CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2020

CALENDARIO LITURGICO DI GENNAIO 2020

Fidelibus, qui mense ianuario speciale aliquod obsequium Ss. Nomini Jesu, devote exhibuerint, conceditur: (ai fedeli che praticheranno un qualunque ossequio al Ss. Nome di Gesù, si concede:)

INDULGENTIA septem annorum semel quolibet mensis die; (sette anni per ogni giorno del mese)

Indulgentia Plenaria

suetis conditionibus, si huismodi pietatis obsequium per integrum mensem quotidie praestitum fuerit (Breve Ap., 21 dic. 1901; S. paen. Ap., 2 ian. 1933).

https://www.exsurgatdeus.org/2017/04/08/salmi-sul-nome-di-gesu/

GENNAIO  è il mese che la Chiesa Cattolica dedica alla S. INFANZIA DI GESÙ CRISTO

[Sac. D. C. D. G.: Il mese di Gesù Bambino; Dai torchi del Tramater, Napoli, 1840]

Motivi di praticare fedelmente questa Divozione.

I . Con la devozione di questo Mese possiamo guadagnarci il Cuore di Dio, che volle fino coi prodigj onorato il S. Bambino. Oh quando ci gioverà il suo gradimento.

II. Con la divozione di questo Mese possiamo farci un gran capitale di affetti santi. La grandezza di Gesù, dice S. Bernardo, umilia; ma la sua piccolezza innamora. Oh che consolazione ne avremo!

III. Con la divozione di questo Mese ci potremo meritare la protezione del S. Bambino. Egli non si fa vincere di cortesia, e sarà liberale con chi l’onora, quando è più oltraggiato. Oh che grande appoggio ci acquisteremo!

ESEMPIO

Vivea in Bona, Città della Borgogna, la Vener. Suor Margherita del SS. Sagramento Monaca Carmelitana, quando gli Spagnoli entrarono nella Piecardia, e poi anche in Borgogna. Ora apparsole il S. Bambino, le ordina di fare certa divozione alla sua santa infanzia, come sarebbe questa del Mese presente, promettendole in premio la perseverazione della Città. Non mancò la divota Verginella di adempire esattamente l’ordine datole, e ogni dì offriva al S. Bambino devoti ossequi, e preghiere, animando insieme le sue Sorelle a confidare nel suo Sposo fedele. Intanto avanzandosi l’armata nemica, tutta la Città era in pianti e in confusione. Apparsole allora il Signore le fece animo, e le rivelò il giorno, e l’ora, in cui sarebbe seguita la ritirata dei nemici da Verdun. Corse ella ad avvisarne la Priora, e veramente seguì come le aveva predetto. Ma tornando di nuovo il nemico in Borgogna, ricorse essa con le altre Suore al S. Bambino, il quale apparsole, le tornò a prometter la sua protezione. Infatti mentre ognuno consigliava la Superiora ad uscir con le Religiose, Suor Margherita la dissuase dicendo, che una paglia del Presepio valeva più di tutte le armi nemiche. Ed ecco improvvisamente i nemici si ritirarono, e tutta l’armata si sbandò.

[G. Perardi: La Vergine Madre di Dio e la vita cristiana – Torino, LIBRERIA DEI SACRO CUORE, 1908]

L’adorazione dei Magi –

aggiungendosi a quella dei pastori – viene a compiere il mistero della nascita del Figliuolo di Dio: così all’adorazione degli Ebrei si aggiunge quella dei Gentili; e non solo la natura angelica, ma anche la natura fisica divulga il grande insegnamento. Chiamati dall’invito divino, avendo superato ogni difficoltà di ostacoli, quei santi personaggi arrivarono a Betlemme, e guidati dalla stella raggiunsero la dimora di Gesù, la capanna, o la modesta casetta nella quale si era allogata la santa Famiglia. Colà anziché essere turbata dalle apparenze della povertà, la fede dei Magi diviene più forte: e il loro ardore non è scosso, anzi è colmo d’ammirazione per lo strano abbassamento di un Dio; ed entrano senza dubitare nell’umile abitazione. Quale spettacolo si svela in quel momento ai loro occhi! « Re della terra, dice san Giovanni Grisostomo, non v’aspettate di trovare qui una regina con la fronte cinta di un diadema, o un principe sontuosamente vestito, che riposi sotto un padiglione ornato di ricche stoffe intessute d’oro o di porpora. No: ma venite a vedere nel fondo di una rustica ed umida stalla una povera Madre, la sposa di un artigiano e vicino ad essa un piccolo Bambino avvolto in panni e collocato in un presepio. Commossi a tale spettacolo, vivamente colpiti dallo sguardo angelico e dalla bellezza celeste che raggia dal volto della Vergine, soggiogati dal sorriso del divino pargoletto, i Magi si prostrano ed adorano il Figlio dell’Altissimo: poi gli offrono i loro doni, oro, incenso e mirra, i più ricchi prodotti del loro paese ». — « Che fate voi, o Magi, esclama S. Bernardo, che fate voi”? Voi adorate un bambino lattante, sotto un tetto di paglia, in miserabili fasce? È forse questi un Dio? Dio sicuramente è nel tempio; il Signore è nel cielo, sola dimora degna di Lui : e voi lo cercate in una vile stalla, al seno di una madre? » (Sermone I in Epiph.). Quale fede! quale semplicità! Quale esempio per noi dei sentimenti che dobbiamo portare appiè degli altari di Gesù e di Maria. Dice ancora S. Bernardo: « A chi paragonerò io questi uomini? Se considero la fede del buon ladrone, la confessione del centurione, essi la vincono d’assai, perché al tempo di costoro, Gesù aveva ricevuto molte adorazioni, aveva compito moltissimi miracoli, era stato proclamato Dio da molte voci » (Sermone II in Epiph.). I Magi scoprivano così nel Bambino, Colui che dopo di essi tutta la terra doveva adorare come Dio.

Queste sono le feste del mese di Gennaio 2020

1 In Circumcisione Domini    Duplex II. classis *L1*

3 Gennaio I Venerdì del mese.

4 Gennaio I Sabato del mese.

5 Gennaio DOMENICA Sanctissimi Nominis Jesu    Duplex II. classis *L1*

6 In Epiphania Domini    Duplex I. classis *L1*

12 Gennaio DOMENICA Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ

13 Gennaio In Octava Epiphaniæ   – Duplex majus

Commemoratio Baptismatis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

15 Gennaio S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex m.t.v.

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

19 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

  Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum Martyrum  –  Simplex

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex *L1*

22 Gennaio Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex m.t.v.

24 Gennaio S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio DOMINICA III, post Epiphaniam

S. Polycarpi Episcopi et Martyris  – Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex m.t.v.

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris – Duplex m.t.v.

29 Gennaio S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris  – Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris  – Semiduplex

31 Gennaio S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

ANNO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA 2020

L’ANNO LITURGICO 2020

1 Gennaio – Circoncisione di Gesù

5 – SS. Nome di Gesù

6 Gennaio – Epifania

12 Gennaio – Sacra Famiglia   (Domenica entro l’Ottava dell’Epifania)

19 Gennaio – 2a Domenica dopo l’Epifania

26 Gennaio – 3a Domenica dopo l’Epifania

2 Febbraio – 4a Domenica dopo l’Epifania

 – Festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria Ss.

9 Febbraio – Domenica di Septuagesima

16 Febbraio – Domenica di Sessuagesima

23 Febbraio – Domenica di Quinquagesima

26 Febbraio – Mercoledì delle CENERI  – Inizio della Quaresima    

1 Marzo – 1a Domenica di Quaresima 

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

8 Marzo – 2a Domenica di Quaresima

15 Marzo – 3a Domenica di Quaresima

22 Marzo – 4a Settimana di Quaresima

29 Marzo  – I DOMENICA DI PASSIONE

5 Aprile – II DOMENICA DI PASSIONE – DELLE PALME

12 Aprile – DOMENICA DI PASQUA

19 Aprile – Domenica in Albis

26 Aprile – 2a Domenica dopo Pasqua

3 Maggio  – 3a Domenica dopo Pasqua

10 Maggio – 4a Domenica dopo Pasqua

17 Maggio – 5a Domenica dopo Pasqua

18 a 20 Maggio – Giorni delle Rogazioni

21 Maggio – Giovedì in Ascensione Domini

24 Maggio – Domenica entro l’Ottava dell’Ascensione

31 Maggio  – Domenica di Pentecoste

(GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

7 Giugno – Domenica della SS. Trinità

11 Giugno – Corpus Christi

14 Giugno – 2a Domenica dopo Pentecoste

19 GiugnoSACRO CUORE DI GESÙ (Venerdì dopo l’Ottava del Corpus Christi)

21 Giugno – 3a Domenica dopo Pentecoste

28 Giugno – 4a Domenica dopo Pentecoste

5 Luglio – 5a Domenica dopo Pentecoste

12 Luglio – 6a Domenica dopo Pentecoste

19 Luglio  – 7a Domenica dopo Pentecoste

26 Luglio  – 8a Domenica dopo Pentecoste

2 Agosto – 9a Domenica dopo Pentecoste

9 Agosto – 10a Domenica dopo Pentecoste

16 Agosto – 11a Domenica dopo Pentecoste

23 Agosto – 12a Domenica dopo Pentecoste

30 Agosto – 13a Domenica dopo Pentecoste

6 Settembre – 14a Domenica dopo Pentecoste

13 Settembre – 15a Domenica dopo Pentecoste

 (GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

20 Settembre – 16a Domenica dopo Pentecoste

27 Settembre – 17a Domenica dopo Pentecoste

4 Ottobre – 18a Domenica dopo Pentecoste

11 Ottobre – 19a Domenica dopo Pentecoste

18 Ottobre – 20a Domenica dopo Pentecoste

25 Ottobre – 21a Domenica dopo Pentecoste

 FESTA DI CRISTO RE

1 Novembre – 22a Domenica dopo Pentecoste

8 Novembre – 23a Domenica dopo Pentecoste

15 Novembre – IV Domenica post Epiphaniam

22 Novembre – 24a Domenica dopo Pentecoste

29 Novembre 1a Domenica di Avvento

6 Dicembre – 2a Domenica di Avvento

8 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

13 Dicembre – 3a Domenica di Avvento

 (GIORNI DI QUATEMPORA IN QUESTA SETTIMANA )

20 Dicembre – 4a Domenica di Avvento

25 Dicembre – GIORNO DI NATALE

26 Dicembre – SANTO STEFANO,  Primo Martire

27 Dicembre – SAN GIOVANNI, Apostolo ed Evangelista

28 Dicembre – SANTI INNOCENTI

30 Dicembre – Domenica entro Ottava di Natale

31 Dicembre – SAN SILVESTRO I, Papa.

1s GENNAIO 2021 – CIRCUMCISIONE DI NOSTRO SIGNORE

3 Gennaio – SANTO NOME DI GESÙ

6 Gennaio – FESTA DELL’EPIFANIA

MEDITAZIONE PER L’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

MEDITAZIONE PER L’ULTIMO GIORNO DELL’ANNO

MEDITAZIONE PER IL 31 DICEMBRE

[Sac. Albino Carmagnola, Sac. Salesiano: MEDITAZIONI vol. I; Torino, S. E. I. 1942)

Sopra l’ultimo giorno dell’anno.

Mediteremo sopra i pensieri che ci ispira l’ultimo giorno dell’anno: il pensiero della fugacità del tempo, il pensiero della morte e quello del ringraziamento a Dio. C’immagineremo di trovarci al divin tribunale davanti a Gesù Cristo giudice, che ci domanda conto del modo, con cui abbiamo passato questo altro anno di vita. E conoscendo di non potergli rispondere d’averlo passato tutto bene, imploreremo la sua infinita misericordia e ci prometteremo di fare in avvenire miglior uso del tempo. Lo ringrazieremo inoltre di tutti i benefizi, che in questo passato anno ci ha fatto.

PUNTO 1°

Della fugacità del tempo.

Quanto velocemente è trascorso questo anno che sta per finire! Sembra ieri che ebbe principio e fra poche ore sarà già annoverato fra gli anni che furono e non torneranno mai più. Oh come è fugace il tempo! quanto presto ci avviciniamo all’eternità! Epperò quanto ancora è prezioso il tempo! Esso vale quanto il paradiso, perché il tempo ben impiegato ce lo fa acquistare; vale quanto il sangue del Divin Redentore, perché impiegando bene il tempo mettiamo convenientemente a profitto quel sangue; vale quanto Dio medesimo, perché con esso possiamo farci dei meriti per posseder Dio eternamente. Quanto gran bene potevamo noi fare in questo passato anno sia a pro nostro, sia a vantaggio delle anime dei nostri fratelli! L’abbiamo noi fatto? Ahimè! quante ore e forse quanti giorni trascorsero per noi nella neghittosità, nell’inoperosità, nell’ozio! Quante ore furono da noi passate in pensieri vani e frivoli, in desideri e disegni strani e chimerici! Quante ore impiegate in ciance inutili, in giuochi e divertimenti non necessari al sollievo del nostro spirito e fuori del tempo ad essi determinato! Quante ore sprecate in letture pericolose, in conversazioni poco degne, in critiche e mormorazioni contro il prossimo! Quante ore infine gittate per non aver fatto in esse i nostri doveri, per non averli compiuti con l’ordine prescritto, per aver lavorato a vanagloria nostra e non a gloria di Dio, e forse anche per avere commessi peccati, o fatto del bene non in stato di grazia! Oh Signore, datemi grazia per riparare a tanto tempo sì malamente speso.

PUNTO 2°.

Pensiero della morte.

In questo passato anno la morte ha continuato il suo cammino sulla faccia della terra, mietendo le sue innumerevoli vittime. Quante migliaia d’uomini anche in questo anno sono passati all’eternità! Grandi e piccoli, giovani e vecchi, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, deboli e robusti, anche quest’anno, in numero di circa quaranta milioni, divisi per oltre a centomila ogni giorno e per più di quattromila e cinquecento ogni ora, sono scomparsi dalla scena del mondo: gli uni morendo di morte preceduta da una malattia, gli altri morendo repentinamente o di morte violenta. Sono pure passati all’altra vita non pochi dei nostri conoscenti, amici, fratelli. Che sarebbe stato di noi, se anche della nostra vita Dio avesse reciso il filo? Quale misericordia forse ci ha usato Iddio nello scamparci! Misericordia Domini, quia non sumus consumpti: proprio per la misericordia del Signore non siamo morti (Thren., III, 22). Nel riconoscere la bontà di Dio a nostro riguardo, domandiamogli sinceramente perdono della nostra poca corrispondenza e ben anche  della nostra ingratitudine.

PUNTO 3°.

Pensiero di ringraziamento a Dio.

Durante quest’ultimo anno aggiuntosi alla nostra vita Dio ciha beneficati in molte guise. Da quanti pericoli siamo stati da Dio salvati, di quanti beni favoriti, di quante grazie ricolmi! Oltre all’averci scampati da morte Dio ci ha sostenuti, ci ha dato ogni giorno il pane necessario per la vita, ci ha liberati da tante infermità, ci ha guariti da qualche grave malattia, ci ha concesse soddisfazioni e consolazioni inattese, ci ha dato giorni lieti e sereni. Ma più ancora che nelle cose materiali Dio ci ha beneficati nell’ordine spirituale, preservandoci, se giusti, dal precipitare nelle più gravi colpe, scampandoci, se peccatori, dai gravi castighi meritati, animandoci con le sue sante ispirazioni a liberarci dal peccato, eccitandoci a pentircene e a farne penitenza. Oh quanti benefizi il Signore ci ha elargiti nella sua generosa bontà! Rendiamo dunque a lui le debite lodi, innalziamogli i più umili e fervidi ringraziamenti. Ma nel tempo stesso avvedendoci di non avere debitamente corrisposto ai tanti benefici suoi, promettiamogli di volere d’ora innanzi, nella vita che ancorasi compiacerà di concederci, adoperare tutte le nostre forze per tenerci lontani dal male, per praticare la virtù e farci santi.

Te Deum


Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem * omnis terra venerátur.
Tibi omnes Ángeli, * tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:
Tibi Chérubim et Séraphim * incessábili voce
proclámant:

(Fit reverentia) Sanctus, Sanctus, Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra * maiestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
Te Prophetárum * laudábilis númerus,
Te Mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,

Patrem * imménsæ maiestátis;
Venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
Tu Rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.


(Fit reverentia)
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem: * non horruísti Vírginis uterum.

Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Iudex créderis * esse ventúrus.


(Sequens versus dicitur flexis genibus)
Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te.


Fit reverentia, secundum consuetudinem
Et laudámus nomen tuum in sǽculum, * et in sǽculum sǽculi.


Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum.

Himnus Ambrosianus

a) Fidelibus, qui, ad grates prò acceptis beneficiis Deo agendas, hymnum Ambrosianum Te Deum laudamus devote recitaverint, conceditur:

Indulgentia quinque annorum.

b) Iis vero, qui ultima anni die eiusdem hymni cantui interfuerint in ecclesiis vel publicis aut (prò legitime utentibus) semipublicis oratoriis, ad gratias Deo referendas prò beneficiis totius anni decursu acceptis, conceditur:

Indulgentia decem annorum;

Indulgentia plenaria, si peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint (S. Pæn. Ap., 10 aug. 1936).

DIO IN NOI (7)

DIO IN NOI (7)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

LIBRO QUINTO

Pratica dell’intimità

con Dio in noi

Abbiamo visto quale sia il nostro tesoro. Esso diventerà veramente nostro, se ci sforzeremo di:

Desiderarlo,

Proteggerlo,

Acquistarlo.

CAPO I.

Desiderare il nostro tesoro.

