DIO IN NOI (3)

DIO IN NOI (3)

[Versione p. f. Zingale S. J. – L. I. C. E. – Berruti & C. – Torino, 1923; imprim. Torino, 7 aprile 1923 Can. Francesco Duvina]

CAPO III.

“Alter Christus,,

Essere « tabernacolo », essere « cielo », ecco la splendida realtà di un’anima in stato di grazia. Possiamo adesso far un passo innanzi. Il Cristiano, nella cui anima abita Dio, è, letteralmente, un altro Gesù Cristo, alter Christus. In primo luogo perché ha accettato la dottrina e la professione esterna, visibile del Vangelo. Difatti, bisogna che la nostra fede non sia unicamente per noi soli; deve avere una irradiazione. Bisogna che costituisca il suggello, la divisa, che ci faccia distinguere: « Induimini Christum. Rivestitevi di Gesù Cristo». Ohimè, quanti battezzati non si curano punto di questo: Cristiani di nome e nulla più! Inoltre il Cristiano dev’essere Alter Christus, perché deve vivere o studiarsi di vivere, prendendo ad imprestito — invece dei giudizi e dei sentimenti del mondo — i pensieri ed i sentimenti di Nostro Signore: Hoc sentite in vobis quod et in Christo Jesu. Ma il battezzato, può e deve essere « un altro Cristo » per ben altre ragioni, immedesimandosi cioè con Lui nel modo più intimo possibile. S. Paolo intendeva questa intimità quando diceva: « Vivo ego, jam non ego, vivit vero in me Christus. Io vivo, ma non sono io che vivo, è invece Gesù Cristo che vive in me ». Molti autori spiegano queste parole della presenza di Nostro Signore — Uomo-Dio — in noi, per mezzo della Comunione. E perché, presa alla lettera, questa frase pare esprimere una realtà troppo bella, molti indietreggiano, e come chi non osa farsi avanti, si provano a diminuirla, raddolcirla, rimpiccolirla. – I buoni commentatori non amano tali alterazioni. Bisogna spiegare la frase letteralmente: « Perché parlare d’imitazione, scrive il Padre Prat, quando l’Apostolo ha in mira l’identità mistica? ». Dobbiamo rassomigliare al Cristo non solo perché assunse un’umanità simile alla nostra, ma perché ha dato alla nostra umanità, individualmente presa, una vita simile, identica alla sua, la stessa vita di Dio. In conseguenza, come Cristiano debbo indossare la sua livrea, condividere i suoi sentimenti; e, meglio ancora, prendere e custodire la sua Persona, fare di me un altro « Lui ». Il Cristo vive la vita del Padre. Ego et Pater unum sumus. Noi dobbiamo vivere la vita del Figlio. Ut sint unum. Questa è la formola divina con cui si esprime la nostra vita soprannaturale. Le correzioni necessarie che indicheremo, non la muteranno nella sua parte sostanziale. Egli vive unicamente della stessa vita di Dio e noi dobbiamo solamente vivere della sua. Giacché la sua è la stessa vita di Dio; la nostra, per la grazia, è anch’essa la vita di Dio. – Nostro Signore per spiegare la realtà di cui ci occupiamo, apportava questo paragone: « Guardate la vite. Nei tralci e nel ceppo circola lo stesso succo. I tralci vivono la vita del tronco. Il ceppo, il tronco, sono Io; i tralci siete voi. In me la vita divina, totale; in voi, finché restate a me uniti, la vita divina per partecipazione » (S. GIOVANNI, XV, 1-6. — S. Agostino, colla sua ampiezza ordinaria, sviluppa, in molti passi, il paragone del Salvatore. Alcuni testi fra i molti: Unius naturœ sunt vitis et palmites. Propter quod cum esset Deus, cujus naturæ non sumus, factus est homo, ut in illo esset vitis natura humana, cujus et nos palmites esse possemus. (Tract. 80 in Joan.) —  (Id.. Tract. 