Suicidio ed eutanasia: telepass garantito per l’eterno fuoco!

Quinto comandamento.

[E. Ione: compendio di teologia morale – Marietti ed. ]

Il quinto comandamento proibisce, in primo luogo, ogni ingiusta uccisione, tanto di se stessi quanto di altri. In secondo luogo, proibisce ogni ingiusto ferimento o mutilazione.

E poiché la morte può venire anche per trascuratezza della propria salute, v’è pure un obbligo correlativo di curare la propria sanità.

CAPITOLO I .

Obblighi verso la propria vita.

I. Il suicidio diretto è peccato grave, quando si faccia di propria autorità. – È pure vietato il tentativo di suicidio, ponendo un atto da cui « per accidens » segua la morte, per abbreviarsi la vita, per es. bere eccessivamente, fumare troppo. — I suicidi vengono puniti con la privazione della sepoltura ecclesiastica, se prima di spirare non abbiano dato segni di pentimento (can. 1240), ovvero non possano essere scusati per mancanza di grave imputabilità (cfr. can. 2218, § 2) . — Probabilmente è lecito eseguire contro se stessi, per incarico dell’autorità pubblica, la sentenza di morte pronunziata legittimamente dalla stessa autorità. –

II. È pure proibito per sé uccidersi indirettamente; tuttavia è lecito, per un motivo proporzionatamente molto grave. – Si uccide indirettamente chi, in realtà non ha lo scopo di sopprimere la vita, ma sapendo e volendo, pone un’azione da cui non solo segue un buon effetto inteso e voluto, ma anche la morte. In ciò si presuppone che l’effetto buono abbia a seguire immediatamente da quell’azione, almeno nello stesso tempo della morte. – Pertanto è lecito gettarsi giù da un punto alto per sfuggire la morte nel fuoco, specialmente quando v’è ancora speranza di salvare la vita. Allo stesso modo può agire una donna per liberarsi dalle mani di un male intenzionato, che voglia afferrarla e violentarla. — Similmente è lecito in guerra far saltare una fortezza, una nave ecc. per danneggiare il nemico, anche se si prevede che si incontrerà la morte.

III. Solo per un motivo proporzionato, è lecito esporsi ad un pericolo di morte. Il motivo deve essere tanto più grande quanto più prossimo è il pericolo di morte. Esporsi a un pericolo remoto di morte, senza un motivo sufficiente, costituisce soltanto peccato veniale. — È lecito curare gli appestati, anche con pericolo di incontrarvi la morte. — I carpentieri edili possono lecitamente esporsi ai pericoli propri della loro professione. Ai prigionieri è lecito tentare l’evasione, sia pure con pericolo della vita, per sfuggire alla esecuzione capitale o alla prigionia perpetua. – È illecito eseguire giochi da saltimbanco pericolosi o giochi da circo per la sola brama di guadagno. Qualora, data l’abilità personale acquisita, il pericolo sia divenuto remoto, non vi è peccato, almeno mortale. Sotto tale categoria di azioni illecite, devono porsi pure le irragionevoli scommesse di prendere eccessive quantità di cibi o di bevande. –

IV. Abbreviare il tempo della vita anche di parecchi anni o danneggiare la salute a causa di una professione o genere di vita o di lavori pesanti, è lecito per motivi proporzionati. È perciò permesso il lavoro negli altiforni, nelle miniere, nelle vetrerie, in certi stabilimenti chimici. Similmente sono leciti ragionevoli esercizi di penitenza. Chi scientemente abbrevia al quanto la vita con l’abuso dei cibi e delle bevande, commette peccato veniale; ma abbreviare notevolmente la vita o rovinare la salute con l’abuso, per es. di morfina o di cocaina, è peccato grave.

V. La mutilazione del proprio corpo è permessa soltanto per salvare la vita. – La mutilazione di solito è peccato grave. L’amputazione di una parte insignificante e che non ha importanti funzioni fisiologiche, per es. il lobo dell’orecchio, è solo veniale. – L’evirazione e la sterilizzazione diretta sono gravemente colpevoli, sia che si abbia lo scopo di diminuire le tentazioni, sia che lo si faccia per conservare la voce di soprano, oppure per motivi di eugenetica sociale (S. U f f . 24 febb. 1940, AAS, XXXII, 1940, p. 73; cfr. pure il discorso di Pio XII alle ostetriche, 29 ott. 1951, AAS, XLIII, 1951, p. 835-854; XLVI, 1954, p. 587 ss.). Sembra lecita, per motivi proporzionatamente gravi di salute, la sospensione temporanea delle facoltà generative. — La vasectomia, l’estirpazione dell’utero e delle ovaie sono colpe gravi, se si fanno per impedire la procreazione. — In casi di cancro, di avvelenamenti ecc. è lecita l’amputazione di un membro.

VI . È lecito per motivo proporzionato desiderare la morte [ma non metterla in atto!! -ndr.-], sottomettendosi però alla divina volontà. – Motivo buono è il desiderio dell’eterna beatitudine, la preservazione da un infortunio o dolore terreno oltremodo grande (per es. una malattia molto penosa e diuturna). — Per i soliti incomodi della vita, desiderare seriamente la morte è peccato grave.

VII. La conservazione della vita e della sanità esige l’uso dei mezzi ordinari indispensabili. Fra i mezzi ordinari viene in primo luogo una adeguata nutrizione. Pertanto lo sciopero della fame, quando sia fatto realmente con la decisa intenzione di morire di fame piuttosto che rinunziare al raggiungimento del proprio scopo, è peccato grave. Ai mezzi ordinari appartengono pure un conveniente vestiario, abitazione, sollievo fisico moderato; l’uso di relative medicine e di rimedi sanitari, supposto che non siano eccessivamente costosi per l’ammalato; la visita o chiamata del medico. Si suppone, in tali casi, che non si tratti di malattia o di incomodi piuttosto leggeri, che passino da sé, e che vi sia fondata speranza che il medico o la medicina possa giovare. – L’uso di mezzi straordinari per la conservazione della vita non è di solito obbligatorio. Quindi, anche le persone ricchissime non sono obbligate a ricercare soggiorni climatici o bagni distanti, a chiamare celebrità della medicina, neppure nel caso che, altrimenti, dovessero morire. Similmente, nessuno è per sé obbligato a sottoporsi a una operazione difficile. — Si fa solo eccezione quando qualcuno sia moralmente necessario alla famiglia o alla società e il successo sia moralmente certo; solo, in tale ipotesi, il padre o il superiore può anche comandare di sottoporsi all’operazione chirurgica.

Due campioni dell’empietà: Voltaire e Rousseau

Due campioni dell’empietà: Voltaire e Rousseau

[J. –J. Gaume: Catechismo di perseveranza, vol. III, Torino, 1881]

Sdegnato dalle conquiste che il Cristianesimo faceva alle estremità del mondo, l’inferno raddoppiò i suoi sforzi per spegnere la fede in Europa e specialmente in Francia. Una congiura di letterati conosciuti sotto il nome di filosofi formò l’orribil trama di schiacciare la Religione di Cristo. Grandi e piccoli si accingono all’opera; gli uni scavano le viscere della terra, gli altri interrogano gli astri: questi consultano gli annali degli antichi popoli, quelli fanno dei calcoli; tutti si sforzano di dare una smentita alla Religione, e di metterla in contraddizione colle scienze naturali, colle tradizioni dei popoli e coi monumenti della storia. Si spande una farragine di libelli, si predica su tutti i tuoni l’incredulità ed il libertinaggio, l’uomo si fa carnale, e come al tempo che precedette il diluvio, lo spirito di Dio più non potendo in esso riposare sta per ritirarsi. – Fra questi uomini il cui nome non si può pronunziare senza orrore avendo colla loro malizia attirato sul nostro capo innumerevoli flagelli, ve ne sono due specialmente che debbono essere conosciuti affinché persino i fanciulli imparino a temere il veleno delle loro dottrine: Voltaire e Rousseau, doppiamente colpevoli, perché furono apostati della fede, e profanatori del genio. Del resto la loro vita doveva formarne co’ suoi scandali gli avversari della Religione e gli apostoli della incredulità: poiché, non bisogna dimenticarcene mai, l’incredulità nasce sempre dalla corruzione, e non è mai patrocinata che dal libertinaggio: vergogna eterna dell’incredulità! Ma onore a Te, o Religione cattolica che mai non avesti altri nemici che quegli uomini a cui niuno vorrebbe rassomigliare! – Giovani, voi che giurate sulla parola di Voltaire e di Rousseau, uomini di età matura che ne serbate a gran cura le opere nelle vostre librerie, venite, io vi svelerò le ignominie dei vostri maestri, le vergogne dei vostri idoli! Francesco Maria Arouel, detto di

Voltaire,

nacque a Chàtenay presso Parigi, nel 1694. Suo padre era un antico notaio. Venne educato a Parigi nel collegio dei Gesuiti. La temerità de’ suoi giudizi spaventò ben tosto i suoi maestri; ed uno di loro disse un giorno che sarebbe stato in Francia il gonfaloniere dell’empietà; gli eventi giustificarono pur troppo questa predizione. All’età di sedici anni il giovane Arouet uscì di collegio, e visse, giusta le sue inclinazioni in mezzo alle compagnie più eleganti e più corrotte della capitale. – Le molte contese ch’egli ebbe con suo padre lo decisero a passare in Olanda in qualità di segretario d’ambasciata; giunto appena alla Haye, il dabben giovane si fece rimandare a casa pel suo libertinaggio. – Esso non poté riconciliarsi col padre che mettendosi a lavorare presso un procuratore; ma la sua negligenza, e la sua avversione per le scienze legali non tardarono guari a farlo rimandare. – Voltaire fu cattivo cittadino del pari che cattivo figlio. Nel 1715 egli si attirò coi suoi motteggi più che leggieri uno schiaffo da un vecchio autore nelle stanze di un teatro; qualche tempo dopo si ebbe uno sfregio da un ufficiale da lui calunniato: cattivo figlio, malvagio cittadino, Voltaire fu ancora un tristo suddito. Dopo la morte di Luigi XIV si videro comparire a varie riprese delle vili e sconcie satire contro questo monarca: essendo il sospetto caduto sopra Voltaire, fu chiuso nella Bastiglia; appena uscito di prigione, si vide forzato a lasciar Parigi, perché, essendosi collegato cogli autori di una congiura che si era scoperta, venne accusato di avervi preso parte; quindi si ritirò al castello di Sully, ove ben presto si manifestò il suo libertinaggio. – Partito poscia per l’Olanda, e dimoratovi qualche tempo il torbido suo genio lo ricondusse alla capitale. I motti pungenti che si permise contro un giovane signore gli meritarono da parte dei domestici una buona dose di bastonate, e dalla parte delle autorità sei mesi di Bastiglia, con ordine di lasciar la Francia, scontata la sua pena. – Per tal modo Voltaire all’età di trentun anno era stato cacciato di casa paterna, dall’uffizio del procuratore, rimandato dall’Olanda, schiaffeggiato da un comico, castigato anche più severamente da un ufficiale, messo alla Bastiglia, esiliato di Parigi, battuto dai domestici per aver insultato il loro padrone, rinchiuso di bel nuovo nella Bastiglia e sbandito dalla Francia. Filosofi, ammirate la santa vita del vostro Apostolo. – Uscito dalla Bastiglia, Voltaire passò in Inghilterra popolata allora di liberi pensatori, che lavoravano di concerto per scalzare le basi del cristianesimo. A Londra, esso pubblicò l’Enriade ed ingannò il suo libraio, il quale rinnovò sulle spalle del poeta la correzione amministrata tre anni prima dai servitori del cavaliere di Bohan. – Questo spiacevole accidente fece sollecitare a Voltaire la permissione di ritornare in Francia, e l’ottenne. Alloggiato in un sobborgo di Parigi, vi condusse per qualche tempo una vita oscura e quasi nascosta occupandosi ora di lavori letterari, ed ora di faccende finanziarie. Essendosi associato ai provveditori dell’armata d’Italia, il filosofo si fece una rendita di cento sessanta mila lire: il poveretto! – Essendo poi stato denunziato al guardasigilli in proposito di una commediante di cui aveva fatto l’apoteosi, la quale altro non è che una serie di attacchi contro la Religione ed i suoi ministri, e contro la nazione in generale, Voltaire si rifugiò a Rouen, ove visse sette mesi nascosto in casa di uno stampatore, che ridusse poco tempo dopo in rovina con una truffa degna della galera. A questi principi corrisponde il restante della sua vita, la quale non offre altro che un lungo tessuto di libertinaggio, d’empietà, di basse adulazioni pei grandi, d’ipocrisia e di sacrilegio, e termina con una morte spaventevole. Il colpevole scrittore erasi ritirato a Ferney vicino a Ginevra; di là esso lanciava contro i suoi nemici, contro la Religione ed il Governo una quantità di libelli e di diatribe, nelle quali non sapresti ciò che riesca più odioso tra il fanatismo furibondo del patriarca della moderna filosofia, e la sua impudenza cinica e ributtante. – « Mentite, mentite arditamente, scriveva esso a’ suoi accoliti, qualche cosa vi resta sempre… m’importa assai di esser letto, e pochissimo di essere creduto». – Nel 1778 Voltaire ottenne il permesso di venire a Parigi. La sua entrata in questa città fu un vero trionfo. Il trionfo di Voltaire! Queste due parole fanno tremare ed arrossire; il trionfo di Voltaire vuol dire il trionfo del cinismo, dell’empietà e di tutti i vizi personificati, e ci dà un’idea della società francese di quel tempo; mentre presagiva la inaudita catastrofe che quindici anni più tardi doveva insanguinare la nostra patria, e quella degradazione senza esempio che doveva mostrare al mondo la prima delle nazioni in atto di prostituire i suoi incensi al rifiuto degli scellerati, ad un Marat,!!! Ma il Dio vivente oltraggiato per settant’anni dal più ingrato fra gli uomini, doveva ben tosto pigliar le sue vendette. – Era Voltaire giunto all’anno ottantesimo quarto del viver suo, quando pochi giorni dopo il suo ingresso nella capitale, fu assalito da un vomito di sangue; il che però non gl’impediva di farsi aggregare alla frammassoneria. Ma la misura era alla fine ricolma, e stava per suonare l’ora della divina giustizia. Osservisi primamente come la fine del corifeo dell’empietà è tanto più singolare, in quanto che lo colpiva precisamente una mortal malattia nel tempo in cui egli si prometteva il trionfo dell’ateismo. I suoi stessi partigiani hanno pubblicato la lettera nella quale egli scriveva al d’Alembert in questi termini : « Fra vent’anni, Dio sarà spacciato». Questa predizione blasfema porta la data del 25 febbraio 1758; ora il giorno appunto del 25 febbraio 1778 esso venne colpito dal vomito di sangue che lo condusse al sepolcro; a vent’anni d’intervallo il giorno preciso! La violenza del male gli fece ben tosto smentire la sua professione d’incredulità: esso fa chiamare uno di quei sacerdoti che aveva cotanto oltraggiato e calunniato nei suoi scritti, ed era questi l’Abbate Gauthier vicario di San Sulpizio. – Dinanzi a lui confessa in ginocchio le sue colpe, e gli consegna in mano la ritrattazione autentica delle sue empietà e dei suoi scandali. – In essa dichiarava di morire in seno della cattolica Religione. Questa professione di fede parendo molto sospetta da parte di un uomo che ne aveva già fatto delle somiglianti, il curato di San Sulpizio volle presentarsi in casa di Voltaire; ma i suoi amici avevano preso le loro precauzioni per impedirgli, come si esprime uno di loro, di fare un altro capitombolo. Costoro non lo abbandonarono un solo istante, e resero cosi inutile lo zelo e la carità del curato di San Sulpizio. – Intanto il vecchio peccatore si avvicinava alla sua eternità! Forse si era lusingato di recare a compimento la grande opera della sua riconciliazione con Dio, ma la morte prevenne gli estremi soccorsi. – Ecco che il filosofo si trova assalito da orrenda paura, e grida con voce spaventevole: « Io sono abbandonato da Dio e dagli uomini ». Esso invoca il Signore che aveva bestemmiato, ma un mezzo secolo di sarcasmi vomitati contro la Religione pare che abbia stancato la pazienza dell’Eterno; il sacerdote non giunge, ed il malato entra nelle convulsioni e nei furori della disperazione. Torbido il guardo, smorto e tremante dallo spavento egli si agita e si volge da tutti i lati, squarcia le sue carni, e divora…. i suoi escrementi: esso vede aprirsi dinanzi a sé quell’inferno di cui si era cotanto beffato, freme d’orrore a questa vista, ed il suo ultimo sospiro era quello di un riprovato. “Io sono abbandonato da Dio e dagli uomini”. Queste parole tremende, l’aria, l’accento onde furono pronunziate agghiacciarono di spavento il celebre Tronchin, che aveva curato Voltaire nella sua ultima malattia. « Immaginatevi tutta la rabbia ed il furore di Oreste, dice questo medico protestante testimonio dell’orribile morte, voi non avrete che una languida idea della rabbia e del furore di Voltaire nella sua ultima malattia. Sarebbe a desiderare, ripeteva esso sovente, che i nostri filosofi fossero stati testimoni dei rimorsi e dei furori di Voltaire, è questa la lezione più salutare che avrebbero potuto ricevere coloro ch’egli aveva corrotto coi suoi scritti. Il Maresciallo di Richelieu aveva veduto con i suoi occhi questo spettacolo spaventoso e non aveva potuto fare a meno di esclamare: «In verità, questo è troppo forte, è impossibile di resistere ». Cosi moriva il patriarca dell’incredulità i l 30 maggio 1778. Mentre Voltaire corrompeva la gioventù e parlava agli spiriti superficiali,

Gian Giacomo Rousseau

si volgeva agli uomini che si piccano di riflessione, e che allora s’intitolavano pensatori o spiriti forti. Rousseau, essendo protestante, sviluppò ed applicò alla società i pericolosi principii della Riforma. Empio, incredulo e vizioso, esso era degno di figurare tra i nemici di una religione che condanna tutti i vizi, e prescrive tutte le virtù. Gian-Giacomo Rousseau nacque a Ginevra nel 1712. Egli passò la prima sua infanzia nella lettura dei romanzi. Suo padre, di professione orologiere, lo mise in pensione da un ministro protestante; ma tutto il frutto che ne ricavò l’allievo, si fu d’imparare un po’ di latino, e di contrarre delle tristissime abitudini. Collocato in qualità di scrivano presso il Cancelliere di Ginevra fu trovato inetto, e rimandato. Dopo qualche mese di tirocinio in casa di un incisore, dove l’ozio, la menzogna ed il furto divennero i suoi vizi favoriti, come confessa egli stesso, passò in Savoia; un caritatevole ecclesiastico di questo paese gli forni i mezzi per recarsi a Torino, dove si fece ammaestrare intorno alla Religione cattolica, e due mesi di poi abiurò il protestantismo. Non avendo ricavato che venti franchi della sua pretesa conversione, entrò in qualità di lacchè nella casa della Contessa di Vercelli; ma messo ben tosto alla porta per un furto commessovi, e di cui aveva ingiustamente accusato una giovane fantesca, passò al servizio del Conte di Govone primo scudiere del Re di Sardegna. Alle amorevolezze del nuovo suo padrone Rousseau corrispose con una condotta ed un’insolenza che lo fecero congedare. – Senza mezzi, senza protezione, egli si mette a simular la pietà, si volge ad una gentildonna che lo accoglie e gli prodiga tutte le cure di una madre. Dietro i suoi consigli esso entra in un seminario per abbracciare la carriera ecclesiastica, ma ne vien rimosso non essendo buono a nulla. Più non sapendo che far di sé stesso, si mette a percorrere la Svizzera con un preteso vescovo greco che faceva delle collette pel Santo Sepolcro; questi due onesti viaggiatori si fecero arrestare a Solura e mettere in prigione. – L’ambasciatore di Francia mosso a pietà del giovane vagabondo, gli dà i mezzi di tornare a Parigi, dove prova tutti gli orrori della miseria. Finalmente venuto a Lione entra in qualità di precettore nella casa del signor di Mably gran rettore di questa città; gli ruba il suo vino d’Arbois, e se lo beve deliziosamente leggendo dei romanzi. Dopo vari fatti del pari onorevoli, ai quali tenne dietro un viaggio in Italia, Rousseau ritorna a Parigi nel 1745, e si abbandona ad un pubblico libertinaggio e mena una tal vita scandalosa per bene venticinque anni agli occhi di tutta Europa. Al libertinaggio egli unisce l’empietà, e se già aveva abiurato la setta di Calvino per abbracciare la Religione cattolica, eccolo ben tosto, tornato a Ginevra, abiurar la Religione cattolica per la setta di Calvino. La principale sua opera intitolata l’Emilio fu censurata dalla Sorbona, condannata dall’Arcivescovo e dal Parlamento di Parigi, poi arsa pubblicamente a Ginevra per mano del boia. Inseguito dalle autorità di Francia e di Svizzera Rousseau passa in Inghilterra; ma essendovi male accolto, ed abbeverato di amarezze domanda ed ottiene a forza d’i stanze il permesso di fissarsi a Parigi a condizione che non iscrivesse più nulla né sulla Religione né sulla politica. Un ultimo tratto farà conoscere appieno questo patriarca della filosofia. forza sulla tenerezza materna e sui doveri dei genitori verso dei loro figli, metteva con fredda crudeltà i proprii suoi figli all’ospedale dei trovatelli. – Qual vita, tal morte; secondo ogni probabilità, Rousseau si tirò un colpo di pistola, ed avendo preso il veleno mori nel 1778.

