TRATTATO DELLO SPIRITO SANTO (13)
TITOLO ORIGINALE: TRAITÉ DU SAINT – ESPRIT Edit. Bloud-Gay.- Paris 1950
V. Per la Curia Generalizia Roma, 11 – 2 – 1952 – Sac. G. ALBERIONE
Nulla osta alla stampa – Alba, 20 – 2 – 1952 Sac. S. Trosso, Sup.
lmprimatur:Alba, 28 – 2 – 1952 Mons. Gianolio, Vic. GEN.
CAPO DECIMOPRIMO
I DONI DELLO SPIRITO SANTO
Per santa Teresa tutta la vita spirituale faceva capo ai doni dello Spirito Santo. Secondo lei ne erano come le facoltà. Tutti i disordini della vita spirituale li attribuiva ad una incomprensione o a una mancanza dei doni dello Spirito Santo; mentre tutta la perfezione della vita spirituale era, a suo parere, effetto dei doni dello Spirito Santo. Dal punto di vista della vita mistica, dal quale la considerava, aveva ragione. – La grazia è Dio che viene in noi, rendendoci soprannaturalmente conformi alle esigenze della Sua presenza. In primo piano, che è quello dei Vangeli sinottici e di san Paolo, la grazia è Cristo che ci unisce a Sé per mezzo del Suo Spirito Santo, ci rende conformi alle Sue disposizioni, ai Suoi sentimenti, e ci fa partecipare alle Sue virtù e ai Suoi misteri. – Nel secondo piano, che è più specialmente quello di san Giovanni e dei Padri greci, la grazia è la Trinità Santa, Padre, Figlio di Dio fatto uomo e Spirito Santo, che si stabilisce nell’anima nostra. Lo Spirito che viene dal Padre per il Figlio di Dio, Verbo incarnato, ci unisce prima di tutto al Verbo di Dio fatto uomo e, per mezzo del Verbo, al Padre. Unendoci al Verbo di Dio fatto uomo, ci rende conformi alla Sua santa umanità e ci trasforma spiritualmente. Così il Padre ed il Figlio operando più specialmente per lo Spirito, creano in noi tutta una vita nuova, soprannaturale che, per agire, dispone di virtù soprannaturali e dei doni dello Spirito Santo. Che cosa sono i doni dello Spirito Santo?
1.
Dio interviene nell’anima nostra in moltissimi modi che si possono tuttavia ridurre a due principali. O Dio interviene in noi piegandosi in qualche modo alla nostra maniera umana di agire, quasi umanizzandosi. Ci fa pensare, volere ed amare mediante le virtù teologali di fede, speranza e carità. Fa sì che conformiamo la nostra volontà alla Sua santa volontà per mezzo delle grandi virtù morali di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza. Queste sono forme umane di attività. In tutti questi casi l’anima nostra si muove veramente ed è mossa. La parte di Dio e quella dell’uomo sono quasi eguali. Tuttavia, si può dire che l’anima nostra piuttosto che essere mossa, si muove. Anima est movens potius quam mota, scrisse san Tommaso; è l’ascesi cristiana o la vita ascetica. Oppure Dio interviene in noi, ma questa volta in maniera nettamente superiore al nostro modo umano di agire. Illumina, agisce con noi, in noi, ci attira, ma in modo che ci sorpassa interamente. E come un’invasione dello Spirito Santo nell’anima nostra. Egli ci piega al Suo modo divino di agire.In tutti questi casi, l’anima sicuramente si muove quanto può. Ma molto più è mossa da Dio e trasportata da Lui. Anima est movens ac mota, sed est potius mota. Essa è più passiva che attiva; più governata da Dio che da se stessa; più abbandonata a Lui e da Lui trascinata che intenta a cooperare alla grazia divina. Un esempio della vita mistica che colpisce, è ciò che avvenne nell’anima degli Apostoli il giorno della Pentecoste, quando ebbero ricevuto lo Spirito Santo; furono trasportati, trascinati da una luce viva e ardente. E Pietro alzandola voce disse alla folla che rimase