IL CUORE DI GESÙ E LA DIVINIZZAZIONE DEL CRISTIANO (6)

H. Ramière: S. J.

Il cuore di Gesù e la divinizzazione del Cristiano (6)

[chez le Directeur du Messager du Coeur de Jesus, Tolosa 1891]

SECONDA PARTE

MEZZI GENERALI DELLA NOSTRA DIVINIZZAZIONE

Capitolo III.

LA GRAZIA

Cristo ci comunica la vita divina principalmente attraverso la grazia.

Attraverso l’Incarnazione, il Cuore di Gesù ha portato nel cuore della nostra natura ferita la Vita divina. Cosa gli restava quindi da fare? Solo una cosa: comunicare questa vita a ciascuno di noi così come l’aveva comunicata nella sua Persona alla nostra natura, applicando ad ogni uomo i meriti del sangue divino, versato sul Calvario per tutta l’umanità. Una volta raggiunto questo obiettivo, per quanto serio possa essere stato il pregiudizio della sua libertà, l’opera del Verbo Incarnato sarà terminata. Se ai miracoli d’amore già operati dal Cuore di Gesù, non se ne aggiungesse quest’ultimo, verrebbe a mancare la sua Sapienza e la sua bontà: i fiumi di sangue versati per il nostro bene sarebbero sterili. Il Cuore di Gesù però non ha lasciato il suo lavoro incompiuto: attraverso la grazia, soprattutto, il Cuore di Gesù diventa la nostra vita. Se vogliamo conoscere bene le relazioni intime che ci uniscono al Cuore Divino, è bene capire in cosa consista la grazia. D’altra parte, se vogliamo penetrare la natura della grazia, dobbiamo considerarla come un legame vitale che unisce il nostro cuore al Cuore di Gesù.

Cosa è la vita ed in cosa consiste la nostra vita divina.

La vita di grazia, che fa di noi dei Cristiani, è una vita veramente divina. La vita di cui parliamo ci appartiene veramente come tutte le nostre altre vite. Dobbiamo sapere che noi abbiamo più vite, anche se abbiamo una sola anima e una sola natura: dai nostri genitori secondo la carne abbiamo ricevuto la vita vegetativa, che ci è comune con le piante; la vita animale, che ci è comune con gli animali; la vita razionale, che ci è comune con gli uomini; ma il giorno del nostro Battesimo abbiamo ricevuto dalla Chiesa una quarta vita, che ci è comune con gli Angeli e con Dio stesso, perché è una partecipazione alla sua stessa vita. La vita consiste nel movimento. In realtà, non c’è vita dove non ci sia un reale movimento o potenza per muoversi. Ma non tutto il movimento costituisce la vita. L’acqua del fiume si muove eppure non vive, o la pietra può rotolarsi senza essere viva. Il fatto è che gli esseri chiamati inanimati ricevono i loro movimenti dall’esterno. L’essere vivente, al contrario, si muove da sé, e possiede in sé l’inizio e la fine dei suoi movimenti. Contempliamo quel chicco di grano che il vento porta qua e là: esso finisce nel terreno: fino ad allora, non manifestava una vita più di quella di un granello di sabbia, non aveva alcun movimento proprio, ed era in balìa di tutti gli agenti esterni. Ma, pochi giorni dopo essere stato sul terreno, le sue forze vitali, fino ad allora dormienti, si svegliano: il germe, quel suo principio impercettibile che conteneva, si sviluppa, mette radici che assorbono i succhi della terra; un fusto sempre più vigoroso perfora il terreno, appare alla luce, si copre di foglie attraverso le quali aspira l’umidità dell’aria. Da quel momento in poi, si stabilisce uno scambio ininterrotto di funzioni tra tutte le parti della pianta; ogni organo contribuisce alla conservazione e alla crescita di tutto il corpo; la linfa si diffonde attraverso tutti i rami e comunica loro la vita. Il tronco mostrerà presto questa vita in tutta la sua magnificenza e fecondità: i rami che coronano il tronco saranno ricoperti di fiori; i fiori saranno seguiti da frutti ed in ogni frutto saranno racchiusi numerosi semi, ognuno dei quali potrà poi produrre una pianta simile a quella che gli ha dato l’essere. Questa è la vita nel suo grado più basso, la vita vegetativa, che pone, nella scala degli esseri, la pianta più piccola al disopra del diamante più prezioso, perché anche se il diamante, per la sua luminosità, è superiore all’erba, non ha però di per sé il potere di muoversi, di alimentarsi, di crescere e di riprodursi. La vita è lo stato di un essere che possiede in sé il potere di muoversi; esso tanto più è perfetto quando la sua potenza è più intima e i movimenti che produce sono più potenti, variegati e completi. Ecco perché la vita animale è più perfetta della vita vegetativa. L’animale, invece di rimanere legato al suolo, e di aspettare, come una pianta, il suo cibo dall’aria e dalla terra che lo circonda, va alla ricerca del cibo necessario alla sua conservazione; fugge dal pericolo, si difende dai nemici, vede, sente, odora, palpa e possiede degli istinti. La vita dell’anima umana è incomparabilmente ancor più perfetta, perché i suoi movimenti sono di un ordine molto più elevato. Mentre l’animale è guidato da un istinto cieco, l’uomo è consapevole dei suoi atti: impara, capisce, inventa, conosce la ragione delle cose, ne comprende lo scopo, tende verso un fine lontano, vede la verità invisibile e sale verso l’infinito. La sua volontà non è meno potente della sua intelligenza: attraverso di essa può padroneggiare l’attrazione dei beni sensibili, amare il dolore, sacrificarsi per il bene dei fratelli, lavorare per l’eternità. Può esserci qualcosa di più grande di questa vita? Nel mondo creato non c’è nulla. Se gli spiriti puri possiedono una vita razionale in misura maggiore della nostra, essi sono nel nostro stesso ordine e non abbiamo motivo di pensare che Dio possa creare un ordine superiore a quello. Eppure, come Cristiani, noi siamo in un ordine molto più elevato. Il bambino appena battezzato vive una vita al di sopra della razionalità, la perfezione naturale degli spiriti puri non può essere paragonata alla perfezione soprannaturale di cui si è appena arricchito; e Dio, che in ogni momento dell’eternità può creare esseri uno più eccellente dell’altro, non può trovare nulla negli immensi tesori della sua onnipotenza che non sia inferiore alla dignità di quel bambino.

Che cos’è la nostra vita divina?

In cosa consiste dunque questa vita divina? Nella capacità di produrre movimenti ed atti divini. Come un bambino riceve dai genitori, insieme alla vita razionale, il potere di conoscere le verità razionali, così allo stesso modo, divenendo Cristiano, riceve dalla Chiesa il potere di conoscere le verità divine che appartengono alla vita intima di Dio. Per questo motivo nessuna creatura può acquisirle con le sole sue forze naturali: « Chi tra gli uomini – dice San Paolo – conosce le cose dell’uomo se non lo spirito dell’uomo che è in lui? » Per quanto perfetta possa essere una creatura, essa è sempre limitata e quindi si trova ad una distanza infinita dall’Essenza divina, che è infinita. Nel crearla, Dio l’ha posta al di fuori di sé, e l’ha esclusa dalla comunicazione ineffabile che hanno tra loro le tre Persone divine, le cui relazioni costituiscono la sua vita intima. Nessuno conosce queste relazioni in modo naturale, tranne le Persone divine stesse. Nessuno può entrare nell’interno di Dio, se Dio stesso non gli apre la porta: « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio voglia rivelarlo » (Mt. XI, 24), dice Gesù Cristo. Inoltre, quando Pietro mostrerà, con la sua generosa confessione, di possedere questa conoscenza soprannaturale del Figlio di Dio, Cristo gli dirà: « Beato te, Simone, figlio di Jona: perché non te l’ha rivelato la carne ed il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli. » (Mt XVI, 17). Il bambino cristiano riceve nel Battesimo il potere di conoscere queste verità occulte, questi segreti di Dio, che l’Angelo stesso non può intuire; alla sua ragione naturale si è aggiunta un’intelligenza soprannaturale; gli è stata data la luce di Dio, con la quale vedrà l’interno stesso di Dio; potrà conoscerlo nella Trinità delle Persone, quaggiù con la luce della fede, e più tardi in tutto lo splendore della visione chiara. Per la stessa ragione per cui conosce Dio con la sua luce, lo ama con il suo stesso amore, perché la volontà deve sempre andare di pari passo con l’intelligenza. Le facoltà divine del bambino, in quanto tale, funzionano al momento solo come le sue facoltà umane. Ma aspettate un po’ e vedrete nascere nel suo cuore sentimenti che la natura non ha mai concepito. Egli amerà Dio come un buon Padre; lo temerà non con timore servile, ma con timore filiale, che teme l’offesa molto più della punizione; si affiderà alla sua bontà in mezzo alle prove più dure, e realizzerà con gioia, per compiacerLo, i sacrifici più dolorosi.

La felicità di Dio sarà la nostra felicità.

Queste facoltà divine sono accompagnate, nel cuore del Cristiano, da aspirazioni altrettanto divine. Dio gli disse: « Io stesso voglio essere la tua ricompensa. » (Gen. XV, 1). E allo stesso tempo ha acceso nel suo cuore desideri che nessuna felicità creata può soddisfare. Ad ogni essere la saggezza divina destina una felicità proporzionata alle sue capacità. Poiché nessun essere ha naturalmente una capacità divina, Dio non deve a nessuna delle sue creature la propria felicità. Ma ciò che Dio non deve a nessuno, lo destina e lo promette per pura liberalità al Cristiano, e gli dà allo stesso tempo la capacità di ricevere quella felicità ed il potere di meritarla. Che cosa serve di più al Cristiano per avere una vita veramente divina? Non è sufficiente che egli abbia in sé il potere di acquisire la conoscenza divina, di concepire un amore divino, la speranza e il desiderio di meritare e possedere la felicità stessa di Dio? Se questi doni ci sono stati veramente distribuiti, come può San Pietro dire in tutta verità e in senso non metaforico, che siamo stati resi partecipi della natura divina? (1 Pet. I, 4) Sì, queste parole sono di una rigorosa esattezza; perché la natura è l’essere in quanto principio delle sue operazioni, e l’essere divino ci è stato dato proprio sotto questo aspetto. Questo stesso Essere Infinito è stato comunicato in modo molto diverso alla natura umana di Nostro Signore Gesù Cristo. L’umanità del Divin Salvatore è stata resa partecipe della Persona del Verbo di Dio; essa sussiste anche in Lui e forma con Lui una sola Persona. Ma ognuno di noi conserva la sua personalità, quindi non siamo dèi come lo è Gesù Cristo. In noi il divino non è la sostanza, bensì le operazioni; noi siamo partecipi non della personalità divina, ma della natura divina; non siamo uomini-Dio, ma uomini divini.

