili, insidiano le donne, si lasciano facilmente sopraffare dall’ira: conducono insomma una vita che è in pieno contrasto coi comandamenti di Dio? Si può sperare che, ciononostante, essi riescano a salvarsi e ad andare in Paradiso? Rispondo: Se essi si metteranno senz’altro con tutta serietà a pregare di vero cuore e perseverano in tale pratica ogni giorno fino alla loro morte, la preghiera impetrerà loro infallibilmente da Dio tali grazie, che li strapperanno dalla loro miseranda condizione di peccatori e li condurranno a certa salvezza. Lo dice chiaramente S. Alfonso de’ Liguori. « Chi prega — egli scrive — ottiene le grazie e si salva ». Ma « se vogliamo salvarci bisogna pregare, pregando con umiltà e con confidenza, e soprattutto con perseveranza ». Vediamo però le cose un po’ più in particolare. – « La preghiera – egli scrive ancora — è un mezzo senza di cui non possiamo ottenere gli aiuti necessari per salvarci ». Ed altrove: « Specialmente la perseveranza finale (cioè il poterci conservare in grazia di Dio fino alla morte) è una grazia che non si ottiene senza una continua preghiera ». E porta questa ragione: « Siccome il Signore ha stabilito che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e di vino col coltivare le viti, così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute (eterna) per mezzo della preghiera ». Però — egli dice — « non basta pregare per salvarci: bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette soltanto a coloro che son costanti a pregarlo sino alla fine. Le preghiere particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno; ma se non sono perseveranti, non otterranno la final perseveranza, la quale, perché contiene il cumolo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e certamente fino alla morte ». Ma « se noi, trascurando di pregare, spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie che ci hanno da ottenere la salute; e non ci salveremo… Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che sempre ci raccomandiamo a Dio: la mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa, nella Comunione, e sempre, specialmente in tempo di tentazioni; con dire allora e replicare: Signore, aiutami; tiemmi le mani sopra; non mi abbandonare; abbi pietà di me! ». Insomma se vogliamo salvarci « bisogna che non lasciamo mai di pregare; bisogna che continuamente facciamo, per così dire, violenza a Dio, affinché ci soccorra sempre ».

Dello stesso parere è anche il sommo dei teologi, S. Tommaso d’Aquino. « Dopo il Battesimo — ei scrive — è necessaria all’uomo una continua preghiera per potersi salvare ». – Il Lessici pure, che fu un insigne teologo e moralista belga che visse nel secolo XVII, afferma la stessa cosa: « Non si può negare, senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti sia necessaria per salvarsi; poiché consta evidentemente dalle Scritture che la preghiera è l’unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salvezza ». Assai singolare, ma non meno apodittico a questo riguardo è il Gennadio, che fu un santo prete marsigliese del V secolo. Egli lasciò scritto: « Noi crediamo che niuno giunga a salvezza, se Dio non lo inviti; che niun invitato si applichi a salvarsi, se non è aiutato da Dio; e che niuno meriti tale aiuto, se non per mezzo della preghiera » (Ogni membro di questa preziosa testimonianza è un vero capolavoro, e merita la più posata considerazione). – Perciò se pregheremo davvero e perseverantemente come qui ci ha insegnato soprattutto S. Alfonso, noi ci salveremo senza fallo. E questo già dovremmo saperlo. « Dio infatti, dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina legge e perseverare sino alla morte. Vien tolta ogni scusa a quei peccatori che dicono di non aver la forza di superar le tentazioni; poiché se essi pregassero, otterrebbero questa forza e si salverebbero » (S. Alfonso). Anzi dobbiamo ritenere che « pregando, il salvarsi è cosa sicura e facilissima » (S. Alfonso). – Ma non è forse dello stesso parere anche lo zelante e battagliero autore di « Ut vitam habeant » e di « Vivere in Cristo »? Anch’egli infatti ci assicura che « colla preghiera è certissimo che infallibilmente si ottiene la grazia non solo di poter perseverare (cioè non solo la possibilità di perseverare) ma di perseverare di fatto in grazia santificante; non solo di poterci salvare ma di salvarci davvero ». Dobbiamo infatti ritenere che « la preghiera fatta colle debite disposizioni ha, per divina promessa, l’infallibile efficacia d’impetrare ciò che si domanda. Sembra anzi che quest’asserzione, per le manifeste testimonianze della S. Scrittura che la suffragano, sia da ritenersi di fede cattolica » (Teol. Prunmer). – Ma se è così, perchè non dovremo impetrare colla preghiera ben fatta anche la perseveranza nel bene ed una santa morte? Non è forse questo lo scopo di tutta la nostra vita su questa terra? E Iddio non ci ha forse creati per il Paradiso?…

Riassumiamo dunque senz’altro tutto l’insegnamento di questo capitolo colla consolante e nello stesso tempo tremenda sentenza di S. Alfonso. Eccola « Chi prega, certamente si salva (L’autore di « Ut vitam habeant » assicura che questa sentenza è di certezza metafisica, cioè la massima certezza che si possa avere). Chi non prega, certamente si danna (Salvo che Dio non intervenga con un miracolo, che non può aspettarsi e tanto meno pretendersi). – Tutti coloro che si son salvati, si son salvati col pregare. Tutti coloro che si son dannati, si son dannati per non aver pregato. E questa sarà per sempre la loro maggior disperazione nell’inferno: il pensare di essersi potuto così facilmente salvare pregando, ed ora non esser più in tempo di farlo » (Queste parole si trovano tanto in « Del gran mezzo della preghiera », come in « Apparecchio alla morte »). Qui io mi rivolgo al Signore e gli dico collo stesso S. Alfonso: « O Signore, certamente tu salvi colui che persuadi a pregare »: dammi dunque la grazia, anzi lo spirito stesso della preghiera. Ah, sì! invochiamo tutti istantemente da Dio, pel tramite del nostro divin Redentore e per l’onnipotente intercessione della Madre della divina grazia, questo gran dono dello spirito della preghiera. « Oh, che grazia grande è lo spirito di preghiera, cioè la grazia che Dio concede ad un’anima di sempre pregare! Non lasciamo dunque di chiedere a Dio sempre questa grazia e questo spirito di sempre pregare; perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la perseveranza ed ogni altro dono che desideriamo, mentre non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega » (S. Alfonso). – E così si avvererà per noi pure la ripetuta magnifica assicurazione divina, fattaci in questi termini da ben tre autori sacri: « Chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo » (Gioel. II, 32; Att. II, 21; Rom. X, 13).

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

20. – Sono con Lui nella tribolazione.

Ho già detto che spesso le sventure sono grandi miniere di grazie; e ritengo che esse siano tali anche quando ci piombano addosso in seguito a colpe e stravizi. Pare anzi che proprio di esse si serva il Signore per farci rientrare in noi stessi e richiamarci a Sè. Ed oh! quanti si son fatti santi in seguito a tali sventure! Che si debba quindi pensare che le afflizioni, come pure le disgrazie di questo mondo, siano spesso segni della divina benevolenza verso coloro che ne sono colpiti? È ben vero che « per causa del peccato entrò nel mondo la morte » ed ogni altra tribolazione (Rom. V, 12), e che il più delle volte « le avversità ci piombano addosso per causa dei peccati ». Ma anche in questo caso « era necessario che tu fossi provato dalla sventura, perché eri benvoluto da Dio » (Tob. XII, 13). Infatti — dice il Signore — « io rimprovero e castigo coloro a cui voglio bene » (Apoc. III, 19). Perciò « non deve dispiacerti di essere da Lui castigato, poiché Dio castiga colui che ama… come un padre » (Prov. III, 11-12). – Come vedi, andiamo di sorpresa in sorpresa riguardo all’economia delle sventure umane. Riflettendo però bene, non si potrà fare a meno di convenire che anche il Signore può fare ciò che qualsiasi padre può fare e fa con un figlio sul quale ha delle mire speciali. Lo corregge e, al bisogno, anche lo castiga, affinché, emendandosi dei suoi difetti, corrisponda al disegno paterno, tutto favorevole al figlio. Spesso si suol dare la colpa delle nostre sventure a questo o a quello, a questa o a quella cosa, a questo o quell’avvenimento. Non è detto bene. È Iddio che quaggiù « arriva da un’estremità all’altra con la forza e dispone tutte le cose con soavità » (Sap. VIII, 1). A noi quindi, anche quando siam colpiti da disgrazie, convien dire con Eli: « È Lui il Signore. Faccia pure ciò che è bene ai suoi occhi » (I Re, III, 18), o con Giobbe: « Il Signore m’ha dato, il Signore m’ha tolto. Fu fatto precisamente come piacque a Lui. Sia benedetto il Nome del Signore… Se abbiamo ricevuto dalla mano di Dio i beni, perché non riceveremo anche i mali? » (Giob. 1, 21 e II, 10). Giobbe avrebbe potuto dar la colpa ai Sabei, ai Caldei, al fulmine, al vento impetuoso. No, fu il Signore a servirsi di essi: quindi « sia benedetto il Signore! » Le avversità quindi — per chi sa intenderle — hanno pur quest’altra benemerenza (se così si può chiamarla), che è di richiamarci a Dio e di farci pregare. Se ne accorse anche il Salmista, il quale, colpito da diverse sventure, ebbe a dire « M’incolse la tribolazione e il dolore; ed io invocai il nome del Signore »: Sì, « mentre io era tribolato, gridai al Signore » (Salm. CXIV, 3; CXIX, 1). Oh davvero! la sventura ci fa ricorrere a Dio, il ricorrere a Dio è preghiera, la preghiera ci salva. Dunque le avversità, sia che si prendano come divine paterne correzioni, sia che si considerino come penitenze delle nostre colpe, sia che ci richiamino a Dio, sia che ci muovano a pregare, son cose per noi assai buone, come confessò pur Davide, dopo averle sostenute: « Ci siam rallegrati pei giorni in cui ci umiliasti e per gli anni in cui provammo il male. Ah, sì: è cosa buona che tu ci abbia umiliati! » (Salm. LXXXIX, 15; CVIII, 71). (Udii una volta un Missionario dire queste testuali parole: « Le prediche più efficaci non son quelle che facciamo noi missionari: le prediche più efficaci son le guerre, le carestie, i terremoti, le pestilenze! Si sa! per chi non vede altro che i mali temporali, queste parole son per lo meno scandalose. Ma di fatto è proprio così. Per far rientrare certuni in se stessi, tutte le prediche di tutti i preti non servono a nulla. Ed allora il Signore ricorre ai mezzi suddetti.) – E se il buon Dio ci fa soffrire pur dopo aver fatto penitenza delle nostre colpe (del resto sappiamo noi quanta ne dobbiamo fare per espiare la pena temporale dei nostri peccati?) anche allora non possiamo avercela a male; ma dobbiamo essergli invece riconoscentissimi per averci Egli associati al suo divin Figliuolo nell’opera dell’umana redenzione. Ah, sì! allora noi abbiamo il sublime dolore cristiano, abbiamo le misteriose sofferenze delle anime giuste, le quali soltanto controbilanciano davanti alla divina giustizia i godimenti illeciti e peccaminosi dei mondani, dei peccatori. – Il Signore però sa che noi stentiamo a sopportare il dolore, sia fisico che morale; ed allora, come la mamma sta presso il figlioletto sofferente a cui bisogna porgere medicine amare o compiere un’operazione dolorosa, e non permette che il frutto del suo seno abbia a soffrire più di quanto è necessario perché egli possa guarire dal suo male; così anche il Signore « sta presso coloro che hanno il cuore amareggiato », e « non permette che siate provati oltre le vostre forze; ma darà, colla prova, anche la forza per poterla sostenere » (Salm. XXXIII, 19; I Cor. X, 13). – Dunque il buon Dio è con noi quando siamo addolorati. Lo dice Egli stesso: « Io sono con lui nella tribolazione » (Salm. XC, 15). Ma perché? — Per esaudire le nostre suppliche, per sostenerci nella prova, per alleviare le nostre sofferenze. Spessissimo il buon Dio esaudisce le preghiere di coloro che soffrono. Noi sappiamo infatti che « la preghiera del misero penetrerà le nubi e non si darà quiete finché non abbia raggiunto Iddio, nè s’allontanerà affatto finché l’Altissimo non l’abbia esaudita; e il Signore non metterà indugio » (Eccli. XXXV, 21-22). Ed anche l’Arcangelo Raffaele poté dire a Tobia: « Quando tu pregavi con lacrime.., io offrii la tua preghiera al Signore» (Tob. XII, 12); e noi sappiamo che quella preghiera fu esaudita. – Ma non è Dio stesso che, quando siamo nel dolore, c’invita ad invocarlo e promette di esaudirci? Egli infatti dice: « Invocami nel giorno della tribolazione, ed Io ti libererò ». Ed altra volta: « Figlio mio, non avvilirti quando sei ammalato; ma prega il Signore, ed Egli ti guarirà » (Salmo XLIX, 15; Eccli. XXXVIII, 9). Ah! quando siamo sotto il torchio del dolore, la nostra preghiera è più sincera, più attenta, più umile ed anche più insistente; è quindi anche più facile che essa sia esaudita. In ogni caso però essa ci apporta non poca consolazione, mantiene il nostro cuore nella fiducia in Dio, e ci attira dal cielo quella pazienza e quella rassegnazione che ci son necessarie per elevare a merito le nostre sofferenze. Infatti non sempre né a tutti i tribolati il Signore concede quanto essi domandano; e ciò per il loro meglio. « Oh! quanti se fossero infermi e poveri non cadrebbero nei peccati in cui cadono essendo sani e ricchi! E perciò il Signore a taluni che gli domandano la sanità del corpo e i beni di fortuna, loro li nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perder la sua grazia od almeno d’intiepidirsi nella vita spirituale » (S. Alfonso). E così il buon Dio, pur non esaudendoli, usa verso di essi una gran misericordia; ciò che assai ben comprese S. Camillo de’ Lellis, il quale era solito chiamare « misericordie di Dio » le orrende piaghe delle sue gambe e gli altri mali che martoriavano il suo corpo. Ed infatti non sarebbe forse una gran misericordia se il Signore colpisse con una lunga malattia, con una grave e diuturna tribolazione o con un solenne rovescio di fortuna tanti stolti ed insensati uomini e donne, che sciupano forze, salute, bellezza, ingegno, prestigio, onore, autorità, soldi, ogni bene ed ogni attività nel fare il male, abbrutendo così se stessi nelle pratiche e nei vizi più infami, e trascinando pur altri a spirituale, morale ed anche materiale rovina? Ah! Che gran misericordia sarebbe questa per quei folli!… Ma chi capisce quanto dico? Infatti, che succede assai spesso? Ah! purtroppo tanti, allorquando piomba sopra di loro la sventura, non comprendono la mira che ha Dio nel mandare sopra di essi il dolore; e quindi, invece di accoglierla almeno con rassegnazione in penitenza delle proprie colpe, prorompono in orrende bestemmie contro Dio e la divina Provvidenza, divengono rabbiosi e crudeli contro quanti ritengono autori dei loro mali e intrattabili con tutti; e — se le cose durano un po’ a lungo — incapaci di sostenere più oltre la prova, si disperano fino a perder la testa e — non di rado — terminano una vita di colpe e di disordini con un obbrobrioso suicidio, che getta nel lutto e nel disonore tutti i congiunti. Quanto sono imperscrutabili e tremendi i giudizi di Dio!… Oh, quante rovine causano certe tempeste di cuori!… E la conclusione? — Questa: Impegniamoci a pregare per quanti soffrono in questa, che — a dispetto degli innumerevoli utopisti — è e sarà sempre una misera ‹ valle di lagrime »; ma anche procuriamo di alleviare, in quanto c’è possibile, le loro sofferenze, esercitandoci per amore di Dio in quelle opere di misericordia, le quali ci prepareranno un giudizio favorevole nell’ora del gran rendiconto (Matt. XXV, 21-46). Preghiamo soprattutto per coloro che stentano a sostener la prova delle tribolazioni, ed in modo particolare per quei poveri peccatori che stanno sostenendo l’ultima grande prova sul letto della loro morte (Non credo tanto fuori posto, riferire qui ciò che dice S. Roberto Bellarmino per coloro che assistono gli ammalati gravi. « Imparino coloro che assistono i moribondi — ei scrive — non tanto a parlare con loro, quanto a pregare ardentemente Iddio per loro, e a non permettere che persone d’ogni fatta visitino l’infermo, giunto agli estremi; ma solo quelle pie e probe che con le loro orazioni possono molto presso Dio; poiché l’orazione assidua e fervente del giusto vale moltissimo. E siccome il demonio ha poco tempo, fa ogni sforzo in quel momento che gli rimane; così ancora e molto più amici fedeli devono aiutare con preghiere e lagrime i loro fratelli che stanno per partire da questo mondo » (Dall’arte di ben morire, II, 13), affinché il Signore non solo li illumini sul vero scopo che Egli ha nel farli soffrire (il che non basta); ma ch’Egli dia pur loro la forza di sostenere con merito la paterna ma pur dolorosa prova, che è foriera di immense grazie e caparra di eterna felicissima vita nel Paradiso.