  • Voltaire e Rousseau i più abbietti fra gli uomini, tranne coloro che li stimano, tali sono, o filosofi del giorno, uomini irreligiosi di tutti i colori e di tutte le condizioni, i vostri due apostoli, i vostri due evangelisti, i vostri due santi, gli autori di quanto noi abbiam veduto, e di quanto veggiamo. [Voltaire non ha veduto tutto ciò che ha fatto, ma ha fatto quanto noi veggiamo; cosi scriveva il filosofo Condorcet, ammiratore e discepolo di Voltaire frammezzo alle insanguinate rovine dei troni e degli altari. Qualche mese dopo egli avrebbe potuto scrivere questa frase dall’alto del patibolo, dove le dottrine del suo maestro lo avevano condotto con molti altri].

– Imitate pur dunque i vostri padri, prostratevi dinanzi a codesti dati uomini, e poi, se osate, dite pure: io vorrei essere simile a loro!!! Del resto, prima di pronunziare, è bene che li conosciate non dietro quanto si dice di loro, ma dietro le stesse loro parole. Venite dunque a Ferney ed a Ginevra, ascoltate le gentilezze che si dicono a vicenda, e regolate la vostra stima per loro su quella che l’uno professa per l’altro. Voltaire scrive a Rousseau ch’è uno scappato di Ginevra; un certo messere che ne ha fatto delle sue; un mariuolo, un furfante, un ciarlatano selvaggio che raduna i passeggeri sul Ponte Nuovo; un matto villano che scrive delle impertinenze degne di Bicétre: un giovinastro di una ciarla insopportabile che le donnicciuole scambiano per eloquenza: un ipocrita, un nemico del genere umano, un botolo ringhioso e stizzoso: un cupo energumeno impastato di orgoglio e pieno di fiele, un vile, un empio, un ateo, un miserabile che potrebbe assai bene arrampicarsi sopra una scala, che avrebbe meritato di essere appeso per aver fatto dei libri abominevoli, un uomo senza fede, senza religione. – Ecco Rousseau; la sua moglie poi è una vecchia infame, le cui mani adunche furono morsicate dai cani dell’inferno. – Bravo, signor Voltaire! Ecco un bel panegirico: ma intanto non siete voi, o illustre scrittore, modello di civiltà e di gusto, che dicevate: « Nella conversazione » delle persone dabbene ciascuno dice il suo parere, ma niuno ingiuria la sua brigata; si discute, ma non s’insulta? – Ora voi ingiuriate, voi insultate, voi non siete dunque un…. Dispensatemi dal terminar la frase. – Meno abile nell’arte d’ingiuriare, Rousseau risponde a Voltaire attaccandone gli scritti; anima abbietta, tu cerchi invano di avvilirla; è solo la tua trista filosofia che ti rende simile alle bestie, ma il tuo genio è una protesta contro i tuoi principii, e lo stesso abuso delle tue facoltà prova la loro eccellenza a tuo dispetto. – Se voi dunque chiedete a Voltaire chi è Rousseau, vi dice ch’esso è « un mascalzone, un furfante, un cane, un ciarlatano selvaggio ». – Se domandate a Rousseau chi è Voltaire, vi dice ch’è « un’anima abbietta, simile alle bestie ». – Ma eccovi qualche cosa di meglio e di meno sospetto; si è lo stesso Voltaire, lo stesso Rousseau che rendono giustizia a se stessi ed ai loro scritti: volete voi sentirli? – Ascoltate Voltaire : Io sprecai il tempo della mia esistenza a comporre guazzabuglia di cui la metà non avrebbe mai dovuto veder la luce. – Ascoltate Rousseau: Dire e provare del pari il prò ed il contro, persuader tutto e non credere a nulla, è stato sempre mai il favorito trastullo del mio ingegno, io non osservo alcuno de’ miei libri senza fremere; invece d’istruire, io corrompo; invece di nutrire, io avveleno: ma la passione mi trascina, e con tutti i miei bei discorsi io non sono che uno scellerato. Io non desidero altro che un angolo di terra per poter morire in pace senza toccare né carta né penna. – Voltaire e Rousseau, ecco dunque quanto la filosofia ha di meglio da opporci. Gran Dio! Dio di santità, Dio di purità, Dio di tutte le virtù! sarebbero mai costoro quelli che voi sceglieste per vostri rappresentanti sulla terra, gl’interpreti delle vostre sante verità, i maestri del genere umano, mentre avete condannato all’errore tutto ciò che v’ebbe tra gli uomini di più virtuoso, di più illuminato, di più somigliante a Voi stesso! Ed ora a chi mi domandasse come si possano spiegare gli elogi e l’ammirazione fanatica di cui Voltaire e Rousseau furono obbietto, sarebbe agevole il rispondere: « Essi dicevano ad alta voce ciò che il loro secolo pensava in segreto: l’impura loro voce era l’eco di tutti i loro cuori corrotti di cui era pieno il mondo ».

 

LE ALLEGRE CONSACRAZIONI “FAIDATE” DI MONS. Thuc

LE ALLEGRE CONSACRAZIONI “FAIDATE” DI MONS. Thuc.

Molti lettori ci chiedono notizie di questo discusso prelato estremo-orientale; a tal proposito riportiamo quanto pensa un membro della Gerarchia della Chiesa cattolica in eclissi che, parlando con due membri dello staff di Papal Restoration Campaign, ha tenuto a precisare che il Santo Padre, Papa Gregorio XVIII,  considera le cosiddette “consacrazioni” di Ngo Dinh Thuc, come minimo, dubbiose. Per semplificare, diciamo che nelle intenzioni della Chiesa tal genere di consacrazioni non si sono mai verificate, poiché il monsignore venuto dall’oriente Thuc, in queste “consacrazioni”, diciamo azzardate, agiva con un proprio mandato (procuratogli dal demonio?). Questo è incontrovertibile, così come quando, ad un certo momento, chiese perdono all’antipapa Montini, il sedicente Paolo VI, per aver tentato di consacrare un gruppo di Alumbrados (Illuminati) in Palmar de Troya, Spagna [quelli che hanno poi fondato la barzelletta della “chiesa”c. d. palmariana], come vescovi senza mandato papale!

Ma i fatti gettano gravi dubbi circa la validità delle “consacrazioni” di Thuc. Ne diamo alcuni motivi:

  • Partecipa al falso concilio Vaticano II e ne firma i decreti.
  • Ha rimproverato pubblicamente l’intero Concilio per non essere abbastanza ecumenico;
  • ha cercato di ottenere che il Concilio accettasse l’uguaglianza con le donne nella Chiesa;
  • con la possibile eccezione del Sacramento dell’Eucaristia, non ha mai affermato che i sacramenti della Chiesa del Vaticano II fossero invalidi, ma solo che essi sono respinti da Dio;
  • ha sempre firmato i documenti con i titoli a lui “conferiti” dalla Chiesa del  Vaticano II;
  • fatto riferimento a Giovanni XXIII come ad un papa santo;
  • riconosciuto il marrano Paolo VI come Santo Padre;
  • ha “ordinato” / “consacrato” un gran numero di uomini, sacerdoti e vescovi senza missione e giurisdizione, senza chiedere loro di rinunciare alle loro false sette, anzi creandone di nuove. [tra questi il “grande” teologo Gerard des Lauriers, sacrilego pseudo-vescovo senza giurisdizione, l’inventore della stravagante antitomistica c. s. “tesi cassiciacum”, nonché i fondatori della barzelletta palmariana, e diversi personaggi riciclatisi nella setta C.M.R. I.];
  • ha “ordinato” / “consacrato” uomini del tutto inadatti ad essere ministri;
  • Ha regolarmente servito come accolito la nuova “messa”, quando era in Francia;
  • ha concelebrato la nuova “messa” con un vescovo del Vaticano II in tante e diverse occasioni;
  • ha ascoltato confessioni da settari del Vaticano II con il permesso di un vescovo del Vaticano II;
  • prima della sua morte, ha esortato alcuni collaboratori discendenti dalla sua “linea” a tornare alla chiesa del Vaticano II;
  • si è lamentato che alcune abitudini alimentari orientali fossero state escluse dalla Santa Messa.
  • E’ stato detto che fosse fisicamente e psicologicamente esaurito;
  • La sua sanità mentale era stata pubblicamente messa in dubbio dai suoi contemporanei;
  • Il guadagno monetario è stato riconosciuto dai suoi amici, essere un fattore motivante nel “conferimento” dell’Ordine sacro; • Nella sua autobiografia ha ammesso ad un prete del Vaticano II, di aver mentito.
  • Una sua amica ha detto che spesso parlava con doppi sensi;
  • Si comportava da tradizionalista solo quando intorno aveva altri tradizionalisti;
  • ha ammesso di simulare la “messa”;
  • ha ammesso di aver trattenuto la sua intenzione sacramentale nel conferimento dell’Ordine sacro. Nota: questo in almeno 10 diverse occasioni, vale a dire in 10 cerimonie false!

Il requisito minimo della Chiesa per accettare la validità di un sacramento è la “certezza morale.” La certezza morale “esclude ogni prudente timore di errori, in modo tale che l’opposto è reputato come del tutto improbabile.” Ora, sulla base delle evidenze sopra riportate si impone la seguente domanda: “Abbiamo la certezza che le c.d. consacrazioni del Vescovo Thuc raggiungessero un livello tale da escludere ogni prudente timore di errore?” – C’è la possibilità che egli non abbia validamente consacrato? … è del tutto improbabile che i riti non siano validi? – Mi sembra che nessuna persona obiettiva che possieda l’uso della retta ragione possa in coscienza concludere che le consacrazioni del Vescovo Thuc siano certe nella misura in cui si possa escludere ogni prudente timore di errori, in modo tale che l’opposto sia reputato come del tutto improbabile. – I Cattolici, quindi, devono indubbiamente respingere la validità delle consacrazioni del Vescovo Thuc. E se dobbiamo rifiutare le consacrazioni del Vescovo Thuc, ovviamente dobbiamo anche respingere tutte le ordinazioni e (pseudo-) consacrazioni provenienti dalla progenie Thuc, dalla linea episcopale Thuc, che non può fornire il Sacramento dell’Ordine, originariamente incerto, per cui non si può dare ad altri ciò che non si possiede da se stessi. Così la mancanza di certezza morale con il quale i Cattolici devono respingere la validità degli ordini del Vescovo Thuc, deve essere applicata anche alla progenie del Vescovo Thuc.

 Fotografia del vescovo Thuc che pubblicamente simula il Sacramento dell’Ordine Sacro su un Alumbrados, l’eretico venditore di assicurazioni, il Sig. Gomez, in Spagna nel gennaio del 1976.

La foto riportata sopra è l’esempio di una consacrazione episcopale FALSA al 100% D.O.C. garantita, come ha ammesso lo stesso vescovo Thuc che l’ha “eseguita”. (egli avrebbe poi formalmente affermato che stava trattenendo la sua intenzione sacramentale – un sacrilegio! -) “consacrando” il sig. Gomez senza un mandato papale – un altro sacrilegio!- anche se lo stesso vescovo Thuc aveva scritto e firmato un documento ufficiale [completamente fuori luogo] dichiarando di aver “consacrato” Clemente Dominguez y Gomez il 1° gennaio 1976) ??? Ecco il testo del documento, memoriale di tanta nefandezza sacrilega, attestante la perfetta malafede di questo, a dir poco “strano”, prelato vietnamita.

* “Io Peter Martin Ngo-Dinh Thuc, Arcivescovo titolare di Bulla Regia certifico che, il primo giorno del mese di gennaio 1976 ho conferito la tonsura e gli minori ordini, così come gli ordini maggiori (cioè suddiaconato, diaconato e sacerdozio) sulla seguenti persone: …. Clemente Domínguez, nato a Siviglia, National Identity Number 28279369 … […] Ho inoltre attestato che i Vescovi ed i Sacerdoti appartengono all’Ordine dei Carmelitani del Santo Volto, fondata a Siviglia il 23 dicembre 1975. – La Casa Madre di questo Ordine è al n 20 di via Redes a Siviglia. Il Fondatore e Padre Generale è Sua Eccellenza Clemente Domínguez, vescovo. – Di mia mano e di mia penna firmo questo documento perché abbia tutti gli effetti ecclesiastici e civili. – Dato il mio sigillo, il giorno dodici di gennaio dell’anno del Signore 1976   Firmato + Peter Martin Ngi-Dinh Thuc, Arcivescono di Bulla Regia.

A suo dire egli avrebbe avuto un mandato da S.S. Pio XII di consacrare dei Vescovi nella sua nazione, martoriata dalla guerra, anche senza l’autorizzazione di Roma. Di questo documento non c’è traccia, ed anche se fosse stato così, con prassi mai attuata in alcun tempo dalla Chiesa Cattolica anche in analoghe e ben più gravi situazioni, questo valeva per la sua terra durante il tempo di guerra, non certo si trattava di un permesso “speciale” per non-consacrare cani e p… in ogni angolo del pianeta creando il presupposto per sette e “chiesette” scismatiche ed eretiche, chiedendo una lauta ricompensa per “coprire le spese”.

(I Cattolici romani riconoscono che il sacro sacerdozio viene solo da Dio che chiama l’anima prescelta, mentre la Chiesa di San Pietro conferma il mandato dal Cielo. … E questi sedevacantisti patetici cercano di deridere pubblicamente i cattolici [della Chiesa in Eclisse perché non frequentano i loro servizi sacrileghi?!?).

Tra gli altri, anche il sacerdote vietnamita Peter Khoat Van Tran, ha avuto nel 1983 la “fortuna” di incontrare il Vescovo suo conterraneo a Tolone in Francia in Rue Garibaldi 22. Durante quelle lunghe riunioni, dove c’erano gatti che saltavano intorno, dentro e fuori dai mobili, Bp. Thuc e P. Tran hanno parlato tra loro nella lingua nativa Vietnamita, circa la crisi della Chiesa. – Thuc, espose gli insegnamenti di Cum ex apostolatus officio a P. Tran, che conosceva bene la bolla pontificia. Il vescovo Thuc parlava del documento di Paolo IV applicandolo all’usurpatore antipapa Giovanni Paolo II, per cui egli riteneva che al momento, la sede pietrina fosse vacante.- Fr. Tran, che ha avuto il più grande rispetto per il Vescovo Thuc, ha potuto notare, registrandolo, che il suo connazionale “variava i suoi stati di lucidità durante i loro incontri”. La cosa più scioccante, secondo la testimonianza scritta e firmata di p. Tran, fu che durante il loro ultimo incontro a Tolone, Thuc sottolineava il fatto che Giovanni Paolo II fosse un cattivo antipapa (cosa che P. Tran già sapeva), ma quando p. Tran poi si alzò per andarsene, anche il Vescovo Thuc si alzò e lo guardò dritto negli occhi dicendo: “E come è buono il nostro papa Giovanni Paolo II!” – – Così tragicamente Bp. Thuc non ha mai avuto la sua “testa a posto”, cosa di nuovo ulteriormente evidenziata (oltre ai punti elencati sopra) dal fatto di consigliare ai suoi conoscenti di tornare alla massonica setta del Vat. 2°, poco prima di morire nel 1984. Abbiamo poi la testimonianza giurata della consacrazione di Guerard des Lauriers, che continuamente dovette intervenire durante la cerimonia perché Thuc citava continuamente Giovanni Paolo II, nonostante che avesse detto due settimane prima che lo stesso non fosse il Papa. Anche altri sacerdoti (ad es. il noto padre Noel Barbara e padre Barthe nel 1981), hanno incontrato il vescovo vietnamita che serviva nella cattedrale la messa del N. O. e confessava i fedeli conterranei autorizzato dall’arcivescovo locale), riportandone analoghe impressioni circa la sua salute mentale. Il padre Barbara, in particolare lo rimproverava, e gli consigliava di non seguire la via del non-monsignor Lefebvre, che a parole diceva di riconoscere la legittimità della gerarchia post-conciliare [egli che sapeva bene come fossero andate le cose nei conclavi dal 58 in poi, perché informato dettagliatamente dagli infiltrati massoni Tisserant e Lienart, suoi amici e confratelli di merenda …-ndr-], e poi pubblicamente li disubbidiva secondo il suo mutevole umore giornaliero. Ci sono tante altre testimonianze giurate di sacerdoti sedicenti tradizionalisti (es. W. Jenkins, A. Cekada, il già citato G. des Lauriers, etc.) che testimoniano delle infelici condizioni mentali del nostro vescovo vietnamita; secondo alcuni osservatori pare che le sue “pittoresche” consacrazioni fossero motivate da un disperato bisogno di denaro! –

D’altra parte il Signore ci aveva ampiamente avvertito e con largo anticipo: “… dai frutti li riconoscerete” … e qui i frutti marci sono proprio evidenti!

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Le consacrazioni senza mandato sono anatemizzate, cioè colpite da scomunica “ipso facto”; ricordiamo a proposito cosa ci dice il Dottore Angelico: Art.1,4 Chi col battesimo è inserito nella Chiesa è reso capace di due cose: di costituire il ceto dei fedeli e di partecipare ai sacramenti. E questa seconda cosa presuppone la prima, poiché mediante la partecipazione ai sacramenti i fedeli sono anche in comunione tra loro. Perciò si può essere posti fuori della Chiesa con la scomunica in due modi. Primo, con la sola esclusione dai sacramenti: e questa è la scomunica minore. Secondo, con l‘esclusione da entrambe le cose: e questa è la scomunica maggiore definita in questo articolo…. «Chi è colpito di anatema per un delitto, è escluso dalla bocca, dalla preghiera, dal saluto, dalla comunione e dalla mensa». «Dalla bocca», cioè dal bacio, «dalla preghiera», poiché non si può pregare con gli scomunicati, «dal saluto», poiché essi non vanno salutati, «dalla comunione», cioè da ogni rapporto sacramentale, «dalla mensa», poiché non si può mangiare con essi. Ora, la definizione data implica l‘esclusione dai sacramenti con le parole «quanto al frutto», e dalla comunione dei fedeli quanto alle realtà spirituali con il riferimento ai «suffragi comuni della Chiesa». [suppl. III, arg. 21, art.3]. In altro luogo:

Articolo 2,2 – In S. Matteo [XVIII, 17], di chi si rifiuta di ascoltare la Chiesa, sta scritto: «Sia per te come un pagano e un pubblicano». Ora, i pagani sono fuori della Chiesa. Perciò è giusto che la Chiesa, con la scomunica, escluda dalla sua comunione coloro che non vogliono ascoltarla.

Parte III, Questione 36, artic. 5, in contrario:

-. 1) Dionigi [Epist. 8, 2] ha scritto: «Costui», ossia chi non è illuminato [dalla grazia], «sembra molto presuntuoso, mettendo mano alle funzioni sacerdotali; e non sente timore e vergogna nel trattare le cose divine senza dignità, pensando che Dio ignori i segreti della sua coscienza; e pensa di poter ingannare colui che egli falsamente chiama Padre; e osa servirsi delle parole di Cristo per pronunziare sui segni divini, non oso dire delle preghiere, ma delle immonde bestemmie». Perciò il sacerdote che indegnamente esercita il proprio ordine è come un bestemmiatore, o un ipocrita. Quindi pecca mortalmente. E per lo stesso motivo peccano in caso analogo tutti gli altri ordinati. 2. La santità è richiesta negli ordinandi in quanto indispensabile per esercitare le loro funzioni. Ora, chi si presenta agli ordini in peccato mortale pecca mortalmente. A maggior ragione quindi pecca chiunque esercita in stato di peccato il proprio ordine.

-.2) Dimostrazione: La legge [Dt 16, 20] comanda di «compiere santamente le cose sante». Perciò chi esegue le funzioni del proprio ordine in modo indegno compie le cose sante in maniera non santa, e quindi agisce contro la legge, per cui pecca mortalmente. Chi infatti esercita un ufficio sacro in peccato mortale, senza dubbio lo esercita indegnamente. Perciò è evidente che fa peccato mortale.

           Punto chiave della teologia morale è: “In caso di dubbio, ASTENERSI”.

Henry Davis, S.J.: “Teologia morale e pastorale”; Londra: Sheed & Ward, 1935 Volume III, pag. 27

L’UTILIZZO DEI PARERI PROBABILI [CAPO VII, SEZIONE I: Opinioni probabili di Validità]

Nel conferire i Sacramenti (così come anche nella consacrazione nella Messa) non è mai permesso adottare una probabile linea di condotta per la validità, ed abbandonare il corso più sicuro. Il contrario è stato esplicitamente condannato da Papa Innocenzo XI.  Fare ciò sarebbe un grave peccato contro la religione, cioè un atto di irriverenza verso ciò che Cristo nostro Signore ha istituito, sarebbe un grave peccato contro la carità, quindi il destinatario sarebbe probabilmente privato delle grazie e dell’effetto del Sacramento; sarebbe un grave peccato contro la giustizia, poiché il destinatario ha diritto a Sacramenti validi, ogni volta che il ministro, sia d’ufficio o no, si impegna a conferire un Sacramento. Nei Sacramenti necessari non vi è alcun dubbio circa il triplo peccato; nei Sacramenti che non sono indispensabili ci sarà comunque sempre il sacrilegio grave contro la religione!

“E’ una grave responsabilità di tutti i cattolici dimostrare a se stessi che i sacramenti che frequentano siano leciti [legali] agli occhi della Chiesa di Cristo, perché se i cattolici si avvicinano ai Sacramenti senza sapere per certo che i ministri hanno sia validi ordini sacri, sia ordini che sono stati dati con approvazione canonica [autorizzazioni alla pratica], si mettono fuori della Chiesa. ”

Il Magistero espressamente dichiara: che [Il seguente errore è] condannato da un decreto del Sant’Uffizio, del 4 marzo 1679:Non è lecito nel conferire sacramenti seguire un parere probabile per quanto riguarda il valore del sacramento, abbandonando il parere più sicuro, a meno che non lo vieti la legge, le convenzioni o il pericolo di incorrere in danni gravi. Pertanto non si dovrebbe fare uso di pareri probabili nel conferimento del battesimo, degli ordini sacerdotali, o episcopali.” (Denzinger n.1151). Innocenzo XI (1676-1689).