81). – S. Paolo sceglie un altro esempio: « Considerate un corpo con le sue membra. Le membra non hanno la vita che dal corpo; separate dal corpo, non sono più nulla; si disseccano e muoiono. Finché restano unite al corpo, questo le fa vivere e permette ad esse il movimento. La stessa cosa avviene di Gesù Cristo e dei Cristiani. Il Cristo è il corpo, voi Cristiani ne siete le membra. La vita di Gesù diventa vostra vita; e siccome la vita del Cristo è divina, la vostra, in virtù della vostra unione al Cristo, ormai è una vita divina. Rimanete dunque sempre membra del Cristo » (EPH., 1 , 2, 3). – Possiamo immaginare il Padre, il Figliuolo elo Spirito Santo: la Trinità, simile a un oceano senza limite. Per un mistero della bontà infinita di Dio, questo oceano viene a racchiudersi in una capacità finita, in un serbatoio, per dire così, immenso, ma anche esso limitato, la Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo. Nel Cristo è contenuta tutta la vita del Padre, del Verbo e dello Spirito Santo. Lo scopo del Battesimo è quello di formarci come condotti di questo serbatoio divino che è il Salvatore, nel quale trovasi la pienezza della Divinità (Avviene questo in due maniere: in virtù, primieramente, dell’unione ipostatica, privilegio che Egli solo possiede; in secondo luogo, perché possiede in grado massimo la grazia santificante, privilegio al quale noi partecipiamo per i Suoi meriti). Un tubo che comunica con un serbatoio, contiene il medesimo liquido fino alla stessa altezza; la differenza sia nella misura, giacché questa dipende dalla capacità che è diversa nei due. Messi in comunicazione col Cristo nel giorno del nostro Battesimo, abbiamo ricevuto da Lui la vita divina; essa è passata da Lui a noi: la medesima circola in noi ad ogni minuto, finché restiamo in grazia. Ma commesso un peccato mortale, la comunicazione tra il serbatoio divino e noi viene interrotta. Sarà necessario il Sacramento della Penitenza per stabilire di nuovo il passaggio fino a noi. Questo paragone, benché troppo ordinario, mostra, con qualche inesattezza facile a correggere, l’insieme delle nostre relazioni con Dio per mezzo di Nostro Signore. Spiega, in particolare, come mai ci basti che restiamo uniti al Cristo, perché Dio viva in noi. Le orazioni della liturgia ci affermano questa verità, quando esprimono la formula: Per Dominum nostrum Jesum Christum. Noi siamo deificali permezzo di Gesù, e nel dominio spirituale nulla ci accade senza Gesù Cristo.L’esempio del Salvatore sulla vigna e i tralci rappresenta più fedelmente ciò che l’uomo diventa quando la vita divina non scorre più inlui. Tralcio secco, privo di succo: legno per l’inferno. La morte temporale coincide con la privazione dell’influsso divino? La dannazione eterna! Aut vitis aut ignis, come dicono energicamente i Padri: o ramo vivo, unito al tronco,ovvero legno morto; non c’è via di mezzo.« Il Cristiano, dice S. Agostino, non deve nulla temere quanto l’essere separato dal corpo di Gesù Cristo. Separato a questo modo, non è più membro, non è quindi vivificato dallo Spirito Santo; e chiunque non ha lo spirito di Gesù Cristo, dice l’Apostolo, non è con Lui » (Tract. 27, in Joan).Una sola cosa adunque importa, che noi custodiamo il contatto, che restiamo — secondo l’espressione di S. Paolo — « innestati sul Cristo». In questo modo la vita che circola in Lui,penetra in noi e la vita del Cristo è la medesima vita di Dio (per non generare confusione, è meglio evitare le espressioni: « Nostro Signore in noi, Gesù in noi ». Alcuni autori, Monsignor de Ségur in particolare, nei suoi bellissimi volumetti, le usano. Le parole Gesù, Nostro Signore, secondo la terminologia ordinaria, indicano l’Uomo-Dio. Per la grazia santificante, il Figlio è in noi allo stesso titolo che il Padre e lo Spirito Santo, cioè a dire, come Verbo. Con la sua Santa Umanità, Nostro Signore abita in noi solamente dopo la Santa Comunione, durante il tempo in cui durano le sacre specie. Ma se la vita di Dio, in Gesù Cristo e in noi, è sostanzialmente la stessa, abbiamo notato che differisce nella misura e nelle condizioni della sua esistenza).

Egli la possiede intera — noi per partecipazione.

