CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GIUGNO 2020

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA DEL MESE DI GIUGNO 2020

Il mese di Giugno è il mese che la Chiesa Cattolica consacra al

Divin Cuore di Gesù

SCOPO DELLA DIVOZIONE AL SACRO CUORE

L’amore vuole amore. L’amore sconosciuto vuole amoreriparatore.

Quando Gesù mostrava alla beata Margherita Maria il suo cuore infiammato d’amore per gli uomini e, incapace di contenere più a lungo quelle fiamme che lo consumavano, e desideroso di far parte a tutti delle ricchezze del suo . cuore, che cosa voleva? Attirare l’attenzione degli uomini su questo amore, indurli a rendergli omaggio, invitarli ad attingere in questo cuore infinitamente ricco. Se, al dire della santa, egli si compiace grandemente di essere onorato sotto la figura del suo Cuore di carne, che scopo vuole che ci proponiamo nel rendergli questo onore? Si tratta del fine preciso e prossimo della divozione, non già del fine ultimo e generale che è, evidentemente, la gloria di Dio e la santificazione delle anime. – Egli vuole che ci proponiamo di onorare il suo amore e di corrispondergli, rendendo amore per amore. La manifestazione del sacro Cuore alla beata Margherita Maria è la manifestazione dell’amore. Si può dunque collegare tutta la divozione a questo. Da una parte, un amore che reclama corrispondenza d’amore, un amore tenero, esuberante, che vuole ricambio proporzionato d’amore; dall’altra parte l’amore che risponde all’invito dell’amore, l’amore desideroso di non essere troppo al disotto dell’amore immenso che l’ha prevenuto e lo provoca. Se la devozione al sacro Cuore, secondo la parola di Pio VI, ci conduce a venerare l’immensa vita e il prodigo (effusum) amore di nostro Signore per noi, è evidente che ciò serve ad accendere il nostro amore a questo focolare dell’amore. Il che è evidente. Ricorderò qualche testo soltanto per mostrare che è proprio così.

La beata scriveva al P. Croiset : « Mi si mostrava di continuo un cuore che gettava fiamme da ogni parte, con queste parole: Se tu sapessi quanto io abbia sete d’essere amato dagli uomini tu non risparmieresti nulla per questo…. Io ho sete, io ardo dal desiderio d’essere amato ». E precedentemente aveva scritto alla madre de Saumaise: « Egli vivrà malgrado i suoi nemici, e si farà padrone e possessore dei nostri cuori e ne prenderà possesso; perché il fine principale di questa divozione è di convertire le anime all’amor suo ».

[J. V. Bainvel: La devozione al S. CUORE DI GESÙ. Soc. Ed. Vita e Pensiero, Milano, 1919]

Indulgenze per il mese di Giugno:

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Mensis sacratissimo Cordi Iesu dicatus

Fidelibus, qui mense iunio (vel alio, iuxta Rev.mi Ordinari prudens iudicium), pio exercitio in honorem Ssmi Cordis Iesu publice peracto devote interfuerint, conceditur:

Indulgentia decem annorum quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria, si diebus saltem decem huiusmodi exercitio vacaverint et præterea peccatorum veniam obtinuerint, eucharisticam Mensam participaverint et ad Summi Pontificis mentem preces fuderint. Iis vero, qui præfato mense preces vel alia pietatis obsequia divino Cordi Iesu privatim præstiterint, conceditur:

Indulgentia septem annorum semel quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem idem obsequium peregerint; at ubi pium exercitium publice habetur, huiusmodi indulgentia ab iis tantum acquiri potest, qui legitimo detineantur impedimento quominus exercitio publico intersint (S. C. Indulg., 8 maii 1873 et 30 maii 1902; S. Pæn. Ap., 1 mart. 1933).

(A coloro che nel mese di giugno praticano un pio esercizio in onore del Sacro Cuore di Gesù in pubblico, si concedono 10 anni, ed in privato 7 anni, e Indulgen. Plenaria se esso verrà praticato almeno per 10 giorni con le s. c.).

Altre indulgenze ove viene celebrato solennemente il Cuore Sacratissimo di Gesù con corso di predicazione.

Queste sono le feste del mese di

GIUGNO 2020

1 Giugno Die II infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

2 Giugno Die III infra octavam Pentecostes    Duplex I. classis

3 Giugno Feria Quarta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

4 Giugno Die Quinta infra octavam Pentecostes    Semiduplex

5 Giugno Feria Sexta Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                   PRIMO VENERDI

6 Giugno Sabbato Quattuor Temporum Pentecostes    Semiduplex

                 PRIMO SABATO

7 Giugno Dominica Sanctissimæ Trinitatis    Duplex I. classis

9 Giugno Ss. Primi et Feliciani Martyrum    Feria

10 Giugno S. Margaritæ Reginæ Viduæ    Semiduplex

11 Giugno Festum Sanctissimi Corporis Christi    Duplex I. classis

12 Giugno S. Joannis a S. Facundo Confessoris    Duplex

13 Giugno S. Antonii de Padua Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

14 Giugno Dominica II Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                     S. Basilii Magni Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Giugno Ss. Viti, Modesti atque Crescentiæ Martyrum    Feria

18 Giugno S. Ephræm Syri Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

19 Giugno Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex I. classis

20 Giugno S. Silverii Papæ et Martyris    Feria

21 Giugno Dominica III Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                             S. Aloisii Gonzagæ Confessoris    Duplex

22 Giugno S. Paulini Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Giugno In Vigilia S. Joannis Baptistæ    Duplex II. classis *L1*

24 Giugno In Nativitate S. Joannis Baptistæ    Duplex I. classis *L1*

25 Giugno S. Gulielmi Abbatis    Duplex

26 Giugno Ss. Joannis et Pauli Martyrum    Duplex

27 Giugno Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

28 Giugno Dominica IV Post Pentecosten    Semiduplex Dominica minor

                      S. Irenæi Episcopi et Martyris    Duplex

29 Giugno SS. Apostolorum Petri et Pauli    Duplex I. classis *L1*

30 Giugno In Commemoratione S. Pauli Apostoli    Duplex *L1*

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO IX – “BENEFICIA DEI”

« Siamo angosciati dalla visione di tanti gravi mali, specialmente di quelli che mettono in pericolo la salvezza eterna del Nostro popolo: in questa amarezza la cosa per Noi più dolorosa è il non potere, a causa della Nostra libertà conculcata, adoperare i rimedi necessari contro tanti mali … » Questa era le preoccupazione principale del Sommo Pontefice, il grande paladino e custode della fede cristiana Pio IX: la salvezza delle anime dei fedeli, come è giusto che sia, per un Pontefice al quale il Capo della Chiesa ha affidato la cura dei suoi agnelli e delle sue pecore. Questa breve lettera fu scritta dal Santo Padre con inchiostro amaro dopo gli avvenimenti funesti che ne determinarono la perdita della libertà territoriale confinandola tra le strette mura del colle Vaticano « … l’avidità di un Potente vicino desiderò ardentemente le regioni del Nostro potere temporale, antepose ostinatamente i consigli delle sette della perdizione alle Nostre paterne e ripetute ammonizioni e ai Nostri richiami; ultimamente… espugnò con la forza delle armi anche questa Nostra città, che voleva per sé, e la tiene adesso in suo potere, contro ogni diritto, come cosa che gli appartenga »; si, è la nostra Italia ad essere accusata – perché soggiogata dalle sette della perdizione, cioè le logge massoniche che già tenevano saldamente in pugno i regnanti e gli amministratori del Regno dell’epoca – di un misfatto così grave e deleterio per la sua vita sociale, materiale ed infine spirituale. Tutto questo la nostra patria lo ha pagato con guerre, carestie, rivolte sociali, dittatura, stragi e con la perdita di una reale libertà giunta fine all’attuale quadro politico in cui si è instaurata una feroce dittatura mediatica che contraddice a tutte le regole ancorché naturali e biologiche, oltre che costituzionali, e che tutto lascia presumere essere solo l’inizio di ulteriori e più atroci sofferenze fisiche, morali e soprattutto spirituali perché orchestrate da servi più o meno occulti di lucifero, capo del corpo mistico massonico. Questi castighi che i nostri antenati ci hanno procurato e che i loro discendenti hanno pagato e stanno ancor più pagando oggi e pagheranno domani, oltre ad essere accompagnati da costumi abominevoli, quali l’irreligiosità, la sodomia spudorata, gli adulteri e gli aborti che gridano vendetta agli occhi di Dio, hanno il loro apice nell’abbandono della fede cristiana e nella totale scristianizzazione di una società sprofondata in un paganesimo pratico ed una idolatria senza precedenti, nella sovversione totale nel corpo ecclesiastico costituito oggi da invalidi e sacrileghi chierici “muti”, canonicamente senza alcun titolo valido – senza cioè giurisdizione né missione canonica – e che stanno trascinando nella voragine infernale un numero incalcolabile di anime. Aveva ragione allora il Sommo Pontefice Mastai-Ferretti ad essere angosciato, non per la situazione dovuta alle restrizioni della sua libertà personale e di quella di tutta la Chiesa Cattolica ma – facile profeta – per la perdita irreparabile di anime che ne sarebbe seguita per lungo tempo, anime che si sarebbero dannate e si danneranno in eterno.

S. S. Pio IX

Beneficia Dei

I benefici di Dio Ci chiamano a celebrare la sua benignità, mentre manifestano una nuova grazia della sua protezione verso di Noi e la gloria della sua maestà. Infatti già volge al termine il venticinquesimo anno da quando, per disposizione divina, assumemmo l’incarico di questo Nostro Apostolato, le cui travagliate circostanze sono talmente conosciute da Voi da non aver bisogno di un più lungo ricordo da parte Nostra. È evidentissimo, Venerabili Fratelli, per una serie di tanti avvenimenti, che la Chiesa militante seguita il suo cammino fra frequenti lotte e vittorie; davvero Dio guida lo svolgimento delle cose e domina sul mondo, che è lo sgabello dei suoi piedi; davvero si serve spesso di strumenti deboli e spregevoli per compiere con essi i disegni della sua sapienza. – Nostro Signore Gesù Cristo, fondatore e supremo reggitore della Chiesa, che acquistò col suo sangue, con l’ausilio dei meriti del Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, che sempre vive e presiede in questa Sede Romana, si è degnato di sorreggere e di sostenere, in questo lungo periodo del Nostro Apostolico servizio, la Nostra debolezza e pochezza, con la sua grazia e la sua forza, a maggior gloria del suo nome e per l’utilità del suo popolo. Così Noi, sostenuti dal suo divino aiuto e servendoci costantemente dei consigli dei Nostri Venerabili Fratelli Cardinali di Santa Romana Chiesa, e più volte anche dei vostri, Venerabili Fratelli, che insieme foste presenti con Noi qui a Roma in gran numero, adornando questa Cattedra della verità con lo splendore della vostra virtù e dell’unanime pietà, abbiamo potuto nel corso di questo Pontificato, seguendo i desideri Nostri e di tutto il mondo cattolico, proclamare con definizione dogmatica l’Immacolata Concezione della Vergine Genitrice di Dio e decretare gli onori celesti a molti eroi della nostra Religione, l’aiuto dei quali, e soprattutto della divina Madre, non dubitiamo che sarà pronto per la Chiesa Cattolica in tempi tanto avversi. Fu anche in virtù della forza e della gloria divina che potemmo portare la luce della vera fede in regioni lontane e inospitali, mandandovi gli operai evangelici; potemmo costituire l’ordine della Gerarchia ecclesiastica in molti luoghi e bollare con solenne condanna gli errori (forti specialmente in questo tempo), contrari all’umana ragione, ai buoni costumi e alla società tanto cristiana che civile. Sempre con l’aiuto di Dio, procurammo, per quanto potevamo, che la potestà ecclesiastica e la civile, sia in Europa, sia in America, fossero congiunte con un fermo e solido vincolo di concordia; cercammo di provvedere alle molteplici necessità della Chiesa Orientale, che sempre guardammo con paterno affetto fin dall’inizio del Nostro Apostolico ministero; recentemente Ci fu concesso di promuovere ed iniziare il Concilio Ecumenico Vaticano, di cui tuttavia, per le notissime vicende, dovemmo decretare la sospensione, quando i frutti maggiori in parte erano stati raccolti e in parte erano attesi dalla Chiesa. – E neppure, Venerabili Fratelli, mai tralasciammo di eseguire, con l’aiuto di Dio, ciò che richiedevano il diritto e il dovere della Nostra potestà civile. Le congratulazioni e gli applausi, come ricordate, che accolsero gli inizi del Nostro Pontificato, si trasformarono in breve tempo in ingiurie e assalti, così da costringerci a fuggire da questa Nostra dilettissima Città. Ma quando, ad opera degli sforzi comuni dei popoli cattolici e dei Principi, fummo restituiti a questa Sede Pontificia, mettemmo continuamente tutte le Nostre forze e il Nostro impegno per promuovere e assicurare ai Nostri fedeli sudditi quella prosperità solida e non fallace che sempre riconoscemmo come fondamentale compito del Nostro Principato civile. Ma poi, l’avidità di un Potente vicino desiderò ardentemente le regioni del Nostro potere temporale, antepose ostinatamente i consigli delle sette della perdizione alle Nostre paterne e ripetute ammonizioni e ai Nostri richiami; ultimamente, come vi è noto, superata di gran lunga l’impudenza di quel Figliol Prodigo di cui leggiamo nel Vangelo, espugnò con la forza delle armi anche questa Nostra città, che voleva per sé, e la tiene adesso in suo potere, contro ogni diritto, come cosa che gli appartenga. Non può accadere, Venerabili Fratelli, che non siamo molto scossi per questa usurpazione tanto empia che subiamo. Siamo completamente angosciati per l’enorme iniquità di un disegno che mira, distrutto il Nostro potere temporale, a che siano distrutti, con la medesima operazione, la Nostra potestà spirituale e il Regno di Cristo in terra, se ciò potesse avvenire. Siamo angosciati dalla visione di tanti gravi mali, specialmente di quelli che mettono in pericolo la salvezza eterna del Nostro popolo: in questa amarezza la cosa per Noi più dolorosa è il non potere, a causa della Nostra libertà conculcata, adoperare i rimedi necessari contro tanti mali. A queste cause della Nostra afflizione, Venerabili Fratelli, si aggiunge anche quella lunga e miserevole serie di calamità e di mali che per tanto tempo percossero e afflissero la nobilissima Nazione Francese; serie di mali aumentata smisuratamente in questi giorni per i tanti inauditi eccessi commessi da una efferata e sfrenata moltitudine, come l’atroce delitto dell’empio parricidio consumato con l’esecuzione del Venerabile Fratello Vescovo di Parigi; ben capite quali sentimenti devono suscitare in Noi tali delitti, che hanno riempito il mondo intero di paura e di orrore. Infine, Venerabili Fratelli, abbiamo anche un’altra amarezza, perfino superiore alle altre, nel vedere tanti figli ribelli, sottoposti a tante e tanto gravi censure, che, non preoccupandosi affatto della Nostra voce paterna, né della loro salvezza, continuano tuttora a disprezzare il tempo della penitenza offerto da Dio, e preferiscono superbamente sperimentare l’ira della divina vendetta piuttosto che il frutto della misericordia, fin che sono in tempo. – Ma ormai, attraverso tante vicissitudini, con la protezione di Dio clementissimo, vediamo giunto il giorno anniversario della Nostra esaltazione al Soglio pontificio nel quale – come succedemmo nella Sede di San Pietro, benché infinitamente inferiori ai suoi meriti – risultiamo essergli uguali nella durata del servizio Apostolico. Questo è davvero un nuovo, singolare e grande dono della divina bontà, concesso dalla volontà di Dio solo a Noi, in un così lungo elenco di santissimi Nostri Predecessori per il lungo periodo di diciannove secoli. Anche in questo riconosciamo una più ammirabile benevolenza divina verso di Noi, quando vediamo che in questo tempo Noi siamo stati considerati degni di patire persecuzione per la giustizia, e quando osserviamo quel meraviglioso affetto di devozione e di amore che anima potentemente il popolo cristiano su tutta la terra, e lo spinge con unanime sentimento a questa Santa Sede. Poiché questi doni furono conferiti a Noi così immeritevoli, impegniamo tutte le Nostre deboli forze per esprimere il Nostro ringraziamento nel debito modo. Perciò, mentre chiediamo all’Immacolata Vergine Madre di Dio che ci insegni, con il suo medesimo spirito, a rendere gloria all’Altissimo con quelle sublimi parole “Grandi cose fece in me l’Onnipotente“, preghiamo istantemente anche Voi, Venerabili Fratelli, ad elevare con Noi a Dio, insieme alle greggi a Voi affidate, cantici ed inni di lode e di ringraziamento. “Magnificate il Signore con me“, diciamo con le parole di Leone Magno, ed esaltiamo il suo nome a vicenda, affinché tutte le grazie e le misericordie che ricevemmo, tornino a lode del loro Autore. Comunicate poi ai vostri popoli il Nostro ardente amore e i gratissimi sentimenti del Nostro animo per le loro bellissime testimonianze di pietà filiale verso di Noi e per i doveri compiuti così a lungo e con tanta perseveranza. Noi infatti, per quanto Ci riguarda, potendo usurpare a buon diritto le parole del Vate del Re “Il mio abitare è stato prolungato“, con l’aiuto delle vostre preghiere ormai desideriamo questo, cioè conseguire la forza e la fiducia di rendere la Nostra anima al Principe dei Pastori, nel cui seno sono il refrigerio ai mali di questa vita turbolenta e travagliata e il beato porto dell’eterna tranquillità e della pace. – Perché poi torni a maggior gloria di Dio quanto per sua benevolenza si aggiunse ai benefici del Nostro Pontificato, aprendo in questa occasione il tesoro delle grazie spirituali, diamo a Voi, Venerabili Fratelli, la potestà, ciascuno nella propria Diocesi, d’impartire la Benedizione Papale con annessa indulgenza plenaria, come usa fare la Chiesa, con la consueta Nostra autorità Apostolica, il sedici o il ventuno di questo mese o in altro giorno a vostra scelta. Desiderando poi provvedere al bene spirituale dei fedeli, con la presente lettera concediamo nel Signore che tutti i Cristiani, tanto secolari che regolari di entrambi i sessi, in qualunque luogo della vostra Diocesi si trovino, i quali, purificati dalla confessione sacramentale e nutriti della santa comunione, eleveranno a Dio devote preghiere per la concordia dei Principi cristiani, l’estirpazione delle eresie e l’esaltazione della Santa Madre Chiesa nel giorno che voi avrete designato o scelto per impartire la predetta Benedizione per Nostra autorità (oppure, nelle Diocesi in cui sia vacante la Sede Episcopale, i Vicari Capitolari del tempo avranno scelto o designato) possano ottenere l’indulgenza plenaria di tutti i loro peccati. Non dubitiamo affatto che in questa occasione il popolo cristiano sia stimolato con maggiore efficacia a pregare, e così per le preghiere moltiplicate meritiamo di ottenere quella misericordia che la visione di tanti mali presenti non Ci permette d’invocare celermente. –  Per Voi nel frattempo, Venerabili Fratelli, chiediamo a Dio Onnipotente costanza, speranza celeste e ogni consolazione, e di queste cose vogliamo che sia auspicio e testimonianza della Nostra particolare benevolenza la Benedizione Apostolica, che impartiamo con tutto il Nostro cuore a Voi, al Clero e al popolo affidato a ciascuno di Voi.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 4 giugno, giorno sacro alla Santissima Trinità, dell’anno 1871, venticinquesimo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI PENTECOSTE (2020)

DOMENICA DI PENTECOSTE (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro in Vincoli.

Doppio di I Cl. con Ottava privilegiata di I ord. –  Paramenti rossi

Il dono della sapienza è un’illuminazione dello Spirito Santo, grazie alla quale la nostra intelligenza contempla le verità della fede in una luce magnifica e ne prova una grande gioia ».

P. MESCHLER.

Gesù aveva posto le fondamenta della Chiesa durante la sua vita apostolica e le aveva comunicato i suoi poteri dopo la sua Resurrezione. Lo Spirito Santo doveva compiere la formazione degli Apostoli e rivestirli della forza che viene dall’Alto (Vangelo). Al regno visibile di Cristo succede il regno visibile dello Spirito Santo, che si manifesta scendendo sui discepoli di Gesù. La festa della Pentecoste è la festa della promulgazione della Chiesa; perciò si sceglie la Basilica dedicata a S. Pietro, capo della Chiesa, per la Stazione di questo giorno. Gesù, ci dice il Vangelo, aveva annunciato ai suoi la venuta del divin Paracleto e l’Epistola ci realizzazione di questa promessa. All’ora Terza il Cenacolo è Investito dallo Spirito dì Dio: un vento impetuoso che soffia improvvisamente intorno alla casa e l’apparizione di lingue di fuoco all’interno, ne sono i segni meravigliosi. — Illuminati dallo Spirito Santo (Orazione) e riempiti dall’effusione dei sette doni, (Sequenza), gli Apostoli sono rinnovati e a loro volta rinnoveranno il mondo intero (Introito, Antifona).E la Messa cantata all’ora terza, è il momento in cui noi pure « riceviamo lo Spirito Santo, che Gesù salito al cielo, effonde in questi giorni sui figli di adozione ». (Prefatio), poiché ognuno dei misteri liturgici opera dei frutti di grazia nelle anime nostre nel giorno anniversario in cui la Chiesa lo celebra. Durante l’Avvento, dicevamo al Verbo: «Vieni, Signore, ad espiare i delitti del tuo popolo»; ora diciamo con la Chiesa allo Spirito Santo: Vieni, Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli e accendi in noi il fuoco dell’amor tuo » (Alleluia). È la più bella e la più necessaria delle orazioni giaculatorie, poiché lo Spirito Santo, il « dolce ospite dell’anima », è il principio di tutta la nostra vita soprannaturale.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Sap I: 7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja.

[Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII: 2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto].

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja

[Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

Orémus.

Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.

[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concedici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.]

Lectio

Léctio  Actuum Apostolórum. Act. II: 1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilæi sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” 

Omelia I

LA VENUTA DELLO SPIRITO SANTO

A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – [Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

“Giunto il giorno della Pentecoste, i discepoli si trovavano tutti insieme nel medesimo luogo. E all’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. E apparvero ad essi delle lingue come di fuoco, separate, e se ne posò una su ciascuno di loro. E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Ora abitavano in Gerusalemme Giudei, uomini pii, venute da tutte le nazioni che sono sotto il cielo. Quando si udì il rumore la moltitudine si raccolse e rimase attonita perché ciascuno li udiva parlare nella sua propria lingua. E tutti stupivano e si meravigliavano, e dicevano: «Ecco, non son tutti Galilei, questi che parlano? E come mai, li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Parti, Medi ed Elamiti, e abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle regioni della Libia in vicinanza di Cirene, e avventizi romani, Giudei e Proseliti, Cretesi e Arabi li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue delle grandezze di Dio”. (Atti II, 1-11).

Dopo l’Ascensione di Gesù Cristo al cielo, gli Apostoli con Maria madre di Gesù e con altre pie donne e discepoli, in tutto 120, si erano ritirati nel cenacolo. Vi perseveravano nella preghiera da dieci giorni, quando la mattina del di della Pentecoste, la solennità delle messi e della promulgazione della Legge che gli Ebrei celebravano cinquanta giorni dopo Pasqua, avvenne il fatto della discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, come è narrato nel capo secondo degli «Atti degli Apostoli». La venuta dello Spirito Santo:

1. Illumina e infiamma gli Apostoli,

2. Che danno principio alla loro missione,

3. La quale produce effetti diversi.

1.

All’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso, e riempì tutta la casa, dove quelli sedevano. Era ancor mattina, e sugli Apostoli, che con Maria e i discepoli sono radunati nel cenacolo, scende lo Spirito Santo promesso. Gesù Cristo aveva posto il fondamento della Chiesa, aveva insegnato la dottrina che gli Apostoli avrebbero fatta conoscere; aveva loro data la missione determinata di portare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra; ma il sorgere della Chiesa fuori dalle fondamenta non si vedeva ancora. La mente degli Apostoli, che per tre anni sono stati alla scuola del Redentore, è ancora avvolta nelle nubi dell’oscurità e nella nebbia dei pregiudizi. La mattina stessa dell’Ascensione, mentre Gesù dà loro le ultime istruzioni, essi domandano:«Signore, in questo momento ricostruirai il regno d’Israele?» (Act. I, 6) interpretando materialmente le profezie sul regno di Gesù Cristo. Dovevano andare per tutto a predicare il Vangelo, ma intanto non osavano comparire per Gerusalemme. Perché si manifestasse la vita della Chiesa, era necessario il Battesimo dello Spirito Santo, promesso dal Fondatore. E lo Spirito Santo discende, manifestandosi all’improvviso con forte rumore di vento gagliardo. Al battesimo di Gesù lo Spirito Santo discende sotto forma di colomba, simbolo di innocenza, di semplicità, di riconciliazione. Adesso la sua discesa si manifesta con l’azione di un vento forte e sotto il simbolo del fuoco. Come un vento gagliardo, che tiri dai monti, dopo lunghe giornate di maltempo, spazza via le nubi e riconduce il sereno,e pare che abbia mutato la faccia del creato; parimenti la discesa dello Spirito Santo sopra gli Apostoli, cambierà, a così dire, il loro aspetto; li trasformerà. La risurrezione di Cristo e la sua Ascensione non erano bastate a togliere dall’animo loro ogni tristezza. Ora, lo Spirito Santo spazza via dall’animo loro ogni nube di mestizia, e vi porta il sereno. Gesù Cristo aveva detto agli Apostoli: «Ho ancora molte cose da dirvi ma per ora sono sopra la vostra capacità. Quando verrà lo Spirito di verità, Egli vi insegnerà tutta la verità (Giov. XVI, 12-13). Lo Spirito Santo non avrebbe insegnato agli Apostoli altra verità che quella insegnata da Gesù Cristo; « ma era necessario che la loro capacità si accrescesse, e che fosse moltiplicata la costanza di quella carità che scaccia ogni timore, e non teme il furore dei persecutori » (S. Leone M. Serm. 76, 5). Lo Spirito Santo che scende sotto la forma di fuoco farà una cosa e l’altra. Quelli che prima non potevano intendere pienamente le verità più chiare, che Gesù Cristo loro insegnava, ora comprendono i misteri più profondi. Il loro interno è purificato: non più gelosia, non più ambizione. La loro volontà è infiammata: ora non sentono che un bisogno; quello di uscire in pubblico a confessare Gesù.

2.

E tutti furono ripieni di Spirito Santo, e cominciarono a parlare varie lingue, secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi. Gesù Cristo aveva predetto: «Coloro che avran creduto… parleranno lingue nuove» (Marc. XVI, 17). Il miracolo comincia precisamente nel giorno natalizio della Chiesa, e comincia sulle labbra degli Apostoli nel momento che sono ripieni di Spirito Santo. Non avevano mai studiato l’arte del dire, e si dimostrano eloquentissimi. Non avevano mai imparato alcuna lingua, e ora se ne fanno intendere in parecchie con la più grande sicurezza. La cosa è così portentosa che riempie di meraviglia gente di varia condizione e di ogni regione, convenuta a Gerusalemme per la festa di Pentecoste. Sebbene costoro non parlino tutti la stessa lingua, tutti intendono il linguaggio degli Apostoli. Quante sono le lingue parlate da quella moltitudine, tante sono le lingue in cui gli Apostoli si fanno intendere. E questi forestieri si fanno la domanda: «Non son tutti Galilei questi che parlano? E come mai li abbiamo uditi, ciascuno di noi, parlare la nostra lingua nativa? Avrebbero potuto anche aggiungere: Non sono questi dei poveri pescatori? E come mai si dimostrano così eloquenti? Non sono quegli stessi che dal loro Maestro ebbero il rimprovero: «Non conoscete e non intendete ancora? Avete il cuore accecato? Avendo occhi non vedete, e avendo orecchi non udite?» (Marc. VIII, 17-18). E come mai adesso parlano con tanta sicurezza delle grandezze di Dio? Non sono costoro i medesimi che nella notte della passione fuggirono abbandonando Gesù, che più tardi si rinchiusero nel cenacolo per paura degli Ebrei? E come mai adesso rivolgono la parola agli Ebrei con tanta intrepidezza? La spiegazione è molto facile. Adesso sono ripieni di Spirito Santo. La Chiesa doveva estendersi a tutto il mondo; ma questo non doveva avvenire d’un tratto. Il suo Fondatore l’aveva paragonata a un albero che cresce, mano a mano, e si sviluppa fino al punto da raccogliere sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra. Se nel giorno della Pentecoste la Chiesa, nel suo nascere, non raccoglie sotto i suoi rami le nazioni di tutta la terra, manifesta, però, subito il suo carattere universale col fatto delle lingue parlate dagli Apostoli. Non è più, come per il passato, la sola lingua ebraica l’interprete della grandezza e della volontà di Dio. Sulla bocca degli Apostoli sono consacrate tutte le lingue parlate dall’umanità. Oggi gli Apostoli parlano le lingue delle varie nazioni che sono rappresentate a Gerusalemme: i loro successori parleranno altre lingue ancora, via via che gli scopritori di nuove terre additeranno altri popoli allo zelo dei missionari. E verrà il giorno, (il giorno in cui ci sarà un solo ovile e un solo pastore), che tutti i popoli della terra magnificheranno le grandezze di Dio, come nel giorno di Pentecoste le magnificarono gli Apostoli.« La Chiesa oggi incomincia da Gerusalemme e si dilata fra tutte le nazioni… Dovunque risuonano le voci degli Apostoli, che rendono testimonianza della nostra speranza nell’unità del corpo di Cristo» (S. Agost. En. in Ps. CXLVII, 20). E le voci degli Apostoli con la loro testimonianza, continueranno a risuonare senza affievolirsi. La forza che le vivifica non verrà mai meno. La loro forza vivificatrice non viene dagli uomini; viene dall’alto, dallo Spirito Santo.

3.