21. — Per chi dice: Non posso pregare.

Ho già scritto assai sulla necessità e soprattutto sull’efficacia della preghiera. Ma tutta la mia opera sarebbe quasi inutile se poi non si avesse da tutti e sempre la grazia di pregare. Mi pare quindi d’udire più di uno, che mi dice: Sia pur vero, come hai sostenuto e provato, che il Signore concede le sue grazie efficaci a chi Gliele domanda nella preghiera. Ma non è una grazia anche quella di poter pregare? E questa grazia di poter effettivamente pregare, il Signore ce la concede indipendentemente da altre grazie? E la concede sempre? la concede a tutti? anche ai più grandi peccatori? Vedi anche tu che la chiave della questione sta tutta qui! » E mi sembra di poter rispondere affermativamente a tutte le suddette domande. È sintomatico, in proposito, ciò che ci fa sapere il grande finanziere americano John Moody, entrato nella Chiesa Cattolica nel 1931. « Vi sono dei momenti — egli scrive — oppure delle ore che arrivano una volta per tutti, per quanto uno possa essere indurito e mondano. Lo afferra il tremendo mistero della vita, il quale lo sorprende e lo richiama anche alla preghiera, risveglia in lui qualcosa che sonnecchiava, e spinge l’anima sua ad implorare luce, guida, aiuto. – Qui sembra che il Moody parli d’una grazia rara e quindi straordinaria. Noi invece con Sant’Alfonso dobbiamo ritenere che il poter pregare è una grazia comune ed ordinaria, che Dio dà sempre e a tutti; dimodoché chi non prega, non vi manca per deficienza della grazia, ma solo perché si rifiuta o trascura di pregare. S. Alfonso infatti scrive: « Supposta dunque, com’è certa, la necessità di pregare per conseguir la salute, dobbiamo conseguentemente supporre anche per certo che ognuno abbia l’aiuto divino a poter attualmente pregare, senza bisogno d’altra grazia speciale; e colla preghiera ad ottenere poi tutte le altre grazie necessarie per osservare perseverantemente i precetti, e così acquistar la vita eterna; sicché niuno che si perde può aver mai alcuna scusa d’essersi perduto per mancanza degli aiuti necessari per salvarsi ». Egli quindi ritiene che « siccome Iddio nell’ordine naturale ha disposto che l’uomo nasca nudo e bisognoso di più cose per vivere, ma poi gli ha dato mani e mente con cui può vestirsi e provvedere a tutti gli altri suoi bisogni; così nell’ordine soprannaturale l’uomo nasce impotente ad ottenere colle sue forze l’eterna salute, ma il Signore concede per sua bontà ad ognuno la grazia della preghiera, colla quale può poi impetrare tutte le altre grazie che gli bisognano per osservare i precetti e salvarsi.». – E non può essere diversamente. Infatti se il Signore ci vuole veramente salvi (e dopo quanto ho scritto nei primi capitoli, non si può metterlo in dubbio), Egli deve pur concederci i mezzi necessari all’uopo; poiché « è della divina Provvidenza dare a ciascuno ciò che gli è necessario per salvarsi » (S. Tommaso d’Aquino). Ora noi già sappiamo che colle sole nostre forze e coi mezzi puramente naturali che abbiamo a disposizione, non riusciamo — pur essendo in grazia di Dio — a preservarci a lungo da colpe mortali e quindi dal pericolo di dannarci, senza quell’aiuto soprannaturale di Dio che si chiama grazia attuale. Sappiamo pure che, quantunque il Signore dia a tutti indistintamente le sue grazie attuali sufficienti, tuttavia di fatto Egli non dà ordinariamente grazie efficaci a salvarci dal peccato mortale e dall’inferno, se non a chi si fa premura di dimandargliele, cioè a chi prega. Per conseguenza la grazia di pregare, Dio é obbligalo a concederla sempre e a tutti. E quindi, la grazia di pregare, è una grazia comune ed ordinaria che non manca mai ad alcuno. Ed infatti chi oserà dire che un uomo qualsiasi, anche il più infelice e scellerato, che abbia l’uso della ragione, non possa di fatto, ogni qualvolta davvero voglia, aver di fronte al Creatore e Signore supremo di tutte le cose, quel contegno di umile, fiduciosa e cordiale supplica, che un bambino — per quanto rozzo e selvaggio – ha di fronte al babbo e alla mamma che sono i suoi naturali provveditori, od un poveretto davanti ad un ricco signore che potrebbe aiutarlo nella sua miseria? Ah! lo stender la mano e l’invocar soccorso è naturale in un mendicante. E noi non siamo forse « i mendicanti di Dio »? (S. Agostino). E qual è l’occupazione tutta propria e spontanea d’un bambino di fronte ai suoi genitori, se non quella di chiedere, domandare e supplicare? E qual è il grido che spontaneamente esce dalle labbra di chi si trova in pericolo, se non questo: « Aiuto! aiuto! aiuto! »? – Ora che impedisce che possa fare altrettanto ognuno di noi di fronte a quel grande Signore, che « attraverso le cose visibili da Lui create è noto ad ogni uomo che viene in questo mondo?” (Sap. XIII, 1; Rom. 1,20). Eh, lo so! Non di rado la prima grazia che si dovrà chiedere, sarà una maggior fede in Dio: « O Signore, vieni in sostegno della mia scarsa fede! » (Luc. XVII, 5; Marc. IX, 23); altre volte si dovrà domandare la grazia di conoscere meglio la nostra condizione di fronte a Lui, con un:.« Signore, ch’io veda! » (Luc. XVIII, 41); altra una miglior disposizione d’animo di fronte a quel Grande, col dirgli: « O Signore, crea in me un cuor puro, ed infondi nell’anima mia lo spirito della rettitudine » (Salmo 50, 12); e così via dicendo. – Ma non esageriamo: la grazia di pregare in un modo o nell’altro è sempre data a tutti. Ed ecco appunto qui, una dopo l’altra, le limpide conclusioni alle quali, nel suo faticoso ma pur tanto salutare studio, arrivò il gran Dottore della preghiera S. Alfonso de’ Liguori, nel suo piccolo ma pur tanto prezioso libro « Del gran mezzo della preghiera »: conclusioni che dicono tutte la stessa cosa, ma che pur conviene meditare una per una: « La grazia comune dà ad ognuno il pregare attualmente, senza nuova grazia preveniente che fisicamente a moralmente determini la volontà dell’uomo a porre in atto la preghiera ». « Ognuno ha la grazia necessaria a pregare, dalla quale — se ben si giova — riceve la grazia a fare ciò che prima non poteva immediatamente fare. A tutti è data la grazia di pregare, e col pregare di ottenere la grazia abbondante che ci fa osservare i precetti. Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina legge e perseverare sino alla morte. E se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, per non aver pregato » (Dunque non ragionano bene coloro che dicono: « Pregare ed altro ben non fare, a ca’ del diavolo non si fa a meno di andare ». Infatti, chi prega bene, certamente ottiene da Dio la grazia di fare il bene e di farlo bene. Si capisce! per pregar bene, non basta solo menar le labbra!). – « Dio non nega mai ad alcuno la grazia della preghiera, colla quale si ottiene da Dio l’aiuto a vincere ogni concupiscenza e ogni tentazione. Vien tolta ogni scusa a quei peccatori che dicono di non aver la forza di superar le tentazioni, poiché se essi pregassero secondo la grazia ordinaria che ad ognuno è già donata, otterrebbero questa forza e si salverebbero. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza da molti peccati, intendete che questa ne è stata la cagione: la trascuranza (non l’impossibilità) pregare o di domandar a Dio l’aiuto per resistere alle tentazioni che vi hanno assalito ». – « Intendiamo (quindi) che se non preghiamo, per noi non c’è scusa, poiché la grazia di pregare è data a tutti. Anzi vedi ciò che arriva a scrivere S. Alfonso: « Se non fossimo certi — ei scrive — che Dio dona a lutti la grazia di poter attualmente pregare senza bisogno di altra grazia particolare e non comune a tutti, niuno senza special rivelazione potrebbe sperare, come si deve, la salute » eterna. Ora dire che il Signore ci voglia far vivere in questo mondo da disperati, cioè senza la speranza di poterci salvare, non è forse esprimere il massimo degli spropositi e la più nefasta delle eresie? Ah! sia lungi da noi un tal pensiero. Certamente « può avvenire in realtà che tu non abbia ancora la grazia di osservare questo o quel comandamento, ma ben hai la grazia per chiedere tal grazia. Per cui vedrai che Dio non ti comanda nulla d’impossibile; poiché o ti concede direttamente la grazia per osservarli, o per lo meno ti concede la preghiera con cui tu puoi impetrare la grazia di osservarli » (P. Meschler). – Dobbiamo quindi fermamente ritenere che la grazia di pregare vien sempre da Dio concessa a tutti, e che perciò il servirci di questa grazia che apre l’adito a tutte le altre, dipende unicamente dalla nostra volontà. Per legittima conseguenza, se veramente vogliamo, per mezzo della preghiera ben fatta noi otterremo effettivamente e con tutta certezza da Dio la grazia di risorgere dal peccato, di preservarci dalla colpa, di correggerci dei nostri difetti, di compiere opere a Dio gradite e per noi meritorie, e di perseverare nel bene fino alla morte (Quindi non credo che sia tanto conveniente inveire molto contro i peccatori, né fare grandi sforzi per convincerli del male che fanno; poiché essi stessi — se non davanti ad altri — ben! però di fronte a se stessi, son convintissimi di essere fuori di strada, soprattutto quando vanno contro la legge naturale; e dànno spesso a se medesimi, in segreto, i nomignoli più disonoranti). Si tenga bene a mente che quanto ho scritto qui è della massima importanza pratica.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

18. — Via da me, che son peccatore?