conquisa: «Quel Gesù che avete messo a morte, è il Messia annunziato dai profeti, atteso da Israele. È il Figlio di Dio fatto uomo. Avete commesso il più abominevole delitto. Fate penitenza per il vostro peccato»; È la mistica cristiana o la vita mistica. Essa è una perfezione della vita ascetica. È la vita ascetica ma divenuta più viva, più ardente, più divinizzata. Ora i doni dello Spirito Santo sono come le facoltà della vita mistica. Di qui, questa definizione dei doni dello Spirito Santo: sono degli abiti soprannaturali che dànno alle nostre facoltà soprannaturali, alle virtù, una tale pieghevolezza per l’azione, una tale facilità e prontezza che corrispondono e obbediscono prestissimo e con slancio ai minimi impulsi della grazia. – Così i doni dello Spirito Santo sono nettamente degli abiti soprannaturali, cioè delle maniere soprannaturali di agire, e non delle abitudini preternaturali, ossia dei compimenti della nostra natura, destinati a perfezionarla nel suo ordine, in vista tuttavia dell’ordine soprannaturale. Quindi, nonostante i doni soprannaturali dello Spirito Santo, la sofferenza dimora nell’anima nostra. Essa proviene dalla disproporzione che esiste e che noi sentiamo tra la nostra natura e la grazia. Avverrà che lo sviluppo dei doni soprannaturali sarà pure occasione di una sofferenza ancor più viva. L’anima, come perduta in Dio per la grazia, è costretta a trascinare un corpo di peccato, soffre di tale situazione ma questa sofferenza contribuisce alla sua maggiore santificazione. Di più, come lo fa benissimo osservare san Tommaso, i doni dello Spirito Santo sono delle potenze attive, attive il più possibile, ma che richiedono sempre un potere di recettività ad accogliere doni in abbondanza sempre più grande. Questa recettività è tanto più grande quanto i doni sono più perfetti. Del resto, è così di tutte le grazie che ci sono date su questa terra. Esse sono ad un tempo potenze attive e potenze recettive, tanto più recettive, quanto più sono attive (Summa theol. 1-II, q. 68; II-II, qq. 8, 52.- Le traîtè du Saint-Esprit de saint Basile, introduzione, testo e traduzione del P. B. PRUCHE, Collezione « Sources chrètiennes », Editions du Cerf, 1947. – JEAN DE SAINT-r-THOMAS, Les dons du Saint-Esprit, traduzione R. MARITAIN).
2.
Si vede subito l’eccellenza dei doni dello Spirito Santo. Per mezzo di questi doni, soprattutto quando sono stati elevati ad un grado altissimo, l’anima è trascinata in Dio, si muove in Dio, non agisce che per divino impulso. Essa vede tutto in Dio, gli avvenimenti, gli uomini e le cose. Comprende il mistero di Dio nel mondo, quanto lo si può comprendere su questa terra. Soprattutto, il mistero di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, nostro Redentore, nostro Salvatore, Sacerdote della Nuova Legge. Essa comprende il Cristo nella sua vita evangelica, nella Sua vita eucaristica, nella Sua vita nelle anime per lo Spirito Santo e nello Spirito Santo. Un amore ardente la unisce a Cristo, da nulla può separarla, né la vita, né l’intenso lavoro, né le tribolazioni, né le sofferenze. E questa carità ardente accresce ancora la sua penetrazione dei misteri. Una oscurità continua certamente ad avvolgerli. Ma la nube che ondeggia, dà già l’impressine che stia per dileguarsi. Tuttavia non scomparirà che al momento della nostra morte. L’anima così elevata dai doni dello Spirito Santo vede chiaramente il disegno di Dio sopra di lei e la sua vocazione particolare. Essa sa e sente di essere nello stato, nell’ambiente