I forestieri convenuti a Gerusalemme, e che assistono al grande miracolo che si compie sulle labbra degli Apostoli, dichiarano candidamente: li abbiamo uditi parlare nelle nostre lingue le grandezze di Dio. «E tutti si stupivano ed erano pieni di meraviglia, dicendo l’uno all’altro: «Che vuol esser questo?». Ma altri schernendo dicevano: «Sono pieni di vino» (Att. II, 12-13). – Uomini retti, dalla mente non offuscata dalle passioni, non possono spiegare il grande avvenimento, ma ne ammettono l’importanza. «Che vuol essere questo?» Alla vista delle meraviglie che si compiono riflettono, e si prestano docili all’azione della grazia. E quando San Pietro avrà parlato di Gesù Cristo crocefisso e risorto, entreranno numerosi nella Chiesa. Di fianco a questi, però, ci sono i beffardi, che trattano gli Apostoli da ubriachi. Ciò che non si comprende, si mette in ridicolo. Qui, poi, lo scherno passa ogni misura. « Quanta audacia, quanta empietà, quanta sfacciataggine attribuire all’ubriachezza il dono stupendo delle lingue! » (S. Giov. Crys. In Act. Ap. Hom. 4, 3)). Questo modo di trattare il Cristianesimo al suo apparire non è stato più abbandonato. I beffardi dei nostri giorni non fanno che ripeterlo. Si chiamano spiriti illusi, menti deboli, fanatici, coloro che professano coraggiosamente la Religione Cattolica e si mostrano figli devoti della Chiesa. La prova di queste affermazioni? Non è più forte di quella degli Ebrei, quando chiamavano ubriachi, alle nove del mattino, gli Apostoli, proprio nel momento che operavano cose meravigliose. Questo differente contegno di fronte alle cose meravigliose operate dagli Apostoli, ripieni dello Spirito Santo, sarà ancor più spiccato quando San Pietro, in compagnia di Giovanni, guarirà uno storpio. Quei del popolo, « tutti glorificavano Dio per quello che era avvenuto » (Act. IV, 21); e molti di loro, dopo un secondo discorso di San Pietro, abbracciano la fede cristiana. Quei del Sinedrio sono pure testimoni del miracolo, che non possono mettere in dubbio. « E’ noto a tutti — dicono — che un miracolo evidente è avvenuto per opera loro, e non possiamo negarlo » (Act,. IV, 16); ma l’odio acceca. Quando Pietro dichiara che il miracolo è stato compito nel nome di Gesù Cristo, invece di credere in Lui, intimano a Pietro e a Giovanni di non parlare o insegnare in alcun modo nel nome di Gesù; e alla intimazione aggiungono le minacce. Ma gli Apostoli non hanno nulla da temere, poiché è con loro lo Spirito Santo. Tornati dal Sinedrio assieme con gli altri Apostoli e discepoli domandano a Dio: «E ora guarda alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunciare con tutta libertà la tua parola». E terminata la preghiera « tutti quanti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano con franchezza la parola di Dio » (Act. IV, 29-31). – Lo Spirito Santo non abbandonerà mai la Chiesa. Uno dopo l’altro scenderanno nella tomba i banditori del regno di Gesù Cristo, ma questo, assistito dallo Spirito Santo, continuerà ad estendersi. Il Beato Cottolengo si trovava un giorno in udienza dal Re Carlo Alberto. Questi si mostrava trepidante per la sorte della Piccola Casa il giorno che il Fondatore fosse passato all’altra vita. Stando i due personaggi vicino a una finestra del Palazzo Reale, si poteva vedere benissimo il cambio della guardia che avveniva precisamente allora. Il Beato fa un cenno al Re e gli dice: «Maestà, vede là sulla piazza che si cambia la sentinella al portone del palazzo? Un soldato bisbiglia all’orecchio del compagno una parola, questo si ferma coll’archibugio sulla spalla, quell’altro se ne va e, senza che a palazzo nessuno se ne sia accorto, la guardia continua come prima. Così, sarà per la Piccola Casa. Io sono un nulla; quando la Divina Provvidenza lo voglia, dirà una parola ad un altro che verrà a prendere il mio posto e farà la guardia. E la Piccola Casa continuerà la sua strada meglio di prima (M. C. Luigi Anglesio, primo successore del b. G. B. Cottolengo, Torino, 1921, p. 28-29). Fino alla fine del mondo la Chiesa avrà sempre nemici implacabili che al suo espandersi opporranno ostacoli d’ogni genere. Di fronte a costoro lo Spirito Santo susciterà sempre nuovi campioni che prendono il posto di quelli che vanno a ricevere la corona. Noi seguiamo costoro. Anzi, preghiamo lo Spirito Santo che tocchi l’animo nostro, come il giorno della Pentecoste toccò l’animo degli Apostoli e dei primi fedeli. «Il solo suo toccare è insegnare. Poiché egli muta l’animo umano appena lo illumina: d’un tratto lo trasforma da quello che era, e subito lo fa diventare quello che non era» (S. Greg. M. Hom. 20, 8).

ALLELUJA

Allelúja, allelúja

Ps CIII: 30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja.

[Manda il tuo Spírito e saran creati, e sarà rinnovata la faccia della terra. Allelúia.

[Hic genuflectitur:]

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

[Vieni Spirito Santo, riempi i cuori dei tuoi fedeli: ed accendi in essi il fuoco del tuo amore]

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus,

et emítte cælitus lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium.

Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium.

 In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium.

O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium.

Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium.

 Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium.

Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium.

Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

[Vieni, o Santo Spírito,
E manda dal cielo,
Un raggio della tua luce.

Vieni, o Padre dei poveri,
Vieni, datore di ogni grazia,
Vieni, o luce dei cuori.

O consolatore ottimo,
O dolce ospite dell’ànima
O dolce refrigerio.

Tu, riposo nella fatica,
Refrigerio nell’ardore,
Consolazione nel pianto.

O luce beatissima,
Riempi l’intimo dei cuori,
Dei tuoi fedeli.

Senza la tua potenza,
Nulla è nell’uomo,
Nulla vi è di innocuo.

Lava ciò che è sòrdito,
Irriga ciò che è àrido,
Sana ciò che è ferito.

Piega ciò che è rigido,
Riscalda ciò che è freddo,
Riconduci ciò che devia.

Dà ai tuoi fedeli,
Che in te confidano,
Il sacro settenario.

Dà i meriti della virtú,
Dà la salutare fine,
Dà il gaudio eterno.
Amen. Allelúia. ]

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joannes XIV: 23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”

“In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: Chiunque mi ama, osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e noi verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole. E la parola, che udiste, non è mia: ma del Padre, che mi ha mandato; queste cose ho detto a voi, conversando tra voi. Il Paracleto poi, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel nome mio, Egli insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che ho detto a voi. La pace lascio a voi; la paco mia do a voi; ve la do Io non in quel modo, che la dà il mondo. Non si turbi il cuor vostro, né s’impaurisca. Avete udito, come io vi ho detto: Vo, e vengo a voi. Se mi amaste, vi rallegrereste certamente perché ho detto, vo al Padre: conciossiaché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso prima che succeda: affinché quando sia avvenuto crediate. Non parlerò ancor molto con voi: imperciocché viene il principe di questo mondo, e non ha da far nulla con me. Ma affinché il mondo conosca, che Io amo il Patire, e come il Padre prescrissemi, così fo” (Jo. XIV, 23- 31) .

OMELIA II

[M. Billot, Discorsi parrocchiali, II ediz. S. Cioffi ed. Napoli, 1840 – impr. ]

Sopra il dono dello Spirito Santo

“Repleti sunt omnes Spiritu Sancto”, Act. II

Giunto il giorno di Pentecoste, cioè il giorno in cui gli Ebrei celebravano la festa della pubblicazione della legge da Mosè fatta, che era il cinquantesimo giorno dopo la loro liberazione dall’Egitto, e il cinquantesimo pure dopo la risurrezione di Gesù Cristo, il decimo dopo la sua Ascensione, giunto questo giorno, e adunati gli Apostoli insieme coi Discepoli nel luogo ove Gesù Cristo aveva loro detto di raccogliersi per aspettare la venuta dello Spirito Santo, udirono ad un tratto venir dal cielo come lo strepito d’un Vento impetuoso che fece rimbombare tutto il cenacolo dove erano. Nello stesso momento videro comparire come delle lingue di fuoco disperse che si fermarono sopra ciascuno d’essi; tutti allora furono ripieni dello Spirito Santo e cominciarono a parlare diverse lingue: Repleti sunt omnes Spiritu Sancto et cœperunt loqui variis lìnguis. Tale è, Cristiani, il mistero che noi celebriamo in questo giorno, mistero ineffabile che è l’adempimento delle promesse di Gesù Cristo, il fine della sua misericordia, il frutto de’ suoi meriti, e che mette il colmo all’ineffabile carità d’un Dio verso gli uomini. Il Padre eterno ci aveva dato il suo Figliuolo, il quale erasi dato Egli stesso per nostra redenzione: che cosa restava per consumar l’opera della nostra salute e rendere la nostra felicità perfetta se non che lo Spirito Santo, che procede dal Padre e dal Figliuolo e che è uguale all’uno e all’altro, si desse Egli stesso a noi, siccome Gesù Cristo aveva promesso ai suoi Apostoli d’inviarlo sulla terra per santificare il mondo? Si è dunque in questo giorno che il divino Spirito, il quale sino allora non erasi comunicato che con le sue grazie, si comunica in Persona; si è in questo giorno ch’Egli riempie non solamente gli Apostoli, ma tutta la terra d’una presenza intima e particolare che si fa sentir con i benefizi più segnalati. Spiritus Domini replevit orbem terrarum. – Si è in questo giorno che questo divino Spirito viene a scolpire la sua legge, non più sulla pietra come altre volte, ma nel cuore degli uomini coi tratti dell’amore più tenero, più liberale. Si è in questo giorno finalmente che sopra le rovine della sinagoga s’innalza una città santa, una nuova Chiesa che comincia a manifestarsi a tutte le nazioni della terra, che sono testimoni dei prodigi dallo Spirito Santo operati per mezzo degli Apostoli. E perciò noi, dobbiamo, fratelli miei, riguardare questa festa, come la nascita della Chiesa; perché gli è in questo giorno che gli Apostoli, divenuti uomini affatto nuovi, hanno pubblicato il Vangelo in una maniera più strepitosa che sin allora non s’era fatto. Benediciamo il Signore di questo favore immenso; ma adoperiamo nello stesso tempo a renderci degni delle grazie che lo Spirito Santo è venuto a spargere sopra gli uomini. Mentre non è solamente ai soli Apostoli ch’Egli si è comunicato, ma si comunica ancora a tutte le anime che sono ben disposte a riceverlo. Vi ho mostrato domenica scorsa ciò che conviene fare per questo; vediamo in quest’oggi gli effetti ch’Egli produce nelle anime ben apparecchiate. Qual è la felicità di un’anima che riceve lo Spirito Santo? Primo punto. A quali segni possiamo noi riconoscere, se l’abbiamo ricevuto? Secondo punto.

I. Punto. Noi non possiamo meglio, fratelli miei, conoscere la felicità di un’anima che riceve lo Spirito Santo e gli ammirabili effetti che vi produce, che da quelli che produsse negli Apostoli allorché scese su di essi. Ora se noi consideriamo le circostanze del mistero di questo giorno, quanti prodigi non vi scopriamo operati dalla virtù di quel divino Spirito? Egli fa primieramente annunziare la sua venuta con lo strepito d’un vento impetuoso che fa rimbombare tutta la casa ove erano gli Apostoli; figura ammirabile dello zelo di cui veniva a riempirli, Egli li rese cosi ardenti per la gloria del loro divino Maestro che, simili a nuvole spinte dal soffio veemente dell’Onnipotente, li fece volare sino all’estremità della terra per d’una dottrina affatto celeste. Lo Spirito Santo comparisce in appresso sopra gli Apostoli in forma di fuoco; altra figura ancora molto sensibile delle meraviglie ch’Egli opera in essi; mentre è proprio del fuoco d’illuminare, di scaldare, di penetrare, di purificare la materia cui egli si attacca; nello stesso modo lo Spirito Santo veniva ad illuminare gli Apostoli con la sua luce, ad infiammarli col suo ardore, a purificarli delle imperfezioni cui erano soggetti prima della sua venuta. Questi sono gli effetti ch’Egli produce nelle anime che lo ricevono d’una maniera, la quale sebbene meno sensibile, non è però meno reale; Egli le illumina, le infiamma, le santifica. Che erano gli apostoli prima della venuta dello Spirito Santo? Uomini semplici e grossolani, che non sapevano altra cosa che l’arte di condurre una barca. Egli è vero ch’erano stati istruiti alla scuola di Gesù Cristo, il quale aveva loro spiegato per tre anni la verità del regno di Dio. Ma il loro spirito era involto da sì dense tenebre che, non ostanti le istruzioni ricevute dal loro divino Maestro, nulla essi comprendevano dei molti misteri che loro Egli proponeva: Et erat verbum istud absconditum ab eis (Luc. XVIII). Essi si scandalizzavano dei patimenti, non volevano credere la Risurrezione, diffidavano delle promesse che loro aveva fatte, a tal segno che Gesù Cristo medesimo, prima di salire al cielo, fece ad essi rimproveri sopra la loro incredulità e la durezza del loro cuore: Exprobravit incredulitatem eorum, et duritiam cordis (Luc. XXIV). Quest’ignoranza degli Apostoli era accompagnata da molta debolezza e timidità. Essi ne diedero ben chiare prove nel tempo della passione del Salvatore; poiché taluni l’abbandonano, uno lo rinnega alla sola voce d’una fantesca; e sebbene Gesù Cristo fosse risuscitato ed avesse loro dati manifesti segni della sua risurrezione, se ne stavano nascosti né ardivano comparire in pubblico per tema della persecuzione de’ Giudei. – Ma che furono gli apostoli dopo la discesa dello, Spirito Santo? Essi divennero uomini affatto nuovi, furono illuminati dalle più sublimi cognizioni, istruiti nei misteri. Lo Spirito Santo che ricevettero insegnò loro, secondo le promesse di Gesù Cristo tutte le verità della sua religione, tutta la perfezione della sua morale, tutta l’estensione delle sue massime. Ripieni di quel divino Spirito che svela tutto ciò che avvi di più oscuro essi appresero in un momento tutto ciò che i più dotti uomini dell’antichità non avevano giammai potuto sapere con lo studio di più secoli. Qui, fratelli miei, si verifica quel che il Signore aveva predetto per uno dei suoi profeti, che Egli spargerebbe il suo Spirito sopra ogni carne: Effundam spiritum super omnem carnem; che i figliuoli, farebbero da profeti, avrebbero visioni, e i vecchi dei sogni che stupirebbero coloro che udissero: Filii vestri prophetabunt (Joel. 2). – Quale strano e meraviglioso spettacolo, vedere e udire quei poveri pescatori, all’uscir del cenacolo dove avevano ricevuto lo Spirito Santo annunziare a popoli innumerevoli, radunati in Gerusalemme da diversi climi del mondo, le verità più sublimi, i misteri più nascosti, la dottrina più santa farsi intendere da essi in ogni sorta di lingue, benché non le avessero giammai imparate! Il che cagionò tale stupore in quei popoli che meravigliati si domandavano gli uni agli altri: Come può egli darsi che questi uomini che sono Galilei, che non furono giammai nelle nostre contrade, parlino la lingua di ciascuno di noi? Quomodo nos audivimus unusquisque linguam nostram in qua nati sumus (Act. II)? Noi Parti, Medi, Elamiti,noi che abitiamo la Mesopotamia,la Giudea, la Cappadocia, il Ponto, l’Asia,la Frigia, la Panfilia, l’Egitto…Romani, Arabi, noi li abbiamo tutti intesi nella nostra lingua annunziare le meraviglie di Dio: Audivimus eos loquentes nostris linguis magnalia Deti (Ib.). Questa fu, fratelli miei, la meraviglia che diede subito un sì grande accrescimento,alla religione cristiana, chela divulgò, per così dire, in un sol giorno per tutto l’universo; poiché quei popoli convertiti dai discorsi degli Apostoli,sopraffatti dalle meraviglie che avevano vedute ed intese, le annunziarono successivamente quando furono nei loro paesi, pubblicarono questa religione ela fecero abbracciare a coloro che l’ignoravano. Or chi aveva reso gli Apostoli sì sapienti per annunziare questa santa religione, se non lo Spirito Santo che li aveva illuminati della sua luce divina, che aveva snodate le loro lingue per parlare con tutta eloquenza? Egli aveva data loro una scienza superiore a quella dei più dotti filosofi, che furono essi convinti, ed obbligati di arrendersi alle verità che intendevano. Confessiamo, fratelli miei, che non appartiene che allo Spirito Santo di fare in sì poco tempo simili discepoli, o più tosto sì dotti maestri. Or non fu solamente del dono della scienza, che lo Spirito Santo riempì gli Apostoli; esso li fortificò ancora di una forza affatto divina per sostenere le verità che dovevano annunziare al mondo. Qual differenza infatti tra ciò che erano gli Apostoli prima della discesa dello Spirito Santo e ciò che furono dopo averlo ricevuto? Quegli uomini grossolani, deboli e timidi, che non ardivano per lo innanzi farsi vedere, comparvero arditamente avanti alle potenze della terra più formidabili: loro annunziarono con santa libertà la religione di Gesù Cristo, senza che le minacce dei grandi, il rigore dei supplizi, il timore della morte più orribile fossero capaci d’intimorirli. Ben lungi dal temere la persecuzione e dal fuggirla, si stimano felici e sono trasportati da allegrezza perché sono stati trovati degni di soffrire pel nome di Gesù: Ibant gaudentes…. quoniam digni habiti sunt prò nomine Jesu contumeliam pati (Act. V). Affrontano il furore dei tiranni, vanno incontro ai supplizi e alla morte, trionfano colla loro pazienza dei più crudeli persecutori, confermano col sangue la religione che predicano ed ispirano il loro coraggio a quelli che debbono loro succedere, nello stesso ministero. Donde è venuta, fratelli miei, questa forza che gli Apostoli hanno mostrato per lo stabilimento della religione di Gesù Cristo? Si è la virtù divina e la possanza dello Spirito Santo che gli ha sostenuti; è il suo ardore che li ha animati, fortificati; ed è questo ardore medesimo questa medesima possanza che ha sostenute altresì schiere innumerabili di martiri che camminando sulle tracce degli Apostoli, hanno sparso il loro sangue per la gloria di Gesù Cristo e del suo Vangelo. Ecco gli ammirabili effetto che questo divino Spirito ha prodotti nei primi seguaci della santa religione che noi professiamo.Non ne dubitate, fratelli miei; le operazioni dello Spirito Santo non hanno avuto fine nei soli Apostoli, ed in quelli che li hanno seguiti nel loro ministero. Questo divino Spirito si comunica alle anime che sono ben disposte a riceverlo; Egli le illumina con la sua luce, le infiamma col suo ardore, le fortifica con le sue grazie. Egli le illumina con la sua luce, comunicando loro i doni di sapienza, d’intelletto, di scienza e di consiglio. Egli fortifica la loro volontà coi doni di fortezza, di pietà di timor di Dio: doni ammirabili di cui voglio io darvi una succinta spiegazione. –

Il dono della sapienza che lo Spirito Santo dà all’anima è una cognizione della vanità delle cose della terra, cognizione che le fa dispregiare i beni passeggieri per non attaccarsi che ai beni eterni, ch’ella giudica soli degni delle sue ricerche e delle sue premure. Dono di sapienza che il re Salomone preferiva a tutte le ricchezze e a tutti i regni del mondo, præposui sapientiam regnis et sedibus (Sap. VII), perché  trovava in essa tutto ciò che può fare la felicità dell’uomo. Questa sapienza gli faceva vedere che quaggiù tutto non è che vanità ed afflizione di spirito, e che la sola cosa che non è vanità, si è di amare e di servir Dio: vanitas vanitatum, et omnia vanitas (Eccl. 1). Questo è, fratelli miei, ciò che lo Spirito Santo vi fa vedere di tempo in tempo quando vi apre gli occhi sul nulla degli onori, dei beni e dei piaceri del mondo, che non fanno che passare e sono incapaci di contentare il cuore dell’uomo; quando v’inspira il desiderio d’una felicità più degna di voi e v’insegna i mezzi di pervenirvi. Il dono dell’intelletto è una conoscenza dei misteri della fede, di cui lo Spirito Santo istruisce un’anima nella quale Egli fa la sua dimora, insegnandole le verità della religione cristiana e quanto le è necessario per adempiere i doveri dello stato in cui è impegnata. Il dono della scienza è un lume soprannaturale che lo Spirito Santo sparge nell’anima del giusto, che gl’insegna l’uso che deve fare delle cose di questo mondo, per non impiegarle che nel fine che Dio si è proposto creandole: cioè, per servirsene unicamente a sua gloria e a nostra salute. Finalmente il dono del consiglio, con cui lo Spirito Santo rischiara l’intelletto, è un giusto discernimento ch’Egli ci dà dei mezzi che ci conducono al nostro ultimo fine, per non confondere il bene col male, per saperci determinare nei casi particolari ove convien operare, per distinguere la vera virtù da quella che è solo apparente e che non è secondo Dio. – Dopo aver illuminato il nostro intelletto su di ciò che dobbiamo fare, lo Spirito Santo fortifica la nostra volontà per farcelo eseguire, comunicandoci i doni di fortezza, di pietà e di timor di Dio. Dono della fortezza, che c’innalza al di sopra di noi medesimi per farci superare gli ostacoli che s’incontrano nelle vie della salute, che ci fa trionfare delle tentazioni e vincere i nostri nemici, che c’induce a quella santa violenza che convien farsi per la pratica delle virtù e per guadagnare il regno dei cieli. Dono della fortezza, che ci sostiene nelle tribolazioni della vita, le quali ci opprimerebbero col loro peso, senza l’unzione salutare che lo Spirito Santo vi sparge, ma che divengono leggieri per le dolci consolazioni con cui questo divino Spirito ne tempera le amarezze. Dono della pietà, che ci rende soavi e felici gli esercizi della religione, che ci fa adempiere i nostri doveri a riguardo di Dio e del prossimo; a riguardo di Dio, ch’ella ci fa rispettare e rispettarlo come nostro vero Padre, a riguardo del prossimo, ch’ella ci fa amare come nostro fratello, rendendogli tutti i servigi che da noi dipendono. Dono del timor di Dio, che ci ritira e c’impedisce dal far cosa alcuna che possa dispiacergli, che ci fa risguardare il peccato come il più gran male che ci possa accadere. Con questo timore di Dio noi ci solleviamo al di sopra dei rispetti umani, noi dispregiamo le minacce degli uomini, che possono perdere i nostri corpi, per ubbidire a Colui che può perdere il corpo e l’anima per tutta un’eternità. – Mi rimane a dirvi come lo Spirito Santo santifichi l’anima in cui Egli viene a fare la sua dimora. Si è non solamente spargendo in quest’anima la grazia santificante, la carità abituale, che la rende amica di Dio, erede del regno eterno: Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum (Rom V), ma ancora correggendola de’ suoi difetti e purgandola delle imperfezioni che le restano anche nello stato di grazia. Oimè! fratelli miei, a quanti difetti siamo noi sottoposti! Qual fondo d’orgoglio nella nostra anima! Quante ricerche di noi medesimi! Quanta vanità! Quanto amor proprio! Qual propensione per tutto ciò che lusinga i nostri sensi! Quale avversione per tutto ciò che ci disgusta e fa soffrire la nostra natura! Qual felicità a trasportarci, a sdegnarci contro coloro che ci fanno qualche dispiacere! Or lo Spirito Santo che abita in un’anima ne corregge i difetti, ne rettifica le inclinazioni perverse. Come il fuoco purifica il ferro, così lo Spirito Santo purifica un’anima: di carnale e terrena che ella era, Egli la rende affatto celeste, la stacca da tutti gli oggetti creati, rompe le catene che la tenevano prigione per innalzarla sino a Lui e rendersene il solo padrone; Egli la trasforma, per così dire, in Sé stesso, comunicandole le virtù che la rendono per partecipazione ciò ch’Egli è per natura. Il candore, l’innocenza, la mansuetudine, l’umiltà, la carità, la pazienza, la bontà, la modestia, la continenza, la castità sono i frutti ch’Egli in essa produce, dice l’Apostolo s. Paolo, e che l’anima medesima produce d’accordo con questo divino Spirito, che è in essa il principio di tutte le sue buone azioni. Sì, fratelli miei, se noi facciamo qualche poco di bene, si è allo Spirito Santo che noi lo dobbiamo; Egli è che comincia e compie in noi la grand’opera della nostra predestinazione: Egli è, dice s. Leone, che fa versare le lagrime dei penitenti, che produce i sospiri dei supplicanti, che domanda anche per noi con gemiti ineffabili, dice l’Apostolo: Postulat prò nobis gemitibus inenarrabilibus (Rom. VIII). Egli è questo divino Spirito che ispira a tante anime sante, i cui esempi ci edificano, quel generoso staccamento dai beni della terra, quella rinuncia a se stesso, quell’amor della croce, quel fervore nel servigio di Dio, che noi ammiriamo in coloro che hanno abbandonato il mondo, ed anche in coloro che vivono nel mondo. Son questi, fratelli miei, gli effetti che lo Spirito Santo ha in voi prodotti? Oimè, forse si troverebbe tra voi chi dir potrebbe come quei popoli che, essendo richiesti se l’avevano essi ricevuto, risposero che non sapevano neppure se eravi un Santo Spirito! Io voglio credere che voi non siate in questa ignoranza; voi sapete che lo Spirito Santo è la terza Persona della Santissima Trinità, Dio eguale al Padre e al Figliuolo; voi sapete le meraviglie ch’Egli ha operate per la santificazione degli uomini. Ma avete provate in voi queste meraviglie? Siete voi al presente in uno stato di santità? Potete voi accertare con la testimonianza della vostra coscienza che lo Spirito Santo abita in voi? Lo conoscerete ai segni ch’io sono per darvene.