Gesù Cristo è l’Uomo-Dio, noi siamo uomini deificati.

La Scrittura dà, in varie occasioni, il nome di divinità agli uomini e agli Angeli elevati allo stato soprannaturale. Così dice il Salmo XLIX: « Dio sta nell’assemblea degli dèi. » In effetti, questo nome ci si addice bene, perché noi abbiamo qualcosa di divino in noi stessi. Ma questa divinità è in noi, solo come un accidente eccellente e non influisce sulla nostra sostanza, per cui siamo lontani dall’essere dèi allo stesso titolo che Gesù Cristo. « È evidente – dice sant’Agostino, commentando queste parole – che gli uomini sono chiamati dèi in quanto sono divinizzati dalla grazia, non in quanto nati dalla sostanza divina. Essi sono divinizzati così come sono giustificati, perché, il giustificarli, li ha resi figli di Dio: “Ha dato loro il potere di diventare figli di Dio, dice l’Evangelista”. » (Giovanni. I, 12). « Se siamo diventati figli di Dio, siamo evidentemente diventati divinità, ma solo per grazia d’adozione e non per generazione naturale. Dio ha un solo Figlio, Dio come Lui, e forma un solo Dio con suo Padre; mentre gli altri che sono trasformati in divinità, lo sono per sua grazia. Non nascono cioè dalla sua sostanza, né saranno mai uguali al Figlio Unigenito; ma, per benevola concessione sono a Lui simili, e partecipano alla ripartizione della sua eredità. » (S. Aug. in Ps. XLIX; ML. 36, 564). La divinità del Cristiano è molto diversa da quella di Gesù Cristo, ma la sua divinizzazione non cessa comunque di essere molto reale. Noi non siamo dèi nel senso stretto della parola, ma divinizzati veramente.

La parola “deificazione” esprime meglio di “soprannaturale” lo stato

del Cristiano in grazia.

La parola “deificazione” esce continuamente dalla penna dei santi dottori ed è l’unica parola che esprime chiaramente lo stato del Cristiano adornato dalla grazia di Gesù Cristo. La parola “soprannaturale” non ha la stessa chiarezza, perché può riferirsi a doni od operazioni che superano le forze e le esigenze della natura umana, senza necessariamente dire nulla sull’elevazione di questa allo stato divino. La resurrezione di un morto è un’opera soprannaturale, eppure il morto risorto non è necessariamente arricchito dei doni della grazia. La conoscenza di cose lontane, che sarebbe per l’uomo una facoltà soprannaturale, non lo sarebbe per un Angelo. Al contrario, la fede, la speranza, la carità, la felicità del cielo sono cose ugualmente inaccessibili alle forze di tutte le creature, anche le più perfette. Perché? Perché sono doni veramente divini e non possono appartenere ad una creatura se non nel grado della sua divinizzazione. San Tommaso lo spiega molto bene: « Il dono della grazia è sopra ogni potere della natura creata, perché non è altro che una partecipazione alla natura divina, che è superiore a tutto lo stato naturale. È quindi del tutto impossibile per una creatura produrre la grazia. Il ferro non può ricevere le proprietà del fuoco se non si mette in esso, e nella misura in cui è unito ad esso; per questo solo Dio può divinizzare una creatura ammettendola ad una partecipazione della sua natura divina. » (Ia-IIa, q. 112, a.1). Molto prima del Dottore Angelico, San Cirillo di Alessandria, faceva contro i nemici della divinità dello Spirito Santo un ragionamento simile: « Come può accadere – egli diceva – che una natura creata possa fare degli dèi coloro che non lo sono? Non si può concepire una creatura deificatrice. Solo Dio ha il potere di divinizzare le anime giuste, alle quali concede, con il suo Spirito, una partecipazione alla dignità che gli è propria. » (S. Cirillo di Alessandria, Dial. VIII, de Trinitate, MG: 75, 1075). È già chiaro che la divinizzazione del Cristiano era per il Santo Dottore, e per tutta la Chiesa del suo tempo, qualcosa di talmente certo da non aver egli paura di appoggiarsi a questa verità per dedurne la divinità dello Spirito Santo.

La grazia ci rende partecipi della natura divina.

Da tutto ciò che precede è chiaro che la grazia abituale è davvero un dono soprannaturale che ci rende partecipi della natura divina. Per natura divina dobbiamo qui intendere la perfezione primitiva e primordiale, che è come la radice degli attributi di Dio e l’inizio delle sue operazioni. Perché, per la natura delle cose, i filosofi non hanno concepito altro che il grado di ciascun essere, da cui derivano le loro proprietà e le loro operazioni. Ora, la grazia santificante copia nell’anima quella perfezione primitiva e primordiale che noi concepiamo essere il principio di Dio. Così come Dio è, per sua natura, la radice dei suoi attributi divini e ha una inclinazione (che in Dio è Dio stesso) a vedersi intuitivamente, ad amarsi con un amore beatifico o divino e a fare per se stesso tutto ciò che fa fuori di sé, allo stesso modo, l’uomo spirituale, rigenerato dalla grazia santificante, ha la tendenza a vedere Dio intuitivamente, ad amarLo con un amore divino, a fare tutte le sue azioni per Dio solo. Questa grazia santificante è anche la radice della carità e delle virtù infuse che sono l’immagine delle perfezioni divine e delle conseguenze della grazia. La grazia santificante è una partecipazione alla natura divina per mezzo della quale l’anima tende a vedere Dio come è in sé (Contenson, Theologia mentis et cordis). Ma qual è la natura intima della grazia? Come dice il Dottore Angelico, la grazia santificante è una forma, una qualità dell’anima, che non opera come causa efficiente ma come causa formale, allo stesso modo in cui la pittura non fa la parete, ma la rende bianca. È una forma accidentale della sostanza dell’anima, per mezzo della quale Dio dà sostanzialmente ciò che è in Lui. Ciò che Dio possiede per sua natura, per la sua infinita perfezione, è infinitamente perfetto; ma ciò che l’anima possiede per grazia è contingente, limitato, imperfetto. La grazia è qualcosa di creato, nella misura in cui gli uomini sono trasformati in nuovi esseri dal nulla, cioè senza alcun merito proprio. La grazia non è una virtù, né una sostanza, ma la natura divina condivisa che produce nell’anima del Cristiano una qualità, un’attitudine. Ne consegue che la grazia è più nell’essenza dell’anima che nelle sue facoltà; nel modo che l’uomo, partecipando della conoscenza divina per mezzo della sua facoltà di conoscenza intellettuale, acquisisce un potere soprannaturale e divino, che è la fede. Partecipando all’amore divino, attraverso la sua volontà o facoltà d’azione, egli raggiunge un potere soprannaturale e divino che è la carità. Allo stesso modo è fatto partecipe, attraverso l’essenza stessa e la natura della sua anima, della natura divina e ottiene una certa somiglianza con Dio attraverso una sorta di rigenerazione o una nuova creazione.

Effetti che la grazia produce in noi, secondo San Bonaventura e Monsabré.

Tale è la natura della grazia che produce in noi degli effetti meravigliosi, di cui apprezzeremo la grandezza solo in cielo. San Bonaventura li riassume nei seguenti termini: « La grazia è il dono che fa della nostra anima la sposa di Gesù Cristo, una figlia dell’Eterno Padre e il tempio dello Spirito Santo. È un dono gratuito della bontà divina che purifica l’anima, la illumina e la perfeziona; la vivifica, la riforma e la rafforza; la eleva a Dio, la rende simile a Dio e la unisce a Dio. Come la nostra anima non assomiglia alla Santa Trinità se non per la virtù che ci purifica, ci rafforza e ci eleva, e per la chiarezza della verità che ci illumina, ci riforma e rassomiglia a Dio: in breve, siccome è questo insieme di doni che ci rende degni delle compiacenze e dell’amore del nostro Dio, ne consegue che questa influenza divina prende il nome generale di grazia, che esprime e riassume meravigliosamente i vari effetti dell’effusione dell’amore divino (S. Bonav., Breviloquium pars V, c. I). Anche il Padre Monsabré ha descritto gli effetti della grazia sull’anima: « Noi siamo partecipi della natura divina. Non abbiamo timore di confessare questo dogma a testa alta e di nutrire la nostra anima con questa consolante dottrina. Non è mai stato così necessario mantenere saldo lo spirito dei Cristiani e respingere gli attacchi dei nostri nemici. Satana rinnova, con più astuzia che mai, il tentativo che gli ha dato così buoni risultati nel Paradiso terrestre; egli dice agli uomini: « Sarete come dèi se vi scrollerete di dosso il giogo di Dio ». Il suggerimento è la più mostruosa di tutte le menzogne. Perché? Perché è la perversione della più utile di tutte le verità. Ciò che è falso nella parola di satana non è che l’uomo possa aspettarsi di essere come Dio, perché Dio stesso gli ha dato questo destino creandolo a sua somiglianza e ordinandogli di essere perfetto così come Egli lo è; il crimine consiste nel cercare la somiglianza di Dio nella ribellione contro Dio, con l’appoggiarsi, per derubare l’uomo, alla nobile ambizione di elevarsi a Dio: questo è ora, così come nel primo giorno del mondo, tutto il segreto della tattica di satana. » Come possiamo contrastare questa tattica? Non abbiamo altra scelta che far conoscere all’uomo la sua vera grandezza e presentare le sue immense aspirazioni con l’unico oggetto che possa soddisfarle. Alla falsa apparenza della divinità, che il panteismo fa risplendere ai suoi occhi e che non è altro che l’annientamento della sua personalità, delle sue facoltà, del suo essere, noi opponiamo la divinizzazione realissima che Gesù Cristo gli offre. Lasciando alla natura umana la sua completa integrità, vi aggiunge il dono magnifico della natura divina. Allora non sedurrà più le nostre anime quel mostruoso errore. Il vuoto che egli intende colmare sarà già divinamente colmato; le aspirazioni con cui vuole ingannare saranno pienamente soddisfatte. Rendiamoci inaccessibili alla seduzione, penetrando ogni giorno più intimamente la verità; apprezziamo, come meritano, i doni che Dio ci ha dato (1Cor. II, 12), e non saremo tentati di rincorrere a chimere. Apriamo gli occhi del nostro cuore per conoscere le magnifiche speranze della nostra vocazione, i tesori di gloria che costituiscono la nostra eredità nella dimora dei santi (Efes. I, 18), e non ci costerà nulla disprezzare tutte le promesse e le minacce del mondo. Dal momento in cui comprendiamo di essere degli dèi, non avremo più paura di diventare uomini: come partecipanti della natura e della vita di Dio come siamo, agiamo divinamente. Pensieri, opere, desideri, azioni, tutto assume proporzioni infinite nella nostra anima, perché tutto è impregnato della virtù dell’Altissimo e trasformato dalla Linfa Divina. » (p. Monsabré, Vie divine de l’homme).