voluto per lei da Dio. Si sente nella propria via, nella via che Dio le ha tracciata. Perciò, ama questa via, questo ambiente, sia pure un ambiente di fatiche e di tribolazioni, di febbre intellettuale o di attività eccessiva, di azione personale o sociale. Come vede chiaro in se stessa, vede con chiarezza nell’anima degli altri, e sa dare i consigli adatti al loro bene temporale e alla eterna salvezza. – Una forza irresistibile la trasporta o la trascina. Nessuna difficoltà la spaventa, alcuna lotta l’arresta. Non ha rispetto umano, né timore di critiche, e quando la voce di Dio le ha tracciato il dovere, è la marcia in avanti, franca e leale. Nessun timore di dispiacere agli uomini, neppure a parenti ed amici. E nonostante, nessuno sgarbo né durezza. Nessun compromesso coi partiti opposti per timori di perdere vantaggi temporali o la propria dignità. Nessuna fermata sul posto, oppure quel far due passi avanti seguiti quasi sempre almeno da un passo indietro. Scrivendo questioni controverse, non frasi incerte nelle quali l’affermazione è sempre accompagnata da qualche riserva di negazione. Non lesinerie. Non di quei volti che, sotto pretesto di un bene maggiore, ossia di carità ed anche di amicizia, soffiano, sul conto vostro, con eguale facilità il caldo e il freddo. È meglio non aver amici, che averne di simile tempra. Non è vero? Una lotta intensa contro tutto ciò che è male. Perseveranza, costanza, tenacia. Un solo timore, ma questo proviene da un amore grande, profondo ed intero, il timore di dispiacere a Dio, il timore del minimo peccato. Esso si accompagna ad una pietà filiale per Dio Padre, per Dio Figlio, Verbo di Dio fatto uomo, per Dio Spirito Santo; a una pietà dolce e tenera per la santa Eucarestia, a una pietà di venerazione e di azione di grazie per i santi Angeli e specialmente per l’Angelo Custode; a una pietà di amico per i santi, a una pietà di bimbo per la Santa Vergine. È questa la superiorità che i doni dello Spirito Santo conferiscono. Ne risulta una grandezza e una bellezza morale che attirano tutti coloro che ne sono testimoni, li soggiogano, li conquidono. Alla luce di questa dottrina si comprende l’anima dei santi. Si comprende per esempio l’anima di una santa Teresa di Avila, che fu favorita dei doni dello Spirito Santo al più alto grado. Essa va, corre per la sua via. È ammirabile nella contemplazione quanto nell’azione. Trova nella contemplazione tutta la forza per agire e soffrire. Essa è come perduta in Dio e nei Suoi misteri, soprattutto nel mistero di Dio fatto uomo in Gesù Cristo; mediante una intuizione che sboccia nell’amore. Resta però stupendamente pratica; essa è pratica alla maniera di Dio, occupandosi dei minimi, particolari delle sue fondazioni, delle sue comunità, dei suoi monasteri. Si comprende l’anima di una santa Giovanna d’Arco che, anche lei, aveva ricevuto i doni dello Spirito Santo in tutta la pienezza. Essa ha continuamente lo sguardo dell’anima rivolto a Gesù, nostro Salvatore, e a Maria, Sua Madre. Trova, in questa contemplazione, la luce che le mostra la via da seguire, le detta le parole da dire; la forza che la sostiene nei combattimenti, nelle prove, sul rogo.
3.
Ecco come Isaia descrive la venuta dello Spirito Santo nell’anima del Messia:
Un germoglio spunterà dalla radice di Iesse,
un fiore verrà su da questa radice.
Sopra di Lui si riposerà lo Spirito del Signore,
spirito di sapienza e d’intelletto,
spirito di consiglio e di fortezza,
spirito di scienza e di timor di Dio (Is. XI, 1-2).