Egli per natura — noi per adozione.

Egli per il fatto della sua Incarnazione — noi perché abbiamo ricevuto il Battesimo.

Egli non può perderla — e noi possiamo perderla.

Nondimeno conviene insistere meno sulle differenze della vita divina, quale è in Nostro Signore e in noi, che sui punti di somiglianza.

Il pericolo non consiste nel crederci troppo « altri Gesù Cristo », ma piuttosto a non voler consentire di crederci tali, nella misura in cui lo siamo. – A chi volesse trovare in ciò un motivo di orgoglio; si potrebbe facilmente rispondere quello che diceva S. Bernardo ai suoi monaci: « Il giumento, su cui cavalcò il Signore la domenica delle palme, rimase sempre un giumento ». Creature, esseri finiti, la nostra partecipazione alla vita divina non ci trasforma in Dio; ci lascia creature.

– Il dogma cristiano, ben compreso, non ha nulla da fare col panteismo. –

Del resto, le anime avvezze a meditare sulla Abitazione divina, sanno quanto costi il comporre, con la propria vita, « il poema prodigioso di un povero uomo che voglia configurarsi a Gesù Cristo ». Piuttosto che inorgoglirsi, si confondono nell’umiltà. « La contemplazione delle grazie ricevute fa loro conoscere meglio la propria miseria, dice S. Teresa. Sembra loro di essere come una nave che affonda per il troppo peso che porta ». E poi, il timore di poter perdere l’ospite benedetto, diminuisce ancor più la fiducia che potrebbero avere in se stesse: « La impressione che loro fa questo pensiero è così viva, che le eccita a camminare con una vigilanza estrema e a trarre nuove forze dalla loro stessa debolezza, per non perdere, per propria colpa, una sola occasione di rendersi più accette a Dio. Quanto più si vedono colmate di grazie dal divino Maestro, altrettanto temono di offenderlo e quindi dubitano di se stesse ». Il motivo che più fa soffrire la maggior parte dei Cristiani non è certo quello di avere esagerato la presenza di Dio in noi. « Molti Cristiani, osserva con tristezza il P. Ramière, anche credendo alle promesse divine, non possono, nondimeno, risolversi ad accettarle nella loro magnificenza. « Temono di riconoscere troppa bontà in Colui che non hanno difficoltà di chiamare il buon Dio. E si persuadono che Egli abbia esagerato le sue promesse, quando sentono ripetersi che sono invitati ad associarsi alla natura divina, ad essere fratelli adottivi di Gesù Cristo, membra del Suo Corpo, figli del Padre celeste, a vivere, anche quaggiù, della vita di Dio, per goderne in eterno la suprema felicità; in Tutto questo la maggior parte non trova che figure e pie iperboli » (Divinisation du chrétien, p. 4). – Nel paradiso terrestre, il serpentedice alla donna: « Eritis sìcut dii, sarete come dei », e mentisce. Ma per la grazia santificante, con tutta verità, noi diventiamo figli di Dio, « filii Dei, uomini divini, altrettanti Gesù Cristo ». – « Sono figlio dell’uomo e della donna, secondo ciò che mi è stato detto», scriveva un tale. « Questo mi fa meraviglia, perché io credevo essere qualcosa di più ». E intanto, quanto sono numerosi coloro i quali non si meravigliano punto e non sospettano affatto di essere qualcosa di più! – Il dogma della Presenza e dell’Abitazione di Dio — poiché è il dogma fondamentale — mette tutto a suo posto. E allora, che cosa rispondere a coloro che ci potrebbero rivolgere il seguente rimprovero: A voler soprattutto considerare Dio in noi, nell’anima nostra, non si corre il rischio di perdere di mira Gesù Cristo, il personaggio storico, il Galileo di un tempo, nato due mila anni fa in Betlem? Ciò appunto che S. Teresa, i cui consigli in materia d’ascetismo fanno legge, dice di se stessa; che avendo cioè lasciato per qualche tempo la meditazione dei misteri dell’Umanità Santa del Salvatore, se l’ebbe a rimproverare per tutto il resto della sua vita. – La devozione a « Dio presente in noi », non esclude punto la devozione all’Umanità di Nostro Signore. Al contrario la comprende, la suppone, le dà la sua ragione di essere e costituisce il motivo ultimo di ciascun passo di Gesù Cristo. Il Verbo, facendosi carne, non ebbe altro scopo che quello di vivere in noi, rientrando nelle nostre anime insieme col Padre e lo Spirito Santo: facendo sì che noi potessimo vivere con Lui della vita divina. « Societas vestra cum Christo in Deo! » (Osea, II, 14).Gesù Cristo come Verbo è, allo stesso titolo del Padre e dello Spirito Santo, causa efficiente della nostra salvezza. Allo stesso titolo del Padre e del Divino Spirito vive, come Verbo, nell’anima nostra giustificata.Come Uomo Dio, è causa strumentale della nostra redenzione, vale a dire strumento benedetto che ci ha riscattati, e che per la sua dottrina, la sua Chiesa, i Santi Sacramenti, ci dà i mezzi di restare fedeli. Come Uomo Dio, è causa meritoria della nostra salvezza; giacché noi dobbiamo alle sue fatiche e alla sua immolazione compensatrice la vita soprannaturale. Finalmente, come Uomo Dio, è causa esemplare della nostra redenzione, essendo il modello divino che dobbiamo tener presente, per imitarlo e seguirlo, onde conservare la grazia e pervenire alla gloria.Alcuni autori e commentatori isolano troppo Gesù Cristo. Bisogna integrare il Salvatore, personaggio storico, in tutta la nostra storia soprannaturale, senza dimenticare che questo Gesù lontano è venuto per renderci Dio vicino; per ristabilire nelle anime nostre la Trinità Santa che noi dobbiamo sforzarci di trovare, poiché veramente si trova in fondo a noi.Senza dubbio, per molti la contemplazione del Cristo lontano, separato dal tempo e dallo spazio, del Cristo «storico» e «geografico», basta a render loro facile l’intimità. Agiscono come se la vita del Salvatore fosse presente e vicina. Noi abbiamo l’uso di dire che trattasi di paragone, di immaginare il luogo, di ricostruire gli avvenimenti; giacché, se è vero che per Gesù di Galilea noi, di adesso, eravamo presenti allora; per noi, di adesso, il Gesù di allora non è realmente presente.  Invece, è in realtà presente, attualmente, ed è vicino a noi — dentro di noi— Dio Padre, Figliuolo, Spirito Santo, se siamo in grazia. Considerata sotto questo rispetto, quanto, l’intimità, non riesce più facile! Per parlare con Dio e vivere con Lui non ci occorre uno sforzo di immaginazione che ci porti lontano, in un angolo remoto; ma basta un atto di fede. Dio non è lontano. Egli vive in noi, al di dentro, « intus ». Dopo questo, siamo inescusabili se non perveniamo a l’intimità.