Esistono degli uomini che, simili a Simone il fariseo (Luc. V, 8), guardano i peccatori con disprezzo. Male! Chi si diporta così coi peccatori non sa ancora che, se egli non è caduto così in basso com’essi, questa non è minor grazia né più scarsa misericordia di quella che il buon Dio è disposto a concedere ai peccatori per sollevarli dallo stato di peccato. Oh davvero! È tutta misericordia ed immensa misericordia di Dio, se noi non siamo come loro ed anche peggiori. Quindi il meglio che si possa fare pei peccatori è di pregare per essi, ad imitazione di Gesù: « Padre, perdona loro, perché non sanno ciò che fanno! » (Luc. XXIII, 34), e zelare in tutti i modi e con tutti i mezzi possibili la loro sincera conversione a Dio. – Tuttavia, la condizione dei peccatori è oltre ogni dire miserabile e pericolosa, e suscita ribrezzo e commiserazione. Essi invece, od almeno gran parte di essi, sembrano del tutto inconsci di questa loro tristissima condizione; e se la passano quaggiù, dappresso a noi, ridendo scherzano e scialandosela allegramente, e talvolta perfino dandosi l’aria di essere essi soli i veri savi a questo mondo: neppur lontanamente sospettando che — se non avranno la fortunata grazia di convertirsi a tempo — essi dovranno, immediatamente dopo la morte e poi per tutta l’eternità, confessare angosciosamente: Ahimè! per la nostra insipienza « la luce della giustizia non rifulse ai nostri occhi, e il sole dell’intelligenza non si levò sopra di noi. Ci stancammo sulla via dell’iniquità e della perdizione, battemmo strade disastrose e non conoscemmo i sentieri che conducevano al Signore! Che ci apportò la superbia? e a che ci giovò l’ostentazione orgogliosa delle nostre ricchezze? Dunque abbiamo sbagliato e noi siamo stati dei grandi insensati » (Sap. V). – Ora però, finché sono ancora in vita e godono dell’uso della ragione, è sempre possibile che essi si convertano. È ben vero che essi, per le loro colpe, si trovano assai lontani da Dio, « in una regione longinqua » (Luc. XV, 13). Pure, se essi vogliono, coll’aiuto della divina grazia, che il Signore non lascia mai mancare a chi sinceramente la ricerca, ben potranno ritornare nell’amoroso amplesso del buon Dio. Basta che essi riconoscano il male fatto ed invochino il divino perdono, per subito ricongiungersi al Signore. Infatti chi di vero cuore dice al suo Dio: « O Signore, abbi pietà di me! Guarisci la povera anima mia, perchè ho peccato contro di Te » (Salm. XL, 5), è pur disposto a fare tutto ciò che Dio esige da lui per concedergli il perdono; e quindi lo avrà infallibilmente. Ed ecco così rilevata un’altra volta la mirabile efficacia della preghiera ben fatta. – Ma si decideranno essi a pregare? Ecco il punto! — Tanti purtroppo sentono per la preghiera un’avversione che si può dire diabolica; e sarà assai difficile che essi si pieghino a questa più che giusta esigenza di Dio. Però, volendo, essi possono vincere quest’avversione; poiché — come vedremo — « la grazia di pregare è data a tutti » (S. Alfonso). – Sonvi tuttavia dei peccatori, i quali — ancorché preghino — non saranno esauditi fino a quando non muteranno i propri sentimenti. Il Crisostomo, per esempio, avverte che « nessuno può essere così audace da accostarsi a Dio colla preghiera, finché cova l’odio e la vendetta nel suo cuore ». Ed ha ragione, poiché Dio non perdona i peccati a coloro che non perdonano ai nemici i torti da essi ricevuti (Matt. XVIII, 23-25, Marc. XI, 25-26), e se noi non ci manterremo nell’amore del nostro prossimo, Gesù non ci può riconoscere per suoi discepoli (Giov. XIII, 35). Altri poi (ed oggi son legioni) passano la vita dimentichi di Dio, in continuo peccato abituale, aggravato ogni giorno da nuove colpe attuali che commettono con massima disinvoltura come se fossero in pieno diritto di farlo; e ciononostante si lusingano, con folle persuasione, di potersi riconciliare con Dio al termine della loro vita spensieratamente delittuosa. Di costoro il beato Claudio De la Colombiere — pur tanto inclinato a pietà pei peccatori — scrive: « Bisogna confessare che questa fiducia dei peccatori è ancor più grande di quella d’Abramo. Abramo sperò contro la speranza, ma questi sperano contro la fede. Proprio sembra che questi vogliano dannarsi a bella posta, poiché è contrario al Vangelo che Dio loro perdoni in quell’ultimo punto ». Infatti non è proprio per essi il ben noto effetto: « Maledetto l’uomo che pecca nella speranza del perdono »? E si oserà ritenere che sia sicura la sorte eterna di questi tali, che pensano di darsi a Dio, sol quando avranno — come si dice — l’acqua alla gola?… Ah! Sordi come sono alle ispirazioni di Dio ed ai richiami dei buoni, saranno invece per loro queste tremende parole dello Spirito Santo: « Io vi chiamai, e voi ricusaste di seguirmi. Ebbene anch’io mi riderò di voi e vi schernirò nell’ora della vostra rovina! » (Prov. 1, 24-26). – Ma — torno a chiedere — pregano essi? — S. Alfonso prospetta il caso, e dice; « Vi sono alcuni infelici che amano le catene colle quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perchè son preghiere temerarie ed abbominevoli ». Ed anche il Salviano ritiene non essere « nessuna meraviglia che Dio non ci ascolti, se noi ci rifiutiamo di ascoltare Lui ». – Però in prevalenza essi non pregano, poiché ben intuiscono che la loro preghiera è inutile fino a quando non si decideranno seriamente ad abbandonare la loro vita di peccati e di disordini ed a ritornare a Dio. Essi capiscono assai bene che un continuo voler avere, senza essere pur disposti a dar qualcosa anch’essi, è una cosa che non va, è un controsenso. Oppure — se pregano — domandano a Dio e, più frequentemente, alla Madonna od a qualche Santo o Santa, quella ch’essi chiamano « la fortuna »: fortuna negli affari, nelle aziende, nei negozi, negli studi, nella stalla, in campagna, e specialmente la salute corporale; e non di rado il Signore li esaudisce per poterli premiare in questo mondo per quel po’ di bene che ancor essi compiono nel corso della loro vita. In fine poi, quando vuole Dio e non già quando si ripromettono essi, piomba sopra di loro quella morte subitanea ed improvvisa che il mondo chiama bella perchè non preceduta da lunghi disturbi, da grosse spese e da gravi sofferenze; ed essi piombano nel mondo di là carichi dei gravi peccati d’una lunga vita, senz’aver potuto esprimere sopra di essi neppure il minimo atto di pentimento. – Ah, quanti, quanti sono i casi identici a questo, od assai assomiglianti! E, dopo ciò, quel che segue: in questo mondo un funerale di primissima classe e la reposizione del corpo in un’artistica tomba o sotto una classica lapide laudatoria; e nel mondo di là una misera anima già giudicata e messa al suo posto per tutta l’eternità!.— Dove? — Non oso dirlo. Dio solo ha il dominio sull’eternità e su quanto avviene in essa. – Ed è pur verissimo che fra l’ultimo gemito d’un moribondo e l’inferno, c’è ancora l’oceano della divina misericordia. Ciononostante io non oso chiedere né a Dio, né ad alcun Santo, che « la mia fine sia somigliante a quella di costoro ».(Num. XXIII, 10). Ah, no! Prego invece, ed invito quanti mi leggono ad unirsi a me, affinché il Signore usi verso questa sorte di peccatori — che è la più bisognosa — non solo la sua grande, ma senz’altro la sua massima misericordia. Essi infatti, se pur intuiscono che li attende qualcosa di grosso nel mondo di là, pure non sospettano neanche lontanamente quanto « sia orrendo cadere nelle mani del Dio vivente » (Ebr. X, 31). Sì, sarebbe assai spaventosa la condizione di un uomo che si vedesse sospeso per un sottilissimo filo sopra un campo di baionette o sopra un serraglio di bestie feroci ed affamate; ma è mille volte più orribile la condizione del peccatore, il quale pel tenue filo della sua vita, che può spezzarsi ad ogni istante, è sospeso sopra le orrende fauci dell’inferno. Eppure questi disgraziati, anziché pensar di rimediare a sì spaventosa loro condizione, pensano solo — come già dissi — a far roba, a far denari, a godersela a più non posso, a ridere, a divertirsi. Ora si può essere più pazzi ed insensati di così? Quindi torno a dire: Preghiamo pei peccatori. « Le anime veramente innamorate di Dio dice S. Alfonso — non cessano di pregare per i poveri peccatori. E com’è possibile che un’anima che ama Dio, vedendo l’amore che porta alle anime e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salvezza e il desiderio che ha questo Salvatore che noi preghiamo pei peccatori, com’è possibile — dico — che possa poi vedere con indifferenza tante povere anime che vivono senza Dio, schiave dell’inferno, e non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle infelici perché possano uscire dallo stato miserabile in cui dormono ,e vivono perdute »? — Sì, via il gretto egoismo! Pensiamo bene che « Dio comandò a ciascuno di aver pensiero del suo prossimo » (Eccli. XVII, 12). E ciò è anche nel nostro interesse; poiché a chi ritrae un peccatore dall’errore della sua cattiva via, salverà la di lui anima dalla morte eterna e coprirà una moltitudine di peccati propri » (Giac. V, 20). Sì, preghiamo per i poveri peccatori!

19. Signore, sii propizio a me peccatore!

Non però tutti i peccatori, per grazia di Dio, si trovano nelle tristi condizioni da me rilevate nel precedente capitolo. Ce ne sono tanti che « peccano per fragilità o per impeto di qualche gran passione, e gemono sotto il giogo del nemico, e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù; e perciò domandano aiuto a Dio ». Orbene « l’orazione di costoro, s’ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore, il quale dice che ognuno che domanda riceve, e chi cerca la grazia la ritrova. – Ognuno — spiega un autore — sia egli giusto, o sia peccatore » (S. Alfonso). Sta scritto infatti: « O Dio, tu non disprezzi un cuor contrito ed umiliato », e « tu, o Signore, rimetti i peccati di coloro che t’invocano » (Salm..50, 19; Tob. 3, 1 . E dopo aver Dio nella S. Scrittura in mille modi invitato i peccatori a rientrare in se stessi e a ritornare con tutta confidenza a Lui per poter dare loro il bacio del perdono e l’abbraccio dell’amore, Egli rivolge a ciascuno di essi queste paterne parole: « Se tu pregherai sarai sciolto dai peccati » (Eccli. XXVIII,.2). « Si, alzi le sue grida anche il peccatore; e la sua preghiera giungerà fino a Dio » (S. Gregorio M.). Ed invero « la preghiera in bocca al peccatore, sebbene non sia bella perché non accompagnata dalla carità, nondimeno è utile e fruttuosa per uscire dal peccato; poiché, come insegna S. Tommaso, la preghiera del peccatore è bensì senza merito, ma è ben atta ad impetrar la grazia del perdono, mentre la virtù d’impetrare è fondata non già sul merito di chi prega, ma sulla divina bontà e sui meriti e sulle promesse di Gesù Cristo » (S. Alfonso). Quindi « benchè sia desiderabile che chi prega si trovi in istato di grazia, tuttavia il peccatore… deve pregare anch’egli, e pregare molto, e più del giusto, per impetrare il perdono de’ suoi peccati e riconciliarsi con Dio » (A Lapide), poiché il Signore stesso mette in bocca a Davide queste parole che sembrano paradossali « Tu, o Dio, perdonerai al mio peccato, poichè esso è grande » (Salm. XXIV, 11). E qui osserva. Questa commossa supplica del Salmista non ha forse qualche somiglianza coll’accorata invocazione che il bambino ammalato o ferito rivolge alla mamma nei momenti di maggior sofferenza, dicendole: « O mamma, soffro tanto! Aiutami! »? E che non fa la mamma per alleviare i dolori del figlio, ancorché egli si fosse procurato il male colla sua sventatezza o per non averla voluta obbedire?… Orbene ascolta ciò che ti dice ora il Signore: « Potrà forse una donna — Ei dice — dimenticare il suo figliuolo in modo da non sentir più compassione del frutto delle sue viscere? Oh! se anche questa lo potesse dimenticare, Io invece non mi dimenticherò mai di te! » (Is. XLIX, 15). Anzi guarda fino a qual segno.arriva il buon Dio! « Se uno ripudia la moglie, e questa, allontanatasi da lui, prende un altro marito, il primo ritornerà forse nuovamente da lei?… Ma tu hai peccato con molti amanti! Tuttavia ritorna a me, ed io ti riceverò… Almeno ora dimmi: Padre mio, sei tu la guida della mia virtù! » (Ger. III, 1-3). E il peccatore avrà riguardo di mostrare al Signore le piaghe dell’anima sua, e di dirgli: « Sono stato uno sventato! non ho voluto obbedirti e sono stato molto cattivo verso di te! Ma tu, infinitamente buono, abbi pietà di me, rimedia ai guai da me stesso in me provocati, e guarisci la povera anima mia! » E il Signore non esaudirà una tal supplica? Ma allora a chi concederà Egli la sua misericordia, se non la concede ai miseri? Ah! « se Dio non esaudisce i peccatori — dice S. Agostino — indarno il Pubblicano avrebbe domandato il perdono. Ma il Vangelo ci attesta che il Pubblicano, col pregare, ben ottenne il perdono » (S. Alfonso). Ed invero « quando l’anima gli dice: Signore, io non cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra: liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il paradiso, datemi il santo amor vostro, datemi rassegnazione alla vostra volontà, com’è possibile che Dio non voglia esaudirla? E quali domande mai — dice S. Agostino esaudirete voi, o Dio, se non esaudite queste che son tutte secondo il vostro cuore? » (S. Alfonso). – Molto opportunamente perciò S. Alfonso mette in bocca a Gesù questa patetica esortazione ai peccatori: « Orsù, peccatori, non vi disanimate; non fate che i vostri peccati vi trattengano dal ricorrere al mio Padre e dallo sperare da Esso la vostra salute se la desiderate. Voi non avete già i meriti per ottenere le grazie che chiedete, ma avete solo i demeriti per riceverne castighi. Fate dunque così: Andate da mio Padre in nome mio, e per i meriti miei cercate le grazie che volete; ed Io vi prometto e vi giuro: In verità, in verità vi dico, che quanto domanderete, il Padre ve lo concederà. Dunque è colla preghiera che i peccatori possono impetrare il perdono delle proprie colpe, è colla preghiera ch’essi riescono a chiamare sopra di sé quell’umiltà e quel coraggio che è loro necessario per farne una fruttuosa Confessione sacramentale, ed è ancora colla preghiera che essi possono ottenere da Dio l’aiuto per conservarsi a Lui fedeli in seguito. Infatti, per mantenersi saldi nei loro buoni propositi, essi non devono mai tralasciare la preghiera, ma servirsene sempre con tutto il fervore possibile, specialmente in tempo di tentazioni. Quindi « non basta — dice il Bellarmino — chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte: dobbiamo domandarla sempre, ogni giorno, sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca un giorno, per quel giorno l’otterrà; ma chi non la chiede anche domani, domani cadrà ». — Così S. Alfonso, il quale in un altro luogo ha pur queste parole: « Tante povere anime perdono la divina grazia, e seguono a vivere in peccato, e in fine si perdono perché non pregano e non ricorrono a Dio per aiuto ». — Purtroppo è così! E l’esperienza lo conferma. Io stesso ho spesso veduto che chi, dopo una Missione o un Triduo di predicazione continuò a pregare, si mantenne pur saldo nel bene, anzi divenne sempre migliore; e chi invece abbandonò la preghiera intrapresa, ricadde miseramente, anzi divenne peggiore di prima. E non son solo ad averlo notato. S. Alfonso assai prima di me scrisse: « Troppo lo dimostra l’esperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni non cade, e chi non ricorre cade ». – Attenti però ad una specialità (passi la parola). Per liberarsi dai peccati impuri e per preservarsi da essi, talvolta la sola preghiera non è sufficiente: ci vuole, in più, quello che Gesù chiama « il digiuno ». Infatti « questo genere di demoni non si scaccia se non colla preghiera e col digiuno » (Marc. IX, 28); e precisamente digiuno dello stomaco, degli occhi, dell’udito, della gola; e freno alla lingua, alla fantasia e soprattutto alla volontà, l’ufficio della quale è di regolare secondo la legge di Dio tutte le potenze dell’anima e di moderare i sensi e le membra del corpo, comprese le mani e i piedi. Poco può sperar di spegnere colla preghiera la lussuria chi poi volontariamente continua a darle esca da tutti i sensi, resi ancor più fini da una delicata nutrizione. Infatti, la purezza senza la cristiana mortificazione (anche questa però può essere impetrata dalla fervente e continuata preghiera) è impossibile. Invece « frena la gola, e più facilmente frenerai le inclinazioni della carne » (Imit. di Cristo). – Che ci resta dunque a fare dopo queste considerazioni? Due cose. Anzitutto dobbiamo sforzarci di scoprire ai poveri peccatori il grande tesoro della preghiera e di metterlo a loro disposizione, affinché se ne innamorino e ne approfittino. Se ne assumeranno sinceramente, cordialmente e stabilmente la pratica, essi si redimeranno e si salveranno. — E poi,… e poi — come già raccomadai nel precedente capitolo — pregare spesso e molto per essi. Ricordiamo che anche la Vergine Immacolata, che apparve a Lourdes, s’interessò in modo tutto particolare di essi, raccomandando vivamente a S. Bernardetta e — pel tramite di essa — a quanti erano presenti, di pregare per essi. « Pregate — disse — pei peccatori! )) E noi lasceremo cadere nel vuoto questo pio, amoroso ed accorato grido della nostra buona Madre Celeste? Essa, da quello speco benedetto non fece molte parole. Dobbiamo quindi ritenere che, se la dolce ed amabile nostra Signora credette opportuno farci questa raccomandazione in favore dei peccatori, il pregare per essi non solo dev’essere una grande opera di carità, ma anche di somma utilità per noi. Assecondiamo il suo desiderio, e saremo contenti.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (12)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (10)

OSSIA IL MEZZO PIÙ INDISPENSABILE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA. (10)

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

16. — Guai a chi non prega!