L’Olier, narrano i suoi biografi, spesso sentiva una voce interna mormorargli con una soavità imperiosa: « Vita divina, vita divina! ». Dalla sua seconda conversione, che fu un’oblazione assoluta di se stesso, « … la sua esistenza rassomiglia a una solennità ». La bruttezza delle apparenze svanisce dietro la grandezza delle realtà. Tutta la sua vita è espressa in questa preghiera che rivolgeva a Dio: « La vostra luce sia la sola luce che mi guidi e mi faccia vedere tutte le cose, tali quali sono in se stesse » (E. HELLO: Le Siecle, p. 400. — Alla sua volta l’Olier faceva del P. de Condren questo elogio: « Si vedeva in lui una semplice apparenza ed una scorza di ciò che mostrava essere in realtà: al di dentro era invece tutto un altro, essendo come l’interiore di Gesù Cristo, e la sua sacra vita; di modo, che piuttosto era Gesù Cristo vivente nel P. de Condren che il P. de Condren vivente in se stesso. Era come un’ostia dei nostri altari: al di fuori si vedono gli accidenti e le apparenze, ma al di dentro vi è Gesù Cristo). Abbiamo noi pure bisogno d’una voce, simile a quella che si faceva sentire all’Olier, per adottare queste due parole: « Vita divina » come nostra regola abituale? No; basta ricordare gl’insegnamenti della fede. Bisogna inoltre, essere « dotali di perspicacia », per sapere « coltivare accuratamente il proprio Battesimo » (La vie spirituelle e l’oration, di Madre CÉCILE De Solesmes, c. V). – Quando il patriarca Giacobbe scorse in una visione la scala misteriosa che dalla terra giungeva al cielo, per la quale gli Angeli salivano e discendevano, si svegliò in preda a un terrore soprannaturale e disse: «Certamente il Signore è qui, e io non lo sapevo! Questo luogo è in verità la casa di Dio e la porta del cielo » (Gen. XXXIII, 16, 17). Accadrebbe lo stesso a noi, dice il cardinale Manning, se ci svegliassimo e avessimo il sentimento intimo che lo Spirito Santo ci sta vicino, ci circonda, vive in noi, « che è tutto orecchi per ascoltare ogni palpito del nostro cuore, che è attento a ogni pensiero, che penetra la nostra immaginazione, che tutto l’essere nostro gli è manifesto ». Ma per nostra sciagura, la maggior parte degli uomini vive come se non avesse un’anima… Anche la maggior parte di coloro che più o meno hanno il sentimento del prezzo dell’anima loro, che possono salvarsi o perdersi eternamente, vivono come se Dio non dimorasse in loro. « Non pensano punto alla presenza divina, non voglio dire in tutto l’universo… parlo per adesso della presenza di Dio nell’anima. Quegli stessi che sono Cristiani per la loro fede e per i lumi spirituali, che sanno e ripetono di avere un’anima da salvare, vivono senza avere il sentimento abituale o giornaliero di non essere mai soli (Il Manning non vuol dire conoscenza sentita, ma conoscenza « effettuata » vivente):  che cioè Dio abita nell’anima come l’anima nel corpo. Questa è la verità ». « Senza provarlo, noi siamo il Paradiso di Dio; bisogna pensare e agire in maniera che Dio sia, alla sua volta, il nostro Paradiso » (SERTILLANGES: « La Vie en présence de Dieu »  R. des Jeunes, 10 mai 1918).Questo programma che potrebbe sembrare ambizioso, dovrebbe essere quello di ogni battezzato.« Il vero Cristiano si definisce, diceva Newman, allorquando lo si chiama un uomo imbevuto dal sentimento della presenza di Dio dentro di sé …, che vive del pensiero che Dio è là, nel cuore del suo cuore…, un uomo la cui coscienza è illuminata da Dio in modo che viva nell’impressione abituale che tutte le sue pene, tutte le fibre della sua vita morale, tutti i suoi motivi e desideri, sono spiegati dinanzi all’Onnipotente» (H. BRÉMOND: « Sermons choisis de Newman » sotto Il titolo: La Vie chrétienne, p. 236). Ohimè! se bisogna attenersi a questo modello, quanto pochi sono i « veri Cristiani »! Nostro Signore se ne lamenta. Non rivelava difatti, ultimamente, a un’anima santa: «Io sono in molti cuori come un tesoro infruttuoso; mi possiedono perché hanno la grazia, ma non sanno valersi di me: supplisci a questo »? (Benigna Consolata Ferrero, visitandina di Como). Come pervenire alla conoscenza pratica dell’abitazione continua di Dio in noi, mediante la grazia? In primo luogo scegliendo questa dottrina come soggetto frequente di meditazione. (Alle anime che si sentono attratte dall’argomento dell’Abitazione divina, indichiamo la nostra piccola Imitazione: Vivere con Dio, raccolta di pensieri rapidi ed atti a farci riflettere sul grande tesoro nascosto dentro di noi). È manifesto che se, volontariamente e con uno sforzo coraggioso, ogni mattina o almeno in circostanze frequenti, ci studiamo di fissare il nostro pensiero al centro dell’anima nostra, dove è il grande tesoro, subito, con l’intervento della grazia e in virtù della buona abitudine, il ricordo involontario, spontaneo, senza sforzo, di Dio presente in noi ci diventerà familiare. « Gli uomini vivono alla superficie dell’anima, senza mai penetrarne il contenuto profondo. Oh se sapessimo raccoglierci, veder chiaro in noi stessi, e capire » (ELISABETTA LESEUR) (Nel suo « Journal », p. 298). « Dio abita in noi, quale accoglienza facciamo a quest’ospite? Io mi confondo al pensiero che non appena Egli entra in me, io mi volgo e l’abbandono per attendere a bagatelle » (PAOLINA REYNOLDS). – Citiamo espressamente due persone che vissero nel mondo, l’una durante tutta la sua vita, l’altra fino all’età di cinquanta anni (Poi entrata al Carmelo. Due volumi dal titolo: Paoline Reynolds, dell’abate PICOT, Beauchesne Paris, 1916). Si crede troppo che la dottrina dell’Abitazione di Dio in noi appartenga al dominio esclusivo dei chiostri. Ma in realtà, poche anime fra lo strepito generale delle cose che passano, consentono a imporsi il silenzio necessario per ascoltare lo strepito misterioso che fanno in noi le cose divine. Dio si tiene nascosto: Deus absconditus. Si rivela nella calma, non mai fra lo strepito; non in commotione Dominus. « Io lo sento: la prima disposizione che debbo portare, scrive ancora Paolina Reynolds, è il silenzio secondo la parola di Taulero; il Padre ha una sola parola, è il suo Verbo e suo Figliuolo. Egli la pronunzia in un silenzio eterno, e l’anima la riceve e l’ascolta nel silenzio». E continua: «Silenzio, adunque, o anima mia, per ascoltare Dio. Silenzio per ricevere il Verbo; silenzio per permettere che ti parli, che si faccia capire da le e viva in te. Silenzio e preghiera! ». Per disavventura, « quello di cui più difetta la nostra generazione, è il raccoglimento». Ognuno avrà potuto fare la stessa osservazione di Elisabetta Leseur. – Il P. Gratry pensava un giorno che cosa diventerebbe il mondo se consentisse a osservare quella mezzora in silenzio, di cui parla la Scrittura; se tutti gli uomini, durante mezz’ora, consentissero ad occuparsi insieme dei loro privilegi eterni. Che cosa diventerebbe il mondo? È facile indovinarlo. Ma dove trovare questa solitudine in cui Dio, nascosto nell’interno dell’anima, si manifesterà? Un soldato, Psichari, nipote di Renan, si convertì mediante il contatto prolungato col deserto. Lo strepito scompiglia e corrompe: « Il deserto è una terra benedetta. Nostro Signore vi risiede; centinaia di religiosi ne hanno compreso la santità. Sarei per dire che le Tebaidi esistono ancora, ma mancano le anime pronte per ascoltarvi la voce di Dio ». Le Tebaidi esistono tuttora. Il deserto non difetta alle anime che non si spaventano alla vista « degli spazi infiniti », e che sono stimolate dal desiderio di esplorarli, perché sospettano anticipatamente dinanzi a quali scoperte conduce la loro pia carovana. Dovunque siano, queste anime solerti e audaci, sanno trovare un angolo silenzioso a loro vantaggio. « La solitudine non difetterà mai a coloro che ne sono degni » (Non sarebbe conveniente, con la pratica della meditazione giornaliera, consigliare qui l’uso dei « Ritiri » e specialmente dei « Ritiri chiusi »?). Il desiderio di conoscere meglio « l’interno » dell’anima nostra, genera l’amore della preghiera e del raccoglimento. L’uso della preghiera e del raccoglimento, alla sua volta, produce un desiderio più intenso per penetrare ognora più, fino al cuore « del nostro interno ». Si ha, come effetto, che ogni giorno si scoprono nuove ricchezze e il grido degli Apostoli corre alle labbra: « Qui si sta bene. Rimaniamo qui. Spieghiamo qui una tenda». Quel grido, del resto, è l’eco del grido di Dio, la cui misericordia, avendo scorto l’abitazione meschina del cuore umano, ha voluto farne la sua dimora prediletta, un succedaneo del Paradiso. « Donum est nos hic esse, ha detto la Trinità divina. Qui si sta bene. Mansionem apud eum faciemus, noi vi resteremo ! ». Ciò spiega l’ambizione invincibile di alcune anime. L’una di esse fece questo proposito:« Voglio essere continuamente la piccola occupata del grande Dimenticato ». « Quante cose possono raccontarsi, quando si vive sempre insieme, osserva la medesima anima, quando siama infinitamente, e l’uno dei due è Dio! ». Aveva scritto nel suo programma: «Sfruttare particolarmente la solitudine, è per me come un sacramento. Egli è sempre là » (Questo programma è quello di tutti i santi. La vita di S. Gregorio Magno fu riassunta dal suo biografo in una sola parola: « Secum vivebat. Era un uomo ” interiore ,, ». — S. Girolamo scriveva a Eustochio: « Semper te cubiculi fui secreta custodiant, semper tecum Sponsus ludat intrinsecus, Oras, loqueris ad Sponsum; legis, Vie tibi loquilur, ecc. ». Chiudete dietro a voi la porta della vostra cella e vivete « interiormente » là dove lo Sposo abita familiarmente con voi ». —  È superfluo ricordare che « vita interiore» non significa esame scrupoloso, ricerca continua e morbosa dei più piccoli difetti, con incessanti e inutilissimi richiami sul passato. Ciò è molto lontano dalla vera devozione. Quanto più il raccoglimento è sorgente di vita, così come l’abbiamo descritto, e perviene a trovare Dio; altrettanto il ritorno febbrile su se stessi, e gli esami di coscienza indefiniti, sono sterili, se non pericolosi, per la pietà). – Dio è sempre là; ma noi non possiamo esservi sempre; altrimenti non saremmo più in terra, ma in cielo. Possiamo, nondimeno, sforzarci di essere là il più spesso che ci sia possibile. – Per molti, un’immensa lacuna separa il tempo della preghiera da quello delle occupazioni quotidiane. Quanti Cristiani, anche non alieni dalla pietà, quante anime devote e ferventi, la cui vita è spezzata da una strana interruzione! Alcuni momenti, più o meno lunghi, sono consacrati, al mattino, alla preghiera, alla meditazione e all’orazione, se si vuole; tutto il resto del giorno si trascorre poi senza punto ricordarsi della meditazione o preghiera fatta all’aurora. Un’esistenza spezzata in due parti. Pochi minuti per pensare a Dio, tutti gli altri trascorsi senza più pensarvi. « Non confinare Gesù nelle mie comunioni e orazioni. Dirgli: non vi lascerò partire » (T. II, p. 336). Proposito fatto da Paolina Reynolds, e che tutti dovremmo fare nostro. Ella aggiungeva (T. II, p. 22): « L’uso della preghiera nelle minime occasioni, ci aiuta a effettuare la prossimità del mondo invisibile ». Diciamo meglio. Senza l’abitudine della preghiera, nelle più piccole occasioni, è impossibile ottenere la prossimità del mondo invisibile — che pertanto è una condizione indispensabile della vita « interiore ». Allorquando Marta va a chiamare Maddalena per prevenirla che il Maestro è là e aspetta, non trattasi di un’ora determinata. Dentro di noi il divino Maestro è presente. Ci chiama, ci chiama perpetuamente, dice S. Paolo. Magister adest et vocat. Egli chiama. Risponderemo noi? Perché chiama proprio noi. Vocat te. –Al pozzo di Giacobbe, quando Gesù conversa con la Samaritana, l’Evangelo riferisce: «Era l’ora di sesta ». Nostro Signore è presente alla sesta, alla prima, all’undecima, a tutte le ore. Lungo tutto il giorno — durante la vita intera — il Maestro ci aspetta. Siamo sempre in tempo per andare a Lui. Noi invidiamo la sorte della Samaritana. La Samaritana siamo noi. È l’ora sesta. Gesù sta al pozzo di Giacobbe. Ci aspetta. L’orlo del pozzo su cui il Salvatore riposa, aspettando, è l’orlo del nostro cuore. Non può fare a meno di noi. Vuole che siamo là dove Egli abita. Egli non abita all’orlo del cuore, ma nel mezzo; ecco il santuario preferito da Lui, ma poiché non possiamo stare continuamente prostrati ai piedi dell’altare, Egli si degna fare dei nostri cuori altrettanti tabernacoli. Dal fondo di essi ci invita, e perché desidera moltissimo che noi desideriamo Lui, vuole sapere se viviamo nel bisogno di Lui, o se ne siamo soddisfatti. – Quanto poche sono le anime che cercano con avidità qualche cosa, allorquando hanno bisogno del soprappiù. Si direbbe che noi abbiamo tutto quello che ci occorre. Creature singolari che ci contentiamo del nulla, che il nulla basta a colmare. Bisogna aver prima visto passare il Maestro per rivolgere la domanda: « Dove abita il Messia? ». Bisogna amarlo molto, per dire come Maddalena al pseudo ortolano del mattino di Pasqua: «Oh! Ditemi, ditemi dov’è ». Del resto chi così cerca, come Maddalena al sepolcro, lo possiede già. S. Francesco Saverio non poteva capire che vi fossero tanti mercanti, in cerca di pepe e altre droghe dell’Oriente. Noi stessi non giudichiamo forse troppo l’ardore degli scavatori d’oro fra i ghiacci dell’Alaska? Perché non sarebbe maggiore il numero di quelli che amano unicamente la perla preziosa, e che, per quanto dipende da loro, studiano i mezzi per trarre vantaggio dal tesoro che possiedono costantemente? Psichari diceva: « Si trema a scrivere in presenza della Santa Trinità ». Premettiamo a ogni nostra azione, come egli faceva, un intervallo di tempo, affine di ricordarci della presenza di Colui che vive dentro di noi. Un soldato diceva: « Non ho chiesa. Rientro in me stesso, dove si trova Dio ». Si cita anche l’esempio di un ammiraglio, morto poco tempo fa, che per vivere «interiormente», si esercitava a non perdere il sentimento della presenza di Dio. « Egli è in me, e io non vi penso. Mi porta nel suo cuore, e io duro fatica a portarlo un momento nel mio spirito », confessava, più che per conto proprio, per utilità nostra, il Padre De Gonnelieu, in un trattato suggestivo sulla Presenza di Dio. « Ogni battezzato, secondo il consiglio che dà con espressione felice il P. Sertillanges, dovrebbe fare di tutto un’aspirazione, una preghiera, una cerimonia rituale, un’azione salvatrice, un amore; della casa un oratorio, della tavola, del letto, del banco, dello scrittoio, del fornello domestico o della officina, un altare; fare della vita, dal mattino alla sera e dalla sera al mattino, del sonno, del riposo, del giuoco, della conversazione, del lavoro a un tempo e della preghiera, un avvenimento religioso, un rito d’eternità in un tempo provvisorio. Ecco il pensiero cristiano, ed anche lo sforzo di coloro che lo capiscono a dovere; nessuno può dirsi Cristiano se non nella misura in cui vi si adatta ». « Formare di tutto un’aspirazione ». Noi ripetiamo qui l’ideale di cui dicevamo al principio di questo capitolo: «Condurre una vita che rassomigli a una solennità ». Altro, in realtà è possedere Dio, per la grazia, al fondo dell’anima; altro penetrare tutte le fibre del proprio essere della grazia di Dio. È diverso il caso di chi vive abitualmente in grazia e di chi vive in grazia in un modo sempre attuale. – Sempre attuale, che cosa vuol dire? Possiamo aspirare a trascorrere la vita col pensiero costante di Dio presente? No, e non bisogna ingannarsi, per evitare gli scrupoli o i malintesi. Senza una grazia molto rara e meramente gratuita, è psicologicamente impossibile pensare a Dio costantemente. « Sempre » significa dunque non assoluta interruzione, ma continuità morale, cioè desiderio di dimenticare, il meno che ci riesca possibile, il nostro ospite divino, applicandoci ad andare a Lui, non con eccessiva costrizione della mente, ma per inclinazione consueta del cuore. E questo modo non deve sembrare a nessuno troppo rudimentale: « La pena costante di non aver Dio sempre presente, è già una presenza continua di lui » (BAUDRAND: L’Ame intérieure, p. 199).

CAPO II.

Proteggere il nostro tesoro.

Depositum custodi! Custodite con cura il vostro deposito. Il semplice desiderio di vivere « interiormente » non basta per creare tra noi e il tesoro che portiamo l’intimità che ci vuole. Una perla così ricca ha molti invidiosi e bisognerà custodirla con molte precauzioni. Il soldato in trincea non si appaga della sola attenzione. Per evitare le sorprese moltiplica i mezzi accessori di difesa, come rovi artificiali, razzi e altro. L’anima nostra, scrigno di Dio, dovunque deve vegliare sulle sue ricchezze, e passare,come Tarcisio, in mezzo ai giocatori di dischi e di piastrelle, respingendo gl’indiscreti e i noiosi. – Un principe dell’impero romano, abitualmente portava appesa al collo una piccola palla d’oro con quest’incisione: « Ricordati che sei di Cesare ». Noi potremmo dire assai meglio: « Ricordati che Cesare è tuo! ». Ma questo porta con sé alcune esigenze. Dobbiamo vivere in mezzo agli uomini. L’autore dell’Imitazione di Cristo, che senza dubbio ne aveva fatto l’esperienza, giudica il suo soggiorno «all’esterno» assai severamente: « Ogni volta che sono andato in mezzo agli uomini, egli dice valendosi di una parola di Seneca, ne sono tornato meno uomo ». E noi possiamo aggiungere: « Ne sono tornato meno “Dio”, meno penetrato della presenza del divino Maestro in me. Dunque eviteremo i passatempi e le occupazioni inutili, le amicizie, le intimità e le riunioni inutili. Non diciamo indispensabili ovvero utili, né dannose; ma inutili. E ciò comprende tante, tante circostanze! « La vostra conversazione, dice San Paolo, dev’essere con Gesù Cristo in Dio: Societas vestra cum Cristo in Deo». Non parla di alcun’altra. Avremo così la « conversatio in cœlis», la sola che possa permettersi in una « cappella » e vicino al « tabernacolo ». Che se la carità, lo zelo, gli obblighi del nostro stato ci ingiungono o ci invitano ad abbandonare l’«interiore», è allora il caso di non parlare se non per dire qualcosa che valga più del silenzio. Siamo più pronti ad ascoltare, e più difficili a parlare. Questo è il consiglio di S. Giacomo. Chi parla molto, ha poche occasioni di ascoltare. – S. Alfonso Rodriguez osservava: «Bisogna parlare poco con gli uomini, e molto con Dio. Avere sempre Dio presente nel fondo del cuore e stabilirvi una specie di ritiro… Non fare, né dire cosa alcuna, senza avergli chiesto consiglio ». Consiglio di un santo, dirà qualcuno, buono per i santi, o d’un religioso per religiosi! — No, ma avviso che serve a tutti, e molto più utile per coloro che non sono protetti dalla regola del silenzio contro le invasioni che vengono dall’esterno. « Ci formiamo un’idea falsa della vita soprannaturale. Quanto a me, la vita cristiana è interamente legata alla fedeltà con cui si pratica questa massima: Vivere a ogni momento la propria vita con Gesù Cristo. Sapere che Lui, l’amico, il confidente, il Maestro, sta accanto a noi e in noi ». Chi parla così? Un avvocato, presidente della Gioventù cattolica. E il direttore di un nostro grande oratorio festivo dà questo avviso: « Non tutti saremmo capaci di vivere in un chiostro o la vita sacerdotale; e tuttavia ciascuno deve vivere della vita interiore, la vita della grazia, la vita divina ». – E a coloro, cui una vita troppo esteriore impedisce di raccogliersi, consiglia il libretto dell’Imitazione. « La dottrina dell’Imitazione è in realtà la vera dottrina cattolica della rinunzia di se stesso, della vita intima con Dio. Il Cattolico di oggi non è esonerato dal praticare simile vita, benché ad alcuni sembri fuori moda, ad altri impraticabile » (E. MONTIER, direttore dei Filippini di Rouen: La culture catholique, 1913, cap. IV, p. 61).Quanto più la vita esteriore è attiva, altrettanto il consiglio di « rientrare in se stessi ». s’impone. Le Catholique d’action (Del P. GABRIEL PAPAU, Tr. Lebessou-Jury (Casterman). nota molto bene:« Se vuoi gustare le dolcezze dello spirito,ritirati in disparte, in luogo dove tu possa conversare con me liberamente.« Sii persuaso di non aver fatto nulla per Dio, finché non avrai appreso quanto sia dolce abitare da solo con me.« Non dire: non posso raccogliermi; non ne ho il tempo; se questo fosse vero, sarebbe un motivo di più per isolarti e riposarti un poco» (Il P. DE RAVIGNAN diceva: « Nei giorni in cui sono sovraccarico di lavoro e non so donde cominciare, fo in primo luogo mezz’ora di meditazione come supplemento »). Questo ideale non è chimerico. Il Maze-Sencier, facendo l’elogio di un soldato, Pietro de Morel, vittima della guerra, lo dipingeva come un’anima profonda che sapeva « raccogliersi, cioè ricercarsi, scrutarsi, ritrovarsi ». – Abbiamo già parlato di Pietro Poyet, giovine studente della rue des Postes, della sua conoscenza della « vita interiore ». « Ascoltare in se stesso la voce interna di Dio, e conformarvisi senza indugio », era il suo programma. Faceva sue le parole di S. Paolo: « Gratia Dei urget nos, la grazia di Dio ci stimola », rendendosi conto che l’acqua delle sorgenti divine agisce nell’anima come una gora sopra una chiusa; e che dipende da noi, dai nostri sforzi, di lasciarci invadere dal torrente. Quante precauzioni quindi non usava, per non perdere occasione alcuna di lasciarsi penetrare dalla grazia! Nella sua regola di vita sta scritto che per mezzo di segni convenzionali spingeva se stesso a frequenti aspirazioni verso Dio. – Il Maestro interiore risiede effettivamente, a ogni istante, nell’anima nostra, in grazia; ma la sua presenza è rivelata solo a colui che Lo cerca e si mette nelle condizioni richieste per trovarlo; sempre presente, ma sempre invisibile. E il giovine studente si applicava a rappresentarsi al pensiero, per mezzo di richiami preveggenti e di una lunga « ginnastica di ricordi », Colui verso il quale il suo cuore e la sua fede gli suggerivano di andare (Notice, dell’abate Rouzic, pp. 23-29). Lo strepito delle conflagrazioni recenti fa apparire più chiara che mai l’opportunità, la necessità della vita « interiore » : « Per riprendere vita occorre in primo luogo che la Nazione si raccolga. Vi sono molti che io chiamo nel fondo del loro cuore e che non ascoltano il mio appello » (Journal spirituel de Lucie Christine, pubblicato dal P. POULAIN, p. 85). La salvezza del mondo non è affidata allo strepito delle armi, né al fragore delle macchine; meno ancora ai fiumi della parola: « la discesa di Dio nelle sue creature con la santificazione individuale, ecco ciò che procura la salvezza dei popoli, moltiplicando gli eletti » (M.gr Moneslès, nella sua lettera d’approvazione dei Souvenirs de Soeur Elisabeth). – Forse nessuno ha dimostrato meglio di Elisabetta Leseur come praticamente si possa conciliare l’attività della vita esteriore con l’attività di quella interiore. Essa non ignora il conflitto: «Tenere l’anima sempre semi-aperta alle anime che vorrebbero confidarsi a lei; ma non aprirla interamente; riservarne sempre la parte più intima a Dio solo» (pag. 174 e seg.). «Divenire affabile… Riservarmi intanto alcuni minuti di raccoglimento più lunghi che mi sia possibile, per dare all’anima mia l’alimento che la renda più forte, più pacifica, più ripiena di vita soprannaturale ». Il primo apostolato sarà quello del raccoglimento, l’apostolato dell’esempio: « Intorno a me vi sono molte anime che io amo profondamente e ho una grande missione da compiere attorno a loro… Bisogna che attraverso all’anima mia si possa intravedere il mio Ospite adorato… Tutto in me deve parlare di Lui … Non voglio essere una chiacchierona spirituale » — oh quanto è bella questa risoluzione! — « e salvo il caso in cui la carità me ne faccia un dovere, voglio conservare questo grande silenzio dell’anima, questo solo a solo con Dio, che è il custode della forza e della virilità interna. Non bisogna dissipare nulla, — l’anima soprattutto! — ma concentrarla interamente in Dio, affinché essa mandi i suoi raggi più lontano » (pp. 61 e 139). – Quindi nell’ordine dei valori, Dio da custodire al di dentro, in primo luogo; e solo in seguito, Dio da dare agli altri; ordine che spesso è purtroppo invertito! (Leggansi le pagine penetranti di D. CHAUTARD, in L’anima di ogni apostolato: le opere senza vita interiore). – Quanti potrebbero rivolgere a se stessi il rimprovero che si rivolgeva il Cardinale Du Perron nell’atto di morire, quello di aver cercato, durante la vita, di perfezionare l’intelligenza, per mezzo dello studio, piuttosto che la volontà con l’esercizio della vita interiore! – Che regola d’oro questa: « Dare di sé unicamente quello che può riceversi con profitto dagli altri; custodire il resto gelosamente, come l’avaro fa del suo tesoro, negli angoli più reconditi dell’anima, ma con l’intenzione di sacrificarlo allorché l’ora sarà arrivata » (p. 287). « Riassumendo, notava Elisabetta alla fine di un ritiro, riservare a Dio il fondo dell’anima mia e la mia vita interiore e cristiana. Dare agli altri incanto, serenità, bontà, parole ed opere utili » (p. 147). E nel dono di sé agli altri, lasciare Dio il meno possibile, ciò che riassume il miglior modo di dare Dio. « Fare del Cristo, sempre vivo e presente in mezzo a noi, il modello della nostra vita e l’amico di ogni ora, dolorosa o benedetta. Domandargli di farsi amare da altre anime per mezzo nostro, ed essere, secondo un paragone che mi piace, il vaso rustico che racchiude una luce brillante, attraverso il quale questa luce rischiara e riscalda tutto ciò che la circonda» (p. 291). I direttori della vita spirituale non parlano altrimenti. « Imitate l’esempio, dice il P. Nouet (La Grandeur du chrétien danx ses rapports avec la Trinitè, p. 236), del Padre Eterno che continuamente si contempla nel suo Verbo e che lo manda nel mondo, ma in tal maniera da ritenerlo nel suo seno. Il vostro Verbo è la considerazione di Dio in voi, e di voi in Dio, che non dovete mai abbandonare.Se qualche volta la trasportate ad altri oggetti, dovete subito richiamarla. Sì, a volte si allontana, ma non bisogna mai permettere che si separi da voi: il suo progresso non dev’essere mai un’uscita; ovvero se esce, non deve abbandonarvi».S. Francesco di Sales unisce al consiglio un doppio paragone: « Un uomo che abbia ricevuto, in un recipiente di bella porcellana, un liquore di molto valore, per portarlo a casa cammina a passi lenti: non guardando mai di lato, ma ora innanzi a sé per non urtare contro una pietra e non fare un passo falso, ora lo stesso vaso, per impedire che s’inclini da un lato qualunque. Al termine delle vostre pratiche di devozione, voi dovete fare lo stesso. Non dovete distrarvi ad ogni momento, ma guardare semplicemente davanti a voi; e se vi occorre d’incontrare qualcuno a cui siete tenuti di parlare o siete costretti di ascoltare, non potendo fare altrimenti, adattatevi, ma in maniera che possiate guardare anche il vostro cuore, affinché il liquido prezioso della preghiera sfugga il meno possibile ». Così nell’Introduzione alla vita devota, nel libro VI dell’Amore di Dio si legge (cap. X):« Come il fanciullo che sollevata la testa dal grembo di sua madre per vedere dove ha i piedi, la rimette subito, perché si sente vezzeggiato, così noi, accorgendoci di distrarci dalle pratiche devote a causa della curiosità, dobbiamo subito rimettere il nostro cuore nell’attenzione soave della presenza di Dio, dalla quale ci eravamo sottratti ».Dio concede favori speciali ai suoi privilegiati.C’insegnano gli storici di S. Teresa che lungo i suoi viaggi non perdeva mai, per dir così, un sol momento la vista dell’Ospite interiore. Possedeva nel più intimo dell’anima sua le tre Persone divine; sentiva in modo meraviglioso la loro presenza, e se ne vedeva accompagnata sempre. Quindi non si dava mai, per la Santa, un momento in cui le mancasse la solitudine. Avrebbe desiderato di non dover mai parlare con gli uomini. Confessiamo francamente che i Santi non ci rassomigliano affatto! (nella settima dimora del Castello Interiore, la Santa descrive così le operazioni dell’ammirabile Trinità nell’anima sua: « Avendo Dio introdotto l’anima nella sua dimora, le tre Persone della Trinità Santa si comunicano a lei, le parlano e le fanno capire il senso delle parole che nostro Signore dice nell’Evangelo: Se qualcuno mi ama osserverà i miei comandamenti, e mio Padre l’amerà, e verremo a lui e stabiliremo in lui la nostra dimora. Oh, mio Dio, quanto si è lontani dall’avere l’orecchio colpito da queste parole, di vederle anche, di capirne la verità nel modo in cui ho detto! Dal momento in cui quest’anima ha ricevuto un tal favore, prova uno stupore che aumenta ogni giorno, perché le pare che le tre Persone divine non l’abbiano mai abbandonata: vede chiaramente che sono nell’interno dell’anima e nel posto più recondito, e come in un abisso molto profondo; questa persona non saprebbe dire che cosa sia quest’abisso cosi profondo, dove sente in sé stessa questa divina compagnia »). – Nella vita di alcune anime molto interiori, si nota che Dio, per ricompensare senza dubbio la loro buona volontà e il desiderio che hanno di vivere unicamente «nel loro interno», si compiace di concedere loro, in circostanze in apparenza meno favorevoli al raccoglimento, una facilità singolare a raccogliersi. – Santa Margherita Maria prova, in modo speciale, il benefizio del raccoglimento al refettorio, non ostante le letture di regola. Ed Emilia d’Oultremont, che fondò l’Istituto di Maria Riparatrice, sul più bello della danza, sente un primo attraente appello di Nostro Signore, e fa questo proposito irrevocabile: «Maestro, voi solo nella mia vita! ». Teodolinda Dubouché (Fondatrice dell’Istituto dell’Adorazione Riparatrice) un giorno è costretta ad andare al teatro dell’Opera. Durante l’intera serata, continua a tenersi unita con Dio. Privilegi speciali questi che non possiamo pretendere. – La vita divina nell’anima in grazia non implica in sé nulla di simile. E se, come accade, cerchiamo le distrazioni, aspetteremo invano l’aiuto di Dio per raccoglierci. Ma anche in mezzo allo strepito non potrebbe ognuno di noi imitare la piccola venditrice ambulante che nella sua baracca, inginocchiata in un angolo, nei giorni di comunione, diceva: «Signore Gesù, io non dimentico che voi siete in me » (Alcune giaculatorie possono aiutarci molto: « Dominus tecum. — Noi due soli. — Per ipsum, cum ipso, et in ipso. Per Lui con Lui, in Lui ». — E quante altre simili!). Con un po’ di sforzo, si acquisterà l’uso di valersi delle occasioni, anche le meno atte in apparenza, per rientrare « dentro di noi ». Dobbiamo conversare col prossimo? Tre regole s’impongono. Parlare con discrezione: io sono un tabernacolo. Parlare con sincerità:parlo a un tabernacolo, o a qualcuno che Dio destina a divenire tale. Parlare con carità: colui del quale parlo è anch’egli un tabernacolo, ovvero può divenirlo (Spontaneamente le anime di fede hanno questo rispetto, questa deferenza cristiana, questa cortesia santa per gli altri. I Superiori domandarono a San Luigi Gonzaga che limitasse le manifestazioni di rispetto verso i suoi compagni. L’Olier, quando passava accanto alla cella del P. de Condren, suo secondo superiore dopo il Card, de Berulle, soleva fare una genuflessione e a chi gliene domandava la ragione, rispondeva: « Dentro non c’è il P.de Condren, ma Dio nel P. de Condren »).E se la voce che ci chiama fuori è quella dell’apostolato, del bene che dobbiamo fare alle anime, è regola impreteribile che occorre perdere Dio di vista il meno possibile. In ogni Messa il sacerdote si rivolge ai fedeli parecchie volte, per ricordare che Dio è con loro: Dominum vobiscum. Ciò non indica forse che parecchie volte al giorno il fedele dovrà rientrare in se stesso e ripetere: Dominus tecum? Se sapesse farlo anche a ogni Ave che recita! Da vera discepola della sua Santa Madre,Suor Elisabetta scrive che « per raggiungere la vita ideale dell’anima, bisogna vivere nel soprannaturale, avere coscienza che Dio è nel più intimo di noi e portarsi dovunque insieme con Lui; allora non si agisce in modo comune, pur facendo cose molto ordinarie, giacché non si vive in esse, ma si sorpassano. Un’anima soprannaturale non tratta con le cause seconde, ma semplicemente con Dio ».E aggiunge: « Nell’azione, allorché si compie in apparenza l’ufficio di Marta, l’anima può sempre dimorare, come Maddalena, assorta nella contemplazione, tenendosi a questa sorgente come un’assetata. Io non so concepire altrimenti l’apostolato » (In ogni pagina di Santa Teresa si trova un invito. Ecco un passo fra i molti: « Voi potreste credere che allorquando le occupazioni necessarie vi sottraggono a questo ritiro interno del cuore, facciate una larga breccia al raccoglimento; disingannatevi. Purché in seguito siate fedeli a rientrarvi, il divino Maestro disporrà tutto a benedell’anima vostra. Allorquando l’occupazione ha interrotto il raccoglimento, non vi è altro rimedio che ricominciare a raccogliersi ». – Castello Interiore, seconda dimora, cap. I— Forse degni di nota particolare sono i capitoli XXIX e XXX del Cammino della Perfezione).L’apostolato così compreso, facile per una carmelitana, non è meno indispensabile a tutti, perché apporti vantaggio. Al di fuori di questa regola, potrà essere clamoroso, ma non mai fecondo.Monsignor Gay raccoglieva il suo pensiero in una frase che nello stesso tempo è un riassunto e un richiamo: « Voi siete un tempio: mettetele cose nel vestibolo, gli uomini nella navata; ma riservate a Dio il santuario ».