Così lo Spirito di Dio verrà nell’anima del Messia e gli comunicherà la pienezza dei doni che gli occorrono pet il compimento dell’opera Sua. La tradizione biblica ha sdoppiato il dono del timor di Dio in quelli del timor di Dio e di pietà. Questi due doni corrispondono ad una medesima realtà spirituale. Essi possono essere uniti e separati.
Di qui i sette doni dello Spirito Santo. I doni del Messia saranno pure, con le dovute proporzioni, doni di tutti coloro che appartengono al Messia. Quindi possiamo studiarli applicandoli a tutti i Cristiani. Non perderemo mai di vista la somiglianza tipica che stabiliscono tra Cristo e i Cristiani. – La teologia è stata portata a fare una distinzione fra i doni intellettuali che sono quelli di scienza e d’intelletto, di sapienza e di consiglio, e i doni affettivi, cioè quelli di fortezza, di timor di Dio e di pietà. È questo l’ordine che seguiremo. – Il dono della scienza di Dio, non è né la scienza della natura, né la filosofia e neppure la teologia. È quella scienza dei santi che faceva loro vedere tutte le cose e soprattutto le creature umane in Dio. Essa s’ispira a quella dottrina che, per i santi. non è soltanto speculativa, ma sommamente pratica. Nel mondo, Dio è dappertutto: lo sostiene con la Sua potenza, lo dirige con la Sua Provvidenza. Se Dio si ritirasse dal mondo, il mondo ricadrebbe nel nulla. Nella misura in cui, per le nostre colpe, lo costringiamo ad allontanarsi da noi, conduciamo una vita meschina, è il disordine ed il male. – Questa presenza fisica è unita alla presenza di amicizia, alla presenza di grazia per mezzo della quale Dio ci rende conformi a Sé nel profondo del nostro essere, per abitare nell’anima nostra; ci illumina con la luce della fede, ci eleva verso di Lui con la speranza; ci unisce a Sé con l’amore; ad agire secondo la Sua volontà per mezzo di tutta un insieme di virtù morali. Si comprende, come sotto una tale luce, il mondo appaia in una realtà concreta che colpisce, conquide tutto l’essere umano, diventa ispiratrice dei suoi giudizi sopra tutte le cose, delle sue azioni e imprime una direzione di vita. Un san Francesco di Assisi vede Dio ovunque nella natura. Lo adora, lo ringrazia, si offre a Lui, lo invoca con tutta l’anima: non vive che di Lui. Se nei poveri che mi circondano, non vedessi che la creatura umana, con le sue miserie fisiche e morali, come me ne allontanerei, scrive san Vincenzo de’ Paoli. Ma perché in essi, vedo il mio Dio, vado a loro con tutta l’anima e con tutti i miei mezzi. Li amo tanto più, quanto maggiormente sono infelici, perché in essi vedo ed amo il mio Dio. Nella creatura umana san Francesco di Sales invitava a scorgere l’uomo totale, cioè l’uomo in Dio. Se qualcuno dice che ama Dio, e non ama il prossimo e non si sacrifica per esso, costui mentisce, come ha detto l’Apostolo san Giovanni. Nella natura, santa Teresa di Lisieux non vedeva direttamente Dio, come san Francesco di Assisi, ma dei simboli che le ricordavano Dio, i suoi misteri, la sua azione nelle anime. Nei petali delle rose che brillano al mattino e che la brezza della sera fa cadere e il vento trasporta lontano, ella vede l’immagine dell’anima che lascia la terra e se ne vola a Dio. Nella pratolina che si dischiude al sorgere del giorno, scopre il simbolo dell’anima che si apre alla grazia, o dell’ostia santa che si offre alle nostre adorazioni. Nell’allodola che cantando dispiega il volo verso il cielo, scorge il simbolo della religiosa che canta o salmeggia l’Uffizio divino per adorare Dio, ringraziarlo, offrirsi a Lui, pregarlo. — Al di là di tutte le teste di fanciulli o di giovani che