Possiamo dunque far nostro il sillogismo del P. Von Doss: « Senza il divino aiuto — ei scrive — non v’è per noi salute. Senza la preghiera questo divino aiuto ci manca. Dunque senza la preghiera per noi non v’è salute ». « Chi non prega certamente si danna » (S. Alfonso). Infatti — e va bene il ripeterlo — « i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni », se non colle nostre forze, ben però « coll’aiuto della grazia, che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore » (Cat. di Pio X, dom. 165). Perciò « chi vuole stare con Dio deve pregare. Ogni qualvolta il peccato minaccia l’anima nostra, ricorriamo alla preghiera se non vogliamo soccombere » (S. Isidoro). Certo « non ha scusa chi cade; poiché se pregava non sarebbe stato vinto dai nemici » (Crisostomo). – La preghiera è dunque a tutti assolutamente necessaria; anzi « fa d’uopo osservare che la preghiera è per noi un mezzo indispensabile e che non può surrogarsi con altri mezzi per raggiungere la perfezione e la salvezza » (P. Meschler S. J.). – Ed anche su questo punto i Ss. Padri e gli uomini che hanno il senso di Dio, son tutti d’accordo. « Noi crediamo – dice S. Agostino – che niuno meriti il divino aiuto, se non chi prega… Senza il cibo non può sostenersi il corpo, e senza la preghiera non può conservarsi la vita dell’anima ». E il P. Meschler : « La preghiera è il minimo che Dio poteva esigere dall’uomo. Chi si rifiuta di farla, si chiude volontariamente la porta delle grazie del cielo… Nessuna cosa si deve sperare, se non per la preghiera. Tutta la fiducia che non sia basata sulla preghiera è vana. Dio nulla ci deve se non mediante la preghiera, poiché è a questa che Egli ha promesso tutto. Ordinariamente Dio non concede alcuna grazia se non Gliela si domanda; e quando la concede è grazia della preghiera ». « Quella della preghiera — scrive il P. Berlatti, Gesuita anche questo — è una strada, mettendoci sulla quale, i più grandi peccatori si salvano, ed uscendo dalla quale i più grandi santi si perdono ». Ma già prima il Crisostomo aveva asserito che « la preghiera è per l’uomo ciò che l’acqua è per il pesce »; e l’A Lapide, raccogliendo il pensiero di tutti, conclude: « la preghiera è per l’anima nostra ciò che il sole è per la natura per vivificarla e fecondarla, ciò che l’aria è pei nostri polmoni, il pane per la vita materiale, l’arma pel soldato, l’anima pel corpo »: tutte cose, come si vede, necessarie e insostituibili. – Riporto qui anche il pensiero del P. Oddone S. J. « La grazia — egli scrive — ci manca qualche volta. Ma questo avviene non perché Dio ce la rifiuti, ma perché noi non gliela domandiamo. Non perché Dio non ci voglia esaudire, ma perché noi siamo negligenti nell’invocarlo. Se noi abbandoniamo Dio, trascurando di ricorrere a Lui e di attirarci, colla preghiera la sua grazia e il suo soccorso, Dio abbandona noi. Ma l’abbandono di Dio, sempre suppone il nostro abbandono o la nostra trascuranza ». Ecco dunque a che punto trascina la trascuranza nella preghiera: nientemeno che all’abbandono di Dio! E questo non si dirà grave, anzi disastroso? – Hanno quindi ragione anche il Crisostomo e l’Aquinate, il primo dei quali dice: « Io penso che appaia a tutti evidente come sia a tutti impossibile vivere virtuosamente senza il sussidio della preghiera »; e l’altro: « Il Signore non vuole concederci le grazie che « ab æterno » ha determinato di donarci, per altro mezzo che per la preghiera ». Questo, si comprende, vale per le grazie efficaci; poiché le grazie comuni (sufficienti) son date a tutti. Anche S. Teresa di Gesù, commentando le evangeliche parole: « Chiunque domanda riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto » (Luc. XI, 10), così si esprime: « Dunque chi non domanda non riceve, chi non cerca non trova, e a chi non picchia non sarà mai aperta la porta. Dunque, chi lascia la preghiera è simile ad un corpo paralitico che ha mani e piedi e non li può adoperare; dunque il lasciar la preghiera è lo stesso che lasciar la buona strada che guida al cielo e gettarci da noi stessi nell’inferno senza bisogno del demonio che vi ci spinga ». Dopo ciò deve apparire chiaro ciò che — già nella prefazione — scrive S. Alfonso nel suo libretto « Del gran mezzo della preghiera ». « Ben s’inculcano — ei rileva e lamenta — tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza ai Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditar le massime eterne ed altri mezzi, tutti — non si nega — utilissimi. Ma a che servono, io dico, le prediche, le meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri spirituali, senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol conceder le grazie se non a chi prega? « Chiedete ed otterrete » (Giov. XVI, 24). Senza la preghiera — parlando secondo la Provvidenza ordinaria — resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo, saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio e a tutte le promesse da noi fatte. La ragione si è perché a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti, non bastano i lumi da noi ricevuti e le considerazioni e i propositi da noi fatti; ma di più vi bisogna l’attuale aiuto di Dio; e il Signore questo aiuto attuale non lo concede se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni e i buoni propositi concepiti a questo servono, acciocché pei pericoli e tentazioni di trasgredir la divina legge, noi attualmente preghiamo e colla preghiera otteniamo il divino soccorso che ci preservi poi dal peccato; ma se allora non preghiamo, saremo perduti ». Ed altrove, nello stesso libretto, scrive: « Alcune anime devote impiegano gran tempo a leggere e meditare, ma poco attendono a pregare. Nel leggere e meditare (e — si potrebbe aggiungere — nell’ascoltar prediche) noi apprendiamo i nostri obblighi, ma colla preghiera otteniamo la grazia per adempierli. Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non per renderci più colpevoli innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo quanto vogliamo: non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempierle ». E tutto questo — si noti bene — dice quel S. Alfonso che pur scrisse volumi di meditazioni, di prediche e di esortazioni al bene, e che pur promosse in modo ammirabile la frequenza ai SS. Sacramenti. Qualcuno si sarà meravigliato nel leggere che S. Alfonso (vedi le parole da me sottolineate) neghi, sotto l’aspetto da me trattato, perfino l’efficacia dei SS. Sacramenti. Eh, già! fra « tutti gli altri mezzi che dànno i maestri spirituali », è segnalata anche « la frequenza dei Sacramenti ». Perciò su questo punto convien fare due righe di spiegazione. Potrei spicciarmi dicendo coll’Aertnys che, « come Dio ha stabilito che la grazia santificante ci giunga attraverso i Sacramenti, così ha decretato che le grazie attuali (è il caso nostro) ci giungano per il canale della preghiera di petizione »; ed avrei detto quanto basta. – Ma voglio essere più chiaro ancora. Intanto i Sacramenti, a chi li riceve colle dovute disposizioni, danno od aumentano « ex opere operato », cioè infallibilmente, la grazia santificante. Questa però non è la grazia attuale, della quale qui si tratta. I Sacramenti poi ci danno per giunta la cosiddetta grazia sacramentale, la quale consiste in un diritto a quelle speciali grazie attuali che rispondono al fine proprio di ogni Sacramento. Ora qui si può chiedere: questo diritto è esso valorizzato e le relative grazie attuali riescono esse efficaci senza la nostra preghiera? Giusta quanto è stato detto e sostenuto fin qui, non è forse soltanto la preghiera quel mezzo potentissimo che ci assicura l’efficacia delle grazie attuali? – La S. Comunione poi ci preserva — come dice il Tridentino — dai peccati mortali. Ed è verissimo. Questa però è una grazia preservativa che entra nella serie delle grazie attuali. Dunque essa pure, perché riesca infallibilmente efficace, abbisogna della nostra fervente preghiera. Ed ecco che così si deve per forza dar ragione a S. Alfonso. Senza preghiera, almeno ordinariamente, non si dà grazia efficace. Ed il celebre Teol. De Lugo non lo contraddice. « Dall’esperienza ci consta — ei scrive — che tali aiuti efficaci non son dovuti a chi riceve i Sacramenti » (De Sacram., Disp. 4, sect. 3, 26). E quanto dico è recentemente confermato anche dall’autore di « Vivere in Cristo » (pag. 121). « Nemmeno i Sacramenti — egli scrive — ci assicurano in modo infallibile la corrispondenza alle grazie attuali. Indubbiamente per salvarci dobbiamo frequentare i SS. Sacramenti; ma non basta. Bisogna accompagnarli con molta preghiera. Ciò spiega come qualche volta avvenga che anche chi riceve la S. Comunione frequentemente, ricada spesso in peccato e non riesca a liberarsi da cattive abitudini. La ragione è questa: non prega, (o non prega bene, o non prega abbastanza). Per star vivi non basta soltanto mangiare, ma bisogna anche respirare. Nella vita della grazia la preghiera è il respiro ». E quanto ho scritto non spiegherebbe pure il vero motivo della precarietà di certe conversioni che avvengono realmente nel tempo pasquale e specialmente in occasioni di tridui e missioni? Allora si udì la divina parola, allora si invocò il divino perdono, e lo si ottenne. In seguito però (e quanto presto!) si cessò di pregare, e purtroppo si ritornò al vomito, riducendosi spesso in condizioni peggiori delle precedenti (Matt. XII, 45). Ecco la desolante storia di tante povere anime! È la trascuranza di pregare che le rovina. Lo dice anche S. Alfonso: « Molti peccatori coll’aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio; ma poi, perché lasciano di domandare la perseveranza, tornano a cadere e perdono tutto ». Invece purtroppo « tutto quaggiù tende a farci trascurare la preghiera pur così dolce e per se stessa tanto facile. Il semplice Cristiano che vive nel mondo ne è distolto dagli affari, il religioso ritirato nella solitudine trova troppo spesso ostacoli al compimento di essa nell’attività dello spirito, il Sacerdote ne trova appena il tempo in mezzo alle fatiche e alle distrazioni del ministero. Noi infelici, infelice la Chiesa, se finissimo per cedere davanti a questi ostacoli! » (P. Ramiere). E dunque? Dunque, applichiamo a noi queste gravi parole colle quali il pio e venerabile P. Riccardo Friedl S. J. terminò un corso di esercizi spirituali predicato a degli studenti religiosi: « Dimenticatevi pure di quanto vi ho detto e di quanto vi fu insegnato nei lunghi anni della vostra formazione; ma ricordatevi di una cosa sola: di pregare. Diverrete santi e sarete grandi apostoli. Che, se ricordaste tutto il resto, ma dimenticaste questo solo: che occorre pregare, perdereste l’anima vostra e sareste pur la rovina di altre ». – E questo valga non solo pei religiosi, ma indistintamente per tutti.

17. — O Signore, non c’indurre in tentazione.

Dunque « la preghiera è necessaria perché Dio la comanda, è necessaria per trionfare dei nostri nemici, per uscire dallo stato di peccato, per non ricadervi, per lavorare alla nostra salvezza, per corroborare la nostra fiacchezza, per praticare la virtù, per poter giungere in Paradiso ». Soprattutto, però la preghiera è necessaria quando siamo tentati al male. Ah, sì! allora dobbiamo seguire senza dilazione il consiglio di Gesù, che dice: « Vigilate e pregate per non soccombere alla tentazione (Matt. XVI, 41), ed immediatamente e con tutta fiducia rivolgerci al buon Dio, e dirgli: « Deh, per carità! non permettere ch’io ceda alla tentazione » (Luc. XI, 4). È bensì vero ciò che dice lo Spirito Santo quando chiede: « Che cosa sa mai chi non è tentato? » (Eccli. XXXIV, 9), ed è pur lodato chi esce vittorioso dalle tentazioni: « Beato l’uomo che sostiene la tentazione, poiché quando sarà stato provato, riceverà la corona della vita » (Giac. 1, 12); ma purtroppo spesso, se anche lo spirito è pronto a resistere, la carne invece e assai debole (Matt. XXVI, 41), e cede miseramente. Ed allora son veri guai! Dobbiamo tuttavia ritenere che « Dio è fedele, e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche l’aiuto necessario, affinché possiate sostenerla (I Cor. X, 13). Ora chi nelle tentazioni invoca Dio, Gesù, lo Spirito Santo o Maria Santissima, e coll’anima sua si rifugia in Essi con quello slancio stesso con cui una bambina invoca la mamma e si rifugia di corsa nel suo grembo quando si vede assalita da un cagnaccio, oh, è certissimo di evitare il peccato! Chi fa così non può essere abbandonato dal Signore. – Talvolta le tentazioni sono assai forti e si ripetono con grande frequenza. In simili frangenti « chi siamo noi e qual è la nostra forza per resistere a tante tentazioni? » Ora il Signore, permettendo questo, vuol farci capire che « vedendo noi la nostra debolezza, ricorriamo con tutta umiltà alla sua misericordia » (S. Bernardo). Ne vien di conseguenza che « chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione, senza dubbio pecca gravemente se non ricorre a Dio coll’orazione chiedendo l’aiuto per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere » (S. Alfonso). Avverto poi che quanto dice qui S. Alfonso è di massima importanza specialmente per la gioventù, che non crede alla propria debolezza morale, che non vede il bisogno di vegliare su se stessa e che quindi non ritiene neppur necessario raccomandarsi a Dio. Con ciò non si vuol dire che chi prega possa sempre liberarsi da tutte le tentazioni. È però certo e sicuro che, colla preghiera ben fatta, ci preserviamo infallibilmente dal soccombere alle medesime. E questo basta. Scrive infatti S. Bernardo a sua sorella: « Tu mi chiedi un rimedio contro le suggestioni del demonio… Raccomandati continuamente a Dio. La preghiera perseverante spunta le frecce dell’infernale nemico ed è l’arma più poderosa contro i suoi assalti ». E S. Alfonso « Molte volte noi cerchiamo da Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio non ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che anche allora Dio permette ciò pel nostro maggior bene. Non sono le tentazioni e i cattivi pensieri che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi (cioè l’acconsentire malamente ad essi). Quando l’anima nella tentazione si raccomanda a Dio e col suo aiuto resiste, oh! com’ella si avanza allora nella perfezione e viene a stringersi con Dio! E perciò il Signore non la esaudisce » per darle modo di crescere in virtù e arricchirsi di meriti. Spesso poi, ma specialmente quando siamo tentati, « dobbiamo aver sempre pronte molte orazioni giaculatorie… con slanci ed elevazioni di cuore, simili a quelle degli antichi penitenti: Io sono vostro, o mio Dio, salvatemi! Abbiate misericordia di me! Siate propizio a me, povero peccatore! e simili » (S. Francesco di Sales). Ora anzi ce n’è un vero arsenale, anche di indulgenziate; e ci conviene apprenderne alcune a memoria per averle pronte nel momento del bisogno. Ma ecco una domanda: Si avrà poi sempre. quando si è tentati, la grazia di raccomandarci a Dio? Rispondo senz’altro di sì; e chi fa la carità di leggermi, lo vedrà chiaramente nel cap. 21, che non è lontano. – Insomma nelle tentazioni e nei pericoli di offender Dio e di cadere in peccato, sia nostro il grido di S. Pietro, quando stava per sommergersi: « O Signore, salvami! »; sia quello degli Apostoli sorpresi dalla tempesta: « Signore, salvaci, se no siam perduti! », e tutto ci andrà bene (Matt. XIV, 30; Luc. VII, 24). Ah, sì! se faremo così il buon Dio interverrà senza fallo in nostro soccorso; e noi ci salveremo certamente dall’acconsentire al male. E non si creda — come ritengono non pochi — che i buoni e i santi vadano esenti da tentazioni. La verità invece è che i buoni son tentati assai più spesso e più violentemente dei cattivi. Non occorre che il demonio tenti i cattivi: essi son già suoi. Egli li tenta e li agita per lo più quando vorrebbero svincolarsi dal suo giogo; ma poi non si preoccupa tanto di loro, e li lascia in relativa tranquillità. Ora perché i buoni resistono a grandi, e frequenti tentazioni, mentre i cattivi cedono vergognosamente su tutta la linea? È presto detto. I buoni invocano allora istantemente il Signore e la Madonna; questi dànno ad essi l’aiuto onnipotente della grazia; ed essi con tale aiuto resistono vittoriosamente ai più forti assalti. I cattivi invece quando son tentati trascurano di raccomandarsi a Dio; non possono quindi pretendere ch’Egli li aiuti in modo particolare, come avrebbero bisogno; ed essi, abbandonati alla loro connaturale debolezza, aggravata dalle loro malvage abitudini, cadono miseramente alla più leggera spinta. – Dopo ciò, che mi resta a fare, se non confessare anch’io con S. Alfonso « Ah, mio Dio! io non sarei mai caduto, se nelle tentazioni fossi a voi ricorso »? Soprattutto però dobbiamo raccomandarci a Dio quando siam tentati di cose impure. Dice infatti S. Gregorio Magno « Quanto maggiormente siamo oppressi dal tumulto delle miserie carnali tanto più ardentemente dobbiamo insistere nella preghiera ». E S. Alfonso « Specialmente avvertasi che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile che, quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce. Ci fa dimenticare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere anche le verità della fede, quasi anche perdere il timore dei castighi divini; poiché essa si congiura coll’inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio è perduto ». Si noti che queste son parole sacrosante! Si comprende troppo bene che di quanto ho qui riferito e detto non possono beneficiare coloro che da se stessi, senz’alcuna ragione plausibile e senza le necessarie precauzioni, si buttano in tutte le compagnie, vogliono guardar ed osservar quanti e quante passano davanti alla porta o sotto le finestre, intervengono a tutte le novità del teatro e del cinematografo, ascoltano tutte le canzonette e tutte le operette della radio, frequentano trattenimenti danzanti, voglion leggere tutti i libri, scorrere tutti i giornali, osservare tutte le illustrazioni, visitare le spiagge marine, i luoghi termali, i paesi di villeggiatura, seguire tutte le mode, ecc. ecc. Per costoro sta invece scritto: « Chi ama il pericolo, in quello perirà » (Eccli. III, 27), poiché sono essi stessi che cercano di essere suggestionati e tentati al male (Sarebbe da dire qualcosa su ognuno di questi pericoli; ma dove andrei a finirla? Tuttavia riporto qui ciò che dice la « Civiltà Cattolica » su certi libri che oggi corrono per le mani di tanti. Questi libri — scrive nel fase. I Nov. 1941 — « in religione ci portano troppo spesso ventate di gelido indifferentismo e di spudorate irriverenze; in morale cercano di distruggere ogni argine di pudore, riguardato ormai come ipocrisia da rigettare tra le ideologie di popoli arretrati e come anticaglie stramorte; e nella famiglia diffondono un veleno che uccide il vero concetto dell’amore, cambia la donna nella repellente volgarità della femmina, getta manate di fango sulla maternità, investe con scettico disprezzo la virtù della purezza, e inocula nel santuario domestico uno spirito di libertinaggio al quale tien dietro solamente la catastrofe ». E il cine?… E le spiagge e le stazioni termali?… E le passeggiate promiscue?… Son cose che fan fremere e vergognare!). – Questi tutt’al più, nei momenti di rimorso (che non possono loro mancare), potranno fare al Signore una o l’altra di queste preghiere: « O buon Dio, liberami dal tirannico fascino delle frivolezze mondane! O Signore buono, fammi vedere quanto son vane, sciocche e fatali all’anima mia le misere cose che seguo e amo! O Dio mio, crea in me un cuor puro e mondo, ed infondi nell’anima mia lo spirito d’una sincera rettitudine! — Se saranno fatte di vero cuore, il Signore certamente illuminerà quelle povere anime, farà loro vedere quanto son lontane dalla buona strada e darà pur loro la forza e la fortuna di ritornare tosto o tardi al dolce ed amoroso amplesso del buon Dio, nel quale soltanto potranno trovare la vera pace e felicità. Non succede infatti la prima volta che anime scervellate, le quali resistettero già a tutte le raccomandazioni d’una buona mamma, si burlarono dei consigli d’un pio e santo Sacerdote e si risero perfino dei richiami di persone autorevoli, colpite infine da una speciale illustrazione o, più spesso, da una provvidenziale sventura, cambiarono sentimenti, mutarono vita e divennero non di rado grandi apostoli nel bene. Ebbero forse qualche guaio in seguito ai loro disordini; ma che importa? In fine trovarono la pace, si confermarono nella virtù, fecero penitenza delle loro leggerezze e delle loro colpe, e si assicurarono il Paradiso. – Ora tutto ciò avvenne certamente in grazia di qualche accorato sospiro a Dio fatto da esse medesime in qualche momento di ansietà e di rimorso, od a qualche fervente supplica rivolta al Signore da qualche persona che voleva loro bene e che, forse, conosceranno soltanto nell’eternità. Nessuno conosce bene la forza e l’efficacia d’una preghiera ben fatta.