C A P O III.

Conquistare il nostro tesoro.

La difensiva non è mai stata la grande regola dei popoli, né delle anime che vogliono regnare. Non basta proteggere il nostro interno dove Dio alberga. Affinché quest’ « interno » ci appartenga, diventi nostro veramente, bisogna conquistarlo e spesso a forza di lotte dure e perseveranti. I maestri della vita spirituale sono unanimi nel dire, e in mancanza loro, l’esperienza personale più elementare lo attesta che allora solo si trova Dio, quando si è decisi a perdere se stessi. Sarebbe un mero sogno credere che il viaggio dalle cose esteriori all’intimo di se stesso, possa farsi in « sleeping-car », o in vettura imbottita di seta! Se aprite il libretto dell’Imitazione, il Combattimento spirituale, gli Esercizi di S. Ignazio, S. Teresa, S. Francesco di Sales o qualsiasi autore ascetico di qualche importanza, troverete ripetute le stesse espressioni: vincersi, andare contro il proprio capriccio, distruggere, sacrificare, agere contra, ut homo vincat seipsum; tutto questo annunzia la lotta. Ogni libro di devozione che non è un manuale sul modo di combattere, non sarà mai un vero libro di pietà. Ma per non avere esaminato la ragione intima di questo combattimento contro se stesso, molti si scoraggiano, inciampano, esitano. Fin dal principio risalta la parola: « vincersi », parola che è scritta in rilievo sul frontone, e che fa spavento. «Vincersi»…. bisognerà dunque combattere? arrischiare qualcosa… E poi « vincere se stesso », vi sarà quindi in me una parte che resterà vinta; sarò diminuito, amputato proprio di quanto io stimo di più! Dal punto di vista di una buona accoglienza, è meglio entrare subito nel cuore dell’edificio; svelare là dentro tutte le ricchezze contenute, l’intimità possibile, certa… e uscendone, mostrare — allora solamente le parole terribili scritte sul frontone. È semplice questione di metodo, ma che ha il suo valore. Ho bisogno di un parafuoco tra il dolore e la paura: — l’amore — un riparo tra il legno dell’olocausto e la mia timidezza — il divin Salvatore — di un risultato garantito e importante, tra gli sforzi miei e la mia oppressione supposta, premeditata, voluta — l’intimità col mio Dio. — Allora io cammino. Se ho presenti gli scopi di guerra, mi batterò finché sarà necessario! Il posto — e con esso — lo scopo della battaglia so quale è: entrare in possesso di questo « interiore » che porto in me, e dove Dio stesso abita. Tre stadi fisseranno la storia della conquista. Il primo lavoro consisterà nel ritrovare me stesso. Pervenire fino a me. In me, rendermi conto che non sono solo, siamo due: l’Ospite divino e io. Ciò verificato, capire che dei due uno è superfluo. Sforzarmi di rimpicciolire il mio posto per lasciare a Dio tutto il regno. – Riassumendo:

Io solo;

Lui ed io;

Lui solo.

[7- Continua …]

https://www.exsurgatdeus.org/2020/01/02/dio-in-noi-8/

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMO 79: “Qui regis Israel, intende”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 79

In finem, pro iis qui commutabuntur. Testimonium Asaph, psalmus.

[1] Qui regis Israel, intende;

qui deducis velut ovem Joseph. Qui sedes super cherubim, manifestare

[2] coram Ephraim, Benjamin, et Manasse. Excita potentiam tuam, et veni, ut salvos facias nos.

[3] Deus converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[4] Domine Deus virtutum, quousque irasceris super orationem servi tui?

[5] Cibabis nos pane lacrimarum, et potum dabis nobis in lacrimis in mensura?

[6] Posuisti nos in contradictionem vicinis nostris, et inimici nostri subsannaverunt nos.

[7] Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[8] Vineam de Aegypto transtulisti, et ejecisti gentes, et plantasti eam.

[9] Dux itineris fuisti in conspectu ejus; plantasti radices ejus, et implevit terram.

[10] Operuit montes umbra ejus, et arbusta ejus cedros Dei.

[11] Extendit palmites suos usque ad mare, et usque ad flumen propagines ejus.

[12] Ut quid destruxisti maceriam ejus, et vindemiant eam omnes qui praetergrediuntur viam?

[13] Exterminavit eam aper de silva, et singularis ferus depastus est eam.

[14] Deus virtutum, convertere, respice de caelo, et vide, et visita vineam istam;

[15] et perfice eam quam plantavit dextera tua, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[16] Incensa igni et suffossa, ab increpatione vultus tui peribunt.

[17] Fiat manus tua super virum dexterae tuae, et super filium hominis quem confirmasti tibi.

[18] Et non discedimus a te; vivificabis nos, et nomen tuum invocabimus.

[19] Domine Deus virtutum, converte nos, et ostende faciem tuam, et salvi erimus.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXIX.

Testimonianza di Asaph: cioè testimonianza cantata da Asaph della cattività e liberazione del popolo ebreo. — Spiritualmente, delle anime sotto il giogo del demonio.

Per la fine: per quelli che saranno cangiati; testimonianza di Asaph, salmo.

1. Ascoltami tu, pastor d’Israele, tu che conduci Giuseppe, come una pecorella.

2. Tu, che sei assiso sopra i Cherubini, (1) fatti vedere dinanzi ad Ephraim, a Beniamin e a Manasse. (2) Sveglia la tua potenza, e vieni a salvarci.

3. O Dio, convertici: e mostra a noi la tua faccia, e sarem salvi.

4. Signore Dio degli eserciti, fino a quando ti adirerai, né darai ascolto all’orazione del tuo servo?

5. E ci nutrirai con pane di lagrime, e bevanda di lagrime darai a noi in larga misura? (3)

6. Ci hai renduti oggetto di contraddizione a’ nostri vicini, e i nemici nostri si fan beffe di noi.

7. Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi.

8. Tu dall’Egitto trasportasti una vigna; discacciasti le nazioni, e la piantasti.

9. Tu le andasti avanti come condottiere nel viaggio; tu facesti barbicare le sue radici, ed ella empiè la terra.

10. L’ombra di lei ricoperse i monti, e i rami di lei i cedri di Dio.

11. Fino al mare stese ella i suoi tralci, e le sue propaggini sino al fiume. (4)

12. Per qual motivo hai tu distrutta la sua siepe, e la vendemmiano tutti quei che passano per istrada?

13. Il cinghiale del bosco l’ha sterminata, e la fiera solitaria feroce ne ha fatto pasto. (5)

14. Dio degli eserciti, volgiti a noi, mira dal cielo, e vedi, e visita questa vigna.

15. E lei coltiva, che fu piantata dalla tua destra; e mira quel figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti.

16. Ella è stata arsa dal fuoco e diradicata, ma ai minacciosi tuoi sguardi periranno i nemici.

17. Sia la mano tua sopra l’uomo della tua destra e sopra il figliuolo dell’uomo, cui tu eleggesti. (6)

18. E noi non recediamo da te ; tu ci darai nuova vita, e noi invocheremo il tuo nome.

19. Signore Dio degli eserciti, convertici; e mostraci la tua faccia, e sarem salvi. (7)

(1) Per Israele è espresso tutto il popolo di Israele, tutto il popolo che usciva dall’Egitto, come suo tronco; anche Giuseppe, il prediletto di Giacobbe, è posto qui per tutti i suoi fratelli, per tutti gli Israeliti, perché questo patriarca aveva meritato l’onore di designare con il suo nome tutta la posterità di Giacobbe, nutrendola per intero in Egitto, e perché solo, tra i dodici figli di Giacobbe, era rappresentato da due tribù, Manasse ed Efraim.

(2) Le tre tribùqui designate erano accampate più vicino all’Arca, e la seguivano immediatamente nella sua marcia.

(3) In mensura. Questa misura è quella che occorre per istruirvi, non per sopraffare, o meglio secondo la misura dei nostri peccati.

(4) Questo mare è il mare Mediterraneo, ed il fiume l’Eufrate, limiti estremi dell’occidente e dell’oriente, della maggior potenza degli Ebrei, sotto Salomone. Talvolta queste stesse espressioni designano l’estremità della terra.

(5) Questa bestia selvaggia significa Teglatphalasar, Sahanasar. Sennacherib, o Nabuchodonosor, se si considera questo salmo nella presa di Gerusalemme dei Caldei.

(6) È visibile che una parte di questo salmo è perduto, e che i versetti 15 e 16 non sono che semi-versetti male assemblati. La seconda parte del versetto 16 non è che quella del versetto 17, ricavata dalla similitudine della fine della prima parte, dextera tua.

(7) Il versetto, ripetuto tre volte, è come il ritornello del salmo.

Sommario analitico

Il profeta, considerando i malori delle dieci tribù portate in cattività da Salmanazar, prega Dio di porvi un termine. Questo salmo sembra ricondursi alle dieci tribù. Infatti il salmista vi parla in generale di Israele e di Giacobbe, e quando specifica, parla di Giuseppe, Efraim e Manasse. Questo salmo è una preghiera che si può fare per la conservazione della Chiesa.

I- Il salmista richiede l’avvento del Messia:

1° per manifestare la cura particolare che prende di Israele, per far brillare la sua gloria e la sua potenza (1, 2);

2° Per dare la salvezza alle anime in attesa e che supplicano Dio di esaudire i loro voti (3, 5).

3° Per dare la consolazione agli afflitti che subiscono gli oltraggi dei popoli vicini (6, 7).

II. – Egli chiede il ristabilimento del popolo di Dio che compara ad una vigna:

1° Esso è stato provato da numerose vicissitudini: – a) all’inizio: 1) è stato trapiantato miracolosamente dall’Egitto, come una vigna; 2) è stato piantato al di la del Giordano, dopo che Iddio ne ebbe cacciati gli abitanti (8); 3) ha posto delle radici profonde; – b) nel suo progredire 1) ha riempito tutta la terra promessa (9); 2) ha coperto le montagne della sua ombra; 3) i rami hanno sopravanzato i cedri più alti (10); i suoi rami si sono estesi fino al mare  e le sue propaggini fino al fiume (11); – c) alla fine 1) è stato privato della protezione di Dio, che lo difendeva come un muro (12); 2) spogliato dei suoi frutti dai suoi nemici (12); sradicato da Salmanazar come un cinghiale, e divorato da Nabucodonosor come una bestia feroce (13);

2°Esso attende la salvezza da Dio solo che, – a) si dia interamente a lui, 1) gettando su di Lui uno sguardo di affezione; 2) visitando la sua vigna diletta; 3) facendo prosperare quella che la sua destra ha piantato (14); – b) invia il Messia, 1) che Egli conferma con l’unione ipostatica (15); 2) confida nel ristabilimento di questa vigna devastata (16); 3) che egli riveste della sua forza contro i suoi nemici (17); – c) istruisce il suo popolo: 1) gli da la vita della grazia; 2) l’anima alla professione della vera fede (18); 3) lo favorisce della sua presenza; 4) lo salva e lo conduce nei cieli (19).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7

ff. 1, 2. – Dio conduce i suoi servitor come delle pecore, a causa della loro innocenza, della loro docilità e della loro obbedienza. « Le mie pecore ascoltano la mia voce, Io le conosco ed esse mi seguono » (Giov. X, 27). Il discepolo fedele deve dire a Dio incessantemente con l’autore dell’Imitazione: « ponetemi dove voi vorrete, e disponete assolutamente di me in ogni cosa ». Io sono nelle vostre mani, voltatemi e rivoltatemi a vostro gusto. Ecco che io sono pronto a servirvi in tutto, perché non desidero vivere per me, ma per Voi solo (Lib. III, cap. XV]. Lasciarsi condurre dalla mano di Dio solo, come una pecora, con la dolcezza, docilità e sottomissione di questo piccolo animale. « Voi che siete seduto sui Cherubini »: i Cherubini sono la sede della gloria di Dio, ed il loro nome vuol dire: “pienezza della scienza”. È su di loro che Dio è assiso nella pienezza della scienza. Ma anche se i Cherubini sono elevati al di sopra delle potenze e delle virtù dei cieli, tuttavia, se volete, sarete un cherubino; perché se i Cherubini sono la sede di Dio, ascoltate ciò che dice la Scrittura: « L’anima del giusto è la sede della sapienza » (Sap. VII, 27). Ma come divenire la pienezza della scienza? Chi può assumere questa condizione? Voi avete un mezzo per assumerla: « … L’amore è la pienezza della legge » (Rom. XIII, 10). Cercate di non vagare e correre di qua e di la. La vasta estensione dei rami vi spaventa? Restate alla radice e non pensate alla grandezza dell’albero. Che l’amore venga in voi e la pienezza della scienza ne seguirà inevitabilmente. Chi può ignorare in effetti colui che sa amare, poiché è stato detto: « Dio è amore » ? (Giov. IV, 8) (S. Agost.). – « Eccitate la vostra potenza e venite ». L’Incarnazione del Figlio di Dio è l’opera per eccellenza della potenza divina; perché nulla di più sublime può avvenire che un Dio-uomo, ed un uomo-Dio! È questa un’opera mirabile, un’opera al di sopra di tutte le sue altre opere (S. Bern. Serm. III, in Vig. Nativ.).

ff. 3, 4. – Gesù-Cristo è venuto per salvare gli uomini, Egli è l’oggetto principale della sua incarnazione. Nulla è sì sovente ripetuto nelle Scritture e l’Angelo Gabriele lo spiega chiaramente quando dice a Giuseppe: « … voi lo chiamerete Gesù, cioè Salvatore, perché Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Matth. I, 21). Egli è venuto per salvarci, convertendoci a Lui e al Padre suo: « Voi siete come pecore sbandate, ma ora siete tornate e convertite a Colui che è il Pastore ed il Vescovo delle vostre anime (I Piet., II, 2). – La salvezza dell’uomo è l’effetto non solo della bontà, ma anche della potenza di Dio. « O Dio, voltateci verso di Voi ». Noi non siamo voltati verso di ;se Voi non vi volgete a noi, noi non lo faremo mai da noi stessi ». Noi ci siamo allontanati da Voi, e se non vi girate verso di noi, noi da noi stessi non lo faremo, « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvati ». Dio ha forse un viso tenebroso? Dio non ha un volto tenebroso, ma ha nascosto il suo volto sotto il velo della carne e come sotto il velo della debolezza; Egli è stato misconosciuto quando era sospeso sulla croce, ma per essere poi riconosciuto quando sarà assiso nel cielo (S. Agost.). – « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». Prima dell’Incarnazione noi vediamo, in ogni pagina delle sante Scritture, il terrore che colpiva naturalmente ogni uomo alla presenza di Dio, dopo che il peccato era entrato nel mondo; ma, con l’Incarnazione, ci è apparsa la grazia e la benignità di Dio nostro Salvatore (Tito III, 4), e noi possiamo dirgli con tutta fiducia: « Mostrateci il vostro volto e noi saremo salvi ». – Questa faccia del Padre, è il Cristo, perché lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua sostanza (Hebr. I, 3), e come si conosce un uomo vedendo il suo volto, così si conosce il Padre vedendo il Cristo (S. Gerol.). – « Filippo – diceva Gesù-Cristo a questo Apostolo – colui che vede me, ha visto il Padre » (Giov. XIV, 19). « Ecco Io mando il mio Angelo, ed egli preparerà la via davanti alla mia faccia » (Malac. III, 1), cioè Giovanni-Battista davanti al Cristo.

ff. 5-7. – « Signore, Dio degli eserciti, fino a quando sarete irritato contro la preghiera del vostro servo? », di colui che ora è il vostro servitore. Voi che vi irritate contro la preghiera del vostro nemico, vi irritate pure contro la preghiera del vostro servo? Voi ci avete voltato verso di Voi, noi vi abbiamo riconosciuto, e vi irritate ancora contro la preghiera del vostro servo? Si, Voi vi irritate ancora, ma la vostra collera sarà quella di un padre che corregge e non quella di un giudice che condanna … Non crediate che la collera di Dio sia passata, dal momento che siete tornati a Lui; essa è passata ma solo per non condannarvi eternamente. Ma Egli vi castiga, non vi risparmia, perché Egli castiga tutti coloro che riconosce come figli (Hebr. XII, 6). « Fino a quando ci nutrirete con pane di lacrime, e ci farete bere lacrime in abbondanza? » Ascoltate l’Apostolo: « Dio è fedele, non permetterò che siate tentati al di la di ciò che potete sopportare » (I Cor. X, 13). Questa misura è quella delle vostre forze, questa misura è ciò che vi necessita per istruirvi, e non per sopraffarvi (S. Agost.). – Il bene ed il male, la gioia e la tristezza, tutto si dà quaggiù con misura. Le gioie del mondo, le sue tristezze non meritano di essere contate. – Tutte le lacrime non sono le lacrime cristiane: la cupidigia ha le sue lacrime così come la carità; non ci sono che le lacrime di penitenza che siano cristiane, e non c’è che Colui che ha estratto altre volte l’acqua dalla pietra, che possa estrarne dalla durezza del nostro cuore.

II. — 8-19.

ff. 8-10. – Niente di più comune c’è nelle Sacre Scritture, che la comparazione del popolo di Dio, della Chiesa, ad una vigna, e questa comparazione si giustifica per numerose ragioni: – 1° è nei terreni petrosi che la vigna cresce più facilmente; è su Gesù-Cristo, come sulla pietra, che la Chiesa si radica e fruttifica. – 2° La vigna ha bisogno di puntelli che la sostengano e di legacci per fermarla; altrimenti essa si trascina, strisciando sulla terra; essa non può elevarsi se non è sostenuta, altrimenti cade. Ma pur essendo sostenuta, da dove non si eleva? Gesù-Cristo è nel contempo il piolo che la sostiene ed il legaccio che la tiene sospesa a questo piolo, ed è della Sapienza incarnata che è detto: « In essa c’è una bellezza che dona la vita, e le sue catene sono legami che guariscono e che salvano » (Eccl. VI, 31). – 3° La vigna ha bisogno di una coltura assidua e di cure incessanti. Così è per la Chiesa di Cristo. Egli recluta dei lavoratori per inviarli nella sua vigna, non soltanto dall’aurora, ma anche all’ora terza, alla sesta, alla nona ed all’undecima, di modo che sia coltivata ad ogni ora. – 4° I tralci della vigna seccherebbero e perirebbero senza risorse, se non fossero attaccati ed uniti al loro gambo, e se fossero privati della linfa da cui continuamente la traggono. Lo stesso è dei Cristiani: se essi non dimorano in Gesù-Cristo se non ricevono continuamente la grazia che li fa vivere. –  5° Quando la vigna è potata, colpita nel vivo, quando si recide non solo il legno secco, ma anche il legno verde, è allora che essa porta i frutti più abbondanti. È così che la Chiesa cresce e fruttifica in mezzo alle prove e pone nelle persecuzioni il principio di una più grande fecondità. – 6° Il tralcio staccato dal ceppo, seccherà, sarà gettato nel fuoco e seccherà, sarà gettato nel fuoco e brucerà. « Che si farà del legno della vigna, se lo si compara a tutti gli altri alberi che sono nei boschi e nelle foreste? Si utilizzerà il legno della vigna per qualche opera, lo si potrà fissare al muro e sostenervi ciò che si vorrà? Lo si getta nel fuoco del quale diventa preda, la fiamma ne consuma le due parti, ed il mezzo è ridotto in cenere; dopo questo, potrà mai essere buono per qualcosa altro? » (Ezech. XV, 2-4). Più essa è eccellente quando porta « il suo frutto delizioso che rallegra Dio e gli uomini » (Sap. IX, 13), più essa è  inutile se non ne porta più. E non ha più nulla da attendere se non il fuoco di cui è degna. Il legno della vigna è quello in cui si caratterizza al meglio la vita del Cristiano: non gli resta che portare frutto, o di essere gettato nel fuoco. –  I caratteri dello stabilirsi della Chiesa non sono marcati in modo meno incisivo nei diversi tratti di questa parabola! 1° Dio l’ha trapiantata, questa vigna, dall’Egitto, nella terra che aveva promesso, vale a dire che fa passare la sua Chiesa dalle tenebre del peccato, alla luce della fede e della grazia. – 2° Dio ha sterminato gli antichi abitanti di questa terra per farle posto e piantarla. (8). È così che Dio ha piantato la sua Chiesa nella fede. – 3° Dio ha fatto sviluppare delle radici profonde a questa vigna. « Voi le avete fatto da guida camminando davanti ad essa, Voi avete rafforzato le sue radici. »  È ciò che Dio ha fatto per la Chiesa, nel senso delle parole di queste San Paolo: « Dio, secondo le ricchezze della sua gloria, vi fortifichi nell’uomo interiore con il suo Spirito; Gesù-Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede, e siate radicati e fondati nella carità. » – 4° Questa vigna si è estesa da collina in collina e si è elevata al di sopra delle alte montagne che essa ha coperto. Tutta la terra, fino al fiume e fino al mare, ne è stata ripiena, tanto il vitigno è stato fecondo ed abbondante. È così che Dio concede alla sua Chiesa di moltiplicarsi e di propagarsi, con le sue propaggini ed i suoi frutti. –  « L’ombra di questa vigna ha coperto le montagne, ed i suoi tralci i cedri più elevati. ». Così la Chiesa si è elevata al di sopra di tutti i reami del mondo, di tutte le superbe altezze del secolo. Le montagne ed i cedri erano come al coperto sotto questa vigna, come le potenze del secolo, sottomesse alla Chiesa, trovavano il loro riposo, la loro sicurezza e la loro salvezza sotto l’ombra della fede. – La vigna – dice S. Ambrogio – è l’immagine della Chiesa. Il popolo cristiano si eleva come una vigna verdeggiante al di sopra del suolo avvilito. Questa tenera propaggine, innestata sulla vecchia vigna, è cresciuta sul legno nodoso della croce; e lo Spirito Santo, inondandola con la sua grazia, ha purificato la vigna. È essa che il colono si compiace di vangare, irrorare e tagliare (Comm. In Evang. Luc XV). – È anche questa vigna della Chiesa, i cui fiori spandono lontano i profumi di Gesù-Cristo, i cui frutti maturi ed abbondanti ispirano allo stesso santo dottore questo cantico di lode: « Signore», vi lodino coloro che vedono la vostra Chiesa estesa lontano, i suoi rami carichi, e tutte le anime che la circondano come dei monili preziosi, facendo in essa brillare la maturità e la prudenza, lo splendore della fede, il bagliore della giustizia, la fecondità della misericordia » (Hex. III, cap. 10).

ff. 12-13. – In questi versetti, il Profeta compone un quadro spaventoso e troppo naturale delle persecuzioni, delle prove, delle devastazioni alle quali Dio ha permesso che la Sinagoga, e poi la Chiesa cristiana, fossero sottoposte. –  Il muro della Chiesa, è Dio stesso: « Io sarò attorno ad essa, dice Jeowah, come un muro di fuoco, e sarò in mezzo ad essa nella mia gloria » (Zacc. II, 5). I muri della Chiesa sono ancora gli Angeli, i Santi, i Vescovi ed i Dottori, i precetti di Dio, le virtù e la preghiera. Tutti questi muri, questi bastioni sono abbattuti e distrutti, quando Dio permette allo spirito di persecuzione e di errore di prevalere per un tempo contro la sua Chiesa. Abbattuto questo muro, la vigna è aperta ad ogni tipo di devastazioni. « Essa è vendemmiata da tutti coloro che passano per strada. » Non solo essi ne prendono le radici, ma le bestie feroci vengono a strapparla fino alle radici, « ed il cinghiale della foresta l’ha devastata ». – Noi abbiamo qui un’immagine non meno spaventosa dello stato di un’anima che il peccato abituale ha sprofondato nell’indurimento. Dio la lascia in qualche modo indifesa, senza bastioni: tutti gli oggetti sensibili vi portano devastazione; essa è come una vigna che non ha più muraglia, e che resta esposta al saccheggio dei passanti.