Capitolo IV.

LA GRAZIA ED IL CUORE DI GESÙ

Intima unione del Verbo con l’umanità.

Appena la Madonna ha pronunciato il fiat liberatorio, il Verbo, scendendo dall’alto del cielo, prende su di sé l’umanità languente per farla propria e realizzare per essa i grandi progetti che nella sua misericordia aveva concepito. Fin dal primo momento, l’anima umana di Gesù è apparsa piena di bellezza agli occhi di Dio, che gli dà amorevolmente il bacio della pace, dicendo: « Sei la mia amata figlia, bella tra migliaia, e non c’è macchia in te. » La divinità ha riempito quell’anima e l’ha ridondata nel corpo, al punto che San Paolo poteva dire che la divinità abitava  corporalmente in Gesù. Quando il ferro è sottoposto al fuoco, lo penetra e si identifica con lui. Non cessa di essere ferro, ma diventa ferro rovente. L’unione del Verbo con l’umanità supera senza paragoni l’unione molto intima del ferro e del fuoco. Il Verbo assorbe nella sua personalità quella dell’umanità. Anche se sussiste la sua natura, vuole che la sua Persona la compenetri e la elevi ad una dignità che nessuna intelligenza umana potrebbe mai concepire. La mera unione del Verbo con l’umanità rende questa pura, innocente, bella, immacolata, degna dell’amore soprannaturale di Dio.

La grazia di Dio riempie l’anima di Gesù Cristo.

Dobbiamo noi dedurre che la grazia santificante o abituale non sia stata data all’anima di Gesù, o almeno che non potesse esserGli di alcuna utilità? Sant’Agostino afferma il contrario: « Gesù Cristo è pieno di grazia perché Dio lo ha unto con l’unzione dello Spirito Santo, non con l’olio visibile, ma con il dono della grazia. Un dono che rappresenta l’olio che la Chiesa usa nei battesimi. » ( S. Aug.: De Trinitate, 1, XV, c. XXVI; ML: 42, 1092). Tale era anche l’opinione di San Cirillo e di San Giovanni Crisostomo, basata su ragioni di congruenza, che hanno attirato l’attenzione di tutti i teologi portandoli a concludere, quasi all’unanimità, dell’esistenza della grazia santificante nell’anima di Gesù Cristo. Tutte le creature ricevono grazia e gloria da Dio (Ps. LXXXIII). Dio è il centro che irradia la grazia, la prima e unica fonte da cui sgorga l’acqua viva che estende la vita. Più ci si avvicina al fuoco, più si sente il calore; più ci si avvicina alla sorgente, più si è pronti ad attingere acqua abbondante e pura. Ora, quale creatura è stata più vicina alla divinità dell’umanità del Salvatore? Certo, c’è una linea di divisione tra essa e la Persona del Verbo che la sostiene; il Quale si è fatto tanto sua questa umanità, che dalla sua unione nasce un solo amore: l’Uomo-Dio. Egli è il Verbo, ma non solo il Verbo; Egli è il corpo e l’anima di un uomo, ma non solo un corpo e un’anima: è il Verbo incarnato, cioè il Verbo che penetra tutta l’umanità, come un balsamo che penetra con il suo profumo morbido il corpo con cui si mescola (Mons. De Segur: “Nos grandeur in Jesus”). L’anima di Gesù Cristo è intimamente unita alla divinità; non può quindi sottrarsi alla grazia di Dio che la inonda completamente e la riempie di tutta la pienezza di cui è capace una creatura.

Ragioni di questa pienezza di Grazia.

Tutto richiedeva in Nostro Signore questa pienezza: la sua intelligenza, destinata a penetrare il più intimo dei misteri, fino al cuore della divinità; la sua volontà che doveva amare Dio con un amore soprannaturale, la cui longitudine, latitudine, altezza e profondità superano ogni concezione; la sua natura umana che, vivificata – non distrutta – dalla Persona del Verbo divino, doveva sussistere nella sua interezza. È veramente lo strumento del Verbo, non quello inerte e inconscio del lavoratore, ma uno strumento animato che ha una sua vita, un suo modo di agire, una sua autonomia. Ha bisogno, questa natura, di un principio d’azione che diriga e perfezioni i suoi atti; ha bisogno, questa natura, essenzialmente umana, di un elemento che la soprannaturalizzi e la renda partecipe della natura divina: questo è ciò che fa la grazia che è comunicata come eredità. Gli attributi della personalità divina e della grazia rimangono in Gesù Cristo completamente diversi. L’unione ipostatica da sola, senza considerare altro che il suo effetto formale, comunica all’umanità la dignità della Persona. È una dignità divina e quindi la rende straordinariamente santa e gradita agli occhi di Dio, incapace di essere sfigurata dalla minima macchia. Ma perché il Verbo comunichi tutta la sua perfezione, deve dare con la perfezione, anche la santità della sua natura divina. È precisamente la grazia, che è stata definita così giustamente come una infusione della natura divina nella natura umana, che dona all’anima la bellezza, la forma che la prepara alla gloria che le è riservata. Cosa santifica il corpo, si chiede Suàrez? Una disposizione interiore segreta, che modera i suoi movimenti, li mantiene in ordine, facilitando le sue oneste operazioni. Senza dubbio, la Persona del Verbo santifica la carne di cui è rivestita, poiché diventa carne di Dio. Tuttavia, per essere elevato allo stato di santità richiesto dalla sua natura, Egli richiede anche la disposizione interiore che stabilisce l’ordine nelle sue facoltà, che non produce, almeno formalmente, la presenza della seconda Persona della Santissima Trinità. Questo è ciò che accade nell’anima di Gesù Cristo. L’anima, pur nobilitata e santificata dalla presenza del Verbo, non raggiunge tutta la perfezione di cui è capace finché la grazia non le comunica l’effetto fisico, la particolare disposizione che perfeziona il suo modo di agire e che noi chiamiamo grazia. È vero che questa perfezione è, se così si può chiamare, estrinseca, accidentale, eminentemente contenuta in ciò che conferisce la personalità divina; ma deriva anche dal Verbo incarnato, al quale non potremmo negarla senza avventatezza. Non è questa una conseguenza necessaria della presenza del Verbo, perché si fonda unicamente sul beneplacito di Dio. Ma si aggiusta, si adatta alla sua presenza in modo così armonioso, così perfetto, che sembra essere la sua naturale ed inseparabile compagna. Nel momento stesso in cui il Verbo si è incarnato nel grembo di Maria, la sua anima è stata abbellita dalla grazia santificante che gli è stata donata in tutta la sua pienezza. Se poi l’evangelista ci dice che il Bambino di Nazareth è cresciuto nell’età e nella grazia, dobbiamo capire trattarsi delle manifestazioni esterne di questa grazia, perché all’interno non era suscettibile né di aumentare né di diminuire. Dalla sua creazione l’anima di Gesù ha ricevuto tutta la grazia che sarà la sua eredità in eterno.

Significato della frase: «Pienezza della grazia ».

« Lo abbiamo visto pieno di grazia e di verità ». A proposito di questa parola di San Giovanni, i Dottori notano che l’espressione può avere diversi significati. A volte la Scrittura la usa per indicare un’abbondanza di grazie che si estende a tutte le opere virtuose, a tutte le potenze. In questo senso, San Paolo desidera che gli Efesini siano colmi della pienezza di Dio (Ef. III, 19). Altre volte la Scrittura vuole mettere in evidenza una grazia di elezione, conferita a un’anima in previsione della missione che Dio le riserva. Così Maria è stata salutata dall’Angelo, “piena di grazia”, perché aveva ricevuto tutte le grazie legate alla sua dignità di Madre di Dio. È solo in Gesù Cristo che la parola “pienezza della grazia” deve essere presa in tutta l’estensione del suo significato. Tutte le grazie delle altre creature, unite e paragonate alla grazia di Gesù Cristo, sono ciò che è uno stagno in relazione al vasto oceano. Infatti, mentre la grazia è stata data alle creature secondo una certa distribuzione, a Gesù Cristo è stata data senza alcuna misura. Quindi, sebbene questa grazia sia essenzialmente finita, perché creata e della stessa specie di quella che viene conferita a noi, è talmente sovrabbondante in Gesù da poter essere giustamente chiamata infinita. Le opere di Nostro Signore raggiungono un valore infinito grazie a questa unione. Essa dà infinito merito alle azioni del Salvatore, infinita soddisfazione a tutte le sue azioni compiute in spirito di penitenza. Questa unione influenza anche la grazia santificante, e le conferisce una forza d’azione infinita, in modo che la grazia renda l’anima di Nostro Signore infinitamente gradita e santa agli occhi di Dio. Dico infinitamente santa, ma non dobbiamo dimenticare che rimane sempre la differenza tra la santità conferita all’anima di Nostro Signore dalla grazia santificante e la santità di Dio: questa è infinita per essenza, quella per comunicazione.