[P. s. Qui non si tratta di distinguere il potere d’ordine dal potere di giurisdizione, perché gli ordini sacri in realtà non sono mai stati conferiti, come nel caso del cavaliere Kadosh Lienart, il mai-prete e mai-vescovo che non ha trasmesso mai alcun ordine a nessuno, così come pure la sua “progenie”.]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MOSERNISTA-APOSTATA DI TORNO: “APPETENTE SACRO”

Con l’approssimarsi della Quaresima è giusto rileggere la lettera enciclica di S. S. Clemente XIII “Appetente sacro”, un breve scritto che ricorda l’importanza fondamentale della penitenza quaresimale nella vita del Cristiano, in espiazione delle proprie colpe e di quelle della intera società. Oggi purtroppo questa pratica è diventata pressoché inusitata, inutile per la contro-Chiesa della falsa misericordia, quella dell’orgoglioso modernismo che, pretendendo la propria autosufficienza, secondo il costume massonico ben assorbito, rifugge dal soprannaturale, a detrimento della vita dell’anima e pure del corpo. Oggi si propongono le diete più strampalate, menù dettati dalla fantasia più stupida e pericolosa per la salute, sotto il pretesto dell’esotismo e di un salutismo mai provato, mentre l’unica pratica, veramente salutare e vantaggiosa per la vita del corpo e dell’anima, viene neghittosamente rigettata, con i risultati che tutti purtroppo vediamo in ogni ambito, da quello medico a quello mentale, sociale, morale e spirituale, solo per citarne alcuni. In questa enciclica, che dimostra come i Santi (veri) Pontefici siano preoccupati e dediti alla cura delle anime loro affidate, suggerendo ogni accortezza che possa esser loro di vantaggio per la vita attuale, ma soprattutto in vista della salvezza eterna dell’anima. Qui si richiama la pratica del digiuno che il Cristiano deve offrire al Signore senza sotterfugi o inganni, anzi con gioia e gratitudine per avere l’occasione di intraprendere questa pia opera espiatrice, apportatrice di benessere materiale e spirituale senza pari.

Clemente XIII

Appetente sacro [20 dic. 1759]

1.- Avvicinandosi il sacro tempo Quaresimale che, ricco di dottrina misteriosa, non senza alcunché di arcano, precede la grande solennità di Pasqua, nella quale trovano compimento e dignità tutte le solennità, vi esortiamo, Venerabili Fratelli, affinché il santissimo digiuno sia scrupolosamente e inviolabilmente praticato dai fedeli, come raccomandato dalla Legge e dai Profeti, santificato da Cristo Signore, tramandato dagli Apostoli così come la Chiesa Cattolica sempre ritenne, affinché attraverso la mortificazione della carne e l’umiliazione dello spirito ci accostassimo più preparati ai misteri della Passione del Signore e dei Sacramenti Pasquali, e potessimo risorgere nella sua risurrezione; dopo essere morti con lui nella passione, avendo deposto l’uomo vecchio. Per il desiderio di difendere tanto religiosa e salubre istituzione il nostro predecessore Benedetto XIV di felice memoria, anche se inviandovi due lettere in forma di Breve eccitò lo zelo esimio delle Vostre Fraternità perché la disciplina del digiuno quaresimale, minacciata da molte depravazioni, per merito e zelo vostro fosse riportata alla primitiva osservanza, tolse di mezzo alcuni cavilli, dai quali ogni validità dei sacri digiuni veniva infranta. Tuttavia dal tremendo e odiosissimo nemico del genere umano sono state fatte così numerose e continue insidie al gregge del Signore, che c’è da temere che successivamente quella vecchia volpe suggerisca agli animi dei più deboli nuove motivazioni e cattive consuetudini, dalle quali la severità del digiuno venga svigorita, e donde dianzi era stata revocata, colà nuovamente torni indietro. Giudicammo perciò necessario mandarvi questa lettera per significare alle vostre Fraternità in quanto grande timore Ci troviamo che rimanga alcunché della precedente corruzione, oppure nuovo danno venga inferto a questo riguardo alla disciplina ecclesiastica, con nocumento delle anime dei fedeli.

2. – Abbiamo capito che questo Nostro timore di tanto sarebbe diminuito di quanto fosse stata sollecitata la Vostra personale vigilanza. Per mezzo di essa, con l’aiuto di Dio, impegnatevi affinché tutti gli errori siano eliminati dalle fondamenta: sia ciò che possa essere rimasto dell’antica corruttela dopo le ricordate Lettere del suddetto Nostro Predecessore, sia le nuove opinioni dirette ad infrangere le leggi del digiuno, sia le consuetudini aborrenti dal vero significato e dalla natura del digiuno recentemente introdotte dalla cattiveria dell’ingegno umano. – Tra questi errori certamente pensiamo si debba includere quell’abuso, che una certa voce ha fatto giungere fino a Noi. Alcuni, ai quali per giuste e legittime motivazioni si è concessa la dispensa dall’astinenza delle carni, credono sia loro lecito assumere bevande miste con latte, contrariamente a quanto è stato previsto dal predetto Nostro Predecessore, il quale pensò che tanto i dispensati dall’astinenza delle carni quanto i digiunanti in qualsiasi modo, eccettuata l’unica commestione, devono essere in tutto da equiparare a coloro che non hanno alcuna dispensa, e perciò possano servirsi di carne oppure di ciò che deriva dalla carne soltanto relativamente all’unica commestione.

3. – In verità, né più convenientemente né con maggiore speranza di profitto giungerete a richiamare gli uomini alla sacrosanta legge del Digiuno se non insegnando ciò ai popoli. La Penitenza del cristiano, oltre alla cessazione dal peccato, la detestazione della vita passata trascorsa male e la Confessione Sacramentale dei medesimi peccati, chiede anche che, per mezzo di digiuni, elemosine, preghiere e altre opere di vita spirituale rendiamo soddisfazione alla giustizia divina; infatti ogni iniquità, piccola o grande che sia, deve essere punita o dal penitente stesso o da Dio vendicante. Se dunque non vogliamo essere puniti da Dio, non possiamo fare diversamente che punirci da noi stessi. Se tale dottrina sarà costantemente inculcata negli animi dei fedeli, e dai fedeli profondamente recepita, evidentemente si dovrà temere di meno che coloro che avranno rigettato i costumi vinti, e lavato per mezzo della Confessione Sacramentale i loro peccati, non vogliano espiare i medesimi peccati per mezzo del digiuno, frenando la concupiscenza della carne. Inoltre coloro che saranno persuasi di pentirsi in maniera meno dubbia dei loro peccati, non permettendo a se stessi di restare impuniti, presi dal desiderio della penitenza, certamente si rallegreranno nel tempo di Quaresima (ed in certi altri giorni, quando la Santa Madre Chiesa ordina ai fedeli il digiuno) che sia offerta loro l’occasione di produrre frutti degni di penitenza. Poiché è sempre opportuno tenere domata la concupiscenza (è scritto infatti: “Non andare al seguito della concupiscenza, e allontanati da essa“), facilmente indurranno il loro animo, specialmente durante il tempo più sacro di tutto l’anno, a temperare l’intemperanza del corpo col digiuno; di modo che l’anima, ripresa conoscenza di se stessa, comprenda con quale compunzione si debba preparare a ricordare i Santissimi Misteri della Passione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Pertanto, sospinti dagli stimoli della penitenza, cerchino di meno le soavità nei pasti, seguano di meno le delizie delle ghiottonerie che, benché non sembrino discordare con l’astinenza dai cibi proibiti, tuttavia potrai dire giustamente che colui che le pone sulla sua mensa non tanto ha allontanato le solite dolcezze, quanto ha trasferito la sua cupidigia verso inusitate attrattive, o quanto meno, infine, cerca motivi di scampo con i quali sottrarsi al Digiuno, oppure si appresta ad infrangere la legge Ecclesiastica.

4. – È dunque compito vostro, Venerabili Fratelli, precedendo i fedeli con l’esempio egualmente che con la parola, infondere nel loro animo tanto zelo e amore di penitenza in modo che, affrontando decisamente il Digiuno, lo osservino secondo le leggi prescritte dalla Chiesa Cattolica e lo santifichino anche con elemosine e con la preghiera; tenendo presente soprattutto ciò a cui guarda la Chiesa, possano infine ottenere che, mortificati nel corpo e consepolti con Cristo, chiamati alla nuova vita del nuovo uomo nella solennità di Pasqua, con grande fiducia possano andare incontro a Cristo Signore risorto. La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con voi tutti, ai quali con grande affetto impartiamo l’Apostolica Benedizione, pegno della nostra benevolenza e carità verso di voi.

Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 20 dicembre 1759, nell’anno secondo del Nostro Pontificato.

DOMENICA DI QUINQUAGESIMA

Introitus Ps XXX: 3-4

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Ps XXX:2

In te, Dómine, sperávi, non confúndar in ætérnum: in justítia tua líbera me et éripe me. – [In Te, o Signore, ho sperato, ch’io non resti confuso in eterno: nella tua giustizia líberami e sàlvami.]

  1. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.
  2. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Esto mihi in Deum protectórem, et in locum refúgii, ut salvum me fácias: quóniam firmaméntum meum et refúgium meum es tu: et propter nomen tuum dux mihi eris, et enútries me. – [Sii mio protettore, o Dio, e mio luogo di rifugio per salvarmi: poiché tu sei la mia fortezza e il mio riparo: per il tuo nome guídami e assistimi.]

Orémus. Preces nostras, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: atque, a peccatórum vínculis absolútos, ab omni nos adversitáte custódi. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le nostre preghiere: e liberati dai ceppi del peccato, preservaci da ogni avversità.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.

1 Cor XIII:1-13

Fratres: Si linguis hóminum loquar et Angelórum, caritátem autem non hábeam, factus sum velut æs sonans aut cýmbalum tínniens. Et si habúero prophétiam, et nóverim mystéria ómnia et omnem sciéntiam: et si habúero omnem fidem, ita ut montes tránsferam, caritátem autem non habúero, nihil sum. Et si distribúero in cibos páuperum omnes facultátes meas, et si tradídero corpus meum, ita ut árdeam, caritátem autem non habuero, nihil mihi prodest. Cáritas patiens est, benígna est: cáritas non æmulátur, non agit pérperam, non inflátur, non est ambitiósa, non quærit quæ sua sunt, non irritátur, non cógitat malum, non gaudet super iniquitáte, congáudet autem veritáti: ómnia suffert, ómnia credit, ómnia sperat, ómnia sústinet. Cáritas numquam éxcidit: sive prophétiæ evacuabúntur, sive linguæ cessábunt, sive sciéntia destruétur. Ex parte enim cognóscimus, et ex parte prophetámus. Cum autem vénerit quod perféctum est, evacuábitur quod ex parte est. Cum essem párvulus, loquébar ut párvulus, sapiébam ut párvulus, cogitábam ut párvulus. Quando autem factus sum vir, evacuávi quæ erant párvuli. Vidémus nunc per spéculum in ænígmate: tunc autem fácie ad fáciem. Nunc cognósco ex parte: tunc autem cognóscam, sicut et cógnitus sum. Nunc autem manent fides, spes, cáritas, tria hæc: major autem horum est cáritas.” –

[Fratelli: Quand’io parlassi le lingue degli uomini e degli àngeli, se non ho la carità sono come un bronzo risonante o un cémbalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri e ogni scienza, e se avessi tutta la fede così da spostare le montagne: se non ho la carità sono un niente. E quando distribuissi in nutrimento per i poveri tutti i miei possessi e sacrificassi il mio corpo per essere bruciato: se non ho la carità nulla mi giova. La carità è paziente, è benigna. La carità non è astiosa, non è insolente, non è tronfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non si muove ad ira, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità: tutto soffre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. La carità non viene mai meno: mentre invece le profezie passeranno, le lingue cesseranno e la scienza sarà abolita. Adesso conosciamo imperfettamente e profetiamo imperfettamente. Quando verrà ciò che è perfetto, verrà rimosso ciò che è imperfetto. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, avevo gusti da bambino, pensavo da bambino. Divenuto uomo, ho smesso le cose che erano dei bambini. Adesso vediamo come in uno specchio, per enigma: allora poi faccia a faccia. Ora conosco in parte: allora conoscerò come sono conosciuto. Per ora restano queste tre cose: la fede, la speranza e la carità, ma la più grande è la carità.]

 Graduale : Ps LXXVI:15; LXXVI:16

Tu es Deus qui facis mirabília solus: notam fecísti in géntibus virtútem tuam. . [Tu sei Dio, il solo che operi meraviglie: hai fatto conoscere tra le genti la tua potenza.]

Liberásti in bráchio tuo pópulum tuum, fílios Israel et Joseph

[Liberasti con la tua forza il tuo popolo, i figli di Israele e di Giuseppe.]

Tratto: Ps XCIX:1-2

Jubiláte Deo, omnis terra: servíte Dómino in lætítia, V. Intráte in conspéctu ejus in exsultatióne: scitóte, quod Dóminus ipse est Deus. V. Ipse fecit nos, et non ipsi nos: nos autem pópulus ejus, et oves páscuæ ejus.

[Acclama a Dio, o terra tutta: servite il Signore in letizia. V. Entrate alla sua presenza con esultanza: sappiate che il Signore è Dio. V. Egli stesso ci ha fatti, e non noi stessi: noi siamo il suo popolo e il suo gregge.]

Evangelium

Luc XVIII:31-43

In illo témpore: Assúmpsit Jesus duódecim, et ait illis: Ecce, ascéndimus Jerosólymam, et consummabúntur ómnia, quæ scripta sunt per Prophétas de Fílio hominis. Tradátur enim Géntibus, et illudétur, et flagellábitur, et conspuétur: et postquam flagelláverint, occídent eum, et tértia die resúrget. Et ipsi nihil horum intellexérunt, et erat verbum istud abscónditum ab eis, et non intellegébant quæ dicebántur. Factum est autem, cum appropinquáret Jéricho, cæcus quidam sedébat secus viam, mendícans. Et cum audíret turbam prætereúntem, interrogábat, quid hoc esset. Dixérunt autem ei, quod Jesus Nazarénus transíret. Et clamávit, dicens: Jesu, fili David, miserére mei. Et qui præíbant, increpábant eum, ut tacéret. Ipse vero multo magis clamábat: Fili David, miserére mei. Stans autem Jesus, jussit illum addúci ad se. Et cum appropinquásset, interrogávit illum, dicens: Quid tibi vis fáciam? At ille dixit: Dómine, ut vídeam. Et Jesus dixit illi: Réspice, fides tua te salvum fecit. Et conféstim vidit, et sequebátur illum, magníficans Deum. Et omnis plebs ut vidit, dedit laudem Deo. –

[In quel tempo: Gesù prese a parte i dodici e disse loro: Ecco, andiamo a Gerusalemme, e si adempirà tutto quello che è stato scritto dai profeti sul Figlio dell’uomo. Poiché sarà dato nelle mani della gente e sarà scernito, flagellato e sputato: e dopo che l’avranno flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà. Ed essi non compresero nulla di tutto questo, un tal parlare era oscuro per essi e non comprendevano quel che diceva. E avvenne che, avvicinandosi a Gerico, un cieco se ne stava sulla strada mendicando. E udendo la folla che passava, domandava cosa accadesse. Gli dissero che passava Gesù Nazareno. E quegli gridò e disse: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E quelli che andavano avanti lo sgridavano perché tacesse. Ma egli gridava sempre più: Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me. E Gesù, fermatosi, ordinò che glielo conducessero. Quando gli fu vicino, lo interrogò dicendo: Cosa vuoi che ti faccia? E quegli disse: Signore, che io vegga. E Gesù gli disse: Vedi, la tua fede ti ha salvato. E subito vide, e lo seguiva: magnificando Dio. E tutto il popolo, vedendo ciò, rese lode a Dio.]

Omelia

della DOMENICA di QUINQUAGESIMA

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca, XVIII, 31-43)

Contro il Carnevale.