ff. 14-16. – Malgrado queste sventure, tornate verso di noi. Guadateci dall’alto del cielo, vedete questa vigna e visitatela, « … e rendete perfetta quella che la vostra destra ha piantato ». Non ne piantate un’altra, ma rendete perfetta quella; perché essa è la razza stessa di Abramo; essa è la razza nella quale tutte le nazioni sono benedette (Gen. XXII, 18); là è la radice sulla quale è inserita l’olivo selvaggio (S. Agost.). –  Il profeta chiede qui Dio tutto intero: – 1° il suo volto, « Dio degli eserciti, volgetevi a noi; – 2° i suoi sguardi favorevoli: « Guardate dall’alto del cielo e vedete »; è lo sguardo di Dio che il Profeta Geremia domandava come un raggio di sole vivificante: « Vedete, Signore, che io sono nella tribolazione » (Gerem-Lam. I, 17): « O mio Dio, inclinate il vostro orecchio ed ascoltate; aprite i vostri occhi, e guardate la nostra desolazione, e la città sulla quale è stato invocato il vostro Nome;» – 3° egli domanda che Dio stesso venga a visitare la sua vigna e constati lo stato di devastazione nel quale i suoi nemici l’hanno ridotta: « e visitate la vostra vigna; » – 4° egli domanda la mano di Dio per riparare le sue rovine e ristabilirle nel suo stato originario. È ciò che Dio ha fatto con il suo Cristo: « e rendetela perfetta per il Figlio dell’uomo che Voi avete rafforzato per Voi. » Magnifico fondamento! Costruite sopra tutto ciò che potete costruire perché « non si può porre altro fondamento diverso da quello che è stato già posto, che è il Cristo Gesù » (1 Cor. III, 2). – Le cose sradicate e date alle fiamme periranno con l’indignazione del vostro volto. » Quali sono queste cose sradicate e date alle fiamme, e che periranno con l’indignazione del volto di Dio? Contro chi il Cristo è indignato? Contro i peccati! I peccati periranno dunque per l’indignazione del suo volto. Perché i peccati saranno sradicati e dati alle fiamme? Due cose producono in noi tutti i peccati: il desiderio ed il timore. Riflettete, discutete, interrogate i vostri cuori, sondate le vostre coscienze, vedete se potete commettere qualche peccato se non per desiderio o per paura. Per portarvi al peccato vi viene presentato un’esca, cioè qualcosa che vi piace; voi agite in vista di ciò che desiderate. Al contrario, voi non sperate nulla che vi porti al peccato, ma delle minacce vi spaventano, vi agitano in vista di ciò che voi temete … che farà dunque il volto di Dio che distrugge i peccati? Quali sono i peccati sradicati e dati alle fiamme? Che aveva fatto il cattivo amore? Esso aveva come illuminato una fiamma. Che aveva fatto il cattivo timore? Aveva come scavato il suolo. In effetti l’amore infiamma, la paura umilia; ecco perché i peccati nati dal cattivo amore sono dati alle fiamme, ed i peccati nati dal cattivo timore sono come sradicati (S. Agost.). – Gesù-Cristo è veramente l’uomo della destra di Dio: 1° perché è seduto alla destra del Padre; 2° perché è per Lui  che Dio opera tutto quel che fa; perché tutte le sue opere sono fatte in saggezza, con la saggezza e per la saggezza, che è il suo Verbo eterno ed increato.  – Dio non getta gli occhi che sul Figlio dell’uomo e suo, che è Gesù-Cristo. Egli non vede che Lui, non conosce che Lui, non accorda grazie se non per Lui e in vista di Lui. Dio ha stabilito Gesù-Cristo principalmente per se stesso, a suo onore e gloria. « Voi siete di Gesù-Cristo, e Gesù-Cristo è di Dio Voi » (I Cor. III, 23).

 ff. 19-20. – Allontanarsi da Dio, è sorgente di tutti i mali; tornare a Lui, per non separarsene mai, è sorgente di tutti i beni. – « Noi non ci allontaneremo da Voi, Voi ci vivificherete, e noi invocheremo il vostro nome. » (Ibid.). Voi ci sarete caro, « perché Voi ci vivificherete. » Noi amiamo dapprima la terra, noi non ci amiamo; ma Voi avete mortificato le nostre membra che appartengono alla terra (Coloss. III, 5). In effetti l’antico Testamento, che contiene promesse terrene, sembra invitare l’uomo a non adorare Dio senza interesse, ma ad amarlo perché Egli doni qualcosa sulla terra. Che amerete dunque per non amare Dio? Ditelo … guardate intorno a voi tutta la creazione. Vedete se sarete attirato da qualche parte per il desiderio della voluttuosità ed impedito di amare il Creatore, se non per le creature stesse di Colui che voi negligete. E perché amate queste creature se non perché esse sono belle! Possono essere belle così come Colui che le ha fatte? Voi ammirate le creature, perché non vedete il Creatore; ma gli oggetti della vostra ammirazione vi facciano amare Colui che non vedete. Interrogate la creatura: se essa è per se stessa, non andate al di la di essa; ma se essa viene da Lui, sappiate che ella non è funesta a chi ne è innamorato se non perché la preferisce al Creatore. Perché avete detto queste cose? È in ragione dei versetti che spieghiamo. Questi erano dunque dei morti che adoravano Dio al fine di riceverne dei beni carnali; perché « … essere saggi secondo la carne, è come essere morto » (Rom. VIII, 6). Sono dunque questi, dei morti che non adorano Dio se non per interesse, vale a dire perché Egli è buono, e non perché dona loro dei beni che accorda anche ai malvagi. Voi chiedete dei soldi a Dio? Anche un ladro ne ha. Una sposa, una famiglia numerosa, la salute del corpo, gli onori del mondo? Vedete quanti malvagi possiedono questo tipo di benefici. È qui tutto ciò che vi fa servire Dio?  I vostri piedi cancelleranno, e crederete di adorarlo inutilmente, quando vedrete questi stessi beni in possesso di coloro che non Lo adorano (Ps. LXXII, 2). Egli dona dunque questi beni anche ai malvagi; si conserva Lui solo, per i buoni. « Voi ci vivificherete », perché noi eravamo morti, quando eravamo attaccati alle cose della terra; noi eravamo morti quando portavamo in noi l’immagine dell’uomo terrestre. « Voi ci vivificherete; » Voi ci rinnoverete, Voi ci darete la vita dell’uomo interiore; « ed invocheremo il vostro Nome », cioè noi vi ameremo. Voi sarete il dolce Salvatore che rimette i nostri peccati; Voi sarete tutta la ricompensa delle nostre anime giustificate.

UN’ENCICLA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI (… CON CAZZUOLA E GREMBIULINO) DI TORNO: S. S. LEONE XIII – DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO”

Leggere questa lettera enciclica, scritta in italiano, mette i brividi, tanto è attuale, nella sua illuminata lucidità, nell’additare e denunciare le cause dei mali che, già allora evidenti, si trascinano ancor più oggi nella loro tragica realizzazione. Il Sommo Pontefice, benché a conoscenza degli artefatti ed inganni perpetrati dalla setta infernale, benché avvertito da una profetica visione sull’infiltrazione massonica della Chiesa, oggidì completata compiutamente con l’insediamento di esponenti di altissimo livello della sinagoga di satana, non sapeva di avere nella sua segreteria di Stato, nientemeno che un cardinale esponente di spicco dell’O.T.O. – una setta tra le più agguerrite nemiche del Cristianesimo e del Vicario di Cristo – nonché organizzatore di una rete di prelati corrotti e marrani che alla lunga è risultata vincente – in apparenza – prendendo pieno controllo di una falsa ma… vera anti-chiesa che si proclama attualmente Chiesa Cattolica. Uguale sorte toccò a Papa Pacelli, Pio XII, che nella sua segreteria aveva tra gli infiltrati, quello che poi sarebbe divenuto il Pontefice degli Illuminati, cioè il capo della massoneria mondiale. I figli delle tenebre sono più scaltri di quelli della luce … ci avvertiva già il divin Redentore! Ma a ben vedere, il “Mistero di iniquità” era stato già profetizzato da San Paolo che ne discorreva con i suoi fedeli di Tessalonica, ed è oggi apparentemente trionfante, per permissione di Dio. E perché mai Dio avrebbe permesso tutto questo, come è evidente dalla storia ecclesiastica dal 26 ottobre del 1958 in poi? … Ce lo dice già lo stesso Apostolo nella 2 Tess. al cap. II: … « Ideo mittet illis Deus operationem erroris ut credant mendacio, ut judicentur omnes qui non crediderunt veritati, sed consenserunt iniquitati ». E allora, al pusillus grex cattolico, cosa resta da fare? Ce lo suggerisce lo stesso Pontefice Leone XIII, in questa medesima lettera: « … Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro Fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne …». Quindi nessun timore, perché è “… quando siamo deboli che siamo forti”, ricordando pure che … “se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?” Ricordino invece gli apostati, i marrani, i finti prelati ed i conniventi con gli antipapi, gli indifferenti pseudofedeli e tutti coloro che sono fuori dal Corpo Mistico di Cristo: il Giudizio è vicino e … chi vi salverà dal fuoco che il padre vostro ha preparato per voi per l’eternità?

DALL’ALTO DELL’APOSTOLICO SEGGIO

LETTERA ENCICLICA
DI SUA SANTITÀ
LEONE PP. XIII

Ai Vescovi, al clero e al popolo d’Italia.

Il Papa Leone XIII.

Venerabili Fratelli, diletti figli, salute e Apostolica Benedizione.

Dall’alto dell’Apostolico seggio, dove la Provvidenza divina Ci ha collocato per vegliare alla salvezza di tutti i popoli, il Nostro sguardo sovente si posa sopra l’Italia, nel cui seno Iddio, per atto di singolare predilezione, ha posto la sede del suo Vicario, e dalla quale peraltro Ci vengono al presente molteplici e sensibilissime amarezze. – Non Ci constristano le personali offese, non le privazioni e i sacrifici impostici dall’attuale condizione di cose, non le ingiurie e i dileggi, che una stampa procace ha piena balìa di lanciare ogni giorno contro di Noi. Se si trattasse solo della Nostra persona, se non fosse la rovina alla quale vediamo andare incontro l’Italia minacciata nella sua fede, porteremmo in silenzio le offese, lieti di ripetere anche Noi ciò che diceva di sé uno dei più illustri Nostri Predecessori: “Se la schiavitù della mia terra non crescesse di giorno in giorno, rimarrei muto, lieto del mio disprezzo e dello scherno” [S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5]. – Ma oltreché dell’indipendenza e dignità della Santa Sede, trattasi della stessa Religione e della salute di tutta una Nazione, e di tal Nazione, che fin dai primi tempi aprì il seno alla Fede cattolica e conservolla in ogni tempo gelosamente. Sembra incredibile, ma è pur vero: siam giunti a tanto da dover temere per questa nostra Italia la perdita della fede. Più volte abbiam dato l’allarme perché si avvisasse al pericolo: ma non per questo crediamo di aver fatto abbastanza. Di fronte ai continuati e ognor più fieri assalti, sentiamo più potente la voce del dovere che Ci sprona a parlare di nuovo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo Italiano. Come non fa tregua il nemico, così non conviene rimanere silenziosi od inerti né a Noi né a Voi, che per divina mercé fummo costituiti custodi e vindici della Religione dei popoli alle nostre cure affidati, Pastori e scolte vigili del gregge di Cristo, pel quale dobbiamo esser pronti, se fia d’uopo, a tutto sacrificare, anche la vita. – Non diremo cose nuove, perché i fatti, quali accaddero, non si mutano; e di essi abbiamo dovuto parlare altre volte, secondo che Ce ne venne il destro. Ma qui intendiamo ricapitolarli in certa guisa ed aggrupparli come in un sol quadro, per ricavarne a comune ammaestramento le conseguenze che ne derivano. Sono fatti incontestabili, accaduti alla gran luce del giorno; non isolati, ma connessi fra loro per forma che nella loro serie rilevano con piena evidenza un sistema, di cui sono l’attuazione e lo sviluppo. Il sistema non è nuovo: ma è nuova l’audacia, l’accanimento, la rapidità con cui si va ora attuando. È il piano delle sette, che si svolge ora in Italia, specialmente nella parte che tocca la Chiesa e la Religione Cattolica; collo scopo finale e notorio di ridurla, se fosse possibile, al niente. Ora è superfluo fare il processo alle sette che diconsi massoniche: il giudizio è già fatto; i fini, i mezzi, le dottrine, l’azione, tutto è conosciuto con certezza indiscutibile. Invasate dallo spirito di satana, di cui sono strumento, ardono, come il loro ispiratore, di un odio mortale e implacabile contro Gesù Cristo e l’opera sua; e fanno ogni loro potere d’abbatterla od incepparla. Questa guerra al presente si combatte più che altrove in Italia, dove la Religione Cattolica ha gettato più profonde radici, e soprattutto in Roma, dove è il centro della Cattolica Unità e la Sede del Pastore e Maestro universale della Chiesa. – Giova riprendere fin dalle prime le diverse fasi di questa guerra. Si cominciò col rovesciare sotto colore politico il principato civile dei Papi: ma la caduta di esso nelle intenzioni segrete dei veri capi, apertamente poi dichiarate, doveva servire a distruggere o almeno tenere in servitù il supremo potere spirituale dei Romani Pontefici. E perché non rimanesse alcun dubbio sullo scopo vero a cui si mirava, venne subito la soppressione degli Ordini religiosi, che assottigliò di molto il numero degli operai evangelici per il sacro Ministero e per l’assistenza religiosa, come pure per la propagazione della fede tra gl’infedeli. – Più tardi si volle esteso anche ai chierici l’obbligo del servizio militare, colla necessaria conseguenza di ostacoli gravi e molteplici frapposti alla recluta e alla conveniente formazione anche del clero secolare. Si misero le mani sul patrimonio ecclesiastico, parte confiscandolo assolutamente, e parte caricandolo delle più enormi gravezze, a fine d’impoverire il clero e la Chiesa, e privar questa dei mezzi di cui abbisogna quaggiù per vivere e promuovere istituzioni ed opere in aiuto del suo divino apostolato. Lo hanno apertamente dichiarato gli stessi settari. “Per diminuire l’influenza del clero e delle associazioni clericali, un solo mezzo efficace è da impiegare: spogliarli di tutti i loro beni e ridurli ad una povertà completa”. D’altra parte l’azione dello Stato è tutta diretta per sé a cancellare dalla Nazione l’impronta religiosa e cristiana: dalle leggi e da tutto ciò che è vita officiale ogni ispirazione ed ogni idea religiosa è per sistema sbandita, quando non sia direttamente osteggiata: le pubbliche manifestazioni di fede e di pietà cattolica o sono proibite, o sotto vani pretesti in mille modi intralciate. Alla famiglia si è sottratta la sua base e la sua costituzione religiosa col proclamare quello che chiamano matrimonio civile, e coll’istruzione che si vuole al tutto laica, dai primi elementi fino all’insegnamento superiore delle Università; di guisa che le nuove generazioni, per quanto dipende dallo Stato, sono come obbligate a crescere senza alcuna idea di Religione, digiune affatto delle prime ed essenziali nozioni dei loro doveri verso Dio. È questo un mettere la scure alla radice, né saprebbe immaginarsi mezzo più universale e più efficace per sottrarre all’influenza della Chiesa e della fede la società, la famiglia, gl’individui. “Scalzare con tutti i mezzi il clericalismo (ossia il Cattolicesimo) nelle sue fondamenta e nelle stesse sue sorgenti di vita, cioè nella scuola e nella famiglia”, è la dichiarazione autentica di scrittori massonici. – Si dirà che ciò non avviene solo in Italia, ma che è un sistema di governo, al quale gli Stati generalmente si conformano. Rispondiamo che questo non distrugge, ma anzi conferma quanto Noi diciamo degl’intendimenti e dell’azione della massoneria in Italia. Sì, quel sistema è adottato e messo in uso dovunque la massoneria esercita la sua empia e nefasta azione; e poiché questa è largamente diffusa, così quel sistema anticristiano è pur largamente applicato. Ma l’applicazione ne addiviene più rapida e generale e si spinge più agli estremi in quei paesi, i cui governi sono più sotto l’azione della setta e meglio ne promuovono gli interessi. E per mala sorte nel numero di questi paesi è presentemente la nuova Italia. Non è da oggi che essa soggiace all’influsso empio e malefico delle sette: ma da qualche tempo queste, addivenute assolutamente dominanti e strapotenti, la tiranneggiano a loro talento. Qui l’indirizzo della pubblica cosa, per ciò che concerne la Religione, è tutto conforme alle aspirazioni delle sette; le quali, per attuarle, trovano nei depositari del pubblico potere fautori dichiarati e docili strumenti. Le leggi avverse alla Chiesa e le misure per essa offensive sono prima proposte, decretate, risolute in seno alle adunanze settarie; e basta che una cosa qualunque abbia una cotale, sebbene lontana, apparenza di far onta o danno alla Chiesa, per vederla incontanente favorita e promossa. Tra i fatti più recenti ricorderemo l’approvazione del nuovo codice penale; in cui quello che si è voluto con maggior pertinacia, nonostante tutte le ragioni in contrario, furono gli articoli contro il Clero, che costituiscono per esso come una legge di eccezione, e vanno fino a considerare come criminosi alcuni atti che sono per lui sacrosanti doveri di Ministero. La legge sulle Opere pie, per la quale tutto il patrimonio della carità, accumulato dalla pietà e dalla Religione degli avi all’ombra e sotto la tutela della Chiesa, venne sottratto ad ogni azione ed ingerenza di essa; quella legge era stata già da più anni promossa nelle adunanze della setta, appunto perché doveva infliggere una nuova offesa alla Chiesa, diminuirne l’influenza sociale, e sopprimere d’un tratto una grande quantità di lasciti a scopo di culto. Si aggiunse a questo l’opera eminentemente settaria, l’erezione cioè del monumento al famigerato apostata di Nola, promossa, voluta, attuata coll’aiuto e il favore dei governanti dalla Frammassoneria, che per la bocca degli stessi più autorevoli interpreti del pensiero settario non arrossì di confessarne lo scopo e di dichiararne il significato: lo scopo fu di far onta al Papato; il significato è che si vuole ora sostituire alla Fede Cattolica la libertà più assoluta di esame, di critica, di pensiero e di coscienza: e si sa bene ciò che significhi in bocca dei settari un tal linguaggio. Vennero a mettere il suggello le dichiarazioni più esplicite fatte pubblicamente da chi è a capo del governo, dichiarazioni che suonano appunto così: la lotta vera e reale, che il governo ha il merito di aver compreso, è la lotta tra la fede e la Chiesa da una parte, il libero esame e la ragione dall’altra. Che la Chiesa cerchi pure di reagire, di incatenar di nuovo la ragione e la libertà del pensiero e di vincere. Quanto al governo, in questa lotta, si dichiara apertamente in favore della ragione contro la Fede, e si attribuisce come compito proprio di far sì, che lo stato Italiano sia l’espressione evidente di questa ragione e libertà: triste compito, che udimmo testé in occasione analoga audacemente riaffermato. – Alla luce di tali fatti e di queste dichiarazioni torna più che mai evidente che l’idea maestra, la quale, per ciò che tocca la religione, presiede all’andamento della cosa pubblica in Italia, si è l’attuazione del programma massonico. Si vede quanta parte ne fu già attuata; si sa quanto ancora ne rimanga ad attuare; e si può preveder con certezza che, fino a tanto che i destini d’Italia saranno in mano di reggitori settari o ligi alle sette, se ne spingerà l’attuazione più o meno rapidamente, secondo le circostanze, fino al più completo sviluppo. La loro azione ora è diretta a raggiungere i seguenti scopi, secondo i voti e le risoluzioni prese nelle loro assemblee più autorevoli, voti e risoluzioni tutte ispirate da un odio a morte contro la Chiesa. Abolizione nelle scuole di qualsiasi istruzione religiosa, e fondazione d’istituti, in cui anche la gioventù femminile sia sottratta ad ogni influenza clericale, qualunque essa sia; giacché lo Stato, che deve essere assolutamente ateo, ha il diritto e il dovere inalienabile di formare il cuore e lo spirito dei cittadini, e nessuna scuola deve essere sottratta né alla sua ispirazione né alla sua vigilanza. Applicazione rigorosa di tutte le leggi in vigore dirette ad assicurare l’indipendenza assoluta della società civile dalle influenze clericali. Osservanza rigorosa delle leggi che sopprimono le corporazioni religiose ed uso di tutti i mezzi per renderle efficaci. Sistemazione di tutto il patrimonio ecclesiastico, partendo dal principio che la proprietà di esso appartiene allo Stato, e l’amministrazione ai poteri civili. Esclusione d’ogni elemento Cattolico o clericale da tutte le amministrazioni pubbliche, dalle opere pie, dagli spedali, dalle scuole, dai consigli nei quali si preparano i destini della patria, dalle accademie, dai circoli, dalle associazioni, dai comitati, dalle famiglie; esclusione da tutto, dovunque, per sempre. Invece l’influenza massonica deve farsi sentire in tutte le circostanze della vita sociale, e divenire padrona e arbitra di tutto. Con questo si spianerà la via all’abolizione del Papato; così l’Italia sarà libera dal suo implacabile e mortale nemico, e Roma che fu in passato il centro della Teocrazia universale, sarà nell’avvenire il centro della secolarizzazione universale, d’onde deve essere proclamata in faccia al mondo intero la Magna Charta della libertà umana. Sono altrettante dichiarazioni, aspirazioni e risoluzioni autentiche di frammassoni o delle loro assemblee. – Senza esagerar punto, è questo lo stato presente e l’avvenire che si prevede per la religione in Italia. Dissimularne la gravità sarebbe un errore funesto. Riconoscerlo qual è, ed affrontarlo con evangelica prudenza e fortezza, dedurne i doveri, che esso impone a tutti i cattolici, e a noi specialmente, che come Pastori dobbiamo vegliar su di essi e condurli a salvezza, egli è entrare nelle mire della Provvidenza, e fare opera di sapienza e di zelo pastorale. Per quello che riguarda Noi, l’Apostolico officio C’impone di protestare altamente di nuovo contro tutto ciò che a danno della religione si è fatto, si fa o si attenta in Italia: difensori e tutori quali siamo dei sacri diritti della Chiesa e del Pontificato, apertamente respingiamo ed a tutto il mondo cattolico denunziamo le offese che la Chiesa e il Pontificato ricevono del continuo, specialmente in Roma, e che rendono a Noi più malagevole il governo della cattolicità, più grave ed indegna la Nostra condizione. Del resto abbiamo fermo nell’animo di nulla omettere per parte Nostra, che possa valere a mantenere viva e vigorosa in mezzo al popolo italiano la fede, e a proteggerla contro gli assalti nemici. Facciamo perciò appello, Venerabili Fratelli, anche al vostro zelo e al vostro amore per le anime affinché, compresi della gravità del pericolo che esse corrono, avvisiate ai rimedi e tutto poniate in opera per iscongiurarlo. Nessun mezzo è da trascurare che sia in poter nostro: tutte le risorse della parola, tutte le industrie dell’azione, tutto l’immenso tesoro di aiuti e di grazie, che la Chiesa pone in nostra mano, sono da adoperare per la formazione di un Clero istruito e pieno dello spirito di Gesù Cristo; per la cristiana educazione della gioventù, per l’estirpazione delle ree dottrine, per la difesa delle verità cattoliche, per la conservazione del carattere e dello spirito cristiano nelle famiglie. – Quanto al popolo cattolico, è necessario innanzi tutto che sia istruito del vero stato delle cose in Italia in fatto di Religione, dell’indole essenzialmente religiosa che ha in Italia la lotta contro il Pontefice, e dello scopo vero a cui costantemente si mira, affinché vegga con l’evidenza dei fatti in quante guise è insidiato nella sua religione, e si persuada quanto rischio corredi essere derubato e spogliato del tesoro inestimabile della fede. Formatasi negli animi tale persuasione, e certi d’altra parte che senza la fede è impossibile piacere a Dio e salvarsi, comprenderanno che trattasi di assicurare il massimo, per non dir unico, interesse che ciascuno quaggiù ha il dovere di porre in salvo innanzi tutto, e a costo di qualunque sacrificio, sotto pena della sua eterna infelicità. Comprenderanno altresì facilmente che, essendo questo un tempo di lotta accanita e manifesta, sarebbe viltà disertare il campo e nascondersi. Il loro dovere è di rimanere al posto, di mostrarsi a viso aperto veri Cattolici per credenze ed opere conformi alla loro fede, e ciò tanto a onor di quella e a gloria del sommo Duce, di cui seguono le insegne; come per non aver la somma disgrazia di essere sconfessati nel dì finale e non riconosciuti per suoi dal Giudice supremo, il quale ha dichiarato che chi non è con lui è contro di lui. Senza ostentazione e senza timidezza, diano prova di quel vero coraggio che nasce dalla coscienza di compiere un sacrosanto dovere innanzi a Dio e agli uomini. Con questa franca professione di fede i Cattolici devono unire una perfetta docilità e un filiale amore verso la Chiesa, un sincero ossequio ai Vescovi, e una assoluta devozione ed obbedienza al Romano Pontefice. Insomma riconosceranno quanto sia necessario cessarsi da tutto ciò che è opera delle sette o che dalle sette ha favore ed impulso, perché certamente contaminato dallo spirito anticristiano che le anima: e darsi invece con attività, coraggio e costanza alle opere cattoliche, alle associazioni ed istituzioni benedette dalla Chiesa, incoraggiate e sostenute dai Vescovi e dal romano Pontefice. E poiché il principale strumento di cui si servono i nemici è la stampa, in gran parte ispirata e sostenuta da loro, conviene che i Cattolici oppongano la buona alla cattiva stampa per la difesa della verità, per la tutela della Religione, e a sostegno dei diritti della Chiesa. E come è compito della stampa cattolica mettere a nudo i perfidi intendimenti delle sette, aiutare e secondare l’azione dei sacri Pastori, difendere e promuovere le opere cattoliche, così è dovere dei fedeli di sostenerla efficacemente, sia negando o ritirando ogni favore alla stampa perversa; sia direttamente concorrendo, ciascuno nella misura che può, a farla vivere e prosperare: nella qual cosa crediamo che finora non siasi in Italia fatto abbastanza. Da ultimo i documenti da Noi dati a tutti i Cattolici, specialmente nell’enciclica Humanum genus e nell’altra Sapientiæ christianæ debbono essere particolarmente applicati ed inculcati ai cattolici d’Italia. Che se per restar fedeli a questi doveri avranno qualche cosa da patire o da sacrificare, si rincorino pensando che il regno dei cieli patisce violenza, e che sol con farsi violenza si conquista; e che chi ama sé e le cose sue più di Gesù Cristo, non è degno di lui. L’esempio di tanti invitti campioni, i quali per la fede tutto generosamente in ogni tempo sacrificarono, gli aiuti singolari della grazia che rendono soave il giogo di Gesù Cristo e leggiero il suo peso, debbono valere potentemente a ritemprare il loro coraggio e a sostenerli nel glorioso combattimento. – Non abbiamo considerato fin qui della presente condizione di cose in Italia che il lato religioso, come quello che per Noi è principalissimo ed eminentemente proprio, per ragione dell’officio Apostolico che sosteniamo. Ma è pregio dell’opera considerare eziandio il lato sociale e politico, affinché veggano gl’italiani, che non è solo l’amor della Religione, ma altresì il più sincero e il più nobile amor di patria che deve muoverli ad opporsi agli empi conati delle sette. Basta osservare, per convincersene, quale avvenire si prepari all’Italia, nell’ordine sociale e politico, da gente che ha per iscopo, e non lo dissimula, di guerreggiare senza tregua il Cattolicismo e il Papato. – Già la prova del passato è per se stessa molto eloquente. Ciò che in questo primo periodo della sua nuova vita sia addivenuta l’Italia per moralità pubblica e privata, per sicurezza, ordine e tranquillità interna, per prosperità e ricchezza nazionale, è più noto per fatti di quello che Noi potremmo dire a parole. Quelli stessi che pur avrebbero interesse di nasconderlo, costretti dalla verità, non lo tacciono. Noi diremo solo, che nelle condizioni presenti, per una triste ma vera necessità, le cose non potrebbero andare altrimenti: la setta massonica, per quanto ostenti uno spirito di beneficenza e di filantropia, non può esercitare che un’influenza funesta: ed appunto funesta perché combatte e tenta distruggere la religione di Cristo, vera benefattrice dell’umanità. – Tutti sanno quanto e per quanti capi influisca salutarmente la Religione nella società. È incontestabile, che la sana morale pubblica e privata fa l’onore e la forza degli Stati. Ma è incontestabile egualmente che senza Religione non vi è buona morale né pubblica né privata. Dalla famiglia solidamente costituita sulle naturali sue basi piglia vita, incremento e forza la società. Ora, senza Religione e senza moralità il consorzio domestico non ha stabilità, e i vincoli di famiglia si indeboliscono e si dissolvono. La prosperità dei popoli e delle nazioni viene da Dio e dalle sue benedizioni. Se un popolo non solo non la riconosce da Lui, ma contro di Lui si solleva, e nella superbia del suo spirito tacitamente gli dice di non aver bisogno di Lui, quella non è che una larva di prosperità destinata a svanire, non appena piaccia al Signore di confondere la superba audacia dei suoi nemici. La Religione è quella che, penetrando nel fondo della coscienza di ciascuno, gli fa sentire la forza del dovere e lo spinge a seguirlo. La Religione è quella che dà ai Principi sentimenti di giustizia e di amore pei loro sudditi, che rende i sudditi fedeli e sinceramente ad essi devoti, che fa retti e buoni i legislatori, giusti ed incorrotti i magistrati, valorosi fino all’eroismo i soldati, coscienziosi e diligenti gli amministratori. La Religione è quella che fa regnare la concordia e l’affezione tra i coniugi, l’amore e la riverenza tra i genitori ed i figli; che ispira ai poveri il rispetto pei beni altrui e ai ricchi il retto uso delle loro sostanze. Da questa fedeltà ai doveri e da questo rispetto ai diritti altrui nasce l’ordine, la tranquillità, la pace, che sono tanta parte della prosperità di un popolo e di uno Stato. Tolta la Religione, tutti questi beni immensamente preziosi in un con la Religione sparirebbero dalla società. – Per l’Italia la perdita sarebbe altresì più sensibile. Le sue maggiori glorie e grandezze, per cui tra le più colte nazioni ebbe per lungo tempo il primato, sono inseparabili dalla Religione; la quale o le produsse, o le ispirò, o certo le favorì, le aiutò e diede ad esse incremento. Per le pubbliche franchigie parlano i suoi Comuni; per le glorie militari parlano tante imprese memorande contro nemici dichiarati del nome cristiano; per le scienze parlano le Università che fondate, favorite, privilegiate dalla Chiesa, ne furono l’asilo e il teatro; per le arti parlano infiniti monumenti d’ogni genere, di cui è seminata a profusione tutta Italia; per le opere a vantaggio dei miseri, dei diseredati, degli operai parlano tante fondazioni della carità cristiana, tanti asili aperti ad ogni sorta d’indigenza e d’infortunio, e le associazioni, e corporazioni cresciute sotto l’egida della Religione. La virtù e la forza della Religione è immortale, perché viene da Dio: essa ha tesori di soccorso, ha rimedi efficacissimi per i bisogni di tutti i tempi, e di qualsivoglia epoca, ai quali sa mirabilmente adattarli. Quello che ha saputo e potuto fare in altri tempi, è capace di fare anche adesso con una virtù sempre nuova e rigogliosa. Togliere pertanto all’Italia la Religione è inaridire d’un colpo la sorgente più feconda di tesori e di soccorsi inestimabili. – Inoltre, uno dei più grandi e dei più formidabili pericoli che corre la società presente sono le agitazioni dei socialisti, che minacciano di scompaginarla dalle fondamenta. Da tanto pericolo l’Italia non va immune; e sebbene altre nazioni siano più dell’Italia infestate da questo spirito di sovversione e di disordine, non è men vero però che anche nelle sue contrade va largamente serpeggiando quello spirito e ogni giorno si afforza. E tale è la sua rea natura, tanta la potenza della sua organizzazione, tanta l’audacia dei suoi propositi, che fa mestieri riunire tutte le forze conservatrici per arrestarne i progressi, ed impedirne con felice successo il trionfo. Di queste forze prima e principalissima tra tutte è quella che può dare la Religione e la Chiesa: senza di essa, riusciranno vane od insufficienti le leggi più severe, i rigori dei tribunali, la stessa forza armata. Come già contro le orde barbariche non valse la forza materiale, ma la virtù della Religione cristiana, che penetrando nei loro animi, ne spense la ferocia, ne ingentilì i costumi, li rese docili alla voce delle verità e della Legge evangelica, così contro l’infuriare delle moltitudini sfrenate non vi sarà riparo efficace senza la virtù salutare della Religione; la quale facendo balenare nelle menti la luce della verità, e stillando nei cuori i santi precetti della morale di Gesù Cristo, faccia loro sentire la voce della coscienza e del dovere, e prima che alla mano ponga freno all’animo e smorzi l’impeto della passione. Osteggiare pertanto la Religione è privare l’Italia dell’ausiliare più potente per combattere un nemico che diviene ogni giorno più formidabile e minaccioso. – Ma non è tutto. Come nell’ordine sociale la guerra fatta alla Religione riesce funestissima e sommamente micidiale all’Italia, così nell’ordine politico l’inimicizia colla Santa Sede e col Romano Pontefice è per l’Italia sorgente di grandissimi danni. Anche qui la dimostrazione non è più da fare; basta, a compimento del Nostro pensiero, riassumerne in brevi parole le conclusioni. La guerra fatta al Papa vuol dire per l’Italia, al di dentro, divisione profonda tra l’Italia officiale e la gran parte d’italiani veramente Cattolici, e ogni divisione è debolezza; vuol dire privarla del favore e del concorso della parte più schiettamente conservatrice; vuol dire alimentare nel seno della nazione un conflitto religioso che non approdò mai a pubblico bene, ma porta anzi sempre in se stesso i germi funesti di mali e di castighi gravissimi. Al di fuori, il conflitto colla Santa Sede, oltre che privare l’Italia del prestigio e dello splendore, che le verrebbe infallibilmente dal vivere in pace col Pontificato, le inimica i Cattolici di tutto il mondo, le impone immensi sacrifici, e ad ogni occasione può fornire ai nemici un’arma da rivolgere contro di lei. – Ecco il benessere e la grandezza che apparecchia all’Italia chi, avendone in mano le sorti, fa quanto può per abbattere, secondo l’empia aspirazione delle sette, la religione cattolica e il Papato! – Si ponga invece che, rotta ogni solidarietà e connivenza colle sette, sia lasciata alla religione e alla Chiesa, come alla più gran forza sociale, vera libertà e il pieno esercizio dei suoi diritti. Qual felice cambiamento non avverrebbe nelle sorti d’Italia! I danni e i pericoli che lamentavamo qui sopra come frutto della guerra alla religione e alla Chiesa, cesserebbero al cessar della lotta: non solo, ma tornerebbero altresì a fiorire sull’eletto suolo dell’Italia cattolica le grandezze e le glorie, di cui la Religione e la Chiesa fu sempre attrice feconda. Dalla loro divina virtù germoglierebbe spontanea la riforma dei pubblici e dei privati costumi; si rafforzerebbero i vincoli della famiglia; e in ogni ordine di cittadini sotto l’influsso religioso si desterebbe più vivo il sentimento del dovere e della fedeltà nell’adempierlo. Le questioni sociali, che ora tengono tanto preoccupati gli animi, si avvierebbero verso la migliore e la più completa soluzione, mercé la pratica applicazione dei precetti di carità e di giustizia evangelica; le pubbliche libertà, impedite di degenerare in licenza, servirebbero unicamente al bene e addiverrebbero veramente degne dell’uomo; le scienze, per la verità di cui la Chiesa è maestra, e le arti, per l’ispirazione potente che la Religione deriva dall’alto e che ha il segreto di trasfondere negli animi, salirebbero presto a nuova eccellenza. Fatta la pace con la Chiesa, sarebbe vie più cementata la unità religiosa e la concordia civile; cesserebbe la divisione tra i Cattolici fedeli alla Chiesa e l’Italia, la quale acquisterebbe così un elemento potente di ordine e di conservazione. Fatta ragione alle giuste domande del Romano Pontefice, riconosciuti i sovrani suoi diritti, e ripostolo in condizione di vera ed effettiva indipendenza, i Cattolici delle altre parti del mondo non avrebbero più motivo di considerare l’Italia come nemica del loro Padre comune: essi che non per alieno impulso, né inconsapevoli di quel che vogliono, ma sì per sentimento di fede e dettame di dovere, alzano ora concordemente la voce a rivendicare la dignità e libertà del Pastore supremo delle anime loro. Che anzi crescerebbe all’Italia rispetto e considerazione presso gli altri popoli dal vivere in armonia con la Sede Apostolica; la quale, come fece sperimentare in particolar modo agl’italiani i benefici della sua presenza in mezzo a loro, così coi tesori della Fede che si diffusero sempre da questo centro di benedizione e di salute, fece che si diffondesse presso tutte le genti grande e rispettato il nome italiano. L’Italia, riconciliata col Pontefice e fedele alla sua Religione, sarebbe avviata ad emular degnamente le avite glorie, e da tutto ciò che è vero progresso dell’età nostra non potrebbe che ricevere novello incitamento ad avvantaggiarsi nel suo glorioso cammino. E Roma, città cattolica per eccellenza, preordinata da Dio a centro della Religione di Cristo e Sede del suo Vicario, il che fu cagione della sua stabilità e grandezza a traverso di tante età e di sì svariate vicende, riposta sotto il pacifico e paterno scettro del Romano Pontefice, tornerebbe ad essere ciò che la fecero la Provvidenza e i secoli, non rimpicciolita alla condizione di capitale di un regno particolare, né divisa tra due diversi e sovrani poteri, dualismo contrario alla sua storia; ma capitale degna del mondo cattolico, grande di tutta la maestà della Religione e del Sommo Sacerdozio, maestra ed esempio di moralità e di civiltà ai popoli. – Non sono queste, Venerabili Fratelli, vane illusioni, ma speranze poggiate sul più solido e verace fondamento. L’asserzione che si va da tempo divulgando, essere i cattolici ed il Pontefice i nemici d’Italia, e quasi altrettanti alleati dei partiti sovversivi, non è che gratuita ingiuria e spudorata calunnia, sparsa ad arte dalle sette per palliare i loro rei disegni e non incontrare intoppo nell’opera esecranda di scattolicizzare l’Italia. La verità che discende chiarissima da quanto abbiamo detto finora, è che i cattolici sono i migliori amici del proprio paese: e che danno prova di forte e verace amore non solamente verso la religione avita, ma anche verso la patria loro distaccandosi interamente dalle sette, avversandone lo spirito e le opere, facendo ogni sforzo acciocché l’Italia non perda, ma conservi vigorosa la fede; non combatta la Chiesa, ma le sia fedele qual figlia, non osteggi il Pontificato, ma si riconcili con lui. Adoperatevi a tutt’uomo, o Venerabili Fratelli, affinché la luce della verità si faccia strada in mezzo alle moltitudini, sicché queste abbiano finalmente a comprendere dove si trova il loro bene e il loro verace interesse, ed a persuadersi che solo dalla fedeltà alla religione, dalla pace con la Chiesa e col romano Pontefice si può sperar per l’Italia un avvenire degno del suo glorioso passato. Alla qual cosa vorremmo che ponessero mente, non diremo gli affigliati alle sette, i quali di proposito deliberato s’argomentano di assodare sulle rovine della religione cattolica il nuovo assetto della Penisola, ma gli altri che, senza accogliere sì biechi intendimenti, aiutano l’opera di quelli col sostenerne la politica: e particolarmente i giovani, sì facili a errare per effetto d’inesperienza e predominio di sentimento. Ognuno vorremmo si persuadesse come la via che si sta percorrendo, non possa essere che fatale all’Italia: e se Noi denunziamo ancora una volta il pericolo, non altro Ci muove che coscienza di dovere e carità di patria. – Ma ad illuminare le menti e rendere efficaci i nostri sforzi, è d’uopo d’invocare soprattutto gli aiuti del cielo. E però alla nostra comune azione, Venerabili Fratelli, vada unita la preghiera, e sia una preghiera generale, costante, fervorosa, che faccia dolce violenza al cuore di Dio, lo renda propizio a questa nostra Italia, sì che allontani da essa ogni sciagura, quella in specie che sarebbe la più terribile di tutte, la perdita della fede. Mettiamo per mediatrice appresso Dio la gloriosissima Vergine Maria, l’invitta Regina del Rosario, che tanta potenza ha sopra le forze d’inferno e tante volte ha fatto sentire all’Italia gli effetti della sua materna dilezione. Facciamo altresì fiducioso ricorso ai santi Apostoli Pietro e Paolo che questa terra benedetta conquistarono alla fede, santificarono colle loro fatiche, bagnarono del loro sangue. – Auspice intanto degli aiuti che domandiamo, e pegno del Nostro specialissimo affetto vi sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli, al vostro clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 ottobre 1890, anno decimo terzo del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII


