TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (13)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (13)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 – Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa – Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur:Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO DECIMOPRIMO

I DONI DELLO SPIRITO SANTO

Per santa Teresa tutta la vita spirituale faceva capo ai doni dello Spirito Santo. Secondo lei ne erano come le facoltà. Tutti i disordini della vita spirituale li attribuiva ad una incomprensione o a una mancanza dei doni dello Spirito Santo; mentre tutta la perfezione della vita spirituale era, a suo parere, effetto dei doni dello Spirito Santo. Dal punto di vista della vita mistica, dal quale la considerava, aveva ragione. – La grazia è Dio che viene in noi, rendendoci soprannaturalmente conformi alle esigenze della Sua presenza. In primo piano, che è quello dei Vangeli sinottici e di san Paolo, la grazia è Cristo che ci unisce a Sé per mezzo del Suo Spirito Santo, ci rende conformi alle Sue disposizioni, ai Suoi sentimenti, e ci fa partecipare alle Sue virtù e ai Suoi misteri. – Nel secondo piano, che è più specialmente quello di san Giovanni e dei Padri greci, la grazia è la Trinità Santa, Padre, Figlio di Dio fatto uomo e Spirito Santo, che si stabilisce nell’anima nostra. Lo Spirito che viene dal Padre per il Figlio di Dio, Verbo incarnato, ci unisce prima di tutto al Verbo di Dio fatto uomo e, per mezzo del Verbo, al Padre. Unendoci al Verbo di Dio fatto uomo, ci rende conformi alla Sua santa umanità e ci trasforma spiritualmente. Così il Padre ed il Figlio operando più specialmente per lo Spirito, creano in noi tutta una vita nuova, soprannaturale che, per agire, dispone di virtù soprannaturali e dei doni dello Spirito Santo. Che cosa sono i doni dello Spirito Santo?

1.

Dio interviene nell’anima nostra in moltissimi modi che si possono tuttavia ridurre a due principali. O Dio interviene in noi piegandosi in qualche modo alla nostra maniera umana di agire, quasi umanizzandosi. Ci fa pensare, volere ed amare mediante le virtù teologali di fede, speranza e carità. Fa sì che conformiamo la nostra volontà alla Sua santa volontà per mezzo delle grandi virtù morali di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Queste sono forme umane di attività. In tutti questi casi l’anima nostra si muove veramente ed è mossa. La parte di Dio e quella dell’uomo sono quasi eguali. Tuttavia, si può dire che l’anima nostra piuttosto che essere mossa, si muove. Anima est movens potius quam mota, scrisse san Tommaso; è l’ascesi cristiana o la vita ascetica. Oppure Dio interviene in noi, ma questa volta in maniera nettamente superiore al nostro modo umano di agire. Illumina, agisce con noi, in noi, ci attira, ma in modo che ci sorpassa interamente. E come un’invasione dello Spirito Santo nell’anima nostra. Egli ci piega al Suo modo divino di agire.In tutti questi casi, l’anima sicuramente si muove quanto può. Ma molto più è mossa da Dio e trasportata da Lui. Anima est movens ac mota, sed est potius mota. Essa è più passiva che attiva; più governata da Dio che da se stessa; più abbandonata a Lui e da Lui trascinata che intenta a cooperare alla grazia divina. Un esempio della vita mistica che colpisce, è ciò che avvenne nell’anima degli Apostoli il giorno della Pentecoste, quando ebbero ricevuto lo Spirito Santo; furono trasportati, trascinati da una luce viva e ardente. E Pietro alzandola voce disse alla folla che rimase conquisa: «Quel Gesù che avete messo a morte, è il Messia annunziato dai profeti, atteso da Israele. È il Figlio di Dio fatto uomo. Avete commesso il più abominevole delitto. Fate penitenza per il vostro peccato»; È la mistica cristiana o la vita mistica. Essa è una perfezione della vita ascetica. È la vita ascetica ma divenuta più viva, più ardente, più divinizzata. Ora i doni dello Spirito Santo sono come le facoltà della vita mistica. Di qui, questa definizione dei doni dello Spirito Santo: sono degli abiti soprannaturali che dànno alle nostre facoltà soprannaturali, alle virtù, una tale pieghevolezza per l’azione, una tale facilità e prontezza che corrispondono e obbediscono prestissimo e con slancio ai minimi impulsi della grazia. – Così i doni dello Spirito Santo sono nettamente degli abiti soprannaturali, cioè delle maniere soprannaturali di agire, e non delle abitudini preternaturali, ossia dei compimenti della nostra natura, destinati a perfezionarla nel suo ordine, in vista tuttavia dell’ordine soprannaturale. Quindi, nonostante i doni soprannaturali dello Spirito Santo, la sofferenza dimora nell’anima nostra. Essa proviene dalla disproporzione che esiste e che noi sentiamo tra la nostra natura e la grazia. Avverrà che lo sviluppo dei doni soprannaturali sarà pure occasione di una sofferenza ancor più viva. L’anima, come perduta in Dio per la grazia, è costretta a trascinare un corpo di peccato, soffre di tale situazione ma questa sofferenza contribuisce alla sua maggiore santificazione. Di più, come lo fa benissimo osservare san Tommaso, i doni dello Spirito Santo sono delle potenze attive, attive il più possibile, ma che richiedono sempre un potere di recettività ad accogliere doni in abbondanza sempre più grande. Questa recettività è tanto più grande quanto i doni sono più perfetti. Del resto, è così di tutte le grazie che ci sono date su questa terra. Esse sono ad un tempo potenze attive e potenze recettive, tanto più recettive, quanto più sono attive (Summa theol. 1-II, q. 68; II-II, qq. 8, 52.- Le traîtè du Saint-Esprit de saint Basile, introduzione, testo e traduzione del P. B. PRUCHE, Collezione « Sources chrètiennes », Editions du Cerf, 1947. – JEAN DE SAINT-r-THOMAS, Les dons du Saint-Esprit, traduzione R. MARITAIN).

2.

Si vede subito l’eccellenza dei doni dello Spirito Santo. Per mezzo di questi doni, soprattutto quando sono stati elevati ad un grado altissimo, l’anima è trascinata in Dio, si muove in Dio, non agisce che per divino impulso. Essa vede tutto in Dio, gli avvenimenti, gli uomini e le cose. Comprende il mistero di Dio nel mondo, quanto lo si può comprendere su questa terra. Soprattutto, il mistero di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, nostro Redentore, nostro Salvatore, Sacerdote della Nuova Legge. Essa comprende il Cristo nella sua vita evangelica, nella Sua vita eucaristica, nella Sua vita nelle anime per lo Spirito Santo e nello Spirito Santo. Un amore ardente la unisce a Cristo, da nulla può separarla, né la vita, né l’intenso lavoro, né le tribolazioni, né le sofferenze. E questa carità ardente accresce ancora la sua penetrazione dei misteri. Una oscurità continua certamente ad avvolgerli. Ma la nube che ondeggia, dà già l’impressine che stia per dileguarsi. Tuttavia non scomparirà che al momento della nostra morte. L’anima così elevata dai doni dello Spirito Santo vede chiaramente il disegno di Dio sopra di lei e la sua vocazione particolare. Essa sa e sente di essere nello stato, nell’ambiente voluto per lei da Dio. Si sente nella propria via, nella via che Dio le ha tracciata. Perciò, ama questa via, questo ambiente, sia pure un ambiente di fatiche e di tribolazioni, di febbre intellettuale o di attività eccessiva, di azione personale o sociale. Come vede chiaro in se stessa,  vede con chiarezza nell’anima degli altri, e sa dare i consigli adatti al loro bene temporale e alla eterna salvezza. – Una forza irresistibile la trasporta o la trascina. Nessuna difficoltà la spaventa, alcuna lotta l’arresta. Non ha rispetto umano, né timore di critiche, e quando la voce di Dio le ha tracciato il dovere, è la marcia in avanti, franca e leale. Nessun timore di dispiacere agli uomini, neppure a parenti ed amici. E nonostante, nessuno sgarbo né durezza. Nessun compromesso coi partiti opposti per timori di perdere vantaggi temporali o la propria dignità. Nessuna fermata sul posto, oppure quel far due passi avanti seguiti quasi sempre almeno da un passo indietro. Scrivendo questioni controverse, non frasi incerte nelle quali l’affermazione è sempre accompagnata da qualche riserva di negazione. Non lesinerie. Non di quei volti che, sotto pretesto di un bene maggiore, ossia di carità ed anche di amicizia, soffiano, sul conto vostro, con eguale facilità il caldo e il freddo. È meglio non aver amici, che averne di simile tempra. Non è vero? Una lotta intensa contro tutto ciò che è male. Perseveranza, costanza, tenacia. Un solo timore, ma questo proviene da un amore grande, profondo ed intero, il timore di dispiacere a Dio, il timore del minimo peccato. Esso si accompagna ad una pietà filiale per Dio Padre, per Dio Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, per Dio Spirito Santo; a una pietà dolce e tenera per la santa Eucarestia, a una pietà di venerazione e di azione di grazie per i santi Angeli e specialmente per l’Angelo Custode; a una pietà di amico per i santi, a una pietà di bimbo per la Santa Vergine. È questa la superiorità che i doni dello Spirito Santo conferiscono. Ne risulta una grandezza e una bellezza morale che attirano tutti coloro che ne sono testimoni, li soggiogano, li conquidono. Alla luce di questa dottrina si comprende l’anima dei santi. Si comprende per esempio l’anima di una santa Teresa di Avila, che fu favorita dei doni dello Spirito Santo al più alto grado. Essa va, corre per la sua via. È ammirabile nella contemplazione quanto nell’azione. Trova nella contemplazione tutta la forza per agire e soffrire. Essa è come perduta in Dio e nei Suoi misteri, soprattutto nel mistero di Dio fatto uomo in Gesù Cristo; mediante una intuizione che sboccia nell’amore. Resta però stupendamente pratica; essa è pratica alla maniera di Dio, occupandosi dei minimi, particolari delle sue fondazioni, delle sue comunità, dei suoi monasteri. Si comprende l’anima di una santa Giovanna d’Arco che, anche lei, aveva ricevuto i doni dello Spirito Santo in tutta la pienezza. Essa ha continuamente lo sguardo dell’anima rivolto a Gesù, nostro Salvatore, e a Maria, Sua Madre. Trova, in questa contemplazione, la luce che le mostra la via da seguire, le detta le parole da dire; la forza che la sostiene nei combattimenti, nelle prove, sul rogo.

3.

Ecco come Isaia descrive la venuta dello Spirito Santo nell’anima del Messia:

Un germoglio spunterà dalla radice di Iesse,

un fiore verrà su da questa radice.

Sopra di Lui si riposerà lo Spirito del Signore,

spirito di sapienza e d’intelletto,

spirito di consiglio e di fortezza,

spirito di scienza e di timor di Dio (Is. XI, 1-2).

Così lo Spirito di Dio verrà nell’anima del Messia e gli comunicherà la pienezza dei doni che gli occorrono pet il compimento dell’opera Sua. La tradizione biblica ha sdoppiato il dono del timor di Dio in quelli del timor di Dio e di pietà. Questi due doni corrispondono ad una medesima realtà spirituale. Essi possono essere uniti e separati.

Di qui i sette doni dello Spirito Santo. I doni del Messia saranno pure, con le dovute proporzioni, doni di tutti coloro che appartengono al Messia. Quindi possiamo studiarli applicandoli a tutti i Cristiani. Non perderemo mai di vista la somiglianza tipica che stabiliscono tra Cristo e i Cristiani. –  La teologia è stata portata a fare una distinzione fra i doni intellettuali che sono quelli di scienza e d’intelletto, di sapienza e di consiglio, e i doni affettivi, cioè quelli di fortezza, di timor di Dio e di pietà. È questo l’ordine che seguiremo. – Il dono della scienza di Dio, non è né la scienza della natura, né la filosofia e neppure la teologia. È quella scienza dei santi che faceva loro vedere tutte le cose e soprattutto le creature umane in Dio. Essa s’ispira a quella dottrina che, per i santi. non è soltanto speculativa, ma sommamente pratica. Nel mondo, Dio è dappertutto: lo sostiene con la Sua potenza, lo dirige con la Sua Provvidenza. Se Dio si ritirasse dal mondo, il mondo ricadrebbe nel nulla. Nella misura in cui, per le nostre colpe, lo costringiamo ad allontanarsi da noi, conduciamo una vita meschina, è il disordine ed il male. – Questa presenza fisica è unita alla presenza di amicizia, alla presenza di grazia per mezzo della quale Dio ci rende conformi a Sé nel profondo del nostro essere, per abitare nell’anima nostra; ci illumina con la luce della fede, ci eleva verso di Lui con la speranza; ci unisce a Sé con l’amore; ad agire secondo la Sua volontà per mezzo di tutta un insieme di virtù morali. Si comprende, come sotto una tale luce, il mondo appaia in una realtà concreta che colpisce, conquide tutto l’essere umano, diventa ispiratrice dei suoi giudizi sopra tutte le cose, delle sue azioni e imprime una direzione di vita. Un san Francesco di Assisi vede Dio ovunque nella natura. Lo adora, lo ringrazia, si offre a Lui, lo invoca con tutta l’anima: non vive che di Lui. Se nei poveri che mi circondano, non vedessi che la creatura umana, con le sue miserie fisiche e morali, come me ne allontanerei, scrive san Vincenzo de’ Paoli. Ma perché in essi, vedo il mio Dio, vado a loro con tutta l’anima e con tutti i miei mezzi. Li amo tanto più, quanto maggiormente sono infelici, perché in essi vedo ed amo il mio Dio. Nella creatura umana san Francesco di Sales invitava a scorgere l’uomo totale, cioè l’uomo in Dio. Se qualcuno dice che ama Dio, e non ama il prossimo e non si sacrifica per esso, costui mentisce, come ha detto l’Apostolo san Giovanni. Nella natura, santa Teresa di Lisieux non vedeva direttamente Dio, come san Francesco di Assisi, ma dei simboli che le ricordavano Dio, i suoi misteri, la sua azione nelle anime. Nei petali delle rose che brillano al mattino e che la brezza della sera fa cadere e il vento trasporta lontano, ella vede l’immagine dell’anima che lascia la terra e se ne vola a Dio. Nella pratolina che si dischiude al sorgere del giorno, scopre il simbolo dell’anima che si apre alla grazia, o dell’ostia santa che si offre alle nostre adorazioni. Nell’allodola che cantando dispiega il volo verso il cielo, scorge il simbolo della religiosa che canta o salmeggia l’Uffizio divino per adorare Dio, ringraziarlo, offrirsi a Lui, pregarlo. — Al di là di tutte le teste di fanciulli o di giovani che giocano, lavorano, o sono semplicemente vicini a me, mi diceva M. Esquerrè, ammirabile direttore di Opere, mi applico di continuo a vedere la persona di Gesù, mio Salvatore che è unita a loro. E la vista del mio Salvatore ispira tutta la mia condotta, detta ogni mia parola, mi sostiene nel lavoro, nelle fatiche, nelle pene. Ai suoi ragazzi, diceva volentieri le parole dell’Apostolo che faceva sue, e furono il suo testamento: « Tanto teneramente vi amiamo che bramiamo donarvi non solo il Vangelo di Dio, ma anche la nostra stessa vita » (1 Tess. II, 8). – Così è tutta una sorgente di vita nuova, fatta di luce, di energia, di generosità, di coraggio, che il dono di scienza apre nell’anima di colui che lo possiede. E tutta questa vita si esercita nell’ordine, nel dominio di sé, in una delicatezza squisita, perché si ha continuamente il sentimento netto e vivissimo che, negli esseri creati che noi consideriamo, troviamo Dio, amato con passione. La contemplazione è l’atto nel quale si concentra tutta la vita mistica. San Tommaso l’ha definita: « Intuitio veritatis quæ terminatur ad affectum »: una intuizione della verità, della verità divina, rivelata, che termina e sboccia nell’amore ». Ora, è facile comprendere che della contemplazione così intesa, il dono di scienza è una mirabile facoltà, anzi si sarebbe anche inclinati a dire che ne è l’unica facoltà. E ciò perché il dono di scienza di Dio, contiene già tutti gli altri doni. Del resto è così di ogni dono dello Spirito Santo che, in realtà, molto spesso, non si può discernere se non da qualche nota particolare che dipende soprattutto dal carattere di colui nel quale viene studiato. – Il dono d’intelletto deve intendersi, nel senso etimologico della parola intelligere, intus legere. Mediante il lume soprannaturale che esso comunica, colui che lo possiede, legge, vede. Vede il Salvatore attraverso i testi evangelici, nella vita dei santi, in quella della Chiesa, secondo la misura in cui lo si può vedere. Perciò quando ne parla, o scrive di Lui, la sua parola, il suo stile assumono l’accento di una testimonianza, e non solamente quello di una relazione, di un racconto storico. Si conosce la differenza che esiste tra l’accento di un testimone e quello di un semplice storico. Il primo afferra, conquide, soggioga, il secondo non può che più o meno interessare. — Il dono d’intelletto conferisce pure una penetrazione viva e approfondita non tanto delle ragioni che stabiliscono il dogma, quanto dello stesso dogma. È una specie d’intuizione delle divine realtà espresse dal dogma, quanto tali realtà possono essere conosciute in questo mondo, e che suggerisce quelle formule semplici e brevi, singolarmente espressive, che si trovano sia sulle labbra dei semplici fedeli, come nell’insegnamento e negli scritti dei teologi contemplativi, per esempio di un san Giovanni Crisostomo, di un san Bernardo, di un san Bonaventura, di un Thomassin. – Nella piccola chiesa di Ars il santo curato ha notato uno dei suoi parrocchiani, formato senza dubbio dalla sua dottrina e dai suoi esempi. Ogni pomeriggio è in Chiesa, in ginocchio, con gli occhi fissi sul tabernacolo. Che cosa fate dunque così? gli chiese. Ed egli rispose queste semplici parole, additando il suo Salvatore: “Lo guardo ed Egli mi guarda”. Questo parrocchiano di Ars possedeva il dono d’intelletto in grado molto elevato. Come il dono d’intelletto, quello di sapienza deve intendersi nel senso etimologico della parola latina sapere che lo esprime e che significa provare gusto per…, gusto, cioè compiacenza, attrattiva, amore. Il dono di sapienza è il dono d’intuire Dio e i Suoi misteri mediante l’amore, è l’intuizione per mezzo del cuore. Tutte le nostre cognizioni sono prese in prestito dalle cose create. Quindi, quando le applichiamo a Dio e ai Suoi misteri, ci è necessario riferirle a Lui e purificarle. Ma per quanto riferite a Lui e purificate, sono sempre relative alle cose create. Non esprimono che imperfettamente Dio e i Suoi misteri. Non potrebbe essere altrimenti. Anche se vi è qualche somiglianza, vi sono sempre delle differenze. Esse sono, come si suol dire, analogiche. Ora non è così dell’intuizione di Dio mediante la carità ed il cuore. Senza dubbio questa intuizione è inesprimibile, o l’espressione ne sarà sempre confusa; ma è diretta. È in questo modo che il dono di sapienza permette d’intuire Dio e i Suoi misteri. Prima di tutto applica l’intelletto ad approfondirne tutti i dati, a trasporne e purificarne sempre più le espressioni intellettuali e verbali. Ne critica facilmente tutti i tentativi, suggerendo delle osservazioni semplici ma decisive: non è così, non è così. Talmente che colui il quale possiede nel medesimo tempo il dono d’intelletto e quello di sapienza non sarà mai soddisfatto del proprio pensiero. Proverà un vero tormento per la disproporzione fra il suo pensiero e la realtà. Non si racconta forse che san Tommaso, dopo aver composto la Somma theologica voleva bruciarla tanto la trovava imperfetta? Così l’intuizione per mezzo del cuore applica innanzi tutto il pensiero ad una più grande penetrazione dell’oggetto che esso considera. Ma inoltre intuisce Dio e i Suoi misteri direttamente e con certezza, e trova in tale intuizione una gioia ineffabile. – Un uomo di buon consiglio è colui che sa dire a chi lo interroga, lo scopo della vita che deve perseguire o, se lo scopo è già conosciuto, sa indicare i mezzi che bisogna prendere, la via da seguire per raggiungere tale scopo. Un uomo di buon consiglio ha l’arte di essere oggettivo. Se possiede una grande esperienza della vita, sa spogliarla di tutto ciò che potrebbe avere di partito preso, di teorie, di quelle vedute personali e del tutto soggettive, che talvolta rendono le persone anziane, insopportabili ai giovani, quando si mettono a invocare la propria esperienza. L’esperienza nell’uomo di buon consiglio, non fa che perfezionare, in lui, l’arte di essere oggettivo. Poi egli non ha che una preoccupazione cioè il bene degli altri, il loro maggior bene. Nessun interesse personale, né quello di piacere ad una terza persona con la quale ci si sarebbe già consigliati o che avrebbe raccomandato le proprie vedute. Ecco l’uomo di buon consiglio. Trasponiamo ed eleviamo il più possibile questo piano di vita e avremo un’idea esatta del dono di consiglio. Colui che ha ricevuto il dono di consiglio è l’uomo che abbiamo descritto. Ma il suo pensiero è interamente impregnato di una luce divina che accentua, sviluppa, in lui, il lume naturale. Il Curato di Ars, per esempio possedeva eminentemente questo dono di buon consiglio. A tal punto da poter dire di lui che sembrava leggete nelle anime. A tutti, a tutte, indicava lo scopo da raggiungere, la via da seguire. Una giovane gli chiede se deve entrare in religione: le consiglia il matrimonio. Un’altra gli parla di un prossimo matrimonio: le consiglia di entrare in religione. Un tale confessandosi, non accusa che colpe leggere. « Sta bene, gli dice, ma bisognerebbe soprattutto accusare questo peccato grave ». Un giovane diacono lo interroga e gli parla del suo progetto di entrare nella Compagnia di Gesù: « È diacono, amico mio, gli dice il santo Curato: ah! è diacono. Mi creda: ami molto la Santissima Eucarestia ». Il giovane diacono se ne va, un po’ sconcertato di questa direzione che egli giudica assai spicciativa. In seguito ho avuto occasione d’incontrare il diacono di allora, quando, ottuagenario, terminava la sua vita in una Società di Sacerdoti secolari, ove la sua più grande applicazione era sempre stata di far meglio conoscere ed amare il Santissimo Sacramento. « Mai, mi disse, ho ricevuto una direzione più illuminata, né più opportuna ». Sono questi i doni intellettuali dello Spirito Santo. I doni di scienza e d’intelletto, sono sviluppi della virtù della fede e più ancora dello spirito di fede. Il dono di sapienza, è uno sviluppo della virtù della carità. Quanto al dono del consiglio, lo è della virtù morale di prudenza. Ci restano da esaminare i doni affettivi dello Spirito Santo, il dono di fortezza che è uno sviluppo della virtù di fortezza; i doni del timor di Dio e della pietà che sono sviluppi della virtù di religione.