II. Punto. Siccome è proprio dello Spirito di Dio, di scacciare dai nostri cuori lo spirito del mondo, di darci la forza per combatterlo, d’unire i cuori dei fedeli coi legami d’una perfetta carità e d’ispirarci un santo ardore per il servizio di Dio, a questi segni, fratelli miei, voi potete riconoscere se avete ricevuto lo Spirito Santo; saranno altresì mezzi efficaci di conservarlo, se ricevuto l’avete. – Noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, dice l’Apostolo, ma lo Spirito di Dio, che il mondo non può ricevere, non spiritum huius mundi accepimus (1 Cor. II). Questi due spiriti sono incompatibili l’uno con, l’altro; le loro leggi e le loro massime sono interamente opposte. Perciò, fratelli miei se voi avete ricevuto lo Spirito di Dio, non dovete seguire lo spirito del mondo. – Bisogna necessariamente appartenere all’uno o all’altro. Niuna neutralità avvi a serbare; esaminate dunque quale di questi due spiriti vi anima, e conoscerete quello a cui appartenete; per saperlo, convien conoscere i loro differenti caratteri. – Che cosa è lo spirito del mondo? Egli è uno spirito d’orgoglio e di dominio, uno spirito d’interesse, uno spirito di immortificazione, nemico della penitenza e delle croci. Questi sono i tre mobili che lo guidano e che sono, dice s. Giovanni, le tre sorgenti della corruzione e della riprovazione del mondo. Primo carattere dello spirito del mondo si è lo spirito d’orgoglio e di dominio, che non cerca d’innalzarsi, che non s’occupa che d’idee di grandezza, che è idolatra della gloria e degli onori del secolo, che, non mai contento di ciò che ha, ambisce sempre ciò che non ha, e dice sempre, come il primo degli spiriti ribelli: Ascendam, io salirò ancora più alto. Spirito d’ostentazione, che si compiace di far pompa di ciò che ha di brillante, che si manifesta nel lusso delle vesti, nella magnificenza delle suppellettili, nelle novità delle mode, e con un esteriore autorevole di cui si serve per abbagliare i suoi partigiani. Spirito d’indipendenza, che non riconosce alcuna subordinazione, si sottrae all’autorità più legittima, dispregia le leggi più sacre; che cerca anche di scuotere il giogo della fede, combatte con una pertinace resistenza le verità della religione. Tali sono gli estremi a cui lo spirito del mondo conduce coloro che se ne lasciano predominare. – Ah! che lo Spirito di Dio ispira sentimenti molto diversi ad un’anima che Egli conduce! Questi sono sentimenti d’umiltà la più profonda, che fugge la gloria e gli onori, per non cercare che le umiliazioni; che invece di comparire e manifestarsi per via di ciò che può fargli onore, non cerca che di nascondersi per involare agli occhi del mondo ciò che può attribuire qualche gloria; che cammina con candore e semplicità, né cerca di farsi ammirare, né contesta le precedenze, e cede volentieri ai sentimenti altrui. Un’anima condotta dallo Spirito di Dio, invece di sollevarsi contro le autorità, di combattere la verità, si sottomette con docilità al giogo che le viene imposto, crede senza esitare le verità che la religione insegna; ella non parla, non opera che per la gloria del suo Dio. Tali furono le disposizioni in cui si trovarono gli Apostoli dopo avere ricevuto lo Spirito Santo. Essi non ebbero che del dispregio per i plausi e gli onori del mondo; si fecero gloria della umiliazione; ben lungi dal disputare sulla precedenza, si riguardarono come la feccia del mondo; tamquam purgamenta huius mundi (Cor. IV), e non ebbero altra ambizione che di procurare gloria a Dio coi loro discorsi e con le loro fatiche: loquebantur magnalia Dei. – Sono questi, fratelli miei, i vostri sentimenti? Preferite voi l’obbrobrio e l’umiliazione della croce alla gloria del mondo? Non cercate voi punto meritare sua stima e i suoi applausi? Amate voi piuttosto l’ultimo posto che il primo? Siete voi indifferenti alle lodi come ai dispregi? Non cercate voi in ogni cosa che la gloria di Dio? Se è così, voi avete ricevuto il suo divino Spirito; Egli fa in voi la sua dimora, e voi lo conserverete sinché avrete questi sentimenti: ma se l’orgoglio, la vanità signoreggia nel vostro cuore, è lo spirito del mondo che vi conduce. E che dovete aspettarvi? Schiavi del mondo, voi perirete col mondo. Voi conoscerete ancora se avete uno spirito d’interesse, che è il secondo carattere dello spirito del mondo, opposto allo Spirito di Dio. Su di che s’aggirano infatti tutti i progetti che si formano nel mondo? A che vanno a finire i passi della maggior parte degli uomini? Non hanno di mira che l’interesse; le ricchezze sono l’idolo cui tutto sacrificano: in esse ripongono la loro felicità, e non stimano felici che quelli cui prodiga la fortuna i suoi favori, riguardando come infelici coloro che sono nella povertà e nell’indigenza. Quando i ricchi sono i soli onorati, laddove gli altri sono nell’obbrobrio e nel dispregio. – Ma lo Spirito di Dio c’insegna a pensare  molto diversamente sui beni del mondo. Questo divino Spirito, che Gesù Cristo ci ha inviato per insegnare le massime del suo Vangelo, ci dice che beati sono i poveri perché di essi è il regno de’ cieli; disgraziati sono i ricchi, perché le ricchezze sono un grande ostacolo per entrare in quel regno. Per la qual cosa c’inspira il dispregio delle ricchezze e l’amore della povertà. Tali furono i sentimenti ch’Egli inspirò agli Apostoli e ai primi discepoli della religione. Gli Apostoli che avevano lasciato tutto per seguire Gesù Cristo, non vivevano che delle limosine che lorio facevansi, e passarono tutta la loro vita nella povertà. I primi Cristiani nulla possedevano di proprio, ma vendevano tutto quel che avevano per recarne il prezzo ai piedi degli Apostoli ad essere distribuito a ciascuno secondo i suoi bisogni. Ecco sino a qual punto portavasi il disinteressamento nella primitiva Chiesa, perché seguivansi i movimenti dello Spirito Santo. Esaminate dunque, fratelli miei, se voi siete animati da questo divino Spirito, dalle disposizioni in cui vi siete trovati a riguardo dei beni del mondo. Per verità Dio non esige da voi che vi spogliate dei vostri beni , come i primitivi Cristiani, con una rinuncia reale ed effettiva, ma bisogna almeno staccarne il cuore, di modo che voi siate tanto indifferenti per le ricchezze quanto per la povertà; voi nulla apprezzare dovete apprezzare le cose create, Dio solo deve fare il vostro tesoro: Or se voi siete poveri, siete voi contenti in quello stato? Se siete ricchi, qual uso fate dei vostri beni? Ne impiegate voi il superfluo a soccorrere i poveri? Siete voi pronti ad abbandonare ogni cosa, se Dio da voi lo richiede? E quando vi accade qualche sinistro accidente, qual è la vostra sommissione alla volontà di Dio che così permette? A questi segni voi conoscerete se avete lo Spirito di Gesù Cristo, che è uno spirito di povertà. Ma se siete sempre avidi dei beni, se soffrite mal volentieri le perdite che quando la fortuna vi è favorevole, è segno che lo spirito del mondo regna in voi e non lo Spirito di Dio. – Terzo carattere dello spirito del mondo, opposto a quello di Gesù Cristo, spirito d’immortificazione e di mollezza, nemico della penitenza e delle croci. Basta per esserne convinti di esaminare la vita dei mondani. Qual sollecitudine a soddisfare le loro brame, quali precauzioni per procurarsi i piaceri della vita! Quale indulgenza a lusingare la carne e a procurarle tutto ciò ch’ella domanda; qual violenza si fanno per reprimere le loro inclinazioni sregolate! Tutta la loro vita non è che un cerchio di divertimenti, che si succedono gli uni agli altri. Dopo essersi renduti colpevoli di molti delitti, non pensano in nessun modo a farne penitenza; lasciano la mortificazione a coloro che vivono nel ritiro: quanto ad essi si credono in diritto di vivere nell’allegrezza e nei piaceri. – Ma quanto le massime dello Spirito di Dio sono esse opposte a quelle del mondo! Questo divino Spirito, che porta la divisione sino nelle potenze dell’anima, come dice s. Paolo, reprime non solo le inclinazioni sregolate, ma mortifica ancora le più legittime; Egli inspira l’abnegazione di se stesso, la mortificazione dei sensi  l’amore della penitenza e delle croci. Un’anima condotta da questo divino Spirito si fa una violenza continua per correggersi dei suoi difetti; per ridurre le sue passioni in ischiavitù, essa si abbandona ai rigori della penitenza, ed abbraccia con piacere tutte le croci che il Signore le presenta, ed è così, fratelli miei, che voi combattete contro di voi medesimi per fare penitenza dei vostri sregolamenti, per reprimere le vostre malvage inclinazioni? Amate voi la mortificazione e le croci? Se la cosa va così, voi avete ricevuto lo Spirito Santo; e se persistete nelle vostre sante pratiche, Egli dimorerà con voi. Ma se vivete secondo la carne, se non la sottomettete allo spirito, se accordate alle vostre passioni tutto ciò che esse domandano, se la penitenza e le croci vi disgustano, voi non siete animati a quella vita divina che lo Spirito Santo comunica alle anime che lo ricevono, voi siete all’opposto in uno stato di morte, perché avete estinto in voi lo spirito della vita con le vostre resistenze alle sue grazie, voi non gli appartenete più, ma appartenete allo spirito delle tenebre, che è divenuto vostro padrone: Vos ex patre diaboli estis! Qual disgrazia, fratelli miei! Potete voi pensarvi senza fremere, e non fare ogni sforzo per rompere i vostri legami e ricuperare la libertà dei figliuoli di Dio? Si richiede per ciò della forza: ma lo Spirito Santo ve la darà; si è da questa virtù medesima che voi conoscerete se l’avete ricevuto. Io vi ho fatto vedere, fratelli miei, la forza che lo Spirito Santo comunicò agli Apostoli, ch’Egli rese intrepidi in mezzo delle più crudeli persecuzioni e superiori alle minacce, ai supplizi e alla morte più spietata. Tali sono gli effetti che produce in un’anima che l’ha ricevuto. Se voi avete questa sorte sosterrete la causa di Dio contro tutti gli sforzi del mondo, vi renderete superiori al rispetto umano, ai motteggi, alle persecuzioni degli uomini; vi opporrete al torrente dei cattivi costumi, reprimerete il vizio in coloro che vi sono soggetti, vi farete gloria della virtù avanti a coloro che la dispregiano; difenderete la gloria della vostra religione innanzi a quelli che l’attaccano. Ecco quel che lo Spirito Santo esige da un’anima cui Egli si comunica. Ma se voi non ardite dichiararvi per la verità, né prendere il partito della virtù per tema di dispiacere agli uomini, se un rispetto umano vi chiude la bocca mentre convien parlare; se per timidi riguardi, e per una falsa prudenza applaudite alle passioni altrui, se commendate il vizio in quelli che dovete riprendere, per tema d’incorrere la loro disgrazia; se non praticate la virtù che sin tanto che avete l’applauso del mondo, e l’abbandonate tosto che siete esposti alle censure degli uomini; ah! voi dovete giudicare che non avete punto ricevuto quello Spirito di fortezza che comparve nei primi Cristiani, quello che fu in s. Paolo, che non si riguardava più come discepolo di Gesù Cristo qualora avesse la disgrazia di piacere agli uomini: si hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. 1). No, dice questo grande Apostolo, noi non abbiamo ricevuto uno spirito di timidità, ma uno spirito di forza e di fermezza per sostenerci nella pratica del bene contro le false massime del mondo, contro le persecuzioni degli uomini: Non dedit nobis spiritum timoris, sed virtutis (2 Tim. 1).Finalmente, fratelli miei, lo Spirito Santo è uno Spirito di pace, che unisce i cuori coi legami d’una perfetta carità. Unione sì grande tra i primi Cristiani che facevano tutti un cuore solo ed un’anima sola. A questo segno voi conoscerete ancora se possedete questo divino Spirito; se vivete in pace col vostro prossimo, con quei medesimi che sono nemici della pace, se sopportate pazientemente gli affronti, le ingiurie, se perdonate ai vostri nemici e se rendete del bene a coloro che vi fanno del male, voi siete la dimora dello Spirito Santo. Ma se siete in dissensione col vostro prossimo, se seminate la discordia tra i vostri fratelli con i vostri cattivi rapporti, non è lo Spirito di Dio che vi conduce, è lo spirito del demonio, che non ama che la dissensione e la discordia. Si può forse dire che lo Spirito di Dio abiti in quelle case dove non s’odono che risse e contese, dove il marito e la moglie sono sempre in litigio, vomitando l’uno contro l’altra le ingiurie più atroci con grande scandalo dei figliuoli? No, questo divino Spirito non si trova nella discordia e nelle divisioni: non in commotione. Dominus (3 Reg. 19). Volete voi, fratelli miei, possederlo nelle vostre case, nei vostri cuori? Vivete in pace gli uni con gli altri, seguite in tutto gl’impulsi dello Spirito Santo; ch’Egli sia il principio ed il fine di tutti i vostri progetti e di tutte le vostre azioni; adempite con fervore tutti i vostri doveri: perché lo Spirito Santo non si compiace in un cuore che fa l’opera di Dio negligentemente: Egli richiede un cuore che agisca per amore, perché Egli è tutto amore. Egli è un fuoco che è sempre nell’azione e che comunica all’anima la sua attività: tosto che voi cesserete d’operare, l’estinguerete, lo soffocherete: siccome il fuoco si estingue da che si cessa di dargli materia, così lo Spirito Santo cesserà di essere in voi se non opererete con Lui. Quand’anche evitaste il male, la sola inazione, la negligenza a fare il bene saranno capaci d’allontanarlo da voi. Ma se ritrova in voi dei ministri che seguano la sua attività, Egli vi condurrà di virtù in virtù alla gloria eterna. Così sia.

Credo …

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/

Offertorium

Orémus – Ps LXVII: 29-30

Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quæsumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda.

[Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo].

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/

Communio

Acts II: 2; 4

Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

Orémus.

Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia] .

https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/

https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

TEMPO DI PENTECOSTE

TEMPO PASQUALE – 3.

I. — Commento dogmatico: Pentecoste.

Pasqua e Pentecoste, coi cinquanta giorni intermedi sono considerate come formanti una sola festa. In essa si celebra prima il trionfo di Cristo, poi il suo ingresso nella gloria e finalmente, al cinquantesimo giorno, l’anniversario della nascita della Chiesa. La Risurrezione. l’Ascensione e la Pentecoste appartengono al mistero pasquale. « Pasqua è stata il principio della grazia, la Pentecoste ne è il compimento », dice S. Agostino, poiché le Spirito Santo vi completa l’opera di Cristo. E l’Ascensione, posta al centro di questo trittico del Tempo pasquale, unisce queste due  feste. Con la sua risurrezione Gesù Cristo ci ha reso i nostri diritti alla vita divina, e alla Pentecoste lì applica alle anime nostre comunicandoci il suo « Spirito Vivificatore ». Ma per fare ciò doveva prima prendere possesso del regno che aveva conquistato « Lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era ancora stato glorificato », dice S. Giovanni (VII, 39). L’Ascensione de’ Signore è infatti il riconoscimento ufficiale dei suoi titoli di vittoria; essa costituisce per la sua umanità la corona di tutta l’opera sua di redenzione e per la Chiesa il principio della sua esisterne e della sua santità. « L’Ascensione, scrive Dom Guéranger, è il mistero intermedio fra Pasqua e Pentecoste. Da una parte essa è il compimento della Pasqua, ponendo il Dio-Uomo vincitore della morte a capo della Chiesa e alla destra del Padre; dall’altra, determina l’invio dello Spirito Santo sulla terra ». « Il nostro bel mistero dell’Ascensione segna il limite fra i due regni divini quaggiù, il regno visibile del Figlio di Dio e il regno invisibile dello Spirito Santo. « Se io non me ne vado, il Paracleto non verrà a voi », dichiara Gesù ai suoi Apostoli: ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò (Giov. XVI, 7). II Verbo Incarnato ha finito la sua missione esterna presso gli uomini, lo Spirito Santo sta per cominciare la sua, poiché DioPadre ha non solo mandato il Suo Figlio incarnato per ricondurci a Lui, ma anche Io Spirito Santo, che « procede dal Padre e dal Figlio »  e che si rivelò al mondo con segni visibili: lingue di fuoco, vento impetuoso, ecc. — «II Padre fa tutto per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo », dice S. Atanasio. Cosi quando l’Onnipotenza di Dio Padre ci si manifesta nella creazione del mondo, leggiamo nella Genesi che « Io Spirito di Dio si muoveva sulle acque per renderle feconde (Benedizione del Fonte). Quando ci si manifesta la sapienza del Verbo, di nuovo lo dobbiamo allo Spirito Santo. Egli ha « parlato per mezzo dei profeti », è la sua virtù che ha coperto della sua ombra la Vergine Maria e l’ha resa Madre di Gesù. Lo stesso Spirito Santo sotto forma di colomba, scese su Gesù Cristo al momento del battesimo, lo condusse nel deserto e lo guidò in tutta la sua vita di apostolato. — Ma lo Spirito di santità inaugura l’impero sulle anime soprattutto colmando gli Apostoli di luce e di forza nel giorno della Pentecoste. – « Nello Spirito Santo la Chiesa è battezzata » nel Cenacolo « il soffio suo vivificante dà la vita al corpo mistico di Cristo, organizzato da Gesù dopo la sua Risurrezione ». Cosi il Redentore, soffiando sugli Apostoli aveva detto loro: «Ricevete lo Spirito Santo, saranno rimessi i peccati a quelli ai quali li rimetterete » e come è noto, lo Spirito Santo è chiamato «la remissione dei peccati (Postcomm. del martedì) e il battesimo che ha per iscopo di purificare le anime dai loro peccati è conferito « nell’acqua e nello Spirito Santo ». « Esci da quest’anima, spirito immondo », dice il sacerdote che battezza, cedi il posto allo Spirito Consolatore. Questo Spirito guarisce con la sua grazia le anime nostre e le eleva (la grazia è insieme sanans et elevans); sottrae quindi l’uomo dalla morte alla quale questi non era capace di sottrarsi da sé. In grazia sua, le anime sono soprannaturalizzate e l’influenza soprannaturale di questo Spirito può e deve vivificare tutti i loro pensieri e tutte le loro azioni, poiché, come la vita del corpo proviene dalla unione del corpo con l’anima, così pure la vita dell’anima proviene dall’unione dell’anima con lo Spirito di Dio per mezzo della grazia santificante, (S. Ireneo e S. Clemente di Alessandria). «L’uomo riceve la grazia mediante lo Spirito Santo », dice San Tommaso (S. Th. Ia IIæ, q. 112). La grazia è la soprannaturalizzazione di tutto il nostro essere, in quanto cheè «una certa partecipazione della Divinità nella creatura ragionevole » . Inoltre là dove è la grazia vi è pure Colui che ne è l’Artefice divino, e perciò la Chiesa chiama lo Spirito Santo « dolce ospite dell’anima nostra », Colui che feconda la nostra attività con « la sua intima azione ». Questo Spirito compie l’opera di formazione degli Apostoli. « Egli vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quello che Io vi ho detto » dice Gesù (Giov. XIV, 26) . E ciò lo fa non solo illuminando l’intelligenza, ma anche purificando e riscaldando i cuori. La Chiesa lo chiama «luce dei cuori» e spesso durante questa settimana fa allusione a questa purificazione e a questo ritempramento della volontà, che permettono all’intelligenza di contemplare verità con maggior luce. «Chiunque fa il male, dice il Vangelo del lunedi, odia la luce e non viene alla luce per tema che le opere siano biasimate. Ma colui che compie la verità viene alla luce, in modo che le opere sue siano manifeste, perché sono state fatte in Dio ». Dimodoché lo Spirito Santo viene a render testimonianza a Cristo, come il Maestro lo aveva annunziato. E questa testimonianza Egli la rende non solo internamente con l’azione della sua grazia nei cuori, ma anche esteriormente servendosi della gerarchia visibile. E così nel corso della settimana di Pentecoste la liturgia parla costantemente dell’infusione della grazia dello Spirito Santo e insieme della predicazione della fede in Gesù. La testimonianza dello Spirito Santo nell’anima fa eco a quella che Gesù Cristo rende a se stesso per mezzo della Chiesa; negare, quindi la divinità di Gesù Cristo e la sua Risurrezione, che la Chiesa insegna, è un peccato contro lo Spirito Santo, peccato che porta già in sé una sentenza di riprovazione: « iam iudicatus est», dice Nostro Signore. Da  questo Spirito verrà, attraverso ai secoli, quella meravigliosa forza dottrinale e mistica, personificata nel Cenacolo dall’apostolo Pietro. Lo Spirito Santo, che ispirò gli autori sacri (2 Piet. I, 21), assicura al Papa e ai Vescovi, riuniti intorno a quest’ultimo, l’infallibilità dottrinale, che permette alla Chiesa docente di continuare la missione di Gesù. Lo Spirito Santo dà ai Sacramenti istituiti da Gesù la loro efficacia; lo Spirito Santo suscita anche, al di fuori dela gerarchia, anime fedeli che si prestano docilmente alla sua azione santificante; questa santità, è giustamente attribuita alla terza Persona della SS. Trinità, che è l’amore personale del Padre e del Figlio. La volontà è infatti santa quando non vuole se non il bene, ond’è che lo Spirito che procede eternamente dalla volontà divina identificata col bene, vien chiamato Santo e quindi Egli legando la nostra volontà alla volontà di Dio, è Colui che rende santi. – Così il Credo, dopo che dello Spirito Santo, ci parla della santa Chiesa, della Comunione dei Santi, della Risurrezione della carne che è il frutto della Santità e la sua manifestazione nei nostri corpi, e finalmente, della vita eterna che è la pienezza della Santità nelle anime nostre. Questa vita soprannaturale pervade i nostri cuori soprattutto nella festa della Pentecoste che ci ricorda la presa di possesso della Chiesa da parte dello Spirito Santo e che conferma, ogni anno più stabilmente, il suo regno divino nelle anime nostre. La Pentecoste celebra dunque non solo l’avvento dello Spirito Santo, ma anche l’ingresso della Chiesa nel mondo divino , dice San Paolo, « per Cristo abbiamo accesso presso il Padre nello Spirito Santo » (Ef. II, 18) . Questo anniversario della promulgazione della legge mosaica sul Sinai diventa per tutti i Cristiani quello della istituzione della nuova legge, nella quale riceviamo « non più lo spirito di servitù, ma lo spirito di adozione di figli, il che ci dà diritto a chiamare Dio nostro Padre ». La legge di Mosè mostrava quello che bisognava fare, ma non dava la forza dicompierlo, lo Spirito Santo al contrario fa conoscere la legge Evangelica e dà le grazie necessarie per metterla in pratica, poiché l’amore è il segreto della obbedienza. La Pentecoste non è quindi solamente un anniversario, ma è una vita, è la discesa dello Spirito Santo in noi; e la devozione allo Spirito Santo è il pegno della nostra santità.

II. Commento storico: Pentecoste.

Prima della sua Ascensione al cielo Gesù aveva comandato aglii Apostoli « di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendervi la promessa del Padre », cioè l’effusione dello Spirito Santo. Al ritorno dal Monte degli Ulivi, i discepoli, in numero di centoventi, ritornarono al Cenacolo « dove tutti perseverarono unanimi nella preghiera con le donne e Maria, madre di Gesù » (Act. I, 14) . Dopo questa novena, la più solenne di tutte, ebbe luogo l’avvenimento miracolosoche coincidette provvidenzialmente con la festa ebraica della Pentecoste. « Questo giorno grandissimo e santissimo (Lev. XXIII, 21) era per Israele l’anniversario della promulgazione della Legge sul Sinai.Così un gran numero di forestieri, accorsi da ogni parte a Gerusalemme, furono testimoni dell’avvento dello Spirito Santo. Circa le nove del mattino « venne all’improvviso dal cielo un rumorecome di vento gagliardo che riempì tutta la casa in cui erano gli Apostoli. E apparvero ad essi delle lingue distinte, come di fuoco, e si posarono sopra ciascuno di loro. E furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare linguaggi vari, secondo che lo Spirito Santo dava ad essi di favellare» (Act. II, 2-4). Cosi, la Chiesa, « rivestita della forza celeste » (S. Luc. XXIV, 49), comincia a Gerusalemme l’opera di Apostolato che Gesù le ha affidata. Pietro, capo degli Apostoli, prende la parola davanti alla moltitudine e, diventato « pescatore di uomini» (S. Marc. I, 17), porta, con una sola retata circa tremila neofiti alla Chiesa nascente. I giorni seguenti, i Dodici si riuniscono sotto il portico di Salomone e, come il Maestro divino, predicano il Vangelo e guariscono i malati. Così «presto aumentò la moltitudine di uomini e donne che credevano nel Signore».  Poi, recatisi fuori dalla Giudea, gli Apostoli andarono ad annunziare Cristo e a dare lo Spirito Santo ai Samaritani, e quindi a tutti i Gentili »

III. — Commento liturgico: Pentecoste.

Il cinquantesimo giorno che seguì il passaggio dell’Angelo sterminatore e la traversata del Mar Rosso, il popolo ebreo si accampò ai piedi del Sinai e Dio gli diede solennemente la sua legge. Le feste della Pasqua ebrea e della Pentecoste che ricordavano questo doppio avvenimento, erano le più importanti dell’anno. Milletrecento anni più tardi, la festa di Pasqua è segnata dalla morte e dalla risurrezione di Gesù e quella di Pentecoste (cinquanta giorni dopo, come lo indica la parola Pentecosles) dalla discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Queste due feste, divenute cristiane sono le più antiche del Ciclo liturgico che deve ad esse la sua origine. Esse portano rispettivamente i nomi di Pasqua «bianca «e di « Pasqua rossa ». Pentecoste è dunque la maggior festa dell’anno dopo quella di Pasqua, ed ha quindi la sua Vigilia e la sua Ottava privilegiata; vi si leggono gli Atti degli Apostoli, poiché è l’epoca della fondazione della Chiesa di cui questo libro sacro ci narra le origini, e con questo si imita quello che si osserva nella Settimana di Pasqua. Comincia una vita nuova e conviene da questo momento leggere le Nuove Scritture. Il Nuovo Testamento del resto mette l’Antico in piena luce, mostrando che in esso tutto era figura (vedi: Orazione della 2a Profezia) e nella Messa della Domenica di Pentecoste e in quella dell’Ottava, la Legge Antica e la Nuova, le Sacre Scritture e la Tradizione, i Profeti, i Padri della Chiesa e gli Apostoli fanno eco alla parola del Maestro. Tutte queste parti si combinano tra loro, come i vari pezzi di un mosaico, di modo che presentano davanti all’anima un quadro meraviglioso che sintetizza l’azione dello Spirito Santo nel mondo attraverso tutti i secoli. E per mettere ancor più in rilievo questo magnifico capolavoro, la liturgia lo incornicia, per cosi dire, di tutto l’apparato esterno delle sue sacre cerimonie dei suoi riti simbolici. Il sacerdote è rivestito di paramenti rossi, colore che ricorda le lingue di fuoco e simbolizza la testimonianza del sangue che gli uomini dovranno rendere al Vangelo per virtù dello Spirito Santo. Anticamente, in alcune chiese, si faceva piovere dall’alto della cupola, durante il canto del Veni sancte Spiritus, una pioggia di rose rosse, mentre una colomba svolazzava al disopra dei fedeli, donde il grazioso nome di Pasqua di rose dato alla Pentecoste nel XIII secolo. Qualche volta anche, per maggiormente marcare l’imitazione scenica, si suonava la tromba durante la Sequenza per ricordare la tromba del Sinai, o il fragore in mezzo a cui lo Spirito Santo discese sugli Apostoli. In questo modo il Cristiano era immerso nell’atmosfera speciale che caratterizza il tempo di Pentecoste e riceveva una novella effusione dello Spirito Santo. La liturgia celebra questo mistero ad esclusione di qualunque altra festa durante tutta l’Ottava, per impedirci di distrarne il pensiero. Il desiderio della Chiesa, dunque, è chiaramente espresso: vederci scegliere in questi otto giorni, per soggetto dì meditazione o di pie letture testi che si riferiscano alla Pentecoste. Quale migliore preparazione o ringraziamento per la comunione, per esempio, che il canto o la recita della Prosa o Sequenza di Pentecoste, uno degli esempi più belli di poesia cristiana? — Con l’ora del Nona del Sabato nell’Ottava della Pentecoste termina il Tempo Pasquale, cominciato alla Messa del Sabato Santo.

LO SCUDO DELLA FEDE (113)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884

PARTE PRIMA

CAPO XXIV.

L’astrologia giudiziale non ha ragione su cui si fondi.

I . Se i genetliaci hanno a risaper dalle stelle qualche poco degli eventi futuri, o liberi, o casuali, convien di necessità, che le stelle ne sieno, o segni, o cagioni; non avendo esso altre voci da palesarli. Ma le stelle non sono né cagioni, né segni di tali eventi; adunque è manifesto, che i genetliaci non possono dalle stelle risaper nulla degli eventi futuri, o liberi, o casuali, neppur da lungi. Tutta la difficoltà si riduce a mostrar per vera la minore proposizione; non si potendo contendere la maggiore, se non da chi non la intenda. Dunque mostriamola con levar prima alle stelle la virtù loro attribuita di sogni, giacché la godono a torto.

I.

II. E qui addimando: Se elleno sono segni delle vicissitudini umane, che segni sono i segni naturali, quale è l’iride della serenità, o segni, come dicono, a piacimento, quali sono la tromba e il tamburo della battaglia? Naturali non sono, perché, se fossero tali, non potrebbe non avvenire tutto ciò che da loro è significato. Ed ecco tolta in tal caso la contingenza, e con la contingenza il libero arbitrio, (mentre all’uomo tanto sarebbe il divertire ciò che di lui dicono i cieli, quanto il distogliere i cieli da’ loro corsi); eccovi l’uomo, non più uomo, ma bruto, e bruto guidato con freno d’oro bensì, ma però più forte: onde possa un puledro sperar di rompere quella cavezza che il priva di libertà, ma non lo possa già sperare un mortale, nato al comando: eccovi il destino funesto: eccovi il diamante fatale: eccovi tutte a terra le leggi più venerabili, come inette: ed eccovi alla giustizia cadute da una mano le bilance che ci ha, dall’altra la spada: le bilance, come inutili a pesare i meriti proceduti da forza; la spada, come iniqua a punire i falli. E però chiaro a chi ritiene scintilla ancor di discorso, che le stelle non possono essere segni naturali de’ fatti umani. E se non sono qual dubbio v’è, che non possono ne meno dirgli in confidenza agli astrologi, checché questi si vantino di saperli sì per minuto?

III. Saranno dunque segni imposti da libera istituzione: Sicché quel Dio, che antivede le cose prima che avvengano, abbia congegnati i pianeti con sì bell’arte, che questi col fuggirsi, coll’incontrarsi, coll’intrecciarsi, e col muoversi in tante guise, formino un’istoria del vivere di ciascuno in quel vasto cielo, che egli però distese a guisa di pelle: Extendens cælum sicut pellem (Ps. 103,2). Così le stelle non inducono alcuna necessità, ma sono meri interpreti del futuro, come sono i profeti: onde a saper ciò che dicano, basta intenderli.

IV. Un tal rispondere non può in prima valere per gli ateisti, perché essi negano la cura a Dio delle cose. Per quelli poi che l’ammettono, non può stare, perché se le stelle sono segni istituiti dalla provvidenza divina a farci antivedere sì il nostro male, come dunque Dio non c’invita a una scuola riguardevole di prudenza, con esortarci a leggere in quel suo libro continuamente, o a cercare chi vi legga per noi se non lo intendiamo? Anzi Egli non fa altro che ritirarci da tale studio, con metterlo in derisione. A chi sperava assai dalle stelle (e fu Babilonia) Stent, disse egli, stent, et salvent te augures cœli, qui contemplabantur siderei, et supputabant menses, ut ex eìs annuntiarent ventura tibi – si presentino e ti salvino gli astrologi che osservano le stelle, i quali ogni mese ti pronosticano che cosa ti capiterà.(Is. XLVII. 13). Ed a chi ne temeva (ed era Gerusalemme) A signis, disse, a signis cæli nolite metuere, quæ timent gentes – … e non abbiate paura dei segni del cielo, (Ier. X, 2). Se dunque per avviso di Dio medesimo non dobbiamo noi regolarci da tali segni, né a sperar bene, né a temer male, che segni sono? Sicuramente non sono segni da Dio istituiti a significarcelo, ma segni finti dagli uomini a lor piacere; onde che resta a noi far più di quei libri, i quali ci dichiarano tali segni? Resta gettarli sul fuoco. Tanto fecero quei gentili, convertiti già in Efeso dall’Apostolo, e tanto abbiamo a far noi: Multi autem ex eis, qui fuerant curiosa sentati contulerunt libros, et combusserunt coram omnibus – … e un numero considerevole di persone che avevano esercitato le arti magiche portavano i propri libri e li bruciavano alla vista di tutti.  (Act. XIX. 19). E che quei fossero libri di astrologia, ne fa fede sant’Agostino (In Ps. 61) . L’avere però Dio steso il cielo a guisa di pelle, fu solo per denotarci, averlo steso con tanta facilità con quanta da noi suole stendersi un padiglione (Bellar. i n Ps. 103. 2). Ma se egli è padiglione, conviene adunque, che qualcuno ce l’alzi, a volere entrarvi col guardo.

V. E vaglia la verità, se in cielo fosse cosi descritta l’istoria dell’ avvenire, come pur si divisano tali astrologi, chi mai di loro potrebbe aspirare ad intenderla, senza Dio che gli porgesse quasi in mano le chiavi di sì gran cifera? Potrebbe forse una chiave tale porgersi dall’inferno? Ma come dall’inferno, se quegli spiriti non l’hanno sicuramente nemmen per sé ? Quinci è, che negli antichi oracoli sì famosi di Delfo, di Didone, di Delo, aveano i demoni per uso di dare risposte sì artifiziose. sì ambigue, che del pari valessero ad ogni evento: Ibis redibis non morieris in bello. Che accadeva loro però lavorar questi, come specchietti a più facce, se le verità contingenti stanno là sui cieli descritte a sì chiare note? Non hanno i demoni all’ingegno più forti l’ale, di quelle che abbiavi verun astrologo sommo? Ora come dunque non potevano essi poggiar tant’alto da leggere quei caratteri i n vicinanza, ed esporli poi, con gloria tanto maggiore, alla vista de’ riguardanti in uno specchio pianissimo di parole sincere e schiette? So non lo fecero, segno dunque è, che non lo potevano fare: e posto ciò, convien dire, che il futuro accidentale e arbitrario non è da Dio registrato in que’ vasti fogli. E quando volessimo violentar la ragione a credere, che vi fosse, non v’è registrato di modo che possa leggersi da nessun occhio creato, se Dio non glielo discopra. Ma con chi Egli ciò fece mai, se piuttosto egli divietò qualunque spezie di auguri, con dichiararsi, che sue parti sono renderli tutti vani? Ego sum Dominus, irrita faciens signa divinorum – Io sono il Signore, … Io svento i presagi degli indovini (Is. XLIV, 25). Forse. Dio scrisse tali cose in cielo per gli Angeli dell’empireo, a cui le può tanto meglio mostrare in se medesimo quando voglia?

VI. Senonché i moti degli aspetti celesti ci danno chiaro a veder, che non ve lo scrisse. Perché tali moti sono uguali, uniformi, e regolatissimi, come moti ordinati dalla natura: laddove gli eventi umani, come dipendenti dalla libertà, sono irregolari, e tutti differenti fra loro, e tutti difformi. Come dunque è possibile, che questi eventi siano mai per quei moti significati, se quelli e questi sono quasi due linee che non han misura comune? Non l’hanno nella qualità pur ora accennata, non l’hanno nel numero; essendo i moti degli aspetti celesti, secondo sé, di numero certo, e gli eventi umani più e più sempre movibili in infinito: onde que’ moti potrebbero al più spiegare alcune universalità corrispondenti al numero che ebber essi dalla natura, ma non potrebbero discendere a mille individualità particolari e precise che non han fine.

II.