 Lungo la via di Gerico sedeva un povero cieco, mendicando dai passeggeri qualche soccorso. Si avvenne a passar di colà il divin Redentore, seguito da numeroso popolo. Il cieco ne udì il calpestìo, e interrogò che cosa fosse, gli fu riposto, essere Gesù Nazzareno che di là passava, “Gesù figliuol di Davide, esclamò tosto il mendico, abbiate pietà di me”! Taci, lo sgridavano i primi del seguito, taci, che tanto gridare? “Gesù, a voce più alta gridò il cieco, Gesù figliuol di Davide, abbiate di me pietà”. Si fermò il benigno Signore, e fattolo condurre a sé innanzi, “che vuoi, gli disse, che chiedi da me?” – “O Signore, rispose, e che può desiderare, e che può chiedere un misero cieco par mio, se non la vista?” –  “Domine ut videam” : “sia fatto, ripigliò Gesù, secondo la tua domanda e la tua fede.” – Aprì gli occhi alla luce in quell’istante il non più cieco mendìco, e saltellando per gioia si accompagnò col Salvatore, e ne esultò tutto il popolo dando gloria a Dio. Chi fosse questo cieco l’Evangelista non lo dice, entri qui il magno Gregorio (Hom. 2 in Evang.), ma è una figura assai esprimente la cecità dell’umano genere, del cieco mondo, che prima della venuta del divino Verbo era avvolto nelle tenebre del peccato, e nelle caligini della idolatria. Volesse Iddio che da questa cecità non fossero colpiti anche al presente, tanti fra i cristiani! E qual maggior cecità in questi giorni di licenze carnevalesche che darsi in preda alle follie del paganesimo? E nol dite voi stessi che il carnevale fa l’uomo cieco e matto? Se dunque, da quei saggi che siete confessate così, posso sperare da voi una grazia, che son per domandarvi. Voi siete assidui ad ascoltar la divina parola, voi con devota frequenza assistete alle sacre funzioni, lasciate che i ciechi facciano da ciechi e i matti da matti, e voi fate da savi e buoni cristiani. Astenetevi dal concorrere, e dal vedere le vane pazzie, le scandalose sciocchezze del mondo insensato. Datevi in questo tempo dannoso per le anime ed oltraggioso per Dio, a servirLo con maggior impegno, accorrete a quelle Chiese ove è esposto all’adorazione dei fedeli, santificate questi giorni profanati dai ciechi mondani. Quest’è la grazia che io vi domando, anzi ve la domanda Gesù medesimo per bocca mia, come udirete in tutto il corso della presente spiegazione. – “Miei figli, ( è Gesù che parla, come già vi accennai, per organo del suo sebben indegno ministro), miei figli, anime redente col sangue mio, date ascolto alle parole che escono più dal mio cuore che dal mio labbro, “venite filii, audite me” (Ps. XXXIII, 12) . Una gran parte dei vostri fratelli e figli miei, innalzati da me col carattere del santo Battesimo ad esser meco coeredi del celeste regno, e nutriti alla mia mensa colle mie carni e col mio sangue, ingrati ai miei benefizi in tutt’i tempi, e massime in questo di carnevale, son giunti a disprezzarmi con una specie di autenticità basata sul depravato costume dei ciechi idolatri e dei più ciechi cristiani. “Filios enutrivi et exaltavi: ipsi autem spreverunt me” (Is. I, 2). E non è un disprezzo di me e della mia legge, l’immodesta libertà autorizzata dal ballo, l’inverecondia delle saltatrici, lo scandalo delle nudità? E non è un disprezzo di me, e del mio Vangelo, così contrario al mondo, il darsi in preda ai disordini e alle scostumatezze dal mondo? Così è, si sono dimenticati i cristiani miei seguaci, ch’Io sono il fonte d’acqua viva, che sola può spegnere le arsure dell’uman cuore, e si son lusingati di trovar refrigerio alla loro sete col ricorrere alle rotte e fangose cisterne dei sensuali piaceri; mi hanno perciò voltate le spalle, e villanamente abbandonato. “Me dereliquerunt fontem aquæ vivæ, et foderunt sibi cisternas dissipata, quæ continere non valent aquas” (Gerem. XI, 13). E voi miei cari che mi ascoltate, volete ancor voi abbandonarmi? “Numquid et vos vultis abire?” (Joan.VI, 68). Così già dissi ai miei Apostoli in un tempo, che altri del mio seguito e della mia udienza si partirono da me. E bene, dissi a loro dodici, eccomi ridotto a voi soli, tutti gli altri si sono allontanati, sareste mai ancor voi tentati a seguir l’esempio malvagio e lasciarmi qui solo? “Numquid et vos vultis abire?”– Dico altrettanto a voi. Tutti corrono dietro al gran mondo, som piene di gente le sale di ballo, e le mie Chiese deserte: gli stravaganti sollazzi disonorano la mia religione, le mode scandalose, i tratti indecenti corrompono il buon costume, le danze licenziose, alle quali presiede il demonio, le oscene parole, i motti allusivi, i sospiri amorosi rubano al mio costato tante anime incaute. Volete ancor voi, uditori figliuoli miei, unirvi ai miei nemici, ed essere complici o spettatori dei trionfi di Satanasso, sprezzare le mie parole?Num quid et vos vultis abire? Avrà più forza sul vostro cuore una vana allegrezza che la compassione delle mie offese? Via, se non vi muovono gli oltraggi gravissimi, che mi son fatti dai seguaci di Venere, dai deliranti per le baccanali follie, vi muova almeno il vostro bene, e l’amor di voi stessi. Qual vantaggio avete voi riportato dai balli, dai festini dei carnevali trascorsi? Quante volte la vostra stolta allegria si è convertita in tristezza, e il gaudio in lutto? L’amor non corrisposto vi ha portato doglia e rancore, il corrisposto confusione e rimorso. La gelosia vi ha fatto struggere, l’invidia marcire: le risse, le rivalità vi han tolto il sonno dagli occhi e la pace dal cuore, le crapule, le pompe, le dissolutezze vi hanno resi poveri, infermi, avviliti. S’è rinnovata in voi la dolorosa catastrofe del figliuol prodigo. Giovane sconsigliato! Lo tradì l’amor di libertà; l’amor delle donne fu quell’assassino, che lo spogliò di tutte le sue sostanze, e mezzo ignudo lo ridusse, per non morir di fame, a farsi mandriano d’immondi animali. – Ma quel che immensamente più importa, ditemi, anime mie care, volete salvarvi? Mi rispondete di sì. Ma se volete salvarvi, fuggite l’occasione di perdervi. Imitate Àbramo mio servo fedele. Era egli nella Caldea in mezzo a un popolo idolatra, le pagane superstizioni non macchiarono mai la sua fede nel vero Dio; stava però in mezzo ai pericoli. Per sottrarlo da questi bastò un mio comando, e con tutta prontezza e generosità abbandonò la casa, la patria, i congiunti, ed Io lo colmai di ogni terrena e celeste benedizione, e del suo nome mi fregiai la fronte, chiamandomi il Dio di Abramo, ed esso padre di tutti i credenti. Che sono le allegria del carnevale? Feste profane son queste istituite dagli idolatri in onore dei loro falsi Dei: fa orrore il solo leggerle nella storia del Paganesimo. – Sembra impossibile che l’uomo fornito di ragione sia giunto ad eccessi che degradano l’umana natura nella foggia più obbrobriosa. Non soffre il pudore che si rammentino le sozzure delle baccanti ubriache, le prostituzioni nel culto dato a Venere, e mille altre vergognosissime nefandezze. Or voi, miei fedeli, nati nel grembo della mia Chiesa, insigniti del carattere cristiano, illuminati dal mio Vangelo, avrete animo d’imitare senza rossore, di seguire senza rimorso i rei costumi, i deliri, le pazzie, le abominazioni della cieca gentilità, della riprovata idolatria? Deh! come Abramo, ubbidite alla mia voce, allontanatevi da quei pericoli, uscite da quei lacci, fuggite da quegli scandali, e discenderanno su di voi, come sopra Abramo, le più desiderabili mie benedizioni. – I miei eletti si sono sempre distinti cosi. Tobia ancor giovane, mentre nella prevaricazione del suo popolo i sedotti suoi fratelli n’andavano agli idoli d’oro, innalzati dalla scellerata politica dell’empio Geroboamo, egli tutto solo si incamminava al tempio in Gerusalemme ad adorare il Dio dei padri suoi, e il Dio dei suoi padri fu il suo protettore in terra, ed il suo premio in cielo. – Che dirò di quei generosi Ebrei ai tempi d’Antioco? Quest’empio conquistatore e crudelissimo tiranno ordinò che nella soggiogata Gerusalemme si celebrassero solennemente le feste Baccanali. Minacciati di morte erano costretti quegli infelici, coronati di edera, andar in giro saltando ad onore di Bacco, “cogebantur hedera coranati Lìbero circuire” (2 Macch. VI, 7). Ma parte di essi fuggirono sui monti, e parte elessero d’essere barbaramente trucidati, pria che contaminarsi con quei riti profani, e pieni di fede e di coraggio s’animavano a vicenda ad andar generosamente incontro alla morte dicendo che Iddio, da tanti abbandonato, si consolerebbe nella fedeltà dei servi suoi, “in servis suis consolabitur Deus” (Ibid.). Le feste profane del carnevale, già vel dissi hanno l’origine dall’idolatria. Questo è il tempo che distingue i veri cristiani da quelli che seguono i costumi degl’idolatri. Se vi fosse minacciata la morte, come a quei valorosi Giudei, vorrei in qualche modo scusare la vostra debolezza, ma qui non v’è da vincere che un misero allettamento, per conseguire un gran merito. E voi mi negherete questa consolazione? Avrà più forza in voi la concupiscenza, che la mia fede? Più l’amor sensuale, che l’amor mio? Più la danza, che l’anima? Se perdeste l’anima per l’acquisto di tutti i regni del mondo, sarebbe sempre una perdita incalcolabile. Perduta l’anima, tutto è perduto. Or che sarà se si perda per tali trastulli da pazzi? Aprite gli occhi, e fate senno, miei cari. Dopo esservi stancati giorno e notte nei balli, aprite, e mirate il concavo delle vostre mani, che vi resta? Un bel nulla. Vi restano invece tedi, malinconie e rimorsi. E quando anche vogliate affettare allegrezza, Io, che vedo l’interno vostro so e vi dico che non siete contenti: e siatelo per un istante, l’estremo dell’allegrezza finisce in lutto, e il riso del mondo va a terminare in un eterno pianto. “Extrema gaudii luctus occupat” (Prov. XIV, 13). Così avvenne a quegli stolti Ebrei nel deserto che festeggiarono il Vitello d’oro ad imitazione degli Egizi pagani, e la loro letizia andò a finire colla strage di ventitré mila di loro, che in poco d’ora coprirono il campo dei loro cadaveri, l’inondarono del proprio sangue, e l’anime piombarono a popolar l’inferno. Qualora poi, dilettissimi miei, non vi muovesse né l’amor mio, né il vostro vantaggio, né il vostro pericolo, mirate a qual passo discende l’amor di giovarvi. Questi giorni d’allegria pel mondo son giorni di mestizia per me; e perciò nella mia afflizione cerco da voi un qualche sollievo, come già lo cercai dai miei discepoli nell’orto delle mie agonie. Se non lo trovo fra voi, da chi potrò sperarlo? Quest’è l’ora vostra o amatori del mondo. Già me l’aspettava, “improperium expectavit cor meum et miseriam” (Ps. LXVIII, 21). – Che amarezza per l’animo mio, se dovessi soggiungere colle parole del mio Profeta, ho cercato fra quei che m’ascoltano un cuore, che meco senta doglia dei miei affanni, o almeno per compassion mi consoli, e son costretto a dire che non lo trovai. “Et sustinui, qui simul contristaretur et non fiat, et qui consolaretur, et non inveni”. La Chiesa mia sposa dolente assegna in questa domenica il tratto di quell’Evangelio, in cui predissi ai miei Apostoli gl’insulti, i flagelli, la morte ch’Io era per soffrire in Gerosolima dai miei nazionali e dai soldati gentili. Ed ora non dai miei nemici, ma dai miei figli mi si rinnovano barbaramente l’ingiurie stesse. Fui da Erode vestito da pazzo, fui dai soldati mascherato da re di burla con uno straccio di porpora sulle spalle, con scettro di canna, con corona di spine, con benda agli occhi, con finte adorazioni. – E non fanno altrettanto al presente i miei seguaci colle maschere, colle vesti scandalose, colle danze impudiche, colle adorazioni agl’idoli di carne, con  l’esultar pazzamente in ogni genere di scostumatezza? Se dai miei nemici fossi trattato così, nel soffrirei in pace, “si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique(Ps. LIV); ma i miei cristiani, ma i figli miei, redenti col mio sangue, nutriti alla mia mensa, eredi del mio regno, ah quale acerba ferita all’afflitto mio cuore! – Orsù conchiudiamo. Voi, che qui radunati m’ascoltaste finora, volete in questi giorni seguir la folla del gran mondo, di quel mondo per cui mi son protestato di non pregare, e volete abbandonarmi? Andate pure, un giorno mi cercherete. La scena si cambierà ben presto. A rivederci all’ora di vostra morte, che potrebbe suonare in questi stessi giorni. Gente senza consiglio, dirò allora, mi avete provocato a sdegno colle vane vostre follìe : “Ipsi me irritaverunt in vanitatibus suis” (Deuter. XXXII, 21), ed Io come gente colpevolmente stolta vi abbandonerò al mio giusto furore ; “et ego in genie stulta irritabo illos”. Orsù venga a conforto del vostro spirito agonizzante la memoria degli allegri balli e delle danze festose. Fatevi porgere quella maschera che usaste al festino e copritevi il volto, se vi fa confusione l’immagine di me crocifisso, che vi presenta il sacerdote assistente. Anch’io nasconderò la mia faccia, e vi lascerò senza soccorso sul limitare della morte e dell’inferno: “Abscondam faciem meam ab eis, et considerabo novìssima eorum” (ibid.). Anime mie carissime, non m’obbligate a compiere le mie minacce, che partono da un cuore che v’ama, che v’avvisa per non ferirvi, che vi spaventa per consolarvi. Venite a me, volgete le spalle a Belial, e vi riguarderò come miei fidi seguaci, come miei figli diletti nel tempo e nell’eternità.

Credo

Offertorium

Orémus Ps CXVIII: 12-13

Benedíctus es, Dómine, doce me justificatiónes tuas: in lábiis meis pronuntiávi ómnia judícia oris tui. [Benedetto sei Tu, o Signore, insegnami i tuoi comandamenti: le mie labbra pronunciarono tutti i decreti della tua bocca.]

Secreta

Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [O Signore, Te ne preghiamo, quest’ostia ci purifichi dai nostri peccati: e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Ps LXXVII:29-30

Manducavérunt, et saturári sunt nimis, et desidérium eórum áttulit eis Dóminus: non sunt fraudáti a desidério suo. [Mangiarono e si saziarono, e il Signore appagò i loro desiderii: non furono delusi nelle loro speranze.]

Postcommunio

Orémus. Quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui coeléstia aliménta percépimus, per hæc contra ómnia adversa muniámur. Per eundem … [Ti preghiamo, o Dio onnipotente, affinché, ricevuti i celesti alimenti, siamo muniti da questi contro ogni avversità.]

I KAZARI: dominatori del mondo

I kazari

Conosco la tua tribolazione, la tua povertà – tuttavia sei ricco – e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana.” [Apoc. II, 9]

Questo versetto è veramente magnifico e inquadra perfettamente la situazione attuale della Chiesa Cattolica. Ma chi sono questi giudei dell’Apocalisse, citati nella lettera all’Angelo della chiesa di Smirne, che si pretendono giudei senza esserlo? Essi non lo sono né per fede, avendo ripudiato la legge di Mosè per preferire il talmud, né per sangue non essendo originari della Giudea, bensì dell’Asia centrale, dell’Europa centrale e dell’est, e più precisamente provenienti dalla Turchia e della Mongolia. Si tratta innegabilmente del popolo kazharo (in turco significa “errante”). Secondo gli storici ufficiali Benjamin H. Freedmann ed Arthur Koestler, il reame dei kazhari dominò il mondo come nazione, dopo la Russia dal VII al X secolo. Anche prima della venuta di Cristo sulla terra, i kazhari avevano già invaso l’Europa orientale. Questi guerrieri furono inizialmente dei pagani che si allearono a Bisanzio (l’Impero Romano d’Oriente) contro i persiani ed i musulmani. Poi il loro re Bulan dovette scegliere tra le tre religioni monoteiste. Il cristianesimo, l’islam, ed il talmudismo. Il re di questi pretesi giudei optò per il terzo, cosa che diede diritto al suo popolo di proseguire la sua dominazione attraverso l’usura, essendo all’epoca il talmudismo ciò che si chiama oggi il giudaismo talmudico. Nel suo libro “Due secoli insieme”, il russo Alexandre Soljenitse da una spiegazione politica a questa conversione determinante. “I capi etnici dei turco-kazari idolatri di questa epoca non volevano né l’islam, per non sottomettersi al califfo di Bagdad, né il Cristianesimo per evitare la tutela di Bisanzio. Così quasi 722 tribù adottarono la religione giudaica.” Qualunque sia il motivo, politico o economico, questa conversione al giudaismo doveva condurre alla loro egemonia. Questa falsa religione deve molto a questo popolo. Perché ci si chiede, senza i kazari, sarebbe mai sussistito il giudaismo talmudico? L’interrogativo resta aperto. – Il re Butan si convertì dunque nell’anno 740. Questa conversione cambiò le cose, altre seguirono massivamente: oramai solo un giudeo poteva accedere al trono perché l’autorità religiosa era il talmud. I rabbini si incaricarono poi di imporlo alle popolazioni. – L’apogeo della dominazione kazhara fu a metà del IX secolo. Il loro reame aveva allora esteso largamente il suo territorio, dall’Europa dell’est all’Europa centrale, su circa 15,3 milioni di chilometri quadrati. I kazhari, questi askhenaziti dell’Europa orientale, non sono quindi semiti, bensì ariani. Essi parlano l’yddish, una lingua che ha preso un gran numero di parole dal tedesco, e che nulla a che a vedere, nemmeno una parola, con l’ebraico antico o biblico di cui ha ereditato solo i caratteri esdraici quadratici. I kazhari furono in seguito cacciati dalla Russia come spesso è loro accaduto nel corso della storia. La capitale dell’Ucraina, Kief, era stata creata da loro ed in loro onore nel 640. Certi autori, tra i quali pure il Freedman, pensano, legittimamente, che la rivoluzione bolscevica sia stata una rivincita del kazari sul popolo russo. I fatti danno credito a questo punto di vista, poiché si sa bene che gli autori maggiori della sovversione in Russia erano tutti giudei askhenaziti, cioè falsi giudei. Ora il 90 % degli askhenaziti sono di discendenza kazhara, secondo Benjamin H. Freedman, Arthur Koestler e John Beaty. Il legame tra questo popolo e l’oligarchia mondialista è stretto, perché i due non fanno che una sola cosa. Osserviamo ciò che analizzava a suo tempo il giornalista Paul Copin-Albancelli sugli uomini che dirigono la franco-massoneria: “… va da sé che un’opera come quella che abbiamo studiato, [la realizzazione della piramide massonica] non potrebbe essere quella di un unico uomo, né quella di alcuni uomini estranei tra loro che si sarebbero incontrati. La sua continuità, più ancora che la sua immensità, rivela questa permanenza di sforzi della quale sono capaci solo le razze che rendono indistruttibili la loro fedeltà alla fede degli avi. Il potere occulto è dunque costituito dai rappresentanti di una razza e di una religione”. Questa razza è appunto la razza giudeo-askhenazita kazhara e questa religione è il giudaismo talmudico. Pertanto, ciò che si chiama comunemente l’impero, trasse le sue origini da questo popolo sanguinario, da questi askhenaziti di discendenza kazhara che sono globalmente dei rifugiati dell’Europa dell’est. Quindi ai giorni nostri, si è avverato che la stragrande maggioranza dei giudei askenaziti discendenti dal popolo kazaro e l’alta finanza dei Rothschild, Warburg, Soros, Lazard … proviene in pratica tutta da questa razza, che nulla ha a che vedere con la Giudea e con gli Ebrei.

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. V-VIII]

Mons. G. De Sègur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CHE SI FANNO PIU’ FREQUENTEMENTE CONTRO LA RELIGIONE -2-

V.

LA RELIGIONE È BUONA PER LE DONNE.

  1. R. E perché dunque non per gli uomini? O essa è vera o è falsa. Se è vera, è anche vera (e perciò anche buona) per gli uomini come per le donne. Se essa è falsa non è migliore per le donne che per gli uomini; perché la menzogna è buona per nessuno. Sì certo « la religione è buona per le donne » ma anche ed assolutamente per le stesse ragioni è buona per gli uomini. – Come le donne, gli uomini hanno delle passioni sovente molto violente a combattere; e come le donne, gli uomini non le possono vincere senza il timore e l’amore di Dio, senza i mezzi potenti, che la religione sola lor dona. – Per gli nomini come per le donne, la vita è piena di doveri difficili e penosi: doveri verso Dio, doveri verso la società, doveri verso la famiglia, doveri verso se – Per gli uomini, come per le donne vi ha un Dio da adorare e da servire, un’anima immortale da salvare, dei vizi ad evitare, delle virtù a praticare, un paradiso a guadagnare, un inferno a schivare, un giudizio a temere, una morte sempre minacciosa a cui è d’uopo prepararsi. – Per gli uni come per le altre Gesù Cristo è morto sulla croce, e i suoi comandamenti riguardano tutti. La Religione dunque è cosi buona per gli uomini come per le donne; e se vi ha una differenza, si è ch’essa è ancora più necessaria agli uomini, che alle donne, specialmente agli uomini giovani. Essi sono infatti esposti a maggiori pericoli; essi possono fare il male più facilmente, e sono più circondati da cattivi esempi, principalmente in ciò, che riguarda i cattivi costumi, l’intemperanza, e la negligenza dei doveri religiosi. Essi hanno dunque ancora più bisogno di preservativo, perché il male che li minaccia è più grave, e più imminente.

VI.

BASTA ESSERE ONEST’UOMO; CIÒ È LA MIGLIOR RELIGIONE:

CIÒ BASTA.

R. Sì per non essere mandato alle forche; ma non per andare al cielo. — Sì, avanti agli uomini; no avanti Dio, il Giudice Supremo. « 1.° Basta essere onest’uomo?» Dite voi. — Sia; ma intendiamoci. Chi chiamate voi onest’uomo? Ecco una parola, che mi sembra molto elastica, molto comoda, e che si presta a tutti i gusti. Domandate infatti a questo giovane di costumi sregolati, se colla condotta più che leggiera che tiene, si può essere onest’uomo?— « Ah, qual domanda! » vi risponderà; Delle follie di gioventù non impediscono per nulla d’essere un onest’uomo. Ho certamente la pretensione d’esserlo: o vorrei vedere che qualcuno venga a contestarmi questo bel titolo! » – Domandate in seguito a questo avido negoziante che apparecchia le sue stoffe di qualità inferiore, e le vende quasi fossero di prima qualità; a quell’operaio che lavora la metà di meno, quando si paga a giornata, che quando è pagato a fattura; a quel padrone, che abusa della miseria dei tempi per carpire ai suoi operai il riposo necessario della Domenica. Domandate loro, se ciò che fanno l’impedisca d’essere persone oneste? e ciascun d’essi non esiterà a rispondervi, ch’egli è un onest’uomo, e che queste taccherelle, queste destrezze, non fanno alla bisogna. -Domandate altresì a quel dissipatore, se la sua prodigalità; a quel vecchio, se la -sordida sua avarizia; a quell’abituato all’osteria, se l’ubriachezza distruggano la loro onestà? E ciascuno domanderà scusa per la sua passione favorita nel tempo stesso che si proclamerà onesto anzi onestissimo uomo! – Così per confessione delle stesse persone oneste di cui qui si parla, un uomo sfrenato, ingannatore, dato all’ubriachezza, avaro, usuraio, prodigo e libertino, può essere un onest’uomo, e nessuno può negargli questo titolo a condizione che non abbia rubato o assassinato!! – Non trovate voi forse questa morale molto comoda? Chiunque non ha questione a sbrigare avanti tribunali criminali, avrà a rendere nessun conto a Dio. — Perciò non più al cuore, ma alle spalle ormai abbisognerà guardare per giudicare le persone; e chi non avrà il L. F. o il L. P. [ L. F. Lavori forzati; L. P. Lavori forzati perpetui] sarà riputato buono per il cielo! Quale religione è la religione dell’onest’uomo!—e voi dite che quella è la vostra religione? Che è la migliore delle religioni? Una religione che permette tutto fuori del furto e dell’assassinio!! Ma voi non ci pensate? È una perversione, una abominevole dottrina e non una religione. – 2.° « Ma, dite voi, intendo allora per uomo onesto, più di quello che s’intende comunemente. Chiamo onesto uomo quello che adempie tutti i suoi doveri, che fa il bene e fugge il male. » – Ed io allora vi rispondo e sostengo appoggiato sull’esperienza, che se voi siete tal quale vi dite senza l’aiuto potente della religione, voi siete l’ottava meraviglia del mondo; ma vi ha cento a mettere contro uno che voi non lo siete punto. – Perché voi non mi farete credere, che non abbiate passioni ed inclinazioni sregolate; ogni uomo ne ha molte. — Se dunque voi siete proclive al libertinaggio, alla cupidigia, ai piaceri del senso, chi vi regolerà?— Se voi siete portato alla violenza o alla pigrizia, o all’orgoglio, chi dominerà queste passioni ? Chi arresterà il vostro braccio? Chi la vostra lingua? — Il timore di Dio? — Ma non se ne parla in questa religione dell’onest’uomo.— La voce della ragione? — Ma noi sappiamo che valga il ragionamento alle prese con una passione violenta. — Chi dunque? Io non vedo altra cosa che il timore della polizia, la forza brutale. Ma allora quale nobile religione!… ve ne faccio i miei complimenti. — Amo meglio la mia. – Sola la religione cristiana offre dei rimedi efficaci alle nostre passioni, e oppone un freno sufficiente alla loro veemenza. — A meno d’ammettere che un uomo è impeccabile, che egli è un angelo (ciò che non è) è necessario conchiudere che senza i potenti soccorsi che ci somministra il Cristianesimo noi non possiamo essere costantemente fedeli a tutti i grandi doveri, l’adempimento dei quali costituisce il vero onest’uomo. Senza il Cristianesimo noi non possiamo soprattutto adempierli con quella sincerità d’intenzione che ne forma tutta la bellezza morale. – I cristiani più virtuosi (tanto è grande questa debolezza umana da cui voi vi pretendete esente!) mancano essi stessi alle volte ai loro doveri, malgrado la forza sovrumana che attingono dalla fede. E voi privo di questo freno onnipotente, abbandonati le inclinazioni della natura, esposto a mille pericoli del mondo, pretenderete voi essere sempre fedele? – Io vi affermo con certezza, che colui, il quale non essendo cristiano, sì dice onest’uomo (nel senso che or ora abbiamo indicato) o fa a se stesso una grande illusione, oppure mente alla sua coscienza. – 3.° Ma io vado più lungi. Quand’anche vi vedessi adempiere perfettamente i vostri doveri di cittadino, di padre, di sposo, di figlio, d’amico, in una parola i doveri che fanno l’onest’uomo secondo il mondo, io vi direi ancora : « Ciò non basta ! ». No, ciò non basta. — E perché? — Perché vi ha un Dio, che regna nei cieli, che vi ha creato, che vi conserva, che vi chiama a sé, che v’impone una legge. — Perché voi avete verso questo gran Dio dei doveri di adorazione, di ringraziamento, di preghiera, così stretti, così necessari, e nello stesso tempo più essenziali, più imprescrittibili di quello che siano i nostri doveri in riguardo ai vostri simili. — Questi ultimi doveri potrebbero infatti cessare, se voi veniste ad essere separato dal rimanente degli uomini, mentre che in ogni luogo e sempre sussisteranno le vostre obbligazioni verso Dio; in ogni luogo, e sempre vi sarà per voi obbligo di credere in Lui, di amarLo, di adorarLo, di pregarLo. – Un ingrato può dire a se stesso: « Io son buono; non ho niente a rimproverarmi? » — No, certamente! — Or bene! voi siete un ingrato, voi, onest’uomo del mondo, che dimenticate Iddio! — Egli è vostro Padre; voi Gli dovete l’esistenza, la vita, l’intelligenza, la dignità morale, la sanità, i beni, tutto; Egli ha creato il mondo per voi, per vostra utilità, per vostro piacere. — Egli vi prepara nel cielo un’immensa felicità. — Egli è vostro Signore; vostro Padrone; Egli vi benedice, vi perdona, v’ama, v’aspetta! – E voi qual cosa gli rendete in cambio? Quale amore, qual rispetto, qual omaggio? Voi discutete freddamente i pretesti, ch’inventano i suoi nemici per sottrarvi al suo servizio! Voi forse non avete che sarcasmi, odio, disprezzo per tutto ciò che riguarda il suo culto! Voi non Lo pregate. Voi non L’adorate. Voi non Lo ringraziate. Voi vi beffate della fede alla sua parola, della pratica della sua legge! ! . . . Ingrato! E voi non avete niente a rimproverarvi? E voi adempite tutti i vostri doveri? – Credetemi, cessate di farvi quest’illusione! a che ingannar se stesso? a che dissimular i propri falli? Riconosciamo piuttosto, che il giogo della religione, cioè del dovere ci ha spaventati, e che si è per scaricarcene senza troppa impudenza, che noi abbiamo immaginato questa Religione dell’onest’uomo. – Non solamente essa non basta, ma a dir vero non è che una sonora ciancia, vuota di senso, destinata a coprire agli occhi del mondo, ed ai nostri propri, dei disordini, delle debolezze, di cui la pratica del Cristianesimo è il solo rimedio.