Accostiamoci al Cuore di Gesù con fiducia.

Ognuno di noi deve mettere in pratica il consiglio dell’Apostolo di avvicinarsi al trono della grazia con fiducia, per ottenere da Lui la misericordia. Che cos’è questo trono di grazia? È il Cuore di Gesù, perché in Lui regna la carità; in Lui, dunque, ha sede la grazia, come una regina piena di maestà e di benevolenza. Non abbiamo paura; Gesù stesso ci chiama: « Venite – ci dice attraverso Isaia – venite a comprare vino e latte senza denari. » (Is. LXV, 1). Quel vino e quel latte sono la grazia che si insinua così dolcemente nell’anima, nel rispetto della sua libertà, e che le comunica allo stesso tempo una forza, un vigore cento volte superiore alle sue forze naturali. Il Cuore di Gesù è la fonte di acqua viva che giunge fino alla vita eterna della grazia. Questa fontana è stata aperta sul Calvario dalla lancia. Tutti coloro che desiderano attingere dalla grazia si avvicinino al Cuore di Gesù. E cosa possiamo temere? Dio non ha forse depositato per noi questa sovrabbondanza di grazia nel Cuore di suo Figlio? E cosa desidera il Cuore di Gesù se non arricchirci con i tesori che custodisce? In ogni pagina delle rivelazioni di Santa Margherita Maria, possiamo vedere questo desiderio del buon Maestro. Ascoltiamo alcune sue parole: « Il mio Cuore Divino è così appassionato d’amore per gli uomini che, non potendo contenere in sé le fiamme della sua ardente carità, vede come necessario il comunicarle e manifestarsi ad esse, per arricchirle con i suoi preziosi tesori. Il Cuore amabile di Gesù – dice la Santa – ha un desiderio infinito di essere conosciuto e amato dalle sue creature, nelle quali vuole stabilire il suo impero come fonte di ogni bene, per prendersi cura dei loro bisogni. Lo dico con tutta certezza che, se sapessimo quanto è gradita questa devozione a Gesù Cristo, non ci sarebbe un Cristiano che, per quanto poco amore possa avere per l’amabile Redentore, non la praticherebbe. Nostro Signore riserva tesori incomprensibili a coloro che sono impegnati nella sua istituzione. Mi ha spesso promesso che coloro che sono devoti al Suo Sacro Cuore non periranno mai e che, essendo Lui la fonte di tutte le benedizioni, le distribuirà con generosità dove l’immagine del Cuore amoroso è esposta per essere amata e onorata. » Nelle lettere di Santa Margherita troviamo un fatto che dimostra quanto sia opportuno che soprattutto noi, sacerdoti di Gesù Cristo, facciamo ricorso a questo Cuore pieno di grazia, per noi prima di tutto, e anche per le anime che ci sono affidate. Ad un religioso della Compagnia la Santa aveva chiesto di mettere la sua cura nella composizione di un’incisione del Sacro Cuore. Impedito da altre occupazioni, questi aveva impiegato molto tempo per farlo. « Il buon Padre – scrive la Santa – è così impegnato con mons. De Autun, nella conversione degli eretici, che non ha né il tempo né l’opportunità di impegnarsi in quest’opera che l’adorabile Cuore del nostro Maestro desidera con tanta veemenza. Non potete immaginare, mia carissima Madre, quanto questo ritardo mi affligga e mi faccia soffrire. Devo confessarle in confidenza che, a mio parere, questa è la causa delle poche conversioni degli infedeli nel suo popolo. Mi sembra di sentire continuamente queste parole: se il buon Padre avesse prima adempiuto ciò che aveva promesso al Sacro Cuore, Gesù avrebbe cambiato e convertito i cuori degli infedeli, per il piacere che avrebbe provato nell’essere onorato nell’immagine che desidera; ma poiché gli antepone altre cose, per darGli questo piacere, naturalmente per la sua gloria, indurirà i cuori di quegli infedeli, e le opere di quella missione saranno di poco frutto. »

Capitolo V

IL CUORE DI GESÙ FONTE DELLA GRAZIA

Cristo Restauratore di tutto il creato ed Autore della grazia.

Alcuni Padri della Chiesa dichiarano che la morte di Cristo sia stata un bene per tutta la creazione. Essi basano la loro affermazione su motivi di congruenza e sulla testimonianza di San Paolo che afferma che Cristo ha provato la morte per tutti (Eb II, 9). « Nel mondo materiale, anche gli esseri privi di ragione e di sentimento non riescono a trovare la loro giusta ragione, la perfezione che si addice loro, se non nel soprannaturale, e quindi in Cristo e per mezzo di Cristo. Ma si dice ancora poco nell’affermare che il soprannaturale spieghi e perfezioni il mondo materiale: si dovrebbe dire che lo nobiliti, che gli conferisca un valore incomparabile, facendolo partecipare, nella misura in cui permette la sua natura, alla grandezza a cui l’uomo stesso è stato elevato. Spero di potervi far capire che il mondo materiale non sia stato escluso dalla magnifica restaurazione di tutte le cose in Cristo che Dio intende realizzare (Ef. I, 9-10); e anche che esso sia stato poi abbellito quanto più possibile. » (P. Curci, La nature et la gràce, t. I , 15 discorso). La Sacra Scrittura ripete spesso che Nostro Signore sia la fonte della grazia; che la grazia e la verità siano stati fatti da Gesù Cristo; che Dio doni la sua grazia attraverso il suo Figlio prediletto. Tutte queste sono espressioni che rivelano una verità importantissima, di cui è bene avere una conoscenza profonda prima di studiare i mezzi con cui Nostro Signore comunica la grazia divina. Per quanto intima possa essere l’unione del Verbo con l’umanità in Nostro Signore Gesù Cristo, le sue operazioni divine rimangono completamente distinte da quelle umane. Supponendo questo, chiediamoci prima di tutto chi produca la grazia, se la divinità o l’umanità. Alcuni teologi, seguendo le attrattive di una pietà mal illustrata, hanno osato dire che l’umanità del Salvatore fosse la causa principale della Grazia e che Egli esercitasse su di essa un’azione diretta e fisica. Questo è un errore manifesto, perché nella creazione della grazia non c’è altro che uno strumento; così il Concilio di Trento, trattando della causa efficiente della grazia, parla sempre di Dio escludendone l’umanità. Gli effetti non possono essere di ordine diverso dalla causa che li produce; la grazia, essendo di un ordine infinitamente superiore alla natura umana, non può essere prodotta da essa, ma è imperiosamente rivendicata da un altro Autore. – In che senso, dunque, la Sacra Scrittura e tutti i Padri proclamano Gesù Cristo Autore della grazia? Cerchiamo di capire bene questa verità, perché ci unirà molto di più al Cuore di Gesù, facendoci penetrare molto al suo interno, ed accenderà i nostri cuori alla riconoscenza e all’amore, rivelandoci tutti i benefici che abbiamo ricevuto da Lui.

Non possiamo fare nulla senza la grazia.

Cosa possiamo noi fare nell’ordine soprannaturale della grazia? Una parola riassume il tutto: NULLA! Nemmeno possiamo pronunciare il Nome del Nostro Salvatore, né avere un inizio di fede che sia proficuo per la nostra salvezza: « Infatti – dice il Concilio di Orange – se qualcuno afferma che l’inizio della fede, per cui noi crediamo in Colui che giustifica l’empio, non sia l’effetto del dono della grazia, ma ci venga dall’ordine naturale, si oppone ai dogmi apostolici. » (cfr. 5). Non c’è una sola opera dell’ordine naturale che possa meritare la grazia, non solo – volendo impiegare il linguaggio delle scuole – de condigno, ma nemmeno de congruo. Questo è stato permesso da Dio, perché l’uomo fosse umile, riconoscendo così la sua completa dipendenza da Dio in tutto ciò che riguardi la sua salvezza. Non possiamo fare alcuna opera soprannaturale senza la grazia, né possiamo meritarla, per quanto ci sforziamo. Siamo veramente ridotti alla povertà estrema, e se qualche amico non viene ad aiutarci nella nostra necessità, siamo infallibilmente perduti. Ma consoliamoci: questo amico benefattore, tanto ricco da farci l’elemosina della grazia, esiste: è Gesù! che con i suoi infiniti meriti ce l’ha meritata, e proprio per questo lo salutiamo con il titolo di Autore della grazia.

Gesù Cristo ci ha meritato la grazia.