giocano, lavorano, o sono semplicemente vicini a me, mi diceva M. Esquerrè, ammirabile direttore di Opere, mi applico di continuo a vedere la persona di Gesù, mio Salvatore che è unita a loro. E la vista del mio Salvatore ispira tutta la mia condotta, detta ogni mia parola, mi sostiene nel lavoro, nelle fatiche, nelle pene. Ai suoi ragazzi, diceva volentieri le parole dell’Apostolo che faceva sue, e furono il suo testamento: « Tanto teneramente vi amiamo che bramiamo donarvi non solo il Vangelo di Dio, ma anche la nostra stessa vita » (1 Tess. II, 8). – Così è tutta una sorgente di vita nuova, fatta di luce, di energia, di generosità, di coraggio, che il dono di scienza apre nell’anima di colui che lo possiede. E tutta questa vita si esercita nell’ordine, nel dominio di sé, in una delicatezza squisita, perché si ha continuamente il sentimento netto e vivissimo che, negli esseri creati che noi consideriamo, troviamo Dio, amato con passione. La contemplazione è l’atto nel quale si concentra tutta la vita mistica. San Tommaso l’ha definita: « Intuitio veritatis quæ terminatur ad affectum »: una intuizione della verità, della verità divina, rivelata, che termina e sboccia nell’amore ». Ora, è facile comprendere che della contemplazione così intesa, il dono di scienza è una mirabile facoltà, anzi si sarebbe anche inclinati a dire che ne è l’unica facoltà. E ciò perché il dono di scienza di Dio, contiene già tutti gli altri doni. Del resto è così di ogni dono dello Spirito Santo che, in realtà, molto spesso, non si può discernere se non da qualche nota particolare che dipende soprattutto dal carattere di colui nel quale viene studiato. – Il dono d’intelletto deve intendersi, nel senso etimologico della parola intelligere, intus legere. Mediante il lume soprannaturale che esso comunica, colui che lo possiede, legge, vede. Vede il Salvatore attraverso i testi evangelici, nella vita dei santi, in quella della Chiesa, secondo la misura in cui lo si può vedere. Perciò quando ne parla, o scrive di Lui, la sua parola, il suo stile assumono l’accento di una testimonianza, e non solamente quello di una relazione, di un racconto storico. Si conosce la differenza che esiste tra l’accento di un testimone e quello di un semplice storico. Il primo afferra, conquide, soggioga, il secondo non può che più o meno interessare. — Il dono d’intelletto conferisce pure una penetrazione viva e approfondita non tanto delle ragioni che stabiliscono il dogma, quanto dello stesso dogma. È una specie d’intuizione delle divine realtà espresse dal dogma, quanto tali realtà possono essere conosciute in questo mondo, e che suggerisce quelle formule semplici e brevi, singolarmente espressive, che si trovano sia sulle labbra dei semplici fedeli, come nell’insegnamento e negli scritti dei teologi contemplativi, per esempio di un san Giovanni Crisostomo, di un san Bernardo, di un san Bonaventura, di un Thomassin. – Nella piccola chiesa di Ars il santo curato ha notato uno dei suoi parrocchiani, formato senza dubbio dalla sua dottrina e dai suoi esempi. Ogni pomeriggio è in Chiesa, in ginocchio, con gli occhi fissi sul tabernacolo. Che cosa fate dunque così? gli chiese. Ed egli rispose queste semplici parole, additando il suo Salvatore: “Lo guardo ed Egli mi guarda”. Questo parrocchiano di Ars possedeva il dono d’intelletto in grado molto elevato. Come il dono d’intelletto, quello di sapienza deve intendersi nel senso etimologico della parola latina sapere che lo esprime e che significa provare gusto per…, gusto, cioè compiacenza, attrattiva, amore. Il dono di sapienza è il dono d’intuire Dio e i Suoi misteri mediante