VII. Ed ecco tolto alle stelle l’essere segni degli eventi futuri, di cui si disse. Ma né  anche ne son cagioni, né possono essere, che è l’altra parte che rimane a provarsi. E prima è certo, che non sono esse cagioni necessitanti: altrimenti urteremmo di subito nello scoglio, da noi scorto di sopra per troppo infame, qual è, che l’arbitro riconosciuto nell’uomo da tutti i teologi, da tutti i filosofi, da tutti i fisici, da tutti i giureconsulti, anzi da tutti i popoli ad una voce, per padrone di sé, sia ristretto in ceppi. Eppure in ceppi egli saria più che mai, quando a lui si assegnasse una cagion necessaria, da cui dipenda. Ma appunto tali a lui sarebbon le stelle, che, a guisa di tutti gli altri agenti naturali, sono costantemente determinate agli stessi corsi: Omnis naturæ actio terminatur ad aliquid unum (S. Th. 1. p. q. 96. a. 1. in c). Così cesserebbe ogni considerazione, ogni consiglio, ogni elezione di mezzi, ogni politica, ogni prudenza; anzi cesserebbe ogni virtù fra gli uomini, ed ogni vizio; mentre non si dovrebbe ad un uomo più maggior lode, dì quella che si meriti il ferro, quando si lascia tirare dal polo amico della sua calamita; nè ad un uomo empio dovrebbesi maggior biasimo di quello che si meriti il ferro stesso, quando dal polo avverso della medesima calamita si lascia mandar lontano.

VIII. Che se, conforme abbiam già veduto, Dio è l’architetto di questo tutto, chiamato mondo, come può egli averne mai disposte le parti sì malamente, che la natura inferiore, qual è la materiale, regga la superiore, qual è l’intellettuale? quella che è cieca, guidi la veggente? quella che è insensata, governi la ragionevole? Ogni dominio naturale è fondato sulla eccellenza della natura, dice Aristotile; (L. 3. de anima tex. 57) che però l’uomo naturalmente comanda alla donna, perché dentro la medesima spezie egli è un individuo più perfetto di lei; e però molto più signoreggia anche gli animali, e gli sferza ritrosi, e li sottomette ribelli, perché è molto più perfetto di loro ancor nella spezie. Pertanto, come hanno i cieli a dominare le nostre menti, se quanto sono a noi superiori di sito, tanto sono inferiori di dignità? Se le loro combinazioni e i loro contrasti sono la cagiono del nostro operare, converrà che si disordini il tutto con ritornare nell’antico suo caos, mentre le sostanze perfette sono tiranneggiate dalle imperfette, le spirituali dalle corporali, le semplici dalle composte; e l’uomo, in una parola che è il fine dell’universo, vien sottoposto alla natura incapace di proprio bene (Arist. 1. 4 phys. test. 34).

IX. E notisi il dir che è fine: perché se l’uomo fosso soggetto alle stelle nell’operare, l’uomo dunque sarebbe fatto per le stelle, o non le stelle per l’uomo. Ma come ciò? Non è l’uomo quegli, in grazia di cui fu da Dio già creato tutto il visibile? Non ve ne ha dubbio: mercecchè l’uomo è l’ottimo che vi sia. Se però le stelle sono fatte anch’esse per l’uomo come dunque l’uomo ha da dipendere dalle stelle nelle opere che egli fa? Chi da un altro non è dipendente nell’essere, né anche n’è dipendente nell’operare, dice l’Angelico (Contra  gentes!.. 2. c. 8), perché l’operare seguita in tutti la condizione dell’essere.

X. Ma che stancarsi in tal cosa? Non prova ciascuno in sé, che la ragione domina il corpo e che il corpo non domina la ragione? Per quanto la fame mi stimoli, se io mi risolva di anteporre il diletto stabile della temperanza al diletto de’ cibi, che è sì fugace, la mano mia non si stende a prenderli da veruna mensa più lauta cui sia presente. Se mi sollecita l’appetito inferiore, non mi violenta: ed io ho la gloria di levarmi digiuno da quel convito, che darebbe alla gola si grato pascolo. Adunque la mente comanda al corpo, non il corpo alla mente. Onde, a conchiuderla, quantunque l’uomo non abbia podestà sopra i cieli, perché non li può volgere a suo talento; non però è loro soggetto in veruna azione, ma egli è padrone di sé, ed ha le redini in mano del suo volere, senza che tutti i moventi sì rapidi delle sfere possano violentarlo a dare neppure un passo se a lui non piace.

XI. Né sia chi dica, che non i corpi celesti ma le intelligenze motrici di tali corpi (Come ancora oggi ritengono i neo platonici cabalisti della massoneria mondiale, che adorano il sole e l’inventato assurdo sistema eliocentrico – ndr.-) son quelle, cui l’uom soggiace; perché le intelligenze, a muovere l’uomo, non possano valersi d’ogni istrumento, quantunque improporzionato. Come lo scultore non può mai col pennello far la sua statua, o come il dipintore non può mai fare il suo quadro con lo scalpello; così le intelligenze non possono muover mai l’arbitrio dell’uomo coi giri di verun corpo. Convien che il muovano con rappresentargli alla mente il bene che a lui ridondi dalla tal opera, che è quanto dire, convien che il muovano a modo di chi consiglia e di ehi conforta, non di chi trascina in catene. Ma ciò non ha che far punto col caso nostro: perché  i consigli e i conforti lasciano l’uomo indifferente ad ammettergli, o a ributtarli: e però da’ giri de’ cieli non sarà mai possibile antivedere di lui ciò che sia per farsi.

XII. Senonchè quanto si è divisato finora vale a provar, che le stelle non abbiano che far colle sorti umane, quali cagioni diretto (secondo che gli antichi le veneravano, fino ad adorarle però, come loro numi); ma non vale a provar, che non vi abbiano almeno a fare, quali cagioni indirette, che è il ricovero sotto il quale i moderni astrologi si fan forti, affermando, più cauti, se non più casti, che i cieli non influiscon nell’animo de’ mortali di primo lancio, ma di rimbalzo, in quanto alterando gli organi delle potenze sensitive, il temperamento, i fluidi, le flemme, e le qualità tanto a lui necessarie nell’operare, possono fare, che egli operi di un modo più che di un altro. E fin qui dicono bone: ma con ciò confessano insieme, che né sanno né possono saper nulla di quanto pronosticano intorno al tempo della vita e della morte dell’uomo, intorno alle ricchezze e alla povertà, intorno alla prosperità e alle disgrazie, che pur sono tutto quel fondo su cui lavorano i ricami delle loro fole. E che sia vero, osservate, che se nell’astrologia vi ha nulla di sodo, è questo discorso. Il temperamento dell’uomo dipende dalle stelle; l’indole, le inclinazioni, ed i costumi di lui dipendono dal temperamento; dunque altresì l’indole, le inclinazioni ed i costumi di lui dipendono dalle stelle, indirettamente, sì, ma pur quanto basti a formarne un giudizio retto. Ora un tale discorso è tutto fallace. Se però traballa sì forte la prima pietra, che sarà della mole, che su vi sorge?

XIII. Ma su, esca pure in luce il bambino sotto un oroscopo il più fortunato a dar buono il temperamento: se s’incontra in una balia mal atta a cooperarvi, io veggo le stelle in un labirinto grandissimo, senza filo da giungere a mantenere ciò che promisero. Conciossiachè tutti i filosofi e tutti i fisici son d’accordo, che il latte della nutrice, giovane o vecchia, gagliarda o vizza, porti al temperamento divario grande: e che il latte congenito della madre sia sempre migliore alla prole che quello di una straniera: la quale, ove pure ammettasi, vogliono che sia scelta anche di costumi, mentre le istorie romane tutt’ora piangono il loro Romolo, allattato da una lupa crudele, un Comodo ed un Caligola, abbeverati di sangue più che di latte; ed un Tiberio, allattato da una levatrice intemperantissima.

XIV. Spoppato quinci il bambino, ecco che egli incomincia a nutrirsi di cibo sodo, e con ciò cresce l’impegno alle stelle, e l’impossibilità di mantenersi veridiche, benché vogliano. Perciocché chi non sa quanto possa nel nostro corpo la qualità del nutrimento quotidiano? Basta leggere i trattati che ci hanno sopra ciò lasciati i medici più famosi, tanto benemeriti del genere umano, quanto ne sono traditori gli astrologi. Fino i poeti intesero questo vero: ond’è che Omero, formando nel suo Achille l’idea di un eroe magnanimo, lo finse nutrito colle midolle dei leoni, per figurarlo robusto di forze insieme e di cuore. Fate però, che il garzoncello, mirato sì benignamente da’ luminari celesti ne’ suoi natali, si dia tosto in preda ai banchetti, ai bagordi, all’intemperanza; con quale stame le stelle sue natalizie potranno allungargli la vita? Plures occidit gula, quam gladius. E il simile dite se egli nasca in luogo d’aria insalubre, o vada a soggiornare per accidente in valli palustri, umide, uliginose, e non dominate da venti, fuorché nocevoli. Vinceranno le stelle la qualità di quel suolo infausto? E finalmente, se egli, caduto infermo a cagione de’ suoi disordini, si abbatta in un di quei medici che si fanno pagare per ammazzarvi, con quale scudo il ripareranno da questo colpo i pianeti promettitori?

XV. Direte forse, che se egli nacque sotto buono ascendente, non ha da temere di quegli incontri sinistri da me accennati? Ma perché non ha da temerne? Perché le stelle che lo tolsero in cura gli abbiano per ventura a tenere indietro quali protettrici amorevoli? Ma ciò sarebbe altro che farle operare da cagioni particolari e parziali, influitrici nel solo temperamento. Sarebbe farle operare da cagioni universalissime, anzi vive, veggenti, e piene in sé di perfetta divinità, la qual disponesse dì tante varie creature a bacchetta per giungere al fine inteso. E poi, se le stelle potranno provvedere il lor caro allievo di medico ottimo, quando egli sarà in pericolo di morire: come potranno, quando egli ancora non nacque, provvederlo di ottimi genitori, se i genitori non poté veruno sortire fuorché nascendo? Non vedete voi, che coteste sono follie da contarsi per ridere in su le veglie? A voler però, che l’astrologo possa farci promessa di lunga vita a nome delle stelle, da lui considerate al nostro natale, converrà prima che egli conosca assai bene il temperamento di quei che ci generarono, e poi che da quelle stelle medesime egli risappia ad uno ad uno gl’innumerabili casi i quali, nel temperamento nostro influendo più da vicino, avranno sempre possanza somma a rifrangere e ripercuotere quegli influssi che sì da lungi mandino a noi le costellazioni celesti per nostro prò. Ma chi può ridir tali casi, se, come innumerabili, sono ignoti a qualsivoglia altra mente, che alla divina? Nè anche gli Angeli, motori dello stelle, potrian ridirli, se non fossero interrogati.

XVI. Certo è, che Sisto di Eminga, dopo di avere, in questa scuola de’ pianeti, consunti poco men che tutti i suoi giorni, confessa che gli astrologi, per quanto studio si facciano sopra l’oroscopo di un bambino nascente, non potranno mai risaper dalle pure stelle se egli sia nato vivo, o sia nato morto (In Genitura Caroli a Brimeu); giudicate poi se ne potran risapere (come si vantano), se egli sarà per vivere molto o per viver poco ? E forse che tal prova non è stata già fatta più d’una volta con gran piacere, chiedendo la natività di un bambino estinto, come s’egli fosse anche vivo, e ricevendola tuttavia dall’astrologo felicissima?

XVII. Mi giova riferire una beffa, anche più piacevole, che un principe italiano si fè di sì vana scienza, affine di schernire, come a lui parve giusto, frode con frode (Millet. prop. 19): Questi avvisato del nascimento di un mulo nelle sue stalle, ne fece dare all’astrologo il punto esatto, sotto un nome di un bastardo nato in palazzo. E l’astrologo di ciò ignaro, postosi lungamente a studiare su quell’oroscopo, per la speranza di ottener tanto più di vantaggio alla sua fortuna, quanto più egli ne presagisse all’altrui, trovò subito in cielo due luminari ne’ segni maschi, assistiti da cinque pianeti mattutini in riguardo al sole, e vespertini in riguardo alla luna; e conchiuse che il cielo non poteva essere mai più bello, e che però non potendo quel bambino essere re, come ad ogni patto volevate Tolomeo sotto quegli aspetti (L. 4. de iudic. c. 3), conveniva per necessità che fosse sollevato alle prime dignità, ancora sacre, di cui capaci si fossero i suoi natali. Questi furono i vaticini che, recati al principe e letti da lui pubblicamente a’ suoi cavalieri, empirono tanto il volto di rossore a quel valent’uomo, quanto credea che gli dovessero empire le mani d’oro. Pertanto converrà dire che se le stelle mandano su tutti i viventi gli stessi raggi, una bestia nata sotto i più favorevoli che vi sieno dovesse andar per lo meno libera da ogni soma per tutta la vita sua, o che se alcuna ne avesse pure a portar mai, come l’altre, dovesse puramente, qual mulo illustre, sottoporgli omeri a qualche lettiga reale.

XVIII. Non è di poi meno falsa, l’altra proposizione, su cui si appoggia l’astrologia giudiziaria per tenersi in piedi, ed è, che le volontà degli uomini seguano per lo più il temperamento de’ corpi subordinato alle stelle: ond’è, che per esso può verisimilmente congetturarsi ciò che quegli sian per volere. Sì, se null’altro ostasse a tal congettura.  Conciossiachè quanto importa primieramente a variar l’indole, l’inclinazione, i costumi, la buona e rea educazione che sortisca? Su ciò si fonda principalmente la stima in che tutte le genti han tenuta sempre la nobiltà de’ natali: su la presunzione, che reca seco di andar congiunta con educazione più onorevole, attesi gli stimoli che di più lo porgono al fianco le operazioni degli antenati, in virtù di cui, quasi a generoso corsiere, se le raddoppi la necessità  di portarsi più risoluta in cima alla gloria. Onde in ordine ad un allevamento tale (stimato da’ legislatori la base potissima dell’umana felicità), che parte hanno le stelle? Se non vogliam delirare, nessuna affatto: mentre ciò non dipende da alcuna qualità corporea, cui solo può stendersi l’efficienza de’ cieli. Tanto più, che questa medesima educazione riceve gran vantaggi e gran varietà dal governo de’ dominanti, dalle pene, da’ premi e dalle leggi da loro tenute in vigore. Vogliamo noi credere, che le stelle influissero diversamente in Atene, in Sibari, in Sparta, situate in distanza nulla considerabile quanto agli astri? Eppure gli ateniesi erano sì ingegnosi di spirito, i sibariti sì femminili, gli spartani sì forti. La diversità non veniva però dal cielo, ma dal governo. Quel bracco di buona razza, che, se da piccolo fosse stato avvezzato a latrare intorno alla morta pelle di un orso, avrebbe animo di sfidar le fieranche vive nella lor tana; perché all’incontro fu avvezzato in cucina da un guattero poltroncello a covar la cenere, appena da lontano lo mira, che fugge in salvo.

XIX. Medesimamente il vivere in compagnia de’ cattivi, chi non sa, forse anche a suo costo, quanto pregiudichi alla sincerità de’ costumi? Un cedro marcio è men abile ad ammorbare quel sano, cui sta vicino, che un reo compagno quel buono: Sumuntur a conversantibus mores, diceva Seneca (De ira 1. 3. c. 8), et ut quædam in contactos. corporis vitia transiliunt. ita animus mala sua proximistradit.

XX. Cosi anche il rimprovero interno della coscienza, quanto vale a ridurci sul buon sentiero? quanto l’avviso di un consigliere fedele? quanto l’ambizion di una carica fruttuosa? Il timore di non rovinare i figliuoli, non è bastante a rattenere da più vendette anche un animo pronto all’ira? Quanti disordini viene a distornar nelle case una moglie saggia, coll’autorità che le danno le sue maniere? quanti raffrena la dignità del suo grado? quanti ritiene il detto delle sue genti? E con ciò, che hanno a fare giammai le stello? Anzi tanto meno vagliono queste di tutto ciò, che non v’è tra’ saggi chi esse chiami più volentieri a consulta sui propri affari, con persuadersi, che esse li guidino meglio. Ne’ matrimoni, ne’ cambi, nelle compere, ne’ litigi da imprendersi che si fa? Si pesano le ragioni, non si va di notte, neppur dagli astrologi, a interrogare i pianeti apparsi.

XXI. Però, quando ben per via delle stelle potesse risapersi il temperamento di verun uomo (che neppur si può risapere), il volere tuttavia dal temperamento raccorre in altri le propensioni che egli abbia, e dalle propensioni indovinare le operazioni libere che abbia a fare, è molto più temerario, che se entrando nelle stanze di Apelle, volessero altri indovinar le figure ch’egli formerà sulla tela che ha quivi all’ordine. Perché in fino né Apelle, né Protogene, né Parrasio, né Raffaello, indettati insieme, sapranno mai rimenare sì variamente, e rimescolare le loro tinte, che non sia sempre più varia la combinazion che può fare l’arbitrio umano de’ suoi pensieri, nelle risoluzioni a cui vuole apprendersi.

XXII. Replicheranno gli astrologi che essi non pronosticano ciò che assolutamente sia per succedere dalle volontà de’ mortali, ma ciò che succederebbe, se le inclinazioni impresse dalle stelle nel temperamento de’ corpi non fossero disturbate. Bellissimo sotterfugio. Ma se è cosi, pronosticano dunque essi ciò che non sanno, né possono sapere, se sarà mai. Perciocché queste inclinazioni verranno sempre variate dalle cagioni mentovate di sopra, che sono inescogitabili; ed affinché non si varino, converrà ritrovare un uomo, che viva fuori del mondo o non v’entri mai. Che se, al detto dell’Angelico (1. p. q. 57. art. 5), quelle verità contingenti, che accadono rade volte, non possono mai sapersi da verun uomo prima che accadano, bisognerà pure confessar, che l’astrologia giudiziale non è scienza, ma ciurmeria.

XXIII. E che sia così, non ha dubbio, che ad arrivare le inclinazioni degli uomini molto più dovrebbon valere le regole della fisonomia, la quale si fonda sul temperamento già lavorato dalla natura nel corpo umano, di quelle che ci porga l’astrologia, la quale si fonda sul temperamento che ancora ha da lavorarsi (Arist. Prior, 1. 2. e ult. phys. c. 1. etc.). Il curatore de’ cani, all’aspetto sa riconoscere il cane ardito: il cozzon de’ cavalli, all’aspetto sa ravvisare il cavallo altero. Così il fisonomista, all’aspetto sa raffigurare se l’uomo sia forte o timido, verecondo o sfacciato, umile o superbo, ingegnoso o goffo; mercecché convenendo in quei segni tutti gli animali sottoposti a tali affezioni, e non vi convenendo alcuno degli altri non sottoposti, giustamente egli ne deduce, che siano segni da poterle indicare al pari negli uomini anch’essi, benché superiori agli altri per la ragione. Eppure da que’ segni di forte, di timido di verecondo, di sfacciato, di umile, di superbo d’ingegnoso, di goffo, anzi neppure dalle inclinazioni già comprovate per tali segni, può mai sapersi, come Aristotile afferma (Physon. c. 2. n. 11), se uno sia soldato, sia musico, sia medico, sia architetto, e per aggiungere ancora ciò, sia prelato di santa chiesa. E come dunque da’ segni di quelle inclinazioni, anzi da quelle inclinazioni medesime può dedursi che egli sarà? E la ragione fondamentale si è, perché ad essere, a cagion d’esempio, prelato di santa chiesa, non basta l’inclinazione della natura data allo studio, alla pietà, alla prudenza, alla rettitudine, ci vuole di più chi ti ammaestri a proposito, chi ti porti, chi ti promuova, e chi al confronto di mille competitori, non meno di te meritevoli, elegga te. E ciò si può inferir dalla inclinazione che in te prevalga?

XXIV. Divinamente insegnò Aristotile (L . 2. phys. c. 7. text. 53), esser la fortuna, sì prospera come avversa, ignota ad ogni uomo, perché gli effetti, separati e sconnessi, a cui ella può stendersi, non han fine: e l’infinito, come infinito, non abita nella mente di alcun mortale. Eppure la fortuna, sì prospera come avversa, è quella che si arrogan gli astrologi di mettere alla tortura tra le lor sèste, perché confessi loro tutto ciò che ella sia per fare.

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMO 138: DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 138

In finem, psalmus David.

[1] Domine, probasti me, et cognovisti me;

[2] tu cognovisti sessionem meam et resurrectionem meam.

[3] Intellexisti cogitationes meas de longe; semitam meam et funiculum meum investigasti;

[4] et omnes vias meas prævidisti, quia non est sermo in lingua mea.

[5] Ecce, Domine, tu cognovisti omnia, novissima et antiqua. Tu formasti me, et posuisti super me manum tuam.

[6] Mirabilis facta est scientia tua ex me; confortata est, et non potero ad eam.

[7] Quo ibo a spiritu tuo? et quo a facie tua fugiam?

[8] Si ascendero in cælum, tu illic es; si descendero in infernum, ades.

[9] Si sumpsero pennas meas diluculo, et habitavero in extremis maris,

[10] etenim illuc manus tua deducet me, et tenebit me dextera tua.

[11] Et dixi: Forsitan tenebrae conculcabunt me; et nox illuminatio mea in deliciis meis.

[12] Quia tenebrae non obscurabuntur a te, et nox sicut dies illuminabitur; sicut tenebrae ejus, ita et lumen ejus.

[13] Quia tu possedisti renes meos; suscepisti me de utero matris meæ.

[14] Confitebor tibi, quia terribiliter magnificatus es; mirabilia opera tua, et anima mea cognoscit nimis.

[15] Non est occultatum os meum a te, quod fecisti in occulto; et substantia mea in inferioribus terræ.

[16] Imperfectum meum viderunt oculi tui, et in libro tuo omnes scribentur. Dies formabuntur, et nemo in eis.

[17] Mihi autem nimis honorificati sunt amici tui, Deus; nimis confortatus est principatus eorum.

[18] Dinumerabo eos, et super arenam multiplicabuntur. Exsurrexi, et adhuc sum tecum.

[19] Si occideris, Deus, peccatores, viri sanguinum, declinate a me;

[20] quia dicitis in cogitatione: Accipient in vanitate civitates tuas.

[21] Nonne qui oderunt te, Domine, oderam? et super inimicos tuos tabescebam?

[22] Perfecto odio oderam illos, et inimici facti sunt mihi.

[23] Proba me, Deus, et scito cor meum; interroga me, et cognosce semitas meas.

[24] Et vide si via iniquitatis in me est; et deduc me in via æterna.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVIII.

Dio premia le opere buone, e punisce le cattive. Egli vede e considera tutte le cose più nascoste; onde niuna può sfuggire al suo giudizio, per ricevere da lui o premio o punizione.

Per la fine: salmo di David.

1. Signore, tu hai fatto saggio di me, e mi hai conosciuto;

2. tu hai conosciuto il mio stare e il mio andare.

3. Tu da lungi vedesti i miei pensieri; osservasti il filo dei miei passi. (1)

4. E le mie vie tutte tu prevedesti, anche quando parola non è sulla mia lingua. (2)

5. Ecco che tu, o Signore, le cose tutte hai conosciute, le ultime e le antiche; tu mi formasti, e ponesti sopra di me la tua mano.

6. Mirabile, si è renduta in me la tua sapienza; ella è molto elevata, e ad essa non potrò io aggiungere.

7. Dove anderò io lontan dal tuo spirito, e dove l’uggirò io lontan dalla tua faccia?

8. Se salirò al cielo, ivi se’ tu; se scenderò nell’inferno, tu sei presente.

9. Se io prenderò le ali al mattino, e anderò a stare nelle ultime parti del mare, (3)

10. Colà pure mi guiderà la tua mano, e starò sotto il potere della tua destra.

11. E io dissi: Forse mi occulteranno le tenebre; ma la notte è luce, che mi disvela ne’ miei piaceri;

12. Perocché le tenebre non sono oscure per te, e la notte sarà illuminata come il giorno; il buio e la luce son la stessa cosa per lui.

13. Perocché tu se’ padrone de’ miei affetti; prendesti cura di me fin dal seno di mia madre.

14. Darò lode a te, perché sommamente grande ti se’ dimostrato: le opere tue son mirabili, e troppo bene il conosce l’anima mia.

15. Non sono ignote a te le mie ossa lavorate nel segreto, la mia sostanza lavorata nelle viscere della terra.

16. Gli occhi tuoi mi videro quand’io era informe: or tutti nel tuo libro saranno scritti; nuovi giorni si formeranno, e neppur uno ne mancherà. (4)

17. Ma sono grandemente onorati da me, o Dio, gli amici tuoi; grandemente possente è divenuto il loro impero.

18. Se vorrò contarli, saran più che l’arene del mare; mi alzai, e sono ancora con te. (5)

19. Se tu, o Dio, porrai a morte i peccatori: ritiratevi da me, o uomini sanguinari.

20. Perché voi dite dentro di voi: Inutilmente si faranno eglino padroni di tue cittadi.

21. E non ho io odiati, o Signore, quelli che ti odiano? e non mi struggeva a cagione dei tuoi nemici?

22. Con odio perfetto io gli odiava, e mi son fatti nemici.

23. Provami, o Signore, e il mio cuore disamina; interrogami, e riconosci i miei andamenti.

24. E vedi se per la via di iniquità io cammini; e per la via dell’eternità mi conduci.

(1) « Funiculum meum, » La misura, l’estensione della mia corsa. Gli Egiziani contavano le misure del cammino con le corde. L’espressione dei Settanta, « la mia corda, » ha rapporto con questo uso.

(2) Queste parole: « Quia non est sermo lingua mea, » potevano egualmente significare: “quando non c’è discorso sulla mia lingua, voi conoscete tutto: senza che io dica tutto questo, Voi lo sapete già; oppure: mi mancano le parole per esprimere fino alla vostra scienza ».   

(3) Il mare è posto qui per le regioni dell’Occidente.

(4) Nel vostro libro sono scritti i giorni che verranno, benché non ne esista ancora qualcuno di essi. – Si potrebbe tradurre ancora, seguendo la Vulgata: quando non ero che una massai informe, i vostri occhi mi vedevano, tutte le mie membra erano scritte nel vostro libro; di giorno in giorno, esse erano formate da Voi; nessuna di esse era ancora formata, e Coi già mi vedevate, o mio Dio (Le Hir).

(5) Quando al mattino mi alzo, dopo aver riflettuto tutta la notte al numero dei vostri amici ed ai benefici di cui li colmate, io non ho ancora finito, ma sono troppo occupato della vostra bontà al loro riguardo.

Sommario analitico

Davide, in questo salmo, si rende testimonianza della sua innocenza alla presenza di Dio che penetra fin nel fondo dei cuori, e rende omaggio alla sapienza infinita ed alla provvidenza ammirabile di Dio.

I. – Egli descrive questa sapienza divina, che è universale, inevitabile, incessante, che conosce interamente e che abbraccia:

1° tutte le nostre azioni (1, 2),

2° tutti i nostri pensieri,

3° tutti i nostri progetti e tutte le nostre intenzioni (3, 4),

4° tutte le cose passate e future, e ne dà la ragione: questo avviene poiché è Dio che ci ha creato e che ci conserva (5).

II. – Egli dipinge l’estensione di questa sapienza immensa come Dio, e che agisce non solo con la sua presenza, ma con la sua operazione:

1° su tutti gli occhi (6-10),

2° in tutti i tempi (11-12).

III. – Egli rende ragione dell’impossibilità di sfuggire alla conoscenza di Dio:

1° tutto ciò che noi abbiamo di più segreto gli è conosciuto, dipende da Lui (13, 14);

2° la struttura mirabile del nostro corpo è opera sua (15);

3° noi gli siamo presenti già prima di nascere, e questa scienza provvidenziale si estende a tutti i giorni (16).

IV. – Egli passa in seguito da questa sapienza, a questa provvidenza di Dio su tutti gli uomini:

1° sui giusti, dei quali la gloria, la potenza ed il numero lo strabiliano (17, 18);

2° sui peccatori, il cui castigo lo fa rifuggire dalla società (17, 20);

3° di là il suo odio per i malvagi ed il suo ardore per la giustizia, sentimenti dei quali prende Dio a testimone (21, 24).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1. – « Signore, mi avete provato e mi avete conosciuto. » Cosa dite? Dio vi ha conosciuto dopo avervi provato, e prima di questa prova forse non vi conosceva? Badiamo di non mal intendere la sorte di Colui « che conosce tutte le cose prima che siano fatte. » (Dan. XIII, 42). Queste parole: « Voi mi avete provato, » significano: Voi mi avete perfettamente conosciuto. Quando l’Apostolo ci dice che Dio sonda i cuori, questa espressione indica non l’ignoranza in Dio, ma una scienza profonda. Dio non ha bisogno di provare, di sperimentare per conoscere; Egli conosce tutti in virtù della sua prescienza divina (S. Crysost.). – Con il riposo ed il risveglio o l’alzarsi, egli fa intendere la vita intera, che si non si può ridurre a queste due situazioni che abbracciano tutte le nostre azioni, le nostre opere, le nostre entrate, le nostre uscite, il risveglio ed il sonno, il lavoro ed il riposo, il dolore e la prosperità, la vita e la morte (S. Chrys.). 

ff. 2-5. – Dio conosce non soltanto le nostre azioni esteriori, ma tutto ciò che passa nella nostra anima, non solo Egli conosce i nostri pensieri nascosti, quando si agitano nel nostro spirito, ma anche quelli che iniziano a nascere; diciamo meglio, molto tempo prima. « Voi avete penetrato i nostri pensieri da lontano, » (S. Chrys.). Lo sguardo di Dio, che abbraccia la nostra vita nel suo insieme, ne penetra pure i più impercettibili dettagli: Egli conosce il cammino lungo il quale marciamo, i disegni e le imprese che formiamo, lo scopo e il fine che abbiamo di vista, l’oggetto dei nostri desideri e delle nostre aspirazioni; in una parola, i principi, i mezzi e il fine di tutte le nostre azioni (Duguet). – Così la scienza di Dio, non comprende le nostre vie, i nostri disegni quando li mettiamo in esecuzione, ma Egli li prevede tutti con piena certezza, sa tutto ciò che dobbiamo dire, prima di aprir bocca e prima che la parola sia sulla nostra lingua. – E che dico … questa scienza conosce tutto ciò che deve succedere negli ultimi tempi, e tutto ciò che si è compiuto nei secoli più remoti. Tutti i secoli, passati e venturi si  svolgono e passano sotto lo sguardo fisso della sua eternità. – Siete Voi che mi avete formato, che « avete steso la vostra mano su di me. » Il Profeta prova che Dio sa tutto ciò che ci riguarda; prima, perché Egli conosce tutte le cose passate e future; in secondo luogo, perché Dio stesso ha voluto fare l’uomo, ed è Egli stesso che lo governa, lo conserva, ed ha steso su di lui la sua mano. Ora, come il suo essere potrebbe avere qualche segreto per il Dio che lo ha creato, che lo muove, che lo penetra, che ne conserva e ne fa agire tutte gli “ingranaggi”?