4.

La fortezza è una virtù morale soprannaturale che rende più salda la nostra volontà nella ricerca del bene soprannaturale che, senza dubbio, si ottiene difficilmente, ma nel quale è ancor più difficile perseverare e crescere. La fortezza rinvigorisce la nostra volontà comunicandole quel vigore soprannaturale che le permetterà di non lasciarsi turbare, né scoraggiare o paralizzare moralmente da tutti quei timori che nell’anima nostra, vengono ogni giorno ad opporsi all’adempimento del nostro dovere di stato. La fortezza rende pure ferma la nostra volontà dandole quel vigore soprannaturale che le permetterà di non lasciarsi trascinare da folli audacie. Così la fortezza esercita sulla nostra volontà un duplice influsso: è per essa un appoggio ed un freno. Est probibitiva timoris et moderativa audaciarum. Con la grazia della rigenerazione battesimale, la fortezza è data al battezzato per metterlo in condizione di non cedere sia al timore delle difficoltà della vita, che all’apprensione delle lotte da sostenere: Horror difficultatis et labor certaminis. Tale fortezza è accompagnata da una comunicazione dei doni dello Spirito Santo, ma specialmente del dono di fortezza, soprattutto nell’adulto che dovrà impegnare la lotta, fin dall’ingresso nella nuova vita. – La grazia di forza, è la grazia sacramentale che riceve il cresimato e che gli permette di non lasciarsi vincere dalla potenza del peccato che è nel mondo, cedendo al peccato o lasciandosi scoraggiare da esso, e gli consente invece di vincere il peccato operando il bene in sé e attorno a sé. Al cresimato si addice la parola d’ordine dell’Apostolo: Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. XII, 2). Il cresimato riceve la fortezza che gli permetterà anche di lottare contro tutte le forme di rispetto umano, la paura della critica e degli uomini peccatori, fossero anche suoi amici. Più che il neo battezzato, il cresimato riceve i doni dello Spirito Santo, in proporzione è vero delle sue disposizioni, e questi doni gli permetteranno di diventare un Cristiano di vera e soda maturità. Egli riceve specialmente, ma sempre nella misura delle sue disposizioni, il dono di fortezza che farà di lui un lottatore, preparato ed armato per i combattimenti della vita. – Al Diacono che riceve già il sacramento dell’Ordine, molto più che al battezzato e al cresimato, sono comunicati in abbondanza i doni dello Spirito Santo. Ed è in particolare, una larga partecipazione a quella fortezza di cui è stato rivestito il Salvatore, Sommo Sacerdote, per lottare contro il peccato e la morte, per vincere il peccato e la morte. In realtà i doni dello Spirito Santo sono comunicati al Cristiano nella recezione fruttuosa di ogni sacramento, e ad ogni nuova venuta della grazia nell’anima sua. Lo Spirito Santo viene in lui non soltanto per condurlo con la grazia comune, ma per trascinarlo per mezzo dei doni, e sempre maggiormente, verso il Figlio unico di Dio fatto uomo, e per Lui, verso il Padre. Se egli resta inerte nel peccato o nella mediocrità, la responsabilità e la colpa sono interamente sue.  – Il dono del timor di Dio procede contemporaneamente dall’altissima idea che mediante la fede, ci formiamo di Dio e delle cose di Dio, e dal grande amore che abbiamo per Iddio e per tutto ciò che direttamente a Lui si riferisce. Niente nel timor di Dio, di ciò che sarebbe paura, turbamento, avversione. Invece, una vista di Dio che ispira infinito rispetto, amore profondo e vivo, compiacenza infinita e somma attrattiva. Nei rapporti con Dio, nella maniera di trattare con Lui, l’anima sarà piena di premura, di dedizione e metterà tutto ciò che ha di migliore e di più perfetto. Attenzione e applicazione nelle preghiere, sforzo per penetrarne il significato reale e liturgico, un contegno esterno irreprensibile, il più degno che possa essere. Ricordiamo il giorno della nostra Prima Comunione. Con quale fede, amore e delicatezza squisita, ci siamo accostati alla Santissima Eucarestia. Con quale sincerità, semplicità e amabilità abbiamo detto a Gesù Ostia: « Gesù ti adoro e ti amo. Prendimi perché sia tuo per sempre». Quel giorno il dono del timore di Dio era in noi. – La devozione conferisce alla vita cristiana slancio, generosità, applicazione sostenuta. nella preghiera, negli esercizi, nel lavoro. Alla devozione, la pietà aggiunse una nota di particolare confidenza, di cordialità, semplicità, spontaneità. Penetriamo col pensiero in una famiglia e consideriamo, il modo di agire di un padre e di una madre rispetto ai figli, oppure dei figli rispetto ai loro genitori. È la pietà materna; la pietà filiale. Trasponiamo ed eleviamo sul piano spirituale questo modo di agire riferendolo alle nostre relazioni con Dio, nostro Padre; col Verbo Incarnato, nostro Salvatore; con lo Spirito Santo, nostro santificatore. Avremo l’idea della vera pietà. Colui che non ha avuto e non ha sentito la pietà filiale potrà difficilmente formarsi l’idea della pietà cristiana. Trasponiamo ed eleviamo ancora, ed avremo l’idea esatta del dono di pietà. Come si vede il dono di pietà può confondersi con quello del timor di Dio, come pure è permesso distinguerli. L’uno e l’altro sono uno sviluppo della virtù di religione, la quale può sempre procedere da una grande fede e da un grande amor di Dio.

5.

Ogni volta che, essendo in istato di grazia, facciamo il bene, religioso o profano, compiamo una opera meritoria che ci conferisce uno stretto diritto a ricevere muove grazie, cioè una nuova venuta dello Spirito Santo, che accentua le precedenti, con una grazia santificante più abbondante e diritti a ricevere da Dio soccorsi soprannaturali. Possiamo così andare di merito in merito, di grado in grado, fino a una santità sempre più elevata. È ciò che si chiama il merito nel vero senso della parola, il merito propriamente detto. Ora la vita mistica e i doni dello Spirito Santo, che ne sono le facoltà, sfuggono a questo merito. Però non ne concludiamo che la vita mistica non ci è data e i doni dello Spirito Santo non ci sono stati accordati, oppure che la vita mistica e i doni dello Spirito Santo ci sono comunicati con parsimonia. In realtà, o a titolo di merito di semplice convenienza, Dio, nella Sua infinita liberalità, ci accorda la vita mistica e i doni dello Spirito Santo, quando facciamo il bene, soprattutto in certi giorni, nei quali vi mettiamo maggiore buona volontà, più applicazione, dedizione, generosità. In quei giorni abbiamo l’impressione di una grazia che ci prende, ci trascina, ci rallegra o mette nell’anima nostra una grande calma e una pace profonda. Abbiamo il sentimento di Dio in noi e diciamo: Quanto è buono Dio! oppure: Quanto è dolce stare qui! È la vita mistica, almeno ai suoi inizi, coi doni dello Spirito Santo. –  Una riserva tuttavia s’impone. Dio non accorda la comunicazione della vita mistica e dei doni dello Spirito Santo con grande pienezza se non a certe  anime privilegiate da Lui chiamate ad una più grande santità, come i martiri, i confessori, le vergini, oppure ad alcune anime che Egli ha destinate ad esercitare nella società un’azione di primo piano, alle quali ha affidato una specie di missione. Tali sono i grandi missionari, i fondatori o le fondatrici di Ordini religiosi. – Si vede tutta l’attività mirabile, potente e molteplice, pieghevole quanto varia, che i doni dello Spirito Santo conferiscono o possono conferire a quelli che li ricevono. Possono nondimeno esercitarsi nell’anima nostra, prima che sia stata elevata alla vita mistica. Ed è senza dubbio in questo modo che operano nella maggior parte degli adulti che ricevono il battesimo, nei giovani cresimati, in moltissime anime sante. – La vita mistica consiste essenzialmente nella contemplazione, che può essere solo agl’inizi, ed in seguito andare di progresso in progresso fino a raggiungere i massimi sviluppi. Senza dubbio i doni dello Spirito Santo la invocano. Ma, ancora una volta, non la esigono. Quando l’anima in istato di grazia ha raggiunto la contemplazione e vi si è sviluppata, allora i doni dello Spirito Santo, le sue facoltà, si dispiegano in tutta la loro ampiezza, in tutta la loro multiformità e la bellezza santa dell’azione che le caratterizza. – La vita mistica, lo abbiamo notato, sfugge al merito propriamente detto. Ma è data da Dio con liberalità alle anime che fanno il bene, soprattutto nei giorni di maggiore santità. Il modo di ottenere che venga data con più grande abbondanza, è corrispondere con slancio, prima ai doni dello Spirito Santo, poi alla vita mistica che essi invocano. In maniera generale, è mettersi coraggiosamente alla pratica della vita ascetica, come santa Teresa c’invita a farlo. Facciamo del nostro meglio corrispondendo fedelmente alla grazia comune che ci è data; nella Sua sapienza e liberalità infinita, Dio ci accorderà il resto per sovrappiù.

CONCLUSIONE

«Piego le ginocchia dinanzi a Dio Padre da cui ogni famiglia umana e nei cieli e sulla terra prende nome, e gli chiedo che vi mandi lo Spirito Santo, acciò questo divino Spirito vi radichi, per la fede, nel Nostro Signor Gesù Cristo, e riempia il vostro cuore di carità per il nostro adorato Maestro, affinché tutti, penetrati dalla carità del Cristo per voi, possiate conoscere quale ne sia la lunghezza e la larghezza, cioè l’universalità, quale l’altezza e la profondità, cioè l’infinita perfezione, e perché vi circondi tutti individualmente, col suo ardente amore, con quell’amore che sorpassa tutto ciò che la scienza umana, sia pur penetrante può afferrarne, e quanto l’umana intelligenza, sia pur potente, può comprenderne. » E così tutti uniti al Cristo per mezzo di una fede viva, una carità perfetta, un ardente amore, e questo, per lo Spirito che viene dal Padre, per il Figlio, e che ci trascina verso il Padre, per il Figlio, vivere, per voi, sia Cristo. Abbiatelo nello spirito, nel cuore e nelle mani cioè, diventate nel mondo, delle copie vive e fedeli di Lui… ». – Lo Spirito Santo, il « Divino Sconosciuto! » diceva un illustre Vescovo francese dell’inizio del nostro secolo, Mgr. Dupanloup. Questa parola è stata notata e spesso citata. Infatti, lo Spirito Santo è il «Divino Sconosciuto ». Ci muoviamo in Lui, naturalmente e soprannaturalmente. La liturgia Lo celebra nei suoi inni al termine di ciascun salmo che ci fa cantare o recitare. E nonostante lo Spirito Santo resta il « Divino Sconosciuto ». Se ne parla poco; non s’invoca abbastanza; la teologia stessa è troppo muta a suo riguardo. Questo libro è stato scritto per cercar di colmare tale lacuna. L’autore ringrazia lo Spirito Santo di aver permesso che al termine della sua vita, potesse offrirgli questa testimonianza di teologia dogmatica. A tutti coloro che ha conosciuti e sui quali ha esercitato il suo pensiero, la sua azione, questa parola d’ordine che è nel medesimo tempo un regolamento di vita: Al Padre, per il Figlio, nello Spirito. –

* * * *

Al termine di questo « Trattato dello Spirito Santo », cerchiamo di comprendere a fondo, per ammirarla, adorarla e ispirarne tutta la nostra vita, la relazione stretta, intima, profonda che esiste fra lo Spirito Santo e la Santissima Eucarestia. Dopo aver istituito la vita soprannaturale, il nostro divino Salvatore, nell’esaltazione del Suo amore per noi, pensa a istituire un pane che sarà il nutrimento di questa vita. La vita soprannaturale è Lui stesso, il Verbo generato dal Padre, da cui procede lo Spirito, per il quale, col quale, nel quale viene in noi per vivificarci. Il pane, è ancora Lui stesso, Verbo di Dio fatto uomo, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, che vuol essere nutrimento e bevanda di questa vita. Questo strettissimo legame che esiste tra lo Spirito Santo e l’Eucarestia non si spiega che con l’amore infinito del nostro Salvatore per noi, secondo queste parole dell’Apostolo san Giovanni: Cum dilexisset suos qui erant în mundo, în finem dilexit eos (Joan. XIII, 1). – I protestanti non hanno compreso ciò che l’Eucarestia recava alla presenza spirituale del Salvatore sulla terra, come non hanno capito quel che il Sacrificio eucaristico aggiungeva al Sacrificio della croce. Non hanno compreso che molto imperfettamente tutto l’amore del Salvatore per noi. Errore di persone intellettuali, che hanno capito solo una parte dell’opera di Cristo. La presenza reale e la Comunione al corpo e al sangue di Cristo procedono dall’amore infinito del Verbo di Dio fatto uomo. L’amore del Cristo che, nonostante hanno sempre avuto e conservano, vivo e profondo, avrebbe dovuto e dovrebbe condurli o ricondurli alla presenza reale e alla Comunione sacramentale. Sarebbe questo l’accordo tanto desiderato fra tutti i Cristiani. I protestanti si stupiscono del nostro amore ardente per il Cristo. La spiegazione è nell’Eucarestia. Abbiamo la vita nel Cristo, e, mediante l’Eucarestia, abbiamo il nutrimento normale di questa vita. Essi, anche se hanno la vita nel Cristo, sono privi del normale nutrimento. Di qui, la loro anemia spirituale, la loro. debolezza. Così, il nostro Salvatore, prima di lasciarci, ci ha detto:

« Nunc relinquo mundum et vado ad Patrem (Joan. XVI, 28).

Sed non relinquam vos orphanos. Et iterum venio ad vos (Joan. XIV, 18 ).

Venio ad vos per Spiritum, cum Spiritu, în Spiritu (cfr. passim).

Hoc est corpus meum hic est calix sanguinis mei (Mt. XXVI, 26; Mc. XIV, 22; Lc. XXII, 19). Adesso io lascio il mondo e vado al Padre mio. — Ma non vi lascerò orfani. Torno a voi. Torno a voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito; ciò che significa: vivo in voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito. — Il nutrimento di questa vita sono Io stesso. È il mio corpo, il mio sangue: è la mia Eucarestia »; queste tre grandi affermazioni del nostro Salvatore sono, secondo noi, inseparabili e unite da una relazione molto stretta, intima e profonda; esse dicono tutta la vita spirituale che il Cristo continua sulla terra; ne mostrano tutta la grandezza, la bellezza, la potenza santificante. È il nostro dogma, la nostra fede. Nulla è più operante di una tale fede, quando è ben stabilita nello spirito e nel cuore.

F I N E

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa: Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur :Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO DECIMO

L’ABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME GIUSTE

Secondo il Vangelo di san Giovanni, la grazia è la vita stessa di Cristo che comincia, quaggiù, in colui che riceve il Battesimo, e si sviluppa in esso durante tutta la sua esistenza terrena (Joan, cc. II e VI). La perfezione di tale vita è nell’amore di Dio (Joan. Cc. XIV, XV, XVI). Il Cristo comunica questa vita mandando il Suo Spirito, cioè lo Spirito Santo (Joan. C. XVI). Questa dottrina del Vangelo secondo san Giovanni, è pure quella delle lettere di san Paolo, poiché per lui la perfezione cristiana consiste nell’imitare Cristo, vivendo della Sua stessa vita (Gal. II, 19-20; Filipp. 1, 21). Questa vita, è lo Spirito di Cristo, cioè lo Spirito Santo che la stabilisce e la sviluppa in ciascuno di noi. Per questo, Egli viene ad abitare in noi (Rom, V, 5; 8, XI-14; I Cor. III, 16; VI, 17, 19). Che se uno non ha lo Spirito Santo, egli non è cristiano (Rom. VIII, 9). Così, secondo la dottrina del Nuovo Testamento, la grazia santificante consiste nella comunicazione della vita stessa di Cristo, fatta dallo Spirito di Cristo,. che per creare tale disposizione, viene realmente ad abitare in noi. Ora, tutti i Padri greci spiegano la grazia santificante nella medesima maniera. Le conclusioni alle quali essi giungono, sembrano non essere che il risultato di una lunga meditazione, fatta sopra il Vangelo di san Giovanni e le lettere di san Paolo. Essi considerano sempre la grazia in modo concreto, cioè vedono in essa lo Spirito di Nostro Signore che trasforma l’anima del fedele. Perciò nella loro dottrina si riconosce senza difficoltà che la grazia consiste in un duplice dono: un dono increato che è la Persona dello Spirito Santo, unitamente con le due altre Persone, e un dono creato, che è l’insieme delle disposizioni che lo Spirito Santo produce in noi. Per mettere un po’ d’ordine in questa lezione, esamineremo prima di tutto il compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione, e quindi ciò che lo Spirito Santo opera in ciascuno di noi.

1.

Consideriamo prima di tutto il compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione. I Padri greci riavvicinano sempre il dogma della grazia a quello della Santissima Trinità. Nella loro teologia il mistero della grazia segue immediatamente il mistero della Santissima Trinità. È in qualche modo il prolungamento della vita divina nel tempo e nello spazio: è la vita trinitaria che viene nell’uomo. Così, è necessario ricordare innanzi tutto come i Padri greci concepiscono il dogma della Santissima Trinità. Ciò che essi vedono prima di tutto in Dio, sono le tre Persone: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Queste tre Persone sono unite in un rapporto così stretto che non possono essere l’una senza l’altra. Il Padre infatti non è nient’altro se non Colui che genera il Figlio. Il Figlio non è niente altro se non Colui che è generato dal Padre. Dal Padre, in quanto genera il Figlio, e dal Figlio, in quanto è generato dal Padre, risulta o procede necessariamente lo Spirito Santo. – La vita divina o la Santissima Trinità, è dunque una sola e medesima vita, infinita, che è riconcentrata in tre focolari particolarmente intensi. È un movimento che parte dal Padre per terminare allo Spirito Santo, passando dal Figlio. Ma questo movimento non si arresta allo Spirito Santo: ritorna al Padre passando per il Figlio. Questa relazione attiva di una Persona all’altra, tale che ciascuna Persona chiama le altre due mentre se ne distingue, περικώρησις [= pericoresis] o circumsessio, costituisce la vita divina o la Trinità. Tuttavia è necessario notare, con la massima cura, che se tutte le opere che si compiono al di fuori della vita divina sono fatte dallo Spirito Santo, sono egualmente compiute dalle altre due Persone. Lo Spirito Santo, infatti, non è nient’altro se non Colui che procede dal Padre per il Figlio e che ritorna al Padre per il Figlio. Perciò, nelle opere che sono fatte, non è lo Spirito Santo che agisce ad esclusione delle altre Persone; l’azione è fatta dallo Spirito Santo che procede dal Padre per il Figlio; è dunque tutta la Trinità Santa che agisce. Se l’operazione è attribuita più specialmente allo Spirito Santo, ciò avviene perché lo Spirito Santo è il termine della vita divina. Tale è il compito dello Spirito Santo in tutte le opere esteriori della Santissima Trinità. Ma in qual mondo esso compie questa missione, quando si tratta della santificazione delle anime? Secondo i Padri greci, lo Spirito Santo santifica le anime dandosi a loro, cioè unendosi ad esse, come un profumo viene ad unirsi e ad associarsi a un altro profumo. La sostanza fondamentale della grazia, ὕλη [= ule] – dice Origene – è la Persona stessa dello Spirito Santo (Comm. in Jo. T. 2,62; P. G. 14, 129). Didimo (De Spiritu Sancto, 4; P.G. 39, 1035), san Basilio (Adv. Eunom. L 5; P. G. 29 772), e soprattutto san Cirillo. Alessandrino (De Trinit. dial. 7; P.G. 75, 1085), che è stato soprannominato il Dottore della grazia santificante, parlano nel medesimo modo. Ed è per questo che lo Spirito viene da essi chiamato il Dono, e questo nome indica non soltanto la grazia prodotta, cioè l’effetto, ma anche la causa stessa, cioè la Persona dello Spirito Santo. Così lo Spirito Santo santifica le anime per il fatto che è loro dato, e dato personalmente. Tuttavia, siccome lo Spirito Santo non può essere senza il Figlio, che è generato dal Padre, con lo Spirito Santo, anche il Padre ed il Figlio vengono nell’anima nostra; tutta la Trinità viene in noi, L’inabitazione, diciamo almeno nel nostro povero linguaggio, l’inabitazione passiva, appartiene. egualmente alle tre Persone. L’atto dell’inabitazione o l’inabitazione attiva, sola, sembra appartenere specialmente allo Spirito Santo, in questo senso che, essendo Egli la terza Persona della Trinità santa, termine della vita divina, se la Trinità agisce in noi per inabitare in noi, sarà specialmente per mezzo dello Spirito Santo che questa inabitazione avrà luogo. Così, nel mistero dell’Incarnazione, come indicano abbastanza chiaramente i testi (La Vergine Maria interroga l’ Arcangelo Gabriele che le ha proposto il mistero dell’Incarnazione. E l’Angelo le risponde: « Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà » – Lc. 1, 35), solo il Verbo di Dio si unisce ipostaticamente alla nostra natura umana; ma l’Incarnazione, l’atto d’incarnare, è opera specialmente dello Spirito Santo, termine della vita divina. Di qui questa definizione, audace forse, ma giusta, della grazia santificante. La grazia santificante è la Santissima Trinità, che abita in noi, per opera dello Spirito Santo, e conforma l’anima nostra all’anima santa del nostro Maestro e Signore Gesù, mediante l’azione incessante del Santo divino Spirito. Se adesso si chiede ai Padri greci perché la santificazione si compie mediante la comunicazione dell’augusta Trinità, per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito, la ragione che essi ne danno è l’amore di Dio per gli uomini. Dio ha tanto amato gli uomini che ha voluto comunicarsi ad essi (Cfr. BASILIO, De Spiritu Sancto, 39; P.G. 30, 140). Questa chiara visione, nella gloria, fa la felicità degli eletti. L’idea che ne è senza dubbio data ai dannati, ne forma l’infelicità; essi comprendono che la loro vita si è sviluppata in opposizione al piano di Dio sul mondo, interamente ispirato dall’amore infinito del nostro Dio per gli uomini.  – Vediamo adesso ciò che lo Spirito Santo opera nell’anima che Egli santifica.  Quanto precede, mostra che, nella santificazione, tutta la Trinità viene ad abitare nell’anima giusta.  Però l’inabitazione attiva è più specialmente opera dello Spirito Santo. Ma l’azione più particolare del divino Spirito non si arresta a questo semplice compito. Didimo chiama lo Spirito Santo il sigillo del Figlio. La Sua missione, soggiunge è di fissare in noi l’impronta del Figlio, e sotto il nome di Figlio intende il Verbo Incarnato (De Spiritu Sancto, 22; P. G. 39, 1052). Sant’Atanasio tiene il medesimo linguaggio (Ad Serapion, 3, 3; P. G. 25, 630). Dio, scrive san Cirillo Alessandrino, ci fa partecipare alla Sua natura, mostrandoci il suo Santo Spirito. Questo divino Spirito ci rende partecipi della natura divina, rendendoci conformi al Figlio e dandoci così il diritto di essere chiamati figli di Dio e dèi noi stessi (De Trinit. dial. 7; P.G. 75, 1098). Così l’operazione dello Spirito Santo quando viene ad abitare in noi, è imprimere nell’anima nostra l’impronta del Figlio e renderci conformi o simili al Figlio, cioè al Verbo Incarnato (Cfr. Th. De Regnon, Ètudes sur la Sainte Trinité, XXVI, pagg. 484-485.).. – Qual è il senso di tale espressione? Mentre il Verbo si univa ipostaticamente alla Sua umanità, la santificava. Ma questa santificazione Egli la compiva per mezzo dello Spirito Santo che procede da Lui, nel medesimo tempo che dal Padre. Questo divino Spirito creava così nell’anima del Salvatore tutte le disposizioni soprannaturali che essa era suscettibile di ricevere. Tali disposizioni si riducono tutte al più perfetto amore di Dio Padre e al più assoluto distacco dai beni di questo mondo. L’anima umana del Salvatore così trasformata era trasportata dal medesimo movimento vitale, che è quello che costituisce lo Spirito Santo. Essa era dunque portata interamente al Verbo e, per il Verbo, al Padre. Ora, volendo santificare l’uomo, il Cristo, o il Verbo Incarnato, segue un procedimento esattamente simile. Il principio santificatore immediato è sempre lo Spirito Santo. Questo divino Spirito produce nell’anima del discepolo, delle disposizioni simili a quelle che realizzò nell’anima del Maestro. In seguito a tale trasformazione l’anima del discepolo, come l’anima del Maestro, è trasportata dal medesimo movimento vitale, che è quello che costituisce lo Spirito Santo. Essa è dunque trascinata interamente verso il Verbo Incarnato e, per il Verbo Incarnato, verso il Padre, e completamente ricondotta prima al Figlio e, per il Figlio, al Padre. – In tal modo il Cristiano è, secondo il linguaggio di san Giovanni e di san Paolo, colui che vive di una vita che è la stessa vita di Gesù. Da un lato infatti lo Spirito che santifica l’anima umana di Gesù è anche quello che trasforma l’anima del Cristiano; dall’altro, lo Spirito di Gesù, santificando l’anima del fedele, non ha altro scopo che realizzarvi le disposizioni di unione a Dio e di rinuncia che Egli produce in tutta la pienezza nell’anima di Gesù (Mons. Gay, Della Vita e delle Virtù cristiane, t. II, Della carità, pagg. 247 e segg.). – Allora ci si può fare un’idea di una semplice creatura giunta alla più alta santità. La Trinità intera abita in quest’anima. Ma lo Spirito Santo che procede dal Padre, per il Verbo Incarnato, ne intraprende la santificazione. Questo divino Spirito la santifica in tutta la pienezza, cioè nella misura in cui può essere santificata. Ora lo Spirito Santo è il medesimo Spirito che santifica l’anima santa di Gesù. Per conseguenza tutta la vita divina che vivifica l’anima del fedele, è la vita stessa di Gesù. Siccome questa comunicazione avviene nel modo più perfetto possibile, è Gesù che vive nell’anima del Suo discepolo. In maniera più esplicita, è Gesù vivente nel Suo discepolo, col Suo Spirito di santità, con la pienezza della Sua potenza, la perfezione delle Sue vie, la comunicazione dei Suoi divini misteri. Assai più, è anche il fedele vivente in Gesù. Infatti, come lo Spirito Santo viene dal Padre per il Figlio, così ritorna al Padre per il Figlio; tale è l’ordine della vita divina. Perciò l’anima del fedele, interamente trasformata dallo Spirito che viene dal Padre per il Figlio, ritorna, nel movimento della più affettuosa contemplazione, verso il Figlio e, per Esso, verso il Padre. Ed è innanzi tutto sul Figlio unico del Padre, incarnato nel tempo per salvare tutti gli uomini, che si posa lo sguardo di questa felice creatura. Tutta la vita divina che la anima e la trasforma le viene dunque da Gesù e la riconduce a Gesù. Tale è la dottrina della teologia greca sul compito dello Spirito Santo nella nostra santificazione, e sull’effetto di grazia che opera in ciascuno di noi. Essa ha il grande vantaggio di darci, della grazia santificante, un’idea facile a comprendersi. La grazia è pienamente realizzata nell’anima santa del Cristo. Noi siamo invitati ad imitare il nostro modello, abbandonandoci allo Spirito che Egli ci manda (Vedere le nostre Lecons de théologie dogmatique, t. II, L’homme, III parte, La gràce, cap. II, art. 11, La gràce justifiante, § 1, che riproduciamo, completandole, meno l’erudizione). – Secondo le indicazioni di J.J. Olier, il pittore Lebrun ha disegnato e dipinto una specie di schema teologico, per illustrare tale dottrina. Una colomba, simbolo dello Spirito Santo, posa sul petto della Vergine Maria, mostrando che la Santissima Vergine possiede, in tutta la pienezza, lo Spirito che viene dal Figlio. Mediante l’azione di questo divino Spirito, Maria è interamente trasformata; Ella è in qualche modo divinizzata. Ma questo movimento della vita divina che la anima ed altro non è se non lo Spirito Santo, che crea e mantiene in Lei una nuova vita, come viene dal Padre per il Figlio, così ritorna al Padre per il Figlio. Infatti Maria, nell’atteggiamento di una contemplazione infinitamente beata, guarda il monogramma di Gesù Cristo, JHS (Jesus hominum Salvator), che simboleggia il Verbo incarnato, per mezzo del quale Ella va al Padre.