CAPO IV.

“Attuare,, i nostri privilegi soprannaturali.

Nelle note intime del grande universitario cattolico Ollé-Laprune, stanno scritte queste riflessioni: « Io sono Cristiano per grazia di Dio. Ma capisco io che cosa voglia dire essere Cristiano?… Non è molto essere Cristiano per abitudine, per sentimento. Io voglio esserlo nella luce, con riflessione, per scelta. Voglio pensare seriamente quello che sono, vederlo bene… Richiamare alla mente i principii, meditarli, approfondirli ». – Pochi, molto pochi sono coloro che hanno un’idea sì seria della vita cristiana, da non contentarsi d’una fede di sentimento o d’abitudine, ma che vogliono rendersi conto dei tesori soprannaturali conferitici col Battesimo. I buoni Cristiani si mostrano così poco Cristiani, perché  non hanno « attuato » i loro privilegi divini. Dio abita in noi per la grazia. Ma praticamente per noi è come se non ci fosse. « Attuare », è vedere che ciò che possediamo si trovi realmente in noi. Non è questione di mettervelo, ma di scoprirvelo, di fare in modo che quello che già esiste sia per noi una realtà. In qual modo il possesso di un tesoro di cui non conosciamo l’esistenza, può diventare uno stimolo di vita cristiana? – Si dirà: non è affatto necessario penetrare la natura dello stato di grazia, purché se ne viva. Io non ho peccati; questo mi basta. Quindi, indipendentemente da qualsiasi atto riflesso per spiegarmi il fatto e misurarne le conseguenze e l’importanza, la mia vita è meritoria, le mie azioni sono buone, l’anima mia è unita a Dio. – No, certo, non occorre per condurre la vita di tutti gli altri. Ma può dirsi cristiana la vita di molti Cristiani? Alcune pratiche, di cui spesso s’ignora il senso profondo; una cornice puramente esteriore e niente altro: quindi nessuna vita, perché non vi è vera conoscenza di questa vita.