[1] S. Gregorio M., Lettera all’Imperatore Maurizio, Regist. 5.

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ (2019)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2019)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredita come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.).Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII:14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.
[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit
[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio

 Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.
[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV: 1-7
Fratres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

“Fratelli, fintantoché l’erede è fanciullo, non differisce punto dal servo, benché sia padrone di tutto: ma sta sotto, tutori ed amministratori fino al tempo stabilito prima dal padre. Così noi pure: mentre eravamo fanciulli, eravamo tenuti in servitù sotto gli elementi del mondo. Ma quando venne il compimento dei tempi, Iddio mandò il Figliuol suo, fatto di Donna, soggetto alla legge, affine di riscattare quelli che erano sotto la legge, sicché fossimo adottati in figliuoli. E poiché siete figliuoli, Iddio ha mandato lo Spirito del Figliuol suo nei vostri cuori, che grida: Abba, Padre „

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio. (L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV: 3; 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.
[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]
V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.
[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.
[Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilaeam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

OMELIA

 [A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE V.

“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto por ruina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, esi fortificava pieno di sapienza: e la grazia di Dio era in lui” (S. Luc. II, 33-40).

Comandava l’antica legge, che trascorsi quaranta giorni, dacché era nato un figlio, la madre di lui, dopo averli passati in santo ritiro, si portasse al tempio per purificarsi, facendo l’offerta di un agnello, se era ricca, e di due colombini o due tortorelle, se si trattava di una madre povera. Inoltre la stessa legge ebraica ordinava ancora, che tutti i primogeniti fossero offerti a Dio in memoria ed in ringraziamento della liberazione degli Ebrei dalla schiavitù dell’Egitto, avvenuta per la morte di tutti i primogeniti Egiziani, uccisi in una sola notte dall’angelo del Signore. Ma poiché in seguito Iddio aveva scelto per l’uffizio sacerdotale Aronne e la sua famiglia, stipite della tribù di Levi, fu disposto che fuori di questa tribù, tutti i primogeniti d’Israele fossero riscattati mediante cinque sicli d’argento, corrispondenti a circa cinque lire. Or bene, quantunque queste leggi non colpissero né Maria, né Gesù, Maria SS. volle tuttavia esattissimamente osservarle, e quaranta giorni dopo la nascita di Gesù, insieme col suo sposo S. Giuseppe, si recò al tempio per purificarsi e per fare la presentazione ed il riscatto di Gesù. E fu in tale circostanza che avvennero i fatti, che ci narra il Vangelo di questa Domenica.

1. Viveva a Gerusalemme un santo e venerando vegliardo per nome Simeone. Egli era uomo giusto e timorato di Dio e pareva che nel suo cuore si fossero riunite tutte le brame, che i patriarchi avevano di vedere il Messia. Epperò, come ci dice S. Luca, lo Spirito Santo era in lui e lo aveva assicurato « che non avrebbe veduto la morte prima di vedere il Cristo del Signore, da lui aspettato ». – Nell’ora adunque che Maria venne al tempio, lo stesso Spirito Santo avvisò Simeone, e gli ispirò di recarvisi, e quando la Vergine e S. Giuseppe vi introducevano il Bambino, il vecchio si accostò loro, domandò e prese Gesù nelle braccia, poi benedisse il Signore, dicendo: « Adesso, o Signore, lascerai che se ne vada in pace il tuo servo secondo la tua parola, perché gli occhi miei hanno veduto il Salvatore del mondo ». Ma la commozione non gli strappò solamente dal cuore e dal labbro questo grido di riconoscenza. E qui cominciando il Vangelo di oggi, dopo d’averci detto che, il padre (si intende putativo) e la madre di Gesù restarono meravigliati delle cose, che di Lui si dicevano, prosegue dicendo che Simeone li benedisse, cioè si rallegrò con loro e quindi con l’accento dell’ispirazione divina voltosi a Maria, madre di Gesù, le disse: Ecco che questi è posto per rovina e per risurrezione di molti in Israele, e per bersaglio alla contraddizione, epperò una spada ti trapasserà l’anima: e tutto ciò affinché restino disvelati i pensieri di moltiE qui, o miei cari, facciamo di intendere bene queste parole del santo vecchio Simeone. Gesù è la vita in persona (Ioan. XIV, 6). Egli è venuto per darci la vita e darcela con sovrabbondanza (Ioan. X, 10). Ed Egli dà questa vita, che è la vita eterna, con i meriti della Incarnazione, Passione e Morte, in tal guisa che chiunque la vuole, facendo buon uso della grazia da Lui recata sulla terra, può averla. E questo vuol dire l’essere Gesù posto per la risurrezione di molti. Ma poiché vi sarebbero stati pur troppo anche molti, che gli avrebbero opposta resistenza, che lo avrebbero contradetto, che si sarebbero abusati della sua parola, e della sua grazia, così per questi Gesù, contro sua voglia, sarebbe stato come l’inevitabile occasione di rovina e di morte eterna; poiché Gesù Cristo è Colui, a proposito del quale, i cuori degli uomini sono costretti a rivelarsi coi propri pensieri ed affetti, dimostrando di amarlo o di odiarlo, di stimare e seguire la sua dottrina con l’esercizio della virtù, oppure di non curarla e disprezzarla col l’abbandonarsi in braccio al vizio. Ecco che cosa vogliono dire quelle parole così gravi e profetiche del vecchio Simeone. E quanto tali parole siansi avverate è ciò che chiaramente dimostra la storia di nostra Santa Chiesa. Essa ci fa conoscere, che se tanti furono coloro che credettero a Gesù Cristo e si diedero ad amarlo e ne ebbero da Lui la risurrezione e la vita eterna, vi furono pur molti, incominciando fin dai tempi della sua vita mortale e dagli stessi Ebrei, che lo contradissero, lo respinsero, l’odiarono e n’ebbero la rovina e morte eterna. Gli Ebrei, difatti, da più secoli lo aspettavano; sapevano preventivamente il tempo della sua venuta, il luogo della sua nascita, la tribù, a cui apparterebbe, la sua stessa famiglia. Eppure quando ad essi si presentò, quando diresse loro le sublimi sue parole, quando sotto i loro occhi compì gli stupendi suoi prodigi e li ricolmò de’ più ricchi suoi benefici, quali ciechi lo disconobbero, l’oltraggiarono, lo perseguitarono, lo flagellarono, lo incoronarono di spine, lo confissero ad una croce; e dai sanguinosi bracci di essa sembrò dir loro: Stendo le mie mani verso un popolo incredulo e che mi contraddice: Expandi manus ad populum non credenetem et contradicentem (Isai. 10). In seguito lo hanno contraddetto gl’infedeli; ne hanno combattuto il Vangelo, hanno tentato d’arrestare il corso del Cristianesimo, di cui Egli era il fondatore, tutto impiegarono contro i suoi discepoli, ferro, fuoco, supplizi, torture, morte. Dopo trecento anni di lotta, Gesù Cristo ha vinto. Ma si presentarono bentosto novelle contraddizioni. L’eresia levò il capo, seminò la divisione, cercò di lacerare l’inconsutile veste del Salvatore. Vi ha forse uno dei dogmi della santa Chiesa, che l’eresia non abbia preso a combattere? – Lo stesso vediamo ai dì nostri. In mezzo a molti credenti e adoratori di Gesù vi hanno tanti increduli che lo disconoscono, tanti empi che lo oltraggiano, tanti bestemmiatori che lo insultano, tanti indifferenti che lo trascurano. E così, pur troppo, sarà sino alla fine del mondo: da una parte quelli ai quali Gesù Cristo è di risurrezione, e dall’altra coloro ai quali è di rovina. – Or bene, o carissimi, da qual parte ci troviamo noi? Riflettiamo seriamente che ciò dipende da noi. Iddio è grande, Iddio è giusto, dice S. Agostino, in due parole spiegandoci tutta la dottrina della predestinazione e della riprovazione; Egli può liberarci senza meriti, perché è buono, non può dannarci senza demeriti, perché è giusto. Tocca a noi raccogliere con una santa premura la grazia del Signore, e farla valere con fedeltà; « perciocché a chi ha già, si dona ancora, e sarà nell’abbondanza » (Matth. XIII; 12); e col buon uso della grazia chiameremo su di noi sempre nuovi favori, mercé i quali noi potremo essere nel bel numero di coloro, pei quali Gesù Cristo è posto in risurrezione.

2 Prosegue il Vangelo dicendo: Eravi una profetessa, Anna, figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni: e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore e parlava a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. Per tal modo, dice S. Ambrogio, non solamente gli Angeli, i profeti, i pastori, ma anche i vecchi ed i giusti hanno annunziato la venuta del Bambino Dio; ed ogni età e ogni sesso doveva rendere testimonianza a quella sua nascita miracolosa. Simeone – aggiunge lo stesso Dottore – ha profetizzato, la santa Vergine ed Elisabetta avevano profetizzato, era d’uopo che profetizzasse anche una vedova, affinché nessuno stato vi fosse e nessun sesso, che non rendesse testimonianza al Figliuol di Dio: e questa vedova incontrasi sotto le volte dell’antico tempio nel momento della presentazione di Gesù. Ma quale vedova! una vedova commendevole pel dono di profezia, per ragione della sua nascita, essendo figliuola di Fanuel, uno dei primi della tribù di Aser, per la provetta sua età, avendo ella ottantaquattro anni, per la sua continenza, per la sua pietà e mortificazione, per la sua dedicazione al servizio del Signore, passando la sua vita nel tempio. Ed è questa donna, che lodava anch’essa il Signore e parlava del Messia a tutti quelli, che aspettavano la redenzione d’Israele. Certamente il Vangelo non poteva farci di questa donna un più splendido elogio. E se lo fa con tanta diligenza è per farci comprendere quanto fosse degna ancor essa di rendere testimonianza solenne a Gesù Cristo, di avere la grazia insigne di essere, per così dire, il suo primo predicatore, e quanto fosse pregevole sulla sua bocca la lode, che rendeva a Dio con le sue sante parole. – Ora, miei cari, se rallegra il pensiero, che vi hanno pur molti, che, seguendo l’esempio di questa santa donna, impiegano la loro lingua per lodare e benedire Iddio, non rattrista grandemente il riflesso, che vi hanno pur tanti, i quali sgraziatamente impiegano la loro lingua per bestemmiarlo? E come mai vi sono dei giovani, dei Cristiani, che si abbandonano a questo grave delitto? Il Santo re Davide dice che la bocca del bestemmiatore è piena di maledizione. S. Agostino assicura che il peccato di coloro, i quali bestemmiano Gesù Cristo regnante nei cieli è uguale in gravità al peccato di quelli, che lo crocifissero in terra. Del resto, chiara e convincentissima prova dell’enorme delitto, che commettono coloro, che bestemmiano, la porgono i castighi, con i quali Iddio mai sempre ha punito questo peccato. Nel Levitico leggiamo come il Signore aveva ordinato, che il bestemmiatore fosse condannato a morte e lapidato da tutto il popolo. Faraone bestemmiando diceva: Io non conosco chi sia il Signore, ed ebbe per tomba il mar Rosso. Senacheribbo bestemmiava ancor esso, e l’Angelo del Signore gli trucidò cento ottantacinque mila soldati, ed egli stesso fu ucciso per mano dei suoi figli. Antioco fu terribilmente tocco da una piaga incurabile; i vermi se lo divoravano vivo a brani e tramandava dal suo corpo tale un fetore, che divenne insoffribile a sé ed all’armata. A Nicànore fu tronca la testa ed esposta ai pubblici oltraggi. I Giudei bestemmiarono assai di spesso contro Gesù Cristo e furono pressoché tutti sterminati da Tito. Giuliano l’apostata in mezzo alle bestemmie cadde mortalmente trafitto da un giavellotto. Al bestemmiatore Ario scoppiarono le viscere e diede i tratti in mezzo ad atrocissime doglie. Nestorio, che osò bestemmiare la SS. Vergine, negando la sua divina maternità, ebbe la lingua rosa dai vermi. Sappiamo da S. Gregorio, vescovo di Tours, che un cotal Leone di Poitiers avendo bestemmiato, divenne per giusto castigo di Dio sordo e muto, e poi morì pazzo. S. Gregorio Magno racconta d’un ragazzo sui cinque anni, che, già avendo l’abito di bestemmiare, fu strappato dal diavolo dalle braccia di suo padre e non comparve mai più. Questi e moltissimi altri esempi, che si potrebbero addurre, mostrano chiaramente quanto sia grave il peccato della bestemmia e come dispiaccia a Dio. Guardatevi pertanto dal macchiare la vostra lingua con questo peccato. Guardatevi pure dal solo nominare invano il Nome santo di Dio. Purtroppo molti giovani e molti Cristiani prendono la brutta abitudine di intercalarlo ad ogni istante nei loro discorsi, ancorché non lo facciano con vera malizia. Conviene perciò guardarsi da questo difetto e per esprimere i vari sentimenti dell’animo con qualche esclamazione valersi di una qualche parola, che non abbia alcun cattivo significato e che non disdica alla buona grazia di ogni nostro discorso. Per non contrarre poi la cattiva abitudine di bestemmiare, bisogna assolutamente fuggire la compagnia di coloro, che bestemmiano. Che se per avventura nei passeggi, nelle ricreazioni, o nelle conversazioni vi accadesse di sentire taluno a pronunziare qualche bestemmia contro il nome adorabile di Gesù Cristo, contro il suo SS. Sacramento, o contro la SS. Vergine, seguite la santa usanza che hanno molti buoni Cristiani di dire tosto anche a voce alta: Sia lodato Gesù Cristo! Sia lodato e ringraziato il SS. Sacramento! Evviva Maria! E somiglianti giaculatorie, con le quali riparerete bellamente l’ingiuria, che venne fatta a Dio, e gli darete una bella prova del vostro amore, imitando così il bell’esempio datoci oggi dalla santa profetessa Anna.