(Sant’Ambrogio e sant’Agostino conobbero la dottrina dei Padri greci e seppero ispirarsene. Anch’essi videro, nella grazia, un duplice dono: un dono increato che è tutta la Santissima Trinità, e un dono creato che è ciò che lo Spirito Santo opera nell’anima. Cfr. Agostino, De Trinit. 1. 15, 46; P.L. 42, 1093. A poco a poco le controversie pelagiane abituarono gli spiriti a considerare nella grazia giustificante prima di tutto la grazia creata, ossia l’opera dello Spirito Santo, considerata in modo astratto. Fu studiata e analizzata appellandosi, per far questo, alla filosofia aristotelica. Tale dottrina ricevette, al tempo di san Tommaso d’Aquino, grazie all’intervento di questo santo Dottore, uno sviluppo notevole. Vedere le nostre Lecons de théologie dogmatique, t. II – L’homme, 1 parte: La grace, cap. III, art. 11: La grace justifiant § 2. Nei secoli seguenti la teologia speculativa si volse interamente da questo lato al punto di trascurare lo studio dello Spirito Santo, lo studio del dono increato. La teologia spirituale, almeno quella che non si era lasciata trascinare nello studio del dono creato, continua a studiare lo Spirito Santo. Essa reagisce con forza, nella teologia dei Padri dell’Oratorio, sotto l’impulso del Cardinale De Berulle, de P. de Condren e di Jean-Jeaques Olier. Cfr. soprattutto Cathéchisme chrétien, 1 parte, lezione I; II parte, lezione V).

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (13)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia: Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa – Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur: Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO NONO

LE MISSIONI DELLO SPIRITO SANTO

La teologia dà, della missione divina, questa definizione e questa classificazione. La missione divina è: Processio unius personæ divinæ ab alia, quatenus concipitur relationem habere ad terminum temporalem.La missione divina implica così una duplice relazione,quella della Persona che è mandata alla personaoppure alle altre due Persone congiunte che mandano;quella della persona che è mandata alla creaturaverso la quale essa è mandata.La missione è visibile o invisibile, secondo cheessa è o non è accompagnata da un segno esterno.La missione dello Spirito Santo nell’anima che Egli santifica è ordinariamente invisibile; quella dello Spirito Santo sull’anima degli Apostoli il giorno di Pentecoste, fu visibile. Questa missione visibile o non fa che manifestare un effetto della grazia già prodotto, ed essa in tal caso è detta puramente rappresentativa, per esempio, lo Spirito Santo che appare sotto forma di colomba, al Battesimo del Salvatore; oppure questa missione visibile ha anche per effetto di produrre la grazia e allora è detta rappresentativa e attiva. Di più, la missione è detta accidentale o sostanziale, cioè ipostatica, secondo che essa ha per termini l’unione del tutto accidentale delle Persone divine coll’uomo, oppure l’unione ipostatica di una Persona divina, cioè la Persona del Verbo, con la nostra natura umana. – Tale definizione della missione divina, che può sembrare astratta ma che in realtà è una conclusione dei fatti rivelati, e questa classificazione che essa riceve, ci guideranno.

1.

Dio creò l’uomo, non perché vivesse solo, e molto meno perché vivesse in opposizione col suo Dio. Dio creò l’uomo perché vivesse col suo Dio come un amico vive col proprio amico, in una grande intimità, destinata a divenire sempre più perfetta ed intima. In origine, fu così. Per vivere coll’uomo nella più grande intimità, Dio lo aveva costituito nello stato di giustizia originale; elevato allo stato di grazia e perfezionato nella sua natura umana. Ma Dio volle che l’uomo restasse libero di amare il suo Dio o di non amarlo, di corrispondere al suo destino o di non corrispondervi. Ed è questa la spiegazione della nostra deplorevole storia. Abusando della propria libertà, l’uomo disobbedì a Dio, ricusando così di riconoscerlo come suo Signore e aggiungendo alla sua disobbedienza la più abominevole ingratitudine, Dio punì l’uomo ritirandosi da lui e privandolo della grazia di cui lo aveva colmato. Gli fece prender coscienza della gravità della sua colpa e dell’abominazione della sua ingratitudine. Lo avrebbe lasciato in questo stato? La misericordia infinita di Dio ebbe il sopravvento. – Il libro del Genesi ci riferisce tutte queste cose in maniera figurata. Rivolgendosi al tentatore, cioè al demonio che aveva spinto la prima donna al peccato, Dio gli disse: « Perché hai fatto questo, una donna verrà e ti schiaccerà il capo, e invano cercherai di morderle il calcagno ». Tutta la Tradizione ha visto, in questo testo, che considera come il Protovangelo, come il riscontro del Vangelo di san Luca, l’annunzio del Messia Redentore e Salvatore. Tale annunzio è la prima missione dello Spirito Santo. Tutta la storia del popolo d’Israele è dominata dalla speranza e dall’attesa del Messia. Questa speranza è mantenuta dalle Missioni dello Spirito Santo. Poi, ecco i profeti. Illuminati, condotti dallo Spirito Santo, annunziano il Messia, Redentore e Salvatore. Giungono fino a predire il tempo, il luogo ove nascerà, la nobile povertà che sarà tutta la Sua ricchezza, tutta la santità di cui vorrà circondarsi. La Vergine Maria nasce a Nazaret. È tutta santa, tutta bella, immacolata nella Sua Concezione. Trascorre la Sua giovinezza quasi interamente nel Tempio. All’età di tre anni sceglie il Signore quale porzione della Sua eredità: si consacra a Dio; non amerà che Lui, non servirà che Lui, sarà interamente sua, senza riserva, senza divisione. Così vuole lo Spirito Santo che la illumina, la ispira, la guida in ogni suo passo, mediante l’insigne missione che Egli compie. Ecco l’Arcangelo Gabriele, il mandato di Dio, che le dice: « Salute, o piena di grazia, il Signore è teco. Benedetta tu fra le donne! » E siccome la Santissima Vergine si turba: «Non temere, Maria, prosegue l’Angelo; perché hai trovato grazia presso Dio; ecco tu concepirai nel seno e partorirai un Figlio, e gli potrai nome Gesù. Questi sarà  grande e sarà chiamato Figlio dell’Altissimo; e il Signore Dio gli darà il trono di David, suo padre; e regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe; e il suo regno non avrà mai fine ». Allora Maria dice: « Come avverrà questo ? » E l’Angelo risponde: « Lo Spirito Santo scenderà in te e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà, per questo il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio» Maria esclama allora: « Ecco l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola ». Il Figlio di Dio si fa uomo nel seno della Santissima Vergine Maria, per opera dello Spirito Santo. È contemporaneamente la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo, e la grande missione dello Spirito Santo. E siccome sono unite in una misteriosa unità, bisogna dire che è la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo, che Egli compie pet mezzo della grande missione dello Spirito Santo. Quanto alla vita della Vergine Santa, che adempie qui ad un tempo la divina missione di Sposa dello Spirito Santo e di madre, secondo la carne, del Figlio unico di Dio, sarà quel che è sempre stata, fin dall’inizio, una missione continua dello Spirito Santo. Così comincia la grande missione del Figlio unico di Dio nel mondo. Concepito di Spirito Santo, nasce dalla Santissima Vergine Maria. Il Dio Bambino è adorato dagli Angeli, dai pastori, dai Magi. A dodici anni, è a Gerusalemme, nel tempio in mezzo ai Dottori, che lo interrogano e ammirano la sapienza delle Sue risposte. Lo Spirito Santo è visibilmente in Lui: è lo Spirito Santo che parla per bocca Sua. Giovanni Battista sulle rive del Giordano annunzia la venuta di Colui che battezzerà nello Spirito Santo e nel fuoco. E nel momento in cui Gesù riceveva il battesimo da Giovanni, il cielo si apre, lo Spirito Santo scende sopra di Lui, sotto forma di colomba e una voce si fa udire: « Ecco il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto; ascoltatelo ». È una missione dello Spirito Santo, solo rappresentativa, per significare che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. – La missione del Figlio di Dio fatto uomo si afferma sempre più, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Gesù sceglie i Suoi Apostoli; pronunzia il sermone sulla montagna, codice del Vangelo; moltiplica i miracoli. Giovanni Battista è stato da poco decapitato per ordine di Erode del quale aveva denunziato la cattiva condotta. Le inquietudini del tiranno hanno per oggetto Gesù. Ma Gesù continua la Sua missione, senza farne caso, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo. Ecco l’istituzione della Santissima Eucarestia e quindi, al Getsemani, l’agonia. Poi, il tradimento di Giuda, la Passione, il Calvario, la crocifissione, la sepoltura. Quindi la risurrezione per lo Spirito Santo. Il mattino del primo giorno della settimana seguente, è l’apparizione di Gesù risorto alla Maddalena. La sera del medesimo giorno, mentre i discepoli erano radunati nel Cenacolo, Gesù venne, e presentandosi in mezzo a loro, disse: « Pace a voi!» Dopo aver parlato così, mostrò loro le mani e il costato. I discepoli furono pieni di gioia vedendo il Signore. Egli disse loro una seconda volta: « Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’Io mando voi ». Dopo queste parole alitò sopra di loro dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo. Saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete e ritenuti a chiunque li riterrete ». Questo soffio è simbolo della comunicazione ancora parziale, dello Spirito Santo, che riceveranno in tutta la pienezza il giorno della Pentecoste (Gv. XX, 19-23). Sono le missioni divine. La missione centrale. la missione del Figlio di Dio fatto uomo, venuto in questo mondo per salvare e riscattare tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato. Tutte le missioni dello Spirito Santo si riferiscono alla missione del Figlio di Dio fatto uomo. Esse sono tutte, come si suol dire, ordinate alla missione del Figlio di Dio fatto uomo, per annunziarla, prepararla, realizzarla effettuarla, compierla. – Allora si può fare una domanda ed è stata fatta Che cosa sarebbe avvenuto delle missioni divine se in origine, non vi fosse stato il peccato? Per quanto è possibile giudicarne, se non fosse stato commesso il peccato originale il Verbo di Dio si sarebbe incarnato lo stesso, il Padre avrebbe egualmente mandato il Suo Figlio in mezzo agli uomini. Egli sarebbe venuto non per salvarli, né  per riscattarli, ma per santificarli, divinizzarli maggiormente, renderli sempre più simili a Sé, senza che avessero. bisogno per questo, di passare dall’esperienza del male e del peccato, per vivere con loro, Lui in essi, essi in Lui, nella più grande amicizia, un’amicizia perfetta, profondissima, molto stretta. – Dio ha creato l’uomo, abbiamo detto all’inizio di questa Lezione, non perché vivesse solo, e molto meno perché vivesse in opposizione con Dio. Dio ha creato l’uomo perché vivesse col suo Dio come un amico vive col proprio amico nella più grande e più viva amicizia. Così il Verbo di Dio si sarebbe incarnato, nella pienezza dei tempi, assumendo la nostra natura umana, ma impassibile e immortale. Tutte le cose sarebbero state annunziate, preparate, realizzate, continuate, compiute attraverso le missioni dello Spirito Santo. Ci saremmo mossi nel piano di una santificazione, di una divinizzazione del mondo, per mezzo della missione del Verbo Incarnato, che si sarebbe compiuta mediante le missioni dello Spirito Santo, per lo Spirito, con lo Spirito, nello Spirito. Se alle origini non vi fosse stata la colpa, le missioni divine avrebbero avuto luogo, ma secondo un altro piano. – Aspettiamo la vita eterna per darci alla meditazione di tutte le grandezze, e torniamo al nostro soggetto.

2.

Dopo aver studiato nella loro profonda unità le missioni del Figlio unico di Dio, che continua nel tempo e nell’eternità, e le missioni dello Spirito Santo che la circondano, ci sarà possibile studiare separatamente, diciamo astrattamente, le missioni dello Spirito Santo? Il Verbo di Dio, generato dal Padre da tutta l’eternità, è presente con la Sua umanità glorificata nel cielo, in mezzo agli eletti, dei quali forma la gioia e la gloria. Ma il Verbo di Dio, generato dal Padre di tutta l’eternità, vuole pure abitare in ogni anima riscattata con la Sua Passione e Morte. E le ha riscattate tutte senza eccezione. Per renderle degne di ciò, non cessa di mandar loro il Suo Spirito Santo, che le illumina, le invita al pentimento delle proprie colpe le santifica e, una volta santificate, le aiuta a santificarsi maggiormente. Di qui, l’attività immensa prodigiosa, infinita, delle missioni dello Spitito Santo. Questa attività santificante è la proprietà dello Spirito Santo? – L’Incarnazione è la proprietà del Figlio unico di Dio. Solo il Figlio unico di Dio, solo il Verbo eterno del Padre si è fatto uomo. Se il Padre e lo Spirito Santo dimorano nella santa umanità del Salvatore, soltanto il Verbo si è unito sostanzialmente, cioè ipostaticamente, a questa umanità e l’ha fatta Sua. La santificazione delle anime è anch’essa, in un certo senso, la proprietà dello Spirito Santo? – Un teologo eminente, il P. Petau, lo ha affermato. Egli fa della santificazione delle anime una funzione talmente speciale dello Spirito Santo, che assume tutti i caratteri di una proprietà. « Sic, in homine justo, tres utique Personae habitant. Sed solus Spiritus Sanctus quasi forma est sanctificans, et adoptivam reddens, sui communicatione, filium. Senza dubbio nell’uomo giusto abitano le tre divine Persone, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Ma solo lo Spirito Santo è come la forma che fa, dell’uomo giusto, il figlio adottivo di Dio » (De Trinitate, 1. VIII, c. VI, 8). – Non si faccia dire al P. Petau ciò che non ha mai detto o scritto. Secondo lui, come secondo tutti i teologi, l’unione della Trinità santa con l’anima giusta non può essere che una unione accidentale. Ma, egli afferma, è l’unione speciale dello Spirito Santo con l’anima giusta che fa dell’uomo giusto il figlio adottivo di Dio. Petau afferma che tale dottrina è proprio la dottrina dei Padri greci. In verità la dottrina dei Padri greci ci sembra ad un tempo molto più semplice e luminosa. Essi affermano che lo Spirito Santo è più specialmente il principio della nostra santificazione perché, nella rivelazione che ci è stata fatta del mistero di Dio, lo Spirito Santo è il termine della vita divina, è in qualche modo la Persona divina volta verso gli uomini e, per conseguenza, il principio immediato di tutte le opere ad extra, Colui per mezzo del quale il Padre ed il Figlio, il Padre per il Figlio, intervengono. Nell’opera della nostra santificazione, il Padre ed il Figlio agiscono egualmente, ma per mezzo dello Spirito Santo. I teologi della Scolastica non hanno mai potuto risolversi a dire che la santificazione delle anime sia un attributo più speciale dello Spirito Santo. Per essi la santificazione delle anime appartiene alle tre Persone, al medesimo titolo. È vero, dicono, che nella Sacra Scrittura, la santificazione delle anime è sempre attribuita allo Spirito Santo; ma ciò è a motivo della relazione che esiste tra questa operazione e il nome personale o distintivo dello Spirito Santo. Si tratta di un’attribuzione fondata sopra una semplice appropriazione. Coraggio, un po’ di audacia! Lo Spirito Santo lo vuole!

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (12)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (10)

TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO OTTAVO

LO SPIRITO SANTO PROCEDE DAL PADRE PER IL FIGLIO

Amico lettore, aguzza bene la tua mente per renderla il più possibile penetrante. Vorrei qui esporti e farti comprendere, un poco, il mistero della vita divina e, in questa vita divina, vorrei farti afferrare il mistero della processione dello Spirito Santo. Per maggior semplicità e chiarezza, procederò sotto forma di Lezione, come in un corso.

1.

Cominciamo dall’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se egli giunge a concepirsi il più perfettamente possibile, non è per questo diviso: resta uno. Tuttavia, in esso vi è come lo spirito-padre del pensiero e questo medesimo concetto, che è come il pensiero-figlio dello spirito. Ma ben presto lo spirito che si conosce e si contempla nel concetto che si è formato di se stesso, si sente attratto verso questo pensiero da un movimento di compiacenza e di amore. Supponiamo un istante che tale pensiero, invece di essere fuggevole, inconsistente, si sia potuto elevare a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se stesso: si volgerebbe spontaneamente con compiacenza ed amore verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultato misterioso di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo. Giungeremmo di colpo all’idea più elevata che noi uomini ci possiamo formare della Santissima Trinità.

2.

Riprendiamo la nostra analisi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, di esprimersi e dire se stesso, nel medesimo tempo che concepisce, esprime e dice gli oggetti esterni. Manteniamo solamente questo verbo: che esso dice. In tale dottrina abbiamo bisogno delle parole, sì, della vacuità delle parole, ed anche della loro sonorità, per elevarci spiritualmente alle grandi idee. Così, dunque se il nostro spirito giunge a dire se stesso il più perfettamente possibile, non è per questo, diviso, resta uno. Si possono tuttavia distinguersi in esso:

il principio che dice se stesso: dicens,

l’atto col quale dice se stesso: dictio,

il termine che è detto: dictum.