Si scires donum Dei! Se conoscessimo un poco di più, un po’ meglio il dono di Dio! Se ne avessimo solo il sospetto! Disgraziatamente, un grave ostacolo si oppone alla conoscenza del dono divino. Tutte le realtà soprannaturali fanno parte del mondo invisibile: e corrono facilmente il rischio di passare inosservate. – Quindi un primo passo è indispensabile: convincersi della vera esistenza delle realtà che sono dentro di noi. Esse esistono in realtà, ma bisogna che noi le facciamo nostre. È inutile far risaltare l’obbiezione: « Io non sento nulla, dunque non esiste nulla ». Molti fenomeni d’ordine materiale accadono in noi e sfuggono alla nostra coscienza: digestione, assimilazione, circolazione. Ci meraviglieremo dunque, se nel dominio dell’anima e quando trattasi di fenomeni di ordine spirituale e soprannaturale, nulla viene percepito, né sentito? Bisogna convincersi che esiste un altro mondo, benché noi non lo vediamo, e che questo mondo appartiene ad un ordine superiore a quello che cade sotto i nostri occhi. Dio, invisibile da tutta l’eternità, non si fece visibile e palpabile che per lo spazio di trentatré anni. Ha Egli esistito solo trentatré anni? Noi non abbiamo l’esperienza sensibile della sua presenza, ma Egli « vive eternamente ». Le anime dei nostri morti, allorché esulano da questa terra, non lasciano di esistere per il solo fatto che si ritirano dietro la scena delle cose sensibili e non agiscono più sui nostri sensi. Quando un uomo perde l’uso della favella, non perde la possibilità di pensare, ma solo la facoltà di comunicarci il suo pensiero. Dunque, oltre il mondo corporale che vediamo, esiste anche un mondo spirituale. Di questi due mondi, quello che ha maggiore realtà non è il secondo, ma il primo. E poiché solo il primo conta, S. Paolo c’invita ad occuparci esclusivamente di esso. Non vivete sulla terra, ma in cielo: Nostra conversatio in cœlis est. La vostra vita sia nascosta in Dio: Vita abscondita in Deo, e poi: Invisibilia tanquam videns. Fissate i vostri sguardi soltanto sulle cose che non si vedono. Mondo invisibile, in realtà, non significa mondo che esiste lungi e dopo di noi; ma vicinissimo e di adesso: bisogna quindi considerarlo ad ogni istante come un’attualità permanente, sotto pena di non vivere che a metà, trascurando la più bella parte del mondo reale e del mondo intero. – Newman (In più di una pagina della Grammatica dell’Assentimento, della quale non è qui nostra intenzione dare un giudizio completo e in una conferenza d’Oxford dal titolo: Il mondo invisibile) insiste spesso su queste idee, e riconduce tutto a queste due proposizioni: Molte cose esistono e sappiamo che esistono, benché non le consideriamo in realtà come esistenti; sentiamo molte parole le quali esprimono una verità che riconosciamo come tale, ma perché puramente schematica, in pratica la stimiamo nulla e come non accaduta. – Spieghiamoci con qualche esempio. Ecco questa semplice parola: un’ora. Per chi non la realizza, non rappresenta che un totale matematico di sessanta minuti. Ma per colui che la realizza, è considerata diversamente, secondo le direzioni abituali del pensiero, secondo i temperamenti, le circostanze, ecc.. E allora, per esempio, l’ora che passa potrebbe essere considerata come il succedersi di sessanta minuti primi… Un minuto, come l’istante in cui, presso a poco, cento persone muoiono e altrettante ne nascono: Un centinaio di vagiti e un centinaio di ultimi aneliti… Un’ora, come uno spazio di tempo che ci dà sei mila cadaveri e sei mila culle. Ognuno vede la differenza. – Ecco un’altra parola: La Croce. Non «concretata» non dice altro che due sbarre di legno perpendicolari, ovvero il segno algebrico più. «Concretata», però, dice le idee seguenti, più o meno: « Una croce servì un giorno; una vera croce di legno, fu adoperata una volta sopra una montagna… Quale giorno memorabile!