VII.

PER ME LA MIA RELIGIONE È DI FAR DEL BENE AGLI ALTRI.

R. Nulla di meglio, che amar gli altri, e fare loro del bene. È ciò altresì, che la Religione cristiana ci ordina con maggiore insistenza, essa giunge persino ad assomigliare questo dovere al grande, e fondamentale dovere d’amar Dio: « Tu amerai, essa ci dice, il Signore Dio tuo di tutto il tuo cuore; » questo è il primo comandamento. Ed ecco il secondo, che è simile al primo: « Amerai il tuo prossimo come te stesso. » Queste sono le parole di Gesù Cristo (Ev. di s. Matt. c. XXII); ma aggiunge qualche cosa a cui non ponete troppo mente: « In questi due comandamenti consiste tutta la legge ». Voi, la cui Religione a vostro dire, consiste solo nel far del bene agli altri, voi sopprimete uno dei due comandamenti, il principale, quello che ordinariamente fa nascere l’altro, che lo sviluppa, l’alimenta, fa ascendere sino all’eroismo, quello che l’innalza all’altezza di un dovere religioso Il comandamento dell’amor di Dio, e l’obbligo di servirlo. Bisogna avere queste due gambe per camminare, non è egli vero? Parimenti per compiere il nostro destino sulla terra, e arrivare al cielo abbisogna la pratica dei due grandi comandamenti: 1.° Tu amerai il tuo Dio, 2.° Amerai i tuoi fratelli come te stesso. Così il secondo esiste raramente colà dove il primo non regna; l’esperienza di diciannove secoli è là per attestarlo. I cristiani che appoggiano l’amore dei loro simili sopra l’amore di Dio sono i soli che amino veramente, efficacemente, puramente c – Quali sono stati i più grandi benefattori dell’umanità sofferente? I Santi, cioè, gli nomini accesi dell’amor di Dio. – Per contarne un solo tra tutti, osservate S. Vincenzo de’ Paoli, quest’eroe della carità fraterna, questo padre di tutti gl’infelici, che ancora adesso fa del bene in tutta la terra per mezzo delle opere benefiche che ha fondate! Chi era Vincenzo de Paoli? Un prete, un uomo di Chiesa! Dove attingeva egli questo sacrificio di sé per i suoi simili? Nell’amore di Dio, nella pratica della religione di Gesù Cristo. – Quali sono le instituzioni di beneficenza che prosperano di più? (per non dire che prosperano le sole). – Quali sono quelle che vivono, che si sviluppano, che sussistono attraverso dei secoli? Quelle che fonda la Chiesa; quelle che riposano su di un pensiero religioso; quelle che corona la croce di Gesù Cristo! Chi ha fondati gli ospìzi? La Chiesa! – Chi ha sovvenute in tutti i tempi, chi nei nostri giorni ancora, a dispetto degli ostacoli che ricchi governi le frappongono, sovviene tutte le miserie sia dell’anima, sia del corpo, sia dell’infanzia, sia dell’età virile, sia della vecchiezza ? La Chiesa. – Chi, per sollevare ciascuna di queste miserie, ha creato gli ordini religiosi degli uomini e delle donne, occupati gli uni per i piccoli ragazzi abbandonati, altri nell’educazione dei poveri, altri alla cura degli ammalati, questi alla cura dei pazzi, quelli alla redenzione degli schiavi, all’ospitalità dei viaggiatori ecc., ecc.? La Chiesa e la Chiesa sola! – È dessa che produce i più grandi benefici all’umanità, è dessa che, fa la suora di carità, come ella fa il missionario e il monaco di S. Bernardo! Sempre l’amor di Dio come fondamento il più solido dell’amor degli uomini! – Ai nostri tempi più che mai sì parla molto di umanità, di fraternità, d’amor dei poveri. Si fantasticano sistemi; le belle parole non costano niente: si fanno dei libri e dei discorsi. Perché tutto ciò ottiene cosi piccolo risultato? Perché la religione non vivifica i suoi sforzi. Un effetto non può sussistere senza la sua causa; la causa, il principio più fecondo della carità fraterna è la carità divina, o l’amor di Dio. – Diffidatevi dunque dei bei sistemi di fraternità, che fanno astrazione dalla Religione. Senza nostro Signor Gesù Cristo non vi ha amor degli uomini efficace, puro, solido e durevole.

VIII.

LA RELIGIONE INVECE DI PARLAR TANTO DELL’ ALTRA VITA, DOVREBBE PIUTTOSTO OCCUPARSI DI QUESTA, DISTRUGGERE LA MISERIA, E DARCI LA FELICITA’.

R. Sotto quest’irragionevole accusa è nascosta una delle più grandi questioni sempre del giorno, sempre accese, che riguardano a ciò che vi ha di più intimo in noi: la questione della felicità. – Voi cercate la felicità; voi volete esser felice. — Voi avete ragione. Dio nella sua paterna bontà non ha potuto crearvi che per rendervi felice. Cercate dunque la felicità …. ma guardatevi di non ingannarvi nella scelta de’ mezzi ! Molte sono le vie aperte avanti a voi: Una sola è la vera …. Infelice chi ne prende una falsa!… Quest’errore è più facile che mai ai nostri giorni; perché giammai, io penso, il nostro paese fu più inondato di dottrine menzognere su quest’argomento. —Uomini colpevoli, o sviati spandono da ogni parte e per le mille maniere che fornisce la stampa, dottrine che adescano tutte le passioni, penetrano facilmente nello spirito delle popolazioni. – Essi vogliono persuaderci, che non siamo sulla terra che per godere, che le speranze della vita futura sono chimere; che la felicità consiste nella prosperità materiale, nel denaro, e nei piaceri che procura il denaro. — Alcuni più audaci e più logici, aggiungono, che per procurarsi questo denaro e questi piaceri, tutti i mezzi sono buoni, e che quand’anche avesse a perire la società, la famiglia, la Religione, bisogna che tutto il mondo arrivi a questa perfetta felicità terrena. Lo stato attuale della società umana è vizioso, dicono essi; bisogna distruggere tutto, tutto cambiare; bisogna che la terra muti aspetto; allora tutto il mondo sarà felice. Questa dottrina voi non la conoscete che troppo. È il Comunismo (Si chiama ancora fourierismo, socialismo, sansimonismo ecc. La sostanza di questi sistemi è la stessa: quanto olla morale, essi non differiscano chi nei particolari poco essenziali d’applicazione. Pei dotti questa dottrina sì chiama Panteismo. La morale del Panteismo è la stessa che quella del Comunismo, è il Comunismo, che parla latino, ed abbigliato da Pedagogo e da Pedante.). – Io non vi farò l’ingiuria di provarvi, che questa felicità di piaceri avvilisce. Ciò salta agli occhi. Esso annulla ciò che ci distingue dalle bestie, il bene, la virtù, il sacrificio, l’ordine morale. L’uomo non differisce più dal suo cane che per la pelle, e la figura; la felicità è la stessa per l’uno come per l’altro, la soddisfazione delle sue inclinazioni, il piacere! – Ma ciò di cui non si è appieno convinti, e ciò sopra cui voglio richiamare la vostra attenzione, è l’impossibilità pratica della dottrina comunista, l’assurdità della sua felicità universale. – Vorrei farvi toccar con mano la sua opposizione assoluta con la natura delle cose, coi fatti esistenti che nessuno può cangiare; convincervi che ella non è che un sogno, una dannosa e ridicola utopia, e che sotto le grandi parole colle quali si presenta avvi un niente. – Se vi è un fatto accertato, cosi chiaro come il sole, è senza dubbio la triste necessità in cui noi siamo tutti quaggiù di soffrire e morire; è la condizione umana in ciò che le è essenziale sulla terra; è Io stato in cui io sono, in cui voi siete, in cui sono stati i nostri padri, in cui saranno i nostri figli, da cui nessuno umano sforzo ci può sottrarre. – Avvi, io domando, sulla terra e non vi saranno per sempre, sempre, sempre, malattie, pene, dolori? Vi sono e non vi saranno sempre vedove ed orfani? Madri piangenti inconsolabilmente davanti la culla vuota del loro bambino? Vi sono, e non vi saranno sempre conflitti di caratteri, opposizioni di volontà, inganni maligni? Nulla potrà cambiare questo stato di cose. Una nuova organizzazione della società qual ella siasi, impedirà essa che noi abbiamo delle malattie, dei dolori, delle flussioni al petto, la febbre, la gotta, il colerà? che noi perdiamo quelli che amiamo?… Impedirà essa le intemperie così spiacevoli delle stagioni, il rigore del freddo d’inverno, l’ardore bruciante del sole d’estate?.. Impedirà essa che l’uomo abbia dei vizi? ch’esso abbia orgoglio, egoismo, violenza, odio? Impedirà essa soprattutto di morire? Tutto ciò è vero, o non é vero? E non è parimente tanto certo ed indubitabile che ciò è, quanto è certo che ciò sarà sempre? Bisognerebbe aver perduta la testa per negarlo. – Cosa diventa, ditemi, in presenza di questo fatto, cosa diventa in mezzo di tanti mali inevitabili questo piacere costante, questa perfetta felicità terrena, che ci promette il Comunismo?—Il solo avvicinarsi d’una malattia, d’un dispiacere della morte basta per annientarlo!… e questi terribili nemici sono continuamente alla nostra porta. – Dunque il vostro Comunismo, il vostro Socialismo (chiamatelo come volete) è un sogno, una vana utopia contraria alla natura delle cose. Dunque egli s’inganna, o egli m’inganna, quando mi prometto la felicità sulla terra dove non vi può essere, e quando la fa consistere in uno stato impossibile di piaceri. – Dunque bisogna che la cerchi altrove, perché io so che in qualche parte si trova: la sapienza, la bontà, la potenza di Dio me ne sono certo pegno. Dove adunque? Là dove me la fa vedere il Cristianesimo, in germe sulla terra,,perfetta nel Cielo. – Il Cristianesimo si accorda perfettamente col gran fatto della nostra condizione mortale. Esso ci spiega il terribile problema del dolore e della morte. – Esso ci fa vedere la punizione del peccato. Esso ci mostra nelle pene inevitabili della vita delle afflizioni passeggere destinale, nei disegni del nostro Padre Celeste, a provare la nostra fedeltà, a purificarci dalle nostre mancanze, a renderci più simili al nostro Salvator Crocifisso, a farci meritare una più grande felicità nella Patria eterna! Esso ce le fa sopportare con pazienza, talvolta ancora con gioia, esso ci fa amare la mano paterna, che non ci percuote se non per salvarci. – Esso prende l’uomo tutto intero, e tale quale egli è; esso tiene conto dei fatti, che dimentica il Comunismo (il peccato originale, la condanna alla penitenza, la redenzione di Gesù Cristo, la necessità d’imitare il Salvatore per aver parte alla sua redenzione, la vita eterna, che ci aspetta, ecc.). Esso non ragiona in aria, come il Comunismo, e sopra supposizioni chimeriche. – Tutti gl’interessi dell’uomo gli sono presenti il suo corpo, la sua anima, la sua vita in questo mondo, la sua vita futura, esso non dimentica niente! – Il Comunismo non vede in noi che la scorza, esso dimentica il midollo, l’anima. — Il Cristianesimo non dimentica punto la scorza, il corpo, ma vede altresì il midollo, e trova che il midollo vale ancor più che la scorza. — Esso riferisce tutto all’anima, all’eternità, a Dio. – Per un’azione altrettanto dolce, che potente, esso purga a poco a poco l’anima del suo orgoglio, delle sue cupidigie, della sua concupiscenza, del suo egoismo, dei suoi eccessi, in una parola di tutti i suoi vizi; esso va ancora alla radice più profonda della maggior parte di questi mali che noi continuamente sentiamo. – Quasi sempre infatti, i nostri mali vengono dalle nostre passioni, e queste passioni il Cristianesimo le calma, le trattiene, le doma. – Esso dà al nostro cuore questa gioia e pace sì dolce che produce la purità della coscienza. – La fede ci mostra chiaramente la via che conduce alla felicità, e a quale felicitai! … La speranza e l’amore ci fan correre in questa via, e rendono dolce ed amabile il giogo del dovere. – Se il Cristianesimo fa tanto per l’anima, come abbiamo detto, non oblia il corpo. Esso lo venera come il tempio di questa anima immortale che é essa stessa il tempio vivente di Dio. Esso si studia incessantemente a sollevarla, a guarirla, e a prevenire anche tutti i dolori coi suoi caritatevoli istituti, i suoi ospizi, ecc. – Dovunque la sua voce è ascoltata, la miseria va scemando, il ricco diventa l’amico, il fratello, sovente il servo del povero. Esso versa il suo superfluo nel seno degli infelici; e la povertà se non può esser distrutta diventa almeno sopportabile (La povertà non può essere distrutta, perché le sue cause non possono essere tolte. La prima è l’ineguaglianza delle forze fisiche, della sanità, dell’ingegno, dell’intelligenza, dell’attività ecc. tra gli uomini. È egli possibile rendere tutti gli uomini eguali in forza, talento e buona volontà?… La seconda causa della miseria, non meno profonda che l’alita, sono i vizi della nostra povera natura corrotta dal peccato: la pigrizia, la dissolutezza l’ubriachczza, la prodigalità ecc. La miseria è una delle punizioni del peccato. È impossibile distruggerla ma è possibile scemarla, sollevarla, addolcirla, santificarla. Ciò fa la religione. I ricchi adunque divengano buoni cristiani e caritatevoli, ed i poveri buoni cristiani e pazienti. Qui sta tutto il mistero). – Il Cristianesimo s’occupa del corpo, non come di principale e di padrone (ciò sarebbe un disordine), ma come di accessorio e di compagno. Esso lo conserva colla sobrietà e castità ; lo santifica col culto esteriore, colla partecipazione dei sacramenti, e soprattutto per l’unione al corpo sacrato di Gesù Cristo nell’Eucaristia…. – Esso raccoglie i suoi ultimi sospiri; l’accompagna con onore sino all’ultima sua dimora; e là ancora non gli dice un eterno addio! … Esso sa che un giorno questo corpo cristiano, purificato dal Battesimo della morte, sorgerà raggiante dalla sua polvere, risusciterà nella gloria, sarà riunito alla sua anima, e gusterà con essa nel paradiso ineffabili delizie…. Tale è il Cristianesimo.- Esso conosce, promette, concede la felicità. Esso dà sulla terra ciò che è possibile. Se non concede tutto, si è perché tutto né deve né può essere concesso sulla terra. Esso appoggia le sue promesse con prove le più irrefragabili. Ciò che non ha ancora, il Cristiano sa, è sicuro che l’avrà un giorno. – Così ogni vero cristiano è felice. Egli ha dei dispiaceri, dei dolori… egli è impassibile il non averne, ma il suo cuore è sempre soddisfatto, sempre calmo e contento. – Il Comunismo tratta egli così i poveri sviati che egli incanta colle sue chimere? Esso promette ciò che nessuna potenza umana può dare; promette l’impossibile … Esso non ha altra prova che l’affermare audace dei suoi capi! E i suoi capi son essi atti ad inspirare confidenza? – Il mondo sarà felice, dicono essi, quando tutto vi sarà cambiato »—Sì; ma quando sarà tutto cambiato?—Se, come crediamo averlo provato, questo cambiamento è contrario alla natura delle cose, il mondo corre gran rischio di giammai conoscere la felicità. Il Comunismo fa come quel parrucchiere della Guascogna, che metteva sulla sua insegna: « Qui per nulla si rade alla dimane ». La dimane resta sempre la dimane, e l’oggi non arrivava mai. – Il comunista vuole la ricompensa senza il lavoro; il cristiano vuole la ricompensa dopo il lavoro. L’uno parla come il cattivo operaio, l’altro come il buono. Così ogni ozioso, ogni pigro accetta volentieri le dottrine del Comunismo , e respinge per istinto la voce della religione. – Si guardi la nostra patria dunque da queste promesse vuole, ma seducenti, di cui i suoi nemici riempiono i loro giornali, i romanzi, libelli; che essa li respinga, ch’essa col suo disprezzo giudichi uomini, che non arrossiscono di proporre ai loro fratelli la vile felicità delle bestie, il piacere. Solleviamo la testa! Rianimiamo l’addormentala nostra fede; siamo, ritorniamo cristiani. Colà solamente è il rimedio ai nostri mali, istruiamoci in questa religione cattolica, che ha creato la nostra Patria! Penetriamone il nostro spirito, il nostro cuore, le nostre abitudini, le nostre istituzioni, le nostre leggi!…. Noi avremo la felicità possibile in questo mondo, e la felicità perfetta nell’altro mondo. Chi pretende di più è un insensato che non avrà né l’una, né l’altra.