Questo dictum, secondo la filosofia platonica, a cui evidentemente il Vangelo di san Giovanni s’ispira, per la terminologia, è chiamato in greco λόγος [= logos], ciò che in latino si traduce con la parola verbum, il verbo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio dice se stesso, perfettamente, adeguatamente. Dicendo se stesso così, produce il Suo Verbo. Non è per questo diviso: resta uno. Ma in Lui vi è:

Colui che dice se stesso: Dicens: è Dio Padre;

l’atto col quale Dio Padre dice se stesso dictio: è la generazione eterna del Figlio, del Verbo;

Colui che è detto: Dictum seu Verbum; è il Figlio di Dio, il Verbo eterno del Padre.

Così Dio Padre è la sostanza divina che dice se

stessa. Dio Figlio, Dio Verbo, è la sostanza divina che è detta. Questa dictio del Padre al Figlio, quando Gli dice: Tu sei mio Figlio: oggi ti ho generato, è la generazione eterna del Figlio, del Verbo. Di qui non solo la solitudine, ma l’identità della sostanza del Padre e del Figlio, la loro consustanzialità.

3.

Torniamo all’analisi di noi stessi.

L’atto proprio del nostro spirito è di concepirsi, mentre concepisce gli oggetti esterni. Se esso giunge a concepire se stesso il più perfettamente possibile non è per questo diviso, resta uno. Tuttavia in esso vi è lo spirito che si concepisce e il concetto che di se stesso si fa. Poi vi è l’atto della concezione. – Di qui derivano questi termini di « principio che concepisce », di « concezione », di « concetto », che s’incontrano in tutte le filosofie, e sono stati presi in prestito dalla generazione umana. Usiamo tali termini e cerchiamo, con essi, di afferrare il pensiero divino che racchiudono. – La generazione viene definita: Productio viventis a vivente conjuncto ad efformandam naturam specifice similem, vi productionis. Vi è generazione, quando mediante la comunicazione della propria sostanza, un vivente produce un altro vivente, che gli è specificamente simile, di una similitudine che risulta dalla produzione stessa. È ciò che avviene quando noi pensiamo. Il nostro spirito esprime se stesso più o meno completamente, E, come lo indica la parola, questa espressione è simile allo spirito che esprime se stesso. Inoltre, essa è della medesima natura spirituale. Poi, la similitudine risulta dalla stessa conoscenza. Quindi è con ragione che nell’analisi che noi facciamo del nostro pensiero, parliamo dell’intelletto come di un principio che concepisce, del pensiero come di un concetto, e chiamiamo « concezione » l’atto di pensare.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità Dio si pensa. Dio si concepisce. E si concepisce perfettamente. Di qui, similitudine tra il principio che si pensa e il concetto che Egli si fa di se stesso. Tale similitudine viene dalla comunicazione di tutta la sostanza del principio che si pensa al concetto che di se stesso si fa. Di qui, generazione nel significato trascendente. E veramente il principio che si pensa dev’essere chiamato « Padre »; e il concetto che di se stesso si fa, dev’essere chiamato « Figlio ».

Così la generazione eterna del Verbo è trascendente, e sorpassa tutto ciò che possiamo rappresentarci. Essa non introduce, in Dio, nessuna inferiorità dal Figlio al Padre, come avviene nelle generazioni umane. Il Padre ed il Figlio sono egualmente Dio, sono egualmente il nostro solo vero Dio. Questa generazione è eterna. Essa è, è sempre stata; sempre sarà. Né cessazione o arresto: è una generazione eterna. O mistero del nostro Dio!

4.

Torniamo ancora una volta all’analisi di noi stessi.

Ma tosto, lo spirito che conosce se stesso e si contempla, nel concetto che di sé si è formato, si trova trascinato da un movimento di compiacenza e di amore verso questo pensiero. Supponiamo un istante, dicevamo, che tale pensiero invece di essere fuggevole, incostante, abbia potuto elevarsi a un grado di perfezione sufficiente per poter sussistere in se medesimo: esso si volgerebbe, spontaneamente, con compiacenza ed amore, verso lo spirito che lo ha concepito. E questo duplice movimento di amore, risultanza misteriosa di questa duplice corrente affettiva che andrebbe e verrebbe dal primo al secondo termine, unendoli assieme, loro reciproco amore, costituirebbe un terzo termine, distinto dal primo e dal secondo.

Riferiamo a Dio.

Da tutta l’eternità, Dio si pensa. Dio si concepisce. Da tutta l’eternità, in Dio, il Padre genera il Figlio. E generando il Figlio, è trascinato verso il Figlio da un movimento di compiacenza e d’amore. E, per avvicendamento, il Figlio ritorna verso il Padre con eguale movimento di compiacenza e d’amore. È lo Spirito Santo. – Quest’amore del Padre e del Figlio, del Figlio e del Padre, risulta dalla generazione eterna del Figlio dal Padre. Esso è in questa stessa generazione, a tal punto che la generazione del Figlio dà luogo all’amore reciproco del Padre e del Figlio, talmente che l’origine dello Spirito Santo è nella generazione eterna del Figlio dal Padre.

O Santo Spirito del mio Dio!

Per il mio Signor Gesù,

vieni in me,

prendimi, e conducimi a Lui!

5.

Ecco adesso la tradizione e, su questo punto preciso, anche la teologia dei Padri della Chiesa. Come si vede, lo Spirito Santo procede dal Padre come dal Figlio. Essendo il risultato della generazione eterna del Figlio, si dice che viene dal Padre per il Figlio. Egli procede. da entrambi, come diceva san Cirillo Alessandrino, ἐξ ἀμφοίν [= ex amfoin]. Ciò significa, soggiunge, che viene dal Padre per il Figlio (De recta fide, 21; P.G. 76, 1408). Sant’Agostino traduce: Spiritus Sanctus a Patre Filioque procedit (De Trinitate, l. 15, c. 17, 29; P.L. 1081).

Il Concilio di Toledo 447 introduce il Filioque nel simbolo di Nicea;

Nell’809, a Costantinopoli, dei monaci latini, cantando il simbolo in latino, accentuano assai il Filioque. Alcuni monaci greci rivolgono loro dei rimproveri. Ne segue una lotta: la cosa s’inasprisce. Carlomagno impone il Filioque in tutto l’impero. Non era questo il mezzo adatto. Infatti, non è con la forza che s’impongono le idee, anche se questa forza è quella di un imperatore cristiano potentissimo. La forza che si esercita imponendo le idee, conduce alle divisioni; in tale circostanza l’intervento di Carlomagno non fece che precipitare lo scisma greco, nel secolo IX, quella deplorevole divisione degli spiriti, se non del tutto delle credenze, nella grande famiglia cristiana. Le idee s’impongono mediante la luce che da esse emana e che su di esse facciamo riflettere, e, almeno altrettanto, per mezzo dell’amore, quell’inclinazione del cuore che suscitano nelle anime. Allora soltanto si ammettono e vi si crede.

Conclusione.

Crediamo in un solo Dio, Padre, nel significato trascendente.

Crediamo in un solo Dio, Figlio, nel significato trascendente.

Dalla generazione trascendente del Figlio, risulta o procede lo Spirito Santo. È quanto affermiamo col Filioque. – E questa risultanza, questa processione nell’amore, della generazione eterna del Figlio dal Padre, dà lo Spirito Santo.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (11)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (9)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (9)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 – Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

Capo SETTIMO

LO SPIRITO SANTO È DIO, CONSUSTANZIALE AL PADRE ED AL FIGLIO

III. – LA TRADIZIONE DEI PADRI DEL II E DEL III SECOLO

Il carattere particolarmente definitivo del Nuovo Testamento, in ciò che concerne la concezione di Dio è stata, come abbiamo visto, la rivelazione ben Chiara dell’esistenza di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Dio è uno; ma nonostante questa unità essenziale che essa mantiene, la divinità appare d’ora innanzi, secondo l’espressione dei Padri, come distribuita tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. – Ora tale dottrina è stata pure la credenza fondamentale dei Padri apologisti e dei Padri del terzo secolo. Gli scritti degli stessi eretici, sebbene non possano venir considerati quali testimonianze dirette della fede della Chiesa, sono testimonianze. indirette di grande importanza. Essi conservano, falsandone il senso, dei termini che, nella Chiesa, corrispondono alla vera dottrina, e le condanne di cui sono stati oggetto fanno meglio risaltare l’opposizione che esiste fra i loro errori e l’insegnamento autentico. Ma bisogna forse ridurre l’insegnamento dei Padri del secondo e del terzo secolo a questo minimo di fede trinitaria? Se è così, si dovrà dire che i Padri dei primi secoli non hanno fatto che riprodurre l’insegnamento del Nuovo Testamento, e che la Chiesa ha sviluppato di colpo il dogma della consustanzialità nel momento in cui scoppiò l’arianesimo. – Esaminiamo con la massima cura i nostri documenti tradizionali e cerchiamo una risposta a tale domanda. Ai filosofi giudaici che si ostinavano a rinchiudersi nel monoteismo dell’Antica Legge e rimproveravano ai Cristiani di ammettere più dèi, come ai pagani che lanciavano ai Cristiani il rimprovero di ateismo, gli apologisti del secondo secolo rispondevano: « Affermiamo un Dio Padre, un Figlio Dio e uno Spirito Santo e dimostriamo la loro potenza nell’unità e la loro distinzione nella processione » (ATHENAGOR, Leg. pro christ. 10.). Essi ammettono dunque in Dio un legame per mezzo del quale l’unità e la trinità si confondono: ed anche lo dimostrano. Esso consiste in ciò, che il Figlio è generato dal Padre avanti ogni creatura, scrive San Giustino (Dial.48; 56; 61). Ma tale generazione – aggiunge Taziano – si fa senza divisione della sostanza, nello stesso modo che il fuoco di una torcia si comunica ad altre torce (Or. Adv. Gr. 5). Confessiamo che la dottrina del legame che unisce il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non ha ancora raggiunto la Perfezione che gli daranno i Padri del Concilio di Nicea; riconosciamo tuttavia che, per condurvela sarebbe bastato sottoporla ad un’analisi un po’ rigorosa. –  Impotente à Spiegare la trinità nell’unità, r temendo che 1a dottrina delle tre Persone in un solo Dio conducesse gli spiriti ad ammettere l’esistenza di tre dèi Subordinati l’uno all’altro in natura e in Potenza, Sabellio insegnò che il Figlio non è che un altro nome del Padre; i modalisti pretesero che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono che modalità transitorie di una medesima sostanza divina. –  Sant’Ippolito e Tertulliano, in Occidente; Origene e San Dionigi di Alessandria, in Oriente, protestarono, dicendo che in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono distinti da tutta l’’eternità, per la loro relazione di origine, e posseggono una sola e medesima sostanza. Il Figlio, dice Origene, è della sostanza del Padre, ὀμοούσιος [= omousios ](La Sapienza che procede dal Padre, dice Origene, «È generata dalla sostanza stessa di Dio »; poiché « é un’emanazione della gloria dell’Onnipotente », e « l’emanazione consustanziale (ὀμοούσιος = omousios) è ciò da cui deriva ». Tale dottrina è contenuta in un frammento del Commentario sulla Lettera agli Ebrei). La parola è trovata. E tuttavia, prosegue l’illustre Alessandrino, se il Figlio possiede la sostanza divina, la possiede meno pienamente del Padre: essa è in Lui come attenuata, diminuita; poiché il Figlio in quanto Figlio deve essere inferiore al Padre, come l’effetto è inferiore alla causa (Contra Celsum, I, 6, 60; Periarchon, L 1, 2, 13; In Jo., l.2, 12, l.32, 18). I – Per aver esagerato troppo tale dottrina, San Dionigi di Alessandria si vede obbligato a fornire spiegazioni a san Dionigi di Roma (De sent. Dion. 6-12; P.G. 25, 488-497). Così il dogma della consustanzialità ê l’unica soluzione per Spiegare il mistero della trinità nell’unità; si afferma solo in parte questo dogma, si intuisce il resto: Si condannano le esagerazioni di tendenze unitarie o triteiste; il termine ὀμοούσιος [omousios] esiste; resta tuttavia un’ultima determinazione dottrinale che ancora non si è potuto afferrare, ma verso la quale lo Spirito di Dio spinge l’anima cristiana. Ora, ecco che la parola ὀμοούσιος prende un senso Sabelliano. Cristo non può essere Dio, scrive Paolo di Samosata, se non costituisce una sola e medesima persona o sostanza con Dio, se non è ὀμοούσιος con Dio. La dottrina di Paolo di Samosata, con la terminologia che la esprime, è condannata nel Concilio di Antiochia, nel 267 0 268. È difficile dissociare un termine dall’idea che essa rappresentata. Perciò, ancora per molto tempo numerosi Padri non potranno udir pronunziate l’ὀμοούσιος senza che questa parola risvegli nel loro Spirito un sospetto di sabellianismo in coloro che la useranno. – Perciò dunque, dal secondo secolo fino alla fine del terzo, non si è cessato di cercare il modo di conciliare in Dio la trinità nell’unità. Bisogna ammettere in Dio il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Tutti e tre sono eternamente distinti per la loro relazione di origine; e tuttavia non vi é che un solo Dio. L’unità tra il Padre e il Figlio viene da ciò, che il Padre comunica al Figlio la Sua propria sostanza. Il Figlio prende la sostanza del Padre ma, affermano parecchi Padri, perché gli è comunicata dal Padre, non può possederla che in una pienezza inferiore. – Ario accelerò la conclusione di tale controversia varcando a un tratto i confini del subordinazionismo e affermando categoricamente che il Cristo Preesistente era soltanto la prima creatura del Padre

IV. – IL DOGMA DELLA CONSUSTANZIALITÀ E IL CONCILIO DI NICEA.

La prima parte del simbolo riassume le conclusioni dei primi tentativi intrapresi Per spiegare L’Unità nella trinità in Dio. Noi crediamo, dicono i Padri, « in un solo Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, generato unico dal Padre, Dio da Dio, luce da luce, vero Dio, da vero Dio». Riprendendo la dottrina Precedente, i Padri la oppongono quindi à quella di Ario che essi condannano. Cosi dunque, dicono, il Figlio é « generato e non fatto». Di più, aggiungono, generato dal Padre da tutta l’eternità, e « consustanziale al Padre, ὀμοούσιος τῷ πατρί [omousios to patri] », cioë della medesima essenza o sostanza del Padre, lo stesso del Padre quanto all’essere intimo e assoluto. La differenza è unicamente nella relazione di origine che esiste eternamente tra Padre ed il Figlio.

V. – DOTTRINA ED APOLOGETICA DI SANT’ATANASIO

Come ê sempre avvenuto in Seguito alle definizioni dei Concili, la definizione molto netta e fermissima del Concilio di Nicea Provocò la reazione di coloro che negavano o contestavano tale definizione. I Padri della Chiesa consacrarono tutto il loro pensiero e la loro alta pietà ad insegnare e difendere il dogma fondamentale della consustanzialità delle tre Persone divine, definito dal Concilio di Nicea, il Figlio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, lo Spirito Santo consustanziale al Figlio ed al Padre, la consustanzialità del Figli su cui si concentra tutto lo sforzo dottrinale, portando seco la consustanzialità dello Spirito Santo. Fra questi Padri, citeremo soprattutto sant’Atanasio.  – Da un lato sono gli Ariani puri che affermane che il Figlio è una semplice creatura del Padre [ktisma tou patros]. Per conseguenza Egli è di un’alta essenza sostanza, [ex eteras usias]. È di un’essenza o sostanza UNiesSeNz4 0 8So5tañza, che, essi dicono, non è affatto eguale a quella del Padre, [anomoios]. Egli non è né omousios, come affetma il Concilio di Nicea, e neppure semplicemente omoios.  Essi stati chiamati anomei. Oppure allora, dicono alcuni, se si vuol dire che il Figlio à eguale al Padre, si aggiunga almeno che à eguale al Padre secondo le Scritture Omoios kata tas omoios grafas. Questi sono gli omei. Ma, in fondo, anomei ed omei sono d’accordo.Gli argomenti sui quali essi si appoggiano sono tolti dalla Sacra Scrittura. È il testo dei Proverbi, nel quale la Sapienza dice parlando di sé: «Il Signore mi creò [ektise], per essere l’inizio delle sue vie » (Prov. VIII, 22). Nel Nuovo Testamento è il testo di San Marco: «In quanto poi al giorno ed all’ora (del gran giudizio), nessuno li sa, né gli Angeli del cielo, né il Figlio; ma solo il Padre » (Mc. XIII, 22), oppure quest’altro di san Luca: «E Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia dinanzi à Dio ed agli uomini » (Lc. II, 52). E in san Giovanni raccolgono tutti i Passi che attestano la dipendenza del Figlio rispetto al Padre: « Il Figlio non può far nulla da sè » (Gv. V, 19); il Padre che mi ha mandato è più grande di me» (Gv. XIV, 28); «la vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo » (Gv. XVII, 3). Sebbene abbiano avuto verso i Padri — che del resto li contraddicono — una deferenza mediocre, tanto agli anomei, quanto agli omei, piace appoggiarsi alla dottrina di Origene e di Dionigi di Alessandria. – Ma agli argomenti autorevoli preferiscono assai più il ragionamento puro e semplice. Un essere generato, essi dicono, non può avere in se stesso la ragione della propria esistenza; dipende necessariamente dall’ingenerato. Ora, in Dio, vi sono o no due ingenerati? Se sì: dunque vi sono due principi totalmente distinti o separati, ciò che è quanto dire che vi sono due dèi. Se no: dunque il Figlio non può essere che la creatura del Padre. Agli argomenti degli anomei ecco la risposta di Sant’Atanasio. Quasi tutti i testi della Sacra Scrittura che accusano una certa inferiorità del Figlio rispetto al Padre – dichiara sant’Atanasio – si riferiscono non al Figlio ma all’umanità da Lui assunta, il giorno dell’Incarnazione. Così, « è come uomo che il Salvatore ha detto: il Signore mi ha creato ». Egli ha voluto rendere il seguente pensiero: « Il Padre mi ha formato un corpo, mi ha creato per |a Salvezza degli uomini. In questo passo, il verbo ektise si applica non al Verbo, ma al corpo creato di cui il Verbo è rivestito » (Contra arianos, Or. 2, 47; P.G. 26, 258). Uguale tagionamento riguardo al testo di San Marco: « Ciascuno sa che il Salvatore ha tenuto tale linguaggio a motivo della carne, come uomo. Infatti, una simile imperfezione non ha potuto appartenere al Verbo, ma alla natura umana la cui proprietà è ignorare » (ivi, or. 3, 43). Il testo di san Luca ha evidentemente il medesimo significato. Quanto ai passi di san Giovanni, uno solo sembra presentare alcune difficoltà, ed è quello che contiene questa dichiarazione del Salvatore. « Il Padre che mi ha mandato è più grande di me ». Ora, dice sant’Atanasio, questo testo enuncia una certa Superiorità del Padre sul Figlio, ma non fa che esprimere la relazione di paternità e di figliazione che unisce il Padre ed il Figlio, non contiene nulla che possa intaccate la perfetta eguaglianza del Padre e del Figlio o la consustanzialità delle Persone divine (ivi, or. 1, 58). – Dopo aver esposto il Significato delle Sacre Scritture, Sant’Atanasio si applica à mostrare che gli ariani non hanno il diritto di appellarsi all’autorità di Origene o di Dionigi di Alessandria. Senza dubbio – egli dice – s’incontrano talvolta nei loro scritti delle espressioni strane, ma se si ha cura d’interpretarle secondo il contesto e le circostanze, si vede: che la lors dottrina è ortodossa. (De decretios, 27; P.G. 25, 465) A proposito di san Dionigi, egli lancia agli ariani la seguente apostrofe: « Poiché questi fautori d’empietà pretendono che Dionigi é con essi, scrivano dunque e confessino ciò che egli stesso ha scritto, proclamino quanto egli ha insegnato sulla consustanzialità, sull’eternità del Figlio e accettino i suoi paragoni » (De sent., Dion. 24). Nelle loro discussioni, abbiamo detto, gli ariani ricorrevano meno agli argomenti autorevoli che alla dialettica. Sant’Atanasio non esita di attaccarli in nome di questa medesima Scienza. – Tutta l’argomentazione degli ariani riposava sopra un equivoco introdotto dal termine Aghénneton. Infatti questa parola pus avere due sensi;: o significa « ciò che non é stato fatto, ciò che non à stato creato, quel che è eterno », e, in questo senso, si applica egualmente al Padre ed al Figlio; oppure Significa « ciò che non è stato generato », e, in questo senso, si applica soltanto al Padre. Non facendo tale distinzione si cade nell’errore. «È dunque a torto che gli ariani credono trionfare col loro dilemma: vi è un solo  aghennetos oppure due? Se vogliono definire aghennetos “ciò che non è fatto o creato, ciò che à eterno”, che essi intendano non una volta, ma mille, che, secondo questo significato, il Figlio è anch’esso aghennetos; poiché non è del numero dei Ghenneton; non é fatto, Egli coesiste col Padre Suo da tutta l’eternità. Se dunque, vinti da questo lato vogliono dare alla parola il senso di “non venuto da qualcuno, non avente Padre”, intenderanno da noi che secondo tale Significazione, non vi è che un solo ed unico aghennetos, che è il Padre. Ma in tale dichiarazione non guadagnano nulla; poiché dire che il Padre è aghennetos in questo senso, non è che dire che il Figlio è Aghennetos nel senso di fatto o creato, poiché è stato dimostrato precedentemente che Egli è il Verbo, e tale quale Colui che lo ha generato. Se dunque Dio é Aghennetos, sua immagine, cioè Verbo, non è ghennetos (cioë fatto o creato), ma ennema (ossia colui che é generato, il rampollo) » (Contra arianos, or. 1, 31; P. G. 26, 76). È così che Sant’Atanasio ha confuso gli ariani, gli anomei od omei ed, ha affermato e giustificato il dogma della consustanzialità del Figlio definito dal Concilio di Nicea. Nel medesimo tempo egli affermava e giustificava il dogma della consustanzialità dello Spirito Santo. Ma accanto agli ariani, vi erano i semi-ariani, la cui dottrina meno assoluta, tendeva ai medesimi scopi, cioè la negazione della dottrina della consustanzialità del Figlio definita dal Concilio di Nicea, e per conseguenza la negazione della consustanzialità dello Spirito Santo, la negazione della divinità del Figlio e dello Spirito Santo. – Contro di loro, come contro gli ariani, con la stessa fermezza e la medesima intelligenza dell’errore, dell’eresia, con tutto il suo genio, si è levato Sant’Atanasio, colui che tutta la tradizione saluta quale Dottore del dogma della Santissima Trinità, come Saluta Sant’Agostino quale Dottore della grazia. I semi-ariani rigettavano il termine omousios di cui si era servito il Concilio di Nicea per definire l’unità di essenza, di sostanza, del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, la consustanzialità delle tre Persone divine, per due principali ragioni, una filosofica e l’altra scritturale. Poiché il Figlio sia Figlio deve possedere la sostanza del Padre. Ogni generazione suppone infatti [a comunicazione della sostanza del padre. Ma il Figlio deve possedere col Padre una sostanza numericamente identica. Ammettere il contrario, sarebbe riconoscere due sostanze in Dio, e per conseguenza due dèi. Tuttavia, poiché il Figlio è semplicemente il Figlio, deve senza dubbio possedere la sostanza divina, ma con minore pienezza del Padre, poiché l’effetto è sempre inferiore alla causa. Ora, continuavano i Semi-ariani, il termine omousios, che afferma l’identità assoluta della sostanza del Padre e della sostanza del Figlio, enuncia equivalentemente che il Figlio non ê realmente il Figlio, e non è che una modalità passeggera della sostanza divina. Detto in altri termini, la parola omousios non può avere che un significato sabelliano. Invece il termine afferma solamente la similitudine che il Figlio possiede in virtù della generazione eterna, e rigetta l’economia della vita trinitaria.  – Del resto la parola omousios, poiché non fa che enunciare la similitudine che risulta dalla generazione eterna, può essere considerata come l’equivalente del termine scritturale « Figlio ». Quanto alla parola omousios è una novità di espressione che enuncia un’idea nuova e non scritturale (Non consideriamo, qui che i Semi-ariani della nota di Eusebio di Cesarea  di Basilio di Ancira). Essi non facevano insomma che riprendere le idee subordinaziane di Origene o di Dionigi di Alessandria. Che vi siano Stati dei semi-ariani per i quali la generazione del Figlio sia consistita nella comunicazione di una parte soltanto della sostanza del Padre, non lo contestiamo. Perciò sant’Atanasio nelle sue polemiche ha spesso di mira queste dottrine. Ma è evidente che teorie di tale natura non differivano se non per l’espressione dall’arianesimo puro). È facile vedere che le affermazioni dei semiariani differivano completamente da quelle degli ariani. Per gli ariani, il Figlio era di una sostanza numericamente distinta da quella del Padre e creata dal Padre. Per i semi-ariani la sostanza del Figlio era numericamente la stessa di quella del Padre: ma il Figlio, in quanto Figlio, non poteva possederla che in grado inferiore. Tattavia il semi-arianesimo non poteva concepirsi, quando si cercava di rappresentarsi ciò che potesse significare in Dio. Se il Padre genera un Figlio, non può essere che per mezzo della comunicazione di tutta la sostanza divina. Dunque tutta la sostanza apparterrà al Figlio come al Padre: in altre parole, il Figlio sarà omousios al Padre. Gli Sforzi di Sant’Atanasio ebbero per scopo di Stabilire tale dimostrazione (De synodis 41, 53). Gli veniva fatta l’obiezione che dal momento che il Figlio era semplicemente il Figlio, bisognava concepirlo come un effetto del Padre. Ora, si aggiungeva, l’effetto è necessariamente inferiore alla causa. Non vi è – ribatteva sant’Atanasio, tra il Padre e il Figlio, il carattere di causa ad effetto che esiste fra gli uomini fra un padre che genera e il figlio che è generato. In Dio, il Padre è la radice e il Figlio è lo stelo di questa radice. Come la sorgente e la radice non sono la causa efficiente del ruscello o dello stelo, ma soltanto il punto di partenza, l’origine, il semplice principio: così, in Dio, il Padre non è la causa efficiente del Figlio, ma il punto di  partenza, l’origine, il semplice principio (Contra arianos, or. 1, 19). Queste parole, « sorgente » e «radice », sono scelte bene; risvegliano l’idea non di una produzione per via di casualità efficiente, ma di una estensione per comunicazione di sostanza. E che non si dica – continuava, Sant’Atanasio – che l’omousia del Padre e del Figlio non sia indicata nella Scrittura. San Giovanni non ricorda forse questa parola del Salvatore: «Io ed il Padre mio, siamo una sola cosa »? (X, 30). E quest’altra: «lo sono nel Padre ed il Padre é in me? (Gio. XIV, 10). Egli insegna con ciò l’identità di sostanza del Padre e del Figlio (Contra arianos, or. 3, 3). Tali ragionamenti dovettero influenzare lo spirito dei semi-ariani. Ma ciò ché soprattutto contribuì |a condurli all’ortodossia, furono le esagerazioni di molti membri del loro partito, i quali caddero nell’arianesirmo puro, e molto più, forse, i procedimenti poco onesti degli stessi ariani. Perciò i semi-ariani giunsero a poco a poco ad affermare che il Figlio, eguale al Padre in virtù della generazione eterna, possedeva la sostanza Stessa del Padre, perfettamente quanto il Padre. Era in conclusione tutto ciò che significava l’omousios del Concilio di Nicea. Tuttavia essi rifiutarono ancora di accettare questo termine, e gli preferirono quello di omoiusios. Non vi è dubbio: la questione non era più che una contesa di parole. Sant’Atanasio lo comprese così bene che, al Concilio di Alessandria del 362, permise di conservare l’omoiusios purché sotto tale espressione si riconoscesse che il Figlio possedeva la sostanza stessa del Padre, perfettamente quanto il Padre (È stato insinuato che sant’Atanasio, verso la fine della vita, aveva semplicemente accettato l’omoiusios. Nessun’asserzione più falsa. Sant’Atanasio tollerò il termine omoiusiois, quando si avvide che si dava a questa parola, un significato accettabile.).