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (11)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

14 — Lo nostra grande armatura.

Così definisce la preghiera S. Girolamo: « Ecco — egli dice — la grande armatura che ci rende forti ». Non possono quindi recarci più stupore queste altre sentenze dei Ss. Padri: « Dio, promettendo di esaudirci, s’è fatto nostro debitore » (S. Agostino); « Per mezzo della preghiera t’è dato di meritare ciò che brami… Non così presto il ruggito del leone mette in fuga le altre fiere, come la preghiera del giusto sbaraglia i demoni » (Crisostomo); « La preghiera è il flagello dei demoni… La preghiera del giusto è la chiave del Paradiso » (S. Agostino)..« Molti dicono che manca loro la grazia — nota S. Bernardo —; ma la cercano poi essi e la domandano? » Gli Ebrei « invocavano il Signore ed Egli li esaudiva » (Salmo 98, 6). E noi? Noi non siamo esauditi e le nostre cose vanno male, perché non invochiamo l’aiuto del Signore e non ci raccomandiamo alla Madonna. Proprio cosi! Infatti « spesso si lavora molto e si prega poco o niente; e in tal modo si costruisce sulla sabbia! » (Olgiati). Il buon Dio non entra in tante opere nostre: non già perché Egli ne sia positivamente escluso, ma unicamente perché non è invitato ad intervenire. E così anche nel nostro campo si verificano moltissimi « Nisi Dominus cioè: Se il Signore non… », con vergognosi smacchi nostri e grandi gongolii tra le linee degli avversari. Sì, purtroppo è questa la misera storia di tante opere nostre che ci costarono molti soldi e immense fatiche. E questo vedremo ancor meglio quando parlerò della preghiera in relazione all’apostolato. – Ma via i rimpianti, e procediamo nell’esposizione. Il Signore ha promesso, si può dire, infinite volte di esaudire le nostre preghiere. Ascoltiamo alcune di queste promesse. « Domandate — Egli dice — e vi sarà dato, cercate e troverete, picchiate e vi sarà aperto. Poiché chiunque domanda, riceve, chi cerca trova ed a chi bussa sarà aperto. Chi è tra di voi che al figlio che gli chiede un pane, gli dia invece un sasso? o se chiede un pesce gli dia un serpente? Ora se voi, pur essendo cattivi, sapete dare doni buoni ai vostri figliuoli, quanto maggiormente il Padre vostro che è nei Cieli darà cose buone a coloro che gliele domandano? Tutte le cose che domandate nella preghiera, abbiate fede di ottenerle, e le otterrete… Se domanderete qualcosa al Padre nel mio nome, Egli ve la darà. Tutto ciò che chiederete al Padre in nome mio, io lo farò » (Matt. VII, 7-11; Marc. XI, 24; Matt. XCIV, 35; Giov. XIV, 12). E tantissime altre, alcune delle quali già riferite. Nell’Antico Testamento sono innumerevoli gl’inviti alla preghiera e le promesse divine di esaudirle. Specialmente i Salmi e i libri dei Profeti sono, si può dire, un continuo intreccio di accorate invocazioni a Dio, di esortazioni a raccomandarsi al Signore” e di assicurazioni che la preghiera sarà ben accolta ed esaudita con larga generosità. Poi « scorrete la storia del popolo ebreo per tutto il tempo in cui fu governato dai Giudici (ed anche prima ed in seguito): se da una parte vedete una catena di cadute, d’infedeltà, di delitti, d’idolatria e quindi di sciagure, di disastri e di schiavitù; dall’altra si ammira una sequela di perdoni, di benefici e di liberazioni rinnovantesi ogni qualvolta il pentimento gli toccò il cuore e gli aprì la bocca alla preghiera ». Così l’A Lapide, vale a dire uno dei più grandi interpreti della S. Scrittura. Ma non aveva già detta la stessa cosa anche il regal Profeta, quando cantò: « In te sperarono i nostri Padri, sperarono e li liberasti. A te, o Dio, levarono il grido, e furono salvi. Sperarono in te, e non furono delusi »? (Salm. XXI, 5-6). E Gesù a chi mai negò le sue grazie durante la sua amorosa dimora tra gli uomini? Quantunque fosse quasi sempre richiesto di favori materiali (cosa che purtroppo avviene tutt’ora, anche da parte di tante anime pie), pure, da quanto ho potuto rilevare, sol due o tre volte Egli si fece ripregare prima di concedere quanto gli veniva richiesto; e tre sole volte Egli non assecondò le preghiere fattagli: la prima quando si rifiutò di far discendere – sulla istanza degli Apostoli – il fuoco sopra un villaggio della Samaria che non aveva voluto accogliere la loro comitiva (Luc. 9, 51-56); la seconda quando, senza apertamente respingerla, non diede soddisfazione a quegli stessi discepoli che, a mezzo della madre, gli avevano fatto la richiesta di poter un giorno sedere uno alla sua destra ed uno alla sua sinistra (Matt. 20, 20-23); e la terza quando non volle intromettersi in una questione ereditaria (Luc. 12, 13-14). Fatte queste più che giustificate eccezioni, tutte le altre volte in cui fu richiesto di favori, di grazie ed anche di veri e grandi miracoli — e furono moltissime — Gesù esaudì più che generosamente le suppliche rivoltegli. Dopo ciò oso fare una domanda che metterà certamente più di uno nell’imbarazzo. Tanti si lamentano di non essere esauditi nelle loro preghiere. Ora è forse diverso Iddio? o Gesù non è più quale si manifestò quando visse tra gli uomini?… No, no; a costo di farmi lapidare, m’arrischio invece a dire che le disposizioni di questi « pregatori » non sono quelle di coloro che domandavano grazie a Gesù, e che appunto ed unicamente per questo le loro preghiere non sono ascoltate. Sì, per questo — dirò loro con S. Giacomo — proprio « per questo non ricevete: perchè pregate male » (1Giac. 4, 3). Ben può dunque il buon Dio, dopo tante promesse e dopo tanti segni della sua generosa fedeltà alle medesime, gettarci questa sfida: « Chi mai invocò il Signore, e ne fu disprezzato » e respinto? Si faccia avanti! (Eccli. II, 12). Eh, no! se siamo giusti e sinceri, dobbiamo riconoscere che « il Signore sta vicino a tutti coloro che lo invocano con sincerità » (Salm. CXIV, 18) e che ancor « me esaudirà il Signore, se griderò a Lui » (Salm. IV, 4). Iddio non disdice le sue promesse e non è estroso e volubile come noi! Ed allora ognuno di noi deve fare suo ciò che scrive l’Abate Rosmini : « Io sono intimamente persuaso che, se tutto il popolo cristiano pregasse, quel tanto che prega, con intelligenza di ciò che dice e con conseguente affetto del cuore, in breve tutta la Chiesa e la Società sarebbero rinnovate nello spirito di Cristo ». Si, è vero che « molti Dio non esaudisce secondo il loro desiderio, ma bensì secondo conviene alla loro salute » (S. Isidoro), e fa assai bene a diportarsi così, poichè « il medico conosce meglio dell’ammalato ciò che gli conviene » (S. Agostino). Dobbiamo però saldamente ritenere che, se è ben fatta, « tanta è l’efficacia della preghiera, tanta la sua forza e i suoi buoni effetti, che non v’è cosa che non possa essere impetrata e vinta dalla medesima (A Lapide). Perciò « pregate, pregate, pregate! La preghiera è la chiave dei tesori di Dio; è l’arma del combattimento, della vittoria in ogni lotta per il bene, contro il male » (Pio XII, il 5-X-1940). E non solo dobbiamo ritenere per certo che Dio esaudirà le nostre preghiere e suppliche; ma dobbiamo per giunta persuaderci che « quando noi domandiamo le grazie, Egli — che è il più buono dei padri — ci dà più di quello che gli domandiamo » (S. Alfonso). – Dunque — dirà qui taluno — Iddio per esaudirci sconvolgerà perfino l’ordine delle cose e muterà anche le ordinarie disposizioni della sua Provvidenza? — Si, « ove fosse pur necessario far mutare a Dio il consueto ordine della sua Provvidenza, costringerlo a cambiare in nostro favore le leggi generali, a sorgere e a stendere il suo braccio onnipotente, anche questo potere avrebbero le nostre preghiere, purchè animate dalla fede e continuate con invincibile pazienza » (P. Ramière S. J.). Ma allora dove se ne va la sua immutabilità? Oh! è presto provvisto. Quel Dio che ha preveduto da tutta l’eternità la nostra preghiera, ha pure predisposta da tutta l’eternità la grazia od — all’occorrenza — anche il miracolo che in tal tempo, in tale circostanza e in favore della tal persona avrebbe fatto. Per sostenere l’efficacia della preghiera, di qualunque preghiera, non è affitto necessario crearsi un Dio che si lasci sballottare di qua e di là, come un burattino, dai fili delle nostre preghiere. No; « la parola del Signore rimane in eterno. E questa è la parola che viene annunziata a voi: In verità, in verità vi dico: Qualunque cosa domanderete al Padre in nome mio, Egli ve la darà » 1 Pietr. 1, 25; Giov. XVI, 23).

15. — Quella che ci salva dai peccato e dall’inferno.