II. — 6 – 12.

ff. 6 – 10. – La scienza di Dio, oltre che universale, è pure inevitabile. « La vostra sapienza è elevata in maniera ammirevole sopra di me. » Essa mi sorpassa, è elevata ben al di sopra di me, è troppo grande perché una ragione possa comprenderla, tanto è meravigliosa, tanto è superiore! Ma che?! Se ogni meraviglia è così grande come essa, può essere compresa? Questo è impossibile, essa mi sorpassa infinitamente e non potrà mai raggiungerla (S. Chrys.). – San Basilio traduce: « È da me che la vostra sapienza ha ricevuto una magnifica esaltazione. » Perché  questa parola: « da me, » se non perché il Profeta trovava in se stesso una testimonianza della scienza infinita ed incomprensibile di Dio, allorché egli sentiva bene che gli era impossibile comprendersi da se stesso? (S. Agost. De l’âme, etc.) – È a me che la vostra scienza mi è sembrata ammirevole; » vale a dire, io ho scoperto, con meravigliosa ragione, la grandezza e l’estensione della vostra sapienza. E come? Da me1 Considerando l’arte meravigliosa, la saggezza strabiliante con la quale avete organizzato tutte le parti del mio corpo, da questa piccola ma mirabile parte delle vostre opere, io ho concepito l’idea più alta del suo divin Fattore (S. BASILE. De hom. Struct.) – Ciò che è più formidabile nella divina Sapienza, e che la rende così adorabile, è che essa è la conoscenza che Dio ha di noi in se stesso. Egli non ci contempla come uno spettatore infinitamente intelligente; Egli guarda in se stesso, vi si vede, ci conosce, come conosce tutte le cose, nelle cause più recondite, più intime, più profonde; Egli ci giudica con una verità la cui luce e l’infallibilità sono irresistibili. Santa Maddalena De’ Pazzi, esaminava tutta la sua alta conoscenza in un’estasi, ed abbiamo là un monumento soprannaturale della più delicata conoscenza di se stesso; Ma cos’è la conoscenza di un esame di coscienza, rispetto alla conoscenza istantanea, penetrante, completa, che Dio ha di noi in se stesso? (FABER. Le Créateur et la Créât., p. 148) –  Che fare per sfuggire a questo sguardo penetrante di Dio? Quando noi vogliamo sottrarci allo sguardo dell’uomo, ci si offrono due mezzi: l’allontanamento e l’oscurità; ma allo sguardo di Dio, questi due mezzi sono impotenti. Se ricorro alla fuga, qual fuga potrà mai allontanarmi da Dio; come potrei nascondermi dal suo Spirito, dalla sua intelligenza, dalla sua presenza che riempie tutti i luoghi? Che io salga nei cieli, o che io scenda negli abissi impenetrabili della terra, che piombi negli anfratti più nascosti dell’Occidente, o che abiti le estremità dei mari, io non posso sfuggire agli sguardi di Dio, né fuggire la sua presenza, né scappare alla sua sapienza infinita, inseparabile dalla sua presenza. – Cercheremo un rifugio nella notte, un riparo da questo sguardo di Dio? La notte più oscura circonda un peccatore di chiarezza per scoprirlo e servire  da testimone contro lo stesso. Non ci sono tenebre per Colui che è la luce, ciò che noi chiamiamo oscurità non è oscuro per Lui, incapace di sottrarre alcunché alla sua vista. Per Lui, ogni notte si illumina e diviene così chiara come il giorno più radioso. Le tenebre della notte e la luce del giorno sono per Lui la stessa cosa, perché Dio non vede gli oggetti per la proiezione di una luce che viene dall’esterno degli oggetti stessi, ma Egli li conosce e li penetra perfettamente con la luce del suo Spirito (Duguet). – Temete Dio in pubblico ed in segreto. Voi uscite dalla vostra dimora: Egli vi vede; voi entrate: Egli vi vede; la vostra lampada è illuminata: Egli vi vede; voi la spegnete: Egli continua a vedervi; voi vi ritirate nei distretti più segreti della vostra dimora: Egli vi vede; voi pensate tra voi: Egli vi vede. Temete dunque Colui il cui sguardo gira da ogni parte, che illumina la vostra notte, che trionfa delle vostre tenebre, per conservarvi nel timore della sua giustizia, per santificarvi con il pensiero della sua presenza; e … se volete darvi al peccato, cercate un luogo ove Dio non vi veda, e fate ciò che volete  (S. AUG. Serm. XLVI sur les par. du Seig.) – È una proprietà dell’Essere di Dio che il Profeta reale ha sottolineato, e del quale ha preteso farne soggetto di elogio, quando ha detto che le tenebre in cui Dio si nasconde ai nostri occhi e che ce lo nascondono in questa vita, non sono meno ammirabili della sua stessa luce; e che tutto ciò che noi scopriamo di splendido e di luminoso nelle adorabili perfezioni, non è più glorioso per Lui, né più venerabile per noi, di ciò che ci sembra avviluppato da nuvole, e coperto dal velo di una misteriosa oscurità; perché è così che San Ambrogio ha spiegato questo passaggio del salmo: « sicut tenebræ ejus, ita et lumen ejus: »  La sua luce è come le sue tenebre, e le sue tenebre hanno qualche cosa di così divino come la sua luce. (BOURD. P. F. de S. Thom.). – Le tenebre della fede Cristiana non somigliano affatto a quelle di cui stiamo parlando, esse sono tenebre luminose. « La notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. » Come la notte – si domanda S. Agostino – si è illuminata per me? Gesù Cristo è sceso in questa notte, Egli ha preso una carne simile alla mia, e così ha illuminato la mia notte. La mia notte è divenuta la mia luce in mezzo alle mie delizie. Quali sono, in effetti le mie delizie, se non Gesù Cristo stesso? – È ai piedi del tabernacolo, è alla presenza del più tenebroso ma anche del più mirabile dei nostri misteri che mi piace ripetere nel mio spirito quella parola di Davide: « La mia notte è la mia luce in mezzo alle mie delizie. Nessuna parte delle più profonde tenebre avvolgono la Maestà divina, né la stessa carne di Gesù-Cristo si nasconde ai nostri sguardi. La notte, niente che la notte! Ma o notte, voi siete la mia luce, perché Colui che io adoro sotto i veli del Sacramento mi fa gustare ineffabili delizie. Io gusto nella notte oscura quanto il Signore sia dolce, e le delizie che assaporo mi danno come una chiara veduta della soavità del Signore. – Le delizie dell’Eucaristia mi fanno veder chiaro nell’Eucaristia: la notte diviene un luce in mezzo alle mie delizie. (Mgr DE LA BOUILLERIE. Symb., 168).

III. — 13-16.

ff. 13-16. – Non soltanto Dio penetra attualmente tutti i segreti della nostra esistenza, ma il suo sguardo ha raggiunto ciò che nessun altro ha mai penetrato, cioè il mistero della formazione dell’uomo. La madre dei Maccabei diceva ai suoi figli: « Io non so come siate stati formati nel mio seno, perché non sono io che vi ho dato lo spirito, né l’anima, né la vita; e non sono io che ho assemblate tutte le vostre membra, ma il Creatore del mondo, che ha plasmato l’uomo dalla sua nascita, e che ha provveduto alla generazione di tutti » (II Macc., VII, 22, 23.). Questa operazione di Dio è l’effetto della sua sapienza e della potenza infinita. Nessun’opera si esegue se non dopo un disegno formato nello spirito del suo autore. Prima che Dio realizzi la sua opera, essa è già in Lui, si svolge interamente nella sua suprema ed infinita intelligenza. – « I vostri occhi mi hanno visto che era ancora informe. » Il Re-Profeta mostra di nuovo che nulla sfugge alla sapienza infinita di Dio. Allora, benché non fossi che allo stato embrionale, io non sfuggivo alla vostra conoscenza, Voi penetravate distintamente tutte le parti del mio essere; allorché la natura formava successivamente la sua opera, benché il suo lavoro si compisse nel segreto e come nelle viscere della terra, ognuna delle mie membra con il loro accrescimento particolare veniva presentato al vostro sguardo. Gesù-Cristo esprime questa stessa verità, quando dice: «Tutti i capelli del vostro capo sono contati. » (Luc. XII, 7). Noi vediamo qui riuniti, in una stessa proporzione, la sapienza e la provvidenza di Dio. (S. Chrys.). – Opera ammirevole di Dio nella formazione del corpo umano, in questa struttura tanto ben legata di un gran numero di ossa, grandi e piccole, senza alcuno strumento, in un luogo segreto ed oscuro. – Quanto è penetrante l’occhio di Dio, che vede chiaramente l’uomo ancora informe, o anche prima che sia formato. È questo l’idea eterna che Egli ha avuto di tutte le parti dei nostri corpi, che vi erano distintamente marcati, come se fossero stati scritti in un libro. Cos’è questo libro in cui tutti sono scritti, se non l’ordine della Provvidenza che Dio osserva nei nostri confronti? Tutti i nostri destini sono scritti in questo libro eterno. Ma cosa sarebbe questo ordine di Provvidenza, se non vi fosse una vita futura, una eternità dopo questa sequela di giorni che percorriamo e si allontanano in successione? Noi siamo scritti nel libro di Dio, non per i giorni, ma per l’eternità (Duguet, Berthier). 

IV. — 17-24.

ff. 17, 18. – Questa Sapienza infinita di Dio non è una sapienza indifferente o impotente. Dio guarda, conosce, ma se guarda, conosce per giudicare, ricompensare o punire. Questo intervento di Dio nelle cose umane si manifesta in due atti: Dio onora e ricompensa i giusti; Dio odia e castiga i peccatori. – Tre cose, dice il Re- Profeta, contribuiscono a rendere più brillante la gloria che circonda i santi: – gli onori di cui Dio li circonda: « I vostri amici mi sono sembrati straordinariamente onorati; » – la forza della loro potenza: « Il loro impero si è estremamente fortificato; » – la loro grande moltitudine: « Io li conterò, essi saranno più numerosi della sabbia del mare. » Onori straordinari resi ai Santi che durante la loro vita, erano sconosciuti, reietti, disprezzati dal mondo, e che ora brillano di uno splendore che si accresce nei secoli, mentre i mortali più ricchi e più famosi, qualche anno dopo la loro morte, sono destinati all’indifferenza ed all’oblio. – È per l’onore di Dio che i suoi servi sono onorati, e dopo averli impiegati a procurare la sua gloria, Egli si prende cura di glorificarli Egli stesso. È per questo che il Profeta reale gli diceva: Signore, Voi sapete ben rendere ai vostri amici ciò che ne avete ricevuto; e se essi hanno avuto la gioia di farvi conoscere tra gli uomini, ne sono ben ripagati dall’alto grado di elevazione ove Voi li fate salire nel cielo, ed anche con la profonda venerazione per cui i loro nomi sono sulla terra. « I vostri amici sembrano ai miei occhi ricolmi di una gloria infinita. » (BOURD., P. la fête de Ste Genev.). – Comparate, nel corso dei secoli, le rovine sparse dalle istituzioni umane, con le opere, gli edifici solidi, indistruttibili della santità. – È la fecondità mirabile della Chiesa, sposa di Gesù-Cristo, questa risplendente moltitudine degli eletti del cielo che il Profeta vedeva in spirito, e che l’Apostolo San Giovanni descriveva in questi termini, dopo aver determinato il numero dei santi della sinagoga: « Dopo questo, io vidi una gran moltitudine che nessuno poteva contare, di ogni nazione, di ogni tribù, di ogni popolo e di ogni lingua, che era in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di una veste candida, con palme nelle loro maini. » (Apoc. VII, 9) « Io mi sveglio e sono sempre con Voi, » il Profeta esprime qui la speranza di essere un giorno ammesso nel numero degli amici di Dio; io entrerò come essi nella tomba, ma ne uscirò un giorno, come da un letto da riposo; questo sonno della morte finirà, io mi risveglierò, sarò ancora da Voi, e vi sarò in una maniera ben più perfetta di quanto fossi sulla terra. (Berthier).

ff. 18-22. – « Se voi portate i peccatori alla morte, uomini di sangue, allontanatevi da me. » Il secondo effetto dello sguardo di Dio sui figli degli uomini è dunque l’esercitare la sua giustizia vendicativa sui peccatori, annientandoli. Il frutto da raccogliere da questa condotta di Dio riguardo ai peccatori, è quello di rompere ogni commercio con i malvagi, da cui non si riporta quadi mai tutta la virtù che vi si è portata; bisogna allontanarsi da queste vittime maledette della giustizia di Dio, che Egli condannerà alla morte eterna, ed evitare particolarmente quegli uomini di sangue che uccidono od odiano gli altri, quei peccatori scandalosi che fanno perire le anime. (Duguet). –  « Qual legame può esserci tra la giustizia e l’iniquità? Quale unione tra la luce e le tenebre? Quale accordo tra Gesù-Cristo e belial? Qual società tra il fedele e l’infedele? (II Cor. VI, 13, 14). – Ciò che dicevano in altri tempi i nemici dei Giudei, rientranti in possesso delle loro città dopo il ritorno dalla cattività, i nemici di Gesù-Cristo e della sua Chiesa lo ripetono ancora nel loro cuore, pieno di odio geloso per la propagazione del regno di Gesù-Cristo. Siccome la conseguenza della propagazione della Religione Cristiana, è stata quella di strappare le città, cioè i grandi centri di popolazione, alla schiavitù del demonio, essi dicono sempre nel loro cuore che invano i giusti sperano di abitare tranquillamente nelle città sotto la protezione del Signore, loro primo ed unico Padrone assoluto. Ma noi, noi abbiamo lo Spirito di Gesù-Cristo, e ciò che il Cristo provava in se stesso, noi lo proviamo in noi; noi crediamo e professiamo altamente che Dio è tanto potente da conservare ciò che Egli ha acquisito. E come mai il demonio potrà prevalere contro i suoi eletti. Ai nostri tempi, in cui i nemici di Dio, di ogni religione, di ogni virtù, predicono in tutti i modi, nelle assemblee dei giusti, alla Chiesa Cattolica, alla Città di Dio, la distruzione ed il niente, al Cristianesimo, la decadenza, l’indebolimento e l’annientamento; nel momento in cui essi dicono nei loro pensieri: “vanamente i Cattolici vogliono estendere le loro conquiste per la libertà di associazione, di insegnamento; in questo stesso momento Dio rinnova loro le promesse di immortalità fatte alla sua Chiesa. Non temete nulla: « Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli, » (Matth. XXVIII, 20). – E siccome i giusti non formano che un cuore solo, un’anima sola, un solo pensiero, un sentimento con il Dio che li illumina e li fortifica, essi condividono i loro sentimenti di odio per i nemici del suo Nome e della sua Chiesa. « Io li ho odiati con odio perfetto. » Che vuol dire un odio perfetto? Io odiavo in loro la loro iniquità, giammai in essi le vostre creature. Ecco l’odio perfetto, non odiare gli uomini in ragione dei loro vizi, né amare i vizi in ragione degli uomini. (S. Agost.). – Il nostro odio ha un carattere veramente religioso, tutte le volte che noi odiamo colui per il quale Dio è l’oggetto del suo odio. Ci viene comandato di amare i nostri nemici, ma i nostri, non i nemici di Dio; perché, secondo le parole del Salvatore, è un atto di religione odiare per Dio suo Padre, sua Madre, la sua Sposa, i suoi figli ed i suoi fratelli (S. Hilar.). – Non siamo quindi indifferenti agli oltraggi che vengono fatti a Dio, sentiamoli vivamente, sforziamoci di opporci per quanto possiamo e, se non possiamo fare altro, gemiamo almeno nel segreto (Duguet).

ff. 23, 24. – « O Dio, provatemi e sondate il mio cuore. » Bisogna essere ben certi della propria innocenza per osare fare questa domanda a Dio. Chi di noi, al contrario, non teme il terribile interrogatorio che Dio ci farà subire, e forse ben presto: Qual è la vita che avete condotto? Quella attraverso i sentieri stretti del Vangelo, o quella attraverso i sentieri larghi del mondo e della moda? Preveniamo questo terribile interrogatorio: « Se noi ci giudicheremo da noi stessi, non saremo giudicati da Dio. » (I Cor. XI, 31). – Tutto il frutto di questo mirabile salmo è racchiuso in queste ultime parole: « Guidami alla vita eterna. »  Qual è questa vita eterna? La via spirituale che conduce al cielo e che non ha fine. Tutte le altre cose sono di breve durata, racchiuse come sono nello spazio ristretto della vita presente. Il Salmista lascia dunque tutti questi beni passeggeri, per rivolgersi a ciò che è immortale, eterno, infinito. (S. Chrys.). – Niente di più importante, nulla di più necessario che ben conoscere se la via sulla quale si cammina sia la via retta; niente di più facile, niente di così ordinario che ingannarsi su questo punto. Tante ingiustizie che non percepiamo, tante illusioni dell’amor proprio che non si scoprono, tanti deragliamenti del proprio cuore che non si vedono! Chi non tremerebbe di spavento a questa parola che lo Spirito Santo ripete due volte in uno stesso libro: « C’è una via che sembra retta all’uomo, e di cui l’estremità raggiunge la notte. » (Prov. XIV, 12; XVI, 25).  Non basta temere solo i propri peccati, ma occorre applicarsi alle buone opere (Duguet). – Non c’è che l’Essere al quale nulla è sconosciuto che possa servire da guida agli uomini in questa strada, perché è il solo che possa evitare i pericoli, spianare le difficoltà, sostenere la costanza, raddrizzare i falsi sentieri, e raggiungere il momento del passaggio nella eternità beata. (Berthier).

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (10)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (10)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

TERZA PARTE

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo III

IL CUORE DI GESÙ E LA CONFERMAZIONE

La Confermazione è il complemento del Battesimo.

I Sacramenti sono i principali legami che stabiliscono, tra il Cuore di Gesù e i cuori degli uomini, la comunicazione vitale che fa vivere Cristo in loro e loro in Lui. Il Battesimo ha iniziato quella grande opera in noi, facendoci nascere dalla morte del Salvatore. Tra il nostro cuore e quello del Divin Salvatore, si è stabilita una comunicazione costante che ci comunica i meriti, i sentimenti e le virtù del Divin Cuore, come del sangue. E con essa il calore e la vita fluiscono dal nostro cuore di carne attraverso tutte le membra del nostro corpo. Ma non è stato compiuto tutto coll’essere nati. Alla nascita, l’uomo non è altro che un uomo abbozzato e rudimentale. È un fiore nel suo bocciolo, in cui si nasconde il meglio del suo profumo e del suo splendore. Per essere un uomo perfetto bisogna che egli cresca e si sviluppi, bisogna che rafforzi le proprie membra e sviluppi le proprie facoltà. Lo stesso vale per il Cristiano. La nostra nascita in Gesù Cristo con il Battesimo ci aveva dato la vita divina, animando la nostra anima con il soffio dello Spirito Santo, che abitava in noi in modo sostanziale anche se ancora piuttosto limitato. Eravamo neonati e la Chiesa, la nostra balia, ci offriva il latte e gli insegnamenti di una madre. Ma non per sempre poteva tenerci in fasce. Incaricata di formarci ad immagine di Gesù Cristo, l’uomo perfetto, aspirava a darci una grazia più forte, un cibo più solido, per renderci Cristiani completi e perfetti. Per questo ci ha dato il Sacramento della Cresima. Essa, come dice il suo nome, finisce, conferma e sviluppa ciò che il Battesimo aveva iniziato e delineato. Esso non ci dà, come il Battesimo, un nuovo essere; ma una nuova partecipazione all’Essere divino, che è stato prodotto in noi dall’acqua santa. « Già con il Battesimo – ci dice San Cirillo nella sua bella Catechesi sulla Cresima – ci siamo rivestiti di Gesù Cristo e abbiamo ricevuto in noi l’immagine della sua forma divina; noi eravamo quindi già “altro Cristo”. Tuttavia, non potevamo ritenerci degni di quel nome se non con l’unzione del santo crisma, l’immagine dello Spirito divino riversata sul Salvatore stesso. » (S. Ciril. di Gerusal. MG: 33, 1089). La cresima completa l’immagine del Cristiano e del suo modello divino. Il Vangelo ci dice che quando Gesù Cristo uscì dalle acque in cui era stato immerso per prefigurare la sua morte e sepoltura, vide lo Spirito di Dio scendere dal cielo sotto forma di colomba e riposare sul suo capo, mentre il Padre celeste diceva: « Ecco il mio diletto Figlio nel quale mi sono compiaciuto ». Questa è stata la Confermazione del nostro Capo divino. Lo ricevette dal Padre all’inizio della sua vita pubblica, quando stava per ingaggiare con satana tre grandi battaglie, immagine dei nostri combattimenti. Fino ad allora, Egli, nella sua vita nascosta, sembrava vivere solo per se stesso. Da quel momento in poi si preoccuperà solo di istruire i suoi fratelli. Non è più un bambino come a Betlemme, ma un uomo compiuto e nella pienezza della vita. Tutti questi tratti devono apparire in colui che la Cresima ha reso un Cristiano perfetto: « Al bambino – dice San Tommaso – è permesso di occuparsi solo di se stesso e che tutti si occupino di lui; l’uomo perfetto, invece, deve mettere la sua gloria nel rendersi utile ed impiegare le sue forze a favore dei suoi simili. Così deve fare il Cristiano che ha ricevuto la virtù dello Spirito Santo. » (S. Tomm. D’A., III, q. 72. a. 12.). Non si tiri egli allora, indietro di fronte alle lotte, non abbia il desiderio di riposare. Dio stesso, per mano del suo ministro, ha impresso sulla sua fronte il segno del soldato, ha unto la sua anima con l’olio che fortifica gli atleti. Combattere e trionfare, deve essere la sua unica cura e pietà, come ricorda la croce disegnata sulla sua fronte. Questa parola di San Pietro può essere a lui rivolta: « Cristo ha sofferto nella sua carne, entrate in questo pensiero. » Cioè, ricordate che dovete, come il vostro Maestro, vivere inchiodato alla croce, e si noti:

  1° Che, come colui che è legato alla croce non può muovere gli arti a suo piacimento, perché li ha confitti in essa, così il Cristiano non può disporre delle sue membra secondo i capricci della sua volontà, ma deve sottometterli alla legge di Dio e di Cristo.

  2° Colui che è inchiodato alla croce si sente continuamente crocifisso. Il Cristiano deve anche crocifiggere instancabilmente i suoi sensi e la sua carne, sottomettendosi alla legge che gli ordina di mortificare e tagliare ogni desiderio, ogni azione colpevole.

  3° A chi è sospeso dalla croce non importa più degli uomini, dei fasti e delle delizie del mondo. Il Cristiano deve fare lo stesso.

  4° Il crocifisso non si preoccupa del domani, il suo cuore non conosce l’ambizione. Così deve essere il Cristiano.

  5° L’uomo crocifisso respira ancora, ma si considera già morto a tutte le cose del mondo, e pensa solo a quelle che presto incontrerà. Anche il Cristiano deve essere morto, non solo ai peccati e alle passioni, ma anche a tutto ciò che è effimero. Egli deve dirigere tutto il suo essere verso Dio, verso il cielo, dove spera di arrivare da un momento all’altro. Morto anche ad ogni azione, ad ogni desiderio a cui anela il mondo, non vivrà più, se Cristo non vivrà in lui, Cristo crocifisso per lui (Cornelio a Lapide, in I Ep. Petr., p. IV, 1).

Il Cristiano battezzato e confermato è un’immagine perfetta di Gesù Cristo morto nella sua carne, ma che ha riempito la sua anima con tutte le effusioni della divinità. Non si può negare che ciò che in Gesù Cristo si compie in piena realtà, si operi nel Cristiano sotto il velo del Sacramento. Come il Battesimo è un’immagine della morte del Salvatore, così anche il Crisma, effuso dalla mano del Vescovo, è un’immagine dello Spirito Divino effuso da Dio Padre nel suo Figlio: « Ma – continua San Cirillo – guardatevi dal credere che nessuna realtà corrisponda a quell’immagine. » Così come il Pane Eucaristico diventa ogni giorno pane vivo e veramente divino, l’olio della Cresima, santificato dalla benedizione della Chiesa, serve da veicolo per i doni di Gesù Cristo e riceve l’efficacia divina attraverso la presenza dello Spirito Divino: mentre il corpo è unto dall’olio visibile, l’anima è santificata dalla virtù vivificante dello Spirito Santo.

La confermazione ed il Cuore di Gesù

Possiamo già dedurre che, per formare un concetto proprio della Confermazione e del Battesimo, questi Sacramenti devono essere considerati nella loro relazione con il Cuore di Gesù. Questo Cuore Divino non è solo il modello, alla cui perfetta imitazione è diretta la venuta dello Spirito Santo con la Cresima, ma anche la fonte da cui questo Spirito vivificante si riversa in noi come nel Battesimo. Noi infatti riceviamo l’unzione dello Spirito Santo solo nella misura in cui siamo membri viventi del Figlio di Dio e sotto l’influenza di quel Capo Divino. San Cirillo non vuole che si perda di vista questo fatto. E in questo, come in tutte le cose: « L’unico principio della nostra salute è Gesù Cristo. Egli è la primizia, il lievito, la cui virtù voi, che siete la pasta, dovete appropriarvi. Se le primizie sono sante, come si può lasciare seriamente andare l’impasto che è stato influenzato da quella santità? » I Santi Dottori e lo stesso Re Profeta vedono un’immagine della consacrazione del Cristiano per grazia dello Spirito Santo, nell’unzione sacerdotale di Aronne. Infatti, l’olio santo versato da Mosè sul capo del Sommo Sacerdote era sparso sul suo viso e persino sui suoi vestiti: « Così – dice San Francesco di Sales – l’olio della benedizione, cioè lo Spirito Santo versato sul Salvatore, il Capo della Chiesa militante e trionfante, viene sparso sui beati, che, come sulla sacra barba del Divin Maestro, sono sempre attaccati alla sua gloriosa sofferenza, e poi distillati sui fedeli insieme, e uniti dall’amore per la sua divina maestà; l’uno e l’altro, come fratelli gemelli, possono giustamente esclamare: Oh! Com’è bello e gioioso vedere i fratelli uniti! È l’olio versato sulla testa di Aronne che si estende attraverso la barba e fino all’orlo dell’abito. » Questa unzione non è solo il frutto della Cresima, ma anche di tutti i Sacramenti e persino di tutti gli atti meritori, ognuno dei quali fa scendere dal Cuore di Gesù nel nostro cuore una nuova infusione della grazia dello Spirito Divino. Ma la Confermazione è dotata di una speciale efficacia per produrre questo risultato, perché ci rende veramente “nuovi Cristo”, i veri unti del Signore.

Frutti della Confermazione.

Completiamo le idee sui frutti della Cresima. La Chiesa era già nata dalla morte di Gesù Cristo, e ricevette ai piedi della croce il battesimo di sangue e acqua dal Cuore semiaperto del Salvatore. Probabilmente tutti gli Apostoli erano stati battezzati dallo stesso Maestro Divino. Credevano, speravano, amavano. Essi possedevano la vita soprannaturale e lo Spirito Santo abitava nei loro cuori. Due volte, come nota S. Gregorio Naz. (S. Gregorio Naz., Orat. XLI, In Pentec, MG: 36-427.), il Salvatore aveva dato il suo Spirito Santo ai suoi discepoli: la prima volta prima della sua Passione, quando li aveva rivestiti del potere di scacciare i demoni; la seconda dopo la Sua risurrezione, quando aveva conferito loro il potere di perdonare i peccati. Eppure, Egli annunciava la venuta dello Spirito, come se fosse ancora lontano da loro, dichiarando di non poter inviarglielo finché non fosse più con loro. Il fatto è che Lo avevano ricevuto con scarsità e Lui voleva che fosse loro donato con una pienezza molto maggiore. Ma perché ciò avvenisse, gli Apostoli dovevano liberarsi di ogni attaccamento naturale a Lui, in modo che Egli potesse compiere così tutti i suoi doveri e prendere il suo posto in cielo come Capo della Chiesa; da lì avrebbe riversato su di Essa la pienezza della vita. Così come, attraverso l’Incarnazione e la Redenzione, ha completato l’opera che Dio Padre aveva iniziato con la creazione, allo stesso modo, quando questa seconda opera sarà completata, lo Spirito Santo scenderà a coronarla con la santificazione delle anime. E poiché in cielo vi è il complemento della Trinità, l’opera di santificazione che continuerà nel mondo fino alla fine dei secoli, sarà il complemento delle opere attribuite alle tre Persone divine. In questo modo nessuno di esse sarà privata della gloria che i secoli lor devono. Inseparabili nelle loro operazioni ad extra, ognuna avrà la sua parte speciale nell’opera che viene attribuita a tutte e tre. E per tutta l’eternità, le anime degli eletti canteranno: Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo! Non ci si deve meravigliare che le sofferenze e la morte del Figlio di Dio abbiano prodotto risultati così incompleti prima della venuta dello Spirito Santo. Come Dio Padre non ha voluto salvare il mondo senza l’intervento del suo Figlio, così Dio Figlio non vuole santificarlo senza l’intervento dello Spirito Santo. La Chiesa, prima della sua Cresima, era debole, malaticcia, priva del potere di riprodursi e di diffondersi. Era come un bambino. Non c’è da stupirsi se vediamo in Essa le debolezze dell’infanzia. Ma poi improvvisamente lo Spirito della vita scende su di Essa. Dalla fornace dell’amore divino, che è il Cuore di Gesù, sono spuntate le fiamme che si sono posate sul capo degli Apostoli. Essi sono divenuti luminosi, perché lo Spirito di Gesù Cristo illumina le intelligenze nella stessa misura in cui Egli brucia i cuori. È l’amore per la verità che fa capire e indovinare la verità stessa. Fino a quel giorno gli Apostoli erano stati poco lucidi, perché avevano amato poco. Da quel momento in poi ameranno ardentemente, e tutti i misteri saranno rivelati al loro amore. Le fiamme avranno la forma di lingue, perché la Chiesa, d’ora in poi, non dovrà tenere per sé la verità, ma testimoniarla ed estenderla fino ai confini dell’universo. Queste lingue sono accompagnate da un vento, immagine dello Spirito Santo, che soffia dove vuole e fa piovere dove piace dalle fertili nuvole di grazia. Un vento che, all’inizio del mondo, è stato portato sulle acque e ha già sparso i semi della vita. Vento che in seguito ha scatenato le onde vendicative del diluvio e ha riportato la vita sulla terra purificata. Vento che in questo momento realizza una nuova creazione e rinnova la faccia della terra con un’infusione molto più abbondante dei suoi beni. Quanto è diversa la Chiesa dopo aver ricevuto il battesimo dello Spirito e del fuoco. Ciò che era debole e sterile solo poco tempo prima, acquista un vigore ed una fecondità incomparabili. È il bambino che ha raggiunto in un attimo la pienezza delle sue forze. Egli testimonia Gesù Cristo senza temere i castighi ai quali è esposto. E questa testimonianza è così efficace che tremila uomini chiedono subito il Battesimo. Questi sono i primi degli immensi frutti che la Chiesa confermata raccoglie in tutto l’universo, e i prodigi che non ha smesso di ripetere fino ai nostri giorni. Questi prodigi, che la venuta dello Spirito Santo ha prodotto nella Chiesa, dovrebbero essere rinnovati, anche se in misura minore, nelle anime di tutti i Cristiani confermati. Così lo stesso Spirito che è sceso visibilmente sugli Apostoli nel giorno di Pentecoste, scende invisibilmente su ciascuno di coloro che ricevono questo Sacramento. La grazia che ha riversato su coloro che ci hanno preceduto non ha in alcun modo diminuito la sua pienezza. Egli vuole arricchirci allo stesso modo, illuminarci con la stessa luce, bruciarci con lo stesso amore, vestirci con la stessa forza. La piccolezza dei nostri cuori deve essere stata l’unico ostacolo affinché si riempissero di questi beni celesti, mentre l’olio santo scorreva sulle nostre teste.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/06/02/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-11/

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMO 137: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … quoniam audisti”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 137

Ipsi David.