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (8)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (8)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT

Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur – Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

Capo SETTIMO

LO SPIRITO SANTO È DIO, CONSUSTANZIALE AL PADRE ED AL FIGLIO

La dottrina della consustanzialità dello Spirito Santo è sempre stata considerata come esposta, insegnata e dimostrata contemporaneamente alla dottrina della consustanzialità del Verbo, Figlio unico del Padre. Essa non è mai stata contestata. Infatti, dal punto di vista teologico, dalla consustanzialità del Figlio unico del Padre, viene la consustanzialità dello Spirito Santo.

I- LE TRE PERSONE DIVINE SONO CONSUSTANZIALI

Nel Nuovo Testamento, la dottrina dell’unità divina è formale quanto nell’Antico. Ma nel Nuovo Testamento è chiaramente insegnato che Dio è Padre, Figlio e Spirito Santo. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono soltanto le tre maniere di essere di una medesima esistenza; sono i tre termini realmente distinti fra loro di una stessa vita divina, tre centri nei quali la vita divina prende un carattere particolarmente distintivo d’intensità: sono le tre Persone o ipostasi di una medesima sostanza. Sappiamo sufficientemente ciò che è la trinità delle Persone; cerchiamo adesso di comprendere ciò che è l’unità di sostanza. E Prima di tutto, se non vi è che un Dio, e questo Dio esiste in tre Persone, è evidente essere necessario che in Dio, né l’unità, né la trinità siano assolute, cioè bisogna che vi sia, in Dio, un vincolo per il quale l’unità si identifichi con la trinità, e la trinità si confonda con l’unità. Qual è questo elemento comune? Determiniamolo mediante l’eliminazione, delle concezioni eretiche che sono state sostenute nel quarto secolo, e che troveremo in seguito.  Pietro, Paolo, Giovanni si amano. Quindi, io dico che sono tre persone e queste tre Persone non fanno che una cosa sola. E in tale senso che io dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No. Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola, e il vincolo che li unisce è l’amore; l’unione che esiste tra loro è ciò che si chiama unione morale. Questa unione non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti tra loro che per mezzo di questo modo di unione è evidente che sarebbero tre dèi e non un Dio. – Pietro, Paolo, Giovanni sono tre uomini, cioè tre persone che possiedono la stessa natura specifica. Quindi io dico che sono tre persone, e che queste tre persone non fanno che una cosa sola. È in questo senso che io dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No, Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola e il vincolo che li unisce è la stessa specieuUmana che e88i posseggono, l’unione che esiste fra loro à ciò che si chiama unione specifica. Tale unione specifica non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, ü Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti tra loro che mediante questa unione specifica, è evidente che Sarebbero tre dèi e non un Dio. –  Pietro è padre di Paolo, e Paolo lo è di Giovanni. Quindi io dico che sono tre persone e queste tre persone non fanno che una cosa sola. È in questo senso che dico che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fanno che una cosa sola? No, Pietro, Paolo, Giovanni non fanno che una cosa sola e il legame che li unisce, è quello del sangue; l’unione che esiste fra loro é ciò che si chiama unione di parentela. Tale unione non impedisce che Pietro, Paolo e Giovanni siano tre soggetti realmente e numericamente distinti, quanto alla persona e alla sostanza individuale. Se il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non fossero uniti fra loro che per mezzo di questa unione, è chiaro che sarebbero tre dei e non un Dio. – Il vincolo che unisce le tre Persone in un solo Dio è dunque più del vincolo di amore, più del legame della comunanza di specie, più di quello del sangue; l’unione che risulta da questo vincolo à più dell’unione morale, più dell’unione specifica, più dell’unione di parentela. In che cosa consiste? Consiste in ciò, che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo esistono in una sola e medesima sostanza, in una sola e medesima vita, in modo che questa sostanza o questa vita, nel Figlio o nello Spirito Santo, non sia inferiore a quella del Padre, come dicono i subordinaziani divenuti semi-ariani; ma in modo tale che questa sostanza o questa vita, nel Padre, nel Figlio o nello Spirito Santo, assolutamente identica nel suo essere intimo, nei Suoi caratteri, in tutto ciò che la costituisce nella Sua infinitudine assoluta. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vivono dunque di una sostanza o di una Vita assolutamente identiche: perciò sono consustanziali, ὁμοούσιοι ,è= omousioi](il termine ὀμοούσιος, ὀμός-ουσία [=omos-usia] indica che il Padre,  il Figlio e lo Spirito Santo hanno la medesima essenza o sostanza, il medesimo essere intimo o assoluto.). Non vi è di distintivo e, per conseguenza, di costituente personale tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, se non la relazione di origine, secondo il principio di San Tommaso: Distinctio in divinis non fit nisi per relationem originis. Queste relazioni di origine non sono relazioni che furono ee non sono più; esse sono da tutta l’eternità, non avendo né principio, né fine. Tale è il dogma della consustanzialità. Inteso nel senso che abbiamo spiegato, è stato formalmente definito nel Concilio di Nicea, nel 325 (Denz. 54). La definizione ne é stata rinnovata nei Concili di Costantinopoli nel 381 (Denz. 86), di Efeso, nel 431 (ivi, 123), di Calcedonia, nel 451 (ivi, 148), di Costantinopoli, nel 551 (ivi, 220), di er Costantinopoli, nel 680-681 (ivi, 290). Ricerchiamo i fondamenti di tale dottrina nel Nuovo testamento e nella Testamento e nella Tradizione dei Padri. La dottrina della consustanzialità delle tre Persone è stata definita nel Concilio di Nicea; insegnata e difesa  lo fu soprattutto da Sant’Atanasio.

II.  Dottrina del NUOVO TESTAMENTO

Gli Evangelisti Sinottici e le lettere di san Paolo contengono la dottrina della consustanzialità delle tre divine Persone? I Sinottici e le lettere di San Paolo enunciano a più riprese che esiste un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Essi insegnano dunque che in Dio né la trinità esclude l’unità, né l’unità la trinità. Vi è necessariamente un legame per mezzo del quale la trinità si confonde con l’unità. Ma questi medesimi scritti ci dicono nulla della natura di tale legame. Il Vangelo di san Giovanni è più esplicito. In modo Speciale nel celebre testo nel quale rivolgendosi ai Giudei che Io tacciano di bestemmiatore nell’udire le sue parole, Gesù dice: «Io ed il Padre siamo una sola cosa » (Giov, X, 30). Questa proposizione enunciata impliciter et sine addito – dice san Tommaso – non può essere compresa come un’unione morale, una conformità di volontà, una unità di potenza una comunanza di operazioni; essa esprime un rapporto metafisico, un’identità di natura o di essenza (in Jo, c. X, lect. 5). – Talvolta si è cercato di ridurre la portata di questa dichiarazione del Salvatore, confrontandola con quest’altra che il medesimo Vangelo riferisce poco dopo: « Padre santo, custodisci nel Nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi… Non soltanto per questi prego; Ma prego anche per quelli che crederanno in me per la loro parola: che siano tutti una sola cosa come Tu sei in me, o Padre, ed Io in te: che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che Tu mi hai mandato. E la gloria che tu mi desti, l’ho data a loro, affinché siano una cosa sola, come siamo noi. Io in essi, e Tu in me; affinché sian perfetti nell’unità e conosca il mondo che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me » (Giov. XVII, 11, 20-23). Qui, si dice, non può trattarsi che di una conformità di volontà o di azione tra il Salvatore e i Padre suo; infatti, l’unione del Padre e del Figlio è presentata sul medesimo piano di quell’unione che Cristo vuol veder regnare tra Dio gli uomini. Ma l’affermazione di questo rigoroso parallelismo è assai gratuita; poiché si può benissimo rispondere che il Salvatore presenta l’unione esistente tra il Padre e Lui come un modello incomparabile e un motivo di unione fra Dio e i fedeli. Inoltre, bisogna pure osservare che l’unità di volontà, di potenza, di scienza, di azione, di vita tra il Padre ed il Figlio, ovunque affermata nel Vangelo Secondo San Giovanni, è quasi equivalentemente l’affermazione dell’unità di sostanza.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (7)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (7)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT – Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 – Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa – Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur: Alba, 28 – 2 – 1952 – Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO SESTO

LA DOTTRINA DELLO SPIRITO SANTO SECONDO LE LETTERE DI SAN PAOLO

Le lettere di san Paolo sono rivolte alle cristianità da lui evangelizzate nell’Asia Minore, in Grecia, a Roma; e a tre dei suoi discepoli: Timoteo, Tito e Filemone. Lo scopo dell’Apostolo è prima di tutto uno scopo morale: la giustificazione, la santificazione, la salvezza delle anime. Queste tre espressioni che san Paolo usa continuamente, nelle sue epistole, designano sempre la stessa opera soprannaturale. Se la considera al suo inizio, quando essa è liberazione dal peccato, la chiama di preferenza nostra giustificazione; se la considera nel suo pieno sviluppo, quando è una marcia sicura verso Dio, la chiama di preferenza nostra santificazione; se la considera al suo termine, quando ci avvicina alla nostra unione a Dio nella gloria, la chiama di preferenza nostra salvezza. Ma questi sono punti di vista, sfumature, di cui l’Apostolo non tiene sempre conto. – Ora, è in vista della salvezza, della santificazione, della giustificazione dei cristiani da lui evangelizzati, che san Paolo è indotto ad insegnare il mistero di Dio, il mistero di un solo Dio in tre Persone. All’inizio di uno studio come questo, è assai importante ricordare che san Paolo non consideri mai Dio come vivente lungi da noi. Secondo la sua dottrina, Dio è immanente in noi, sebbene sempre distinto da noi, per animarci, illuminarci, fortificarci, consolarci, o per biasimarci con la voce della nostra coscienza. Noi viviamo in Lui. E, siccome è Padre, Figlio e Spirito Santo, viviamo nello Spirito Santo, che ci trascina verso il Figlio e, per il Figlio, verso il Padre. Così è uno scopo morale che conduce l’Apostolo san Paolo ad insegnare il mistero di Dio, a presentarci il mistero di un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. In qual modo egli ci presenta in particolare lo Spirito Santo?

1.

Tre principali ostacoli si oppongono, secondo san Paolo, alla nostra giustificazione, alla nostra santificazione, alla nostra salvezza: il demonio, il mondo, la carne. Prima di tutto, satana, l’angelo ribelle, il capo dei demoni, che Dio ha dannato, a motivo della sua ribellione contro di Lui, con gli angeli che come lui e con lui si sono rivoltati. Appena l’uomo comparve sulla terra, satana lo tentò per indurlo a ribellarsi contro Dio, come egli stesso aveva fatto, conducendolo a disobbedirgli. Disobbedendo a Dio ricusava di riconoscerlo come Sovrano Signore; rifiutava di adorarlo. satana pervertì, innanzitutto, la prima donna e, per suo mezzo, il primo uomo, Adamo. In lui, tutti gli uomini della sua discendenza sono stati costituiti peccatori. Così il peccato entrò nel mondo e, col peccato, la morte. satana, coadiuvato dai demoni, continua l’opera sua di peccato, in tutti gli uomini in particolare. È questo il primo ostacolo alla nostra santificazione. – Il peccato, una volta introdotto nel mondo, si è moltiplicato sotto tutte le forme e, moltiplicandosi, è divenuto una provocazione a peccare. Così esso ha pervertito il mondo. Il mondo, mediante la corruzione che trascina con sé, è un secondo ostacolo alla nostra santificazione. – Ed ecco il terzo ostacolo. Si trova nel nostro intimo. Ogni natura umana in particolare lo porta con sé. Venendo al mondo peccatori, nasciamo in opposizione a Dio, privi della vita soprannaturale che Egli comunica. È tale privazione che ci costituisce formalmente peccatori, come si esprime la teologia. Nasciamo anche privi di un certo numero di vantaggi che ci avrebbero reso tutto facile e la cui privazione ci rende tutto difficile. Da tutte queste privazioni, risulta in noi una debolezza, uno squilibrio, che si manifesta con una smisurata ricerca degli onori e delle vanità del mondo, con una ricerca eccessiva dei beni di quaggiù, una sete di godimenti, soprattutto di godimenti sensibili, e in questi, più particolarmente, dei godimenti voluttuosi. È appunto questa perversione della nostra natura umana che vien chiamata dall’Apostolo: triplice concupiscenza della carne, o solamente la carne. –  Così i tre ostacoli alla nostra santificazione sono il demonio, il mondo e la carne. Dovremo lottare contro tutto questo, e lottare tutta la nostra vita. La vita morale sarà una lotta, un combattimento incessante. Se fossimo stati lasciati a noi stessi, saremmo tutti perduti. Poiché, nell’ordine della nostra salvezza da soli non possiamo gran cosa. Non ci è possibile perseverare a lungo nell’osservanza dei comandamenti di Dio, né vincere le gravi tentazioni. Ma il Salvatore è venuto. Con la Sua morte ha vinto il peccato, ha vinto il mondo. Ci manda lo Spirito Santo che è il Suo Spirito ed è nel medesimo tempo lo Spirito del Padre.  È qui che nella teologia morale di san Paolo si parla per la prima volta dello Spirito Santo. – Cristo ha riscattato tutti gli uomini senza eccezione. Lo Spirito Santo si presenta dunque al cuore di ogni uomo, chiunque sia: Però, se Dio ci ha creati senza di noi, non ci giustifica senza di noi. Dobbiamo accettare liberamente lo Spirito Santo. Chi accetta lo Spirito Santo e coopera con Lui, sarà salvo. Chi rifiuta di corrispondere allo Spirito Santo, fino alla fine della vita, sarà dannato. È il peccato contro lo Spirito, il peccato irremissibile. A colui che riceve lo Spirito Santo e corrisponde ai Suoi inviti, Egli dà, prima di tutto, il lume della fede che gli permetterà di credere ai misteri rivelati da Dio. Il mistero centrale è il mistero di Gesù, Dio fatto uomo, venuto in questo mondo per riscattarci. Poi, una forza soprannaturale che gli permetterà di lottare contro il demonio e le sue tentazioni, contro il mondo e contro la carne, una forza che gli permetterà di contare sul cielo, quale sola ed unica ricompensa. E nel medesimo tempo, una carità verso Dio e verso il prossimo, chiamata a divenire sempre più universale, elevata, viva, perfetta, e ad assumere tutte le forme descritte dall’Apostolo, che rendono la creatura umana che le realizza e le ha realizzate, un essere morale idealmente bello agli occhi di tutti coloro che sanno osservare e giudicare: « La carità è paziente, ha scritto san Paolo, la carità è benefica, la carità non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non s’irrita, non pensa male, non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta » (I Cor. XIII, 47). Quando la creatura umana è giunta a questo grado di corrispondenza all’azione dello Spirito Santo, è santa, di una santità in pieno sviluppo. Poiché su questa terra la santità è sempre in cammino. Non conosce soste. Ed anche per essa non avanzare sarebbe indietreggiare.

2.