IL FEENEYSMO

S. Alfonso, martello degli eretici

Dopo circa duemila anni, come se non bastassero tutte le bestialità di eretici e settari catalogate in una lunga lista di errori che hanno gangrenato la Chiesa, si è aggiunta alla predetta lista, di recente, una nuova eresia. Nel bel mezzo del XX secolo, durante il pontificato di Pio XII, il prete gesuita Leonard Feeney si è spinto a negare il Battesimo di sangue ed il Battesimo di desiderio. Questo punto della dottrina era per lui una libera interpretazione del dogma: “Fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”. Così secondo il padre Feeney, solo il Battesimo con acqua permette la salvezza dell’anima. La Chiesa Cattolica ha invece sempre insegnato ed applicato il Battesimo di desiderio e di sangue. Essa ha onorato in diverse occasioni i martiri che non avevano ricevuto il Battesimo con acqua. A titolo di esempio, quando essa ancora catecumena, san Emerenziana morì martirizzata nel IV secolo prima di essere canonizzata dalla Chiesa. Era stato dunque applicato il Battesimo di sangue. – Il Concilio di Trento, come il Catechismo di san Pio X, sono formali su questo dogma di fede. Il Codice di diritto canonico menziona che “il Battesimo è necessario, di fatto o almeno di desiderio, alla salvezza di tutti”. Nella Summa teologica [III, Q 66 art. 11] san Tommaso d’Aquino precisa sul soggetto del Battesimo di desiderio: “supponiamo ora un adulto che desidera il battesimo ed in pericolo di morte, che il prete non voglia battezzarlo senza denaro. Egli deve, se vuole, farsi battezzare da qualcun altro. Se questa possibilità non può realizzarsi, egli non deve assolutamente comprare col denaro il suo Battesimo, ma piuttosto morire senza averlo ricevuto. Il Battesimo di desiderio supplisce per lui al Sacramento che non può ricevere”. Il catechismo di San Pio X riprende la stessa tesi, infatti Papa San Pio X nel Catechismo della Chiesa cattolica scrive [III parte, n.545]: Q. Si può supplire in qualche modo alla mancanza del Battesimo? – R. Alla mancanza del Sacramento del Battesimo può supplire il martirio, che chiamasi Battesimo di sangue, o un atto di perfetto amor di Dio o di contrizione, che sia congiunto al desiderio almeno implicito del Battesimo, e questo si chiama Battesimo di desiderio. – Riferendosi al Concilio di Trento, san Alfonso Maria de’ Liguori scrive nella sua “Teologia morale”: “il Battesimo secondo l’etimologia greca significa abluzione o immersione nell’acqua, si distingue in battesimo di acqua, di fuoco (di desiderio), e di sangue (martirio). Più avanti tratteremo del battesimo di acqua; che molto probabilmente secondo san Tommaso, Salma, il maestro delle sentenze, Soto, Vasquez etc. fu istituito prima della Passione di Nostro Signore Gesù-Cristo, ai tempi in cui fu battezzato da San Giovanni. Ma il Battesimo di fuoco (di desiderio), è una perfetta conversione a Dio mediante la contrizione o l’amore di Dio sopra ogni altro con la voce esplicita o implicita del vero Battesimo d’acqua: questo dunque supplisce la forza, secondo il Concilio di Trento, quanto alla remissione del peccato, ma non quanto all’impressione del carattere, né quanto alla soppressione di tutta la pena del peccato. È detto “di fuoco” perché giunge per impulso dello Spirito-Santo, che è rappresentato da una fiamma.”. – Nel suo Catechismo di Perseveranza, monsignor Gaume è molto chiaro su questa questione: “Si distinguono tre tipi di Battesimo : il Battesimo di acqua, è il Sacramento del Battesimo, il Battesimo di sangue, è il martirio, il Battesimo di fuoco, è il desiderio di ricevere il Battesimo. Il secondo ed il terzo non sono dei sacramenti, ma essi suppliscono al Battesimo quando non è possibile riceverlo”. Una spiegazione simile è data nel “Catéchisme expliqué par monseigneur Cauly”: “Benché così rigorosa sia la legge del Battesimo d’acqua, questo Sacramento può essere supplito, per gli adulti, in due modi. Con la carità perfetta, che si chiama pure Battesimo di fuoco o di desiderio, e con il martirio, che si chiama talvolta il Battesimo di sangue”. Infine l’abate Francesco Spirago nel “Catechismo Cattolico Popolare” conclude: “Quando il Battesimo di acqua è impossibile, esso può essere supplito dal desiderio del Battesimo o dal martirio per Gesù-Cristo. Valentiniano II si era messo in cammino per andare a Milano a ricevere il battesimo, ma fu assassinato lungo la strada, e Sant’Ambrogio disse in questa occasione: “il suo desiderio del Battesimo, lo ha purificato”. Note sono pure le parole di S. Agostino: «Che il martirio qualche volta faccia le veci del Battesimo lo sostiene validamente S. Cipriano prendendo argomento da quel ladro non battezzato a cui fu detto: “Oggi sarai con me nel Paradiso”.[De bapt. contra Donat. 4, 22]. Nel Codice canonico pio-benedettino del 1917, documento accluso e parte integrante dell’enciclica di S. S. Benedetto XV: “Providentissima Mater”, e quindi da considerarsi senza alcun dubbio Magistero infallibile, il canone 1239, nello stabilire a chi debba essere concessa o negata la sepoltura ecclesiastica, afferma: “Non si ammetterà alla sepoltura ecclesiastica chi non è battezzato. .. I catecumeni sono ammessi, se ancora non battezzati senza loro colpa … – Potremmo ancora moltiplicare le fonti che approvano il Battesimo di desiderio e di sangue che suppliscono il Battesimo di acqua. Essi attestano una continuità e non una qualunque novità nell’insegnamento della Chiesa. Comunque il padre Leonard Feeney, che riteneva che Santi canonizzati, Pontefici e Concilii vari, fossero tutti in errore, mentre egli solo, ovviamente, possedeva la verità, rimase irremovibile; persistendo nell’errore questo americano di origine irlandese fu convocato dalla Chiesa romana. Non essendosi presentato alla convocazione, fu scomunicato nel 1953. La tesi del pr. Feeney è oggi ripresa dai fratelli Dimond del C.M.R.I. e della linea Thuc, i cui discepoli si considerano pure sedevacantisti [altra grave eresia]. Oltre il Battesimo del sangue e di desiderio, aderire a questa tesi eretica, significa pure rimettere in questione l’Infallibilità del Magistero della Chiesa, poiché il Concilio di Trento ed il catechismo di san Pio X sono considerati fallibili, così come il Codice canonico del 1917. Secondo questo ragionamento, la Chiesa Cattolica non sarebbe dunque di natura divina [come si vede la Congregazione Feeneysta del CMRI, della quale fanno parte pure dei finti sacrileghi vescovi senza giurisdizione e altrettanto finti sacerdoti senza alcuna missione canonica, quindi sacrileghi e “lupi vestiti da agnelli”, proclama una robusta serie di stravaganti eresie e, pur affermando che “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza”, si pone lontanissima dall’atrio della Chiesa Cattolica … beata incoerenza, essi sanno bene che fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza, eppure non vi entrano loro, né fanno entrare quegli sventurati che li seguono]. Si realizza la profezia del Principe degli Apostoli: “Ci sono stati anche falsi profeti tra il popolo, come pure ci saranno in mezzo a voi falsi maestri che introdurranno eresie perniciose, rinnegando il Signore che li ha riscattati e attirandosi una pronta rovina. Molti seguiranno le loro dissolutezze e per colpa loro la via della verità sarà coperta di impropèri. Nella loro cupidigia vi sfrutteranno con parole false; ma la loro condanna è già da tempo all’opera e la loro rovina è in agguato. [2 Piet. II, 1-3]

CATTEDRA DI S. PIETRO

22 FEBBRAIO

CATTEDRA DI S. PIETRO IN ANTIOCHIA

Festa della Cattedra di Antiochia.

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol I]

 

Per la seconda volta la santa Chiesa festeggia la cattedra di Pietro; ma oggi, siamo invitati a venerare non più il suo Pontificato in Roma, ma il suo Episcopato ad Antiochia. La permanenza del Principe degli Apostoli in quest’ultima città fu per essa la più grande gloria che conobbe dalla sua fondazione; pertanto, questo periodo occupa un posto tanto rilevante nella vita di S. Pietro da meritare d’essere celebrato dai cristiani.

Cristianesimo ad Antiochia.

Cornelio aveva ricevuto il battesimo a Cesarea dalle mani di Pietro, e l’ingresso di questo Romano nella Chiesa preannunciava il momento in cui il Cristianesimo doveva estendersi oltre la popolazione giudaica. Alcuni discepoli, i cui nomi non ci furono tramandati da Luca, fecero un tentativo di predicazione in Antiochia, ed il successo che ne riportarono indusse gli Apostoli ad inviarvi Barnaba. Giunto questi colà, non tardò ad associarsi un altro giudeo convertito da pochi anni e conosciuto ancora col nome di Saulo, che, più tardi, cambierà il suo nome con quello di Paolo e diventerà oltremodo glorioso in tutta la Chiesa. La parola di questi due uomini apostolici suscitò nuovi proseliti in seno alla gentilità, ed era facileprevedere che ben presto il centro della religione di Cristo non sarebbe stato più Gerusalemme, ma Antiochia. Così il Vangelo passava ai gentili e abbandonava l’ingrata città che non aveva conosciuto il tempo della sua visita (Lc. XIX, 44).

Pietro ad Antiochia.

La voce dell’intera tradizione c’informa che Pietro trasferì la sua residenza in questa terza città dell’Impero romano, quando la fede di Cristo cominciò ad avere quel magnifico sviluppo che abbiamo qui sopra ricordato. Tale mutamento di luogo e lo spostamento della Cattedra primaziale stanno a dimostrare che la Chiesa s’avanzava nei suoi destini e lasciava l’augusta cinta di Sion, per avviarsi verso l’intera umanità. – Sappiamo dal Papa S. Innocenzo I ch’ebbe luogo in Antiochia una riunione degli Apostoli. Ormai il vento dello Spirito Santo spingeva verso la gentilità le sue nubi sotto il cui emblema Isaia raffigura gli Apostoli (Is. LX, 8). S. Innocenzo, alla cui testimonianza si unisce quella di Vigilio, vescovo di Tarso, osserva che si deve riferire al tempo di questa riunione di S. Pietro e degli Apostoli ad Antiochia, quanto S. Luca scrive negli atti, là dove afferma che alle numerose conversioni di gentili, si incominciò a chiamare i discepoli di Cristo con l’appellativo, di Cristiani.

Le tre Cattedre di S. Pietro.

Dunque Antiochia è diventata la sede di Pietro, nella quale egli risiede, e dalla quale partirà per evangelizzare le diverse province dell’Asia; qui farà ritorno per ultimare la fondazione di questa nobile Chiesa. Sembrava che Alessandria, la seconda città dell’impero, volesse rivendicare a sé l’onore della sede del primato, quando piegò la testa sotto il gioco di Cristo. Ma ormai Roma, da tempo predestinata dalla divina Provvidenza a dominare il mondo, ne avrà maggior diritto. Pietro allora si metterà in cammino, portando nella sua persona i destini della Chiesa; si fermerà a Roma, ove morirà e lascerà la sua successione. Nell’ora segnata, si distaccherà da Antiochia e stabilirà vescovo Evodio, suo discepolo. Questi, quale successore di Pietro, sarà Vescovo di Antiochia; ma la sua Chiesa non eredita il primato che Pietro porta con sè. Il principe degli Apostoli designa Marco, suo discepolo, a prender in suo nome possesso di Alessandria; la quale sarà la seconda Chiesa dell’universo e precederà la stessa sede di Antiochia, per volontà di Pietro, che però non ne occupò mai personalmente la sede. Egli è diretto a Roma: ivi finalmente, fisserà la Cattedra sulla quale vivrà, insegnerà e governerà nei suoi successori. – Questa l’origine delle tre grandi Cattedre Patriarcali così venerate anticamente: la prima, Roma, investita della pienezza dei diritti del principe degli Apostoli, che gliele trasmise morendo; la seconda, Alessandria, che deve la sua preminenza alla distinzione di cui volle insignirla Pietro adottandola per sua seconda sede; la terza, Antiochia, sulla quale si assise di persona, allorché, rinunciando a Gerusalemme, volle portare alla Gentilità le grazie dell’adozione. – Se dunque Antiochia cede in superiorità ad Alessandria, quest’ultima le è inferiore rispetto all’onore d’aver posseduta la persona di colui che Cristo aveva investito dell’ufficio di Pastore supremo. E’ dunque giusto che la Chiesa onori Antiochia per aver avuto la gloria d’essere temporaneamente il centro della cristianità: è questo il significato della festa che oggi celebriamo (i).

Doveri verso la Cattedra di S. Pietro.

Le solennità che si riferiscono a S. Pietro devono interessare in modo speciale i figli della Chiesa. La festa del padre è sempre quella dell’intera famiglia, perché da lui viene la vita e l’essere. Se ‘è un solo gregge, è perché esiste un solo Pastore. Onoriamo perciò la divina prerogativa di Pietro, alla quale il Cristianesimo deve la sua conservazione; riconosciamo gli obblighi che abbiamo verso la Sede Apostolica. Il giorno che celebravamo la Cattedra Romana, apprendemmo come viene insegnata, conservata e propagata la Fede dalla Chiesa Madre nella quale risiedono le promesse fatte a Pietro. Onoriamo oggi la Sede Apostolica, quale unica sorgente del legittimo potere, mediante il quale vengono retti e governati i popoli in ordine alla salvezza eterna.

Poteri di Pietro.

Il Salvatore disse a Pietro: « Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli » (Mt. XVI, 19), cioè della Chiesa; ed ancora: « Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Gv. XXI, 15-17). Pietro dunque è principe, perché le Chiavi, nella Sacra Scrittura, significano il principato; e Pastore, Pastore universale, perché non vi sono in seno al gregge che pecore ed agnelli. Ma ecco che, per divina bontà, in ogni parte incontriamo Pastori: i Vescovi, « posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio » (Atti XX, 28), che in suo nome governano le cristianità, e sono anch’essi Pastori. Come mai le Chiavi, che sono eredità di Pietro, si trovano in altre mani, che non sono le sue? La Chiesa cattolica ce ne spiega il mistero nei documenti della sua Tradizione. (1) Facemmo osservare il 18 gennaio che, secondo l’antica tradizione romana, conservata inalterata sino al XVI secolo, oggi si celebrava la festa della Cattedra romana di S. Pietro, senza il menomo cenno di Antiochia, perché ci si limitava a venerare la Cattedra vaticana, simbolo del primato universale di S. Pietro e dei suoi successori. Le Chiese delle Gallie, escludendo qualsiasi solennità in Quaresima, avevano trasferita tale festa al 18 gennaio. Da tre secoli a questa parte, fu la pietà verso il Principe degli Apostoli che suggerì di estendere gli onori dovuti alla sua parola anche alla Cattedra di Antiochia. – Ecco Tertulliano affermare che « il Signore diede le Chiavi a Pietro, e per mezzo suo alla Chiesa » (Scorpiaco, c. 10); S. Ottato di Milevi, aggiungere che, « per il bene dell’unità, Pietro fu preferito agli altri Apostoli, e, solo, ricevette le Chiavi del Regno dei cieli per trasmetterle agli altri » (Contro Parminiano, 1. 8); S. Gregorio Nisseno, dichiarare che « per mezzo di Pietro, Cristo comunicò ai Vescovi le Chiavi della loro celeste prerogativa» (Opp., t. 3); e infine S. Leone Magno, precisare che « il Salvatore diede per mezzo di Pietro agli altri prìncipi della Chiesa tutto ciò che ha creduto opportuno di comunicare » (Nell’anno della sua elevazione al Sommo Pontificato, Discorso 4, P. L., 54, c. 150).

Poteri dei Vescovi.

Quindi l’Episcopato rimarrà sempre sacro, perché si ricollega a Gesù Cristo per mezzo di Pietro e dei suoi successori; ed è ciò che la Tradizione cattolica ha sempre affermato nella maniera più imponente, plaudendo al linguaggio dei Pontefici Romani, che non hanno mai cessato di dichiarare, sin dai primi secoli, che la dignità dei Vescovi era quella di compartecipare alla propria sollecitudine, “in partem sollicitudinis vocatos”. Per tale ragione S. Cipriano non ebbe difficoltà d’affermare che, « volendo il Signore stabilire la dignità episcopale e costituire la sua Chiesa, disse a Pietro: Io ti darò le Chiavi del Regno dei cieli; e da ciò deriva l’istituzione dei Vescovi e la costituzione della Chiesa » (Lettera 33). – La stessa cosa ripete, dopo il vescovo di Cartagine, S. Cesario d’Arles, nelle Gallie, nel V secolo, quando scrive al Papa S. Simmaco: « Poiché l’Episcopato attinge la sua sorgente nella persona del beato Pietro Apostolo, ne consegue necessariamente che tocca a Vostra Santità prescrivere alle diverse Chiese le norme alle quali esse si devono conformare » (Lettera 10). Questa fondamentale dottrina, che S. Leone Magno espresse con tanta autorità ed eloquenza, e che in altre parole è la stessa che abbiamo ora esposta mediante la Tradizione, la vediamo imposta a tutte le Chiese, prima di S. Leone, nelle magnifiche Epistole di S. Innocenzo I arrivate fino a noi. In questo senso egli scrive al concilio di Cartagine che « l’Episcopato ed ogni sua autorità emanano dalla Sede Apostolica » {Ibid. 29) ; al concilio di Milevi che « i Vescovi devono considerare Pietro come la sorgente del loro appellativo e della loro dignità » {Ibid. 30) ; a San Vitricio, Vescovo di Rouen, che « l’Apostolato e l’Episcopato traggono da Pietro la loro origine » (Ibid. 2). – Non abbiamo qui l’intenzione di fare un trattato polemico; il nostro scopo, nel presentare i magnifici titoli della Cattedra di Pietro, non è altro che quello di alimentare nel cuore dei fedeli quella venerazione e devozione da cui devono essere animati verso di lei. Ma è necessario ch’essi conoscano la sorgente dell’autorità spirituale, che nei diversi gradi di gerarchia li regge e li santifica. Tutto passa da Pietro, tutto deriva dal Romano Pontefice, nel quale Pietro si perpetuerà fino alla consumazione dei secoli. Gesù Cristo è il principio dell’Episcopato,lo Spirito Santo stabilisce i Vescovi, ma la missione, l’istituzione che assegna al Pastore il suo gregge ed al gregge il proprio Pastore, Gesù Cristo e lo Spirito Santo le comunicano attraverso il ministero di Pietro e dei suoi successori.

Trasmissione del potere delle Chiavi.

Com’è sacra e divina questa autorità delle Chiavi, che, discendendo dal cielo nel Romano Pontefice, da lui, attraverso i Prelati della Chiesa, scende su tutta la società cristiana ch’egli deve reggere e santificare! Il modo di trasmissione attraverso la Sede Apostolica ha potuto variare secondo i secoli; ma mai alcun potere fu emanato se non dalla Cattedra di Pietro. A principio vi furono tre Cattedre: Roma, Alessandria, Antiochia; tutte e tre, sorgenti dell’istituzione canonica per i Vescovi che le riguardano; ma tutte e tre considerate altrettante Cattedre di Pietro da lui fondate per presiedere, come insegnano S. Leone (Lettera 104 ad Anatolio), S. Gelasio (Concilio Romano, Labbe, t. 4) e S. Gregorio Magno (Lettera ad Eulogio). Ma, delle tre Cattedre, il Pontefice che sedeva sulla prima aveva ricevuto dal cielo la sua istituzione, mentre gli altri due Patriarchi non esercitavano la loro potestà se non perché riconosciuti e confermati da chi era succeduto a Roma sulla Cattedra di Pietro. Più tardi, a queste prime tre, si vollero aggiungere due nuove Sedi: Costantinopoli e Gerusalemme; ma non arrivarono a tale onore, se non col beneplacito del Romano Pontefice. Inoltre, affinché gli uomini non corressero pericolo di confondere le accidentali distinzioni di cui furono ornate quelle diverse Chiese, con la prerogativa della Chiesa Romana, Dio permise che le Sedi d’Alessandria, d’Antiochia, di Costantinopoli e di Gerusalemme fossero contaminate dall’eresia; e che divenute altrettante Cattedre di errore, dal momento che avevano alterata la fede trasmessa loro da Roma con la vita, cessassero di tramandare la legittima missione. Ad una ad una, i nostri padri videro cadere quelle antiche colonne, che la mano paterna di Pietro aveva elevate; ma la loro rovina ancora più solennemente attesta quanto sia solido l’edificio che la mano di Cristo fondò su Pietro. – D’allora, il mistero dell’unità s’è rivelato in una luce più grande; e Roma, avocando a sé i favori riversati sulle Chiese che avevano tradita la Madre comune, apparve con più chiara evidenza l’unico principio del potere pastorale.

Doveri di rispetto e sudditanza.

Spetta dunque a noi, sacerdoti e fedeli, ricercare la sorgente dalla quale i nostri pastori attinsero i poteri, e la mano che trasmise loro le Chiavi. Emana la loro missione dalla Sede Apostolica ? Se è così, essi vengono da parte di Gesù Cristo, che, per mezzo di Pietro, affidò loro la sua autorità, e quindi dobbiamo onorarli ed esser loro soggetti. – Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Anche se rivestono il sacro carattere conferito dall’unzione episcopale, non rientrano affatto nell’Ordine Pastorale; e le pecore fedeli se ne devono allontanare.Infatti, il divino Fondatore della Chiesa non si contentò d’assegnarle la visibilità come nota essenziale, perché fosse una Città edificata sul monte (Mt. V, 14) e colpisse chiunque la guardasse; Egli volle pure che il potere divino esercitato dai Pastori derivasse da una visibile sorgente, affinché ogni fedele potesse verificare le attribuzioni di coloro che a lui si presentano a reclamare la propria anima in nome di Gesù Cristo. Il Signore non poteva comportarsi diversamente verso di noi, poiché, dopo tutto, nel giorno del giudizio Egli esigerà che siamo stati membri della sua Chiesa e che abbiamo vissuto, nei suoi rapporti, mediante il ministero dei suoi Pastori legittimi. Onore, perciò, e sottomissione a Cristo nel suo Vicario; onore e sottomissione al Vicario di Cristo nei Pastori che manda.

Elogio.

Gloria a te, o Principe degli Apostoli, sulla Cattedra di Antiochia, dall’alto della quale presiedesti ai destini della Chiesa universale! Come sono splendide le tappe del tuo Apostolato! Gerusalemme, Antiochia, Alessandria nella persona di Marco tuo discepolo, e finalmente Roma nella tua stessa persona; ecco le città che onorasti con la tua augusta Cattedra. Dopo Roma, non vi fu città alcuna che ti ebbe per sì lungo tempo come Antiochia ; è dunque giusto che rendiamo onore a quella Chiesa che, per tuo mezzo fu un tempo madre e maestra delle altre. Ahimè! oggi essa ha perduto la sua bellezza, la fede è scomparsa nel suo seno, e il giogo del Saraceno pesa su di lei. Salvala, o Pietro, e reggila ancora; assoggettala alla Cattedra di Roma, sulla quale ti sei assiso, non per un limitato numero di anni, ma fino alla consumazione dei secoli. Immutabile roccia della Chiesa, le tempeste si sono scatenate contro di te, e più d’una volta abbiamo visto coi nostri occhi la Cattedra immortale essere momentaneamente trasferita lontano da Roma [come pure è attualmente in esilio . ndr. -]. Ci ricordavamo allora della bella espressione di S. Ambrogio: Dov’è Pietro, ivi è la Chiesa, e i nostri cuori non si turbarono; perchè sappiamo che fu per ispirazione divina che Pietro scelse Roma come il luogo dove la sua Cattedra poggerà per sempre. Nessuna volontà umana potrà mai separare ciò che Dio legò; il Vescovo di Roma sarà sempre il Vicario di Gesù Cristo e il Vicario di Gesù Cristo, sebbene esiliato [come è oggi appunto – ndr. – ] dalla sacrilega violenza dei persecutori, rimarrà sempre il Vescovo di Roma.

Preghiera.

Calma le tempeste, o Pietro, affinché i deboli non ne siano scossi; ottieni dal Signore che la residenza del tuo successore non venga mai interrotta nella città che tu eleggesti ed innalzasti a tanti onori. – Se gli abitanti di questa città regina hanno meritato d’essere castigati perché dimentichi di ciò che ti devono, risparmiali per riguardo dell’universo cattolico, e fa’ che la loro fede, come al tempo in cui Paolo tuo fratello indirizzava la sua Epistola, torni ad essere famosa in tutto il mondò (Rom. I, 8).