3. Dice da ultimo il santo Vangelo, che come Maria e Giuseppe ebbero soddisfatto a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza; e la grazia di Dio era in lui. Ora che cosa intende di apprenderci il Vangelo con queste ultime parole? Certamente intende di dire che Gesù, avendo in tutto voluto rassomigliarsi agli uomini, col crescere degli anni cresceva nella statura e nelle forme della persona, non meno, che nella bellezza e nella maestà. Ma intende forse di dire che Gesù realmente crescesse nella sapienza e nella grazia, nei doni dello spirito? No, certamente. Gesù Cristo come vero Uomo-Dio fin dal primo istante della sua mortale esistenza ebbe in sé la stessissima sapienza e grazia infinita, incapace di aumento o diminuzione di sorta. Tuttavia per parere in tutto simile agli uomini, iqualidiventano gradatamente più savi e piùvirtuosi, Gesù Cristo non volle lasciare trasparire la sua sapienza e la sua grazia se non gradatamente.Epperò quel dire che fa il Santo Vangelo, che Gesù Cristo cresceva e si fortificava nei doni dello Spirito, vale a dire nella pienezza della sapienza e della grazia, non si deve intendere altrimenti che così: che col crescere degli anni, Gesù cresceva eziandio nella manifestazione della sua sapienza e della sua grazia, onde andava ordinando e temperando le sue azioni interiori a grado a grado in modo che si confacessero all’età, onde sembrava realmente crescere agli occhi degli uomini, che miravano alle sole azioni esteriori di Lui. Ma sebbene questo sia il vero significato di quelle parole, è certo che il Vangelo ci vuol far qui intendere la gran legge del nostro perfezionamento morale, espressa poi così chiaramente dal Signore, nel libro dell’Apocalisse: Chi è giusto si faccia più giusto: chi è santo divenga santo ogni giorno più: Qui institi est, iustificetur adhuc, et sanctus sanctificetur adhuc (Apoc. XX, 11). Sì, o mici cari, Gesù Cristo ha voluto crescere nella manifestazione esteriore della virtù, per far intendere a noi come dobbiamo sempre crescere nella bontà della vita e tendere del continuo a renderci perfetti. E guai a noi, se non seguiamo questa sua gran legge. Tutti i maestri di spirito e l’esperienza di tutti i giorni insegnano, che chi non attende a rendersi più virtuoso, non resta nello stesso grado di virtù, ma indietreggia spaventosamente nella via del vizio. Lo diceva già Salomone: Iustorum semita quasi lux crescit usque ad perfectum diem; via impiorum tenebrosa, nesciunt ubi corruant. Il cammino dei buoni, si avanza sempre, come si avanza la luce dell’aurora sino al giorno perfetto; all’incontro, la via dei tristi sempre più diventa ingombrata da tenebre, sino a che i miseri si riducono a camminare senza sapere dove vanno a precipitarsi (Prov. IV, 18). – Anche S. Agostino disse chiaro, che il non andare avanti nel fare il bene è la stessa cosa che tornare indietro. E S. Gregorio spiegò questa verità assai bene col paragone di chi sta in mezzo al fiume: Chiunque, dice il Santo, stesse nel fiume dentro d’una barchetta, e non si curasse di spingerla contro la corrente, ma volesse fermarsi, senza andare né indietro, né innanzi, egli necessariamente andrebbe indietro, poiché la stessa corrente lo porterebbe seco. Così l’uomo dopo il peccato di Adamo, rimasto naturalmente fin dal suo nascere inclinato al male, se egli non si spinge avanti, e non si fa forza per rendersi migliore di quello che è, la stessa corrente dello sue concupiscenze lo porterà sempre indietro. Ed ecco perché si veggono alle volte certi giovani e certi Cristiani, che rallentandosi nella via del bene, a poco a poco, dopo d’essere stati forse anche il modello delle più belle virtù agli altri, diventano pessimi sino ad essere lo scandalo altrui. Miei cari, siamo adunque ben convinti del quanto importi seriamente attendere a renderci sempre migliori, ed attendiamovi. Studiamoci di crescere ogni giorno nella vera sapienza, nella pietà, nella dolcezza, nell’obbedienza, nell’umiltà e in tutte le altre cristiane virtù. Quanto si trovan contenti i Santi di quello, che han fatto e patito « per crescere ogni giorno nella santità. Se nel Paradiso potesse entrare alcuna afflizione, di questo solo si affliggerebbero i beati: di aver lasciato di fare per Iddio quel più, che potevano fare e che non sono più in tempo di fare. Animo, su adunque, e presto, perché non vi è tempo da perdere; quello, che si può far oggi, non si potrà più far domani. Diceva S. Bernardino da Siena che tanto vale un momento di tempo, quanto vale Dio: poiché in ogni momento possiamo acquistare Dio e la sua divina grazia o maggiori gradi di grazia.

  Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII: 1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.
[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta

 Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat. [Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

Comunione spirituale: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri. [Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur. [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

Preghiere leonine: https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

Ordinario della Messa https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

LO SCUDO DELLA FEDE (92)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884.

CAPO III.

Dal consentimento di tutte le nazioni dimostrasi che v’è Dio (1).

(1) Questa guisa di dimostrazione dall’esistenza di Dio, fondata sull’autorità del genere umano, suole denominarsi dimostrazione morale, perché l’umanità, riguardata nella dignità della sua ragione universale, ha un valore morale, e quindi un diritto ad essere creduta.

1.

I. Il maggior numero di testimoni che dalla legge richieggasi, sono sette: e questi bastano ne’ testamenti ad autenticare le disposizioni di un uomo, quantunque morto, presso chi neppur mai lo vide. Come però non basteranno tutte le nazioni del mondo a render credibile l’esistenza di un Dio vivente? Exceptis paucis, in quibus natura nimium depravata est dice S. Agostino – (In Io. tr. 106) universum genus humanum, Deum mundi hujus fatetur auctorem. Se girerete il mondo, pellegrinando, almen sulle carte, troverete popoli fra loro tanto diversi d’inclinazioni, che appena due vi saranno che si conformino nel modo di governarsi. Eppure in tale contrarietà di statuti voi non vedrete, non dirò regno, ma città, ma casale, che tolga unitamente qualunque divinità. Anzi non ha parte alcuna, ove non incontrinsi e templi, e vittime, e voti, e ministri ordinati al culto divino: tanto che vi sarà più facile abbattervi in un paese ove manchi il sole, che ove manchi ogni rito di religione: Potius conspiciendam sine sole urbem, quam sine Deo, ac religione, dicea Plutarco. Che seppure negli ultimi confini del mondo ritruovinsi mai persone così bestiali, che vivano senza leggi, non però quivi si troverà chi fra sé non vergognisi del mal fare, o non se ne vergogni al cospetto altrui: e molto meno si troverà chi non sentasi ad ora ad ora agitare dagli stimoli interni della coscienza rampognatrice, sicché operando contra il dettame di essa non si accorga tosto di offendere con quell’atto un Signor sovrano, di cui riconosce, quale ambasciata, la voce della sinderesi. – Come può essere adunque, che questo consentimento sì universale di tutti i popoli non valga presso di voi per un testimonio maggiore di ogni eccezione? Quello che sembra verisimile a tutti, dice Aristotile (L. 10. Eth.), non può stare, che non sia vero: Quod universis videtur verum est. Mai non annottasi in tutto il mondo ad un’ora, ma solamente in alcuna parte di esso. E la menzogna non può offuscar tutto insieme il genere umano, sicché sia tutto o ingannatore, o ingannato: Nemo omnes, omnes neminein, singuli singulos fallunt(Sen.). E la ragione si è perché il giudizio di tutti è giudizio della natura, la quale non può mentire: e se fece l’uomo alla scienza, non può dunque ella farsegli guida all’errore. Se però tutti, e romani e greci e giudei e assiriani ed etiopi ed egiziani e caldei e germani e galli e sarmati e iberi e indi e persiani e tartari e turchi, e cinesi, e quanti mai sono, in tante lingue differenti vi dicono, che v’è Dio; qual temerità, voler voi solo far argine a tanta piena col parer vostro? Potrete forse allegare veruna età in cui si credesse altrimenti? Anzi, più che vi applicherete con lezione attenta a riandare le antiche storie, più troverete, che la cognizione della divinità fu libera da ogni fallo. Ond’è, che innanzi al diluvio non si legge mai che regnasse l’idolatria; la cui origine riferiscono altri a Nembrotte, altri a Nino, ed altri a Prometeo, nati al pari dopo il diluvio; mercecchè innanzi di esso la notizia del Creatore fra’ popoli era vivissima, e posto ciò, come poteva allor sorgere tanto inganno di adorare una creatura? (S. Th. 2. 2. q. 50. art. 4 ad 2). Può la cometa avere adito ancora in cielo, ma non può avervelo, se non che lontana dal sole (Tutta quest’argomentazione può venir compendiata nel seguente epicherema: È vero ciò, che viene concordemente ammesso da tutto il genere umano, perché  è voce infallibile di natura; ma sempre e dovunque l’uman genere fu ed è concorde nell’ammettere l’esistenza di Dio, come ne porge irrefragabile testimonianza la storia: dunque è vero, che Dio esiste).

II.

II. Che se non vi ha memoria di verun secolo, in cui nel mondo non si credesse, esser Dio, chi non vede, quanto fuor di ragione sia l’asserire con gli ateisti, che però gli uomini sono inclinati a ciò faro, perché con tal credenza furono allevati dai loro progenitori fin dalle fasce?

III. Primieramente, come si sarebbono sempre tra sé indettati i nostri antenati, e sempre s’indetterebbono in una tal forma stessa di educazione, se questa fosse, non da ispirazion di natura, comune a tutti, ma da elezion di arbitrio? (L’educazione non crea nulla, bensì è tutta nello svolgere i germi insiti da natura nell’animo umano. Essa pertanto non varrebbe mai a destare nella mente dell’uomo l’idea di un Dio, se questa non si avesse un natural fondamento. Tant’è, che sebbene l’essenza di Dio trascenda per infinito eccesso ogni creata apprensiva, nondimeno il sentimento ed il concetto della Divinità penetrano con facilità meravigliosa nella mente del fanciullo egualmente che nell’anima di qualunque idiota ed analfabeta.). Chi ha mai veduta nelle risoluzioni arbitrarie sì grande uniformità, in tempi cosi diversi ed in terre così divise? Sicuramente, se in vece di discorrere noi ci vorremo anzi mettere a delirare, potremo affermare, con la medesima fronte, che gli uomini anticamente tutti filavano, come Sardanapalo, e che le donne andavano alla testa degli eserciti come Semiramide; ma che poi venuto al mondo un personaggio di sonno straordinario, ordinò le cose, e per bene delle famiglie obbligò le donne al fuso, e gli uomini all’aste. Eppure una fola tale sarebbe meno incredibile di quest’altra, con la quale Crizia argomentavasi di persuadere al mondo, che non v’è Dio, ma che un tal uomo, avveduto più de’ preteriti, avea per pro dei mortali introdotta il primo fra loro questa opinione giovevole, che vi fosse. E qual uomo fu questo sì fortunato, che pose in sesto tutto il genere umano con l’oppio poderoso di un tale inganno? Ove ebbe il suo nascimento? ove la stanza? ove la scuola? ove il seguito più solenne? qual fu il primiero fra’ popoli ad ascoltare la sua voce beata? su quali ali egli volò dentro tempo brevissimo in tanti lati a disseminare una menzogna sì bella, che vincea di pregio ogni vero? e ciò che è più da notarsi, ove son le statue erette poscia da’ posteri ad un eroe il qual era sì benemerito delle genti ? ove gli archi? ove gli altari? Ove i templi a lui consacrati, giacché altro bene era questo, che l’inventare, come diceasi di Bacco, la coltivazion delle viti, o come di Cerere, la seminazione del frumento; ed altro ciò, che smorbar dal mondo quei mostri i quali più vero albergo non vi ebber mai, che la fantasia de’ poeti devoti ad Ercole?

IV. Di poi domando: come avrebbe quell’uomo potuto mai propagare tanto felicemente per l’universo opinion sì nuova? Con ragione appagante, o senza ragione? Se senza ragione, dunque ritorna la difficoltà, che un inganno possa essere universale. Se con ragione, dunque non fu inganno ciò che tutti lasciaronsi persuadere uniformemente, fu verità.

III.

V. Che se puro taluno vuole talora opporsi a tal verità colla pervicacia del suo libero arbitrio, non vedete voi, che né anche può conseguirlo in qualunque stato? Basta che, come si usa co’ testimoni falsi, egli ritruovisi, quando men se lo aspetta, posto al tormento di qualche dolore insolito, o di fianchi, o di podagra, o di pietra, o di taglio acerbo; vedrete subito, come il contumace si volgerà per aiuto ad invocare il braccio di qualche nume abile a liberarlo; o almeno arrabbiato si volgerà a bestemmiarlo insolentemente, mostrando al pari con la sua lingua, o supplicatrice, o sacrilega, che egli errò, quando dubitò so v’è Dio. Certo almen è, che ne’ casi più repentini così interviene. Onde, ad un risico di naufragio imminente veggiam che tutti nella nave si uniscono ad alzare d’accordo le mani al cielo, chiedendo scampo. E pure i casi repentini sono quegli in cui secondo il filosofo, opera in noi la natura più che il consiglio. Ma se la natura ci spinge con sì grande impeto nei pericoli a confessare quel Dio cui facciam ricorso, non accade, che voi fuori de’ pericoli a forza d’arte vi affatichiate a negarlo. Questo vi rende tanto più inescusabile, mentre volete fare, che muoia in voi di morte violenta quella persuasione in voi nata con esso voi, che non vi può mai morire di naturale. Così avveniva in Caligola, il quale, all’udire dei tuoni, tremava tutto, riconoscendo uno più possente di lui, che lo poteva dall’alto mandare in cenere: e pure, acquetate le nuvole, s’ingegnava di porre sé nella stima di nume sommo.

IV.

VI. Io pertanto nel numero di coloro i quali rendono chiara testimonianza della divinità includo fin quei medesimi che la negano. Perché si scorge, che quantunque, collocando talora questi la gloria nell’empietà, si arroghino di saper tanto più degli altri, quanto ne credono meno: non è però, che mai davvero pervengano all’empietà da loro vantata, cioè al non credere nulla: e dove pur vi pervengano, è per breve ora; succedendo loro come ad un notatore, il quale può ben cacciarsi a forza sott’acqua, ma non può starvi. Se egli vuol vivere, conviene che suo malgrado dopo alcun tempo di respiro soppresso ritorni a galla.

VII. Se non che, quando ancora volessimo noi concedere, che alcuni pochi arrivino a scancellarsi affatto dall’animo ogni credenza di Dio, che rivelerebbe? (Lo scancellare presuppone la preesistenza dell’oggetto che si imprende a distruggere. Epperò i miserabili tentativi dell’ ateo e dell’empio sono nuova conferma e rincalzo dell’esistenza divina). Non possono alcuni pochi dare eccezione al sentimento di tutto il genere umano. Sono essi mostri. E però, siccome il nascere un uomo con due capi non può far prova, che non sia proprio degli uomini il nascere con un solo; così il ritrovarsi talora un cuore di concetti sì storti, che neghi qualunque divinità, non può far prova. che non sia proprio di tutto l’uman genere l’asserirla. Tanto più, che siccome i mostri. per provvidenza della natura amorevole, sono sterili, né han virtù di generare altri mostri, così costoro, rimanendosi soli nella loro opinione, non fanno popolo, né possono mai vantare di avere indotta una intera comunità a professare, come eglino, l’ateismo.

V.

VIII. Scorgo ben io ciò che voi mi potreste opporre, e non lo dissimulo: tanto son pronto anche a mettervi l’armi in mano. Se il consentimento di tutte le genti è una testimonianza della natura, alienissima da ogni frode, come dunque, direte voi, non si accordano tutte a riconoscere una stessa divinità, ed a venerarla con un medesimo culto di religione? Certo è, che in un caso la natura fallisce, mentre ella non ci determina verun culto particolare; dunque così può fallire ancora nell’altro ad inclinarci all’ universale. Ma no: l’illazione è falsa; ed eccone la riprova. Vediamo, che non tutti si accordano a cercar la felicità dove ella è riposta, ma chi la cerca nelle ricchezze, chi ne’ cibi, chi nelle carnalità, chi nella gloria, chi nella dominazione, chi nella dottrina, chi nello operazioni di gran virtù. Dunque non è la natura quella che ha inserito nel cuore di ciascun uomo all’istesso modo il cercar la felicità? Non tiene la conseguenza. E la ragione è, perché la natura ha inclinati gli uomini tutti generalmente a cercare il bene, ma non ha loro dato intuitivamente a vedere dove egli sia. Vuole, che da sé lo rintraccino col discorso, di cui dotolli a tal fine. Gli uomini però, seguendo la libertà del loro talento, si applicano variamente a pregiare più questo bene che quello, scambiando per goffaggine non di rado la copia con l’originale, il corpo con l’ombra, il reale con l’apparente. Tanto dite nel caso nostro. La natura ha inclinati gli uomini tutti a riconoscere una divinità dominante. Ma né l’ha data loro a mirare in sé, né poteva darla, mentre a ciò non sono abili gl’intelletti immersi nei sensi (Come nell’ordine religioso ogni animo umano è da natura portato alla credenza ed al sentimento di una Divinità in generale, astrazione fatta dai suoi attributi particolari e determinati, cosi nell’ordine del sapere ogni mente umana è da natura portata alla verità in generale, astrazione fatta dalle molteplici verità particolari). Vuole, che la discoprano dagli effetti. Gli uomini però, valendosi variamente di tale istinto, hanno riconosciuta questa divinità dov’ella non era, ed han fatto come i bambini, che, per la imperfezione del loro discernimento, chiamano madre la balia da cui sono allattati, e volgono le spalle alla madre dalla qual nacquero. Hanno gli sciocchi chiamato Dio il sole, Dio le stelle, Dio gli elementi che loro davano il sostentamento immediato; ed hanno rivoltato le spalle a quel sommo Bene che li cavò fin dal nulla. Pertanto la medesima idolatria che sì lungamente ha regnato per l’universo può confermare le prove della divinità, non può invalidarle: errando gl’idolatri, non nella tesi, ma nella ipotesi: cioè a dire, errando nel persuadersi in particolare, che quell’oggetto, cui supplicano, sia divino, non errando nel giudicare, che qualche nume vi sia presidente a tutto: che è ciò che sì bene intese Cicerone medesimo, dove disse: De hominibus, nulla gens est tam immansueta, quæ non, etiamsi ignoret, qualem Deum habere doceat, tamen habendum sciat (De legib.).

IX. Se però voi, girando a piacer vostro l’Europa, l’Africa, l’Asia, e fin l’America stessa, che è la più barbara parte, non troverete popolo il quale, o in un modo o in un altro, non asseriscavi, che Dio v’è; qual contrasto è mai questo che dovete voi fare al vostro intelletto, perché stia duro a non crederlo, con opporsi lui solo a tanti? Gliene dovreste forse voi fare altrettanto perché lo creda? L’autorità in ogni genere ha sì gran peso, che alfin ci opprime, quando non abbiamo qualche evidenza in contrario che ci sostenga. Ma qual evidenza potete voi mai vantare a favore dell’ateismo? L’evidenza non è dalla banda vostra, è dalla banda contro di cui militate. – Perché quantunque ad un puro apprender di termini non sia noto a ciascuno, che Dio vi sia; è nondimeno notissimo a chi gl’intendo.

X. Ma perché ciò altro non è, che un chiamarvi dal tribunale dell’autorità a quello della ragione, voi seguitemi, ed io vi precederò.

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMO 78: “DEUS, VENERUNT GENTES”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 78

[1] Psalmus Asaph.

      Deus, venerunt gentes

in hæreditatem tuam; polluerunt templum sanctum tuum; posuerunt Jerusalem in pomorum custodiam.

[2] Posuerunt morticina servorum tuorum escas volatilibus caeli, carnes sanctorum tuorum bestiis terrae.

[3] Effuderunt sanguinem eorum tamquam aquam in circuitu Jerusalem, et non erat qui sepeliret.

[4] Facti sumus opprobrium vicinis nostris, subsannatio et illusio his qui in circuitu nostro sunt.

[5] Usquequo, Domine, irasceris in finem? accendetur velut ignis zelus tuus?

[6] Effunde iram tuam in gentes quae te non noverunt, et in regna quae nomen tuum non invocaverunt;

[7] quia comederunt Jacob, et locum ejus desolaverunt.

[8] Ne memineris iniquitatum nostrarum antiquarum; cito anticipent nos misericordiae tuae, quia pauperes facti sumus nimis.

[9] Adjuva nos, Deus, salutaris noster; et propter gloriam nominis tui, Domine, libera nos, et propitius esto peccatis nostris, propter nomen tuum.

[10] Ne forte dicant in gentibus: Ubi est Deus eorum? et innotescat in nationibus coram oculis nostris ultio sanguinis servorum tuorum qui effusus est.

[11] Introeat in conspectu tuo gemitus compeditorum; secundum magnitudinem brachii tui posside filios mortificatorum;

[12] et redde vicinis nostris septuplum in sinu eorum; improperium ipsorum quod exprobraverunt tibi, Domine.

[13] Nos autem populus tuus, et oves pascuæ tuæ, confitebimur tibi in sæculum; in generationem et generationem annuntiabimus laudem tuam.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXVIII

Si deplorano le calamità incontrate al tempo dei Maccabei per opera di Antioco e di altri persecutori. Essere questo Salmo una profezia, è detto  negli stessi libri de’ Maccabei, 1. 1, c. 7. Può applicarsi alla Chiesa, come fa S. Agostino.

Salmo di Asaph.

1. O Dio, son venute le nazioni nella tua eredità, han profanato il tempio tuo santo, han cangiata Gerusalemme in un tugurio di guardiani delle frutta.

2. Han gettato i cadaveri de’ tuoi servi pasto agli uccelli dell’aria, le carni dei santi tuoi alle fiere della terra.

3. Hanno sparso come acqua il loro sangue intorno a Gerusalemme, e non v’era chi desse lor sepoltura.

4. Siam divenuti oggetto di ignominia pei nostri vicini, d’insulto e di scherno per quei che ci stanno all’intorno.

5. E fino a quando, o Signore, sarai sdegnato implacabilmente, e arderà come fuoco il tuo zelo?

6. Scarica il tuo sdegno sopra le genti, che non ti conoscono, e sopra i regni che non hanno invocato il tuo nome;

7. Perché hanno divorato Giacobbe, e han devastata la casa di lui.

8. Non ti ricordare delle pristine nostre iniquità: ci prevengano prontamente le tue misericordie, perché noi siam divenuti oltremodo miserabili.

9. Aiutaci, o Dio, nostro Salvatore, e a gloria del nome tuo liberaci, e sii propizio a’ peccati nostri pel nome tuo;

10. Affinché non siavi forse tra le nazioni chi dica: Il Dio loro dov’è? (1). Nota sia tra le nazioni, veggenti noi,

11. la vendetta del sangue de’ servi tuoi, che è stato sparso; siano ammessi al tuo cospetto i gemiti di quei che sono in catene. Conserva col tuo gran braccio i figliuoli di que’ che furono uccisi.

12. E rendi, o Signore, ai nostri vicini nel loro seno sette volte tanto pe’ loro improperii vomitati contro di te.

13. Ma noi tuo popolo e pecorelle della tua greggia ti confesseremo eternamente; Annunzierem le lodi tue d’una in altra generazione.

(1) «Dov’è il loro Dio? » È  un rimprovero molto frequente nella bocca dei pagani (Ps. XLI, 4); è ciò che diceva in particolare Sennacherib, nella sua lettera ad Ezechia.

 Sommario analitico

Il Profeta predice e descrive la persecuzioni che il popolo di Dio ebbe a soffrire, o da Nabucodonosor, durante la presa di Gerusalemme e della distruzione di questa città e del tempio, o da parte del re Antioco, e nel nome dei Maccabei, nei quali si personificano la Chiesa Cristiana perseguitata:

I. Egli descrive i dettagli di questa atroce persecuzione.

1° La loro patria occupata dai nemici;

2° Il tempio di Dio profanato;

3° La santa città ridotta alla desolazione (1);

4° I cadaveri esposti agli uccelli predatori ed alle bastie feroci (2);

5° Il loro sangue sparso come l’acqua e la privazione della sepoltura (3);

6° Gli obbrobri e  beffe di cui essi sono oggetti da parte dei loro vicini (4).