[1]  Confitebor tibi, Domine, in toto corde meo, quoniam audisti verba oris mei. In conspectu angelorum psallam tibi,

[2] adorabo ad templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo super misericordia tua et veritate tua, quoniam magnificasti super omne nomen sanctum tuum.

[3] In quacumque die invocavero te, exaudi me; multiplicabis in anima mea virtutem.

[4] Confiteantur tibi, Domine, omnes reges terræ, quia audierunt omnia verba oris tui;

[5] et cantent in viis Domini, quoniam magna est gloria Domini;

[6] quoniam excelsus Dominus, et humilia respicit, et alta a longe cognoscit.

[7] Si ambulavero in medio tribulationis, vivificabis me; et super iram inimicorum meorum extendisti manum tuam, et salvum me fecit dextera tua.

[8] Dominus retribuet pro me. Domine, misericordia tua in sæculum; opera manuum tuarum ne despicias.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXXVII.

Rendimento di grazie a Dio, che esaudì la sua supplica. Probabilmente era la supplica pel Messia, e ringrazia Dio che l’abbia esaudito, potendo ora predire la gloria del Cristo, e la conversione delle genti.

Dello stesso David.

1. Darò lode a te con tutto il cuor mio, o Signore, perché hai ascoltate le voci della mia bocca. Al cospetto degli Angeli canterò inni a te;

2. te adorerò nel tuo tempio santo, e darò lode al tuo nome. A motivo della tua misericordia e della tua verità; perché sopra qualunque cosa hai esaltato il tuo santo nome. (1)

3. In qualunque giorno io t’invochi, esaudiscimi: moltiplicherai nell’anima mia la fortezza.

4. A te dian lode, o Signore, tutti i re della terra, perché hanno udite tutte le parole della tua bocca.

5. E cantino le vie del Signore, perché grande è la gloria del Signore.

6. Perché il Signore è eccelso, e sopra le cose basse getta i suoi sguardi: e le alte mira da lungi.

7. Se io camminerò nel mezzo della tribolazione, tu mi darai vita; e contro l’ira dei miei nemici stendesti la mano tua, e la tua destra mi salvò.

9. Il Signore farà mie vendette: Signore, la misericordia tua è per sempre; non disprezzare le opere della tua mano.

(1) La Vulgata riporta “sanctum”, invece di “verbum” che si legge nel testo ebraico, ma il senso è lo stesso. Questo “nome” è quello del “Verbo” « ciò che nasce da te è santo. » Il rapporto con l’Incarnazione è evidente (Le Hir.

Sommario analitico

In questo salmo, che è un canto di azioni di grazie in cui Davide, liberato da tutti i suoi nemici, riconosciuto come re da tutte le tribù, celebra a suo nome e a nome del suo popolo la gloria ed i benefici del Signore, e gli rende grazie della promessa che ha fatto a Davide di far uscire da lui il Messia e stabilire il suo trono per sempre.

I. – Egli promette di cantare le lodi di Dio, ed indica:

1 ° Il modo o le qualità di sua azione di grazie:

a) la lode del cuore in presenza di Dio (1);

b) la lode esteriore, la salmodia in presenza degli Angeli (2);

c) l’adorazione del corpo nel tempio;

d) la glorificazione del nome di Dio con le opere (2);

2° La causa: a) la misericordia di Dio, b) la sua verità per il compimento delle sue promesse, c) la sua potenza con la quale egli ha glorificato il suo nome (2);

3° Il frutto che ne spera: a) è che Dio esaudirà la sua preghiera in ogni tempo, b) che moltiplicherà ed aumenterà la forza della sua anima (3).

II. – Egli invita tutti i re della terra a rendergli ugualmente l’omaggio e fa loro conoscere:

1° la maniera con cui devono espletare questo dovere: a) è riconoscerlo come sovrano padrone dell’universo (4); b) camminare nelle sue vie e cantare le sue lodi alla vista dei mezzi ammirabili che Egli usa per eseguire ciò che vuole (4, 5);

2° Le ragioni sulle quali è fondato questo dovere, che sono: a) perché essi hanno visto la gloria di questo Dio liberatore (5); b) perché Dio, sì elevato per la sua natura, abbassa i suoi occhi e guarda da lontano i superbi (6); c) perché Egli viene in soccorso dei suoi servi nella tribolazione (7); d) perché punisce i loro nemici stendendo la sua mano ed esercitando la sua vendetta su di essi; e) perché dà ai suoi servi, opera delle sue mani, una gloria eterna (8).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1-3. – Una delle cose più rimarchevoli nei salmi, e forse una delle meglio sottolineate, è l’offerta che fa incessantemente il Profeta del suo cuore e di tutto il suo cuore. È – dice San Agostino – l’olocausto che brucia perpetuamente sull’altare del Signore. Io faccio del mio cuore tutto intero un altare per confessare il vostro Nome, ed io vi presento un olocausto di lode. È l’amore che consuma questo olocausto; il Profeta che non trattiene nulla per sé, ma consacra tutto a Dio … Quale differenza tra la preghiera del Re-Profeta e quella della maggior parte dei Cristiani! Noi preghiamo, sia con formule estratte dai Salmi, sia ripetendo le diverse preghiere della Chiesa, sia anche meditando le verità eterne, ma dov’è il cuore? Noi diciamo con Davide: « Signore, io vi lodo, vi rendo delle azioni di grazie con tutto il mio cuore; » ma il nostro cuore è d’accordo con la nostra bocca? (Berthier). « Perché avete ascoltato le parole della mia bocca. » La mia bocca, cos’è se non la bocca del mio cuore? Noi abbiamo in effetti, nel cuore, una voce che Dio ascolta e che alcun orecchio umano conosce. Questa bocca è dentro di noi: è là che noi preghiamo, e se noi abbiamo preparato in noi un alloggio o una casa per Dio, è là che gli parliamo, è là che veniamo esauditi (S. Agost.) – Bisogna che le nostre preghiere, che i nostri canti di azione di grazie siano in rapporto con l’alta elevazione dei nostri uditori. Noi abbiamo come spettatori e giudici gli Angeli che circondano il trono di Dio, bisogna dunque che tutto il nostro esterno, che le nostre parole, siano in armonia con la santità del cenacolo in mezzo al quale siamo, quando preghiamo. Se abbiamo sempre presente allo spirito questo pensiero che i santi Angeli ci contemplano e ci ascoltano, lodano il nostro zelo ed il nostro fervore e che condannano, al contrario, le nostre distrazioni, la nostra negligenza, la nostra tiepidezza, noi saremo più attenti e raccolti. – Il Profeta vuol dire anche che la sua preghiera imiterà le adorazioni di queste intelligenze celesti, che non vi mescolerà niente di umano, che si eleverà al di sopra di tutti gli oggetti terrestri. Io mi sforzerò di cantare con gli Angeli, di rivaleggiare nello zelo con essi. Io sono di natura diversa, è vero, ma mi sforzerò di eguagliarli con l’ardore dei miei desideri e prendere posto tra essi. (S. Chrys.). – « Io adorerò nel vostro tempio santo » Qual è questo tempio santo? Il luogo ove noi dimoreremo, il luogo dove noi adoreremo. Noi vi corriamo per adorare, il nostro cuore è grande, porta il suo fardello e cerca un luogo ove possa depositarlo. Qual è questo luogo ove Dio deve essere adorato? In qual mondo, in quale edificio, su quale trono, nel cielo ed in mezzo alle stelle? … Dio ha il suo trono in noi; « Il tempio di Dio è santo, e voi siete questo tempio. » (I Cor. III, 17). Tuttavia questo è evidente, Dio abita anche negli Angeli, dunque, quando la gioia che ci causano le cose spirituali ci fa cantare per Dio in presenza degli Angeli, questa celeste milizia è il tempio di Dio, e noi adoriamo nel tempio di Dio. C’è una Chiesa del basso, ed una Chiesa dell’alto: la Chiesa del basso è formata da tutti i fedeli, la Chiesa dell’alto è formata da tutti i santi Angeli (S. Agost.) – Il Profeta non separa mai la Misericordia dalla verità delle promesse di Dio; perché, ancorché Dio non possa mancare alla verità di ciò che Egli ha promesso, non promette che con un effetto della sua infinita Misericordia. – Ammiriamo egualmente, nell’una e l’altra delle sue perfezioni, la Potenza e la Gloria del suo santo Nome, elevate al di sopra di tutto, o meglio, secondo un’altra traduzione data da San Girolamo a questo versetto, secondo il testo ebraico, perché avete elevato al di sopra di ogni nome, il vostro Santo, cioè il Figlio di Dio, chiamato Santo in un senso assoluto, perché Egli è cosa santissima, e che non c’è, né nel cielo, né sulla terra, niente di più santo di Lui. È in questo stesso senso che l’Angelo dice a Maria: « Ecco perché il Santo che nascerà da voi, si chiamerà Figlio di Dio, » (Luc. I, 35). – E non è ad una sola nazione che il Nome di Dio si è fatto conoscere, ma è stato elevato, glorificato al di sopra di tutte le cose, e la grandezza della sua santità si è diffusa tra tutti gli uomini. Non c’è qui distinzione, barbaro, scita, schiavo, uomo libero, uomo, donna, tutte le età qui sono uguali: il Nome di Dio è stato glorificato al di sopra di tutte le creature. I templi sono stati distrutti, gli idoli sono stati sgretolati, gli auspici, grazie all’intercessione dei santi, restano silenziosi, la fede negli auguri è una fonte di inganno, il Nome solo di Dio resta santo tra le nazioni. Egli risponde sempre alla speranza che i santi mettono in Lui, e ovunque è invocato, dà soccorso efficace e divino (S. Hilar.). – « In qualunque giorno io vi invoco, esauditemi. » Perché? Perché io non chiedo più benessere terrestre; io ho imparato, con il vostro Nuovo Testamento, a concepire i santi desideri. Io non chiedo né la terra, né la fecondità carnale, né la salute temporale, né il dominio sui miei nemici, né le ricchezze, né gli onori: io non chiedo nessuno di questi beni … cosa chiedo dunque? « Voi moltiplicherete. » Si può intendere in diversi modi questa moltiplicazione: l’uno vuol moltiplicare la sua famiglia, il suo oro, il suo denaro; un altro le sue greggi; questi i suoi servi, quest’altro le sue terre; questi, tutti i suoi beni … quale moltiplicazione si cerca? « Voi moltiplicate nella mia anima, » non nella mia carne. Fate che aggiunga ancora qualche cosa, nel timore che questa moltiplicazione nella propria anima non comporti per se stessa l’idea di felicità? In effetti gli uomini possono risentire nella loro anima di una moltiplicazione di preoccupazioni; queste sembrano moltiplicate nella sua anima, e che i vizi si siano moltiplicati; l’uno è solamente avaro, l’altro è solamente orgoglioso, un terzo è solamente portato alla lussuria, mentre che tal altro è contemporaneamente avaro, superbo e lussurioso; c’è moltiplicazione nella sua anima, ma questa moltiplicazione è quella dell’indigenza e non quella dell’abbondanza … Voi dunque che avete detto: « esauditemi », che siete come strappato dal vostro corpo, staccato da ogni cosa terrestre, da ogni desiderio mondano, che pensate dicendo a Dio: « Voi moltiplicate nella mia anima? Qual è l’oggetto dei vostri desideri? » – « Voi moltiplicate nella mia anima la virtù. » Ecco il suo voto nettamente espresso, ecco il suo desiderio chiaramente formulato, staccato da ogni confusione (S. Agost.). L’Apostolo San Paolo, molto tempo dopo il Re-Profeta, chiedeva la stessa grazia per i nuovi Cristiani: « Io piego, diceva, il mio ginocchio davanti al Padre di Gesù-Cristo Nostro Signore, affinché, secondo la ricchezza della sua Gloria, vi fortifichi, vi moltiplichi con il suo Spirito, nell’uomo interiore (Ephes. III, 16). Questo linguaggio non era riservato ai solitari, a coloro che volevano tendere ad una più alta perfezione: l’Apostolo lo credeva necessario per la salvezza dei semplici fedeli.

ff. 4, 5. – Qual profondo sentimento di gratitudine nel Re-Profeta!! Non gli è sufficiente rendere grazie a Dio nel suo nome, invita i potenti della terra, coloro che portano il diadema, a venire ad associarsi alla sua riconoscenza. La loro potenza è grande, è vero, sembra dire, ma vi devono tuttavia delle azioni di grazie per i benefici che avete accordato agli altri uomini … « Perché hanno inteso le parole della vostra bocca. » Giammai la loro regale potenza procurerà loro vantaggi comparabili a quello di intendere le vostre parole. Ecco che si assicurerà loro, tutto in una volta, sicurezza, forza, splendore, gloria; ecco per essi la vera regalità; ecco ciò che darà alla loro autorità tanto splendore e potenza. (S. Chrys.). – « Signore, che tutti i re della terra vi glorifichino. » Così sarà e così è; è così ogni giorno, e noi vediamo che questa non era una vana parola, poiché essa doveva compirsi, « Signore, tutti i re della terra vi confessano. » Ma essi pure che confessano il vostro Nome, quando confessano il vostro Nome, quando vi lodano, non desiderano da Voi nulla di terrestre; perché cosa potrebbero desiderare i re della terra? Non hanno già l’impero? I più ampi desideri dell’uomo della terra non saprebbero salire più in alto dell’impero. Ove potrebbero andare oltre? La grandezza sovrana è una necessità di cose umane, ma forse è tanto più pericolosa quanto più elevata. Ecco perché, più i re sono elevati, più la loro grandezza è sublime sulla terra, più essi devono umiliarsi davanti a Dio (S. Agost.). – « Ed essi cantino nelle vie del Signore, che la gloria del Signore è grande. » I re della terra cantino nelle vie del Signore. In quali vie essi devono cantare? In quelle in cui è stato detto più in alto: « Nella vostra misericordia e nella vostra verità; » Perché « tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. » (Ps. XXIV, 10). Che i re della terra non siano dunque orgogliosi, ma siano umili. Allora, che cantino nelle vie del Signore, se sono umili: che amino ed essi canteranno. Noi sappiamo che i viaggiatori cantano abitualmente: essi cantano e si affrettano per arrivare. Ci sono canti cattivi che appartengono al vecchio uomo; ma il cantico nuovo appartiene all’uomo nuovo. I re della terra, o mio Dio, camminino dunque nelle vostre vie; che camminino e cantino nelle vostre vie. Cosa canteranno? « Che la gloria del Signore è grande, » e non quella dei re (S. Agost.). – Le vie del Signore sono l’ordine di provvidenza che Egli tiene riguardo agli uomini, i mezzi di salvezza che dona loro, la scienza della religione che comunica loro (Berthier).

ff. 6-8. – Ecco la grande gloria di Dio: essa consiste, malgrado la sua elevazione, malgrado la grandezza infinita della sua natura, della sua dignità, potenza, saggezza ed autorità, l’abbassare il suo sguardo benevolo su ciò che è piccolo ed infimo (Bellarm.) – Vedete come il Profeta ha voluto che i re cantassero nelle vie del Signore, comportandosi umilmente con il Signore, lontano dal levarsi con orgoglio contro il Signore. Ma se essi si levano contro di Lui come dice loro il Profeta: « Perché il Signore è l’Altissimo e guarda a ciò che è umile ». I re vogliono dunque che Dio li riguardi che siano umili. Perché? Se essi si levano per orgoglio, potrebbero nascondersi ai suoi occhi? E perché avete sentito il Profeta dire: « Egli guarda ciò che è umile, » cercate di non divenire orgogliosi e dire nella vostra anima: Dio guarda gli umili, e non ha occhi su di me; io posso fare ciò che voglio. Chi mi vedrà in effetti? Ciò che io faccio è nascosto agli uomini; Dio non vuol vedermi, perché io sono poco umile ed Egli non guarda se non ciò che è umile; io farò tutto ciò che mi piacerà. O quanto insensati siete! Direste questo se sapeste ciò che dovete amare? Così dunque, se Dio non vuol vedervi, cesserete allora di temerlo, perché non vuol vedervi? Se voi salutate qualche personaggio potente, e costui, occupato in altra cosa, non vi vede, da qual dolore in vostro cuore non sarebbe colpito? E se Dio non vi vede, vi credete in sicurezza? Il Salvatore non vi vede, ma il nemico soddisfatto vi vede. E tuttavia Dio stesso vi vede. Non crediate che Egli non vi veda, pregate piuttosto di meritare di essere visti da Colui che vi vede (S. Agost.) – Il Profeta non dice: allontanate da me la tribolazione, ma conservatemi la vita in mezzo a rudi prove; vale a dire quando cadrò nei più grandi pericoli, Voi siate tanto potente da salvarmi. Ora, ciò che è veramente ammirevole, ciò che sorpassa ogni pensiero umano, è che, malgrado le calamità ed i nemici che mi assediano da ogni parte, Voi mi date una perfetta sicurezza … Vedete qui questa doppia prova della potenza di Dio? Voi mi conservate la vita, egli dice, in mezzo ai mali da cui sono circondato, e nello stesso tempo, umilierete, comprimerete la rabbia dei miei nemici: « e la vostra destra mi ha salvato. » Dio in effetti, è ricco di espedienti, ha risorse all’infinito, può salvarci in mezzo alle situazioni più disperate (S. Chrys.) – S. Agostino dà a queste parole una interpretazione molto più elevata: « Sappiamo – egli dice – comprendere la tribolazione di cui parla il Profeta … egli non ha voluto dire: se mi capita per caso qualche tribolazione, voi mi libererete. Che dice dunque? « Se cammino in mezzo alla tribolazione, Voi mi darete vita; » vale a dire, Voi non mi darete la vita se non cammino in mezzo alle tribolazioni (S. Agost.). – Le tribolazioni di questa vita mortale sono l’unico mezzo per giungere alla vera vita. – Che i miei nemici dispieghino il loro furore; cosa possono i miei nemici contro di me? Prendermi il denaro, spogliarmi, proscrivermi, mandarmi in esilio, torturarmi con dolori e tormenti; infine, se ne hanno il permesso, togliermi la vita; possono fare qualcosa di più? Ma Voi Signore, « avete steso la vostra destra contro la collera dei miei nemici, » avete steso la vostra mano, ben al di là di ciò che i miei nemici potessero farmi. (S. Agost.). – Notate queste parole del Re-Profeta: « Se vengo a camminare in mezzo alla tribolazione. » Nella via della virtù, bisogna necessariamente camminare. « Camminate nella carità » (Ephes. V, 2); « camminate nella saggezza; » (Coloss. IV, 5, 6); « camminate come figli della luce. » (Ephes. V, 8).  Nella via del cielo, non bisogna restare stesi a terra, per paura di essere coperto ed assalito dalla polvere del cammino; non bisogna rimanere seduti, per non perdere tempo; non bisogna restare in piedi immobili, per non essere abbattuto dal nemico che piomba su di noi all’improvviso; ma bisogna camminare per non essere raggiunto dal nemico, per attraversare rapidamente i luoghi infestati dai ladri, per raggiungere le truppe ausiliari che Dio ha predisposto sulla strada, per arrivare al termine. – Più ancora, bisogna camminare nella tribolazione, per seguire Gesù-Cristo e, caricato della sua croce, salire con Lui la montagna del Calvario, e raggiungere, con sforzi generosi, il regno dei cieli, che soffre violenza e non è raggiunto e conquistato se non da coloro che si fanno violenza. –  « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Io non dico, Signore, non disprezzate le opere delle mie mani; io non mi vanto delle mie opere. Ma in verità, « … io ho cercato il Signore con le mie mani, la notte, in sua presenza, e non sono stato deluso; » (Ps. XXXI, 3); ma tuttavia io non mi vanto delle opere delle mie mani; io temo che esaminandole, Voi troviate più peccati che meriti. Io non chiedo che una cosa, io non dico che una cosa, non desidero ottenere che una cosa: « Non disprezzate le opere delle vostre mani. » Vedete in me l’opera vostra, non la mia; perché se considerate la mia opera, Voi mi condannerete, se considerate la vostra opera, Voi mi coronerete. Tutte le mie buone opere, quali che siano, mi vengono da Voi; esse sono piuttosto vostre che mie; perché io sento il vostro Apostolo dirmi: « È la grazia che vi ha salvato con la fede e questa non viene da voi, perché è un dono di Dio, né dalle opere, affinché nessuno si glorifichi; perché noi siamo la sua opera, essendo stati creati nel Cristo Gesù per le buone opere. » (Ephes. II, 8, 10). Dunque, sia in quanto siamo uomini, sia in tanto che siamo giustificati della nostra empietà e cambiati, Signore, « … non disprezzate le opere delle vostre mani. » (S. Agost.) – Essere povero, carico di debiti, avere qualcuno che paghi i nostri debiti, è come essere ricco e non dover niente. – Questa è la condizione del Cristiano: egli è caricato, o piuttosto sommerso dai debiti dei suoi peccati; ma Gesù-Cristo ha pagato per lui. Egli ha pagato ciò che non doveva per acquistare colui che doveva, ha risposto per noi, si è reso cauzione per noi, ha pagato il nostro riscatto quando ha operato la grande opera della Redenzione … Occorre chiedergli dunque di completare ciò che ha cominciato e non disprezzare l’opera propria. (Dug.).

IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (9)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (9)

[Ed. Réganault/Egnault, chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo X

LO SPIRITO CRISTIANO, SIGILLO DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Terza vita del Cristiano: « La vita dello Spirito »

Sappiamo che, se siamo Cristiani, c’è qualcosa in noi che ci appartiene veramente e che ci eleva al di sopra di noi stessi rendendoci un essere veramente divino che ci fa uscire dalla sfera delle cose create: una terza vita che il giorno del Battesimo si è aggiunta alla vita animale e alla vita razionale, ricevute dalla natura, ma superiore alle altre due infinitamente più di quanto la vita razionale sia superiore a quella animale. Questo essere divino del Cristiano ha nella Scrittura un nome il cui significato è stato alterato dal linguaggio abituale: lo spirito. L’uomo è un insieme di corpo e di anima. Il Cristiano, per grazia, possiede, oltre alla vita del corpo e dell’anima, anche la vita dello spirito. I discepoli del Salvatore sono chiamati da San Paolo uomini spirituali mentre gli uomini carnali sono quelli che lo Spirito di Gesù Cristo non ha liberato dalle loro inclinazioni corrotte. Per l’Apostolo, la vita dello spirito è la vera vita. Non ci sono uomini vivi se non quelli in cui questa vita sia sufficientemente vigorosa tanto da soffocare quella della carne (Rm. VIII, 13). Qual è questo spirito con cui abbiamo a che fare adesso? La Scrittura, che usa continuamente questa parola, non le dà sempre lo stesso significato. A volte è difficile discernere se ci parli dello Spirito di Dio o del nostro. Esiste una differenza profonda, in verità, perché tra lo Spirito di Dio e lo spirito creato più perfetto c’è una distanza infinita. Non è molto glorioso che la nostra somiglianza con lo Spirito Creatore possa raggiungere il punto da confondersi con Lui? Egli l’ha voluto con ogni deliberazione usando, per indicare il risultato della nostra unione con Lui, una parola dal doppio significato, che può essere applicata nello stesso modo a Lui e a noi.

Similitudine dello spirito cristiano con lo Spirito Santo.

Negli uffici della Chiesa, la formula con cui finiscono quasi tutte le preghiere, viene a volte modificata. Invece di dire: per Gesù Cristo nostro Signore che vive e regna con Te nell’unità dello Spirito Santo, diciamo « … nell’unità dello stesso Spirito Santo ». Il che significa che si è parlato dello Spirito Santo nella preghiera così conclusa. Ora, alcuni anni fa la Sacra Congregazione dei Riti ha ordinato che le parole “dello stesso” venissero tolte dalla fine di alcune preghiere alle quali era stata aggiunta. Si era parlato di Grazia, tuttavia, e le parole “dello stesso” erano state introdotte partendo dal presupposto che questo spirito non poteva essere altri che lo Spirito Santo. Sopprimendo queste parole la Sacra Congregazione ha deciso che lo spirito in questione fosse lo spirito del Cristiano, unito per grazia allo Spirito di Dio. Si deve credere che l’inserimento delle parole “dello stesso” contenesse un errore dogmatico e che, nel pronunciarlo, i ministri della Chiesa attribuissero a Dio ciò che è proprio della creatura? Niente affatto! Tutto ciò che si dice dello spirito cristiano, in quanto vive della vita soprannaturale, può giustamente essere applicato allo Spirito di Dio come suo principio. Tra i due c’è lo stesso rapporto che c’è tra il volto di un uomo e la sua immagine riflessa in uno specchio dai raggi di luce. Così come si possono dare giudizi sull’immagine, questi stessi possono essere applicati allo spirito di grazia che è nel Cristiano, qualità e prerogative che, di per sé, non dicono altro che “nello Spirito di Dio”. Se c’è confusione, essa non ha altro fondamento che l’ineffabile bontà dello Spirito Santo, il Quale, nel contemplare Se stesso nell’anima giusta, si rallegra nel trasformarla tanto da poter essere confusa con Esso.

Lo Spirito Santo si compiace di questa somiglianza.

Lo Spirito Santo è estremamente soddisfatto di questa somiglianza. Basta leggere le Lettere di San Paolo per convincersi che lo Spirito Santo, lungi dal temere che lo spirito cristiano sia simile a Lui, lo cerca e si compiace di questo. La parola “spirito”, che ad ogni passo scorre dalla penna dell’Apostolo, si riferisce tanto allo Spirito di Dio, come si riferisce al nostro. A volte i due sensi si confondono nella stessa frase, a volte c’è motivo di chiedersi quale dei due sia stato nella mente dell’Apostolo. In alcuni testi non c’è dubbio che egli abbia in mente lo Spirito Santo, terza Persona della Trinità, come quando ad esempio dice: « La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato. Non sapete che i vostri membri sono templi dello Spirito Santo? » (1 Cor. VI, 19); « E poiché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del suo Figlio nei vostri cuori, che grida: “Abbà, Padre”. » (Gal. IV, 6). Ma ecco un testo, simile all’ultimo, in cui non si riferisce allo Spirito di Dio, ma al nostro: « Non avete ricevuto lo spirito di schiavitù che ispira paura, ma lo spirito di adozione di figli, per mezzo del quale gridiamo: Abbà, Padre! » (Rm. VIII, 16). La somiglianza tra Dio e noi, di cui abbiamo parlato poco fa, si mostra qui in tutto la sua chiarezza. Non possiamo non notare, nel confrontare i due testi di San Paolo, la stretta unione di questi due spiriti. Da un lato, lo Spirito del Figlio è mandato nei nostri cuori e grida in noi: Padre! Dall’altro, il nostro stesso spirito, sentendo la sua adozione divina, lancia lo stesso grido a Dio, che è la sintesi di ogni preghiera del Cuore di Gesù. Il Figlio di Dio, nel trasformare un’anima umana, l’ha riempita di Spirito Santo, che procede da Lui, e le ha dato il diritto di rivolgersi a Dio come suo vero Padre. Ma lo Spirito del Figlio viene dal Cuore di Gesù al nostro, e in Lui, come in Gesù, usa lo stesso linguaggio che con Dio e grida: Padre! invitandoci ad unire la nostra voce alla sua. Infatti, San Paolo dice: « Lo Spirito testimonia al nostro spirito che siamo figli di Dio. » (Rm VIII, 16). Se ascoltiamo la sua voce, se ci lasciamo trasportare dalla sua influenza divina, il nostro spirito sarà animato dai suoi sentimenti; esso concepirà per Dio un amore e una fiducia del tutto filiale; canterà all’unisono con Lui e dirà: “Padre!” Ascoltate l’Apostolo e vedete come spiega, con l’uso della stessa parola in entrambi i sensi, la comunità di vita e di finalità che risulta dall’unione dello Spirito di Gesù Cristo con lo spirito del Cristiano: « Non siete dalla carne – dice ai suoi discepoli – ma dallo spirito, se davvero lo Spirito di Dio abita in voi. Ma chi non ha lo Spirito di Cristo, Esso non è di Lui. E se Cristo è in voi, il corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito vive per la giustizia. E se lo Spirito di Colui che è stato risuscitato dai morti dimora in voi, Colui che ha risuscitato Gesù Cristo dai morti darà vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. » (Rom. VIII, 9-11). L’intera dottrina di San Paolo sulla somiglianza e la relazione tra i due spiriti è riassunta in un confronto, la cui verità e bellezza i santi Padri si sono presi la briga di mettere in evidenza: « Voi avete ricevuto il suggello – dice l’Apostolo agli Efesini – dello Spirito Santo. » (Ef 1, 13). Ascoltiamo la spiegazione data da sant’Atanasio nella sua lettera a Serapione: « Lo Spirito Santo è il sigillo che il Verbo usa per incidere la sua immagine sulle creature; quel sigillo porta l’effigie di Colui che lo usa. Citando Gesù Cristo che ci imprime il suo sigillo (dandoci il suo Spirito), noi prendiamo la sua forma, secondo quanto dice l’Apostolo: « Figlioli, io soffro di nuovo per voi i dolori del parto, finché non vedrò Gesù Cristo formato in voi. » In questo modo la creatura è associata al Verbo e attraverso di Lui tutti noi partecipiamo della divinità. Basta pensare un po’ a questo confronto per vedere il rapporto tra la dottrina dei due spiriti che ora esponiamo e i princìpi precedentemente stabiliti sulla grazia increata e creata. Prendete un sigillo e applicatelo alla cera. Se questa è abbastanza morbida, l’impressione che si riceve sarà la riproduzione esatta e completa delle linee incise sul metallo. Avremo su entrambi i lati la stessa immagine con una sola differenza: nel sigillo l’immagine è come nel suo principio e nella cera come nella sua materia. Nel primo, l’immagine è in qualche modo attiva, si dà da se stessa, mentre nel sigillo viene ricevuto più passivamente. È, né più né meno, ciò che accade nell’anima quando è unita allo Spirito di Dio. Lo Spirito Santo non si accontenta di essere sostanzialmente presente nell’anima, ma si unisce ad essa e vi imprime i suoi sentimenti: « Egli lavora in essa in modo tale – dice San Tommaso – che l’anima comincia ad essere ciò che è sostanzialmente. » (S. Th. I, 2., q. 110, a 2 ad. 2.). Nuove luci, sono prodotte nell’anima, nuovi sentimenti, nuova forza, nuova vita, infinitamente superiore alle luci, ai sentimenti, alle facoltà, alla vita naturale della creatura razionale ed immagine perfetta della vita di Dio.