Quindi lo scopo che l’Apostolo si prefigge nelle sue Epistole, è prima di tutto uno scopo morale: la giustificazione, la santificazione, la salvezza delle anime, che egli ha la missione di evangelizzare. E in tale occasione che si sente spinto ad insegnare e a presentare il mistero di un solo Dio in tre Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo. Egli ci presenta lo Spirito Santo come Colui per ii quale, col quale, nel quale, il Figlio unico del Padre, Verbo Incarnato, ci santifica, per mezzo del quale ci illumina, ci fortifica, riempie i nostri cuori di una carità per Dio e per le anime, che nulla stanca, niente scoraggia, né arresta, in mezzo alle difficoltà tra le quali ci dibattiamo in questo mondo. Cerchiamo adesso di comprendere, attraverso questa descrizione dell’opera dello Spirito Santo nelle anime, che abbiamo abbozzata, l’idea che san Paolo si è formata e ci dà dello Spirito Santo. – Avremo osservato che in nessuna delle sue lettere l’Apostolo. dice esplicitamente che lo Spirito Santo è Dio. L’Apostolo fa questo per non urtare il monoteismo giudaico. Il monoteismo rigido, gretto, astratto, quale i Giudei di quel tempo lo intendevano, costituiva infatti una difficoltà. Lo stesso Salvatore ne aveva tenuto conto. L’Apostolo Paolo, antico discepolo di Gamaliele, conosceva questa difficoltà meglio di tutti. Ne sapeva le esagerazioni, le esigenze e le vivissime suscettibilità che creava negli spiriti. Aggiungiamo che tale difficoltà non ha cessato di persistere negli ambienti, intellettuali e religiosi, giudaici. – Sì, senza dubbio, non vi è che un solo Dio, come hanno insegnato Mosè e i profeti. Ma, in Dio, vi è il Padre, che genera eternamente un Figlio, e, dal Padre, per il Figlio, procede eternamente lo Spirito Santo. Così, vi è Dio, e in Dio vi è la vita intima di Dio che consiste essenzialmente nella generazione eterna del Figlio e nella spirazione eterna dello Spirito. San Paolo comprendeva benissimo che il monoteismo gretto dei suoi contemporanei non si sarebbe attenuato né avrebbe abbandonato le proprie esigenze, se non quando si fosse stabilita negli spiriti, per mezzo della fede, una conoscenza sufficientemente chiara della vita interiore di Dio, della vita trinitaria. E capiva benissimo che questa conoscenza trinitaria sarebbe penetrata, negli spiriti e nei cuori, prima di tutto e soprattutto mediante la fede in Gesù Cristo, Figlio di Dio, Dio fatto uomo. Questa fede viva e profonda in Gesù Cristo, Dio fatto uomo, avrebbe trascinato seco la rivelazione della Santissima Trinità, la rivelazione dello Spirito Santo, Dio, come il Padre ed il Figlio. Di colpo l’idea del gretto monoteismo dei Giudei sarebbe caduta da sé. Da ciò, l’insegnamento molto riservato dell’Apostolo. Senza parlare della divinità dello Spirito Santo, egli lo presenta quale autore e consumatore della nostra santificazione, col Padre e col Figlio; e al medesimo titolo del Padre e del Figlio. Ma con quale fermezza e chiarezza fa questa presentazione! « Quelli infatti che vivono secondo la carne – scrive san Paolo nella lettera ai Romani – gustano le cose della carne; ma quelli che vivono secondo lo Spirito gustano le cose dello Spirito. Ora la saggezza della carne è morte; la saggezza dello Spirito è vita e pace, perché la sapienza della carne è nemica di Dio, non essendo soggetta, né potendosi assoggettare alla legge di Dio: quindi quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio. Ma voi non vivete più secondo la carne ma secondo lo Spirito, se lo Spirito di Dio abita in voi. Che se uno non ha lo Spirito di Cristo, egli non è dei suoi. Se poi Cristo è in voi, il corpo certamente è motto a causa del peccato, ma lo Spirito vive a cagione della giustizia. Che se lo Spirito di Colui che risuscitò Gesù da morte abita in voi, chi risuscitò Gesù Cristo da morte renderà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del Suo Spirito che abita in voi» (Rom VIII, 5-11). E nella lettera agli Efesini, esponendo la medesima dottrina, l’Apostolo scrive: « A questo fine piego le mie ginocchia dinanzi al Padre del Signor Nostro Gesù Cristo, da cui ogni famiglia e nei cieli e sulla terra prende nome, perché vi conceda, secondo le ricchezze della Sua gloria, di essere mediante lo Spirito di Lui, potentemente corroborati nell’uomo interiore, in modo che Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e voi, radicati nella fede, fondati nella carità, possiate, con tutti i santi, comprendere quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, anzi possiate conoscete ciò che supera ogni scienza, la stessa carità di Cristo, in modo che siate ripieni di tutta la pienezza di Dio » (Ef. III, 14-19). – Da questi testi appare chiaramente che ogni santificazione viene in noi per mezzo dello Spirito Santo, che procede dal Padre, per il Figlio. Egli è l’autore della nostra santificazione, col Padre e col Figlio e al medesimo titolo del Padre e del Figlio. Ciò equivale affermare che Egli è Dio, come il Padre ed il Figlio. Uno, nell’unità di sostanza, col Padre e col Figlio, lo Spirito Santo non è né il Padre, né il Figlio; per conseguenza è una Persona come il Padre, una Persona come il Figlio. È questo l’insegnamento di san Paolo che si congiunge qui con quello di san Giovanni (XIV, 15-16). E secondo l’Apostolo, tutti noi uomini, senza far distinzione fra gl’incirconcisi, o i pagani, e i circoncisi, o i Giudei, siamo stati riscattati dal medesimo Cristo, Nostro Signore Gesù. « Egli è venuto ad evangelizzare la pace a voi che eravate lontani e a quelli che erano vicini, perché per mezzo di Lui e gli uni e gli altri, mediante il medesime Spirito abbiamo accesso al Padre. Voi dunque, Efesini, che eravate pagani non siete più ospiti  e pellegrini; ma siete concittadini dei santi e della famiglia di Dio, edificati sopra il fondamento degli Apostoli e dei profeti, essendo lo stesso Cristo Gesù la prima pietra angolare, sopra di cui tutto l’edificio ben costruito s’innalza per formare il tempio santo del Signore, sopra il quale anche voi siete insieme edificati, per divenire, mediante lo Spirito, dimora di Dio » (Ef. II, 17-22). – In altri termini, Cristo che ci ha tutti riscattati, senza far distinzione tra Giudei e pagani, viene Lui stesso, per mezzo del Suo divino Spirito, a bussare alla porta dell’anima nostra. E, se corrispondiamo ai Suoi inviti, pet il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito ci attira tutti a Sé e, per Suo mezzo, verso il Padre. Siamo giustificati, siamo santificati, siamo salvati. Lo Spirito Santo è Colui per il quale si opera questa trasformazione nelle anime nostre. Egli è la terza Persona della Santissima Trinità, non soltanto numericamente, ma perché è il termine della vita trinitaria, Colui per il quale la vita trinitaria ci è comunicata, pet fare di noi i templi dello Spirito, i fratelli del Figlio unico di Dio, i figli di Dio Padre, in una parola dei santi, chiamati a vivere sempre più della vita stessa di Dio. Ed è l’amore del Padre, per mezzo del Figlio che ci ha riscattati, il cui amore per noi « supera ogni scienza » (Ef. III, 19), nello Spirito, per lo Spirito, con lo Spirito, che opera in noi tutte queste meraviglie. Quindi, termine dell’amore del Padre, per il Figlio, lo Spirito Santo è anche considerato e presentato dall’Apostolo come lo Spirito d’amore, come l’amore di Dio per noi. – Tale è la dottrina di san Paolo sullo Spirito Santo. Egli è Dio, come il Padre ed il Figlio. È una Persona, come il Padre ed il Figlio. Uno col Padre e col Figlio, viene in noi dal Padre per il Figlio e, se sappiamo corrispondere ai Suoi inviti, trascina tutti noi uomini verso il Figlio e per il Figlio, verso il Padre, spezzando definitivamente « la barriera che separava i Giudei e i Gentili o i pagani » (Ef. II, 14). È per noi la giustificazione, la santificazione, la salvezza. Egli è il termine della vita trinitaria. È l’amore di Dio per noi. Ecco tutto il simbolo della nostra fede sullo Spirito Santo: tutta la dogmatica cattolica.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (8)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (6)

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (6)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952

Sac. G. ALBERIONE Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO QUINTO

IL VERBO DI DIO FATTO UOMO, COME CI HA RIVELATO IL PADRE COSÌ CI HA RIVELATO LO SPIRITO SANTO

 La credenza fondamentale dell’Antico Testamento è il monoteismo, cioè la credenza in un solo Dio, Creatore del cielo e della tetra, Sovrano Signore del mondo, onnipotente, giusto, il quale castiga talvolta, in modo terribile, i peccatori impenitenti. Buono per coloro che si convertono, di una bontà del tutto paterna che gli vale di essere chiamato Padre dal popolo di Israele. È in questo senso che nei Libri dell’Antico Testamento Dio è chiamato Padre. Per mezzo del Suo Spirito, Dio anima il mondo lo vivifica, lo illumina, lo fortifica. Ma lo Spirito di Dio non è presentato che come un attributo di Dio. Mai ai dottori della Legge è venuto il pensiero che lo Spirito Santo potesse essere una Persona distinta da Dio Padre. Ed anche una simile affermazione sarebbe stata da loro considerata come un errore, una bestemmia. Poiché per essi sarebbe stato intaccare il monoteismo, cioè la credenza fondamentale dell’Antico Testamento. Come pure, in Dio, si riconosce la Sapienza che verrà chiamata Verbo, per mezzo della quale, del quale, Egli crea il mondo, ne distribuisce ed equilibra le forze, dà agli uomini il pensiero, il consiglio, il giudizio pratico. Ma, come lo Spirito, la Sapienza non è considerata che come un attributo di Dio. Tuttavia, per noi, che vediamo queste dottrine alla luce delle rivelazioni posteriori e sappiamo che tali rivelazioni sono identiche alla rivelazione primitiva, poiché procedono da Dio stesso che illumina progressivamente lo spirito degli uomini, non esitiamo a dire che lo Spirito di Dio, quale ci è presentato nell’Antico Testamento, è più che un attributo di Dio e si presenta già in certa misura con un carattere personale, come pure non esitiamo a dire che la Sapienza è più che un attributo divino, è la Sapienza personale, ma velata da un velo che si squarcerà dall’alto al basso. – Ai tempi del Salvatore, questa dottrina monoteista, ben lungi dall’essere attenuata, è stata piuttosto esaltata, idealizzata. Nello spirito di quell’epoca si è prodotto qualcosa di simile a ciò che si produsse nel pensiero spiritualista della seconda metà del secolo XVI, una specie di deismo trascendente, che non sopporta il minimo ravvicinamento fra Dio e gli uomini, il minimo contatto con Dio. Si pensa che Dio viva troppo lungi dal tempo e dallo spazio. Si paventa il Suo sguardo. Si prega senza dubbio ma con un certo tremore. Si grida Lui il versetto del Salmo VI: « Domine, ne in furore tuo arguas me; neque in ira tua corripias me! O Signore non mi riprendere nel tuo sdegno, non mi punir nell’ira tua!» Oppure questo versetto del Salmo LXXIX: « Deus virtutum, convertere; respice de cælo e vide et visita vineam istam! Mettiti, o Signore, alla nostra portata, se vuoi che ci si converta! » Convertere et convertar. Volgiti verso di noi e verremo a Te! Temiamo Dio, paventiamo il Suo sguardo, tuttavia, per l’azione dello Spirito Santo che lavora nelle anime, lo chiamiamo.

1.

È in questo momento del tempo che il Verbo di Dio si è fatto uomo ed ha abitato in mezzo a noi. Questo fatto reca in se stesso la rivelazione della Santissima Trinità; contiene in sé l’insegnamento positivo del dogma della Santissima Trinità. Là, la luce splende. Ma il mondo non l’ha ricevuto. Sui eum non receperunt, leggiamo nel prologo del Vangelo secondo san Giovanni (Giov. I, 11). Il mondo di quel tempo era incapace di riceverlo. Di fronte a tale mentalità, qual è stato l’atteggiamento del Salvatore? Egli che conosceva a fondo questa mentalità, l’ha rispettata, possiamo dire, infinitamente. Dio fatto uomo, evita di proclamarsi tale. Questa luce abbagliante non avrebbe fatto che accecare gli spiriti. Li avrebbe anche disgustati. All’inizio, suole chiamare se stesso Figlio dell’uomo e Figlio di Dio. Tali espressioni non avevano nulla di sorprendente, nulla che potesse urtare. Erano state dette dai profeti dell’Antico Testamento. – Nella mente degli Giudei indicavano un uomo di Dio, un uomo che aveva con Dio rapporti speciali. Ma il Salvatore moltiplica i miracoli in modo da provare che è accreditato da Dio, e mandato da Lui. Moltiplica i miracoli a tal punto e talmente, che nessun profeta ne aveva compiuti tanti e così grandi. Comanda agli elementi, al vento, alla tempesta (Lc. VIII, 22-25). Risuscita i morti. Risuscita il Suo amico Lazzaro, il cui corpo cominciava a decomporsi (Giov. XI, 7-44). Fa molto più di questo. Un giorno gli viene Presentato un paralitico (Luc. V, 18-25). I tuoi peccati ti sono rimessi, gli dice. Questa volta i Farisei, Dottori della Legge, presenti, ne fanno le meraviglie. E che! dicono, rimette i peccati. Dio solo può rimetterli Ecco che si fa eguale a Dio, si dice Dio. Lungi dal cercare di attenuare tale opinione, Gesù dice al paralitico: « Levati su e cammina » (Lc. V, 24). Egli ha affermato equivalentemente, senza dirlo in modo esplicito, che è Dio fatto uomo e lo ha provato. Gesù, infatti, si era affermato Dio fatto uomo e lo aveva provato. I Farisei, Dottori della Legge, lo hanno ben compreso. Ma Lo accusano di bestemmia. Se Egli è Dio, in Dio vi è pluralità. Vi è Dio, e vi è anche Gesù, Figlio di Dio. Questo è contro il monoteismo rivelato ai nostri padri e insegnato da loro. Leggendo i discorsi di Gesù quali ci sono riferiti nei Vangeli, si vede che il Salvatore ha detto molto di più. « Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, dice Gesù ai Suoi Apostoli, in san Matteo, e nessuno conosce il Padre tranne il Figlio e colui al quale il Figlio avrà voluto rivelarlo » (Matt. XI, 27). Questa volta è l’affermazione che i rapporti fra Gesù, Figlio di Dio, e Dio Padre, sono di un ordine a parte. Sono rapporti trascendenti. Ma è soprattutto in san Giovanni che il Salvatore ci ha rivelato il Padre. Un giorno, Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone. I Giudei lo circondarono e gli dissero: « Fino a quando ci terrai sospesi? Se Tu sei il Cristo, diccelo apertamente. Or loro disse Gesù: Ve l’ho detto e non credete. Le opere che faccio nel nome del Padre mio, rendono testimonianza di me. Ma voi non credete perché non siete delle mie pecore ». Allora Egli fa questa dichiarazione: « Io ed il Padre Mio, siamo. una sola cosa. E soggiunge: Sappiate che il Padre è in me ed Io nel Padre » (Giov. X, 22-29). Così il Padre ed il Figlio non sono che una cosa sola: vivono l’uno nell’altro. È l’eguaglianza in tutto, è l’unità di sostanza. Il Padre, genera il Figlio da tutta l’eternità. Tale generazione continua nell’eternità. Affermandolo, il Salvatore ci ha rivelato il Padre. – Dopo l’istituzione dell’Eucarestia, al termine del discorso che Egli pronunzia, Gesù rivolge a Dio, Suo Padre, la preghiera sacerdotale, quella preghiera sublime, che è nel medesimo tempo la più bella testimonianza da Lui data, e la più alta rivelazione che Egli ha fatto di Dio Padre, e che per tale ragione bisogna citare per intero: « Padre, Egli dice, è giunta l’ora, glorifica il tuo Figlio, onde anche il tuo Figlio glorifichi te; e come gli hai dato potere su ogni mortale, dagli pure che Egli doni la vita eterna a coloro che gli hai affidati. E la vita eterna è questa: che conoscano te, solo vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l’opera che mi hai data a fare, ed ora, Padre glorifica me nel tuo cospetto con quella gloria che ebbi presso di te prima che il mondo fosse. » Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai affidati nel mondo: erano tuoi e li hai affidati a me, ed essi hanno osservata la tua parola. Ora hanno conosciuto che tutto quello che mi hai dato viene da te, perché le parole che desti a me le ho date a loro; ed essi le hanno accolte, e veramente hanno riconosciuto che Io sono venuto da Dio, ed han creduto che Tu mi hai mandato. » Prego per loro, non prego pel mondo, ma per quelli che mi hai affidati, perché son tuoi. Ed ogni cosa mia è tua, ed ogni cosa tua è mia. In essi Io sono stato glorificato. Io già non sono più nel mondo; ma essi restano nel mondo, mentre io vengo a te. Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che mi hai affidati, acciocché siano una cosa sola come noi. Finché io ero con essi, li conservavo nel tuo nome. Quelli che mi hai affidati, li ho custoditi; nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché sia adempiuta la Scrittura. Ora però vengo a te, e questo dico nel mondo, affinché abbiano il mio gaudio perfetto in se stessi. Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati perché non sono del mondo, come neanch’Io sono del mondo. Non chiedo che tu li levi dal mondo, ma che tu li guardi dal male. Essi non sono del mondo, come neppure Io sono del mondo. Santificali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, così Io mando nel mondo essi. E, per loro amore Io santifico me stesso, affinché essi pure siano santificati nella Verità. » Né soltanto per questi prego; ma prego anche pet quelli che crederanno in me, per la loro parola: che siano tutti una sola cosa come Tu sei in me, o Padre, ed Io in te; che siano anch’essi una sola cosa in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che Tu mi desti, l’ho data a loro, affinché siano una cosa sola, come siamo noi. Io in essi e Tu in me, affinché siano perfetti nell’unità e conosca il mondo che Tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me. Padre, Io voglio che dove sono Io, sian pure con me quelli che mi affidasti, affinché vedano la gloria mia che tu mi hai data, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto; ma Io ti ho conosciuto e questi han riconosciuto che Tu mi hai mandato. Ed ho fatto conoscere a loro il tuo nome e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore col quale mi hai amato, sia in essi ed Io in loro » (Giov, XVII, 1-26). – Questa preghiera, questa testimonianza, che bisogna leggere, rileggere e meditare, è la grande rivelazione che il Verbo Incarnato ci ha fatta di Dio Padre. Ma tale rivelazione non doveva essere compresa, dagli Apostoli e dai discepoli se non dopo l’Ascensione del Maestro, dopo la venuta dello Spirito Santo, il giorno della Pentecoste.

2.

Come il Verbo Incarnato ci ha rivelato il Padre, così ci ha rivelato lo Spirito Santo. Siamo al discorso dopo la Cena. La, separazione del Maestro e degli Apostoli è imminente. Gesù dà loro il Suo grande comandamento. Vi dò un comandamento nuovo, d’amarvi scambievolmente: amatevi l’un l’altro come Io vi ho amati. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli (Giov. XIII, 34-35). Poi soggiunge: Non vi è amore più grande che dare la vita per i propri amici (idem. XIII, 12-13) È in tali circostanze che il Salvatore fa ai Suoi discepoli la grande rivelazione dello Spirito Santo. «Io vado al Padre, dice loro. E pregherò il Padre che vi darà un altro Consolatore che resti con voi per sempre: lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce; ma voi lo conoscete, perché abiterà con voi, e sarà in voi. Non vi lascerò orfani; tornerò a voi. Ancora un poco e il mondo più non mi vedrà. Ma voi mi vedrete, perché Io vivo e voi pure vivrete. In quel giorno conoscerete che Io sono nel Padre mio e voi in me ed Io in voi» (XIV, 16-20). «Vi ho dette queste cose conversando tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà nel Nome mio, Egli v’insegnerà ogni cosa, vi rammenterà tutto quello che vi ho detto» (ivi XIV, 25-26). – «Ma quando sarà venuto il Consolatore che Io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità che procede dal Padre, Egli mi renderà testimonianza, e voi pure mi renderete testimonianza, poiché siete stati con me fin da principio » (Gv. XV, 26). «Ma ora che vo a Colui che mi ha mandato, nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Invece Perché vi ho dette queste cose, la tristezza vi ha riempito il cuore. Ma Io vi dico il vero: è meglio per voi che me ne vada; perché se io non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore: e se me ne vado, lo manderò a voi. E venendo, convincerà il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio. Al peccato, per non aver creduto in me; alla giustizia, perché Io vo al Padre e non mi vedrete più; al giudizio, perché il principe di questo mondo è già giudicato » (Giov. XVI, 5-13). – «Molte cose avrei ancora da dirvi; ma per ora non ne siete capaci. Quando però sia venuto il Consolatore, lo Spirito di verità, Egli vi ammaestrerà in ogni vero; ché non vi parlerà da se stesso, ma dirà tutto quello che avrà udito e v’annunzierà l’avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre è mio; per questo ho detto che riceverà del mio e ve lo annunzierà » (Giov. XVI, 12-15). – Sono le parole stesse di Nostro Signore, in san Giovanni, con le quali Egli ci ha fatto la grande rivelazione dello Spirito Santo. Ce ne ha rivelato la Persona e, nel medesimo tempo, l’opera che Egli compie negli spiriti e nel mondo. Così il Salvatore dice agli Apostoli: Vado al Padre mio. Ma lo pregherò, ed Egli vi manderà Colui che in San Giovanni chiama il  παράκληητοος (= paracletos), un nome che la Volgata traduce letteralmente con quello di Paracletus, il Paracleto, cioè l’avvocato, il difensore, l’aiuto, il sostegno e per conseguenza il Consolatore. Sarà, dice il Salvatore, un παράκληητοος, un altro Consolatore: un altro Consolatore, distinto da Lui; poiché anch’Egli è il nostro dolce Salvatore, il παράκληητοος, il Consolatore, annunziato dai profeti e venuto in mezzo a noi. Quest’altro Consolatore viene dal Padre, come il Figlio viene dal Padre, ma in modo diverso, come spiegheremo. Egli è assolutamente l’eguale del Padre e del Figlio, è consustanziale a Loro come si dirà in seguito. Così, secondo la dottrina dello stesso Salvatore, in san Giovanni, il divino Consolatore che sarà mandato, è una Persona come il Padre ed il Figlio; è l’eguale del Padre e del Figlio; è Dio come il Padre ed il Figlio. – Quale sarà l’opera di questo divino Spirito? Sarà un’opera d’illuminazione, prima di tutto nell’anima, nel cuore, nello spirito degli Apostoli. Egli vi rammenterà tutto ciò che vi ho insegnato, dice il Salvatore; ve ne ricorderà i pensieri e le parole; ve ne darà il senso profondo. Poiché mi conoscete quanto mi amate. Ma, in realtà, non mi conoscete ancora. Per mezzo dei lumi soprannaturali che ancora non avete ricevuti, ma che Egli vi darà, lo Spirito Santo vi rivelerà ogni cosa riguardo a me, sulla mia origine, la mia persona, sull’opera che sono venuto a compiere in questo mondo, mentre, nel medesimo tempo vi rivelerà il Padre e rivelerà se stesso a voi. Così, quando il Consolatore che Io vi manderò dalla destra del Padre, sarà venuto in voi, renderà testimonianza di me, affinché conoscendomi, rendiate testimonianza di me, nel mondo. In seguito, l’opera dello Spirito Santo sarà un’opera d’illuminazione nel mondo. Convincerà il mondo riguardo a tre cose: al peccato, manifestandogli, con chiarezza, il suo delitto, il delitto orrendo di aver rigettato il Messia, Figlio di Dio, Dio, Dio fatto uomo, venuto in mezzo a noi, come uno di noi, per salvarci. Convincerà il mondo riguardo alla giustizia, facendo risplendere agli occhi di tutti, dopo la Sua Ascensione, la giustizia, la santità, la divinità di Gesù nostro Salvatore. Convincerà il mondo riguardo al giudizio, ricordando, pubblicando il giudizio pronunziato, fin dall’origine, contro satana, angelo della rivolta contro Dio, rovesciando l’impero di satana, principe di questo mondo, distruggendo la sua opera di tenebre, di errori, di menzogne, di disordini. Ecco l’opera d’illuminazione che lo Spirito del Verbo compirà nell’anima degli Apostoli e nel mondo. – Quindi sarà un’opera di evangelizzazione, di trasformazione, di conversione degli spiriti e dei cuori, un’opera di conquista spirituale di tutta l’umanità, da Lui riscattata dalla schiavitù del peccato.  Vado al Padre mio, Egli dice agli Apostoli. Ma vengo, torno a voi. Non vi lascerò orfani. Vengo, ritorno con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, col quale sono una cosa sola, per partire, con voi alla conquista spirituale del mondo. Sarò con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito, col quale sono una cosa sola, per illuminarvi, animarvi, sostenervi, aiutarvi, per essere un altro Consolatore, nella vita, nella morte, nella testimonianza che mi renderete con la vostra dottrina, la vostra santità, il vostro cruento martirio, o mediante la testimonianza del vostro grande amore. Quindi abbiate fiducia. Ho vinto il mondo, satana, principe di questo mondo, non prevarrà contro di voi, contro di noi. Ecco la grande rivelazione che il Salvatore stesso ci ha fatta dello Spirito Santo, e che ci viene riferita nel Vangelo secondo san Giovanni. Il Verbo di Dio fatto uomo, come ci ha rivelato il Padre, così  ci ha rivelato lo Spirito Santo. Egli ci ha fatto questa duplice rivelazione con la Sua dottrina molto ferma, precisa e chiarissima. Ma ce l’ha fatta egualmente ed ancor più, col fatto stesso della Sua Incarnazione. L’Incarnazione del Verbo, non è soltanto una dottrina della nostra fede. È un fatto ben stabilito, annunziato molto tempo prima dai profeti, affermato dal Salvatore nel Suo Vangelo, provato da miracoli di prim’ordine. Questo fatto presenta agli occhi — degli uomini il mistero di un solo Dio: in tre Persone, il mistero della Santissima Trinità. – Il mistero della Santissima Trinità resta sempre il grande mistero, il mistero che, nelle sue profondità, per noi rimane impenetrabile. Ma il fatto dell’Incarnazione, presentandolo ai nostri occhi, lo prova, come possono provarlo i fatti, lo mostra in un modo che tutti gli uomini che hanno gli occhi e sanno e vogliono vedere, devono ricevere. Poiché sempre se ne sono trovati che pur avendo gli occhi non vedono, come canta il Salmista: Oculos habent et non videbunt (Ps. CXIII, 13).