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Rileggendo questo notevole scritto di dom Guéranger si possono chiarire e comprendere meglio tante cose che riguardano i nostri tempi circa l’importanza della figura del Pontefice romano, oggi tanto bistrattata dagli eretici “falsi tradizionalisti” sedevacantisti, e dagli “adepti della setta modernista” guidata dagli antipapi marrani che dal 1958 occupano indegnamente e fraudolentemente la gloriosa Cattedra di Pietro. Soprattutto significativo, e fondamentale per la salvezza dell’anima, è il passaggio ove precisa: “Se invece si mostrano a noi senza essere investiti del Mandato del Romano Pontefice, non seguiamoli, ché Cristo non li riconosce. Ma, come da promessa evangelica e da infallibile Magistero ecclesiastico, il successore di Pietro [quello vero] c’è, anche se non a Roma, e si avvia a compiere [il 3 maggio] il suo 26° anno di Pontificato, uno dei più lunghi della storia della Chiesa, dopo S. Pietro, Pio IX e Gregorio XVII. Lunga vita al nostro Santo Padre, GREGORIO XVIII, con la speranza che possa nuovamente occupare, e quanto prima, la Cattedra usurpata, … o almeno il suo prossimo successore …

Dal Divinum Officium:

I lett. di S. Pietro

Pietro, Apostolo di Gesù Cristo, ai fedeli esuli sparsi per il Ponto, per la Galizia, la Cappadocia, l’Asia e Bitinia, Eletti, secondo la prescienza di Dio Padre, ad essere santificati dallo Spirito, ad essere sudditi di Gesù Cristo, e ad essere aspersi dal suo sangue: Grazia e pace scendano in abbondanza su voi. Benedetto Dio, Padre di nostro Signor Gesù Cristo, che, nella sua grande misericordia, ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo da morte, alla viva speranza di possedere Una eredità incorruttibile, e incontaminata, e immarcescibile, riservata nei cieli per voi che dalla potenza di Dio siete custoditi, mediante la fede per la salvezza, che è pronta a manifestarsi colla fine del tempo. In questo (pensiero) voi esulterete, sia pure che dobbiate essere ora per poco afflitti da diverse prove: affinché la prova della vostra fede molto più preziosa dell’oro (che pur si prova col fuoco) torni a lode, a gloria e ad onore quando si manifesterà Gesù Cristo: che voi amate senza aver veduto: in cui anche adesso credete senza vederlo: e, credendo così, esulterete di gioia ineffabile e beata perché conseguirete il fine della vostra fede, la salvezza delle anime. 10 Salvezza che ricercarono e scrutarono i profeti, che predissero la grazia che voi dovevate ricevere; 11 E siccome essi indagavano il tempo e le circostanze che lo Spirito di Cristo, ch’era in essi, andava rivelando intorno alle sofferenze di Cristo e alle glorie susseguenti, 12 Che prediceva loro, fu ad essi rivelato che non per sé ma per voi essi erano dispensatori delle cose che ora vi sono state annunziate da quelli che vi hanno predicato il Vangelo, mercé lo Spirito Santo mandato dal cielo, e che gli Angeli bramano di contemplare.

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 15 sui Santi

L’istituzione dell’odierna solennità ricevé dai nostri antenati il nome di Cattedra, perché è tradizione che Pietro, principe degli Apostoli, prendesse possesso quest’oggi della sua sede episcopale. I fedeli perciò, con ragione, celebrano l’origine di quella Sede onde l’Apostolo fu investito per la salute delle chiese con quelle parole del Signore: «Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» (Matth. XVI, 18). – Il Signore dunque ha chiamato Pietro il fondamento della Chiesa: ed è perciò che la Chiesa venera giustamente questo fondamento sul quale poggia tutto l’edificio ecclesiastico. Quindi ben a ragione si dice nel Salmo ch’è stato letto: «Lo esaltino nell’adunanza del popolo, e lo lodino nel consesso dei seniori» (Ps. 106, 32). Benedetto Dio, che prescrive d’esaltare il beato Pietro Apostolo nell’adunanza del fedeli; è giusto infatti che la Chiesa veneri questo fondamento per cui si sale al cielo. – Celebrando dunque quest’oggi l’origine della Cattedra, noi onoriamo il ministero sacerdotale. Le chiese si rendono questo mutuo onore, comprendendo esse che la Chiesa tanto più cresce in dignità, quanto più viene onorato il ministero sacerdotale. Avendo dunque una pia usanza introdotto giustamente nelle chiese questa solennità, mi meraviglio delle grandi proporzioni che ha preso oggi un pernicioso errore tutto pagano, di portare cioè sulle tombe dei defunti dei cibi e del vino, come se le anime, che hanno abbandonato i loro corpi, reclamassero questi cibi propri della carne.

Omelia di san Leone Papa

Sermone 3 nell’anniversario della sua elezione, dopo il principio

Il Signore domanda agli Apostoli, chi dicesse la gente ch’egli sia: e la loro risposta è comune finché essi esprimono l’incertezza dello spirito degli uomini. Ma appena interroga i discepoli sul proprio sentire, il primo in dignità fra gli Apostoli è il primo ancora a confessare il Signore. Ed avendo egli detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Matth. 16, 16); Gesù gli rispose: «Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l’ha rivelato la natura e l’istinto, ma il Padre mio ch’è nei cieli» (Matth. 16, 17). Vale a dire: Perciò tu sei beato, perché te l’ha insegnato il Padre mio; non sei stato ingannato dall’opinione terrena, ma te l’ha dichiarato l’ispirazione celeste: e non la natura e l’istinto mi ti han fatto conoscere, ma colui del quale sono il Figlio unigenito. – «E io, continua, ti dico» (Matth. XVI, 18); cioè: Come il Padre mio ti ha manifestato la mia divinità, così io pure ti faccio conoscere la tua propria eccellenza. Perché tu sei Pietro: cioè: Mentre io sono la pietra inviolabile, la pietra angolare che di due (popoli) ne faccio uno, io il fondamento all’infuori del quale nessuno può porne altro; tuttavia anche tu sei pietra, essendo confermato dalla mia virtù, così che quanto m’appartiene di proprio, quanto al potere, ti sia comune per la mia partecipazione. «E su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei» (Matth. 1XVI 18): Su questa fortezza, dice, edificherò un tempio eterno; e la sublimità della mia Chiesa, che deve penetrare il cielo, si eleverà sulla fermezza di questa fede. – Le porte dell’inferno non impediranno mai questa confessione (di Pietro), né la legheranno punto le catene della morte; poiché questa parola è parola di vita. E come essa innalza al cielo i suoi confessori, così ne sommerge nell’inferno i negatori. Perciò dice al beatissimo Pietro: «Ti darò le chiavi del regno dei cieli: e qualunque cosa legherai sulla terra, sarà legata anche nei cieli; e qualunque cosa scioglierai sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli» (Matth. 1XVI, 19). Certo, questo potere fu comunicato anche agli altri Apostoli, e questo decreto costitutivo riguarda egualmente tutti i principi della Chiesa; ma confidando questa prerogativa, non senza motivo il Signore s’indirizza a uno solo, benché parli a tutti. Essa è affidata particolarmente a Pietro, perché Pietro è stabilito capo di tutti i pastori della Chiesa. Il privilegio dunque di Pietro sussiste in ogni giudizio portato in virtù della sua legittima autorità. E non c’è eccesso né di severità né di indulgenza, dove non si lega né si scioglie se non ciò che il beato Pietro avrà sciolto o legato.

 

Hymnus

“Beate Pastor, Petre, clemens accipe Voces precantum, criminumque vincula Verbo resolve, cui potestas tradita Aperire terris caelum, apertum claudere. Sit Trinitati sempiterna gloria, Honor, potestas, atque jubilatio, In unitate, quae gubernat omnia, Per universa aeternitatis sæcula. Amen.”

[Beato Pietro Pastore, accogli clemente le voci dei supplicanti, e spezza con una parola le catene dei peccati, tu cui fu dato il potere di aprire il cielo alla terra, e di chiuderlo se aperto. Alla Trinità sia sempiterna gloria, onore, potere e giubilo, la quale nella (sua) unità governa ogni cosa, per tutti i secoli eterni. Amen.]

Hymnus [ai Vespri]

Quodcumque in orbe nexibus revinxeris, Erit revinctum, Petre, in arce siderum: Et quod resolvit hic potestas tradita, Erit solutum caeli in alto vertice; In fine mundi judicabis sæculum. Patri perenne sit per ævum gloria, Tibique laudes concinamus inclytas, Aeterne Nate, sit superne Spiritus, Honor tibi, decusque: sancta jugiter Laudetur omne Trinitas per sæculum. Amen.”

[Tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato, o Pietro, nella rocca celeste: e tutto ciò che scioglierà quaggiù il potere concessoti, sarà sciolto nelle altezze del cielo: alla fine del mondo tu giudicherai il secolo. Al Padre eterno sia perenne gloria; e a te, Figlio eterno, noi cantiamo insigni lodi; a te, Spirito Santo, sia onore e splendore: la santa Trinità sia ognor lodata per tutti i secoli Amen.]

… et super hanc petram ædificabo Ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

I PROTESTANTI, “FRATELLI” [di loggia?] DEGLI APOSTATI MODERNISTI

Un tempo nemmeno troppo lontano, venivano chiamati eretici e scismatici. Oggi i modernisti li chiamano “fratelli separati”, e dicono che hanno in comune con loro l’eredità spirituale. A pensarci bene è proprio vero, perché questa eredità a ben vedere, è il … satanismo! Ecco qui, brevemente tratteggiati da par suo dall’Abate J. J. Gaume, i figuri che i più accesi tra i modernisti vorrebbero addirittura canonizzare, … d’altra parte che c’è di strano, visto che ne hanno già falsamente canonizzati diversi ancor peggiori di questi! Il bianco burattino ultramodernista del b’nai b’rith è corso già ad osannare, a prostrarsi, a partecipare ai festeggiamenti del V centenario dell’istituzione turpe, blasfema ed apostatica del luteranesimo. Ma si sa, il patrimonio spirituale oramai è il medesimo: il satanismo di matrice massonica!

Protestanti

[J.J- GAUME: Catechismo di Perseveranza, Vol. 3 – Torino tip. G. Speirani e f., 1881]

Noi siamo sul punto di assistere al più grande combattimento che siasi dato alla Chiesa nostra madre dall’Arianesimo in poi; nel corso del sedicesimo secolo sembra che l’inferno abbia schierato tutte le sue forze. Quattro giganteschi settari si presentano con lo stendardo alla mano della rivolta. Non attaccano essi più un domma, un sacramento, una pratica particolare della Religione, ma l’autorità medesima della Chiesa, base del domma e della morale. Il loro grido di guerra sono quelle parole diaboliche che rovinarono la stirpe umana: Spezzate il giogo dell’autorità e diventerete come Dei. E gl’ingrati popoli si credettero abbastanza forti, abbastanza illuminati per bastare a se stessi, e accorsero in folla sotto le bandiere della ribellione, e assalirono con furore quell’antica Chiesa, alla quale erano debitori della educazione, della libertà, de’ costumi, delle leggi, della civiltà, della superiorità e perfino dell’esistenza. – Alcuni abusi veri o supposti servirono di pretesto alla loro defezione: ma non era questa la vera cagione; l’orgoglio umano era intollerante del freno dell’autorità, e si ribellò. Fu questa l’origine del Protestantesimo: lo indica abbastanza lo stesso nome. Il cristianesimo, al suo nascere, aveva dovuto sostenere la ribellione della forza materiale, personificata negli imperatori romani: sei secoli dopo dovette sostenere la ribellione de’ sensi, personificata in Maometto; mille anni dopo ei doveva sostenere la ribellione dell’orgoglio, personificato in Lutero. Quindi l’ambizione, la voluttà, l’orgoglio furono in tutte le epoche i tre nemici del Cristianesimo, e tali saranno eternamente. Or è d’uopo conoscere i campioni dell’orgoglio sedizioso, cioè del protestantismo: son essi ben degni della causa che difendono!

Lutero.

Lutero nacque in Germania nel 1484. Essendo stato un suo compagno ucciso dal fulmine mentre passeggiavano insieme, ei rimase talmente colpito da tale sinistro che si fece Agostiniano. Quivi nel leggere gli scritti dell’eretico Giovanni Hus, concepì un odio implacabile contro la Chiesa Romana; e ardente, impetuoso, orgoglioso esalò ben presto la bile ed il veleno in alcune tesi sostenute nel 1516. Avendo il Pontefice Leone X fatta pubblicare una indulgenza a favore di coloro che contribuivano all’ultimazione della chiesa di san Pietro di Roma, Lutero si levò la maschera e attaccò le indulgenze, poi la libertà dell’uomo, quindi la confessione, in seguito il primato del Papa, e per ultimo i voti monastici. Il Sommo Pontefice condannò i costui errori con Bolla del 1520: ma per risposta il frate apostata la fece ardere pubblicamente a Wittemberga. – Allora egli pubblicò il suo libro Della schiavitù di Babilonia. Dopo aver confessato ch’ei si pente di essere stato sì moderato, ammenda il proprio fallo con tutte le ingiurie che il delirio più avventato può somministrare a un eretico. Egli esorta i principi a scuotere il giogo del Papismo, e abolisce ad un tratto quattro sacramenti. E siccome questi audaci tentativi eccitavano vivi reclami, Lutero, per darsi una sembianza di ragione, prese a giudice la facoltà di teologia di Parigi, di cui aveva sempre venerato la profonda dottrina. La facoltà lo condannò ad una voce, onde il monaco eretico entrò in furore, e vomitò contro di lei le ingiurie le più grossolane. – Contemporaneamente Enrico VIII re d’Inghilterra pubblicò contro di lui un’opera che dedicò al Pontefice Leone X. Quello scritto fruttò al monarca inglese il titolo di « Difensore della fede » che i suoi successori hanno conservato e impresso su le loro monete. Lutero furioso ebbe ricorso alle ingiurie, sua ordinaria risposta. Eccovi un saggio delle leggiadrie e delle lepidezze che uscivano dalla sua penna : « io non so se la follia stessa, egli diceva, può essere così insensata quanto la mente del povero Enrico: oh! quanto volentieri coprirei quella inglese maestà di fango e di sozzure, e ne avrei ben diritto: venite a me, Ser Enrico, ed io v’ammaestrerò 1 ». [“Veniatis, Domine Henrice, ego docebo vos.”]. Al qual proposito Erasmo non ha potuto a meno di osservare, che Lutero avrebbe almeno dovuto parlar latino, e non aggiungere i solecismi alle villanie. Ritirato in un castello, sotto la protezione di Federico, Elettore di Sassonia, l’ardente apostata scriveva tutte le stravaganze che gli passavano per la testa. Fra le altre cose ei disse di avere avuto un colloquio col diavolo, e avergli questo manifestato che se voleva salvarsi doveva abolire tutte le messe non solenni, ed egli infatti scrisse contro le medesime. Tuttavia per Lutero diveniva, a lungo andare, troppo angusto il castello in cui dimorava; quindi percorse la Germania, e per avere più seguaci dispensò i sacerdoti, i monaci e le monache dal voto di castità, e ciò in un’opera, in cui la modestia è offesa in mille maniere. Dopo aver fatto un appello alla impudicizia, ei ne fece uno all’avarizia, e quindi pubblicò nel 1522 un’opera intitolata, Trattato del fisco comune. In essa invitava i regnanti ad impossessarsi delle rendite di tutti i monasteri, abbazie, vescovadi, e in generale di tutti i benefizi ecclesiastici. L’esca del guadagno produsse a Lutero più proseliti che non i suoi scritti; e il suo partito s’impinguò ben presto di quanti vi avevano uomini incontinenti e principi ambiziosi, estendendosi in gran parte della Germania. – Il predicatore del nuovo Vangelo lasciò in quel tempo l’abito agostiniano, e l’anno di poi, cioè 1525, sposò una monaca che aveva fatto uscire dal suo convento; e poco dopo diede al mondo cristiano uno spettacolo anche più strano, permettendo pubblicamente a Filippo, Landgravio di Assia, di prendere due mogli. – L’imperatore Carlo V, dolente di quegli scandalosi eccessi, convocò una Dieta o assemblea di principi Tedeschi a Spira nel 1529. Da essa i Luterani presero il nome di Protestanti per aver protestato contro i l decreto della Dieta, che ordinava dovessero attenersi alla religione della Chiesa cattolica. – Lutero non ne fu che maggiormente irritato. Ogni anno pubblicava un nuovo libello contro il Sommo Pontefice o contro ì principi o i teologi cattolici. Ecco un nuovo saggio del suo stile : ei chiamava Roma la feccia di Sodoma, la prostituta Babilonia; il Papa, uno scellerato che sputava diavoli; i Cardinali, miserabili che bisognava distruggere. « S’io ne avessi il potere, ei diceva, io farei un solo fardello del papa e de’ cardinali per gettarli unitamente in mare; questo bagno li guarirebbe, ve lo giuro, e ne do per mallevadore Gesù Cristo». Parla con la stessa dolcezza de’ teologi cattolici, e le sue più gentili parole sono: bestia, porco, epicureo,ateo, ecc. Co’ suoi stessi seguaci era sdegnoso egualmente che coi cattolici; li minacciava, se continuavano a contraddirlo o ricredersi di quanto egli aveva insegnato: minaccia ben degna dì un apostolo di menzogna! Avendo gli Zuingliani, di cui parleremo tra poco, avuto la disgrazia di offenderlo prorompe: « Il diavolo si è impossessato di loro; sono persone indiavolate, sopraindiavolate, perindiavolate; il loro linguaggio non è che un linguaggio di menzogna, messo in moto a talento di Satana, infuso e soprainfuso del suo veleno infernale ». Finalmente nel suo furore ei scagliava ingiurie a se stesso; diceva di esser pieno di diavoli, di esser satanizzato, soprasatanizzato. È questo forse il linguaggio di un apostolo di verità? – Dacché si fece apostata, la sua vita si consumò in furibonde declamazioni e in dissolutezze. Si conserva tuttavia una Bibbia, in fine della quale si legge una preghiera in versi tedeschi e scritta di mano di Lutero, il cui senso è questo: « Mio Dio, per vostra bontà, provvedeteci di vesti, di cappelli, di cappe e di mantelli, di vitelli ben grassi, di capretti, di bovi, di montoni, di giovenche e di quanto abbisogna per soddifare a’ nostri gusti . . . bever bene e mangiar bene è il vero mezzo di non annoiarsi ». [Cristiano Juncker, Vita Lutheri , pag. 225.] – Questa preghiera, in cui l’indecenza, l’empietà, la lussuria, la gola si contendono la palma, dà una giusta idea del Capo della pretesa Riforma. Egli morì nel 1546, in età di sessantadue anni, per aver troppo mangiato e troppo bevuto com’era suo costume. Monaco apostata e seduttore di una monaca, amico della taverna e della gozzoviglia; buffone empio e lubrico, che per primo pose in fuoco la Chiesa sotto pretesto di riformarla, e che in prova della sua strana missione, che certamente chiedeva miracoli i più luminosi, offerse, come Maometto, i successi della spada, il progresso del libertinaggio, gli eccessi della discordia, della ribellione e della crudeltà, del sacrilegio e della malvagità: ecco qual fu Lutero [Vedi Viaggio d’un Gentiluomo Irlandese in cerca d’una Religione. — Vite di Lutero, di Juncker e di Audin.]

Zuinglio.

Curato di Santa Maria degli Eremiti in Svizzera, poi predicatore a Zurigo, Zuinglio, avendo letto le opere di Lutero, si mise a dommatizzare, il che significa, ch’egli attaccò quanto la Chiesa aveva insegnato e praticato fino allora; cioè le indulgenze, l’autorità pontificia, il sacramento di penitenza, i voti monastici, il celibato de’ preti e l’astinenza dalla carne. Lo strano apostolo, profittando della libertà che predicava agli altri, sposò una ricca vedova; perché il matrimonio fu lo scioglimento ordinario di tutte le commedie de’ Riformatori. La sua dottrina scosse tutta la Svizzera sì pacifica e sì felice fino a quell’epoca; i Cantoni protestanti sorsero in armi contro i cattolici. Zuinglio fu costretto di condurre i suoi seguaci al combattimento, in cui, malgrado la sua predizione, essi perderono la battaglia, ed egli stesso rimase morto nel 1531 [Storia della Riforma nella Svizzera occidentale di Haller].

Calvino.