Quali misteri d’amore ci rivelano queste semplici parole! Il Verbo, in tutto ciò che è pari al Padre suo, non potrebbe meritare; ma, per l’amore che ha per noi, farà un miracolo che gli permetterà di soddisfare allo stesso tempo tutte le condizioni richieste per il merito. Egli scende dal cielo, veste la sua divinità con la livrea del genere umano, unisce la natura umana alla sua natura divina nell’unità della Persona. Da allora, l’Uomo-Dio, Uomo perfetto, Dio uguale al Padre e allo Spirito Santo, possiede tutte le qualità richieste per il merito, elevato al più alto grado di perfezione. Mentre la sua anima, nella parte superiore, contempla il volto di Dio e gode già della felicità della patria, nella parte inferiore è soggetta a tutte le nostre infermità; il suo corpo è sottoposto ad un duro lavoro, e solo a prezzo di molte sofferenze può entrare nel regno della gloria, verso il quale cammina dolorosamente come ogni uomo venuto al mondo. In Gesù, la volontà divina vuole e ama necessariamente; ma la sua volontà umana rimane completamente libera e quindi ha la possibilità di offrire a Dio Padre il sacrificio dei suoi atti e di conseguenza di meritare. Quando dico che Cristo era libero, non intendo dire che la sua volontà potesse essere incline al male; al contrario, era determinata al bene. Ma va notato – con san Tommaso – che il potere di inclinarsi al peccato, lungi dal’essere la perfezione della libertà, ne è il suo difetto. La volontà umana non è mai più libera di quando, rinunciando al folle progetto di farsi la propria regola di condotta, prende come regola la volontà stessa di Dio, sempre infallibile. Al di fuori della volontà divina, la volontà umana non trova altro che la schiavitù: « Chi pecca, diventa schiavo del peccato. » (Joann. VIII, 34). Ma ciò che accresce all’infinito il merito di Nostro Signore è che tutte le sue azioni sono state le azioni di un Uomo-Dio. « È facile dire che la sua volontà umana, unita alla divinità con il vincolo della carità e della grazia santificante, che aveva in tutta l’abbondanza che si addiceva all’anima di un Uomo-Dio, meritasse più, in tutto ciò che incarnava, di quanto lo spirito umano potesse comprendere, perché la grandezza dei suoi meriti si misura con la grandezza della sua grazia; eppure ciò non significa che i suoi meriti siano infiniti, poiché la sua grazia santificante, come creatura, non è infinita. Ma se si considera l’unione ipostatica che fa dell’uomo che lavora, soffre e merita, un vero Dio, si ha il principio del valore infinito e della dignità di tutti i suoi meriti. Se si smette di affermare che non solo che le sue azioni provenissero semplicemente dall’umanità, ma dall’umanità totalmente inabissata e trasformata in Dio, penetrata dall’unzione divina e aureolata con il bagliore della divinità, si giudicherà, e con molta ragione, che tutto ciò che è abissale fosse divino e di infinito valore. Giudicherete, e giustamente, che tutto ciò che era santo era divino e di infinito valore. Noterete non solo che la santa umanità fosse completamente piena, e se possiamo parlare in questo modo, traboccante ovunque di grazia santificante; ma anche che, unita in modo tale al divino da formare con esso una sola Persona, sembri aver avuto come radice certa l’aver penetrato a sufficienza la stessa divinità e gli stessi attributi divini, da cui ha tratto una vita infinita, un vigore, un’eccellenza ed una dignità che ha riversato in tutte le sue opere per cui ha dato loro un merito davvero infinito. » (D’Argentan, Grandeurs de JésusCrist.).

Beni che ci vengono dai meriti di Cristo.

Gesù Cristo ha lavorato e meritato per noi e i beni che ci vengono dai suoi meriti sono innumerevoli. Non parlo degli Angeli, che devono anche loro tutte le grazie ricevute ai meriti previsti di Gesù Cristo.  « Tutti hanno ricevuto dalla sua pienezza », dice San Giovanni; e, come avverte San Tommaso, tutti gli Apostoli, i Patriarchi, i Profeti, i giusti che sono esistiti, esistono e esisteranno, anche gli Angeli stessi. Perché la pienezza della grazia che è in Cristo è la causa di tutte le grazie che sono in tutte le creature razionali. Allo stesso modo, San Gregorio commenta il v. 2 del capitolo 2 del Primo Libro dei Re: « Non c’è nessun santo come il Signore, perché non c’è nessun altro fuori di Lui. » San Gregorio dice che « Non c’è nessun altro all’infuori di Lui », da intendersi come la prima espressione: « Non c’è nessun altro santo all’infuori di Te », perché nessuno tra gli uomini o tra gli Angeli è Santo se non Cristo. « Benedetto sia Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei beni celesti in Cristo, come Egli ci ha scelti in Lui stesso, prima della creazione del mondo, perché siamo santi e irreprensibili davanti a Lui nell’amore; che ci ha predestinati a Cristo, perché ci adotti come figli secondo lo scopo della sua volontà, a lode e gloria della sua grazia, con la quale ci ha reso gradevoli nel suo Figlio diletto. » (Eb. I, 3-6). Con queste parole San Paolo solleva un po’ il velo che ci nasconde l’immenso tesoro di grazie racchiuso nei meriti del Salvatore. Dio ha davanti a sé, da tutta l’eternità, il Figlio suo Gesù Cristo, fatto da Lui Re di tutta la creazione e tipo ideale di tutte le creature. Ma prima di far uscire il mondo dal nulla, prima di creare il cielo e la terra, Egli ci ha scelto da tutta l’eternità per essere nel numero di coloro che formeranno la corte del suo amato Figlio. La verità è che il peccato sembra venire prima di tutto a destabilizzare il piano primitivo. Ma Dio saprà renderlo più grande e più bello sempre attraverso suo Figlio Gesù: Proposuit omnia instaurare in Christo, sivequæ in cælis, sivequæ in terris sunt. Questo Gesù che prima di tutto parla di essere unicamente un Re di gloria, sarà per noi un Uomo di dolore; salirà su una croce e dal suo Cuore aperto farà scorrere sopra di noi il sangue riparatore che cancellerà tutte le nostre colpe. Ma per la gloria di questa grazia, per far risplendere la sua potenza in tutto il suo splendore e la sua meravigliosa fecondità, ci predestina ad essere figli adottivi di Dio; una gloria che dobbiamo interamente ai meriti di Gesù Cristo. Grazie a Gesù Cristo, siamo chiamati ad essere cittadini del cielo, eredi delle ricchezze dell’Eterno Padre, anche se nulla ci è dovuto. Siamo destinati ad essere coeredi di Gesù Cristo, ad essere figli di Dio. Dio, da parte sua, non perdonerà nulla?, ma per mezzo di Gesù Cristo ci benedirà con ogni sorta di benedizioni spirituali: « Perciò – dice sant’Ambrogio – vedendo come vengono tutte le grazie da Cristo, se qualcuno lo disprezza e crede di poter essere benedetto da Dio, si è immancabilmente ingannato. » Considera che un tale sia nato alla grazia in un Paese cattolico e da una famiglia cattolica. Gesù gli ha meritato il Battesimo. Quando la grazia santificante discende in un’anima, nel momento in cui l’acqua rigenerante scorre sulla fronte del nuovo Cristiano, la bagna come una regina, accompagnandola con la fede, la speranza e la carità, con tutte le virtù morali e con i doni dello Spirito Santo. Gesù fa crescere nella virtù e guida i nostri passi; perché la sua “grazia preveniente” accompagna e corona tutte le vostre opere. Non lavorate voi da soli, ma la grazia di Gesù è con voi, e ad essa dovete tutto ciò che c’è di buono e santo in voi, poiché senza di essa nessuna delle vostre azioni potrebbe essere gradita a Dio. » (Conc. Trid. I, 6, cf. 16). Guardate la grazia di Gesù nella buona ispirazione che passa attraverso il vostro spirito, nel buon movimento che fa battere il vostro cuore, nel buon desiderio che vi conduce alla virtù. Quando la tentazione vi fastidisce, c’è la grazia di Gesù che vi incoraggia e moltiplica le vostre forze. Quante volte avete forse tradito la causa di Gesù! Quante volte avete calpestato il suo prezioso Sangue! L’avete crocifisso di nuovo nel vostro cuore! Voi vi pentite, va bene; ma sappiate che alla sua grazia dovete anche l’atto di contrizione, e ai suoi meriti il perdono di tutte le colpe mortali e veniali; anche a Lui dovete la perseveranza finale, il dono dei doni, il dono supremo della grazia. Nell’ora della morte, quando tutte le vostre ricchezze e i vostri parenti e amici vi hanno abbandonato, Gesù, il vostro vero amico, non vi lascerà. Grazie ai suoi meriti, il cielo si aprirà a voi e potrete, per tutta l’eternità, glorificare l’Agnello immolato dall’inizio del mondo, il cui Sangue vi ha liberato dalla schiavitù del peccato e vi ha reso eroi.

Conseguenze pratiche.

Come ci fa capire bene questa verità il paragone che Gesù usava quando diceva: « Io sono la vite, voi i tralci. » I rami, infatti, devono tutto alla vite che li sostiene: nascita e crescita; attraverso di essa vivono, germogliano e si ricoprono di foglie, fiori e frutti. Dobbiamo tutto a Gesù Cristo nell’ordine soprannaturale, e molto nelle circostanze naturali che hanno un rapporto più diretto con la nostra predestinazione, dalla nascita alla grazia fino alla consumazione nella gloria (Ef. I, 23 – S. Aug. in ps. CVIII – Xon. Tris. S. XIV, CFR. 8). Dio aveva promesso al suo Figlio diletto che se fosse morto per l’espiazione dei peccati, avrebbe visto l’emergere di una numerosa posterità. Un giorno ci sarà dato di vedere la realizzazione di quel patto. Quanto sarà glorioso per Gesù il giorno solenne in cui, Re della gloria, apparirà in cielo scortato dalle sue legioni di Angeli che lo proclameranno loro Sovrano, accompagnato da una folla innumerevole di Patriarchi, Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori e Vergini che lo acclameranno come loro Redentore, e faranno risuonare i cieli con l’inno trionfante che l’Angelo di Patmos ha udito: « Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricevere amore, onore, gloria e benedizione nei secoli dei secoli. » Fino a quel giorno benedetto, mettiamo tutto il nostro impegno per non sprecare nessuno dei grandi benefici che possiamo trarre dai meriti di Gesù Cristo. Chiediamo a Dio, sull’esempio della Santa Chiesa, tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ma chiediamolo nel nome dei meriti di suo Figlio Gesù Cristo. « Ho letto molte volte in Louis de Blois – dice il V. Louis de la Puente – che dobbiamo offrire tutto ciò che facciamo in unione con i meriti di Gesù: la mia povertà unita alla povertà di Gesù, i miei atti di obbedienza all’obbedienza del Salvatore, le mie opere alle opere di Gesù, e così via. Questo è ciò che significa offrire le mie azioni a Dio, unendole ed incorporandole a quelle che Gesù ha fatto per me. Da questa offerta e da questa unione le nostre azioni ricevono un lustro speciale ed un valore maggiore, che le rende più gradite. Infatti, per mezzo di questa pratica, riconosciamo Gesù Cristo come nostro Capo, come principio del nostro bene e come nostro mediatore; purché lo chiediamo con perseveranza, usando i suoi meriti come titoli che ci danno il diritto di essere ascoltati. » (Vita di P. La Puente, c. XVIII, p. 143). Tutto ciò che abbiamo spiegato finora non ci porta come per mano a concludere che il Cuore di Gesù sia la fonte della grazia? Perché, qual è la prima ed ultima ragione di tutta la vita di Nostro Signore Gesù Cristo, la ragione che ci conduce al segreto di tutte le sue azioni, se non il suo amore per noi, il cui simbolo più espressivo è il suo Cuore? L’Apostolo ci lascia forse il minimo dubbio al riguardo? Dilexit! Mi ha amato! Questa è la parola chiave di tutti i misteri. Mi amò, e perché mi amava è venuto sulla terra, ha sofferto, ha meritato, si è donato completamente per il mio maggior bene e beneficio (Corn. A Lapide, Effig. S. Pauli). O Cuore di Gesù! Sto appena cominciando a considerare la tua grandezza e già ti presenti a me come il fuoco che irradia tutta la luce; come il vero centro da cui hanno origine tutte le cose buone, tutte le cose giuste, tutte le grandi, tutte le sante! Sì, la mia vita, la mia vera vita sarà il tuo Cuore divino; il mio pensiero sarà il tuo Cuore; la mia speranza sarà il tuo Cuore; il mio amore sarà il tuo Cuore. Per me, volere, parlare, agire, sarà il tuo Cuore; non voglio, non amo se non il tuo Cuore; quello che faccio, penso, dico, deve essere il tuo Cuore Divino.

https://www.exsurgatdeus.org/2020/05/19/il-cuore-di-gesu-e-la-divinizzazione-del-cristiano-7/

SALMI BIBLICI: “MEMENTO, DOMINE, DAVID, et” (CXXXI)

SALMO 131: “MEMENTO, DOMINE, DAVID”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 131

Canticum graduum.