… Accanto alle altre croci che portano l’immagine di Gesù morto, vi fu una volta una croce, sulla quale fu appeso Gesù vivo, Gesù inchiodato, Gesù sanguinante, Gesù morto per me…». Molte parole, appunto perché le usiamo continuamente non impressionano. Un giorno, bruscamente, a caso, ovvero grazie ad una maggior riflessione, diventano luminose, splendide, ripiene di un senso profondo, dotate di una realtà che fino allora non si era neppure sospettata. – S. Ignazio raccomanda di non sorvolare premurosamente, col pensiero, sopra una verità che si voglia fare propria; ma di riflettere con posa, di ripetere, di fissare più da vicino la verità, fino a gustarla: gustare res interne. Non potrebbe esprimersi meglio la natura della riflessione, tanto necessaria, di cui parliamo. – « Occorre mollo tempo, dice Newman, per percepire e capire le cose come sono in se stesse, e noi impariamo a farlo gradatamente ». Se questa osservazione ha la sua importanza allorquando trattasi del mondo visibile, più ne deve avere allorquando trattasi dell’invisibile. – Un’idea che non esprima una realtà capace di essere percepita dai nostri sensi, perché sia capita a dovere, deve rassomigliare ai resti che si vedono galleggiare sulla superficie dell’Oceano. A lungo resteranno ad agitarsi sulla superficie delle onde; in seguito, poco a poco, alghe, sale, coralli e conchiglie aderiranno ad essi… finché, lentamente, quei resti sprofonderanno in seno all’Oceano. Ecco quale dev’essere il gustare interne. Alla superficie della nostra mente vi sono molte idee, per così dire, galleggianti, fluttuanti, non ancora approfondite. Perché  diventino parte di noi stessi, perché penetrino al fondo dell’anima, bisogna che ne aumentiamo il peso con mezzi tratti dal nostro fondo medesimo, coll’unione di tutti i nostri ricordi, dei nostri pensieri più cari, dei sentimenti più delicati e penetranti, di tutte le particelle di vita o di cose viventi atte a rendercele familiari per sempre. – Non può negarsi che certe anime in questo lavoro di assimilazione siano più capaci di altre, nondimeno tutte possono giungere al minimum necessario e sufficiente, esercitando la fede. Noi qui intendiamo di occuparci soltanto della devozione possibile a tutti. È certo che Dio ricolma alcune anime di favori speciali. Santa Margherita Alacoque godeva abitualmente di una presenza sentita di Nostro Signore. — Una volta l’Angelo Custode disse al Beato Susone: «Fissa gli sguardi sul tuo petto, e vedrai ». Il Beato vide che la sua persona diventava quasi diafana: Dio era in lui. — « Tu sei colei che non esiste, e io sono Colui che è »^ dichiarava Nostro Signore a Santa Caterina da Siena. E aggiungeva: « Contemplami al fondo del tuo cuore, saprai che sono il tuo Creatore, e sarai felice ». Questi casi, in cui trattasi di grazie speciali e di anime privilegiate, non sono l’oggetto del nostro lavoro il quale, invece, si limita alla presenza di Dio in tutte le anime che vivono in grazia, per il solo fatto che sono in grazia. Chi potrà impedire a qualsiasi Cristiano di applicarsi, con la fede, a scoprire Dio vivente in lui (Alcuni autori usano l’espressione: « Acquistare coscienza » di Dio in noi. Non essendo rigorosamente esatta, la frase può produrre confusione. Chi dice prendere coscienza, suppone una conoscenza immediata — e dello stesso soggetto. Ma qui trattasi di una conoscenza indiretta per mezzo del ragionamento e della fede, — della presenta di un essere diverso dal soggetto in cui si trova) ? – Monsignor Ugo Benson descrive così l’attitudine di un suo eroe: «Cominciò e continuò con costanza a fare un atto di rinunzia al mondo sensibile », — diciamo meglio, cominciò con un atto di fede alla realtà del mondo invisibile. —  Si sforzò di scendere fino al fondo di se stesso; e