Cosa intende la Scrittura per spirito cristiano?

Questo è ciò che la Scrittura chiama lo spirito del Cristiano: non è la sostanza stessa dello Spirito di Dio, anche se suppone la presenza reale e sostanziale dello Spirito Divino nell’anima; né è una terza sostanza incompleta, distinta dall’anima, come essa lo è dal corpo. No, lo spirito cristiano è costituito da un insieme di facoltà, abitudini e atti che appartengono alla classe delle perfezioni che i teologi chiamano accidentali, perché si aggiungono alla sostanza dell’anima. Ma sono accidenti divini che portano l’anima ad una perfezione infinitamente superiore a quella che le sostanze più eccellenti possono avere naturalmente. Questo spirito è uno e molteplice. Come la nostra vita naturale nasce dallo stesso principio, l’anima razionale, che contiene in sé una meravigliosa varietà di forze e tendenze, così la nostra vita divina è formata in noi da un unico spirito, che è, rispetto alla nostra anima razionale, ciò che essa è rispetto al corpo: « Rinnovatevi – dice San Paolo – nello spirito della vostra mente. » (Ef. IV, 23). Applicato alle nostre facoltà, produce una moltitudine di spiriti che sono, per questo, ciò che i rami sono nell’albero. Essi sono tanti, quante sono le virtù e i doni gratuiti dell’ordine soprannaturale. C’è infatti lo spirito di fede e di amore, di saggezza e di intelligenza, di consiglio e di forza, di conoscenza, di pietà e di timor di Dio, di profezia e di molti altri. Sono queste altrettante forze divine, diverse nelle loro manifestazioni, ma identiche nel loro principio. Qual è questo principio? Innanzitutto lo Spirito di Dio che, attraverso la sua unione con l’anima, la rende capace di produrre opere soprannaturali: Hæc omnia operatur unus atque idem Spiritus (1 Cor XII, 2); e, nell’anima stessa, la grazia santificante si rende uno stesso spirito con Dio: Qui adhæret Deo unus spiritus est. Sì, San Paolo ha detto bene: uno stesso spirito. Ci allontaneremmo dalla verità se supponessimo che, nella divinizzazione della nostra anima, il sigillo divino sia separato dalla sua immagine. Quando facciamo questa separazione nell’ordine materiale, è molto facile per noi distinguere la traccia lasciata nella cera dal sigillo che l’ha prodotta. Ma prima che si separino l’uno dall’altro, quando il sigillo è ancora attaccato alla cera, non forma davvero una sola cosa con la sua immagine? Cera e metallo sono due sostanze, ma sono unite dalla stessa immagine, che è attiva in una e passiva nell’altra. Ora, l’anima cristiana, divinizzata dallo Spirito di Gesù Cristo, non è separata da quel sigillo divino. Se avesse la sfortuna di farlo, nello stesso istante, la divinizzazione cesserebbe. Essa rimane costantemente sotto questa feconda pressione. Essa è attaccata a Lui e riceve la Sua influenza, che non cessa di impressionarla e di renderla a Sé simile; in realtà non fanno più che un medesimo spirito, e ora si comprende come la parola spirito, usata per esprimere questa ineffabile unione, possa riferirsi a una delle due sostanze tra le quali si produce: Qui adhæret Deo unus spiritus est.

Cosa significa “spirito buono” e “spirito cattivo”?

Queste spiegazioni ci permettono di risolvere un problema di straordinaria importanza pratica. Si dice di certi uomini che abbiano uno spirito buono, di altri che siano animati da spiriti cattivi. Quale potrebbe essere il significato di queste parole? Certamente non intendiamo che tutti coloro ai quali attribuiamo uno spirito malvagio siano in peccato mortale. Ma, d’altra parte, se supponiamo che siano in uno stato di grazia, non dobbiamo forse riconoscere che abbiano lo Spirito Santo, che è lo spirito buono per eccellenza? Come è compatibile uno spirito cattivo con il possesso di questo Spirito? Per spiegare questo fatto, la cui realtà è dimostrata dall’esperienza quotidiana, ricordiamo ciò che abbiamo da poco ammesso. Il Cristiano è tale in ragione dello spirito buono; ma, diventando Cristiano, non cessa di essere uomo. La terza vita che la grazia di Cristo gli ha conferito, non ha distrutto in lui le due vite inferiori, quella animale e quella razionale. Egli rimane libero, anche dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, di seguire l’impulso degli istinti animali e delle inclinazioni egoistiche. Se si lascia trascinare nel peccato mortale, distrugge in se stesso la vita divina, spegne lo spirito, secondo l’espressione di San Paolo (1 Tess. V, 9). Ma senza arrivare a quell’estremo, di quante infedeltà può diventare colpevole! Lo spirito buono rimarrà in lui per tutto questo tempo. Ma il Cristiano imperfetto, lungi dal mostrare nella sua condotta l’influenza di quell’Ospite, manifesterà movimenti e tendenze contrarie. Tutti coloro che lo vedono all’opera, giudicando l’albero dai suoi frutti e l’anima dalle sue abitudini, diranno di lui che ha uno spirito cattivo. Quale Cristiano si può dire che sia di buono spirito? Colui che non si accontenta di avere in sé lo Spirito di Dio, ma che opera abitualmente sotto la sua influenza, che lo consulta nei suoi dubbi, che ascolta attentamente le sue ispirazioni, segue il suo impulso con docilità, si sforza in ogni momento di vivere, non secondo la volontà della carne, né secondo visioni puramente umane, ma come un vero figlio di Dio (1 Giov. I, 13); colui che è continuamente in guardia contro i legami dello spirito maligno e che, con l’esercizio di un’instancabile vigilanza, abbia acquisito l’arte del discernimento e l’abitudine di preservarsi da essi. Poiché la santità consiste nella fedeltà alle ispirazioni dello spirito buono, non lo si può mai raggiungere se non si impara a discernere queste ispirazioni dalle illusioni con cui lo spirito malvagio si sforza di sedurre coloro che non riesce a trascinare con le tentazioni manifeste. La scienza del discernimento degli spiriti è uno dei rami più importanti della grande scienza dei Santi. Non ce n’è un altro il cui uso sia più continuo, poiché siamo sempre sotto l’influenza di questi vari spiriti. Da un lato, siamo inclini al bene per lo Spirito di Dio, per i nostri Angeli e per le inclinazioni soprannaturali della nostra anima, dall’altro al male, apparente o nascosto, per l’angelo di satana e per le inclinazioni corrotte della nostra natura. Se non ci armiamo di una instancabile vigilanza e di una risolutezza incrollabile, saremo senza dubbio abbattuti dalla violenza della tentazione, o deviati verso i terribili sentieri dell’illusione.

Risoluzione pratica.

Ecco perché è indispensabile che, docili all’esortazione così incoraggiante del Divin Maestro, chiediamo incessantemente lo spirito buono al nostro Padre Celeste, che non può negarlo ai suoi figli! (S. Lc. XI, 13). Ma non accontentiamoci di chiedere quello Spirito che deve venire dal cielo; ricordiamoci che c’è in noi un altro spirito che, nato da Dio, non può vivere o svilupparsi senza la nostra libera collaborazione. Dio non ha aspettato che le nostre richieste ci segnassero con il suo sigillo, perché abbiamo ricevuto l’immagine divina prima di poterne apprezzare il valore, prima di conoscere noi stessi. Ma noi non siamo cera morta in cui questa immagine può sempre essere ricevuta passivamente. Possiamo cancellarla, così come permettere all’amore divino di inciderla più profondamente nella nostra anima. Viviamo già secondo lo spirito; ma sta a noi camminare più velocemente, lavorare più coraggiosamente sotto la sua influenza (Gal. V, 25). Possiamo rinnovarci incessantemente nello spirito della nostra anima (Ef. IV, 23) e completare, sottomettendoci sempre più alla legge dello spirito della vita, la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato e dalla morte.

PARTE TERZA

MEZZI PARTICOLARI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo 1

IL CUORE DI GESÙ ED I SACRAMENTI IN GENERALE

Introduzione alla terza parte

Nella conoscenza del nostro rapporto con Gesù Cristo sta la vera scienza del Cristiano, la scienza per eccellenza che lo pone al di sopra di tutti gli altri, quanto il cielo si innalza sopra la terra. Non c’è niente altro da imparare se sappiamo bene cosa sia il Cuore di Gesù per noi, il suo modo di stare con noi e come il nostro cuore debba corrispondere alla sua azione. Se sapessimo bene le condizioni dello scambio meraviglioso, attraverso il quale il Cuore di Gesù ci viene donato nella sua interezza,  potremmo donarci interamente a Lui. Coraggio, siamo sulla via più breve e sicura che possa guidarci per questa preziosa scienza. Studiamo con sempre maggiore attenzione e con un amore più ardente, i mezzi con cui il Cuore di Gesù ci viene comunicato, per sapere come dobbiamo andargli incontro. Sappiamo che Egli è la fonte della nostra vita divina; ci resta da scoprire quali siano i canali che distribuiscono questa vita nel nostro cuore. Ce ne sono alcuni che, da se stessi e indipendentemente dalla nostra azione, hanno la virtù di conferirci la vita in modo permanente, purché non mettiamo ostacoli sulla nostra strada. A questa classe appartengono i Sacramenti, chiamati da Isaia, le fonti del Salvatore. Il Cuore di Gesù ci comunica anche la vita divina attraverso tutti gli atti che ci fa compiere in unione con Lui, una volta che ci ha uniti a Sé con la giustificazione: a questa comunicazione, permanente come la grazia dei Sacramenti, si dà il nome di merito. Attraverso la grazia vera e propria, che può essere puramente esterna, ma che ci può essere data anche attraverso il ministero della Chiesa, il Cuore di Gesù esercita su di noi un’azione transitoria, che non costituisce un merito in sé, ma ci mette nella condizione di acquisirlo. Lo studio della nostra unione con il Cuore di Gesù, sotto questi diversi aspetti, ci aiuterà a conoscere meglio la nostra Religione ed a coordinare meglio le conoscenze che abbiamo acquisito da essa. La nostra pietà, ben fondata sui dogmi, sarà allo stesso tempo più solida e tenera. Perché è impossibile non amare il Cuore di Gesù più ardentemente, quanto più si penetra intimamente nella sua conoscenza. Tuttavia, non possiamo  comporre qui un trattato completo sui Sacramenti, che sono il mezzo con cui si realizza la grande opera di formazione di Gesù Cristo in noi. L’unico obiettivo che ci proponiamo è quello di far capire il legame che unisce questa parte importante del dogma cattolico con il centro di tutta la Religione. È bene far vedere, con sempre maggiore chiarezza, l’unità di tutte le cose in quel Cuore Divino. Per raggiungere questo obiettivo non abbiamo bisogno di ricorrere a ipotesi avventurose o a sottili speculazioni. Ci basterà considerare il Cuore di Gesù così com’è realmente e così come ci è stato proposto alla nostra venerazione dal Divin Maestro stesso, cioè come un Cuore vivo, che ci ama e che non cessa di riversare su di noi gli influssi vivificanti del suo amore. Non possiamo negare che lo Spirito Santo sia l’inizio immediato della nostra vita divina; ma le grazie dello Spirito Divino ci vengono comunicate attraverso la santa umanità del Salvatore e attraverso un libero atto del suo amore. Il suo Cuore, organo e sede di quell’amore, deve essere visto come la sorgente da cui scorre incessantemente il fiume di vita che irrora il paradiso della Chiesa. Questo è il punto di vista in cui dobbiamo porci se vogliamo comprendere la nostra vera relazione con il Cuore di Gesù, e non vogliamo esporci al compromesso arbitrario di una devozione così ampia come la Religione stessa e di cui la sua devozione è il centro. E come il centro in una sfera, lungi dall’assorbire e confondere i vari punti della circonferenza, dà a tutti il suo ordine e la sua posizione, così la devozione al Cuore di Gesù ben compresa, non solo non oscura le devozioni particolari, né sminuisce le varie parti della Religione, ma al contrario, fa emergere molto meglio la sua ammirevole varietà e la sua divina armonia.

Capitolo II.

IL CUORE DI GESÙ E IL BATTESIMO

Meraviglie che opera il Battesimo.

Il Battesimo è il primo legame che unisce i Cristiani al Cuore di Gesù; è il sigillo dell’alleanza che porta il figlio dell’uomo nella famiglia di Dio; è il primo anello di una meravigliosa catena che Gesù Cristo ha operato durante la sua vita mortale, curando lebbrosi, paralitici, sordi, muti, posseduti, resuscitando i morti, tutte cose che non sono nulla in confronto al miracolo che si opera nel bambino che riceve il Battesimo. Il miracolo del Battesimo è la realtà di ciò che è figurativo nelle altre cose. Perché essendo com’era, cioè in potere del diavolo, l’anima di quel bambino è liberata; egli era morto e ora riceve la vita; era coperto dalla lebbra e viene completamente purificato, al posto di una forza umana, gli vien data una forza sovrumana. Tutto questo viene fatto non nell’ordine delle cose visibili che passano, ma nell’ordine delle cose invisibili, che sono uniche. Tutto questo avviene nell’ordine divino, perché la vita che il figlio dell’uomo riceve è una vita divina; le sue forze sono forze divine; l’eredità che egli acquisisce per diritto infallibile, è un’eredità divina. LAutore di tutte queste meraviglie è il Cuore di Gesù che, nel momento in cui l’acqua benedetta tocca la fronte del bambino, comunica al suo cuore lo spirito e la vita che Egli stesso anima.

Battesimo, mistero della morte.

Il mistero del Santo Battesimo è insieme un mistero di morte e un mistero di vita. Da quando l’uomo, dopo essersi spogliato della vita di Dio attraverso il peccato, si è volontariamente condannato a morte, non può tornare nel suo stato precedente se non si sottomette alla giusta punizione che i suoi peccati meritano. La misericordia divina non può rigenerarlo se la giustizia divina non sia prima soddisfatta. Il bambino che ha appena aperto gli occhi alla luce ha un debito da pagare, il debito contratto dal nostro primo padre e che è stato esteso a tutti i suoi discendenti. Un debito che deve essere pagato prima che il nuovo figlio di Adamo possa riacquistare i suoi diritti sull’eredità celeste. Come può essere ripagato da un bambino che non riesce nemmeno a pensare o ad agire da solo? Lo pagherà così come l’ha contrattato. Ha peccato nella persona del suo primo padre, il vecchio Adamo. Ma ha un altro Padre, il nuovo Adamo, che ha preso su di Sé, espiandolo, il debito del suo peccato. Gesù Cristo è morto per quel bambino e il Battesimo lo renderà partecipe della sua morte in modo meraviglioso: infatti, egli si impadronirà della giustizia del nuovo Adamo per distruggere l’opera della morte e la grazia sovrabbonderà dove il peccato aveva abbondato. Il primo effetto del Battesimo è quello di innestarci nella morte di Gesù Cristo, secondo il dire di San Paolo; di seppellirci nella sua tomba e di battezzarci nella sua morte. Sono espressioni dell’Apostolo, il cui contenuto aveva reso la Chiesa più palpabile, nei primi secoli, per l’usanza che aveva di battezzare per immersione. Il catecumeno era immerso e sepolto completamente nelle acque, per poterne uscire trasformato, in qualche modo, in un uomo nuovo. Così è stato battezzato Gesù Cristo e in questa azione, la prima della sua vita pubblica, i Santi Padri vedono la figura dell’atto con cui ha dovuto chiuderla. Fu immerso nelle acque del Giordano, mentre doveva essere sepolto nella tomba per distruggere la carne del peccato, di cui portava l’immagine. Gesù Cristo, il Figlio dell’uomo, ha riunito tutta l’umanità colpevole, l’ha sommersa nelle acque e poi l’ha sepolta sulla terra per seppellirla e purificarne i crimini. Un santo Dottore dice che, quando uscì dal Giordano, sollevò ed estrasse con sé dalle acque il mondo sommerso da una nuova inondazione. (Secum quodam modo demersum educens et levans mundum – S. Gregorio Naz., Orat. 39: in s. lumina). Si vede in questo perché Dio Padre ha scelto quel momento per riconoscerlo solennemente come suo Figlio: fino ad allora, sembrava che lo avesse ignorato, perché lo vedeva vestito delle nostre iniquità. Ora lo riconosce e dice: “Ecco il mio diletto Figlio in cui ho riposto tutte le mie compiacenze”. Ogni volta che il Battesimo del Salvatore viene conferito ad un nuovo Cristiano, questo mistero si rinnova. Quello che è stato a lungo fatto nel Capo, si opera sul membro. La morte del Salvatore, raffigurata nell’immersione nel Giordano, è riprodotta dall’acqua versata sulla fronte del bambino. I suoi peccati vengono distrutti, le sue macchie lavate via, e Dio Padre, che prima vedeva in lui solo un figlio dell’ira, si compiace ora di riconoscere in lui l’immagine del suo Figlio diletto. In un altro tempo la giustizia divina, irritata dai crimini degli uomini, aveva mandato un diluvio sulla terra per purificarla. Era un battesimo d’ira che aveva distrutto sia i peccati che i peccatori. Il Battesimo di Gesù Cristo è un diluvio di misericordia, che distrugge il peccato molto più efficacemente del primo diluvio, ma che allo stesso tempo salva il peccatore. Per questo motivo, è molto meglio raffigurato nel passaggio del Mar Rosso, che porta il popolo eletto fuori dal paese della schiavitù e lo libera. Solo il faraone e il suo esercito, cioè i vizi che tenevano prigioniera l’anima, vengono inghiottiti dalle onde vendicative, mentre l’anima ne esce viva e libera.

Il Battesimo, mistero di vita

Questo mistero è un mistero di vita molto più che di morte, perché  la comunicazione di Gesù Cristo che distrugge il peccato nell’anima dei battezzati è la più vitale e vivificante di tutte le operazioni. Proprio come il Divin Salvatore ha dato vita al mondo, morendo per noi, così Egli dà la sua vita ad ogni uomo, rendendolo partecipe dei meriti della sua morte. Il Cuore di Gesù contiene due tesori ugualmente infiniti: quello delle soddisfazioni del Salvatore e quello dei suoi meriti. Comunicandoci i suoi meriti, ci dà la vita; distrugge la morte in noi, comunicandoci le sue soddisfazioni: è una doppia comunicazione che avviene nel Battesimo. È allora che il figlio dell’uomo diventa parte del Corpo mistico del Figlio di Dio e ne diventa membro vivente. Qualcosa di simile a ciò che accade nel nostro corpo, accade poi nel Corpo divino ogni volta che assimila nuovi elementi. Tutte le parti che al momento attuale compongono i nostri membri, erano sparse nell’aria o sulla terra, appartenevano alla natura inferiore, al mondo materiale. Ma una volta divenuti la nostra sostanza, sono stati messi in comunicazione con la nostra anima, che li ha presi, li ha uniti, ha comunicato loro le sue forze, dando loro un nuovo essere. Gli elementi, che prima erano puramente materiali, fanno ora parte di un essere spirituale e razionale; sono saliti alla categoria più alta della creazione. E mentre siamo sulla terra non smetteremo di assimilare sostanze inferiori e di elevarle in noi ad un ordine superiore alla loro natura. Questo mistero della crescita e della comunicazione della vita naturale è una figura ammirevole del mistero della propagazione della vita nell’ordine soprannaturale. Finché il Corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, sarà sulla terra, nuovi membri presi dall’umanità decaduta e degradata vi si uniranno continuamente. Ma, non appena queste anime sono messe in comunicazione con il Cuore di Gesù mediante il Battesimo, lo Spirito Santo, l’anima del suo Corpo mistico, li trasforma, li eleva al di sopra di se stessi, comunica loro la sua forza, la sua vita, il suo essere. In una parola, li innalza allo stato soprannaturale e divino. Un’altra comparazione, usata da San Paolo, ci dà una migliore comprensione degli effetti prodotti nell’anima del Cristiano dal Battesimo: è il paragone dell’innesto. Ammirate un olivo selvatico che non produce altro che frutti rachitici ed amari. Il contadino ha profuso la sua cura su di esso senza ottenere alcun risultato soddisfacente. Ma prima di decidere di sradicarlo, si risolve nell’innestarlo. Prende la parte di un olivo buono, fa un’incisione in uno dei rami e lo inserisce. Presto la pianta si innesta al ramo, gli comunica le sue qualità e allo stesso tempo si nutre della sua linfa. Da questa unione nascono frutti che, pur rimanendo dell’olivo selvatico, hanno un sapore ed una forza simile a quella dei frutti di un buon olivo. Questo bel simbolo ha una doppia applicazione: può essere applicato all’umanità malata e ad ogni Cristiano, all’Incarnazione e al Battesimo: esso si è realizzato per la prima volta nel modo più commovente nell’Incarnazione del Figlio di Dio, quando, attraverso la mediazione della Beata Vergine Maria, l’innesto divino, Gesù Cristo, è stato posto nell’albero selvatico e maledetto dell’umanità. È avvenuto di nuovo, ma in senso inverso, in ognuno di noi, il giorno del nostro Battesimo: l’innesto dell’olivo sterile nell’albero buono ha ricevuto da esso l’abbondanza della linfa ed il sapore dei suoi frutti. Prima che questo mistero di grazia si realizzasse in noi, non potevamo produrre altro che frutti di morte, né potevamo fare altro che opere colpevoli ed inutili per il cielo. La nostra linfa era corrotta, le nostre facoltà erano assopite, la nostra natura era condannata ad una irrimediabile sterilità. Eppure il contadino celeste, Dio, nostro Creatore e Padre, ci aveva destinato a portare frutti di vita immortale. Non poteva quindi rassegnarsi a vedere i suoi piani vanificati dalla malizia di satana. Ed allora che cosa ha fatto? Lo abbiamo già detto: ci ha innestati sull’olivo buono, la vite divina, Gesù Cristo, il suo Figlio prediletto. In questo modo, senza perdere nulla del nostro essere e delle nostre facoltà naturali, abbiamo acquisito un nuovo essere e una nuova fecondità, la vita stessa del Salvatore, siamo stati resi capaci di fare le opere che l’Uomo-Dio ha fatto sulla terra, di portare frutto in Lui, di appropriarci dei suoi meriti divini. Finché siamo disposti a rimanere in Lui, la Sua linfa divina ci viene comunicata in abbondanza sempre maggiore.

Gli effetti del Battesimo, secondo i Santi Padri.

Ciò che il Salvatore disse ai suoi Apostoli, ora ripete a coloro che si uniscono a Lui nel Battesimo: « Io sono la vite e voi i tralci; colui che dimora in me, e colui in cui risiedo, porta molto frutto; ma senza di me non potete fare nulla. Mio Padre mette la sua gloria nel farvi portare molto frutto. » Da essere maledetto, da figlio del nulla e destinato alla morte, senza eredità e senza speranza, spogliato di ogni merito e della possibilità di acquisirlo, si vede improvvisamente, per dono gratuito, infinitamente al di là della sua condizione naturale: unito al Figlio di Dio, reso partecipe della sua vita, fecondità e ricchezza. Questo è ciò che fa il Battesimo. Che meravigliosa trasformazione opera nel bambino! Che miracoli fa in un istante! I Santi Padri hanno esaltato gli effetti ammirevoli della giustificazione che il Cristiano riceve nel Battesimo: « Il Battesimo è – dice San Gregorio Nazianzeno – lo splendore delle anime, il cambiamento di vita in qualcosa di più perfetto, il sostegno della nostra debolezza, la dismissione della carne, l’acquisizione dello Spirito Santo, la condivisione del Verbo, la guarigione della nostra natura, il diluvio che ci lava dal peccato, la comunicazione della luce, la cacciata delle tenebre. Il Battesimo è un carro che Dio solo conduce, un pellegrinaggio con Gesù Cristo, il sostegno della fede, il perfezionamento dell’anima, la chiave del regno dei cieli, la trasformazione della vita, la cessazione della schiavitù, lo spezzarsi delle catene, la conversione dell’uomo ad uno stato migliore. » (2 S. Gregorio Naz., Orat. 40: in x. baptisma, MG: 36, 359). Cosa possiamo continuare ad aggiungere? Il Battesimo è il più bello e il più grande dei benefici di Dio. Come certe cose si chiamano le cose sante delle cose e i cantici dei cantici perché si diffondono maggiormente, abbracciano più oggetti ed hanno una dignità particolare, così il Battesimo si chiama l’illuminazione, perché per la sua santità supera tutte le altre illuminazioni. E come Gesù Cristo ha vari nomi ed attributi diversi, così questo dono si chiama in modi diversi, nel pervaderci dalla gioia che produce in noi, perché chi ama una cosa le dà una moltitudine di nomi, proprio per la moltitudine dei suoi effetti. « Chiamiamolo dono, grazia, battesimo, unzione, illuminazione, vestito di purezza, bagno di rigenerazione, sigillo, e in altri modi molto più eccellenti ancora. Chiamatelo dono perché è dato senza essere meritato; grazia, perché è dato ai peccatori; battesimo, perché attraverso di esso il peccato è sepolto nell’acqua; unzione, perché è sacra e regale, perché da essa si ha tutto ciò che sia unto; illuminazione, perché è splendore e chiarezza; vestito, perché copre la nostra ignominia; sigillo, perché ci preserva e rappresenta il nostro regno. I cieli sono in gratitudine per esso, gli Angeli lo celebrano, perché per il suo splendore siamo diventati suoi alleati. È l’immagine della beatitudine; vorremmo esaltarlo con inni e lodi, ma la sua dignità è così eccelsa che sarebbe impossibile per noi comprenderla. » San Giovanni Crisostomo avverte che alcuni Cristiani non vedono nel Battesimo altro che la remissione dei peccati, mentre esso contiene in sé magnifiche prerogative: ci rende liberi, giusti, santi, figli di Dio, eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo, membra di Gesù Cristo, templi e strumenti viventi dello Spirito Santo. (San Giovanni Crisostomo, Om. ad Neoph., apud Augustinum, ML: 44, 654-655.).

Il Battesimo è l’ultimo grado dell’ascensione della natura al suo Creatore.

Poiché Dio ha creato tutti quegli esseri cavandoli da Sé fin dall’eternità, tutti tendono a ritornare a Lui, come i fiumi che si dirigono verso l’oceano. Tutta la natura non è altro che una grande opera, uno sforzo con cui le creature si elevano di grado in grado fino a raggiungere una perfezione superiore e si avvicinano così alla perfezione sovrana. Nelle piante, la natura minerale viene portata alla vita vegetativa. Negli animali la natura minerale e vegetale viene elevata a quella sensibile. Nell’uomo i tre regni inferiori si elevano alla vita razionale, il grado più alto nella scala delle perfezioni naturali. Ma tra il massimo grado di perfezione creata e non creata, tra la vita razionale e quella divina, c’è un abisso infinito. Il Battesimo colma questo abisso in parte innalzando la vita razionale alla vita divina e portando l’uomo e tutte le sue nature inferiori nell’ordine divino. In questo modo l’idea di cui gli empi hanno fatto uno dei loro errori più mostruosi si realizza completamente. Dicono che Dio si è fatto, intendendo con questo che Dio non abbia una vera esistenza, e che non c’è altro Dio se non il mondo, che si perfeziona costantemente, avvicinandosi sempre più alla perfezione assoluta. Questo errore, come tanti altri, non è altro che la verità falsificata: cioè che Dio ha voluto, per un atto del suo libero arbitrio, rendere le creature razionali partecipi della sua natura, della sua vita, della sua felicità. Questa comunicazione della vita di Dio si espande costantemente attraverso il Battesimo: il Corpo mistico di Gesù cresce ogni volta che un nuovo membro vi si unisce. In questo modo aumenta il numero degli dèi creati. Dio stesso, secondo l’espressione di San Paolo, cresce, cioè: rimanendo in Sé perfettamente immutato, riceve da noi, attraverso la virtù del Cuore di Gesù, un nuovo prolungamento di vita (Ex quo totum corpus crescit in augmentum Dei. Col. II, 19). Il potere veramente meraviglioso che il Battesimo conferisce al Cristiano consiste nel fatto che lo fa crescere in Dio e fa crescere Dio in lui.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/29/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-10/

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMO 136: “SUPER FLUMINA BABYLONIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 136

Psalmus David, Jeremiæ.

[1] Super flumina Babylonis illic sedimus et flevimus, cum recordaremur Sion.

[2] In salicibus in medio ejus suspendimus organa nostra;

[3] quia illic interrogaverunt nos, qui captivos duxerunt nos, verba cantionum; et qui abduxerunt nos: Hymnum cantate nobis de canticis Sion.

[4] Quomodo cantabimus canticum Domini in terra aliena?

[5] Si oblitus fuero tui, Jerusalem, oblivioni detur dextera mea.

[6] Adhæreat lingua mea faucibus meis, si non meminero tui; si non proposuero Jerusalem in principio laetitiæ meæ.

[7] Memor esto, Domine, filiorum Edom, in die Jerusalem, qui dicunt: Exinanite, exinanite usque ad fundamentum in ea.

[8] Filia Babylonis misera! beatus qui retribuet tibi retributionem tuam quam retribuisti nobis.

[9] Beatus qui tenebit, et allidet parvulos tuos ad petram.

SALMO CXXXVI.

Lamentazione degli schiavi in Babilonia; desiderio della patria e predizione di severi castighi contro i Babilonesi e gli Idumei. Fu aggiunto il titolo aGeremia, perché Geremia predicò imminente ai Giudei la schiavitù babilonica; la pianse; e ne annunziò la fine dopo settant’anni.

Salmo di David a Geremia.

1. Sulle rive de’ fiumi di Babilonia, (1) ivi sedemmo, e piangemmo in ricordandoci di te, o Sionne.

2. A’ salci appendemmo, in mezzo a lei, i nostri strumenti.

3. Perché ivi domandarono a noi, quelli che ci avevano menati schiavi, le parole dei nostri cantici; e coloro che ci avevano rapiti dissero: Cantate a noi un inno, di que’ che si cantano in Sionne.

4. E come mai canteremo un cantico del Signore in una terra straniera?

5. Se io mi dimenticherò di te, o Gerusalemme, sia messa in oblio la mia destra.

6. Si attacchi la mia lingua alle mie fauci, se io non avrò memoria di te; se io non metterò Gerusalemme al di sopra di qualunque mia allegrezza.