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa, Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO QUARTO

LA PENTECOSTE

Il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, πεντηκοστὴ ἡμέρα (= pentecoste emera), i Giudei celebravano, nel tempio di Gerusalemme, una festa nella quale veniva offerto a Dio, fra gli altri sacrifici, quello di due pani fatti con farina di grano nuovo, per riconoscere il suo sovrano dominio sui raccolti e sopra tutto il popolo. Secondo un’antica tradizione era anche la festa della promulgazione della Legge, sul Monte Sinai. Questa festa, della durata di un giorno solo, era molto popolare. Mentre la Pasqua era soprattutto una festa di famiglia, la Pentecoste era veramente una festa nazionale. I Giudei vi giungevano non soltanto dalla Palestina, ma da tutti i paesi circostanti, dall’Egitto, da Creta, dalla Grecia, dall’Asia Minore, dai paesi della Transgiordania. Ciascuno parlava la propria lingua, specialmente l’ebraico, nel dialetto aramaico, lingua degli Israeliti di Palestina; il greco, lingua delle persone colte, ed anche il latino, lingua delle truppe romane di occupazione. Fu tale festa che il Salvatore scelse per farne, dopo quelle della Natività, di Pasqua e dell’Ascensione, la più grande festa cristiana.

1.

Nel discorso che il Salvatore pronunziò dopo la Cena, aveva detto ai Suoi Apostoli: Quando sarò tornato al Padre, andate a Gerusalemme e restatevi finché sia compiuta in voi la grande promessa che vi ho fatta. Ve l’ho detto. Non vi lascerò soli, non vi lascerò orfani. “Non vi lascerò orfani” è il termine usato dal Salvatore per indicare il carattere delle relazioni del tutto paterne che lo univano ai suoi Apostoli. Ben presto tornerò a voi, sarò con voi, in voi, per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito. Sarò con voi, in voi, tutti i giorni, sempre, sino alla fine dei tempi (Gv. XIV, 15-20, 25-29). – Dopo l’Ascensione del Maestro, gli Apostoli tornarono dunque a Gerusalemme. Salirono al Cenacolo, ove, dopo la Cena di addio, avevano l’abitudine di rifugiarsi. E là tutti in un medesimo spirito, perseveravano nella preghiera; Maria, Madre di Gesù, era in mezzo a loro, per guidarli e incoraggiarli. Era il decimo giorno di tale ritiro, quando all’ora di terza, cioè verso le nove del mattino, « all’improvviso venne dal cielo un rumore come di vento impetuoso e riempì tutta la casa dove si trovavano. Ed apparvero ad essi, distinte, delle lingue come di fuoco, e se ne posò una su ciascuno di loro: e furono tutti ripieni di Spirito Santo e cominciarono a lodare Dio e a parlare vari linguaggi secondo che lo Spirito Santo dava loro di esprimersi » (Atti II, 2-4). Era la Pentecoste della Nuova Legge, il compimento della Grande Promessa. Lo Spirito Santo invadeva, penetrava a fondo l’anima degli Apostoli. Per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, era il Verbo eterno del Padre, Figlio unico di Dio, Dio, che ritornava con i Suoi Apostoli, con essi, in essi, per condurre a termine la loro trasformazione.  Ciò che Egli opera prima di tutto nell’anima degli Apostoli, per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, uno col Suo divino Spirito, è una fede profonda, viva, ardente, luminosa nella Persona del Messia, Figlio di Dio, Dio, venuto in questo mondo per riscattare tutti gli uomini dalla schiavitù del peccato e salvarli tutti. È questo il vero regno di Dio, quel regno tutto interiore che si tratta di stabilire, e che dirigerà quello esteriore che gli corrisponde. Il Salvatore lo ha detto abbastanza: Regnum Dei intra vos est.

2.

Quel che Egli opera in seguito, diciamo pure nel medesimo tempo, nell’anima degli Apostoli, è il dono pieno dell’Apostolato. Nel corso della sua vita terrena, aveva scelto dodici discepoli perché fossero Suoi Apostoli. Ma adesso li fa Suoi Apostoli. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo che Egli comunica loto, uno col Suo divino Spirito, li manda alla conquista spirituale del mondo. Sarà la loro vita, il loro slancio, il loro entusiasmo, una passione ardente che si impossesserà interamente di loro. Egli sarà con essi, in essi, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo Spirito. -. Seguiamo il testo della narrazione che troviamo negli Atti degli Apostoli e che ci espone tutte queste cose, in termini che colpiscono. Al rumore che si era fatto udire, concorse la folla davanti al Cenacolo per sapere quel che era avvenuto e, udendo gli Apostoli celebrare le lodi di Dio in tutte le lingue, reclamò la spiegazione di tale prodigio. Allora Pietro si presentò con gli Undici. Giuda, il traditore, verrà poi sostituito da Mattia. E disse loro: Figli d’Israele, ascoltate queste parole. A quel Gesù di Nazaret che avete messo a morte, crocifiggendolo, Dio ha reso testimonianza mediante i prodigi, i miracoli, i segni che ha operati per Suo mezzo, fra voi, dandovi così la prova che Egli è veramente l’atteso Messia, annunziato dai profeti. Dio lo ha risuscitato, infrangendo i legami dolorosi della morte. È di Lui che David profetizzava quando diceva: « Tu non lascerai l’anima mia nel soggiorno dei morti, e non permetterai che il Tuo Santo vegga la corruzione della tomba ». Così egli vide in anticipo la resurrezione di Cristo. Noi tutti siamo testimoni di questo Gesù che Dio ha risuscitato. E possiamo anche testimoniare che è stato elevato al cielo dall’onnipotenza di Dio, ha ricevuto dal Padre, lo Spirito Santo, e lo ha mandato sopra di noi, come voi udite (Atti II, 22-23). E, dopo alcuni giorni, in un secondo discorso, che è tutt’uno col primo, dopo il miracolo strepitoso della guarigione dello storpio della « Porta Bella » del Tempio, Pietro esclama: « Israeliti, perché vi meravigliate di questo? e perché tenete gli occhi su di noi, come se per nostra potenza o virtù lo avessimo fatto camminare? Il Dio d’Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei Padri nostri, ha glorificato il Suo Figlio Gesù, che voi avete tradito e rinnegato davanti a Pilato, mentre Lui aveva deciso di liberarlo. Ma voi rinnegaste il Santo e il Giusto, e chiedeste che vi fosse graziato un omicida; voi uccideste l’Autore della vita, che Dio però ha risuscitato dai morti, del che noi siamo testimoni. E per la fede nel nome di Lui, il Suo Nome ha rafforzato costui che vedete e conoscete, e la fede che vien da Lui gli ha dato davanti agli occhi vostri questa perfetta sanità » (Atti III, 12-16). – La cosa fece rumore. Tutta Gerusalemme ne fu commossa. Le guardie s’impadronirono di Pietro e di Giovanni, li gettarono in prigione fino al giorno seguente e l’indomani li menarono davanti agli Anziani del popolo, Farisei, Dottori della Legge, Scribi, principi dei Sacerdoti. Essi chiesero loro: « Con quale potere o in nome di chi avete fatto questo? » Allora Pietro pieno di Spirito Santo, che procede dal Verbo Eterno del Padre, che è una cosa sola col Suo divino Spirito, che parla ed agisce con lo Spirito, per lo Spirito, nello Spirito Santo, disse loto: « Capi del popolo ed Anziani, ascoltate. Giacché oggi siamo interrogati sul beneficio fatto ad un malato, affin di sapere in qual modo questo sia guarito, sia noto a voi tutti e a tutto il popolo d’Israele, come in nome del Signore Nostro Gesù Cristo Nazareno che voi crocifiggeste e Dio risuscitò da morte, in virtù di questo Nome costui è sano dinanzi a voi. Questa è la pietra riprovata da voi, costruttori, la quale è divenuta pietra angolare. Né c’è in altro salvezza. E non v’è altro Nome sotto il cielo dato agli uomini in virtù del quale possiamo salvarci (Atti IV, 9-12). Davanti a tale sicurezza, i sinedriti si turbarono. Che cosa fare, si chiesero, dei discepoli di Gesù che fanno miracoli strepitosi, in suo Nome, in virtù della sua potenza, e presentano il loro Maestro come il Messia, il Salvatore annunziato dai profeti, e soggiogano le folle? Presero la risoluzione di proibir loro assolutamente e con minacce di parlare ed insegnare nel Nome di Gesù. Pietro e Giovanni risposero: « Se sia giusto dinanzi a Dio l’obbedire a voi piuttosto che a Dio, giudicatelo voi stessi; noi poi non possiamo non parlare di quello che abbiamo visto e udito » (Atti IV, 19-20). Ai Giudei che avevano loro chiesto: Fratelli, che cosa faremo? Pietro aveva risposto: Pentitevi, e ciascuno di voi sia battezzato nel Nome di Gesù per ottenere il perdono dei vostri peccati; e riceverete come noi il dono dello Spirito Santo. Coloro che ricevettero la parola di Dio furono battezzati e in quel giorno il numero dei discepoli aumentò di circa tremila persone. – La Chiesa si organizzò prestissimo sotto forma di una comunità perfetta. Le persecuzioni da parte degli Anziani, del popolo, dei Farisei, Dottori della Legge, Scribi, principi dei Sacerdoti si succedettero. Ma il più accanito dei persecutori, Saulo, fu afferrato dall’azione folgorante dello Spirito Santo. Il Salvatore stesso intervenne per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. « Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? » Ed egli chiese: « Chi sei, Signore ?» E udì questa risposta: «Io sono Gesù che tu perseguiti » (Atti IX, 3-7). Saulo si convertì e da ardente persecutore divenne Apostolo intrepido. Diventò l’Apostolo san Paolo, l’Apostolo dei Gentili, l’Apostolo dell’Occidente. Gli Apostoli partirono alla conquista spirituale del mondo. In circa trent’anni portarono il Vangelo in tutto il mondo romano. Suggellarono col proprio sangue la Verità della loro testimonianza, ad eccezione dell’Apostolo Giovanni, del quale il Salvatore aveva detto che non sarebbe morto di morte cruenta. Egli suggellerà col suo incomparabile amore la verità della sua testimonianza. – Tale è il mistero della Pentecoste; tali ne furono le conseguenze immediate che permettono di apprezzarne l’eccellenza e la prodigiosa portata. Ciò che il mistero della Pentecoste recò nel cuore degli Apostoli fu, con lo Spirito Santo, per lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, una fede profonda e ardente nel Signore Gesù, Messia, Figlio di Dio, Dio. E nel medesimo tempo la comunicazione dell’Apostolato. Per lo Spirito Santo, con lo Spirito Santo, nello Spirito Santo, secondo la Grande Promessa che era stata loro fatta, il Salvatore tornava con essi, in essi per partire con loro alla conquista spirituale del mondo. –

3.

La Pentecoste dell’Antica Legge non durava che un giorno. Era la festa più solenne degli Giudei. La Pentecoste della Nuova Legge si perpetua sino alla fine dei tempi. Vi fu la Pentecoste solenne, dieci giorni dopo l’Ascensione, narrata nel libro degli Atti. Ma vi è un’altra Pentecoste, che si perpetua e si perpetuerà sino alla fine del mondo. Essa si compie nelle anime silenziosamente, nascostamente. Gesù, Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, è nella gloria in mezzo agli eletti e, per il Suo Spirito, con il Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo Spirito, comunica loro della pienezza della Sua gloria in proporzione dei loro meriti. È la loro ricompensa, la loro felicità. Ma continuamente, per il Suo divino Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, uno col Suo divino Spirito, ritorna, viene nel cuore degli Apostoli, dei loro successori, dei loro continuatori, dei loro ausiliari, di tutti quelli che sono segnati del carattere del Suo sacerdozio e così creati, consacrati, resi atti, mediante tale consacrazione, a lavorare con Lui all’opera redentrice. – Così il Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, è nel Cielo in mezzo agli eletti dei quali forma la gloria e la felicità. Nel mondo, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo divino Spirito, Egli è ovunque vi sia un’anima santificata, presente, vivente in essa, per santificarla maggiormente. Ed è dappertutto ove trovasi un’anima da riscattare, salvare, santificare. Bussa alla porta, parla alla sua coscienza: aspetta che si apra, che si ceda ai Suoi inviti. – E tale presenza spirituale non gli è bastata, non gli basta, talmente è grande ed infinito l’amore che ha per noi, uomini, l’amore che lo anima e lo ispira, che ha ispirato e continua ad ispirare tutti i suoi atti. Prima di compiere sulla croce il gran sacrificio della nostra Redenzione, nel quale ha sparso fino all’ultima goccia il suo Sangue, ha istituito il sacramento del Suo amore, amandoci sino alla fine, usque in fine, come ha scritto l’Apostolo san Giovanni (Gv. XIII, 1), cioè non solo sino alla fine della sua vita terrena ma, come lo fanno molto giustamente notare gli esegeti, amandoci quanto poteva amarci, Lui, Verbo eterno del Padre, Verbo incarnato, Figlio di Dio, Dio. Questo sacramento è l’Eucarestia. Egli ha istituito il Sacramento dell’Eucarestia, nel quale sotto le semplici apparenze del pane e del vino, si rendeva realmente presente col Suo corpo, con la Sua anima, e compiva. Misticamente il sacrificio col quale annunziava il sacrificio cruento della croce, nel quale, dopo la sua morte, la Sua Risurrezione ed Ascensione, per mezzo del ministero del suo sacerdote, si renderebbe ancora realmente presente, con la sua umanità glorificata, si sacrificherebbe misticamente, sotto le specie del pane e del vino, per commemorare e rendere possibile l’applicazione, sino alla fine dei tempi, del santo Sacrificio della croce; e nel quale sarebbe pure realmente presente, Lui Verbo di Dio fatto uomo, Cristo risuscitato e glorioso, per essere cibo delle anime nostre, sì, cibo, Pane vivo destinato a nutrire la vita spirituale che mantiene in noi, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. È un pane di vita, destinato ad alimentare in noi la vita spirituale che Egli ha creato e conserva, per il suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito. – Amabile nostro Salvatore, come può mai avvenire che alcuni, disconoscendo talmente il tuo amore, si siano applicati a diminuire, a menomare il mistero del Sacramento di amore, al punto da ridurre la tua presenza eucaristica alla sola presenza spirituale, oppure a ciò che essi chiamano una presenza simbolica che non è una presenza, ma soltanto un segno, ricusando di riconoscere e affermare il mistero del tuo amore, obbedendo così al meschino intellettualismo, del tutto umano, a una falsa filosofia, a vedute umane, a pregiudizi trovati nei libri. Se il mistero è in fondo all’amore umano, quando è vivo e profondo, perché deve recar meraviglia che esso si trovi infinitamente, in fondo all’amore del nostro Dio! Come è possibile che essi abbiano potuto trascinare nei loro errori ed eresie una parte della comunità cristiana, che in uno scisma orgoglioso perpetua i loro errori e le loro eresie? È disconoscere il tuo amore infinito per noi, Signore Gesù. Ma non hai permesso e non permetterai mai che le tenebre del peccato estinguano la Luce del tuo Spirito, né che la morte del peccato soffochi o paralizzi la Vita che sei venuto a portare sulla terra e che vi mantieni, per il Tuo Spirito, col Tuo Spirito, nel Tuo Spirito, uno col Tuo divino Spirito. Quando ci troveremo sul letto di morte e tutte le cose ci appariranno chiaramente, in tutta la loro grandezza e beltà, proveremo grande confusione e rimpianto per non averle viste abbastanza, durante la nostra vita terrena, come avremmo potuto vederle se fossimo stati più attenti, meno accecati dalla nostra filosofia, dai pregiudizi, dalle occupazioni materiali. Dal più profondo dell’anima nostra s’innalzerà, Signore Gesù, il grido che implora perdono. E Tu, o Gesù, ci perdonerai. E l’anima nostra ormai libera da quanto le era di ostacolo, dalle sue oscurità, si slancerà verso di Te nella gloria per contemplarti, Verbo eterno del Padre, incarnato, risuscitato e glorioso, in mezzo agli eletti, da cui procede lo Spirito, per il quale, col quale, nel quale, sarai in noi, come sei in tutti i Santi, per glorificarci e divinizzarci, secondo la misura dei nostri meriti. – Tale è il mistero della Pentecoste che continua nello spazio e nei tempi. È il mistero del grande intervento soprannaturale di Dio nelle anime, unito alla Sua azione naturale di creazione e conservazione del mondo, di direzione, di concorso e di provvidenza. Il fatto è palese per tutti coloro che sanno vedere con gli occhi del corpo, dello spirito e nel medesimo tempo anche con quelli della fede. Esso prova, come sanno provare i fatti: mostra Dio, Trinità Santa, il nostro Salvatore Gesù, Verbo di Dio fatto uomo, incarnato, risuscitato e glorioso, vivente nel Cielo, nella gloria, ma anche vivente nelle anime che sono sulla terra, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, per santificarle sempre più, e divinizzarle, quanto possono essere divinizzate le creature, in proporzione dei loro meriti. Da lungo tempo è stato detto e lo si ripete ancora, che la Chiesa cristiana è un fatto che reca in se stessa la prova della sua divinità. Questo mistero è alla base di tutta la civiltà giudeo-greco-latina di cui viviamo. Quella greco-latina che l’ha preceduta, non ha fatto che prepararla. Le civiltà che essa ha appena toccato l’attendono per impregnarsene e viverne. Che lo si riconosca con ammirazione entusiasta e con ardente amore, o si disconosca con accecamento colpevole e sterile, Gesù, Verbo eterno del Padre, incarnato risuscitato e glorioso, presente nelle anime, viventi in esse, nelle coscienze, per il Suo Spirito, col Suo Spirito, nel Suo Spirito, che è una cosa sola con Lui; presente, vivente con i capi, nei capi, gli Apostoli, coloro che Egli ha mandato e quelli che continua a mandare, per comandare e dirigere sotto di Lui, come è pure presente, vivente coi fedeli, nei fedeli che li seguono, è l’attività infinita e infinitamente varia, la forza intelligente infinita, l’autorità assoluta tutta impregnata di amore, l’autorità che governa il mondo e che tutti dobbiamo ricevere. Christus vincit, Christus regnat, Christus imperat.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

L. LEBAUCHE

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (4)

TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950

V. Per la Curia Generalizia – Roma, 11 – 2 – 1952 Sac. G. ALBERIONE

Nulla osta alla stampa Alba, 20 – 2 – 1952 – Sac. S. Trosso, Sup.

lmprimatur Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.

CAPO TERZO

CARATTERISTICHE DELL’ATTIVITÀ DELLO SPIRITO SANTO

L’attività dello Spitito Santo nel mondo è infinita, infinitamente ricca e infinitamente varia. Sarà possibile distinguerne le caratteristiche? Si legge nel libro della Sapienza:

«In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo, unico, molteplice, immateriale, attivo, penetrante, senza macchia, infallibile, impassibile (soave, aggiunge qui la Volgata), amante del bene, sagace,  che non conosce ostacolo, benefico,  buono per gli uomini, immutabile, sicuro, tranquillo, onnipotente, che tutto sorveglia,  che penetra in tutti gli spiriti: negl’intelligenti, nei puri, nei più sottili » (Sap. VII, 22-23). – Ciò che prima di tutto colpisce in questa descrizione, è l’assenza di ogni sintesi. Il profeta o l’autore ispirato, avendo ricevuto in tutta la pienezza il dono d’intelletto, descrive lo Spirito Santo come lo vede, come lo intuisce alla luce di Dio. Lo descrive senza ordine, almeno senza quell’ordine che ci piace mettere nelle nostre idee, nei nostri scritti, nei nostri discorsi. – Si noterà anche l’esordio che richiede una spiegazione: « In essa (nella Sapienza) vi è uno Spirito intelligente, santo ». Seguiamo il testo dei Settanta. Nel manoscritto di Alessandria si legge: Essa (la Sapienza) è uno Spirito intelligente, santo. Qui la Sapienza e lo Spirito sono identificati. Donde viene questa variante nel sacro testo? – Il libro della Sapienza è stato scritto nel secondo secolo avanti Gesù Cristo. L’esposizione della Santissima Trinità è stata fatta progressivamente. Nel libro della Sapienza è ancora all’inizio. Ben presto apprenderemo che, da tutta l’eternità, Dio Padre genera un Figlio unico, che è il Logos, la Sapienza, il Verbo eterno del Padre. E apprenderemo pure che lo Spirito Santo procede dal Padre per il Figlio, per la Sapienza. Siamo in diritto di precisare il testo del libro della Sapienza, dicendo: Dalla Sapienza procede lo Spirito Santo. E, siccome nella descrizione che ci presenta le caratteristiche dell’attività dello Spirito Santo, ci è necessario non solo raggrupparle, ma sintetizzarle, diremo dello Spirito Santo, che procede dalla Sapienza e che Egli è:

– lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, e che dà l’intelligenza;

– lo Spirito di santità, cioè Colui che possiede la santità, tutta la santità, e che dà la santità.

Di questo Spirito d’intelligenza e di santità diremo che è:

– uno e molteplice;

– immateriale, attivo, che tutto penetra: i puri, cioè quelli che vivono seguendo i Suoi impulsi, per maggiormente purificarli; gl’impuri, cioè coloro che vivono in opposizione con Lui, per ispirar loro i rimorsi e con questo condurli a cambiar vita;

– stabile e mobile, cioè infinitamente pieghevole, pur restando il medesimo;

– pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore;

– Colui che nulla arresta, quem nibil vetat, traduce energicamente la Volgata.

Secondo il libro della Sapienza, sono queste le sette caratteristiche dell’attività prodigiosa dello Spirito Santo nel mondo.

I.