subito il suono dell’organo, il rumore dei passi, la rigidità del banco su cui era inginocchiato disparvero davanti a lui, ed egli ebbe l’impressione di non essere altro che un cuore che batteva, uno spirito in cui le immagini si succedevano l’una all’altra ». — Non è necessario simile sforzo, che del resto riesce difficile. — Poi fece una nuova discesa: il suo spirito ed il suo cuore, dominati dalla presenza sublime che si ergeva, si sottomettevano docilmente alla volontà del loro padrone… rimase così lungo tempo… Si trovava adesso in un luogo secreto, del quale aveva appreso la via per mezzo di uno sforzo ostinato; in quella regione singolare in cui le realtà si fanno visibili e la Chiesa, nei suoi misteri si vedono dalla parte interna di noi stessi… » ( Le Maitre de la terre, p. 54). –  Dio vive in me. Io lo credo. Ecco l’atto di fede. Lo spirito di fede va più lontano di un’adesione pura e semplice ad una formula,la cui realtà può essere invisibile e che a molti pare priva di sostanza e senza valore dinamico,fa un’adesione generale ad una formula, la cui realtà ormai apparisce nel suo intero complesso,piena di quella vita che le è propria.È forse esigere troppo, se a ogni battezzato che voglia vivere la sua fede, si domanda di interrogare, di quando in quando, se stesso come Ollé-Laprune: « Io sono Cristiano, per grazia di Dio; ma capisco che cosa importi essere Cristiano; vi penso? ».Oh, quale sostegno interiore troveremmo in quest’atto di convinzione: « Dio non mi abbandona,Dio è con me e in me, mi ama; io sono unito al suo Cristo cuore a cuore; il suo spirito aleggia in me come la brezza leggera di cui parla il profeta. Non mi resta che ascoltare e seguire, conoscere e gustare, confidare e sperare;la mia vita non è da abbandonarsi perseguire il divino Maestro; Egli stesso l’adatta e la fa sua accettandomi come suo discepolo; io vado insieme con essa e con Lui, ripudiando il solo male, separando quello che è meno bene; e la presenza dell’amico celeste, in luogo di distrarmi dalle occupazioni giornaliere, mi vi applica con gioia e costanza, perché le opere mie sono sue » (SERTILLASNGE: La vie en présence de Dieu, Revue des Jeunes, 10 mai 1918, p. 550. — Vedere altresì id., ibid., 10marzo 1919: La vie de silence). E difatti, la grandezza suprema dell’uomo non è forse Dio, Dio che vive in lui, ovvero che desidera vivervi se non ci vive, o che vuole vivervi di una vita sempre più piena, se ci vive?Qualcuno si meraviglia e rabbrividisce al pensiero che nella società contemporanea tutto sia « laicizzato » : governo, servizi pubblici, amministrazione,ecc. A tal punto, che se ci domandassimo:« Che cosa cambierebbe nel nostro mondo se il soprannaturale non esistesse, se la Redenzione e la Croce fossero un mero sogno,Gesù Cristo un semplice mito, senza realtà né consistenza? », non si saprebbe che cosa rispondere,ovvero bisognerebbe dire: nulla, assolutamente nulla muterebbe, o così poco!La responsabilità di questo stato deplorevole ricade sopra molti; e una parte non piccola su di noi, Cristiani, buoni Cristiani, che possedendo tesori sublimi, abbiamo dimenticato dipensarvi o di esplorarli. Nel 1834, Ozanam si faceva questo rimprovero:« Ho sentito che finora non avevo portato abbastanza nei mio cuore il pensiero del mondo invisibile, del mondo reale, benché non avessi smesso le pratiche religiose ». Egli parlava così per umiltà; ma noi, che diremmo di noi stessi? È tempo ormai di « attuare » i nostri privilegi divini: «La vita intima della grazia con Gesù. Tu non sei sola, anima mia; vive in te Colui che ti deifica! Tu fosti naturalizzata divina ». Questo è il linguaggio di un convertito. I convertiti vedono spesso meglio di noi: quello che a noi non fa meraviglia, li colma d’incanto. Oh, magnificenza dell’anima più semplice, racchiusa nel corpo più miserabile, vestito poveramente,— prosegue a dire Loewengard, —splendore di quest’anima, tocca dalla grazia,divenuta dimora immortale, dove abita il Re dei re, il Signore dei signori, Dio in tre Persone!