Ora se tanto si può dire dell’efficacia della preghiera in generale, tanto maggiormente si può sostenerlo quando essa vien fatta per impetrare la liberazione dal peccato, dai vizi, e dall’inferno. Ed è soprattutto a questo che io miro colla presente opera. Infatti che ci gioverebbe l’essere da Dio esauditi e prosperati in ogni cosa economica e materiale su questa terra, se poi non potessimo ottenere da Lui ciò che costituisce già quaggiù la nostra vera pace, e poi di là l’eterna gioia delle anime nostre? Mi pare che questo solo sarebbe piuttosto pochino per chi anela ad una felicità senza fine. – Ma no; noi dobbiamo invece senz’altro credere e ritenere che la preghiera è efficacissima soprattutto in questo: nell’impetrare cioè dal Signore l’aiuto che ci è necessario per liberarci dal peccato, per svincolarci dalle nostre cattive abitudini, per compiere atti virtuosi e meritori di premio soprannaturale, per conservarci in grazia di Dio, per resistere alle tentazioni, e per raggiungere infine l’eterna beatitudine del Paradiso. Si tratta, qui, dello scopo essenziale di tutta la nostra vita presente e futura; e quindi quel Dio, che ci provvede così bene di tutto ciò che sia necessario ed utile al nostro benessere materiale e temporale, certo non manca di provvederci anche di quei mezzi e di quegli aiuti che occorrono affinché possiamo raggiungere l’unico necessario per cui fummo creati. Ne va di mezzo anzitutto il suo onore e poi anche la nostra sorte eterna. – Iddio infatti ci vuole buoni e contenti quaggiù, per poterci poi rendere soprannaturalmente felicissimi per tutta l’eternità. E siamo pur destinati a formar la corona della sua gloria nel Paradiso. Noi però colle sole nostre forze non possiamo essere buoni nè quanto né come Egli vuole, e neppur ascendere a tanta altezza. Interviene allora Egli stesso colla sua grazia, costituendoci prima nello stato soprannaturale, ed aiutandoci in seguito — si può dire — atto per atto a raggiungere lo scopo della nostra esistenza. Ma per concederci un aiuto tale che consegua davvero il suo effetto, Egli esige — aiutandoci anche in questo — una cosa sola: che gli chiediamo con fiducia e confidenza tale aiuto e che ci sforziamo di assecondare le buone ispirazioni del suo Spirito in noi, giusta il detto del Salmista « Sta sottomesso al Signore, e pregalo… Mostra al Signore la tua via, confida in Lui, ed Egli farà » (Salmo XXXVI): ciò che sulle tracce di S. Agostino — insegna lo stesso, Concilio di Trento, là dove dice: « Iddio non comanda cose impossibili; ma — comandando — ammonisce di fare ciò che puoi e di domandare ciò che non puoi, ed Egli aiuta affinchè tu possa farlo ». È proprio così: « Dio guarisce infallibilmente l’anima senz’oro nè argento. Non esige altro che la preghiera, e guarisce sempre l’anima che prega e per cui si prega, per quanto grave e mortale sia il male che la travaglia. La preghiera risana i Malati spirituali. Essa è pronto ed efficacissimo rimedio per colui che è fortemente tentato dai vizi » (S. Lorenzo Giustiniani in De intern. confl.). Quando però siamo tentati al male, dobbiamo anzitutto umiliarci davanti a Dio, e se eventualmente avessimo dato luogo alla tentazione, anche pentirci e, per quanto ci è possibile, ritrarci dall’occasione. Ma poi ricordiamoci che se « il Signore non è sempre obbligato a darci una grazia che sia proporzionata alla tentazione », però « è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci, colla grazia, la forza bastante con cui possiamo, in quel caso, veramente resistere alla tentazione (Card. Gotti, citato da S. Alfonso). Per cui — conclude S. Alfonso stesso — se mai restiamo soccombenti e vinti « restiamo vinti solo per colpa nostra; perchè non preghiamo ». Perciò « quando ci troviamo in qualche pericolo di offender Dio o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo ciò che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio; e siamo sicuri che Iddio allora ben c’illuminerà e ci salverà da ogni danno ». (S. Alfonso). Dobbiamo infatti ritenere che « come per mezzo dell’acqua si spegne il fuoco, così per mezzo della preghiera si supera l’impeto della disordinata concupiscenza », che in tanti è si forte e provocante al male (S. Lorenzo Giustiniani). – Anche l’A Lapide, che conosce la S. Scrittura nei suoi più intimi meandri, non è meno esplicito, quando dice: « Chi vuol liberarsi dal peccato e rompere le catene della sua vergognosa schiavitù, preghi. Dio spezzerà i suoi ceppi e gli userà misericordia. Il peccatore non può da solo convertirsi e ottenere salvezza; ma gli è necessaria la grazia di Dio. Ora per mezzo della preghiera si ottengono tutte le grazie ». « Preghiera e grazia — dice un altro — stanno in proporzione diretta: il giorno in cui avrete imparato a pregare, sarà assicurata la grazia, e, con la grazia, la salvezza eterna » (Sac. Giorg. Canale di Fossano). – Non son quindi esagerate le seguenti parole di S. Alfonso De’ Liguori : « Bisogna persuadersi che dal pregare dipende tutto il nostro bene: dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincer le tentazioni, dal pregare dipende l’ottenere l’amore divino, la perfezione, la perseveranza, la salute eterna » (Prat. d’amar G. C. XVII, 14). E altrove: « Dico e replico e replicherò sempre, sino a che ho vita, che tutta la nostra salute sta nel pregare; e che perciò tutti gli scrittori nei loro libri, tutti i sacri oratori nelle loro prediche e tutti i confessori nell’amministrare il sacramento della penitenza, non dovrebbero inculcare altra cosa più di questa, cioè di pregare sempre; con sempre ammonire, esclamare e ripetere continuamente: Pregate, pregate e non lasciate mai di pregare » (Del gran mezzo della pregh. H p. c. 4). Così S. Alfonso, carico della sua esperienza di 90 anni, grande Santo, grande missionario, grande Vescovo, è definito dallo stesso Vicario di Gesù Cristo per « il gran Dottore della preghiera ». – Però la dottrina qui esposta a molti non sembra retta. Tanti infatti, imbevuti dello spirito razionalista, che oggi domina dappertutto, sentenziano: « Ma che pregar tanto! Bisogna sopratutto cooperare con tutte le nostre energie alla grazia, vigilare su noi stessi e su quanto ci attornia, fuggire le occasioni di peccato, intervenire ai catechismi e alle prediche per istruirci nei nostri doveri, bisogna specialmente confessarci bene, fare saldi propositi di virtù e frequentar la Sacra Mensa. Ecco ciò che bisogna fare! » — Sì, cari! bisogna proprio arrivare a far tutto questo ed altro ancora. Ma osservate un po’: Chi vi darà il lume e la forza per farlo? Non forse Dio stesso colla sua grazia efficace? E possiamo noi avere questa grazia efficace senza domandarla istantemente a Dio?… Convincetevi che noi « non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempirle » (S. Alfonso). Ma non ci sono pure — oltre la preghiera — altri mezzi, atti ad impetrarci da Dio le grazie che ci occorrono per liberarci dalla colpa, mantenerci in grazia di Dio e preservarci dall’inferno? — Sì, ce ne sono, e tanti; ed io stesso in tempi precedenti mi sono già presa la non lieve .briga di raccoglierne i principali in un opuscolo. Però torno a ripetere con S. Alfonso che «gli altri segni (o mezzi) della nostra salvezza son tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza è verità certa ed infallibile, come è infallibile che Dio non può mancare alle sue promesse ». – Ora, dopo quel poco che ho detto e di fronte al tantissimo che ancora potrei dire, mi sembra che tutti possiamo venire alla chiara conclusione alla quale venne l’esimio filosofo della Compagnia di Gesù, P. Gius. Mauri: «L’unica differenza che passa fra i Santi e noi — ei disse — è questa: i Santi hanno pregato di più. Se noi pregassimo come loro, diverremmo Santi come loro; se pregassimo più di loro, li supereremmo in santità ». Altro che evitare solo il peccato mortale e l’inferno! Divenire Santi possiamo, e grandi Santi; e ciò con poca spesa e fatica. – Ed allora?… Allora preghiamo, preghiamo, preghiamo!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (10)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)i

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DADIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

12. — Ciò che si deve ritenere.

Da quanto ho detto fin qui vien dunque limpida e chiara la conclusione: Qualsiasi uomo retto e di cuor sincero (e chi non fosse ancor tale, può divenirlo per mezzo della preghiera) qualsiasi uomo, dico, il quale nelle tentazioni e nei pericoli di offender Dio, invoca sinceramente, istantemente e perseverantemente, di vero cuore e con piena fiducia il buon Padre che sta nei cieli, il divin Redentore Gesù, lo Spirito Santo od anche solo la gran Vergine Madre di Gesù e pur nostra tenerissima Madre celeste e nello stesso tempo tesoriera di tutte le grazie, otterrà infallibilmente non solo la possibilità di mantenersi fedele alla legge di Dio, ma la grazia di fare effettivamente ciò che è gradito al Signore. Per mezzo della coscienza, delle circostanze, di qualche buona persona, d’un avvenimento. d’un contrattempo, o per altra via (e se fosse necessario anche con un miracolo) il buon Dio, nel momento opportuno, gli suggerirà — secondo i casi — d’informarsi se ciò che sta per fare sia lecito o conveniente, di allontanarsi da quel luogo o da quella compagnia, di non andare per quella strada o a quel divertimento, di non fermarsi davanti a quelle figure, di gettar da parte quel libro, quel giornale o quella illustrazione, di vegliare su se stesso e su quanto lo attornia, di assoggettarsi a quel sacrificio, di rassegnarsi a quella sventura, ecc. ecc.; oppure il Signore stesso — che ha in mano tutto l’uomo — toccherà il suo cuore col timore d’una disgrazia o del disonore, col ricordargli vivamente i molti benefici fattigli, i perdoni concessigli, le misericordie usategli, od anche col rammentargli la felicità d’un’anima pura e giusta, coll’incutergli un salutare timore dei divini giudizi, col richiamargli le delizie del Paradiso, col prospettargli la possibilità d’una morte improvvisa, col ricordargli le pure e soavi gioie del giorno della sua prima Comunione, ecc. ecc. — ed egli, pur senza vedersi in alcun modo violentato e sentendosi invece soavemente e pur fortemente sostenuto ed aiutato, non potrà fare a meno di assecondare la buona ispirazione di compiere ciò che piace al Signore; e così eviterà di trasgredire il divin beneplacito e si salverà dal peccato e — non di rado — dall’imperfezione stessa; ed in seguito benedirà il Signore per essere stato così buono verso di lui. – Ecco qui ripeto ciò che scrive lo zelantissimo autore, « Vivere in Cristo » « Colla preghiera fatta colle dovute condizioni otteniamo certamente da Dio: non soltanto la grazia di poterci convertire, ma di convertirci davvero; non di poter schivare i peccati, ma di evitarli di fatto; non di poter essere casti, ma di esserlo davvero; non di poterci salvare, ma di andar in Paradiso di sicuro. Cioè la preghiera non solo ci implora la grazia, ma assicura in modo infallibile la nostra corrispondenza alla grazia del Signore ». E questo, perseverantemente. Scrive infatti lo stesso autore (che è il medesimo di Ut vitam habeant): « Colla preghiera (s’intende sempre che sia ben fatta) certissimamente si possono ottenere le grazie non solo sufficienti, ma efficaci, per perseverare nella grazia fino alla morte ». E cita il grande teologo P. Palmieri, che a sua volta dice: « È sentenza certa che il giusto possa impetrare, e in modo infallibile, la perseveranza finale, impetrare cioè che non gli manchino le grazie attuali efficaci, e che allora sia colto dalla morte, quando è in grazia di Dio; e perciò impetrare quel dono così grande della perseveranza finale, che è gratuito ». – Sicchè — sarebbe da dirsi — se il peccatore colla preghiera ottiene infallibilmente la grazia di convertirsi, cioè divenire giusto, e se il giusto a sua volta colla preghiera impetra infallibilmente la grazia di perseverare nel bene fino alla morte in modo da morire certamente in grazia di Dio, chi mai si dannerà più? Solo chi non prega. Eh, si! poichè « chi prega certamente si salva » (S. Alfonso) prima dal peccato mortale e poi dall’inferno. – Davvero bisogna riconoscere che le attestazioni da me riferite sono oltre ogni dire incoraggianti. Tuttavia, esse non dicono nulla di più e nulla di meglio di quanto, sull’autorità della parola di Dio, dei Santi Padri e dei migliori teologi, aveva sostenuto già due secoli addietro il gran Dottore della preghiera (Cosi fu definito da S. S. Pio XI IN un discorso del 20 settembre 1934.) S. Alfonso M. de’ Liguori nell’aureo suo libretto Del gran mezzo della preghiera. « Nell’ordine soprannaturale — egli sostiene — l’uomo è impotente ad ottenere colle sue forze l’eterna salute; ma il Signore per la sua bontà concede ad ognuno la grazia della preghiera, colla quale può impetrare tutte le altre grazie che gli bisognano per osservare i divini precetti e salvarsi ». – Quindi si deve bensì dire, raccomandare ed insistere che l’uomo debba opporsi con tutte le sue forze al male, istruirsi nelle verità della fede e nei Comandamenti, evitare le occasioni prossime di peccato, compiere più opere buone che gli sia possibile, mortificare le sue passioni e le sue cattive tendenze, reagire contro le tentazioni, ascoltare le prediche, meditare le massime eterne, rendersi esperto nel compiere i doveri del proprio stato, accostarsi con frequenza ai Ss. Sacramenti della Confessione e della Comunione, esercitarsi nelle opere di misericordia e compiere tutte quelle cose che ci sono in parte comandate da Dio, in parte suggerite dalla retta ragione e in parte raccomandate dai saggi e pratici maestri di spirito e dai Santi; ed i fedeli devono fare tutto il possibile per assecondare — ognuno nella propria condizione di vita — questi comandi, questi dettami e questi consigli; poiché « non si deve mai ritenersi abbastanza sicuri, dove va di mezzo l’eternità » (S. Agostino). Tuttavia, non potendo neppure i Cristiani adulti che si trovano in grazia santificante, compiere bene, perseverantemente e con merito nulla di tutto questo senza l’efficace aiuto di Dio, ed essendo d’altra parte certissimo che questo efficace aiuto non ci viene assicurato che dalla preghiera, ne vien di legittima conseguenza che la prima cosa alla quale dobbiamo soprattutto badare è quella di pregare e di far pregare molto e bene. Questo è della massima importanza a ritenersi. Ed anche questo è confermato dallo stesso autore di Ut vitam habeant, quando dice che « solo alla preghiera Dio ha promesso infallibilmente la grazia efficace, quella cioè a cui l’uomo di fatto corrisponde infallibilmente »: quell’autore che pur dice grandi fonti, anche di grazie attuali, i Sacramenti, come ancora le opere buone, i sacramentali, l’assistere e il far celebrare Ss. Messe, l’ascoltare la divina parola, la meditazione e la lettura spirituale, le disgrazie ecc. ecc. Il pio e forte autore, quando scrisse le parole da me riferite, ebbe certamente presente questa decisiva sentenza di S. Alfonso: « Gli altri segni (o mezzi) della nostra salvezza son tutti incerti e fallibili: ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza è verità certa ed infallibile, come è infallibile che Dio non possa mancare alle sue promesse » (Del gran mezzo della preghiera). – Mi ripeto: lo so; ma lo faccio appositamente, perché soltanto se questo chiodo sarà penetrato profondamente e stabilmente nella nostra mente e nel nostro cuore in modo da formare in noi una vera e profonda convinzione dell’immensa efficacia e dell’assoluta necessità della preghiera, noi ci decideremo davvero a metter mano a quest’unico insurrogabile ed infallibile mezzo, che c’impetrerà da Dio quanto dobbiamo sopra ogni altra cosa ricercare: cioè il nostro progressivo miglioramento morale e spirituale per l’onore di Dio e per la nostra salvezza eterna. A scanso però di illusioni e di sorprese, mi credo in dovere di avvertire che forse a principio — per l’imperfezione delle nostre preghiere — non ne sperimenteremo tutta l’efficacia che desidereremmo (1Attenti specialmente alla presunzione, alla scarsa fiducia, alla poca perseveranza, al formalismo…). Ma s’insista in essa senza perdersi d’animo. « Quanto più l’uomo prega, tanto più, insensibilmente e senza accorgersi, ma in modo profondo e radicale, va rassomigliandosi a Dio. Fossero pur mondani i nostri affetti, a poco a poco il nostro cuore e i nostri pensieri si muteranno; ciò che prima ci ripugnava e riusciva duro e aspro, ci si renderà facile e soave; il mondo che ci trascinava dietro a sè perderà le sue attrattive; Dio solo e l’eternità diverranno per noi grandi e degni delle nostre aspirazioni » (P. Meschler). – Sì, è certo, certissimo che chi si rivolge di tutto cuore al buon Dio, a tempo opportuno sarà infallibilmente esaudito in ciò che riguarda la liberazione dai peccati e l’eterna salvezza. Dirò anzi di più. « Se non vogliamo dare una smentita alla parola di Gesù…, teniamo per certo che tutte le volte in cui abbiamo pregato bene, le nostre preghiere sono state esaudite, sebbene forse sembri che non abbiano avuto alcun risultato”(Ramière S. J.). Ma sì! « Se voi, pur essendo cattivi, sapete dare buoni doni ai vostri figliuoli, quanto maggiormente il Padre celeste darà cose buone e lo spirito buono a coloro che Glielo domandano » (Luc. XI, 13; Matt. 7, 11). No, non v’è alcun dubbio che il Signore esaudirà senza fallo tutti coloro che di vero cuore lo invocano. V’è di mezzo la sua parola. Ora — disse Gesù — « il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non verranno meno » (Matt. XXIV, 35). Ma se è così, che ci resta a fare? Una cosa sola: deciderci ad abbracciare la preghiera come la più importante, anzi l’indispensabile tavola di salvezza; e fin d’ora supplicare il buon Dio a concederci la grazia di pregare, di pregar bene.e di pregar sempre, specialmente quando siamo, in pericolo di cadere in peccato.