[1] Memento, Domine, David,

et omnis mansuetudinis ejus;

[2] sicut juravit Domino, votum vovit Deo Jacob:

[3] Si introiero in tabernaculum domus meæ; si ascendero in lectum strati mei;

[4] si dedero somnum oculis meis, et palpebris meis dormitationem,

[5] et requiem temporibus meis, donec inveniam locum Domino, tabernaculum Deo Jacob.

[6] Ecce audivimus eam in Ephrata; invenimus eam in campis silvæ.

[7] Introibimus in tabernaculum ejus; adorabimus in loco ubi steterunt pedes ejus.

[8] Surge, Domine, in requiem tuam, tu et arca sanctificationis tuae.

[9] Sacerdotes tui induantur justitiam, et sancti tui exsultent.

[10] Propter David, servum tuum, non avertas faciem christi tui.

[11] Juravit Dominus David veritatem, et non frustrabitur eam: De fructu ventris tui ponam super sedem tuam.

[12] Si custodierint filii tui testamentum meum, et testimonia mea hæc quæ docebo eos, et filii eorum usque in sæculum sedebunt super sedem tuam.

[13] Quoniam elegit Dominus Sion, elegit eam in habitationem sibi.

[14] Haec requies mea in sæculum sæculi; hic habitabo, quoniam elegi eam.

[15] Viduam ejus benedicens benedicam; pauperes ejus saturabo panibus.

[16] Sacerdotes ejus induam salutari, et sancti ejus exsultatione exsultabunt.

[17] Illuc producam cornu David; paravi lucernam christo meo.

[18] Inimicos ejus induam confusione; super ipsum autem efflorebit sanctificatio mea.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

È Salmo che Salomone cantò nella dedicazione del Tempio (lib. 2, c. 6, Paralip.). Si rammenta il desiderio di Davide di edificare il tempio, e la petizione a Dio che il regno si stabilisca nei suoi posteri. Il Salmo è tra i graduali, perché da cantare dal popolo reduce dalla schiavitù, avendosi innanzi da imitare il desiderio di Davide per la casa di Dio, e la diligenza di Salomone in edificarla.

Cantico dei gradi.

1. Ricordati, o Signore, di David e di tutta la sua mansuetudine; E del come ei giurò al Signore, e di come fe’ voto al Dio di Giacobbe:

3. (Dicendo) – Se io entrerò al coperto nella mia casa, se io salirò al mio letto per riposare,

4. Se darò sonno ai miei occhi e quiete alle mie pupille,

5. E requie alle mie tempia, (1) fino a tanto che io trovi un luogo al Signore, un tabernacolo al Dio di Giacobbe.

6. Ecco che noi udimmo come (sua sede) era in Ephrata; la trovammo nei campi selvosi.

7. Entreremo nel suo tabernacolo ; lo adoreremo nel luogo dove i suoi piedi si posarono.

8. Su via, o Signore, vieni nella tua requie, tu e l’arca di tua santità.

9. I tuoi sacerdoti si rivestano di giustizia, esultino i tuoi santi.

10. Per amor di David tuo servo non allontanare la presenza del tuo Cristo.

11. Il Signore ha fatto promessa giurata e verace a David, e non la renderà vana La tua prole porrò io sul tuo trono,

12. Se i tuoi figliuoli saran fedeli al mio  testamento e ai precetti che io ad essi insegnerò. I loro figliuoli ancora in perpetuo sederanno sopra il tuo trono. (2)

13. Perché il Signore si è eletta Sionne se la è eletta per sua abitazione (dicendo):

14. Questa è la mia requie pei secoli; qui io abiterò perché me la sono eletta.

15. La sua vedova benedirò largamente; satollerò di pane i suoi poveri.

16. I suoi sacerdoti rivestirò di santità, ed esulteranno grandemente i suoi santi.

17. Ivi farò che a David spunti regal possanza: Ho preparata al mio Cristo una lampana.

18. I nemici di lui coprirò di confusione; ma in lui fiorirà la mia santità.

(1) « Né il riposo alle mie tempia », questa addizione non si trova né nell’ebraico, né nel caldeo, né nel siriaco, né in san Girolamo. Si ritrova solo nell’arabo.

(2) Tra le promesse che Dio fece a Davide, una è assoluta: « Io stabilirò sul tuo trono il figlio che nascerà da te; » l’altro è condizionale: « Se tuo figlio conserverà la alleanza con me, etc. »

Sommario analitico

In un primo senso, questo salmo è applicabile alla consacrazione ed alla dedicazione del primo tempio, ed è stato possibile essere ugualmente cantato dai Giudei al ritorno dalla schiavitù, durante la consacrazione del secondo. Esso è stato probabilmente composto da Salomone, se non da Davide stesso.

I. Il salmista ricorda a Dio:

1° la dolcezza di Davide in tutti i suoi rapporti con i vicini (1);

2° la sua pietà verso Dio che lo ha indotto a:

– a) fare a Dio il giuramento di costruirgli una dimora (2);

– b) a sacrificare al compimento dei suoi desideri;

– c) gli splendori della sua dimora (3);  

3° le dolcezze del sonno (4);

4° ogni specie di riposo (5)

II. Il popolo fa conoscere:

1° il suo ardore nel cercare l’arca;

2 ° la felicità nel trovarla (6);

3 ° il suo fervore nel rendergli il culto dovuto (7)

III.  – Il salmista prende occasione da questo voto e dal suo compimento per spingere Dio:

1° a prendere possesso del tempio che gli è stato destinato (8);

2°  a benedire ed a santificare i suoi sacerdoti ed i suoi fedeli adoratori (9);

3° a mantenere le promesse che Egli ha fatto a Davide (10) e che consistono:

.- a) mettere sul trono uno dei suoi figli (11);

– b) a perpetuare il trono nella sua famiglia, se i suoi figli gli restassero fedeli (12);

– c) a scegliere la montagna di Sion come il suo luogo di predilezione e di riposo (13, 14); 

d) a ricoprire della sua protezione le vedove ed i poveri (15);

e) a rivestire i sacerdoti di santità ed i fedeli di gioia (16);

f) ad accrescere la potenza di Davide ed a preparare una lampada al suo Cristo (17); g) a coprire di confusione i suoi nemici (18).

In un secondo senso letterale, o, se si vuole, in senso spirituale, queste diverse promesse convengono molto meglio a Gesù-Cristo, vero Figlio di Davide, ed alla Chiesa che Egli è venuto a fondare sulla terra.

I. – Il salmista espone a Dio:

1° La dolcezza e la pazienza di Cristo (1);

2° La sua risoluzione di non risalire al cielo, dopo la sua discesa nel sepolcro, prima del ristabilimento della Chiesa (2, 6);

3° gli oracoli dei Profeti sulla nascita del Cristo e la \testimonianza dei pastori sul luogo ove Egli è nato (6, 7);

4° la consolazione e la gioia degli Apostoli dopo l’Ascensione di Gesù-Cristo (8);

5° la promessa fatta a Gesù-Cristo ed il compimento della sua preghiera (10).

II. – Egli segnala le promesse che Dio ha fatto alla Chiesa.

1° la sua perpetuità in Gesù-Cristo, suo Capo, e nei suoi Vicari (11, 12);

2° la santificazione della Chiesa con la presenza di Dio stesso, sotto le specie eucaristiche (12, 13);

3° la virtù salutare del sacerdozio e del ministero ecclesiastico (16);

4° l’estensione del suo regno, la confusione dei suoi nemici e lo splendore di cui sarà circondata (17, 18).