Questo nuovo corifeo della pretesa Riforma nacque nella diocesi di Noyon nel 1509; e venne provvisto d’un benefizio, quantunque non sia stato mai prete. Pel disordine de’ suoi costumi fu bollato sopra la spalla con un ferro rovente [Vedasi M. Jaques nella sua Teologia]. – Lasciò la patria e dopo aver vagato per diverse città della Francia predicando gli errori di Lutero, ai quali aveva aggiunto le proprie stranezze, si recò a Basilea, ove pubblicò il suo libro dell’Istruzione cristiana. Al paro di Lutero e di Zuinglio ei fa man bassa della dottrina, della morale e del culto nel quale era nato. Non vuol ammettere né culto esteriore, né invocazione dei Santi, né Capo visibile della Chiesa, nè Vescovi, né sacerdoti, né feste né croce, né alcuna di quelle cerimonie sacre, che la Religione riconosce essere tanto utili al culto di Dio, e la filosofia tanto necessarie ad uomini materiali e rozzi, che non s’innalzano per così dire che per mezzo de’ sensi alla contemplazione delle cose spirituali. Dopo diversi viaggi in Svizzera ed in Italia, questo preteso riformatore prese stanza in Ginevra, dove quel desso che non ammetteva Papa nella Chiesa, divenne non già il Papa ma il despota di Ginevra. – La minima obiezione, la più leggiera opposizione che gli venisse fatta, era sempre un’opera di Satana, un delitto meritevole del fuoco. Essendo stato contraddetto dal giovine medico spagnolo Michele Serveto, ei Io fece ardere vivo; ed esortava i suoi discepoli a trattare egualmente tutti quelli che si opponessero ai progressi della propria dottrina. Scriveva a Du Poét, ch’egli chiama Generale della Religione nel Delfinato: « Dà opra costante a purgare il paese da quei cialtroni, che coi loro discorsi persuadono il popolo ad opporsi a noi, screditando la nostra condotta, e vogliono far passare per sogno la nostra credenza. Simili mostri debbono essere soffocati come è avvenuto di Michele Serveto ». – Tale era la mansuetudine di quest’uomo evangelico. – Eccovi un saggio della costui urbanità: Porco, asino, cane, cavallo, toro, ubbriaco, erano i complimenti ch’ei dirigeva à’ suoi avversari. Esortava i propri partigiani ad impossessarsi di tutte le ricchezze de’ Cattolici; « e ciò, diceva egli, per amore di » Dio, affinché possiamo metterci in grado di sostentare il piccolo gregge: senza mèzzi grandi e potenti la buona volontà riuscirebbe inutile ». Orgoglioso, impudico, crudele, Calvino morì disperato e di una malattia vergognosa, che agli occhi stessi de’ suoi discepoli passò per un visibile castigo di Dio [“Calvinus in desperatione finiens vitam obiit turpissimo et medissimo morbo, quem Deus et rebellibus maledictis comminatus est, prius excruciatus et consumptus. Quod ego verissime attestari audeo, qui funestum et tragicum illius exitum et exitium his meis oculis praesens aspexi”. Joan. Haren. Apud- Peti: Cutsemium. Vita di Calvino di Audio.]. – Il tristo suo fine lo colse a Ginevra l’anno 1564.

Enrico VIII

Il quarto riformatore della Religione fu Enrico VIII re d’Inghilterra, che da principio aveva scritto contro Lutero. Finché si mantenne casto, Enrico rimase cattolico; ma volendo soddisfare le sue passioni, pregò papa Clemente VII a sciogliere il suo matrimonio. E siccome quel matrimonio era più che legittimo, il Sommo Pontefice gli rispose che non era in sua facoltà di separare ciò che era stato unito da Dio. Enrico allora ruppe i l freno, ripudiò la moglie e sposò Anna Bolena : onde il Papa lo scomunicò. Per sottrarsi ai fulmini della Chiesa, l’impudico principe si fece dichiarare Protettore e Capo sapremo della Chiesa d’Inghilterra. Divenuto papa, nulla cambiò Enrico alla dottrina; ma ben presto lo scisma conduce all’eresia. – I nuovi errori non potevano non essere bene accolti in un paese tanto disposto alla rivolta. Vivente tuttavia Enrico, il Luteranismo cominciava ad introdursi colà senza sua saputa e suo malgrado. Dopo ch’ei fu morto, Eduardo VI abolì totalmente la religione cattolica. -Più occupato di soddisfare alle proprie passioni che di stabilire la sua Chiesa, Enrico sposò cinque mogli, che ripudiò l’una dopo l’altra, facendole poscia trarre al patibolo. Si narra che vicino a morire esclamasse guardando coloro che circondavano il suo letto: « Amici miei, abbiamo perduto tutto: il regno, la fama, la coscienza e il cielo». Morì l’anno 1547. Se adunque ci facciamo a considerare il Protestantismo, che oggidì per tanti sforzi si cerca d’introdurre tra noi:

Negl’individui che lo hanno stabilito;

noi vediamo aver esso avuto per autori quattro sfacciati libertini, quattro individui, a’ quali nessun uomo onesto vorrebbe somigliare. E siete voi, o mio Dio, Dio di tutta santità, che avreste scelto simili ministri per riformare la Chiesa, la vostra sposa, e insegnare agli uomini la verità e la virtù? Lo creda chi vuole!

Nelle sue cagioni; eccole: l’orgoglio, l’amore delle ricchezze e de’ piaceri sensuali. « Lutero e Calvino, diceva Federico re di Prussia, protestante e filosofo, erano due miserabili ». Non bisogna pensare, soggiunge un altro scrittore, che i settari del sedicesimo secolo fossero vasti intelletti: no, i capi-setta sono come gli ambasciatori, fra’ quali spesso riescono meglio gli spiriti mediocri, purché le condizioni che offrono sieno vantaggiose. La sete de’ beni ecclesiastici fu il principale stimolo della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore della novità; in Inghilterra l’amore della dissolutezza.

Nel suo dogma. Il Simbolo de’ Protestanti si riduce ad un solo articolo: Io credo tutto quello che voglio. – Infatti, il principio fondamentale, unico, universale del protestantesimo, si è che ogni individuo deve cercare la propria religione nella Bibbia, né deve ammettere se non ciò che vi trova egli stesso, non già un altro. Il protestantismo dunque dice ai popoli nel presentare loro la Bibbia: «La verità, tutta la verità si contiene in questo libro. Ma che cos’è la verità? Che cos’è il Cristianesimo? Nol so, risponde, e tocca a voi a cercarlo nella Bibbia ». Cercate dunque voi tutti, uomini, donne, fanciulli, dotti e ignoranti, cercate. Ora ditemi: trovate voi nella Bibbia il mistero della Trinità? Vi credete? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Credete voi alla divinità di Gesù Cristo? voi siete cristiano. Non vi credete? Voi siete cristiano. Credete voi alle pene eterne? voi siete cristiano. Non vi credete? voi siete cristiano. Quali che siano le vostre opinioni, tosto che voi pretendete trovarle nella Bibbia, tanto basta, e voi siete cristiano. Tuttavia ciò che voi credete, altri lo negano; ciò che a voi sembra vero, ad altri sembra falso. Chi di voi ha ragione? Inutile il chiederlo; rimanete soltanto tranquilli nella vostra incertezza, e assicuratevi che si può esser buon cristiano senza sapere ciò che bisogna credere per esser cristiano. Tale è, alla lettera, la dottrina del pròtestantismo. Ora, che ne avvenne? Accadde che sorsero tra i protestanti tante religioni quanti individui. L’uno credè trovare nella Bibbia che cinque sono i Sacramenti; l’altro che son quattro; quegli due; questi, nessuno; attalché, vivente ancora Lutero, si contavano già tra i suoi discepoli trentaquattro religioni diverse, che si combattevano, che si denigravano, che si anatematizzavano, unite soltanto nel loro odio contro la vera Chiesa. Da quell’epoca le sètte protestanti si sono moltiplicate all’infinito. Ogni giorno ne sorgono delle nuove: nella sola città di Londra e nelle adiacenze se ne contano più di cento 1[Ecco i nomi delle principali (nomi bizzarri al pari de’ loro principii). Anglicani, Collegiani, Facienti, Lacrimanti, Indifferenti, Moltiplicanti, Impeciatiti, Quaccheri, Schakeri , Giumperi, Groanneri, Metodisti, Weslejani, Wifeldiani, Miilenarj, Adamiti, Razionalisti, Generazionisti, Sontostisti, Anabattisti, Adiaforisti, Enslusiasti, Pneumatici, Brownisti , Interimitii , Monnoniti, Berboriti, Calvinisti, Evangelisti, Labadisti, Luterani, Lutero-Calvinisti, Battisti, Lutero-Battisti, Universali-Battisti, Meinseriani, Sabbatariani, Puritani, Armcniani, Sociniani, Zuingliani, Presbiteriani, Anti-Presbiteriani, Lutero-Zuingliani, Calvino-Zuingliani, Osiandriani, Lutero-Osiandriani, Staneriniani, Sincretiniani, Sinerginiani, Ubiquisteni, Pietisti, Bunakeriani, Versecoriani, Latitudinariani, Cecederiani, Burrignoniani, Camisariani, Glassimiani, Sademaniani, Ercionsiniani, Cameroniani, Filistei, Marescialliani, Hopkinsiniani, Necessariani, Edwariani, Priestliani, Relief-Cecedriani, Burgeriani, Anti-Burgeriani, Bereaniani, Ambrosiani, Moravi, Monasteriani, Antimoniani, Anomeani, Munsteriani, Mamilarj, Clancularj, Grubenarj, Staberi, Baeolarj, Nupwrali, Sanguinarj, Confcssionarj, Unitarj, Trinitarj, Anti-Trinitarj, Convulsionarj, Anti-Convulsionarj, Impeccabili, Apostolici, Spirituali, Taciturni, Demoniaci, Piagnoni, Liberi, Concubinarj, Allegri, Rustici, Vasaj. Pastoricidi, Conformisti, Non-Conformisti , Episcopali, Mistici, Coscienziosi, Socialisti, Puiseisti. In tutto 110 (Estratto dall’opera inglese intitolata: La guida per condurre alla verità e alla felicità, pag. 85). – [Non è ella, questa una pagina curiosa da aggiungere alla Storie delle Variazioni?]; e in ciascuna setta le professioni di fede germogliano come le foglie sugli alberi. « La Religione protestante, così scriveva ultimamente un professore protestante, è totalmente disciolta per la moltiplicità delle confessioni e delle sètte che si sono formate durante e dopo la Riforma… Non solamente l’apparenza esteriore della nostra Chiesa ha subito innumerabili suddivisioni, ma ella è anche disunita e divisa interiormente nelle sue massime e nelle sue opinioni ». [Vette: I Protestanti, 1828.]. Un altro scriveva nel 1835. « La Riforma somiglia nelle sue Chiese separate, e nel suo potere spirituale, ad un verme tagliato in piccolissime parti, che tutte si seguitano a muoversi finché conservano una certa vitalità, ma che perdono finalmente a grado a grado il moto e la facoltà del moto che avevano conservata » [Le Chiede cristiane, 1835]. – Un altro aggiunge : « Se Lutero uscisse oggi dalla tomba, gli sarebbe impossibile riconoscere come suoi e perfino come membri della società da lui instituita, quegli apostoli che nella nostra Chiesa sono attualmente riguardati come suoi successori 3 ». [Reinhard, Discorso sulla Chiesa, 1800]. – E un terzo prosegue così: « La disunione de’ Pastori fa nascere nella mente e nel cuore de’ popoli la più grande confusione. Essi ascoltano, essi leggono, ma non sanno più ove sono, né a chi debbono credere, né chi debbono seguire » [Ludke, Ministro]. – La confusione è tale da far esclamare un protestante in un’opera recente, che ei s’impegnava di scrivere su l’unghia del suo pollice le dottrine credute ancora generalmente tra i protestanti [Harms, Ministro a Kiel]. Finalménte un altro conclude: « A forza di riformare e di protestare, il protestantismo si riduce a una fila di zeri senza unità » [Schmaltz, giureconsulto Prussiano]. – E ci si vorrebbe dare il protestantismo per religione! Meglio è dire che col protestantismo si vorrebbe abbattere ogni ombra di religione! Noi non faremo osservare le perpetue inconseguenze de’ protestanti. Essi ricusano qualunque autorità, e di tradizione in materia di religione; or come sanno essi dunque essere la Bibbia un libro divino? Non è forse per l’autorità della tradizione? Se la tradizione sembra loro infallibile quando dice Che la Bibbia viene da Dio, perché nol sarebbe quando insegna loro tutte le altre verità che rigettano? Quando cesserete voi di avere due pesi e due misure? Quando sarete coerenti a voi stessi? Voi osservate la domenica; ma, di grazia, come sapete voi esser questo il giorno del Signore? Forseché noi sapete per tradizione? Perché dunque avete voi abolito le feste? Perché non osservate l’astinenza in quaresima, nelle vigilie, ne’ venerdì e ne’ sabati secondo la tradizione e l’uso antico della Chiesa? E dove avete voi pure imparato se non nella tradizione, che il battesimo per infusione è valido, al paro di altre pratiche che voi riguardate come sacre?

Nella sua morale. Il decalogo de’ protestanti si riduce ad un solo precetto: Tu praticherai tutto ciò che credi. I protestante può praticare ciò che vuole, cioè, tutto ciò che sembra vero alla sua ragione; può dunque fare tutto ciò che vuole, restando sempre protestante e senza che veruno altro prestante possa nulla rimproverargli. Ciò è quanto abbiamo veduto e quanto vediamo anche oggigiorno. Lutero per parte sua stabilì qual fondamento della sua morale che le opere buone sono inutili e anche nocive alla salute; che l’uomo non è che una semplice macchina senza libertà morale, incapace di virtù e vizi. Calvino dice, che l’uomo, una volta giustificato per mezzo della fede, è certo della sua salute, quand’anche si abbandonasse in seguito a tutti i disordini; e Lutero e Calvino pretendevano trovare queste abominevoli massime chiaramente nella Bibbia! – Gli Anabattisti alla loro volta dicevano. Noi abbiamo trovato nella Bibbia, che per eseguire gli ordini del Cielo, dobbiamo trucidare gli empi e confiscare i loro beni, affine di stabilire un nuovo mondo: e furono infatti veduti con la Bibbia in una mano, una torcia nell’altra e una spada al fianco, bruciare, uccidere, saccheggiare, devastare tutta la Germania. [Vedi le vite di Giovanni di Leida e di Munzer]. – Agli Anabattisti tennero dietro i Familisti, che insegnavano, e sempre a tenore della Bibbia: Che è ben fatto perseverare nel peccato affinché la grazia possa abbondare; in seguito gli Antimoniani i quali apertamente predicarono: Che l’adulterio e l’omicidio ci rendono più santi in terra e più beati in cielo. – Se voi studiate le innumerabili sètte protestanti, troverete non darsi verun precetto di morale che non sia stato negato da qualcuna di loro. Il protestantismo non può, secondo il proprio sistema, dire di alcuna massima morale: A cotesta è necessario d’uniformare la propria condotta; per la ragione ben semplice che non vi è alcun domma del quale ei possa accertare, esser necessario crederlo o soggettarvi la propria ragione. In conclusione, nel modo stesso che il simbolo del protestantismo può ridursi a questo solo articolo: Io credo tutto ciò che mi sembra vero, cosi il suo codice di morale può ristringersi a questo: Io debbo fare tutto ciò che mi sembra buono; Corniola di morale, da cui ogni uomo, qualunque siano le sue passioni, può trarre suo profitto; siccome si accontenterà, qualunque siano i suoi errori, della formula di fede corrispondente.

Nel suo culto. Il culto è l’espressione della fede e della morale; ora, tra i protestanti non vi ha fede, non morale obbligatoria e uniforme; dunque non vi ha né può esservi culto obbligatorio e uniforme. – I1 vuoto della Riforma, per difetto di fede e di amore, si manifesta sensibilmente ne’ suoi templi: essi sono muti, vuoti, squallidi; non vi ha cosa più fredda più melanconica d’un sermone protestante, poiché, dalla continua mobilità delle opinioni emerge la mobilità de’ segni destinati ad esprimerle. Perciò tra i protestanti gli uni riguardano la predica come un atto religioso, gli altri come un atto civile; taluni considerano il battesimo come un rito inutile, tali altri lo stimano necessario. – Ma ecco ciò che sorpassa l’immaginazione. Avendo ultimamente i Luterani e i Calvinisti di Germania formata una riunione, i ministri annunziarono che amministrerebbero la realtà o la figura del corpo di Gesù Cristo nella comunione, secondo la volontà e la credenza di ciascheduno. – Così quando i fedeli si presentavano per ricevere la comunione, i ministri dicevano: Credi tu di ricevere il corpo di Gesù Cristo? si, rispondevano i Luterani: — dunque ricevi il corpo di Gesù Cristo. — Credi tu di ricevere la figura del corpo di Gesù Cristo? sì, rispondevano i Calvinisti: — dunque ricevine la figura. . Che cosa è ciò, se non è sacrilega ciurmerla, ed una pubblica dichiarazione che sull’articolo dell’Eucaristia, come su tutto il resto, e che l’azione più augusta del culto cristiano non è ai suoi occhi che una cerimonia qualunque, di cui nulla più intende? – Vi sarà dunque luogo a meravigliarsi se tanti protestanti mostrano una invincibile ripugnanza per quel culto vuoto di fede? Nullameno quel culto ancor si sostiene; ma come le forme d’un corpo esanime che rimangono ancora qualche tempo dopo che l’anima lo ha abbandonato, e pronte al sopravvenire della putrefazione a dissolversi in polvere.

6° Ne’ suoi effetti. Il protestantismo è la principale cagione di tutte le calamità che hanno oppresso l’Europa da trecento anni [Grozio, famoso protestante, diceva: « Ubicumque invaluere Calvini discipuli, imperia turbavere »]; e lo provano i fatti. Appena ebbero i primi suoi apostoli sparso le loro massime tra il popolo, un vasto incendio divampò in Germania, Svizzera, Francia, Inghilterra, ed una guerra di trent’anni, il sacco di cento mila monasteri, sacri asili della scienza e monumenti della carità de’ nostri avi, la devastazione e lo spogliamene) delle chiese, fiumi di sangue da settentrione a mezzo giorno, delitti inauditi, odii mortali, spergiuri, scandali da fare arrossire la stessa depravazione, furono questi gli effetti immediati del protestantismo! Ed esso sarebbe la verità? « No, dice un famoso empio; la verità non è mai dannosa » [J. J. Rousseau]; ed è questa la miglior prova per noi che il protestantismo non è la verità. – Di questi fatti lacrimevoli la logica inesorabile vien a renderci ragione e a porli a carico eh’ riformatori del secolo decimosesto. Che cos’è infatti il protestantismo agli occhi dell’osservatore imparziale? Un invito energico alle grandi passioni, che nelle diverse epoche della storia hanno sovvertito il mondo! « L’appetito dei beni ecclesiastici, dice un autore non sospetto, fu il principal motore della Riforma in Germania; in Francia fu l’amore di novità: in Inghilterra l’amore impudico». – Che cosa è il protestantismo, se non la deificazione della ragione individuale, e quindi la sanzione del dubbio universale come principio in materia di religione, ed in seguito in tutto il resto? Ora, non vi ha società senza religione, non religione senza credenza; non credenza senza fede, non fede col dritto di dubitare di tutto, vale a dire col protestantismo. Dunque col protestantismo non vi ha religione, e quindi non società, ma rivoluzioni sempre rinascenti e sanguinose catastrofi come ne vediamo nella storia dell’Europa e del mondo da più di tre secoli. – Se pertanto si potè con tutta verità dire di Voltaire, ch’esso non era che un logico del protestantesimo; « Voltaire non ha veduto tutto ciò che ha fatto, ma ha fatto tutto ciò che noi vediamo »; a più forte ragione possiamo dire di Lutero, padre del dubbio: « Lutero non ha veduto tutto il male che ha fatto, ma ha fatto tutto quel male che noi veggiamo ». Andate, ed osservate le nazioni che hanno adottato il protestantismo: da per tutto in presenza dell’orrido caos di opinioni, fra cui sono immerse, e dello spaventevole dubbio che li consuma, la coscienza universale pronunzia contro la Riforma questo tremendo anatema: “Uccidendo la fede, ella ha ucciso il Cristianesimo e la società.” – Lutero, Zuinglio, Calvino, Enrico VIII, voi tutti, che vi arrogaste di proprio capriccio la vostra missione di riformare arbitrariamente la Chiesa, udite quanto avete fatto: Tosto che, rigettando l’autorità cattolica, aveste proclamato l’indipendenza di ciascun individuo in materia di fede, altri riformatori sorsero sotto i vostri occhi stessi per continuare la vostra impresa. Essi riformarono i vostri insegnamenti, come voi riformaste quelli della Chiesa. Voi avevate detto: Noi rigettiamo i tali dommi, perché urtano la nostra ragione; essi hanno detto: Noi rigettiamo tali altri dommi perché la nostra ragione non può ammetterli. Voi avevate domandato loro: Chi siete voi? Ed essi vi hanno domandato alla loro volta: Chi eravate voi per contraddire la Chiesa? A ciò voi non avete potuto rispondere. – Spaventati della stessa opera vostra al suo nascere, ne prevedeste fino d’allora i funesti progressi, scorgeste con terrore nell’avvenire quelle guerre interminabili di opinioni, quella immensa confusione di dottrine, quella graduale distruzione della fede che lasciavate in retaggio alla posterità. Ohimè! i sinistri vostri presentimenti erario ben lungi dall’uguagliare la realtà; voi non avete veduto tutto ciò che avete fatto, ma avete fatto tutto quello che noi vediamo. Appena eravate scesi nel sepolcro, che nuove sètte svegliandosi alla tremenda parola di rivolta che voi avevate proferito, lacerarono i brani della fede da voi risparmiati, e distrussero successivamente tutto il Simbolo della Religione, fino a tanto che finalmente i vostri ultimi discepoli sono giunti al punto di rinnegare la divinità stessa di Gesù Cristo; e questa solenne apostasia che avrebbe strappato alla Riforma un grido d’indignazione, s’ella fosse stata tuttora cristiana, è stata ratificata dallo scandalo del suo silenzio. Allora tutto è stato per lei consumato; l’opera del protestantismo è giunta al suo termine, e nulla più le rimane da riformare nel Cristianesimo, dappoiché finalmente è scesa a riformare lo stesso Dio. Ed ecco qual è la Religione, che oggi per tante vie si tenta propagare![Ma mons. Gaume ha avuto la fortuna di non conoscere la peste nera del modernismo ecumenico dei marrani, somma vergognosa di incredibili ed assurde eresie, alle quali i falsi prelati del post-conciliabolo si sono rapidamente assoggettati senza difficoltà, pur di mantenere le poro prebende, gli onori, le ricchezze e giustificare i vizi impuri che li caratterizzano- ndr.-].

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di averci fatti nascere nel grembo della vera Chiesa ; fateci grazia che la consoliamo con la santità della nostra condotta. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso per amore di Dio, e in prova di questo amore, io pregherò spesso per la conversione degli eretici [… e dei blasfemi modernisti – ndr. – ].