II. Domanda a Dio di essere liberato da tutte queste calamità, dando come motivo:

1° I crimini dei gentili, che meritano più di loro questi castighi (6), a causa della loro infedeltà e della loro idolatria, – a causa della loro crudeltà e dei loro sacrilegi (7);

2° La loro qualità di popolo di Dio, che chiede a Dio di cancellare i suoi peccati passati e di liberarlo delle sue miserie presenti (8);

3° La gloria di Dio stesso, che i giusti riconoscono e di cui invocano la potenza, e di cui gli empi di burlano come se fosse colpito da impotenza (10);

4° Le tribolazioni e le afflizioni dei santi che domandano – a) che la loro morte sia vendicata; – b) che dal seno delle loro prigioni i loro gemiti salgano fino a Dio; – c) che Dio prenda sotto la sua protezione dei poveri orfani (11);

5° L’empietà dei popoli vicini, che devono essere puniti – a) per la loro crudeltà contro i figli di Dio; – b) a causa delle loro blasfemie contro Dio (12);

6° Le virtù dei giusti liberati, che manifestano le lodi di Dio con umiltà e perseveranza (13). 

Spiegazioni e Considerazioni

.I. — 1-4.

ff. 1-4. – Le calamità descritte nei primi versetti di questo salmo sono una predizione delle sventure di Gerusalemme, o sotto Nabucodonosor, che devastò la Giudea tutta intera, o più verosimilmente, sotto Antioco, persecutore accanito dei Giudei e profanatore del loro tempio. Questa profezia non può aver rapporto con l’ultima devastazione di Gerusalemme dell’imperatore romano Tito, perché come potrebbe chiamarsi eredità di Dio questo popolo che non aveva più il Cristo con sé, che al contrario veniva riprovato e messo a morte; popolo che rifiutava di credere in Lui, anche dopo la sua Resurrezione e che, per di più, faceva morire i suoi martiri? (S. Agost.). – Pertanto, questa profezia sotto forma di preghiera, come lo Spirito Santo avrebbe ispirato un Profeta per ottenere la liberazione di una città che il Signore avrebbe condannato ad una totale rovina senza ritorno? – Queste persecuzioni dirette contro il popolo di Dio, contro la città di Gerusalemme ed il tempio, figurano le persecuzioni dirette contro la Chiesa Cristiana che si sono compiute alla lettera spesso a suo riguardo nel corso dei secoli. – Bisogna comprendere le prime parole profetiche di questo salmo: « O Dio, le nazioni sono venute nella vostra eredità »; (Ps. LXXVIII, 1) in questo senso che i Gentili sono entrati nella Chiesa non credendo, ma perseguitando, cioè essi l’hanno invasa con l’intenzione di distruggerla e perderla interamente, come di fatto lo dimostrano tante persecuzioni, e capire che ciò che segue: « Esse hanno macchiato il vostro tempio santo », si applichi non a del legno o delle pietre, ma a degli uomini che, simili a pietre viventi, servono – dice l’Apostolo San Pietro – a costruire la casa di Dio (I Piet. II, 5). È in questo senso che l’Apostolo San Paolo dice chiaramente: « Il tempio di Dio è santo e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). I persecutori hanno dunque macchiato questo tempio in coloro che essi hanno forzato nel rinnegare il Cristo con minacce o con supplizi, e che sono costretti con violente pressioni, ad invocare gli idoli. » (S. Agost.) –  « Essi hanno fatto di Gerusalemme un tugurio per guardiani da frutta. » Con questa figura il Profeta esprime l’abbandono che ha prodotto l’estendersi della persecuzione; perché si abbandona la capanna dove ci si era messi per guardare i frutti, quando il tempo  dei frutti è passata; ma quando la Chiesa, sotto la persecuzione dei Gentili, è sembrata diventare deserta, la anime dei martiri sono passate alla tavola celeste, come frutti numerosi e deliziosi raccolti nel giardino del Signore (Idem). – Le passioni ed i vizi, maestri di un’anima di cui Dio aveva preso possesso con la sua grazia; – il traffico delle cose sante, lo spirito mercenario nelle sacre funzioni, etc., sono, in un senso topologico, le nazioni che sono entrate nell’eredità di Dio, che è la sua Chiesa, e che l’hanno profanata, disonorata, ridotta ad essere come la guardiana dei frutti della cupidità e dell’avarizia. Ogni anima che si sente devastata dai suoi peccati, come tante barbare nazioni, può dire con Mattatia, padre dei Maccabei: « Chi di quelli che non ha ereditato dal suo reame, e non ha ottenuto le sue spoglie? Tutta la sua magnificenza gli è stata tolta: essa era libera, essa è diventata schiava; e tutto ciò che noi abbiamo di santo, di bello e di splendido è stato desolato e profanato dalle nazioni. Perché dunque ancora viviamo? » (I Maccab. II, 10). –  « Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù-Cristo? Toglierò dunque a Gesù-Cristo le proprie membra per farne membra di prostituta? A Dio non piace … (I Cor. VI, 15). Non sapete che voi siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Ora, se qualcuno profana il tempio di Dio, Dio lo perderà; perché il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 16, 17). Vedete cosa dovete fare del tempio di Dio? Se avete scelto la Chiesa per commettervi un adulterio, cosa ci sarebbe di più detestabile, di più abominevole? Ora, ricordatevi che siete voi stessi il tempio di Dio. Voi siete il suo tempio quando entrate nella vostra dimora, voi siete tempio quando ne uscite, voi siete il suo tempio quando restate nella vostra dimora … Vegliate dunque su tutti i vostri atti, guardatevi dall’offendere Colui che abita questo tempio, per timore che non vi abbandoni, che non vi condanni ad una rovina intera e senza ritorno (S. Agost. Serm XVI sur les parol, du S.). –  « Essi hanno dato i cadaveri dei vostri servi in pasto agli uccelli del cielo, e la carne dei santi alle bestie della terra. Quando le anime dei martiri erano presentate come dei frutti ai loro coltivatori, le nazioni davano i cadaveri e le carni di questi martiri in pasto agli uccelli del cielo ed alle bestie della terra; come se qualche cosa di essi dovesse mancare alla resurrezione, nel momento in cui Colui per il Quale sono contati tutti i capelli della nostra testa, risusciterà il loro corpo riprendendoli dai punti più nascosti della terra (S. Agost.). – La vista di una città riempita di cadaveri a cui nessuno vuol dare sepoltura, e che restano esposti per essere preda delle bestie, è una spettacolo spaventoso, che produce in noi una impressione di terrore da cui non possiamo difenderci. E tuttavia noi vediamo, senza esserne spaventati, tante anime a cui il peccato dà ogni giorno la morte, e che lascia esposti in preda alle loro passioni, mille volte più crudeli delle bestie feroci. Questi morti non si vedono con gli occhi del corpo, è la fede che li scopre, è la fede che li piange. Siccome queste lacrime vengono dal cielo, esse sono potenti nei loro effetti che provengono dalla loro origine; perché le lacrime che si versano sulle rovine delle città, non saprebbero mai ristabilirle; ma spesso le lacrime dei Santi e delle anime pie hanno resuscitato delle anime morte da lungi tempo alla vita della grazia (Duguet). Era dalla gloria di Dio che la sola nazione che fosse al mondo devota al vero culto, non divenisse l’oggetto del disprezzo e dello scherno dei vicini: ma la gloria di Dio non era interessata a questa o quella nazione di cui godesse di una grande considerazione tra i suoi concittadini: l’umiliazione è stata, in tutti i tempi, per gli amici di Dio, la salvaguardia della santità e la strada della salvezza (Berthier). 

II — 5-13.

ff. 5-7. – Questa preghiera che fa qui intendere il Profeta, prova che la sua recita delle afflizioni di Gerusalemme non ha come scopo il farle conoscere, bensì il compiangerle. Egli supplica Dio di non irritarsi fino agli estremi eccessi, cioè di non condurre all’estremo i mali che sopravvengono, le loro tribolazioni e la devastazione del loro paese, secondo la parola di un altro salmo: « Voi ci farete mangiare un pane impastato con le nostre lacrime e ci farete bere lacrime in abbondanza » (Ps. LXXIX). – Ma la collera e l’indignazione di Dio non sono dovute a passioni che lo turbino, come certi uomini ritengono dalle Scritture che non comprendono. Sotto il nome di collera, si intende solo la punizione dell’iniquità, e quello di zelo non indica che il rigore con il quale Dio esige quella purezza che fa sì che l’anima rispetti la legge del suo Signore, e non si perda lontano da Lui come per una sorta di adulterio. Questi sentimenti, per gli effetti che producono nell’uomo afflitto, sono causa di turbamento; ma nella disposizione provvidenziale di Dio, essi sono pieni di pace, perché è detto di Dio. « Voi, Signore delle anime, giudicate con mitezza » (Sap. XII, 18). Queste parole fanno ben vedere che le afflizioni sono mandate agli uomini, anche fedeli, a causa dei loro peccati, benché nello stesso tempo facciano brillare la gloria dei martiri per il merito della loro pazienza e della loro pia energia nell’osservare la legge del Signore anche sotto i colpi dei suoi castighi (S. Agost.). – La collera di Dio contro i giusti, è ben differente dalla collera di Dio contro i peccatori: la prima è una collera d’amore che vuole semplicemente reprimere. Esse sono entrambe divampate come un fuoco, ma riguardo ai peccatori è un fuoco che consuma; nei confronti dei giusti, è un fuoco che purifica. – « Spargete la vostra collera sulle nazioni che non vi conoscono, e sui regni che non hanno invocato il vostro nome. » Come dunque interpretare ciò che dice il Signore nel Vangelo: « Il servitore che non conosce le volontà del suo maestro e che commette degli atti degni di castigo, sarà rigorosamente castigato?» (Luc. XII, 48). Se la collera di Dio è più violenta contro le nazioni che non Lo hanno conosciuto … non sarebbe perché c’è una grande differenza tra i servitori che, ignorando la volontà del loro maestro, invocano tuttavia il suo nome, e coloro che sono estranei alla famiglia di un tale padre, e che hanno una ignoranza tale da non invocare neanche il nome di Dio? Anche il Profeta non rappresenta coloro che definisce come ignoranti la volontà del loro padrone, benché non lascino di temerla, ma li rappresenta come ignoranti al punto da non invocarlo e farsi nemici del suo Nome. C’è dunque una grande differenza tra i servitori che non conoscono la volontà del loro padrone, ma che pertanto vivono nella sua famiglia e nella sua casa, ed i nemici che non solo non vogliono conoscere il suo nome, ma che non contenti di non invocare il suo Nome, fanno pure la guerra ai suoi servitori (S. Agost.). – Sotto questi termini così semplici è stata per lungo tempo velata una verità capitale che San Paolo ha chiaramente rivelato alla Chiesa cristiana, e che Bourdaloue ha perfettamente sviluppata nel suo sermone della I settimana di avvento: « … Colui che non avrà ricevuto la legge, sarà giudicato senza la legge; colui che non avrà avuto la fede rischiarata, sarà giudicato senza la legge. » Oltre alla legge esteriore, che non è stata promulgata per questo o quel popolo, oltre alla fede che non ha per Lui questo popolo, è stata data un’altra luce, una luce naturale che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, la luce della ragione che emana dalla ragione eterna e sovrana: il Verbo divino.  Questa luce naturale, questa ragione umana ha dovuto servire da guida ad ogni uomo. Essa era sufficiente, se ascoltata con attenzione, se consultata con sincerità, se obbedita con zelo; essa era sufficiente a condurre l’uomo a Dio Creatore, al Dio principio e fine di tutte le cose, al Dio vendicatore del crimine e rimuneratore della virtù. Coloro che avranno, con il soccorso di questa luce, conosciuto Dio ed invocato il suo Nome, saranno colpevoli di questo difetto di conoscenza, di questo difetto di invocazione, e responsabili di tutte le loro conseguenze. A maggior ragione i Giudei che hanno ricevuto la legge da Mosè, i Cristiani, che hanno ricevuto la legge da Gesù-Cristo stesso, saranno sottomessi al terribile Giudizio, se non hanno conosciuto Dio, se non Lo hanno invocato (Rendu).

ff. 8, 9. – « Non rammentate le nostre antiche iniquità. » Egli non dice le nostre iniquità passate, che potrebbero anche ssere recenti, ma delle nostre iniquità antiche, vale a dire di quelle che vengono dai nostri padri; perché sì gravi iniquità meritano non la correzione, ma la condanna. « Affrettatevi a prevenirci con la vostre misericordie. » Che ci precedano esse davanti ai vostri giudizi; perché la misericordia si eleva sopra al giudizio … ma aggiungendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà, » il Profeta vuol far sentire che le misericordie divine  ci prevengono affinché la nostra povertà, cioè la nostra debolezza, sia aiutata dalla sua misericordia nell’osservare i comandamenti per timore di non arrivare al giudizio per essere condannati. « Aiutateci o Dio che siete il nostro Salvatore. » Con queste parole: « Nostro Salvatore, » egli spiega molto chiaramente di quale genere di povertà abbia voluto parlare dicendo: « … perché noi siamo caduti in una estrema povertà; » infatti questa povertà non è altra cosa che la debolezza per la quale è necessaria un Salvatore. Ma quando vuole che siamo aiutati, non manca né di riconoscenza verso la grazia, né di giustizia verso il nostro libero arbitrio, perché colui che riceve soccorso agisce nello stesso tempo per mezzo di Lui stesso. Egli dice ancora: « Liberatemi, Signore per la gloria del vostro Nome », vale a dire … non a causa nostra. Cosa meritano in effetti i nostri peccati, che sia dovuto loro, se non dei castighi proporzionati? Ma « Siate propizio ai nostri peccati, a causa del vostro Nome, » … « e che la vendetta del sangue dei vostri servitori brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni. » Ci sono due modi per intendere queste parola: o che l’iniquità dei nostri nemici sia distrutta dalla loro fede in Dio, o che, perseverando nella loro malvagità. essi siano puniti dei supplizi del giudizio finale (S. Agost.). –  Non c’è parola in questa preghiera che non sia espressiva. L’oggetto della preghiera è la gloria del santo Nome di Dio; Colui al quale si indirizza la preghiera è Dio, Autore di ogni grazia e salvezza; la disposizione della preghiera, è il cuore penetrato dal ricordo dei propri peccati; il desiderio principale enunciato dalla preghiera, è di essere ristabilito nel favore di Dio (Berthier) – Dio ci previene con le sue misericordie aiutandoci – 1° ad espiare con la penitenza, i peccati passati; – 2° ad evitare i peccati; – 3° a fare opere di giustizia. Quando domandiamo il soccorso di Dio ed il perdono dei nostri peccati, non lo attendiamo per i nostri meriti. – È un dolore dei più sensibili per i giusti che soffrono, vedere che le loro sofferenze siano una occasione di oltraggiare Dio e vomitare delle bestemmie contro Lui. Si lasci a Dio la cura di arrestare queste bestemmie, e salvare l’onore della pietà. –  Occorre fare anche questa preghiera, non solo per i nostri peccati particolari, ma per la nostra Patria: o Dio, Voi che siete la nostra unica salvezza, aiutateci; ed a causa vostra, a causa della gloria del vostro Nome, perché agli occhi di tutti i popoli la Francia è sempre stata il più ricco pinnacolo della vostra corona terrena, venite in nostro aiuto e procurateci la nostra liberazione. Infine se è purtroppo vero che ancora siamo peccatori, che siamo sempre colpevoli, siate propizio, siate indulgente verso i nostri peccati a causa vostra e del vostro Nome, e perché la Francia non possa essere abbassata, forse umiliata ché il vostro Nome ne soffra, che la vostra causa ne sia profondamente colpita. (Mgr PIE, Disc, etc., t. VII, p. 307).

ff. 11-12. – Se non bisogna rendere a nessuno male per il male, non solo non bisogna opporre una azione malvagia, ma non bisogna rendere un desiderio malvagio che, se non si vendica da se stesso, attende non di meno e desidera che Dio punisca il suo nemico. Se dunque il giusto ed il malvagio desiderano che Dio li vendichi dei loro nemici, in cosa distinguerli se non in ciò che il giusto desidera vedere il suo nemico corretto piuttosto che punito, e se lo vede punito da Dio, non si compiace nel suo castigo, perché non lo odia, ma nella giustizia di Dio, perché ama Dio? Infine se il giusto è vendicato dal suo nemico in questo mondo, gioisce o perché al suo soggetto, il castigo lo corregge, o per gli altri, affinché temano di rendersi colpevole come lui. Egli stesso diventa migliore attraverso questo castigo, non nutrendo il suo odio del supplizio del suo nemico, ma correggendo i propri errori. È dunque per benevolenza e non per malvagità che il giusto gioisce vedendosi vendicato, e lava le sue mani, cioè purifica le sue opere nel sangue, cioè nella punizione del peccatore, dalla quale trae non una gioia per la disgrazia altrui, ma un esempio di avvertimenti da Dio (S. Agost.). –  « Versate nel seno dei nostri vicini sette volte tanto il male che essi ci hanno fatto ». Il Profeta non desidera il loro male ma, come in precedenza, annunzia la giusta punizione delle loro colpe, e profetizza l’avvenire. Con il numero sette, cioè con il male reso sette volte, egli vuol far comprendere che la punizione sarà piena, perché spesso il numero sette è impiegato per esprimere la totalità. Il profeta dice: «I nostri vicini », perché la Chiesa abiterà in mezzo ai suoi nemici fino al giorno della separazione, perché al presente, non si opera nessuna separazione visibile. Egli dice: « versate nel seno », vale a dire nel segreto, affinché la vendetta che si fa oggi segretamente « brilli ai nostri occhi in mezzo alle nazioni ». Ed in effetti, quando un uomo è dedito al suo senso depravato, egli riceve interiormente, nel suo seno, la minaccia dei supplizi avvenire che ha meritato. « E l’obbrobrio che essi hanno gettato su di Voi, Signore; » versato nel loro seno sette volte con tanto di vergogna; cioè come punizione dell’obbrobrio che essi hanno voluto gettare su di Voi, respingeteli interamente nel segreto dei loro cuori. È la, in effetti, che essi hanno gettato l’obbrobrio su di Voi, conservando la speranza di cancellare il vostro nome dalla terra, per la distruzione dei vostri servitori (S. Agost.).

ff. 13. – « Ma noi, vostro popolo », queste parole si applicano in generale ad ogni sorta di uomini pii e di veri Cristiani. Noi dunque, che essi credevano di poter perdere, « noi, vostro popolo e pecore del vostro gregge », se qualcuno si glorifica, lo faccia nel Signore (I Cor. I, 21), « … noi confessiamo il vostro Nome per il secolo », vale a dire fino alla fine dei secoli (S. Agost.), « … e renderemo pubbliche le vostre lodi nelle future generazioni ». Quale più dolce occupazione c’è per coloro che sono veramente il popolo di Dio, che sono del numero delle pecore, che lo seguono come loro Pastore, e che sono nutriti nei suoi pascoli, che rendergli eterne azioni di grazie e rendere pubbliche le sue lodi già fin da questa vita ed in seguito nella sequela dei secoli. (Dug.).

DIO IN NOI (6)

DIO IN NOI (6)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

CAPO III.

Con lo Spirito Santo.

S. Paolo domandava agli Efesini: « Avete ricevuto lo Spirito? ». A una simile domanda, noi sappiamo quale risposta dobbiamo dare. Ricordiamoci del Battesimo: « Vattene, spirito immondo, e lascia il posto allo Spirito Santo». Lo Spirito Santo abita in noi, se non abbiamo commesso peccati mortali, o se, avendone commessi per nostra sciagura, l’assoluzione del sacerdote ci ha ridonato la grazia.

Nulla è più validamente ammesso di questo: « Non sapete dunque che lo Spirito Santo abita in voi? » — « Le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo ». — « Noi siamo contrassegnati e portiamo in noi il pegno della salvezza, lo Spirito ». — « Noi siamo partecipi dello Spirito ». Così parla l’Apostolo e lo ripete a non più finire. S. Giovanni a sua volta: « In hoc cognovimus quoniam in eo manemus, et ipse in nobis, quoniam de Spiritu suo dedit nobis. Riconosciamo di dimorare in Lui, ed Egli in noi a questo segno: che ci ha dato lo Spirito Santo » (I Giov., IV, 13).I Padri della Chiesa trattano spesso questa dottrina. Tutti i grandi teologi vi insistono. San Bonaventura dichiara fuori della fede cattolica,chi non l’ammette. « L’uomo non sarà accetto a Dio che nella misura in cui riceve lo Spirito Santo, dono increato. Chiunque ha un’idea esatta della grazia santificante, riconosce che lo Spirito Santo, dono increato, abita realmente nelle anime giuste. E se qualcuno pensa il contrario, deve considerarsi eretico ».S. Tommaso l’afferma con uguale certezza (S. Theol, P. I, q. XLIII, a, 3).Del resto questo punto fu messo fuori discussione dal Concilio di Trento. È fuori dubbio che nella grazia v’è un elemento creato, cioè le facoltà soprannaturali che ci permetteranno di fare atti soprannaturali; ma nulla è affermato con tanta energia dalla Chiesa come quest’altra verità, cioè che lo Spirito Santo, ipsissima persona Spiritus Sancti, come dice Cornelio a Lapide, accompagna questo dono creato. Il divino Spirito non si dà nella stessa misura a tutte le anime in grazia, ma tutte lo ricevono con la medesima realtà. È inutile far notare, dice il P. Ramière (Divinisation, p. 246), che la presenza dello Spirito Santo nelle anime è al tutto diversa dall’altra, che risulta dall’immensità di Dio, in virtù della quale le Persone della Santa Trinità sono dappertutto, non escluso l’inferno. « Lo stesso Figlio di Dio è immenso e presente dovunque: ciò non impedisce che noi l’adoriamo nell’Eucaristia, giacché sappiamo che Egli è là presente in modo speciale per darsi a noi. Così, mediante la grazia lo Spirito Santo è in noi, per unirsi a noi e santificarci.