 Spiegazioni e considerazioni

I. — 1-5.

ff. 1-5. – Salomone non fa qui menzione della dolcezza di Davide, ad esclusione di tutte le sue altre virtù, sia perché la dolcezza era la virtù eminente del Re-Profeta, sia ancora perché la dolcezza piace soprattutto agli occhi del Signore, come compagna inseparabile dell’umiltà e della carità: « La preghiera di coloro che sono umili e dolci vi è stata sempre gradita; » (Giudit. IX, 18); ed essa rende l’uomo simile a Dio, che è pieno di dolcezza e di soavità e di una immensa misericordia per tutti quello che lo invocano (Ps. LXXXV). – Davide è figura di Gesù-Cristo, che ha dominato tutto con la dolcezza della sua parola e della sua grazia. Mai i fedeli che sono il Corpo mistico del divin Salvatore, trionfano altrimenti dei nemici della salvezza. È la dolcezza dei loro costumi, la modestia dei loro discorsi, l’umiltà dei loro sentimenti, la loro pazienza nelle avversità che li renderanno invincibili. « Imparate da me, dice loro il Salvatore, che sono dolce ed umile di cuore. » (Berthier). – Ecco gli effetti della dolcezza e dell’umiltà di Davide, dolce ed umile di cuore, che credeva indegno di lui avere una dimora da abitare ed un letto per riposare, mentre che l’Arca di Dio non aveva una dimora permanente, cioè un tempio in cui fosse onorato in maniera stabile, occorrendo trasferirla continuamente da un luogo all’altro (II. Re, VII; I Paralip. XXII e XXVIII, 11; c. III) – Che sia Salomone o Davide a parlare in questo salmo, ne consegue sempre che l’uno e l’altro fossero persuasi del bisogno del soccorso di Dio per compiere le promesse fatte. Questa espressione: « Ricordatevi, Signore, del giuramento e del voto di Davide, » ne è la prova. Si è dunque temerari quando si fanno a Dio dei voti senza implorare la sua grazia, e non lo è di meno quando ci si illude di essere fedele senza la sua protezione (Berthier). – Quale santa attività! Il salmista non solo non entrerà nella sua casa, non salirà sul suo letto di riposo, ma non vuole neanche gioire liberamente del riposo che la natura ci rende necessario, fino a che abbia trovato un luogo ed un tabernacolo al Dio di Giacobbe. Non è il contrasto che Dio rimproverava ai Giudei, quando diceva loro: « è tempo per voi di abitare case ornate di legno, mentre il mio tempio è deserto? » (Agge., I, 4). – « … Prima di aver trovato un luogo al Signore. » Ammirate di nuovo lo zelo e la sollecitudine estrema di Davide; egli non aveva solo l’intenzione di costruire un tempio, ma voleva farlo nel luogo migliore e più conveniente alla sua santità (S. Chrys.) – Dove il Re-Profeta cercava un’abitazione per il Signore? Se era pieno di mansuetudine, egli la cercava in se stesso. Come poteva essere l’abitazione del Signore? Ascoltate il Profeta: « Su chi riposerà il mio spirito? Sull’uomo umile e dolce, che trema alla mia voce. » (Isai. LXVI, 2). Volete essere l’abitazione del Signore? Siate umile e dolce, ascoltate tremando le parole di Dio, e diventerete voi stessi ciò che cercate … « Io non salirò sul letto preparato per dormire. » Ogni proprietà privata della quale l’uomo si compiace, rende orgogliosi; ecco perché il Profeta ha detto: « io non salirò. » Ogni uomo è inevitabilmente orgoglioso di ciò che possiede di proprio … « Io non concederò sonno ai miei occhi. » Molti, perché dormono, non preparano l’abitazione per il Signore. L’Apostolo li sveglia dicendo: « Alzatevi, voi che dormite, e resuscitate dai morti, ed il Cristo vi illuminerà. » (Ephes. V, 14). Egli dice ancora: « ma noi che apparteniamo al giorno, vegliamo e restiamo sobri; perché coloro che dormono, dormono di notte, e coloro che si inebriano, si inebriano di notte. » (I Tess. V, 7-8). Per notte, egli designa l’iniquità, nella quale dormono coloro che desiderano i beni della terra; e tutte queste apparenti felicità del mondo sono sogni di uomini addormentati .,.. ma ci sono di alcuni che, senza dormire, si assopiscono un po’; essi si ritirano un poco dall’amore dei beni temporali, e vi si lasciano introdurre di nuovo, e come uomini che dormono, si lasciano nuovamente cadere la testa. Svegliatevi, scuotetevi dal sonno; sonnecchiando, voi cadrete: il salmista non vuole che colui che cerca un’abitazione per il Signore, permetta né il sonno ai suoi occhi, né l’assopimento alle sue palpebre (S. Agost.) – « Fino a che io non abbia trovato una casa per il Signore, una tenda per il Dio di Giacobbe. » Benché si chiami spesso tenda di Dio la casa di Dio, e casa di Dio la tenda di Dio, tuttavia, questo nome di “tenda” si applica particolarmente alla Chiesa del tempo presente, ed il nome di casa alla Chiesa della Gerusalemme celeste, ove andremo. In effetti la tenda appartiene specialmente ai soldati ed ai combattenti; la tenda è l’abitazione del soldato in campagna, che si trova in una spedizione. Dopo tanto tempo che abbiamo combattuto un nemico da abbattere, noi issiamo una tenda per Dio; ma quando il tempo del combattimento sarà passato, allora gioiremo di questa pace che sorpassa ogni intelligenza, secondo queste parole dell’Apostolo: « E la pace del Cristo, che sorpassa ogni intelligenza, » (Filip. IV, 7) perché, qualunque cosa noi possiamo immaginare su questa pace, il nostro spirito, appesantito dal corpo, non può arrivare alla realtà; quando giungeremo nella nostra patria, allora l’abitazione di Dio sarà una casa; liberi come saremo da ogni nemico, non arriveremo più a darle il nome di tenda. Noi non usciremo più a combattere il nemico, ma vi resteremo per lodare Dio. In effetti cosa è detto di questa casa? « Felici coloro che abitano nella vostra casa; essi vi loderanno nei secoli dei secoli. » (Ps. LXXXIII, 5) noi gemiamo ancora sotto la tenda; noi loderemo Dio nella sua casa. Perché? Perché i gemiti sono per gli esuli, e la felicità di lodare Dio per coloro che abitano nella patria. Quaggiù, cominciamo con una tenda per il Dio di Giacobbe (S. Agost.) – Volete essere l’abitazione del Signore? Siate umili e dolci, ascoltate tremando le parole di Dio, e diventerete voi stessi ciò che cercate. Se in effetti ciò che cercate non si realizza in voi, a cosa vi servirà che si realizzi in un altro? È vero che talvolta, per mezzo di un predicatore del Vangelo, Dio procura la salvezza altrui, se questo predicatore dice e non fa, ed i suoi discorsi preparano in un altro una abitazione al Signore senza che sia egli stesso questa abitazione; ma colui che fa bene ciò che egli insegna e che insegna da sé, diviene, così come coloro a cui insegnano, l’abitazione del Signore, finché tutti coloro che credono,  non facciano per il Signore che una sola dimora (S. Agost.).

II. – 6, 7.

ff. 6, 7. –  « Noi abbiamo udito che essa era in Ephrata.» Ephrata designa lo stesso che Bethléem, ove il Signore è nato dalla Vergine Maria, una testimonianza stessa del Profeta: « E tu Bethleem, non sei la più piccola tra le città di Giuda, perché da te uscirà colui che dominerà su Israele. » (Mich. V, 11; Matth. II, 6). È là, abbiamo saputo, che Dio si è dapprima riposato, là dove il Figlio unico di Dio si è degnato di abitare in una carne umana, e che ci si diceva essere in Ephrata, noi lo abbiamo trovato nei campi della foresta. È dunque in Bethleem che noi vediamo l’inizio della Chiesa; essa è cominciata con Gesù-Cristo, ma noi la troviamo in mezzo alle nazioni che sono i campi delle foreste; orribili come erano, esse sono diventate splendenti; da sterili, feconde; da alberi destinati al fuoco, la regione che produce il pane di vita; da riparo delle bestie selvagge, luogo del riposo, la casa, il tempio, il possesso di Dio (S. Ilar,). – Davide cercava un luogo per costruirvi la casa di Dio: noi abbiamo trovato nella Persona di Gesù-Cristo, non soltanto il tempio di Dio, ma Dio stesso, abitante tra gli uomini. Ora, per gioire pianamente della sua presenza, è nella solitudine che dobbiamo ritirarci. Noi lo troveremo, come si esprime il Profeta: « Nelle campagne della foresta; » non che sia necessario abbandonare le città, e nasconderci, come i solitari, nelle ombre ridotte degli alberi: il nostro Dio deve essere nel nostro cuore, ed il cuore totalmente separato dal mondo diventerà il tempio di Dio. – Tre cose sono da notare in questo versetto: Silo, Bethleem, il deserto; vale a dire, Gesù-Cristo, la sua greppia, e la solitudine del cuore, tre oggetti che dovrebbe occuparci incessantemente. Noi possiamo dire come il Profeta, che abbiamo inteso parlare di tre cose, possiamo dire di averlo trovato? (Berthier). – « Noi entreremo nel suo tabernacolo. » Noi entriamo nelle nostre case per abitarvi, e non entriamo nella casa di Dio perché Egli abiti in noi; perché Dio è ben al di sopra di noi; quando dunque Egli verrà ad abitare in voi, vi porterà la beatitudine … entrate dunque nella casa di Dio, per essere abitati da Dio; entrate, non per appartenervi, ma per appartenere a Dio (S. Agost.) – Profondo è il rispetto con il quale noi dobbiamo entrare nei nostri templi, che sono il tabernacolo della casa di Dio, ed offrire gli omaggi della nostra adorazione all’Eucarestia, della quale l’Arca era figura ed in cui Gesù-Cristo è veramente presente, non solamente come Dio, ma come uomo.