13. — La più grande leva delle grazie.

Ah, quanto è stato buono con noi il Signore! Egli nella preghiera ci ha dato un mezzo facilissimo e semplicissimo e quindi praticabile da tutti, anche dalle persone di più scarsa intelligenza, e perfino dai bambini. Ma guarda! È proprio per questa sua poca appariscenza che la preghiera è poco stimata, poco usata e perfin derisa e disprezzata dalle persone più autorevoli e più intelligenti secondo il mondo, dalle quali essa vien considerata come una cosa da donnicciole e da bambini. Oso tuttavia domandare: Se gli uomini coi propri mezzi naturali non potevano salvarsi, e se d’altra parte Iddio voleva davvero che tutti gli uomini si salvassero, non era forse Egli in certo modo obbligato ad offrire loro a tal uopo un mezzo accessibile a tutti, compresi i bambini, gl’ignoranti e i peccatori stessi? (Lo stesso dicasi di un altro grande mezzo che abbiamo per salvare l’anima nostra: l’ascoltare la parola di Dio, per assecondare il quale basta un po’ di buona volontà, il fare due passi per andar ad udire il predicatore o l’allungar la mano per prendere e aprire un libro che la riferisca. È poi questo — secondo S. Paolo —.il mezzo più indicato per eccitare e nutrire la nostra preghiera. Egli infatti scrisse: « Chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo ». Però tosto soggiunge: « Ma come invocheranno uno in cui non han creduto? E come crederanno in uno di cui non hanno udito parlare? Come poi sentiranno parlare se non c’è chi predichi? E come poi predicheranno, se non vengono mandati i predicatori? (Rom. 10, 13-15). Dunque da quel poco che ho scritto intorno a quest’argomento, già si.può sufficientemente comprendere anche la necessità da una parte di ascoltare la parola di Dio e dall’altra di predicarla. C’è insomma l’ « Ascoltate, o genti, la parola di Dio, e c’è anche il «Guai a me se non predicherò!» (Ger. 31, 10; I Cor. 9, 16). Guardando però attorno a noi, dobbiamo vedere che, se i predicatori son molti e anche assai zelanti, gli uditori invece sono purtroppo assai. pochi, ed anche questi più desiderosi che essi terminino assai presto i loro sermoni, che di attendere a quanto essi van dicendo per il bene delle loro anime. Purtroppo, oggi più che mai il mondo segue i più stravaganti maestri, e non Si adatta a seguire chi insegna le più utili e sante verità spirituali. Ma dove andrà di questo passo?). Infatti, come mai avrebbero potuto riuscire a salvarsi tutti, se quel mezzo assolutamente necessario per raggiungere l’eterna salute fosse stato difficile ad individuarsi, difficile ad aversi e difficile ad adoperarsi? Ecco, dunque, il vero e tutto amoroso motivo per cui il primo e più necessario mezzo di salvezza doveva essere semplice, facile ed a portata di tutti gli uomini. Il buon Dio voleva che noi fossimo certi e sicuri della sua assistenza e del suo valido aiuto, affinché potessimo raggiungere il fine della creazione; ed eccoci così offerta la preghiera, di cui con movimenti di mani e con vagiti son capaci perfino i bambini lattanti, ed alla quale il Signore legò tutte le grazie di cui abbiamo bisogno. « Alla preghiera — disse quindi il grande Pontefice Pio XI — tutto è promesso, poiché il Signore si è proprio, per dir così, sbilanciato, ed ha promesso tutto quanto senza eccezione a questo mezzo che è il più facile ed alla portata di tutti » (Osservat. Rom; 7-8 – I – 1936). – Che cosa è infatti la preghiera? Essa è bensì « un colloquio col Signore » (Crisostomo), « un trattenimento ed una conversazione con Dio » (Nisseno), « una conversazione familiare e l’unione dell’uomo con Dio » (S. Giov. Climaco) « una elevazione della mente e del cuore a Dio, per la quale l’anima contempla, loda e ringrazia Dio » (A Lapide); ma in senso stretto e proprio essa è quella pia pratica colla quale l’anima si rivolge al Signore e « gli espone i suoi bisogni, i suoi desideri, i suoi voti, e gli domanda di esaudirli » (A Lapide). Ecco che. cosa è la vera preghiera. E non vedo affatto come essa possa essere confusa col semplice movimento meccanico delle labbra balbettanti suoni articolati che esprimono bensì cose in sè belle e sante, ma che son dette senza applicazione della mente e senza alcun affetto del cuore: opera della quale sarebbe pur capace un pappagallo e perfino un grammofono. Dunque, com’è facile scorgerlo, nella preghiera (qualunque essa sia) noi abbiamo — esplicita od implicita — la fede in Dio, la sottomissione a Lui, il riconoscimento della sua infinita provvidenza (potenza, sapienza e bontà), e la fiducia nel suo aiuto. V’è pure il riconoscimento e la manifestazione dei propri bisogni e delle proprie miserie. Ben a ragione quindi San Tommaso d’Aquino poteva scrivere: «Per la preghiera l’uomo dimostra riverenza a Dio, in quanto a Lui si sottomette; e, pregando riconosce di aver bisogno di Lui, come dell’Autore dei suoi beni » (Non meno esplicito a questo proposito è il Chaignon, il quale anche della preghiera di petizione, scrive: « La preghiera è l’anima della religione ed il gran mezzo. di salute dato agli uomini. Poiché con essa riconosciamo e confessiamo il nostro nulla, protestiamo di riconoscere Dio come arbitro di tutte le sorti, come potente a segno di darci — se vuole — quanto gli domandiamo, come tanto benigno da volerlo dare, se lo preghiamo. Pregando io confesso che non posso porgermi aiuto da me, nè aver un efficace soccorso dalle creature che mi circondano, ma che ardisco tutto aspettare dalla sua infinita potenza, dalla sua inesauribile bontà. Non viene Egli onorato come desidera con questo mio omaggio di dipendenza, di fiducia, e di amore? E quando io lo prego, non devo sperare tutto da Lui? »). – Ed ecco così colto e spiegato ancora il motivo per cui la preghiera è tanto efficace, come abbiam veduto e come avremo occasione di vedere anche in seguito. Non è quindi a meravigliarsi se i Santi ebbero tutti e sempre grandi parole di lode, di stima e d’ammirazione per la preghiera e ne esaltarono pure in tutti i toni l’immensa efficacia. S. Carlo Borromeo, p. es., dice che « la preghiera è il principio, il progresso e il compimento d’ogni virtù »; il Crisostomo afferma che essa « è un’arma capace di vincere tutti gli assalti dei demoni, è una difesa che ci rende immuni da qualsiasi pericolo, è un porto che ci salva da ogni tempesta, è un tesoro che ci provvede d’ogni bene »; pel Nisseno la preghiera è « la robustezza dei corpi, l’abbondanza e la ricchezza della casa »; e secondo S. Lorenzo Giustiniani « la preghiera placa lo sdegno di Dio che perdona a chi con umiltà lo prega, ottiene la grazia di tutto ciò che domanda, e supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini ciechi in illuminati, i deboli in forti, i peccatori in santi ». Dunque « fin dove arriva l’efficacia della preghiera? Essa arriva fin dove si estende la necessità dell’uomo, e la potenza e misericordia di Dio: nulla eccettuato » (P. Meschler S.J.). Un concetto simile ha della preghiera anche il Ven. Prof. Contardo Ferrini: « Se ho un inizio di carattere — ei scrive — lo devo alla preghiera se i miei studi approdarono a qualcosa lo devo alle benedizioni della preghiera. Per l’efficacia consolatrice della preghiera io non perdo tempo nei teatri, nei caffè, nelle mille inutilità di una vita dissipata: la preghiera mi fa amare il raccoglimento, la solitudine, il lavoro». Si, ce ne sono tanti che — irretiti da sciocche consuetudini,— non sanno come fare per liberarsi dalle tante cianciafruscole che li tengono legati al mondo condannato da Gesù e che sono per loro delle vere occasioni di perditempo e di peccato. Orbene si raccomandino vivamente e sinceramente al Signore e alla Madonna, e sperimenteranno i mirabili effetti delle loro accorate suppliche. – E quanto ci eleva e ci nobilita la preghiera anche in mezzo al mondo! Infatti « datemi un uomo che proferisca di cuore queste parole “Sia santificato il tuo Nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà; dacci oggi il nostro pane quotidiano, perdonaci come noi perdoniamo non c’indurre in tentazione, liberaci dal male”; datemi un tal uomo, e non sarà possibile ch’egli non sia un buono e verace e leale cittadino, utile e decoroso alla famiglia e alla società. Non si prega così se non si è buoni o se non si ha il vivissimo desiderio di diventarlo » (Ven. Contardo Ferrini). – Ciò posto, se il Crisostomo osò dire che « niuno al mondo è potente quanto un uomo virtuoso che prega », e S. Agostino non esitò a definire « la preghiera la forza dell’uomo e la debolezza di Dio »; ben poteva anche il Toniolo asserire e ripromettersi che « la società sarà rigenerata solo dal santo che prega ». Insomma, di colui che prega noi possiamo dire quello che andavano dicendo di Gesù gli spettatori del miracolo: Chi è costui al quale obbediscono i venti e le onde? Le stesse sentenze di Dio sono infrante dalla preghiera » (A Lapide). Bisogna quindi dire che il Signore, quando ci comandò di pregare, dimostrò un immenso amore verso di noi; poiché c’insegnò ed indicò ciò che dovevamo fare per essere arricchiti di ogni bene tanto nell’ordine spirituale, come in quello morale, come pure in quello materiale. Ah, sì! quando Gesù ci fece le seguenti raccomandazioni « Domandate e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto… Bisogna sempre pregare e non mai desistere… Vegliate e pregate per non soccombere alla tentazione » (Matt. 7, 7; Luc. 18, 1; Matt. 16, 41), ci fece una divina carità. E quando il buon Dio ci fa ripetere quasi fino alla nausea: « Pregate senza intermissione… pregate con ogni sorta di istanze e di suppliche, in ogni tempo, vegliando e pregando senza tregua in ispirito per tutti… Pregate gli uni per gli altri affmché vi salviate… Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo)) (I Tessal. V, 17; Efes. VI, 18; Giac. V, 16; I Tim. II, 8), è segno certo e sicuro che, per il bene che ci vuole, è disposto a darci generosamente i suoi eccellenti doni ed a concederci le sue più segnalate grazie. E non dobbiamo neppur pensare che Iddio voglia illuderci! – Ma qual è il nostro contegno di fronte alle tante assicurazioni che abbiamo da parte di Dio riguardo alla potenza ed all’efficacia della preghiera ben fatta? Ah! duole il dirlo: noi ci rassegniamo beatamente (vorrei dir: beotamente) ad esser sempre infelici e miseri in questo mondo, e — se non ci sarà un vero miracolo — infelicissimi e miserrimi per tutta l’eternità; e ciò unicamente perché non vogliamo adattarci a pregare. Lo dice molto bene anche un pio autore vivente. « Dio — egli scrive — ha legato la sua grazia a un mezzo facilissimo ed infallibile: la preghiera. E noi non abbiamo nè il tempo nè la voglia di pregare! » (Sac. G. Canale, Rett. del Semin. di Fossano). Proprio così!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (9)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (7)

P- B. LAR – RUCHE

LA PREGHIERA DI PETIZIONE

OSSIA IL MEZZO Più INDISPENSABILOE E NELLO STESSO TEMPO INFALLIBILE PER IMPETRARE DA DIO OGNI BENE E SOPRATTUTTO L’ETERNA SALVEZZA.

ISTITUTO MISSIONARIO PIA SOCIETA’ S. PAOLO

N. H., Roma, 15 maggio 1942, Sac. Dott. MUZZARELLI

Imprim., Alba 25 maggiio 1942. Cn. P. Gianolio, Vic. Gen.

Tipogr. – Figlie di S,. Paolo. – Alba – giugno – 1942.

10. — Ecco la vera tavola di salvezza!