« È possibile? È credibile? L’anima in grazia possiederebbe dunque sostanzialmente la SS. Trinità, la saprebbe (egli dice «sentirebbe», ma noi correggiamo) presente nel suo spirito e nella sua carne, potrebbe amarla come una sposa ama il suo sposo?Oh! se l’uomo è infinitamente meschino in ragione del suo corpo, tratto dal fango…, è infinitamente grande, infinitamente forte e nobile in quanto partecipa, per la grazia, alla vita di Dio ».Perché ci affatichiamo a diminuire noi stessi,perché, essendo grandi, ci ostiniamo a vivere da piccoli? Che peccato tremendo di omissione, che disprezzo grossolano del « realismo » più elementare: — le società, le quali si organizzano, o cercano di organizzarsi, con la volontà esplicita di non voler tenere in alcun conto il soprannaturale — noi stessi, che viviamo nella dimenticanza pratica e quasi completa di ciò che è l’uomo, tale quale Dio l’ha creato, cioè, non solo con un corpo e un’anima,ma secondo la bella e vera espressione di Tertulliano — che bisogna ben comprendere— con « un corpo, un’anima e lo Spirito Santo »!Che grande orgoglio, e al medesimo tempo,che grande decadenza non è quella di considerare nell’uomo soltanto l’uomo! Naturalizzati divini, noi non possiamo, né dobbiamo vivere« indifferenti », « laicizzati » ; non possiamo,né dobbiamo, assistere impassibili o inattivi,alla laicizzazione di tutto. Bisogna che Dio abbia nella nostra vita un posto, come ha diritto di averlo nella vita della società e delle nazioni. Ogni giorno più si vuole espellere Dio, ometterlo, far credere agli uomini che noi siamo soltanto « umani ». Ma imporre ai popoli e agli individui la dimenticanza o la privazione del soprannaturale, è lo stesso che imporre loro una dannazione anticipata. I dannati non sono altro che esseri i quali hanno perduto la loro naturalizzazione divina, creature per sempre disorientato. L’inferno non è altro che il paese della laicizzazione generale, la regione dove Dio non vuole contare più nulla, perché  l’angelo e l’uomo hanno voluto così. Figli di Dio, noi non dobbiamo vivere da volgari figli dell’uomo. È nostro dovere vivere da esseri divini e lavorare per ottenere che anche attorno a noi si viva la vita divina. È nostro dovere attuare i nostri privilegi soprannaturali e aiutare le anime perché capiscano che esse sono chiamate a « vivere del Dio che abita in loro ».I profani, notava a ragione un autore, sarebbero attirati più facilmente, se invece di lasciare nell’ombra i tratti caratteristici del Cristianesimo,

si mostrassero loro in tutto lo splendore e l’incomprensibile verità che è in essi. – Il P. Gratry, parlando dei nostri doni soprannaturali scriveva: «Se gli uomini fossero davvero compresi della loro realtà, vi penserebbero assai di più. Ma essi, lo so, hanno l’abitudine di passare attraverso le meraviglie senza neppure sospettarne l’esistenza. La presenza di Dio nei nostri cuori non è forse la più grande meraviglia? E chi vi pensa, chi se ne occupa? Non dite loro nulla, osserva Fénelon, essi non vedono e non pensano a nulla » (La philosophie du Credo, p. 220). E intanto! « La vita dell’Ospite divino del cuore è lo stato normale in cui dovrebbero mantenersi tutti i battezzati. Perché non avviene così? Forse appena uno su mille, uno su dieci mila corrisponde al dono di Dio! » (Mons. DE SEGUR: Le Chrétien vivant en Jesus, p. 269).Chi non vede, in ciò, un fatto scoraggiante,un disordine che dovrebbe finire? Che cosa aspettiamo da parte nostra per vivere nello « stato normale » di battezzati, e fare in modo che molti corrispondano al « dono di Dio » ?

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