« È questa una presenza particolare in qualche modo indipendente dalla prima. Il Suarez spiega il fatto, dicendo che se per impossibile l’immensità divina non rendesse il divino Spirito presente in noi, vi sarebbe, nondimeno condotto dalla grazia. Possiamo supporre l’uomo più povero accanto a un immenso tesoro, senza che questa prossimità lo renda più ricco. Non è la vicinanza che fa la ricchezza, ma il dominio. La stessa differenza si nota tra l’anima di un giusto e quella di un peccatore. – Il peccatore, lo stesso dannato, hanno accanto ad essi ed in essi un bene infinito e intanto vivono nell’indigenza, perché quel bene non appartiene loro; mentre il Cristiano in grazia possiede in se stesso lo Spirito Santo, e con Lui la pienezza delle grazie celesti, come un tesoro del quale è proprietario e in cui può attingere senza misura. – Di qui l’espressione della Chiesa nel giorno di Pentecoste: « dulcis hospes animæ, dolce ospite dell’anima», perché lo Spirito Santo si reputa fortunato d’abitare nei nostri cuori. Ma noi Cristiani, ci reputiamo fortunati di questa abitazione dello Spirito Santo nell’anima nostra? Povero « dolce ospite » ! La liturgia Vi applica forse ironicamente questo nome? Voi abitate nell’anima nostra, ma chi di noi vi fa attenzione e se ne preoccupa? – La vostra presenza in noi costituirebbe dunque un dono ordinario, senza virtù e senza valore? No, certo, poiché Voi siete lo Spirito Santo, lo Spirito che vive nel Padre e nel Figlio, o meglio lo Spirito del Padre e del Figliuolo. Non vi sarebbe posto per alloggiare il grande condottiero nel vasto accampamento, per così dire, dell’anima, accampamento dove entrano, e donde, a ogni istante, escono in folla soldati con carriaggi, fardelli e strepito incessante? No. Supponiamo che l’anima sia in grazia; dunque lo Spirito Santo vi risiede come nella sua dimora. Ma perché non vi è una guardia d’onore, o almeno un semplice piantone? Lo Spirito vorrebbe forse abitare da incognito? È proprio il contrario; Egli desidera moltissimo di essere riconosciuto, salutato dai passanti, circondato di simpatia, festeggiato; desiderio che pochissimi Cristiani, anche fra i migliori, cercano di soddisfare. Scriveva il Manning che « se vi è cosa che torni a nostro disdoro, che dovrebbe farci piegare le ginocchia a terra e abbassare la fronte nella polvere, si è che viviamo l’intera giornata come se lo Spirito Santo non esistesse. Siamo come gli Efesini che risposero a S. Paolo, quando loro chiese se avessero ricevuto lo Spirito Santo: « Non abbiamo mai inteso dire che vi sia uno Spirito Santo » (MANNING: La Mission du Saint Esprit dans les àme p. 18). Dirà qualcuno che non vale la pena di pensarci, ovvero che altri oggetti più importanti, a ogni minuto, debbono assorbire la nostra attenzione? Lo Spirito Santo non è dunque l’amore increato, il termine della Santa Trinità « il limite di ciò che non ha limiti, il confine di quello che non ha confini » ? Secondo il linguaggio della liturgia, non è Egli l’autore della prima creazione? Spiritus creator, e, l’autore della seconda, giacché gli dobbiamo la vita soprannaturale, resa all’umanità in genere per il fatto della sua «sopravvenuta» in Maria, e la vita soprannaturale, resa a ciascuna di noi con la sua venuta nel Battesimo? Non vi si pensa! Bella scusa, invero, è la seguente: Io non penso mai all’essenziale! Quando un personaggio d’importanza, un re, va in una città, anche per una visita passeggera, la città vi pensa. Trattasi di un re della terra. Ma noi, Cristiani, non facciamo nulla per il re del Cielo! Ospite del suo cielo immenso, sceglie come cielo l’anima nostra. E noi non vi badiamo! S. Paolo, di cui possiamo fidarci, non stimava come avventizia o facoltativa la devozione allo Spirito Santo; egli ci ha tracciato, nei riguardi dei nostri doveri verso il dulcis hospes, un programma che dovremmo meditare. Prima di tutto dobbiamo evitare il peccato mortale. « Spiritum nolite extinguere, non spegnete lo Spirito! » (1 Tess., V, 10). Non spegnete la luce divina; non la spegnete né i n voi, né in altri con lo scandalo. Cacciare lo Spirito, metterlo alla porta, mandarlo via da sé e dagli altri, ecco l’ingiuria più grande (Spiritui gratiæ contumeliam facitis, Heb., X, 21) che si possa commettere contro di Lui. Esiste il modo di fare ingiuria allo Spirito:esiste anche quello di contristarlo: « Ipsi vero afflixerunt Spiritum Sanctum eius(Is. LXIII). Afflissero lo Spirito Santo », diceva già Isaia, e San Paolo, ai primi Cristiani, dava un esempio della maniera con cui lo si può amareggiare. « Omnis sermo malus ex ore vestro non procedat, et nolite contristare Spiritum Sanctum. Evitate ogni parola offensiva, cattiva, non affliggere lo Spirito» (Ephes. IV, 10). Ogni nostra colpa veniale rattrista certamente lo Spirito che è presente a tutti i nostri passi, testimonio di ogni nostra parola, delle nostre azioni, dei nostri pensieri e desideri. Ma solleviamoci ancora più in alto: vi è una consegna da mantenere. Come allo Spirito si può arrecare ingiuria — col peccato mortale,— e si può affliggerlo mediante il peccato veniale, così si può resistere alle sue ispirazioni.« Vos semper Spiritui Sancto resistitisi (Act. VII, 51), dicono gli Atti degli Apostoli. Quante volte l’« ospite delle anime nostre» ci incita dolcemente a fare il bene, e i suoi sforzi restano vani,perché omettiamo o rifiutiamo di corrispondere!Internamente lo Spirito non cessa di farci sentire la sua voce, di stimolarci. Dove siamo quando Egli ci parla? E se non siamo usciti di noi stessi e Lo sentiamo, in qual modo rispondiamo ai suoi inviti?Questo programma, puramente negativo, è lontano dal racchiudere tutti i nostri dove riverso lo Spirito, come sono intesi da San Paolo, come la conoscenza dello stato di grazia li prescrive e la devozione ben compresa li esige. Qui, come in tutto, il punto di vista ricco è quello positivo. La presenza dello Spirito Santo in noi, non solo ci invita a « non fare »; ma ci spinge a «fare»… A fare che cosa? A dare un posto sempre più largo all’Ospite divino, a ricercare, con tutti i mezzi, il profitto che questa presenza meravigliosa apporta, a penetrare, ogni giorno più profondamente, nella sua amicizia e intimità. Lo Spirito è in noi, vivo e operoso; ma vi è qualcuno che può limitare la sua azione, e siamo noi. Da parte sua vuole darsi, unirsi a noi quanto più è possibile. Ma noi limitiamo lo spazio allo Spirito di Amore. Egli è l’« ospite», noi siamo i « padroni », dipende quindi da noi che Egli possa poco o molto. A « Se voi conosceste il dono di Dio, diceva Monsignor Gay, il valore e la importanza della minima luce interiore, del minimo tocco del divino Spirito, della più piccola occasione favorevole! Se voi sapeste come Dio è là, come si offre, si dona, e quindi quello che ciò importa per voi e per gli altri, e quali conseguenze conduce con sé nel tempo e nella eternità! Oh! chi ci farà finalmente capire le cose soprannaturali, stimare, al loro giusto valore quei beni, il minimo dei quali, a giudizio di S. Tommaso, è superiore a tutti i beni naturali riuniti! ». Senza la bontà preveniente di Dio che ci ha condotti al fonte battesimale, prima ancora chela nostra ragione fosse sviluppata, e al sacro fonte ci ha dato « la carità, sparsa in noi dallo Spirito Santo», come dice l’Apostolo ai Romani (Rom., V, 5); — senza la sua bontà che continuamente ci aiuta, e dispone in noi quelle ascensioni perpetue che ogni anima, avvezza all’esame di coscienza, richiama alla mente con tanta gioia: ispirazioni nella preghiera, forza nelle tentazioni, incoraggiamento in certe circostanze;— senza la sua bontà meravigliosamente paziente, che ci ha rialzato ogni qualvolta siamo caduti, che ci ha tratti dall’abisso, allorquando abbiamo ceduto al peccato; e ogni qualvolta abbiamo ripetuto le nostre indelicatezze, ha aggiunto, a tutte le altre, una nuova delicatezza, che cosa sarebbe di noi? Si può supporre un fatto più strano di questo: l’applicazione singolare dello Spirito Santo a divinizzarci, e da parte nostra l’applicazione ardente a rifiutare il suo concorso, ovvero a passare accanto a Lui senza neppure sospettare la sua presenza o capire il suo valore? Ah! se avessimo lo stesso ideale che Dio ha verso di noi! Ma il punto importante non consiste tanto nel fatto che lo Spirito Santo ci comunica la forza, ci manda buone ispirazioni, ci concéde il suo amore; quanto nel fatto che Egli dà se stesso, e vedremo subito con quale intimità. Non si capisce perché un timore segreto impedisca di considerare l’unione dello Spirito Santo con l’anima nostra, per quello che essa è— o almeno come potrebbe e dovrebbe essere— unione tanto intima, dice Cornelio a Lapide, nel Commentario degli Atti, che non se ne dà un’altra più grande: Est enim summa unio inter Deum et animam sanctam qua nullius creaturæ puræ potest esse major. S. Paolo dichiarava: « Colui che vive in grazia, forma un solo spirito con Dio. Qui adhæret Deo, unus Spiritus est» (I Cor. VI).Cornelio a Lapide dice ancora: « In quella maniera con cui l’anima, quando assume il corpo per vivificarlo, gli comunica con la vita un soffio che non aveva; così lo Spirito Santo quando prende un’anima per unirsi a lei, le comunica una nuova vita, anzi la sua stessa vita; in una parola, la deifica. Sicut anima, dum assumit et quasi osculatur corpus, ipsum exanime animat et vivificat; sic Spiritus Sanctus gratia osculatur animam, eam vivificat, imo deificat» (In Cant., I). È fuori dubbio che l’unione dello Spirito Santo con l’anima nostra, mediante la grazia,non va fino a formare di Lui e di noi una sola persona. Fatta questa riserva, si può dire che sotto un certo aspetto sia più intima di quella dell’anima nel nostro corpo, « giacché, nota il P. Ramière (Divinisation), questo Spirito divino penetrale facoltà dell’anima nostra meglio di quello che l’anima nostra non penetri le membra del nostro corpo. « E questa unione è soprattutto assai più indissolubile. L’unione dell’anima col corpo è così fragile che si dissolve continuamente. Ad ogni momento perdiamo una qualche parte della nostra sostanza, finché l’intero corpo non ci sia strappato dall’urto irresistibile della morte. Quando lo Spirito Santo si è unito ad un’anima, non vi è sulla terra, né nell’inferno, una forza capace di strappargliela; l’anima solamente ha il potere di distruggere in sé la vita divina col più tremendo dei suicidi ». I Santi Padri, più audaci di noi, o a dir meglio, più veri, affermano che l’unione dello Spirito Santo con l’anima in grazia è così intima, da costituire un vero matrimonio. Non « ospite » solamente, ma « sposo ». E alcuni di essi vanno fino al punto, da chiamare l’anima in grazia: Spirita Sancta, dal femminile di Spirito Santo (1) Vedi lo sviluppo che il P. MESCHLER fa di questa parola: Le Don de la Pentecòte, t. II, p. 139), per dimostrare meglio che l’unione del divino Paraclito e dell’anima senza peccato, è un’unione simile, ma ancora più bella, all’unione dell’uomo e della donna nel Sacramento che dei loro due corpi ne fa uno solo, e delle due anime un’anima sola; un’unione simile, benché non ipostatica, a quella del Verbo con l’Umanità Santa; simile a quella di Gesù Cristo con la Chiesa, unione che il matrimonio cristiano simbolizza. – Si legge nella vita di S. Angela da Foligno che la santa andò un giorno in pellegrinaggio alla tomba di San Francesco d’Assisi. Ed ecco che una voce le risuona all’orecchio: «Tu hai fatto ricorso al mio servo Francesco, ma ti farò ora conoscere un altro appoggio. Io sono lo Spirito Santo che sono venuto a te e voglio darti una gioia che ancora non hai gustata. E io ti accompagnerò, sarò presente in te… ti parlerò sempre… e se tu mi ami, non ti abbandonerò mai. O sposa mia, io ti amo; ho stabilito in te la mia dimora; mi riposo in te; alla tua volta, stabilisciti in me e cerca in me il tuo riposo ». – S. Angela, paragonando i suoi peccati con questi favori straordinari, esitava, credendosi trastullo di un’illusione: « Se foste veramente lo Spirito Santo, ella dice, non potreste dirmi simili cose: esse non sono fatte per me. Ma se foste proprio Voi, la gioia che ne avrei sarebbe così grande che non potrei provarla senza morirne ». E le fu risposto: « Non sono forse padrone dei miei doni? Io ti dò la gioia che voglio, né più né meno ». E la santa termina dicendo: « Io non posso esprimere la gioia che provai, specialmente quando mi disse: io sono lo Spirito Santo che vive interiormente in te ». – Ciò che lo Spirito Santo per un favore speciale rivelava a S. Angela, la Chiesa, col suo dogma, l’insegna a tutti i Cristiani. Lo Spirito Santo vive in noi e ha un solo desiderio, quello di trovare nell’anima nostra la corrispondenza di sentimenti che Egli vuole avere per noi. Da parte sua, l’unione con noi quanto non è intima! – Ma da parte nostra, questa unione con Lui di qual natura è? Siamo dunque senza intelligenza o senza cuore? Quanto si è prodigiosamente incoscienti, o miserabilmente chiusi nell’amore dell’Amore Infinito: come uscire da questo dilemma? Alcune anime, pertanto, più raccolte o più avide d’intimità, intravedono ciò che bisogna ricercare in questa familiarità. Ma ben presto perché conoscono meglio di altre la loro debolezza, esitano, non osano, indietreggiano. Quando lo Spirito Santo si offre per un’unione incomparabile, per un vero matrimonio, esse hanno vergogna di stendere la mano e di dare il loro cuore. Questo non sembra che sia per loro; pare cosa troppo bella. Il loro corpo, polvere di peccato; l’anima loro, ulcus et apostema, secondo la forte espressione di S. Ignazio nella meditazione sul peccato, « un cancro e una ulcera », a ogni modo, una tomba dei benefizi di Dio; e benché animate da un desiderio ardente di unirsi all’Ospite divino, provano un tale sentimento di repulsione, nel riguardo di se stesse, che praticamente rifiutano di credere alla realtà delle offerte divine. – Il noli me tangere di Gesù a Maddalena, risuona al loro orecchio e ricordano il grido di Pietro, vedendo Gesù avanzarsi per lavargli i piedi, o di Elisabetta scorgendo Maria che viene a Lei: « Tu mihi?Voi da me!… Unde hoc… ut veniat? Donde questa maraviglia? ». Non trattasi di sapere se sia cosa troppo bella, ma piuttosto se sia vera o no. Lo Spirito Santo abita realmente, con tutta verità, nell’anima? Desidera unirsi con essa? Sì; questo è oggettivamente vero. Non potrei opporre nulla contro questo fatto. Sono libero di credere che questo fatto è straordinario, incomprensibile, e inaudito; ma ancora una volta, se è vero, bisogna ch’io mi inchini. Ora il fatto è vero e s’impone. Lo straordinario, l’incomprensibile, l’inaudito sarebbe che io non provassi di compenetrarmi di questa presenza di persuadermene e di viverne. « Per quanto grandi siano le grazie che portiamo in noi, scrive l’Olier (Vie de M. Olier, 1818, Lebel, Versailles p. 498-499), restiamo sempre gli stessi vasi di argilla, il misero nulla e nient’altro: habemus thesaurum istum in vasi fictilibus. Le specie del pane e del vino, nel SS. Sacramento, non hanno ragione di gloriarsi delle grazie che racchiudono, e dei beni che la S.Eucaristia opera nelle anime, giacché esse non ne sono la causa, ma solamente leggere e fragili scorze, benché siano così vicine alla divinità. Lo stesso avviene alle anime più sante e più ripiene di Spirito Santo: sono come bucce che in pochissimo tempo si guastano e si corrompono. E come il corpo e il sangue di Nostro Signore finisce di essere presente, sotto le specie, quando queste sono corrotte; così alla prima corruzione e impurità, lo Spirito Santo si allontana, lasciando questi poveri vasi nella loro corruzione. – Da ciò può dedursi se un’anima abbia ragione d’inorgoglirsi e di credersi più di quello che era prima, per il solo fatto di ricevere grazie così preziose, come i Sacramenti, di portare in se stessa Nostro Signore, come le specie del pane e del vino, ovvero lo Spirito Santo, come l’olio consacrato e il balsamo nella Cresima. – Non deve invece temere che Nostro Signore, non trovandola abbastanza pura per dimorare in essa, si ritiri? ». – E giacché abbiamo accennato alla Comunione, la presenza del divino Spirito — e di tutta la Trinità — nelle nostre anime, è forse più incomprensibile, più straordinaria e inaudita della presenza eucaristica? Che matrimonio meraviglioso — gli autori usano spesso questa parola, per parlare dell’unione dell’anima con Gesù Cristo, nella divina Comunione, — non è quello del Cristiano alla Sacra Mensa, con Gesù che scende nel cuore! – E se la presenza eucaristica non urta, non ci fa indietreggiare, perché dovremmo fermarci alla presenza che risulta dall’essere in grazia? In un dato senso, questa non è meno prodigiosa dell’altra, o meglio, presenta questa superiorità, di non essere ostacolata, dopo gli altri misteri, dal mistero di un Dio che si è fatto uomo e pane. – Procedendo oltre, San Bernardo all’obiezione netta: « Io non oserò mai entrare in una simile familiarità… Dio in me… Non è possibile!…» — risponde: « Quello che vi trattiene è il rispetto, reverentia; e nella parola rispetto (vereor), è compresa l’idea di timore. Voi dimenticate che amare, significa amare e non venerare. Temere, meravigliarsi, ammirare, ecco in che consiste venerare; ma ciò non ha nulla da fare con l’amare. Dove c’è l’amore, ogni altro sentimento sparisce. Colui che ama, ama. Ama e nient’altro. Sposo con sposa. Or qui, lo Spirito Santo non è lo sposo dell’anima, qualcuno che ama, senz’altro; molto meglio, lo stesso Amore? « Dio, come Dio, esige il timore; come Padre vuole essere onorato; come Sposo vuole essere amato… Quando Dio ama, non vuole altro che essere amato… È fuori dubbio che nell’amore vi sono diversi gradi: Sposa è il grado più elevato. Non vi è nulla al disopra.« Ora, l’unione dello Spirito Santo con l’anima è un’unione di quest’ordine, spinta al più alto grado: unione non di due carni in una,ma di due spiriti in uno solo, secondo l’espressione energica di S.Paolo: Qui adhæret Deo unus spiritus est » (S. BERNARDO: In cantic, S. LXXXIII.).E siccome l’anima si nasconde nella sua umiltà e si rifiuta dicendo: « Io non potrò mai amare abbastanza. Come lottare col gigante? Come amare nella misura in cui sono amata?Dovrò rinunziare all’impresa? » — « No, risponde; senza dubbio la creatura ama meno. Purché ami senza riserve. Manca forse qualcosa là dove si dà tutto? » (Ib. Ibid.).S.Giovanni della Croce compie la spiegazione, dandone la ragione ultima e la più profonda: l’anima può giungere ad amare molto, perché in essa è l’amore che ama (Si è già vista sopra la spiegazione del testo di S. Paolo: « In noi il solo che può gridare: Padre, è lo Spirito del Padre ». Qui vale lo stesso ragionamento.). Ecco quindi la proporzione, l’equivalenza voluta e supposta impossibile. Se l’anima non fosse fortificata, raddoppiata, centuplicata nella sua facoltà di amare, l’equazione necessaria non si stabilirebbe; ma tutto si spiega se l’amore col quale noi amiamo è lo stesso amore di Dio. Ora accade proprio così, e S. Fulgenzio lo dice assai bene: « Per amare Dio, il cuore dell’uomo non basta; bisogna avere il cuore di un Dio. Che cosa significa questo? Possiamo dunque amare Dio col cuore di Dio? Sì, perché la carità di Dio è sparsa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che « ci fu donato » e noi possiamo amare Dio solamente per mezzo dello Spirito Santo; non ho ragione di dirvi quindi: Amiamo Dio col cuore di Dio? » (S. GIOVANNI DELLA CROCE: La notte oscura dell’Anima, L. II, C. XIII).

CAPO IV.

Con tutta la Santa Trinità.

La devozione al Padre, la devozione al Figlio, la devozione allo Spirito Santo, presenti in noi per la grazia, possono considerarsi sotto aspetti molteplici, secondo le ispirazioni soprannaturali e le inclinazioni diverse delle anime. Da ciò deriva l’originalità molto varia, nei giusti, che taceva esclamare Davide: « Mirabilis Deus in sanctis suis, Dio è mirabile in coloro, in mezzo ai quali abita». (Ps. LXVII, 36). Invece di fermarsi alla considerazione della presenza in noi dell’una o dell’altra delle divine Persone, ovvero dell’aspetto particolare dell’una delle tre presenze, alcuni preferiscono considerare la Santa Trinità nel suo complesso.« Il Cristo, vero Dio e vero uomo, vero uomo quanto è vero Dio, generato dal Padre negli splendori dell’Eternità, ci ha generato, in qualche modo, sul Calvario. Divenuto in virtù del suo sacrificio capo di tutta l’umanità, ci rende partecipi della vita divina che Egli ha ricevuto dal Padre. « Egli innesta sopra la nostra vita naturale la sua stessa vita e ci comunica il suo essere divino.Mentre abita realmente in noi, è necessariamente inseparabile dal Padre e dallo Spirito Santo.« Il Padre, in noi, genera il Figliuolo, e lo Spirito divino procede dal Padre e dal Figliuolo. L’intero mistero, tutte le operazioni, lutto l’amore e la beatitudine della Santissima Trinità si compiono e dimorano in noi.

« Sono queste le realtà sublimi dello stato di grazia… » (Paolina Reynolds, t. II, cap. III, § 4). – Il P. Lessio, autore del bellissimo libro: I nomi divini, è fra coloro che più studiarono la Trinità adorabile, e sappiamo che la sua devozione personale amava di considerare Dio vivente e presente nell’anima sua: « Signore, ve ne prego, diceva, attirate il mio cuore a voi nell’interno dell’anima mia. Qui, lontano dagli strepiti del mondo e dalle preoccupazioni che accasciano, dimorerò vicino a voi, per godere di voi, per amarvi, venerarvi e intendere la vostra voce. Qui vi racconterò le tristezze della mia vita d’esilio; qui, vicino a voi, troverò le consolazioni necessarie! Fate che io non dimentichi mai la vostra presenza in me, Voi che siete luce e dolcezza dell’anima mia! Che io non vi dimentichi mai, ma che sempre e dappertutto lo sguardo dell’anima mia vi incontri ». – Le Memorie della Carmelitana di Digione, suor Elisabetta della Trinità, sono un’esposizione continua di quello che può — o che dovrebbe essere — in noi la devozione ai « Tre ». Le abbiamo già citate abbastanza, perché ognuno possa convincersene, qui ci contenteremo di dare due tratti della sua preghiera favorita. Nulla di più dogmatico e più lirico, e ad un tempo, di più esalto e più elevato: « O mio Dio, Trinità che io adoro, aiutatemi a dimenticare interamente me stessa, per stabilirmi in Voi, immobile e pacifica, come se già l’anima mia fosse nell’eternità! Nulla turbi la mia pace, né mi faccia uscire di Voi, o mio Immutabile, ma ogni minuto mi trasporti più lontano, nell’abisso del vostro Mistero. « Rappacificate l’anima mia, fatene il vostro cielo, la vostra dimora amata e il luogo del vostro riposo; che io non vi lasci mai solo, ma sia là tutta quanta, svegliatissima nella mia fede, in profonda adorazione, interamente abbandonata alla vostra azione creatrice ». – Questo è il principio, ma ecco la fine: « O mie Tre Persone, mio Tutto, mia Beatitudine, Solitudine infinita, Immensità in cui mi perdo, io mi abbandono a Voi come una preda; seppellitevi in me, affinché io mi seppellisca in Voi, aspettando il giorno di contemplare, nella vostra luce, l’abisso delle vostre grandezze » (21 novembre 1904). Sarebbe un errore credere che occorra essere una religiosa, insignita di favori straordinari, o un dotto provvisto d’una scienza teologica prodigiosa per pregare a questo modo. Chiunque abbia compreso la vera natura dello stato di grazia, può avere la devozione ai «Tre», viventi in noi. Non è punto una devozione fuori posto, riservata a pochi. Il dogma e l’uso del dogma è per tutti. –  Pietro Poyet lavora alla rue des Postes. È uno studente come tanti altri, ma molto legato alla sua fede. Prende occasione della preghiera ordinaria che si recita al mattino per rientrare in se stesso, e trovarvi gli Ospiti divini dell’anima: « Mettiamoci alla presenza di Dio e adoriamolo ». Dove mai Dio è più presente che nel suo cuore, nel cuore del giovine che vive in grazia? Tutta la spiritualità dei suoi vent’anni riluce intorno a questa grande idea: l’Abitazione della Trinità nelle anime nostre. A un compagno di scuola scrive un giorno: « Dio è in te al posto che deve occupare? ». Nel suo programma di vita intima, inserisce questo proponimento: «Avere l’anima tormentata dalla magia dell’assenza divina. Temere il peccato più di ogni cosa, perché caccia Dio dal nostro cuore. Ricercare soprattutto lo stato di grazia perché mette e mantiene Dio in noi ad ogni minuto » (Cfr. Notice, dell’abate Rouzic). – Chi non può imitare — o almeno studiarsi d’imitare — questo studente, e vivere d’un simile desiderio e d’una simile fede? – È certo che, inclinati come siamo alla materia, occorrerà più d’uno sforzo — e lo diremo fra non molto —. « Il poco essere che abbiamo — secondo una frase profonda di Pascal — ci nasconde la vista dell’infinito ». Ma dal momento in cui abbiamo visto e compreso chiaramente tutto quello che portiamo «dentro di noi», non dovrebbe nascere nell’anima l’ambizione di acquistare a qualsiasi prezzo l’evidenza di quelle cose che non si vedono, di non passare accanto alla più grande meraviglia senza scorgerla, o di non possederla senza viverne? – In questa nostra opera abbiamo omesso, a bello studio, le questioni controverse o troppo sottili, utili a discutersi nelle scuole, ma che servono poco a chi se ne sta a pregare e a chi cerca la vita interiore. Vogliamo solamente accennare a due punti per prevenire una difficoltà e rispondere a un quesito. Nel mistero della nostra santificazione, lo Spirito Santo esercita forse un ufficio particolare che non esercitano con Lui, allo stesso grado, il Padre ed il Figliuolo? Secondo alcuni autori che si fondano sopra una tradizione molto rispettabile, dovuta specialmente ai Padri Greci, fra i quali primeggia S. Cirillo Alessandrino, il Padre ed il Verbo sarebbero in noi mediante lo Spirito Santo. Vi sarebbero due stadi, non nell’ordine cronologico, ma solo nell’ordine logico, e come suol dirsi, della causalità formale. Il divino Spirito, col Battesimo, prenderebbe possesso dell’anima nostra; primo stadio. In virtù del privilegio della circuminsessione, per la quale il Padre ed il Verbo sono là dove è lo Spirito, subito dopo la venuta dello Spirito Santo, il Padre ed il Verbo diventerebbero ugualmente presenti. – Questo è il primo quesito, d’ordine piuttosto storico; ma ecco il secondo di ordine piuttosto filosofico: In qual modo esattamente si effettua l’unione di Dio con noi, e la nostra con Dio? Noi diciamo: Dio è presente, abita, vive in noi. Il fatto è assolutamente certo; è un dogma. Ma il modo? Quale spiegazione si dà del « modo »?Colui che ha spinto più lontano lo studio del « modo. », a nostra conoscenza, è il P. Jovene, nel suo trattato De vita deiformi. Lo si legge nella speranza di trovare un punto che soddisfi, si percorrono le pagine con avidità; ma giunti al termine si rimane delusi. Abitazione, presenza, possesso, vita intima, familiarità tutto questo ridotto ad alcune spiegazioni troppo smilze, ad alcune formole che sembrano troppo brevi. Ma si avrebbe torto a meravigliarsene. Il « come » della mia « deiformazione », della mia « deificazione », mi sfugge. Non capisco nulla, ovvero non capisco tutto… Se si riflette bene, che cosa vi è in ciò di strano? Non è invece naturale? Se io arrivassi a capire, sarebbe questo un fatto meraviglioso? Non siamo forse avvezzi a ignorare molti « come » dell’opera di Dio? Quello che conosco, non è già sufficiente per riempirmi d’ammirazione e, se lo voglio, per santificarmi più di quello, a cui i miei buoni desideri non giungono? E poi, forse che le difficoltà non sono identiche, in simili materie? Consideriamo l’Eucaristia. Si ha forse una luce maggiore sul modo in cui si opera la transubstanziazione? E sarò più avanti — sotto l’aspetto della mia devozione, s’intende — dopo lo studio dei differenti sistemi: adduzione, riproduzione, semplice conversione, ecc.? E tuttavia, nulla è più certo del fatto. – Dirà qualcuno che nell’idea della nostra « deificazione » si può eccedere, oltrepassare la misura, cadere nell’errore. No, perché abbiamo dei capisaldi. Io so che debbo escludere qualsiasi concetto panteistico: Dio rimane Dio, e io rimango io. So che la mia unione con Dio non è ipostatica, cioè della stessa natura dell’unione del Verbo con l’Umanità del Salvatore. Pure ammessi questi limiti, il dogma della vita di Dio in noi, mediante la grazia, resta sempre bello e consolante.

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