Ed ora riassumiamo brevemente quanto è stato scritto fin qui, per correre senz’altro ad individuare quel grande mezzo che il buon Dio ci ha messo a portata di mano, affinchè — servendocene — possiamo davvero evitare il peccato, divenire sempre migliori e raggiungere l’eterna salute. – Anzitutto abbiam visto, che, per poterci salvare, dobbiamo osservare i comandamenti di Dio. Lo disse Gesù: « Se vuoi entrare alla vita eterna, osserva i comandamenti » (Matt. 19, 17) E su questo punto è inutile tergiversare, nicchiare o recalcitrare. Iddio così vuole. Sia fatto così. – Poi abbiamo veduto che i comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi pericoli non ricercati volontariamente. E le prove da me addotte in sostegno di questa tesi, mi pare che siano state esaurienti e decisive. Nessuno infatti può ragionevolmente sostenere di non essere in grado di osservare i divini comandamenti. Chi osasse asserirlo, confesserebbe, con ciò stesso, di non volerli osservare. Ecco la verità. Abbiamo però dovuto in seguito candidamente riconoscere che noi, colle sole nostre forze naturali e coi mezzi puramente umani che abbiamo a nostra disposizione, non possiamo liberarci dalla colpa, non riusciamo a preservarci a lungo dal peccato mortale, anzi non abbiamo neppur la forza e la idoneità necessarie per compiere delle azioni che, a rigore di giustizia, abbiano valore presso Dio e merito soprannaturale. Ed infatti, dal momento che Gesù disse: « Nessuno può venire a me, se il Padre mio non lo attrae » e « Senza di me non potete far nulla » (Giov. 6, 44; 15, 5), non è più il caso di discutere. Tuttavia quel buon Dio, che vuol essere Egli stesso l’autore della nostra virtù, il promotore della nostra salvezza e il consumatore della nostra santità « affinché nessun uomo si glorii davanti a Lui » (1 Cor. 1, 29), ci comunica nei momenti del bisogno o dell’opportunità una luce, un calore, un’energia tutta soprannaturale e divina, che si chiama grazia attuale, assecondando noi la quale e corrispondendovi docilmente, veniamo portati — secondo i casi — a detestare il peccato, liberati dal medesimo, arricchiti della grazia santificante, aiutati ad evitare la colpa, a praticare opere virtuose, a vivere secondo il beneplacito di Dio. È questa, quella mirabil forza divina comunicataci dal Signore, che può darci perfino il coraggio di dire con S. Paolo: « Se abbiamo Dio con noi, chi oserà mettersi contro di noi? » (Rom. 8, 31). – Questi sono in riassunto gli argomenti che ho svolto fino a questo punto. Ora, dal momento che questa luce e questa forza divina ci è offerta in sì larga e generosa misura, « non è lecito dire: Non posso. Sarebbe un accusare il Creatore. Infatti se ci avesse fatti incapaci e ci comandasse egualmente, l’accusa sarebbe contro di Lui» (Crisostomo). « Non si caricano nemmeno le bestie con pesi superiori alle loro forze ». Quindi « se anche un sol uomo al mondo, in una sola circostanza della vita, non potesse evitare il peccato mortale, Dio sarebbe ingiustissimo ed il tiranno più crudele; poiché punirebbe con un inferno eterno ciò che non si può evitare » (Ut vitam habeant, pag. 58, e Vivere in Cristo, pag. 67 – I ediz. di ambedue). « Come dunque molti non possono? Perché non vogliono. E come non vogliono? Per indolenza (proprio questo è il motivo precipuo, anche in questi nostri tempi. Ciò che è spirituale non interessa, e perciò vien trascurato): ed invero, se volessero, potrebbero benissimo. Infatti abbiamo Dio che ci dà l’aiuto e la forza. Basta che noi pure facciamo la scelta, che ci disponiamo agli atti che dobbiamo compiere come a un dovere, che abbiamo premura, che mettiamo attenzione, e tutto verrà da sè » (Crisostomo). Ma purtroppo — ecco, ecco il gran guaio! — purtroppo, dico, tanti non si decidono a far la scelta d’una vita veramente cristiana, non si dispongono agli atti necessari per raggiungerla, non si danno premura di afferrare le buone occasioni per convertirsi e per operare il bene. Essi invece seguendo il contegno dei più, si lasciano facilmente distrarre ed illudere dalle molteplici cianciafruscole che di giorno in giorno offre il mondo, non reagiscono contro le proprie cattive inclinazioni, si ripromettono di darsi a Dio quando saran cessati i bollori delle passioni giovanili, confidano in quella divina misericordia che è bensì da Dio promessa, ma solo a chi è pentito e non a chi ne abusa…; ed allora, per necessità di cose e quasi a dispetto di tutti i ben studiati puntelli che genitori pii, Dirigenti dell’Azione Cattolica, santi Sacerdoti e Missionari zelanti si sforzano di approntare e mettere dove ne vedono il bisogno, succede purtroppo ciò che chiaramente si vede da tutti, che cioè i peccatori non si convertono davvero, i tiepidi non divengono migliori ed i buoni non si fan santi; se pur non succede di dover vedere tutto il rovescio, cioè i santi medesimi divenire — adagio, adagio — prima appena buoni, poi tiepidi ed infine peccatori e pessimi peccatori anch’essi! Ah! certe floride promettenti giovinezze cristiane, prima illanguidite, poi afflosciate, poi appassite ed infine.., ah! In fine Dio solo sa ciò che è divenuto o diviene di esse! – Dunque — come già dissi — da tanti, da troppi non si coopera alle grazie di Dio, non si corrisponde fedelmente ad esse; e quindi si va, di precipizio in precipizio, fino all’ultimo: quello dell’inferno. – Ora io mi chiedo: Non ci sarà proprio alcun mezzo sicuro, che ci procuri delle grazie talmente forti alle quali noi infallibilmente corrispondiamo? E rispondo trionfalmente: Questo mezzo c’è: ed è precisamente e soltanto la preghiera di petizione. E per provarlo a sufficienza bastano, intanto, le seguenti citazioni: « Chi prega certamente si salva » (S. Alfonso de’ Liguori). « Troppo lo dimostra l’esperienza, che chi ricorre a Dio nelle tentazioni non cade, e chi non ricorre cade, e specialmente nelle tentazioni d’incontinenza » (S. Alfonso). « Bisogna persuaderci che dal pregare dipende tutto il nostro bene, dal pregare dipende la mutazione della vita, dal pregare dipende il vincer le tentazioni, dal pregare dipende l’ottener l’amor divino, la perfezione, la perseveranza, la salute eterna » (S. Alfonso). « Nessuna cosa può resistere a lungo alla soave e potente influenza della preghiera: non le passioni, non la forza delle tentazioni e dei pericoli. Trionfa di tutto. Trasforma insensibilmente i sentimenti, le idee, la volontà e i pensieri. Colla preghiera, senza accorgersi, l’uomo diventa un altro » (P. Meschler S. J.). « La preghiera fatta colle debite disposizioni ha, per divina promessa, l’infallibile efficacia d’impetrare ciò che si domanda » (Teol. Priimmer) « E’ certissimo che la preghiera fatta colle dovute condizioni impetra infallibilmente la grazia attuale efficace, quella cioè alla quale l’uomo, sempre liberamente, ma infallibilmente corrisponde. – In altre parole la preghiera ottiene infallibilmente la grazia non di potersi convertire (ìntendi: non solo la possibilità di convertirsi), ma di convertirsi di fatto; non di poter essere casti, ma di vivere realmente puri; non di poter odiare il peccato, ma di odiarlo effettivamente, ecc. ecc. – È certissimo che ciò vale anche della perseveranza nel vivere in grazia di Dio e della stessa perseveranza finale. Colla preghiera è certissimo che infallibilmente si ottiene la grazia non di poter perseverare, ma di perseverare di fatto nella grazia santificante; non di potersi salvare, ma di salvarsi davvero. Cioè pregando ci assicuriamo in modo infallibile non solo che Dio ci conceda le grazie attuali, ma altresì la corrispondenza alle grazie che ci vengono concesse; essa pure una grazia. Alla sola preghiera Dio ha promesso infallibilmente la grazia efficace; e perciò colla preghiera soltanto ce la possiamo assicurare infallibilmente » (« Ut vitam habeant » I, Ediz. pag. 92). « I comandamenti di Dio si possono osservare tutti e sempre, anche nelle più forti tentazioni, coll’aiuto della grazia, che Dio non nega mai a chi lo invoca di cuore » (Cat. di Pio X Dom. 1654. – Ed ora venga Dio stesso a confermare quanto dissero i suddetti. Egli in ben tre luoghi della Sacra Scrittura ci fa sapere che « chiunque avrà invocato il nome del Signore, sarà salvo » (Gioel. 2, 32; Att. 2, 21; Rom. 10, 13). Sarà salvo, soggiungo io, prima dal peccato e poi dall’inferno. E quanto dirò da adesso avanti non servir ad altro che a confermare questa consolantissima verità alla quale sono finalmente arrivato. Deh, mi si accompagni! Le cose che dissero Dio, i Santi e gli uomini grandi sulla preghiera, sono davvero meravigliose, apportatrici di conforto e conducenti a speranza; e ci conviene ascoltarle con attenzione e meditarle profondamente. Io stesso le medito per ordine che le stendo.

11. — La gran forza dell’uomo.

Dunque chi invoca di vero cuore il buon Dio avrà da Lui un aiuto tale per cui di fatto certamente osserverà sempre, anche nelle più forti tentazioni e pur nei più gravi non ricercati pericoli, tutti i suoi comandamenti, anche i più difficili. Anzi è unicamente la preghiera — intesa nel senso da me esposto e che determinerò sempre meglio nel decorso dell’esposizione — quel grande mezzo che senza fallo c’impetra dal Signore le grazie efficaci che ci sono necessarie per uscire dallo stato di peccato, per ottenere la grazia santificante, per evitare nuove gravi colpe, per accrescere le nostre virtù e i nostri meriti presso Dio, e infine salvarci. Ma — dirà più di uno — non è pur necessario applicarci a conoscere il bene, le verità che dobbiamo credere, le cose che dobbiamo fare ed i mezzi che dobbiamo adoperare per renderci a Dio graditi? — E’ necessariissimo anche questo; poiché chi intende salvarsi davvero e rendersi a Dio gradito, deve pur ricercare ciò che Egli esige da lui perché possa raggiungere lo scopo della sua vita, che è quello di conoscere, di amare e di servire il suo supremo Signore per averne il promesso guiderdone. Però la passione di apprendere tutte queste cose ci sarà comunicata da Dio, se noi Gliela chiederemo colla nostra preghiera. Invece, se non la domanderemo, noi non l’avremo mai in modo che veramente ci giovi a salute. E non si devono pur fuggire le cattive occasioni che potrebbero trascinarci o spingerci al peccato? — Certamente, poiché sta scritto; « Chi ama il pericolo in quello perirà. Il vino e le donne fan perdere il buon sentimento perfino ai più saggi.., Fuggi dalla faccia del peccato, come fuggiresti alla vista d’un serpente » (Eccl. 3, 27; 19, 2; 21. 2). Ma anche questa grazia veramente grande ci sarà procurata dalla sincera e fervida preghiera, -assai più e meglio che dalla più oculata attenzione che non dobbiamo mai trascurare in proposito. Il Signore. da noi cordialmente invocato, le toglierà o le farà svanire o ci darà la forza di eluderle, neutralizzarle, evitarle. Non si deve anche vegliare sopra noi stessi, reprimere le nostre malvagie passioni, sforzarci di correggere le nostre perverse tendenze e cattive abitudini, e per giunta scacciare le tentazioni al male e declinare i perfidi inviti dei mondani? – Guai  chi lo nega! Infatti « chi ha creato te senza di te, non salverà te senza di te », cioè senza la tua cooperazione (S. Agostino), e « non è detto che dobbiamo lasciare unicamente a Dio la cura della nostra salute. Ha diritto di aspettarsi aiuto e salvezza da parte di Dio sol chi impiega da parte sua tutte le forze per meritarselo » (Scheeben). E deve pur sapersi che né Dio, né i Santi si presterebbero mai a nutrire la nostra poltroneria » (Curato d’Ars), poiché « il Paradiso non è fatto pei poltroni » (S. Filippo Neri). Anzi guai anche a chi resta passivo in questa lotta. Infatti Dio già a Caino aveva detto: «Frena il tuo malvagio appetito, e così lo dominerai (Gen. 4, 7). Tuttavia come potremo noi riuscire vittoriosi in questo combattimento, se di fronte alle insinuazioni diaboliche, alle esigenze dei sensi ed alle lusinghiere seduzioni del mondo, siamo come fragili canne esposte alle bufere e come tenere erbe sotto lo scrosciar della grandine?… Perciò anche qui ci vuole la forza di Dio, che possiamo senza dubbio impetrare colla istante, fiduciosa e fervente preghiera. « Mentre combattiamo in questo agone, domandiamo l’aiuto del Signore. Se Egli non ci aiutasse, nonché vincere, noi non potremmo neppur combattere » (S. Agostino, Serrn. 156). Le amarezze poi della vita son tante! Or come potremo noi conservare sempre in mezzo ad esse la necessaria pazienza e rassegnazione? — Oh! assai più facilmente chiedendola con la insistente preghiera, che non con tutte le più sagge considerazioni, coi più tenaci sforzi e coi nostri più seri propositi, che pur non debbono assolutamente omettersi. E dobbiamo anche meditare sopra le grandi verità eterne, sui benefici della Redenzione, sui mezzi di santificazione, sulle virtù cristiane, sulla nostra responsabilità di fronte al nostro prossimo e soprattutto di fronte a Dio, ed approfittarci delle prediche, delle istruzioni religiose e delle pie letture? — Certo bisogna che facciamo anche questo. Infatti chi non s’approfitta di queste pratiche e non medita seriamente sugli argomenti da me proposti, ed anche su diversi altri ricordati dai buoni maestri spirituali, « poco conosce i difetti, poco i pericoli di perdere la divina grazia, poco i mezzi per superare le tentazioni e poco conoscerà ancora la stessa necessità di pregare ». Tuttavia « che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare e poi non farlo, se non per renderci più colpevoli innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo (e assistiamo a prediche) quanto vogliamo: non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l’aiuto per adempierle» (S. Alfonso de’ Liguori). Ecco dunque necessaria la preghiera anche per valorizzare le nostre meditazioni e quanto ci vien proposto nelle prediche ed istruzioni religiose. – Tanti poi, a periodi, sentono grande ripugnanza per tutto ciò che sa di religione e di virtù. È questa una gravissima tentazione del demonio; e potrà anch’essa facilmente farsi svanire per mezzo della preghiera; la quale, se allora sarà più difficile e pesante, sarà appunto per questo più meritoria e quindi anche più facilmente esaudita da Dio. – E chi è in peccato mortale, oltreché pentirsi convenientemente del male fatto e proporre sinceramente di evitarlo e di rimediare — per quanto è possibile — alle sue conseguenze, non è forse pur obbligato a confessarsene sacramentalmente, se vuol essere perdonato da Dio? Oh! certamente! Lo vuole Gesù, nostro divin Redentore; e quindi anche questo è un precetto divino. Ma come potrà il misero vincere la ripugnanza di compiere quest’atto salutarissimo, apportatore di misericordia e di pace?… Ah! stia pur certo che, se è di cuor retto, il Signore da lui cordialmente invocato farà svanire gl’immaginari ostacoli; ed egli piegherà volentieri le sue ginocchia davanti al ministro di Dio, che gli dirà la certa e sicura parola del divino perdono. E chi non vedesse la necessità della S. Comunione neppure a Pasqua? — Anche costui preghi il buon Iddio ad illuminarlo; ed egli certamente verrà a conoscere che la S. Comunione è il più forte e sostanzioso cibo dell’anima, il più efficace preservativo dal peccato, il più potente generatore di virtù e quell’alimento misterioso che gli farà gustare e vedere quant’è soave il Signore (Salm. 33, 9); e — dopo ciò — non potrà fare a meno di accostarsi spessissimo a questa mensa celeste, nella quale si riceve Colui che è « via, verità e vita » (Giov. 14, 6), e « pegno di vita eterna » (Liturg.). E chi sentisse la propria volontà recalcitrante all’osservanza della divina legge, dovrà dirsi perduto? — No; attivi tutta la sua energia per domarla e piegarla al bene; ma se — con tutto ciò — non riesce a sottometterla, ricorra con fiducia al Signore. Se « l’uomo non può colle sole sue forze cambiare la sua cattiva volontà » (Scheeben), la Chiesa ha però una preghierina anche per questi miseri. « Placati, te ne preghiamo, o Signore, — essa dice nella Messa della IV Dom. dopo Pentecoste — e benignamente spingi verso di Te le nostre sia pur ribelli volontà »; e nelle grandi Litanie: « Liberaci, o Signore, dalla cattiva volontà ». E chi non volesse riconoscere la sua miserabile condizione di fronte a Dio, ancorché fosse carico di peccati e di perverse abitudini? — Oh! avrà anche costui una moglie, una figlia o una mamma la quale possa pregare per lui! Noi sappiamo che Dio ha in mano le chiavi delle menti e dei cuori di tutti; e c’è pur noto che Gesù esaudì anche le preghiere fattegli per altri e se uno avesse perfin perduta la fede? — Il caso purtroppo non è raro. Anzi oggidì è assai frequente; ed è gravissimo. Tuttavia il rimedio c’è anche per questi; ed è quello indicato or ora: se c’è chi prega per lui, non bisogna mai disperare. Ma non potrebbe egli stesso tentare di far questa breve preghiera: « O Signore, se è vero che Tu esisti e che vuoi qualcosa da me… se è proprio vero quanto insegna la Chiesa Cattolica, ti prego istantemente d’illuminarmi e di darmi la forza di assecondare i tuoi voleri! »? — Certamente a tempo opportuno egli sperimenterà quanto è buono il Signore. E lo stesso dicasi per qualsiasi caso che possa prospettarsi nella vita umana, poiché « la preghiera è bensì una; ma con essa si ottengono tutte le cose » (Teodoreto). E dev’essere proprio così. Gesù infatti afferma: « In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domanderete al Padre nel nome mio, Egli ve la concederà» (Giov. 16, 33). E la parola di Gesù non può fallire. Dopo ciò come oseremo noi temere che Dio possa, anche una sola volta, mancare alla sua promessa? Ah! fra gli uomini purtroppo sono abituali le mancanze alla parola data; ma in Dio ciò è impossibile. Infatti « chi mai lo invocò, e ne fu disprezzato » (Eccli. 2, 12), rimanendo così deluso nelle sue speranze? Oh! si faccia pure avanti!

LA PREGHIERA DI PETIZIONE (8)