Dio, il Padre onnipotente, per mezzo del Verbo, nello Spirito, opera nel mondo tutte le cose. Dio, il Figlio unico, generato dal Padre da tutta l’eternità, il Verbo del Padre, è la luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo. E questa luce la comunica per mezzo dello Spirito Santo che manda continuamente nelle anime. Lo Spirito Santo è come il faro luminoso, per mezzo del quale il Verbo illumina il mondo e le anime, tanto quelle che sono nella gloria, quanto quelle che si trovano sulla terra. Perciò si può dire dello Spirito Santo che è lo Spirito d’intelligenza, cioè Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita e Colui che dà l’intelligenza. È questa la prima caratteristica dell’attività dello Spirito Santo, che il libro della Sapienza si compiace di segnalare. – Spirito d’intelligenza, lo Spirito Santo conosce gli esseri come appariscono e nella loro profondità, secondo il significato della parola latina intelligere, da intus legere; li conosce nei loro rapporti con gli esseri che li producono o ne sono le cause, e con lo scopo immediato e finale che perseguono; Egli stima, apprezza giustamente tali rapporti; pensa esattamente ogni cosa, dal verbo pensare, usato in questo senso da san Gregorio Magno, ciò che è, propriamente parlando, pensare. Lo Spirito Santo conosce tutto questo, lo afferma adeguatamente, veramente, assolutamente. Lo fa tanto più e tanto meglio in quanto è lo Spirito creatore, Colui che ha creato, disposto, ordinato tutto, Colui che conserva tutto ciò che esiste mediante una creazione continua, e per il quale, nel quale tutto si trova, tutto si muove, tutto vive. Come lo scultore, che conosce i minimi dettagli dell’opera da lui immaginata e realizzata. Così lo Spirito Santo è Colui che possiede l’intelligenza, tutta l’intelligenza, l’intelligenza infinita, e dà l’intelligenza agli uomini. Egli ha dato l’intelligenza agli Apostoli per renderli atti a comprendere il mistero di Gesù, nostro Salvatore, e per svelar loro il senso profondo del Vangelo. Egli ha illuminato i Padri della Chiesa, i Dottori, i Teologi, i fondatori degli Ordini religiosi. È Lui che ispira le vocazioni sacerdotali e religiose, che addita a ciascuno la sua via. – Per noi vi sono due modi di conoscere il reale. Prima mediante la rappresentazione che ce ne facciamo e i giudizi che formiamo. Questa vista del reale è, e non può essere altro che una forma umana. Per quanto puro, è sempre il nostro modo umano di vedere le cose. È una rappresentazione analogica di ciò che è. Conosciamo egualmente la realtà mediante il sentimento ed il cuore. Questa maniera, difficile ad esprimersi, ma con la quale invitiamo la nostra ragione a controllarsi continuamente e a non abusare dell’assoluto nelle sue affermazioni, è più diretta e più vera. Lo Spirito Santo ci ammaestra nell’uno e nell’altro modo. Suscita dei Dottori che parlano piuttosto il linguaggio del pensiero, come san Tommaso d’Aquino. Ne fa sorgere altri che parlano altrettanto bene il linguaggio del cuore, come san Bonaventura, san Francesco di Sales. – Ciò che lo Spirito Santo si applica particolarmente a farci comprendere, sia per mezzo del pensiero che del cuore, sono queste tre grandi verità: – Dio è presente dappertutto nel mondo, negli esseri, come negli avvenimenti. – Il Salvatore è spiritualmente congiunto alle anime, per illuminarle e condurle a vivere come Lui, per Lui, in Lui: cum Ipso, per Ipsum, in Ipso. Cum Ipso, cioè a Sua imitazione; per Ipsum, ossia nell’abbandono allo Spirito Santo che Egli manda; in Ipso, nella Sua amicizia. Quindi ecco il dogma che sintetizza tutti gli altri, ed è il dogma centrale di tutta la vita cristiana. – Il Salvatore, nell’Eucarestia continua, ma in forma gloriosa, tutti i misteri della Sua vita, quelli della vita nascosta, della vita pubblica e delle Sue sofferenze, in questo senso almeno, che ne ha una memoria attuale così perfetta e viva, che veramente continua a viverne. Inoltre, non cessa di offrirsi, sui nostri altari, per mezzo del ministero dei sacerdoti, sotto apparenze di morte, per perpetuare l’offerta cruenta del Calvario, affinché ogni individuo con la comunione eucaristica, offrendosi a Lui e con Lui, riceva in tale offerta la vita soprannaturale, in una pienezza sempre più grande. – Quando queste tre verità hanno penetrato a fondo un’anima, ispirano e dirigono tutta la sua condotta, intellettuale, morale e religiosa. Nel prossimo si vedrà risolutamente Dio. Al di là del prossimo, che si muove con le sue qualità e i suoi difetti, si scorgerà Gesù, il Maestro adorato, che continuamente comanda di amare e sacrificarsi. Nell’Eucarestia, si vedrà il Pane di vita, del quale è necessario cibarsi. Ci si comunicherà con fervore. Nell’Eucarestia, Colui che in cielo forma la felicità degli eletti è li tutt’intero, a nostra disposizione, sotto le specie sacramentali, nell’atto di offrirsi per noi a Dio Padre, mentre ci chiede di offrirci a Lui e con Lui, e noi ci offriamo a Lui e con Lui. Lo contempleremo, lo ameremo; prenderemo l’energica risoluzione di obbedirgli in tutto, ai Suoi precetti e ai Suoi consigli. Sì, senza dubbio, l’Eucarestia, compresa con fede illuminata e viva, è già il cielo sulla terra. E quando dopo la nostra vita terrena, ci troveremo dinanzi a Dio, proveremo tutti un sentimento di confusione, vedendo quanto poco abbiamo fatto uso della santa Eucarestia, in confronto a come avremmo potuto e dovuto farlo. – Ora, tale intelligenza, mediante lo spirito ed il cuore, ce la dà lo Spirito Santo. È l’effetto dei doni intellettuali dello Spirito Santo, di quei doni che la Chiesa invoca sui fedeli, specialmente nel tempo di Pentecoste, con la seguente strofa di uno degli inni più belli:

O lux beatissima, reple cordis intima, tuorum fidelium!

2.

Lo Spirito Santo è anche Colui che possiede la santità, tutta la santità, la santità infinita, e che dà la santità. È santo chi è separato da quanto è peccato, da tutto ciò che è male. Lo Spirito di Dio è santo. Viene chiamato Spirito Santo, perché è infinitamente lontano dal peccato, dal male. Come la luce e le tenebre sono in ragione inversa, così lo Spirito Santo e il peccato o il male, sono in opposizione assoluta. Lo Spirito Santo ha somma avversione, completo allontanamento dal peccato e dal male. È lo Spirito Santo che suscita nell’anima nostra una irresistibile inclinazione verso tutto ciò che è bene, verso il Sommo Bene, verso Dio, come diceva sant’Agostino: Fecisti nos ad Te, Deus, et îrrequietum erit cor nostrum, donec requiescat în Te. – Da un altro lato, è lo Spirito Santo che mette in noi la irresistibile avversione per il male, almeno per tutto quanto ci sembra male. È Lui che ispira al cuore dell’uomo il necessario giudizio della coscienza che bisogna fare il bene, non operare il male, e le fa chiamare bene ciò che è bene o le appare bene, e male, ciò che è male. E se, purtroppo, l’uomo commette il male che la sua coscienza riprova, è lo Spirito Santo che fa sorgere il rimorso. – È lo Spirito Santo che ci dà le prime attrattive soprannaturali, il pius credulitatis affectus, e i primi lumi della fede. È Lui che dà la grazia di corrispondervi, e corrispondervi gradatamente, di meglio in meglio. Noi chiamiamo santo colui che, avendo sempre corrisposto alla grazia, ha realizzato in sè un edifizio morale conforme a Dio. La santità concreta è l’imitazione di Gesù Cristo. Il Verbo di Dio si è fatto uomo e, per mezzo dello Spirito Santo, ha comunicato, quanto è possibile, all’umanità da Lui assunta, la pienezza della Sua divinità. E ciò per comunicarci, per il Suo divino Spirito, della pienezza di questa divinità. Lo Spirito Santo viene dunque in noi e ci fa convergere verso la santa umanità del Cristo in modo da riprodurne nella nostra vita una copia sempre più fedele. Egli ci invita a partecipare alla Sua religione verso Dio, Suo Padre, adorandolo, ringraziandolo con Lui ed in Lui; offrendoci a Dio, e pregandolo con Lui ed in Lui. Siccome la religione deve esercitarsi in ginocchio, nell’umiltà, Egli c’invita a partecipare alla Sua umiltà che in Lui giunse fino all’obbedienza della morte e della morte di croce. – L’ardente carità per il Padre Suo e per noi uomini fu, in qualche modo, l’anima del Verbo di Dio fatto uomo. Lo Spirito Santo che il Cristo non cessa di mandarci, c’invita a partecipare alla Sua carità e a darne la prova con la nostra dedizione, il nostro disinteresse, il sacrificio di noi stessi. Lo Spirito del Cristo che ci è comunicato, c’invita a partecipare al Suo odio per il peccato, al Suo zelo pet la salvezza delle anime. È la santità in atto, che è chiamata ad un accrescimento sempre più grande, finché giunga pet noi l’ora della morte, che dovrà essere, in unione col Cristo per lo Spirito Santo, una suprema adorazione di Dio Padre, un supremo ringraziamento a Dio, una suprema offerta della nostra vita al Padre, una suprema invocazione a Lui per noi e per coloro che lasciamo sulla terra; prima, per quelli che ci sono più vicini, poi per tutti gli uomini, gl’infelici, i peccatori, i santi. Possa questa santità ben compresa, divenire la nostra!

3.

Spirito di ogni intelligenza, Spirito di ogni santità, lo Spirito Santo è innanzi tutto, secondo il libro della Sapienza, uno e molteplice. Lo Spirito Santo è come un soffio che va dal Padre al Figlio e torna dal Figlio al Padre. È il soffio d’amore dal Padre al Figlio e dal Figlio al Padre. E il loro reciproco amore. Amore per quel che lo caratterizza, senza tuttavia costituirlo personalmente, lo Spirito Santo è più particolarmente il principio dell’amore di Dio, nel mondo. In maniera ad un tempo più completa e più esatta. Egli è colui per il quale, col. quale, nel quale il Padre ed il Figlio amano, al di fuori di se stessi, cioè nel mondo, tutto ciò che Essi amano. È così che lo Spirito Santo è uno. Ma questo amore, che è lo Spirito Santo, si differenzia in altrettante maniere quante sono le anime nelle quali esercita la Sua azione. Simile, secondo il paragone di san Giovanni Crisostomo, alla sorgente, che, dopo aver formato un unico ed abbondante corso d’acqua, si divide in una infinità di ruscelli che vengono ad irrigare le pianure, i prati e formano in seguito le riviere ed i fiumi. Simile pure alla pioggia benefica, che cade sulla. terra, si trasforma in linfa, diviene verde nella pianta; bianca, rosa, rossa nei fiori, gialla nel frutto. È l’amore ardente del Cristo che ha sostenuto nel martirio gli Apostoli, migliaia di confessori, di giovani vergini come santa Cecilia, sant’Agnese, santa Lucia. L’amore del Cristo ha condotto e non cessa di condurre una moltitudine di Cristiani ad una vita di totale abnegazione mediante la pratica dell’obbedienza a una regola, a un superiore; della povertà affettiva ed effettiva, o almeno affettiva e della castità. Gli uni mettono in primo piano nella loro vita l’abnegazione e in secondo piano l’amore. Si sacrificano per amore. Gli altri invece, pongono in primo piano l’amore di Cristo e in secondo piano la mortificazione sotto tutte le forme. Amano, e l’amore li conduce al sacrificio. È un affare di punto di vista che corrisponde a mentalità diverse e molte volte a educazione differente. Può sembrare cosa di poca importanza. Bisogna amare e sacrificarsi. Che ci si sacrifichi per amore oppure si ami risolutamente in modo che l’amore trascini al sacrificio, l’essenziale non è forse fare l’uno e l’altro? Sì, senza dubbio. Ma, nel mondo delle anime, vi sono delicatezze infinite. E giustamente, una persona per fare una di queste due cose, è necessario sappia prendere anche l’altra. – Questa differenza di punto di vista è invece di tale importanza che ha determinato, nella Chiesa, due correnti di spiritualità, due scuole che hanno ciascuna i loro dottori, i loro metodi, i loro vantaggi e i loro inconvenienti. Alcuni ordini religiosi sono stati fondati mettendo in primo piano nella loro tegola la mortificazione sia mediante l’obbedienza, come i Benedettini, sia per mezzo della povertà affettiva ed effettiva, come i Francescani. Altri religiosi invece, hanno posto in primo piano nelle loro Costituzioni la carità, come i Domenicani e i Carmelitani. Nulla di più meraviglioso di quell’infinita varietà di forme di vita religiosa tutte intese a tributare alla Santissima Trinità, in unione col Cristo, il gran Religioso di Dio, il medesimo omaggio di adorazione, di riconoscenza, di offerta e d’invocazione. È la grande preghiera che non cessa di essere rivolta a Dio per il compimento nel mondo dell’opera redentrice. – Ora lo Spirito Santo, uno e molteplice ad un tempo, è Colui che anima tutta questa vita religiosa. È Lui che ne assicura l’unità perfetta e l’infinita varietà. – E ciò, come sta scritto nel libro della Sapienza, perché lo Spirito Santo è immateriale, attivo e penetra tutto. Lo Spirito è opposto alla materia. Lo Spirito Santo, che è per essenza lo Spirito, è assolutamente opposto alla materia. Affrancato dalla materia, è infinitamente attivo. Penetra tutto. Penetra gli esseri materiali e spirituali, per sostenerli nell’esistenza e dirigerne l’attività. Penetra l’anima umana fino ai più profondi recessi. Penetra i puri, cioè quelli che vivono seguendo le Sue ispirazioni, per dar loro la testimonianza della buona coscienza, la gioia migliore che si possa provare in questo mondo, quella che, a rigore, deve bastare, e basta all’uomo saggio, quelle che nulla quaggiù può turbare o togliere, né le ingiustizie, né le calunnie, né la vita, né la morte. Penetra gl’impuri, cioè coloro che non ascoltano i Suoi inviti, per ispirar loro il rimorso, che per essi può essere un principio di conversione. – Lo Spirito Santo è anche stabile e mobile. È stabile in Se stesso. Egli è sempre il medesimo movimento vitale, che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio. Egli è egualmente sempre stabile nella sua azione ad extra. Ci conduce verso il Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, e per il Figlio verso il Padre, affinchè, divenuti simili al Figlio, possiamo essere figli di Dio. Ma quale non è la Sua mobilità o pieghevolezza! Vi è una pieghevolezza di animo che consiste nell’adattarsi a coloro in mezzo ai quali si vive, ai loro difetti come alle loro qualità, alle loro esigenze buone o cattive, in modo da guadagnarli alla propria persona, alla propria causa, al proprio partito, per vana compiacenza e spesso per ambizione. Una tale pieghevolezza è meschina; procede dall’egoismo e da una grande bassezza d’animo. Vi è invece un’altra pieghevolezza di animo, che proviene da un’idea nobile, da una volontà di giustizia e di carità. Si vede e si ama il prossimo in Dio. Si vuole il suo bene con fervore e disinteresse. E allora ci si applica a comprenderlo con i suoi difetti, le. Sue qualità, i suoi bisogni, le sue esigenze. Senza nulla perdere né delle proprie convinzioni, né della propria dignità personale, ci si adatta a lui in ciò che ha di buono, per cercare di elevarlo sempre più in alto, cambiarlo, trasformarlo in modo di giungere a farne una persona umana, un Cristiano di carattere. Una tale pieghevolezza richiede grande spirito di giustizia, una carità ferma e risoluta, grande bontà fatta di pazienza, di amabilità, di dolcezza. Essa si eserciterà sempre nel più gran rispetto della volontà del prossimo, in una dedizione intelligente che non si scoraggerà, né si stancherà di nulla. – Tale pieghevolezza è una grandissima perfezione. Eleviamola all’infinito e avremo un’immagine della pieghevolezza dello Spirito Santo, di quella pieghevolezza che Egli non cessa di esercitare nel governo delle anime, riguardo a ciascuno di noi. In tutta la misura nella quale ci prestiamo alla Sua azione, rispettando infinitamente la nostra volontà libera, ci prende quali noi siamo, ci trascina, ci eleva, ci santifica. Unito a noi, alla nostra vita, quanto può esserlo; resta sempre il medesimo, lo Spirito Santo, Colui che viene dal Padre per il Figlio e torna al Padre per il Figlio, ma questa volta, prendendoci con Sé, per conformarci alla santa umanità del Figlio di Dio fatto uomo. Così lo Spirito Santo è stabile e mobile. Pur rimanendo il medesimo, è sommamente pieghevole. – Questa pieghevolezza nella direzione delle anime lo Spirito Santo la esercita sempre con infinita dolcezza e perfetta soavità. Lo Spirito Santo, leggiamo nel libro della Sapienza, è pieno di soavità, di dolcezza, ricolmo delle tenerezze dell’amore. Nel lavoro è riposo; nell’ardore dell’azione ci calma; ne dolore è conforto. È il consolatore per eccellenza, dolce ospite dell’anima, dolce refrigerio. Se abbiamo corrisposto generosamente alla grazia dello Spirito Santo, avremo tutti provato, in certi momenti della nostra vita, questa dolcezza dello Spirito Santo ed esclamato come gli Apostoli sul Tabor: « Maestro è bene per noi star qui! » Avremmo voluto restarvi sempre. Però non siamo su questa terra per godere! ma per lavorare e soffrire. Il tempo della gioia è il cielo. Se ogni tanto un po’ di gioia tutta celeste ci è data, è per incoraggiare nel nostro lavoro ed aiutarci a meglio lottare, in mezzo alle difficoltà. Niente arresta lo Spirito Santo nel mondo, soggiunge l’autore del libro della Sapienza. Lo Spirito Santo tutto governa; dirige tutto, domina tutto. – Come ha creato tutto e tutto conserva nell’esistenza mediante una creazione continua: così potrebbe annientare ogni cosa. Ma allora perché il male è nel mondo? E, poiché il male esiste, perché lo Spirito di Dio non lo arresta? La presenza del male nel mondo è sempre stata lo scandalo di molti. I non filosofi ne rendono Dio responsabile. Bestemmiano e si chiudono nella loro irreligione. Alcuni filosofi, per spiegare il male, hanno immaginato la presenza, nel mondo, da tutta l’eternità, di un principio cattivo di fronte a Dio, principio buono. L’uno e l’altro sono in assoluta opposizione. Da ciò, ovunque nel mondo, il bene è in lotta contro il male, il male in lotta contro il bene. E in ciascuno di noi esiste un dualismo di desideri, di pensieri, di energie, la lotta dello spirito contro la carne e della carne contro lo spirito. Questa teoria è insostenibile. Il principio cattivo non può essersi levato da tutta l’eternità contro Dio, principio buono, come è stato detto. Se esistesse, non avrebbe potuto essere creato che da Dio. E Dio che è il principio buono, non può aver creato il principio cattivo. Il male non viene da Dio. Viene da noi uomini. Questa è tutta la spiegazione. Dio, infinitamente buono, ha creato il mondo unicamente per bontà. Aveva messo l’uomo nel mondo, per vivere con lui in rapporti di dolce amicizia. Sarebbe questo il suo destino; la sua ragione d’essere sulla terra. Mentre le altre creature servirebbero Dio necessariamente, per ordine delle manifestazioni della loro attività naturale, l’uomo servirebbe Dio vivendo con Lui come un amico vive col proprio amico. Perché potesse essere così, lo aveva fatto simile a Sé mediante la comunicazione di una vita tutta divina. A motivo di tale vita tutta divina, Dio si era compiaciuto di perfezionare la natura umana. Le aveva dato una intelligenza superiore, una forte volontà; per mezzo di un concorso fisico e vitale straordinario, le rendeva facile ogni lavoro; le avrebbe accordato una vita perenne. Ma ecco. L’amore vuol essere libero. L’uomo creato da Dio era libero. Libero di amare il suo Dio o di non amarlo. Anziché rispondere al disegno di Dio, l’uomo, abusando della propria libertà, si levò contro Dio. Ricusò di servirlo, gli rifiutò obbedienza. Era ricusare di riconoscere Dio quale Sovrano Signore; era rifiutare di amarlo. L’uomo si metteva così in opposizione col suo destino e con la sua ragione di essere in questo mondo. Dio si ritirò da lui, gli sottrasse la Sua grazia e tutti i doni di privilegio che ne erano la conseguenza. – Malum ex quocumque defectu, dice il filosofo. Per essere completo, devo dire: Malum ex quocumque defectu Dei. Dio si allontanò da noi e fu la morte: fu il male, il male morale e quello fisico. – Vecchia storia, vecchia soluzione, senza dubbio! Ma poiché essa è la vera e l’unica soluzione, perché perdersi in discorsi e dissertazioni per cercarne un’altra ? « L’uomo è più inconcepibile senza questo mistero, di quel che non lo sia tale mistero per l0’uomo », ha scritto Pascal (Pensieri sez. VII). È permesso andare ancora più innanzi. Poiché lo Spirito Santo è ovunque e può tutto, perché non arresta il male? Dio impedisce il male; ma lo impedisce rispettando sempre la nostra volontà libera. Il Redentore è venuto. Ha lavato nel Suo Sangue tutte le iniquità. Tocca a ciascuno di noi appropriarsi i benefizi della Redenzione mediante il buon uso della nostra volontà libera. Durante tutto il corso della nostra vita lo Spirito Santo, che il Cristo ci manda, per mezzo delle grazie che Egli ci offre, ci circonda, ci tormenta perché seguiamo le Sue ispirazioni, i Suoi impulsi, perché per Suo mezzo ci uniamo al Cristo, imitiamo la Sua vita, partecipiamo alle Sue virtù, riproduciamo tutti i Suoi misteri. Egli c’insegue così senza stancarsi sino alla fine della nostra esistenza. Niente lo arresta, se non la nostra cattiva volontà libera, finale, che è il peccato contro lo Spirito, quel peccato che non può venir perdonato né in questo mondo, né nell’altro. – Se obbediamo allo Spirito Santo, è per la nostra eterna salvezza. Tuttavia, se la grazia di Dio che è una similitudine divina, una similitudine vitale, ci è data, ci è restituita, in tutta la pienezza del nostro buon volere, i doni di privilegio che furono accordati al primo uomo e che lo rendevano esente dalla sofferenza non ci sono resi. – Raggiungeremo la nostra salvezza portando la croce, al seguito del nostro Salvatore che, per riscattarci dalla schiavitù del peccato, si è umiliato, rendendosi obbediente fino alla morte, e alla morte di croce. La sofferenza o la croce così considerata, i santi, e santi dobbiamo diventarlo tutti, l’ameranno, invocandola con grande desiderio. E sarà in ciascuno di noi, con noi, per noi, l’ultima grande vittoria dello Spirito Santo sul male, la vittoria di colui che nulla arresta in questo mondo, se non il peccato nel quale il peccatore si ostina.

TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (5)