7. Ricordati, o Signore, dei figliuoli di Edom, i quali nel giorno di Gerusalemme dicevano: Distruggete, distruggete fino ai suoi fondamenti. (2)

8. Figliuola infelice di Babilonia, beato colui che farà a te quello che tu hai fatto a noi. (3)

9. Beato colui che prenderà e infrangerà sulle pietre i tuoi figliuoli.

(1) Questi fiumi di Babilonia sono il Tigri, l’Eufrate ed il Chobar. Il salmista fa qui menzione dei fiumi non come vede Rosen-Muller, perché si costruivano le sinagoghe sulle sponde dei fiumi o correnti di acqua, affinché i Giudei potessero più facilmente lavarsi le mani secondo il precetto della legge; ma perché coloro che sono nella tristezza ed i giusti amano ritirarsi presso i corsi di acqua per librarsi al loro dolore o alle loro ispirazioni poetiche.

 (2) Si vede nel profeta Abdia (11, 12, 13, 14), che quando i Babilonesi invasero la Giudei, gli Idumei si aggiunsero all’armata di Nabucodonosor contro Gerusalemme e lo eccitarono a distruggerla.

(3) Il castigo invocato qui su Babilonia era estato predetto da Isaia, XIII, 16.

Sommario analitico

Questa bella elegia è, propriamente parlando, l’inno patriottico degli Ebrei. Mai l’amor di patria fu espresso in maniera più energica e più toccante. In questo salmo, così pieno di poesia e che traspira la più profonda tristezza, l’amore più tenero per la patria perduta, i Giudei prigionieri a Babilonia: (1)

I. esprimono il dolore che li opprime:

1° Con la loro tristezza e le loro lacrime (1);

2° Con il silenzio dei loro strumenti musicali (2);

3° Con il rifiuto di prender parte ad ogni gioia sacra o profana, trovandosi in disaccordo con le circostanze del luogo e del tempo in cui essi si trovano (3, 4).

II. – desiderano il ritorno in patria.

1° Essi lo hanno continuamente presente nei loro ricordi (5);

2° Essa è sarà sempre il principale oggetto della loro gioia. (6)

III. – predicono la vendetta che Dio attirerà sui loro nemici.

1° Essi pregano Iddio di punire gli Idumei. E danno la ragione per la quale essi meritano il loro castigo (7);

2° predicono ai Babilonesi che la loro città sarà distrutta dai Persiani, come essi hanno distrutto la città di Gerusalemme, e questo castigo terribile si estenderà fino ai lattanti.

(1) La poesia toccante di questo salmo, il suo sentimento così profondo, così vero, malinconico e naturale, è passato nell’anima delle masse e lo ha reso popolare. Esso risponde a tutte le note lamentevoli del cuore umano. A tutte le amarezze, a tutti i segreti, aspirazioni, errori, dolori, a tutti i gemiti e alle noie delle facoltà alterate, dei desideri ingannati, delle speranze deluse sia per gli individui che per le nazioni. È uno dei brani di poesia più pieno di eterna freschezza, rivestito delle più soavi e pure emanazioni del cuore, già dai primi accordi per cui ogni testa si inclina e sogna con la fronte nelle mani. « Super flumina Babylonis! » L’anima non ha più bisogno di intendere di più: l’estasi la sazia ben presto e la trasporta sulle sue ali sopra tutti i brusii della terra; essa canta e piange la sua elegia ineffabile come un’eco vivente, ed i suoi sublimi accenti tengono i cieli sospesi e fanno tacere le lire eterne. (Clause: I Salmi tradotti, etc. ).

Spiegazioni e Considerazioni

ff. 1, 2. – La santa Sion è la città di Dio, e Babilonia è la città del mondo. Quali sono i fiumi di Babilonia? «  È tutto ciò che si ama e che passa, vale a dire, i beni deperibili. » Così voi siete interamente dediti alle cure e vi date ai vostri campi e non sognate che di diventar ricchi. Questo benessere al quale voi tendete, non è la città di Sion, è un fiume di Babilonia. Io mi sento dire: è una gran cosa essere soldato; il soldato è temuto dall’uomo dei campi, o tutti gli obbediscono. Quando sarò soldato, il lavoratore tremerà davanti a me. Insensato! Voi vi gettate in un altro fiume di Babilonia, più turbolento e più avido. Un terzo viene e mi dice a sua volta: ciò che è bello, è essere avvocato, potente per eloquenza, veder gli altri pendenti dalle mie labbra, tanti interessi diversi, e tanti uomini attendere con una sola parola, la perdita o il guadagno, la vita o la morte, la rovina o la salvezza … Oh! In quale abisso vi gettate … anche questo è un fiume di Babilonia, più agitato di tutti gli altri e il cui colpo d’onda batte le rocce. Non vedete questo fiume breve, non vedete che precipita? Prendete cura di non precipitarvi (S. Agost.). – Noi ci imbarchiamo ogni giorno sui fiumi di Babilonia, vediamo questi fiumi passare davanti a noi, questi fiumi dei piaceri del mondo; noi vediamo le voluttà passare davanti a noi, le acque ci sembrano chiare, e nell’ardore dell’estate, si trova piacere nel rinfrescarsi; il corso sembra tranquillo, ci si imbarca facilmente e si entra ben avanti nel commercio di questa città criminale. (Bossuet, Serm. p. de d. de Quares.). – Vi sono altri cittadini della santa Gerusalemme che sono nella loro cattività, che considerano voci di questo mondo e le diverse voluttà che si impossessano degli uomini e li conducono qua e là verso il mare. Alla vista di questi pericoli, invece di abbandonarsi ai fiumi di Babilonia, restano seduti sul bordo dei fiumi di Babilonia, e là piangono sia su coloro che si lasciano trasportare dalla corrente dei fiumi, sia su se stessi, che hanno meritato di essere prigionieri in Babilonia. Essi sono seduti là, cioè umiliati: « Sulla sponda dei fiumi di Babilonia ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » O santa Sion, dove tutto dimora e niente scorre? Chi ci ha precipitato in mezzo a questi torrenti? perché abbiamo abbandonato il vostro fondatore e la vostra società, o Sion? Travolti ora in queste acque mobili ed in queste correnti rapide, colui che si trova nel fiume appena riesce a raggiungere un legno di salvezza e sfuggire al torrente. Nell’umiliazione della nostra cattività, sediamoci dunque sulla sponda dei fiumi di Babilonia, non siamo tanto arditi da precipitarci nella corrente di questi fiumi, o di levarci orgogliosamente in mezzo ai mali o alle tristezze della nostra cattività; ma sediamoci e piangiamo. Sediamoci sopra i fiumi di Babilonia, ma non sotto, e possa la nostra umiltà essere grande perché non veniamo sommersi. Sediamoci sopra i fiumi, non nel fiume o sotto il fiume; tuttavia, sedetevi umilmente e non parlate come se foste in Gerusalemme. Voi vi sarete un giorno, perché il profeta lo dice, in un altro salmo, ove parla della vostra speranza e vi dice nei suoi canti: « I nostri piedi stiano dritti negli atri di Gerusalemme. » (Ps. CXXI, 2). Là, voi vi eleverete se vi siete abbassati qui con la penitenza e la confessione: « I nostri piedi si tengano dunque retti negli atri di Gerusalemme. »  Ma « sulla sponda dei fiumi di Babilonia noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto al ricordo di Sion. » (S. Agost.) – È una legge di provvidenza che la gioia succeda ai desideri; ed il Cristiano non merita di gioire in cielo, se prima non abbia imparato a gemere in questo luogo di pellegrinaggio; perché, per essere un vero Cristiano, bisogna sentire di essere un viatore, e voi facilmente confesserete che colui che non lo riconosce, non sospira alla sua patria. Ecco perché S. Agostino ha detto queste belle parole che meritano di essere meditate: « Colui che non geme come viandante non gioirà come cittadino: » vale a dire, se comprendiamo, egli non sarà mai abitante del cielo, perché ha voluto esserlo della terra; poiché egli rifiuta il lavoro del viaggio, e non avrà il riposo della patria; ed arrestandosi là dove bisogna camminare, non arriverà dove deve arrivare. Coloro, al contrario, che deplorano il loro esilio, saranno abitanti del cielo, perché non vogliono esserlo di questo mondo, e tendono, con santi desideri, alla felice Gerusalemme. Bisogna dunque che noi gemiamo. A voi, felici cittadini della Gerusalemme celeste, a voi appartiene la gioia; ma, nel mentre che languiamo in questo luogo di esilio, le lacrime ed i desideri fanno la nostra parte. Davide ha espresso i nostri veri sentimenti, quando ha cantato con voce gemente: « Seduti sulle sponde dei fiumi di Babilonia, noi abbiamo gemuto e pianto al ricordo di Sion. » (BOSSUËT, Pan. de S.te Thér.) – Notate qui le due cause del dolore che affliggono un’anima pia che attende con l’Apostolo l’adozione a figli di Dio … È il ricordo di Sion e dei fiumi di Babilonia. Perché non volete che ella pianga, allontanata da ciò che cerca ed esposta in mezzo a ciò che scorre? Ella ama la pace di Sion, e si sente relegata nei turbini di Babilonia, ove non vede che acque correnti, cioè piaceri che passano; e mentre ella non vede nulla che non passi, si ricorda di Sion, di queste felice Gerusalemme in cui tutte le cose sono permanenti. Così, nella diversità di questi due oggetti, essa non sa ciò che di più l’affligga, se Babilonia, in cui si vede, o Sion, da cui è bandita (Bossuet, ibid.). –  « Noi ci siamo seduti ed abbiamo pianto. » Le anime dei giusti piangono i peccati dei loro fratelli: « La carità geme – dice S. Agostino – noi gemiamo sovente sui peccati dei nostri fratelli, soffriamo violenza, il nostro spirito è in preda ad una vera tortura. »   (Serm. XLIV, Sur les par. du Seig.) — Exemple de saint Paul. (ROM. IV, 2.). essi piangono i loro peccati. « I miei occhi hanno sparso torrenti di lacrime, perché non hanno osservato la vostra legge; (Ps. CXVIII, 136); « Io mi sono consumato nei miei gemiti; il mio giaciglio, ogni notte, sarà bagnato dalle mie lacrime ed il mio letto impregnato delle mie lacrime. » (Ps VI, 6). Così, il Profeta dice alla figlia di Sion, infedele e colpevole: « piangi giorno e notte, e le tue lacrime scorrano come un torrente; Gerusalemme non dia riposo alla tua palpebre, e la pupilla del tuo occhio non taccia. » (Lam. II, 6). L’occhio è un oratore eloquente, la pupilla è come la bocca, e senza aver bisogno di parole, si persuade facilmente di tutto ciò che vede. Il torrente non basta, perché esso si dissecca molto presto, c’è bisogno di una fonte inestinguibile di lacrime: « Per questo io sprofondo in lacrime ed i miei occhi spandono torrenti di lacrime. » (Lam. I, 16). Ma bisogna che voi piangiate « al ricordo di Sion. » Non c’è santo dolore, né lacrime feconde, se il ricordo di Sion non viene a mescolarsi. Le lacrime sterili sono quelle che il dolore fa versare senza che la religione le consoli, né le consacri. Molti versano lacrime di Babilonia, perché gioiscono delle gioie di Babilonia. Gioire per un guadagno e piangere per una perdita appartiene egualmente a Babilonia. Voi dovete piangere, ma al ricordo di Sion. Se piangete al ricordo di Sion, piangerete anche quando sentirete le gioie di Babilonia … Che ciascuno esamini la felicità che ha come trasportato la sua anima di allegrezza, che l’ha come glorificata di gioia, l’ha elevate al di sopra di lui stesso e gli fa dire: Io sono felice! Che si domandi se questa felicità non passi e se non possa essere certo che durerà eternamente. Se non è certo e vede scorrere ciò che fa la sua gioia, l’oggetto della sua felicità non è che un fiume di Babilonia; che vi si sieda quindi vicino e pianghi. Egli si siederà e piangerà, se si ricorda di Sion. Oh questa pace che vedremo in Dio! Oh! Questa santa eguaglianza con gli Angeli! Oh! Questa visione, e questo magnifico spettacolo! Senza dubbio, voi trovate belle le cose di Babilonia che vi imprigionano; … che non vi catturino, non vi seducano! Altro è la consolazione dei prigionieri, altra la gioia degli uomini liberi (S. Agost.) – « Noi abbiamo sospeso i nostri strumenti musicali ai salici delle loro rive. » Essi sospendono ai rami gli strumenti della loro gioia, per mostrare ai loro oppressori che avevano più a cuore le loro lacrime che i cantici. Per noi, sospendere i nostri liuti ai salici di Babilonia, è abbandonare gli strumenti della gioia degli uomini di questo secolo, che come alberi sterili, sono irrorati incessantemente dalle acque di Babilonia. –  I cittadini di Gerusalemme hanno i loro strumenti: questi sono le Scritture di Dio, i precetti di Dio, le promesse di Dio, la meditazione della vita ventura; ma quando sono in mezzo a Babilonia, essi sospendono i loro strumenti ai salici. I salici sono degli alberi che non portano alcun frutto; questi alberi sono bagnati dai fiumi di Babilonia e sono sterili. Così come gli uomini cupidi ed avari sono sterili in buone opere, così i cittadini di Babilonia, nutriti di voluttà che procurano loro i beni passeggeri, somigliano agli alberi di questo paese bagnato dai fiumi di Babilonia: voi cercate del frutto in essi e non ne trovate alcuno. Quando dobbiamo sopportare tali uomini, noi viviamo con coloro che sono in mezzo a Babilonia. C’è in effetti una grande differenza tra il territorio di Babilonia e l’esterno di Babilonia; perché vi sono di coloro che non sono in mezzo a questa città, cioè che non sono profondamente affondati nei piaceri e nelle delizie del secolo. Ma, per parlare chiaramente e con poche parole, coloro che sono molto malvagi sono al centro di Babilonia e non sono che alberi sterili, come i salici di Babilonia. Quando li vediamo, li troviamo talmente sterili, che è difficile riconoscere in essi alcun mezzo che li conduca alla vera fede, alle buone opere, o alla speranza della vita futura, o al desiderio di essere liberati dalla schiavitù della nostra condizione mortale. Noi conosciamo le Scritture delle quali potremmo parlare loro, ma non raccogliendo in essi alcun frutto che ci serva da punto di partenza, noi volgiamo gli occhi sopra di essi e diciamo: essi non hanno ancora né gusto, né intelligenza, e tutto ciò che diremo loro, lo prenderebbero come parte cattiva e ce lo rivolgerebbero contro. Differendo dall’intrattenerli con le Scritture, noi sospendiamo i nostri strumenti ai salici; perché noi non troviamo questi uomini degni di portarli (S. Agost.) –  Quando i figli di Dio sono prigionieri in Babilonia, cioè quando lo spirito e le massime del mondo li tengono asserviti alla loro dura tirannia, allora la loro bocca si chiude come il loro cuore. Non più preghiera, non più lode di Dio, non più professione di fede. Si può oltraggiare, bestemmiare davanti ad essi impunemente Dio, Gesù-Cristo, i suoi misteri, la sua Religione, la sua Chiesa; essi restano silenziosi, restano muti: la parola di Dio è incatenata sulle loro labbra, essi tengono la verità di Dio prigioniera nell’iniquità.

f. 3, 4. – Perché era proibito loro di cantare in terra straniera? Perché orecchie profane non erano degne di ascoltare questi canti misteriosi. Essi vogliono dire: non ci è stato permesso di cantare. Noi abbiamo, è vero, perso la nostra patria, ma restiamo inviolabilmente fedeli alla nostra legge, e la osserviamo con scrupolosa esattezza. Così, benché siate i padroni dei nostri corpi, non trionferete mai delle risoluzioni della nostra anima (S. Chrys.). – Coloro in cui agisce il demonio, ci interrogano talvolta e ci dicono: dateci le ragioni della vostra fede, spiegateci perché il Cristo è venuto sulla terra ed in cosa il Cristo è stato utile al genere umano? Dopo la venuta del Cristo, le cose umane non sono che peggiorate rispetto a prima ed erano in altri tempi in uno stato più felice di quanto non lo siano ora! I Cristiani ci dicono che il Cristo abbia apportato il bene sulla terra? In cosa pensano che le cose umane siano più felici, dacché il Cristo è venuto sulla terra? Voi vedete dunque che se i teatri, gli anfiteatri ed i circhi restano sani e salvi, se nulla perisce in Babilonia, se gli uomini navigano nell’abbondanza delle voluttà, cantano e danzano al suono di canzoni oscene, se la corruzione dei libertini e delle donne di cattiva vita segue il suo corso piacevolmente in tutta sicurezza; se colui che grida per far dare onori ai pantomimi, che non aveva da temere la fame nella sua casa, se questo fiume di delizie colava senza diminuzione e senza turba alcuna, se tutte queste frivolezze erano accompagnate da una tranquillità perfetta, allora il nostro tempo sarà da questi dichiarato felice, ed il Cristo avrebbe – secondo loro – apportato alle cose umane una gran somma di felicità. Ma dal momento che le iniquità sono distrutte, che sulle rovine della cupidigia è impiantato l’amore di Gerusalemme, che la vita presente è mescolata all’amarezza, per far desiderare la vita eterna, che gli uomini sono istruiti dai castighi e ricevono colpidel loro Padre, per evitare l’alt del Giudice, il Cristo non avrebbe portato del bene, e secondo loro il Cristo non ha portato che sofferenze. Se cominciate a mostrare all’uomo i benefici del Cristo, egli non vi comprende … E che, egli dice, sono questi i beni che è venuto a portare il Cristo: che un uomo debba perdere ciò che possiede, darlo ai poveri e restare povero egli stesso? Che farete dopo questa risposta? Bisogna allora dire: voi non comprendete i beni che dà il Cristo … Coloro che ci hanno condotti prigionieri, quando entrano nel cuore di certi uomini e ci interrogano con la bocca di coloro che li dominano, ci dicono: « Cantate i vostri cantici. » Dateci le ragioni della venuta del Cristo, e fateci conoscere qual sia l’altra vita. Io non domando che di credere; ditemi solo perché mi ordinate di credere? Io rispondo a colui che mi interroga e gli dico: O uomo! Perché non vuoi ciò che ti ordino di credere … tu sei pieno di cattive convinzioni; se io parlo dei beni della Gerusalemme celeste, tu non li comprendi; occorre dapprima svuotarti di ciò che ti riempie, per poterti riempire di ciò di cui sei vuoto … Cosa gli risponderemo ancora? Babilonia vi porta, vi chiude nel suo seno, Babilonia vi nutre; Babilonia parla con la vostra bocca; voi non sapete comprendere se non ciò che brilla nel tempo, voi non sapete meditare le cose eterne, voi non comprendete ciò che chiedete « … come canteremo i cantici del Signore in terra straniera? » In verità è così! Cominciate a volere annunziare la verità, anche quel poco che conoscete, e vedete come sia inevitabile che abbiate da sopportare simili beffe, che viglio strappare la verità e che sono pieni di falsità … Rispondete loro, a questi ignoranti, incapaci di comprendere ciò che vi domandano, e dite loro, con profondo sentimento di amore per il vostro santo cantico: « Come canteremo noi il cantico del Signore in terra straniera? » (S. Agost.) – Ecco qua lo spirito del mondo che, attraverso la bocca dei più ignoranti e dei più indegni prende piacere nel beffarsi della pietà, nell’insultare coloro che ne fanno professione, che chiede talvolta con sorriso sdegnato: dove sono queste gioie e queste consolazioni spirituali di cui voi riempite la vostra immaginazione, e porta la temerità fino a voler trattare nelle assemblee tutte profane, le questioni più alte e profonde della Religione.

II. — 5, 6.

 ff. 5, 6. – Come il segno dell’oblio era stato il pizzicare l’arpa e cantare i cantici del Signore sulla terra straniera, così questo popolo chiama su di essa tutte le maledizioni, scongiurando il suo Dio di disseccare la sua mano, e attaccare al palato la sua lingua che aveva disimparato i suoi canti, se mai, dimenticando la patria, toccasse un’arpa e facesse ascoltare i cantici di Sion in terra straniera. (Bellarm.). – … che la mia lingua resti attaccata al palato se non mi ricordi di te; vale a dire: che io diventi muto, se non mi ricordo di te. In effetti, a che serve parlare, a che serve cantare se non si canta il canto di Sion? È il cantico di Gerusalemme la nostra lingua. Il cantico dell’amore di questo mondo è una lingua straniera, una lingua barbara, che abbiamo appresa in cattività. Questo dunque sarà muto davanti a Dio se avrà obliato Gerusalemme; ed è poco il ricordarsene, perché i suoi stessi nemici se ne ricorderanno volendo rinchiuderli. Qual è – essi dicono – questa città? Che sono i Cristiani? Che valgono i Cristiani? Oh, se non ci fossero più Cristiani! La folla dei cattivi ha vinto questi tiranni, e tuttavia questi mormorano; essi si abbandonano al loro furore, vogliono far perire questa santa città che viaggia in mezzo ad essi, come il faraone voleva distruggere il popolo di Dio, mettendo a morte i figli maschi, preservando le femmine, affondando le virtù e nutrendo le voluttà. È dunque poco ricordarvi di Gerusalemme, esaminate come ve ne ricordate. Noi ci ricordiamo di certe cose con un sentimento di odio, e di altre con un sentimento di amore; ecco perché, dopo aver detto: « O Gerusalemme, se mai ti dimenticassi, che la mia mano destra sia dimentica di me; che la mia lingua resti attaccata al mio palato, se non mi sovvengo di te, », il Profeta ha immediatamente aggiunto: « Se non faccio di Gerusalemme l’oggetto della mia gioia più dolce. » La nostra gioia più dolce si trova, in effetti, là dove gioiremo di Dio, là ove regna l’unione fraterna e dove saremo in piena sicurezza nell’amicizia dei nostri fratelli e l’unione dei nostri concittadini; là nessun tentatore ci farà violenza, nessuno potrà indurci alla minima sensualità, niente ci causerà gioia che non sia il bene; là si estinguerà ogni necessità, là comincerà una sovrana felicità, » … se non farò di Gerusalemme « l’oggetto della mia gioia più dolce. » (S. Agost.) –  Il Profeta si vota qui ad un’altra pena se dovesse dimenticare Gerusalemme: « Che la mia lingua si attacchi al mio palato. » Egli sa quanto sia grave che la lingua resti muta per le lodi di Dio; egli sa qual virtù felici ed eterne si tengono davanti al trono di Dio,  e non cessano di proclamare le sue lodi, dicendo: « Santo, Santo, Santo è il Signore Dio degli eserciti » (Isai. VI, 3); egli sa che la Scrittura ha detto di coloro che, come i morti, sono muti quando si tratta di lodare Dio: « La loro bocca è un sepolcro aperto, » (Ps. V, 2), perché la loro lingua rimane silenziosa e morta alle lodi di Dio. Il salmista si sottomette a questo castigo del silenzio come punizione del suo oblio, se cessa di ricordarsi di Gerusalemme e se non si propone Gerusalemme come il principale soggetto della sua gioia. Ciascuno di noi ha nelle inclinazioni della sua volontà e nelle affezioni della sua anima, delle cause diverse di gioia. L’ubriacone mette la sua gioia nel vino, l’uomo sensuale nei piaceri della tavola, l’avaro nel denaro, l’ambizioso negli onori, il sedizioso nelle rivoluzioni, il voluttuoso nelle dissolutezze. Il Profeta si propone Gerusalemme come principale oggetto della sua gioia; si rallegra al pensiero che sarà ricevuto un giorno in questa celeste città ove questa vita mortale farà posto all’immortalità, ove sarà riunito ai cori degli Angeli, prenderà possesso del regno di Dio e diverrà conforme alla sua gloria. Egli non conosce altri piaceri, nessun’altra cosa piace alla sua anima, Gerusalemme solo è il principale oggetto della sua gioia. (S. Hilar.). – Il Profeta Isaia ci invita a non conoscere gioia più vera e grande della gioia che risulta dall’amore e dalla speranza di questa santa città non fatta da mano d’uomo, ove risiede la divina allegrezza e della quale è detta nel Vangelo: « Entrate nella gioia del Signore. » (Matth., XXV).- Rallegratevi con Gerusalemme, trasalite di allegrezza, voi tutti che l’amate; unite i vostri trasporti ai suoi, voi tutti che piangete con essa; voi sarete riempiti dalle sue consolazioni, voi sarete inondati dal torrente delle sue delizie, gioirete dello splendore della sua gloria. » (Isai. LXVI, 10, 11).

III. – 7-9

ff. 7-9. – « Ricordatevi, Signore dei figli di Edom, nel giorno di Gerusalemme. » Si tratta del giorno di Gerusalemme sofferente e schiava, o del giorno di Gerusalemme liberata, rientrata dall’esilio, associate all’eternità? « Ricordatevi Signore, dei figli di Edom; » non li dimenticate mai. Quali sono questi figli? « Coloro che dicono: distruggetela, distruggetela fin dalle fondamenta. » Ricordatevi dunque di questo giorno nel quale essi hanno volute distruggere Gerusalemme. In effetti, quali terribili persecuzioni la Chiesa ha sofferto! Con quale rabbia i figli di Edom, cioè gli uomini carnali, sottomessi al demonio ed ai suoi angeli, adoratori della pietra e del legno, schiavi degli adoratori della pietra e del legno, schiavi dei piaceri della carne, gridavano: distruggete i Cristiani; che non ne resti neppure uno solo! Distruggeteli fino alle fondamenta. Non è questo che essi dicevano? E mentre parlavano così, i persecutori erano riprovati ed i martiri coronati. « Ricordatevi dei figli di Edom, … distruggeteli, distruggeteli fin dalle fondamenta. » I figli di Edom dicono: distruggetela, distruggetela, ed il Signore dice loro: servitela. Quale parola prevarrà, se non quella di Dio che dice: il primogenito servirà il più giovane? (S. Agost.). – « Distrugge, distruggete sin dalle sue fondamenta. » Non è ancora il grido di Guerra e lo scopo che la rivoluzione persegue ai giorni nostri? Il trionfo che essa proclama è riservato al nostro secolo, la missione che essa reclama e di cui si glorifica con la bocca dei suoi corifei, non è l’annientamento del Cristianesimo pubblico, il ribaltamento dell’ortodossia sociale? Distruggere i resti ultimi dell’antico edificio dell’Europa Cristiana, ed affinché la demolizione sia definitiva, abbattere la chiave di volta intorno alla quale le ultime pecore ancora sussistenti potrebbero, presto o tardi, riavvicinarsi o ricongiungersi: ecco l’opera alla quale le mille voci dell’empietà convengono apertamente nella nostra generazione; ecco il lavoro della disorganizzazione alla quale – è manifesto – noi assistiamo. E poiché non c’era mai stato un edificio così vasto come l’edificio Cristiano, mai si sono viste rovine così gigantesche (Mgr PIE, Disc, et Instruc, t. V, 2.). – È unanime l’indignazione del Profeta e di un’anima convertita che, riguardando la sua abiezione e la sua miseria, torna su Babilonia, causa unica delle sue disgrazie, degli sguardi di dolore, di collera e di disprezzo. – « Maledetta figlia di Babilonia, » grida, infelice per la tua allegria, infelice per il tuo odio. Ciò che hai fatto, ti sarà reso: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra. » Egli dichiara Babilonia infelice e dichiara felice colui che le renderà ciò che ci ha fatto. Cerchiamo dunque ciò che gli sarà reso e che ci viene detto: « Felice che prenderà i tuoi figli e li sbatterà sulla pietra! » Ecco ciò che gli sarà reso. Cosa ci ha fatto dunque questa Babilonia? Noi l’abbiamo già cantata in un altro salmo: « I discorsi degli empi hanno prevalso contro di noi. » (Ps. LXIV, 4). In effetti, alla nostra nascita, noi veniamo piombati, piccolo infanti, nella confusione di questo mondo, e fin dalla più piccola età, veniamo tuffa nelle vane opinioni e nei diversi errori. E questo bambino, nato per essere cittadino di Gerusalemme, e già veramente Cittadino di questa città nella predestinazione di Dio; ma aspettando, prigioniero in un tempo, cosa apprende ad amare, se non ciò che i suoi genitori mormorano alle sue orecchie? Essi insegnano e fanno apprendere loro l’avarizia, le rapine, le menzogne di ogni giorno, le diverse maniere di adorare gli idoli ed I demoni. Che può fare questo piccolo bimbo, quest’anima tenera e flessibile esaminando ciò che fanno le persone più adulte, se non conformarsi a ciò che vede fare? Babilonia ci ha dunque perseguitato fin dalla nostra infanzia; ma diventati più grandi, abbiamo ricevuto da Dio il dono di riconoscerlo, per non seguire gli errori dei nostri genitori. «Le nazioni, dice Geremia, verranno da tutte le estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padre hanno adorato la menzogna e la vanità, da cui non hanno tratto alcun profitto. » (Ger. XVI, 19). Ecco ciò che dicono I giovani che, nella loro infanzia, hanno trovato la morte seguendo queste vanità; che rigettino essi queste vanità e che, richiamati in vita, progrediscano in Dio rendendo a Babilonia tutto ciò che ella ha reso. Cosa gli renderanno? Ciò che ella ci ha dato. Che i suoi figli siano a loro volta sbattuti; in più, i loro piccoli sbattuti che muoiano. Quali sono i piccoli figli di Babilonia? Le cattive passioni nel momento in cui esse nascono. Ci sono in effetti degli uomini che devono combattere passioni inveterate. Quando la concupiscenza è al suo nascere, prima che abbia preso forza contro di voi; quando la concupiscenza è ancora molto piccola, prima che prenda la forza di un’abitudine depravata; quando è ancora piccola, schiacciatela. Ma temete che essa non muoia, benché schiacciata? Schiacciatela « … sulla pietra. Ora questa pietra è il Cristo. » (I. Cor., X, 4). – Qualunque sia la felicità che possa arridervi in questo mondo, non vi mettete la vostra fiducia, e guardatevi dall’intrattenervi con compiacenza nei vostri piaceri. Il nemico è grande? Uccidetelo sulla pietra. È piccolo, schiacciatelo sulla pietra. Uccidete i grandi sulla pietra, schiacciate i piccoli sulla pietra. Che la pietra trionfi su tutti! Costruite anche sulla pietra, se non volete essere trascinati o dal fiume o dai venti, o dalle tempeste. Se volete essere armati contro le tentazioni del secolo, che il desiderio della Gerusalemme eterna cresca e si fortifichi nei vostri cuori. La cattività passerà, la felicità arriverà; il vostro nemico sarà condannato alla fine, e noi trionferemo con il nostro Re, per non morire mai più. (S. Agost.). – Questa è una pietra che porta un nome divino, questa pietra è il Cristo, ed è anche colui che il Cristo ha chiamato Egli stesso … Pietro. Questa pietra salva coloro che essa tocca, resuscita coloro che sfiora. O generazione contemporanea, o figlia sfortunata di questa Babilonia che è la rivoluzione moderna, felice colui che afferrerà i tuoi figli, li fermerà, li schiaccerà sulla pietra, che è Gesù Cristo, e che è l’insegnamento apostolico. (Mgr PIE, Discours, etc., t. VII, 560).