III. — 8-18.

f. 8-10. –  « Levatevi, Signore, per entrare nel vostro riposo. » Salomone, sul punto di introdurre l’arca nel tempio costruito con la più grande magnificenza, invitava così il Signore, in uno stile poetico, a lasciare la soglia del tempio e a prenderne possesso con l’arca della sua santità. – Nessuna preghiera è più conveniente per il momento in cui i fedeli partecipano al corpo di Gesù-Cristo: questo divino Salvatore, posto alla destra del Padre, si alza in qualche modo dal suo trono per venire ad abitare in noi; Egli considera il nostro cuore come il luogo del suo riposo, ma « … quale è questa casa che voi mi preparate? » dice per bocca del suo Profeta, (Isai. LXVI, 1, 2), e qual è il luogo del mio riposo? Tutto ciò che esiste, l’ha fatto la mia mano, e tutto è stato fatto da me – dice il Signore – ed ascolterò i sospiri del cuore lacerato e pentito che obbedisce alle mie parole (Berthier). –  « Se qualcuno mi ama, osserverà la mia parola, ed il Padre mio l’amerà e verremo a lui, e faremo in lui la nostra dimora. » (Giov. XIV, 23) – Introdotta l’Arca nel tempio, Salomone prega prima per i sacerdoti, poi per il re, perché su queste teste auguste riposa la salvezza di ogni nazione: I sacerdoti governano il popolo nelle cose spirituali, i re negli interessi temporali. Salomone chiede due cose per i sacerdoti: la giustizia e la santità, due virtù nelle quali essi non saprebbero avvicinarsi alle loro funzioni e lodare Dio con ardore. « Che i sacerdoti siano rivestiti di giustizia, » cioè di tutte le virtù, perché la parola di giustizia le comprende tutte; e non siano solamente giusti nel fondo del loro cuore, ma pure esteriormente; la loro intera vita, le loro parole e gli atti respirino la giustizia più perfetta. (Bellarm.) – « Non allontanate la faccia dal Vostro Cristo. » Ogni nostro bene consiste in un doppio sguardo, nello sguardo di Dio verso noi e nel nostro verso Dio, di tal modo che ci guardi con la bontà affettuosa di un padre, e che noi lo riguardiamo con la pietà filiale di figli sottomessi. Questo mutuo scambio di sguardi è la fonte e l’origine di tutti i beni (Bellarm.).

ff. 11, 12. – « Il Signore ha fatto a Davide un giuramento, etc. » Salomone ricorda qui le promesse che Dio aveva fatto a suo padre, al fine di ottenere più facilmente ciò che domanda. Queste promesse sono espresse nel capitolo VIII del secondo Libro dei Re, indicate nel salmo CXXXVIII, e ricordate nel secondo capitolo degli Atti degli Apostoli. – Qui il giuramento interviene per dare al segno ed alla promessa un sovrappiù di potenza, e Dio, per il quale giura ogni spirito quando vuole attirare credito alla sua parola, discende con questa risorsa davanti alla sua creatura e prende Egli stesso testimonianza della sua sincerità, sotto una forma tanto più augusta, quanto più sembra indegna di Lui. Così, duemila anni dopo, San Paolo, tutto emozionato da questo giuramento fatto ai suoi padri, diceva alla loro posterità (Ebr., VI, 16-17): « Gli uomini giurano per uno più grande di loro, ed il giuramento richiamato a conferma dei loro diritti, mette fine ad ogni loro controversia. Ecco perché Dio, volendo mostrare agli eredi dell’Alleanza l’inviolabilità del suo consiglio, interpose tra sé e loro un giuramento, affinché, con due cose immobili che non permettono a Dio di mentire, noi avessimo nella sua parola una indistruttibile consolazione. »  (Lacord,. LXVIII conf.) – Egli sembra dire: Davide ha giurato al Signore di elevargli una dimora, ed il Signore a sua volta ha giurato a Davide di stabilire un Regno eterno nella sua casa. Dio, in effetti, non può lasciarsi vincere in generosità, e ricompensa centuplicato, non solo le azioni, ma pure la volontà ed i desideri. – Il giuramento e la promessa senza ripensamento non si applicano che al Figlio unico di Dio, Gesù-Cristo, il cui regno non avrà fine. Allo sguardo di tutti gli altri, la promessa è condizionata. I discendenti di Davide non hanno ottenuto l’effetto di queste promesse perché non sono rimasti fermi nella fedeltà che dovevano a Dio. – Queste promesse si compiono nella Chiesa, ove coloro che perseverano fino alla morte nell’osservanza della legge di Dio e della sua alleanza santa, regnano eternamente con Gesù-Cristo (Bellarm., Duguet).

ff. 13, 14. – La Chiesa di Gesù-Cristo è la Sion spirituale che il Signore ha scelto come sua dimora; Egli vuole dimorare pertanto almeno in questa dimora speciale e tutta d’amore (Dug.) – Dio ci ama a questo punto che là dove noi riposiamo, dice di riposare Egli stesso. In effetti, Egli non è mai turbato e non ha bisogno di riposarsi; ma dice di riposarsi là dove noi gioiremo del riposo (S. Agost.).

ff. 15-18. – Questo ed i seguenti versetti promettono alla città di Davide – che è Sion – un gran numero di beni che possono senza dubbio applicarsi alla città terrestre che era figura della Chiesa; ma che si applicano in modo ancor più perfetto alla Chiesa stessa. – « … Io ricolmerò la sua vedova di benedizioni e riempirò di pane i suoi poveri. » Ogni anima che si sente priva di ogni soccorso, se non è quello di Dio, è una vedova. In effetti come  ha descritto la vedova l’Apostolo? « Colei che è veramente vedova e desolata, ha sperato nel Signore » (I Tim. V, 5), egli parlava di queste vedove che tutti noi chiamiamo nella Chiesa con questo nome. Egli aveva detto: « colei che è nelle delizie, è morta ancor vivente, » e non la annoverava tra le vedove. E cosa ha detto nel descrivere le sante vedove? « Colei che è veramente vedova e desolata ha sperato nel Signore ed ha perseverato giorno e notte nelle preghiere e nelle suppliche. » Qui egli aggiunge: « Ma colei che vive nelle delizie è morta ancora vincente. » Come dunque ella è vedova? Perché non ha soccorso se non da Dio. Le donne che hanno marito si inorgogliscono quasi del soccorso che trovano in essi; le vedove sembrano abbandonate, ma esse hanno un soccorso più potente di quello delle alter donne. Tutta la Chiesa è dunque una vedova unica, sia negli uomini, sia nelle donne, sia negli sposi, sia nelle donne maritate, sia nei giovani che nei vecchi, sia nelle vergini che la compongono. Tutta la Chiesa non è che una vedova unica, abbandonata in questo mondo, se comprende: se essa comprende, conosce la sua vedovanza, perché allora è a sua disposizione il soccorso di cui ha bisogno. Che significano ancora queste parole: « … io sazierò di pane i suoi poveri? » Siamo poveri, e saremo saziati. Molto Cristiani presumono del mondo e si danno all’orgoglio; essi adorano il Cristo, ma non sono saziati; perché se sono saziati questo è l’abbondanza del loro orgoglio. Di essi è detto: la nostra anima è un « soggetto di obbrobrio per i ricchi e di disprezzo per gli orgogliosi. » Essi sono ricchi, ecco perché mangiano; ma essi non sono sazi. A loro soggetto è detto in altro salmo: « Tutti i ricchi della terra hanno mangiato ed hanno adorato » (Ps, XXI, 30), essi adorano il Cristo, venerano il Cristo, indirizzano al Cristo delle suppliche; ma non sono saziati dalla saggezza a dalla giustizia del Cristo. Perché? Perché non sono poveri. Ora, i poveri, cioè gli umili di cuore, mangiano ancor più, quanto più grande è la loro fame; e la loro fame è tanto più grande, quando sono vuoti dei beni di questo mondo. (S. Agost.) – I Sacerdoti della nuova legge, devono essere rivestiti della santità per se stessi e dal potere di operare la salvezza nei riguardi degli altri. Questa seconda qualità manca loro meno della prima, perché la Chiesa può ben consacrarli a suo servizio, ma non renderli santi; è a Gesù-Cristo solo che appartiene l’operare queste meraviglie, ed è ciò che la Chiesa non cessa di chiedergli (Berthier). – « Io rivestirò i suoi sacerdoti di Colui che ci dà salvezza. » Cosa significano queste parole? Ascoltate San Paolo: « Voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, siete rivestiti di Cristo. » (Galat. III, 27) « E i suoi santi si daranno ai trasporti di gioia. » Perché? La loro gioia non viene da loro, ma viene dal fatto che essi sono rivestiti di Colui che dà la salvezza. Essi sono, in effetti, divenuti luce ma nel Signore, perché prima erano nelle tenebre (Ephes., V, 3). Ecco perché il Profeta aggiunge: « Là alzerò il corno di Davide (Ps. CXXXI, 17), affinché si ponga fiducia nel Cristo, » perché il corno figura l’elevazione, ed una elevazione spirituale. E qual è la vera elevazione spirituale, se non quella che consiste nel mettere la propria fiducia nel Cristo, e a non dire: sono io che agisco, sono io che battezzo; ma: « … è Lui che battezza? » (Giov. I, 33). Là dove è il corno di Davide, notate ciò che segue: « Io ho preparato una lampada per il mio Cristo. » (Ps. CXXX, 1) qual è questa lampada? Voi conoscete che il Signore ha detto di Giovanni: « Egli era una lampada ardente e lucente. » (Joan. V, 35). E Giovanni che dice? « È Lui che battezza. » È dunque là ciò che trasporta di gioia i Santi, è là ciò che trasporta di gioia i Sacerdoti, e tutto ciò che di buono vi è in essi, non viene da loro, bensì da Colui che ha il potere di battezzare (S. Agost.). – Nulla di più naturale è che applicare questa profezia al santo precursore del Messia, poiché egli fu, secondo la parola stessa del Messia, « una lampada ardente e brillante, » a preparare le vie del Messia, che era il vero Cristo di Dio. (S. Girol.). – Questo Re non era un re sconosciuto e nascosto: è Lui che ha annunziato la legge, Lui che i profeti hanno predetto, Lui che Giovanni – il predicatore della penitenza – ha mostrato ogni profezia che ha il Cristo per oggetto, è una lampada che fa brillare la carità della scienza nel mezzo della notte della nostra ignoranza, che confonde gli increduli e gli empi con la luce della scienza, ed insegna nel Figlio unico la Gloria e la maestà paterna. Questa lampada è pronta affinché la notte dell’ignoranza non impedisca di conoscerla. I suoi nemici saranno coperti dalla confusione, perché essi vedranno il Figlio dell’uomo nella maestà del Padre, e saranno rivestiti, non della salvezza, ma dalla confusione, resuscitando in un corpo terreno e ignominioso (S. Hilar.). – In tutti i secoli, i nemici di Gesù-Cristo, in mezzo anche ai trionfi apparenti contro di Lui, sono stati coperti di confusione; coloro che resistono lo saranno infallibilmente nel tempo. – La santificazione di Dio fiorisce nel Cristo. Nessun uomo la reclami per sé, perché è il Cristo che santifica; la Potenza di santificazione di Dio è in Lui solo (S. Agost.). Nessuno deve pretendere di entrare senza di Lui nelle vie della santità, e nessuno deve disperare di giungere alla santità, se mette la sua fiducia in Gesù-Cristo.