l’amore, è l’intuizione per mezzo del cuore. Tutte le nostre cognizioni sono prese in prestito dalle cose create. Quindi, quando le applichiamo a Dio e ai Suoi misteri, ci è necessario riferirle a Lui e purificarle. Ma per quanto riferite a Lui e purificate, sono sempre relative alle cose create. Non esprimono che imperfettamente Dio e i Suoi misteri. Non potrebbe essere altrimenti. Anche se vi è qualche somiglianza, vi sono sempre delle differenze. Esse sono, come si suol dire, analogiche. Ora non è così dell’intuizione di Dio mediante la carità ed il cuore. Senza dubbio questa intuizione è inesprimibile, o l’espressione ne sarà sempre confusa; ma è diretta. È in questo modo che il dono di sapienza permette d’intuire Dio e i Suoi misteri. Prima di tutto applica l’intelletto ad approfondirne tutti i dati, a trasporne e purificarne sempre più le espressioni intellettuali e verbali. Ne critica facilmente tutti i tentativi, suggerendo delle osservazioni semplici ma decisive: non è così, non è così. Talmente che colui il quale possiede nel medesimo tempo il dono d’intelletto e quello di sapienza non sarà mai soddisfatto del proprio pensiero. Proverà un vero tormento per la disproporzione fra il suo pensiero e la realtà. Non si racconta forse che san Tommaso, dopo aver composto la Somma theologica voleva bruciarla tanto la trovava imperfetta? Così l’intuizione per mezzo del cuore applica innanzi tutto il pensiero ad una più grande penetrazione dell’oggetto che esso considera. Ma inoltre intuisce Dio e i Suoi misteri direttamente e con certezza, e trova in tale intuizione una gioia ineffabile. – Un uomo di buon consiglio è colui che sa dire a chi lo interroga, lo scopo della vita che deve perseguire o, se lo scopo è già conosciuto, sa indicare i mezzi che bisogna prendere, la via da seguire per raggiungere tale scopo. Un uomo di buon consiglio ha l’arte di essere oggettivo. Se possiede una grande esperienza della vita, sa spogliarla di tutto ciò che potrebbe avere di partito preso, di teorie, di quelle vedute personali e del tutto soggettive, che talvolta rendono le persone anziane, insopportabili ai giovani, quando si mettono a invocare la propria esperienza. L’esperienza nell’uomo di buon consiglio, non fa che perfezionare, in lui, l’arte di essere oggettivo. Poi egli non ha che una preoccupazione cioè il bene degli altri, il loro maggior bene. Nessun interesse personale, né quello di piacere ad una terza persona con la quale ci si sarebbe già consigliati o che avrebbe raccomandato le proprie vedute. Ecco l’uomo di buon consiglio. Trasponiamo ed eleviamo il più possibile questo piano di vita e avremo un’idea esatta del dono di consiglio. Colui che ha ricevuto il dono di consiglio è l’uomo che abbiamo descritto. Ma il suo pensiero è interamente impregnato di una luce divina che accentua, sviluppa, in lui, il lume naturale. Il Curato di Ars, per esempio possedeva eminentemente questo dono di buon consiglio. A tal punto da poter dire di lui che sembrava leggete nelle anime. A tutti, a tutte, indicava lo scopo da raggiungere, la via da seguire. Una giovane gli chiede se deve entrare in religione: le consiglia il matrimonio. Un’altra gli parla di un prossimo matrimonio: le consiglia di entrare in religione. Un tale confessandosi, non accusa che colpe leggere. « Sta bene, gli dice, ma bisognerebbe soprattutto accusare questo peccato grave ». Un giovane diacono lo interroga e gli parla del suo progetto di entrare nella Compagnia di Gesù: « È diacono, amico mio, gli dice il santo Curato: ah! è diacono. Mi creda: ami molto la Santissima Eucarestia ». Il giovane diacono se ne va, un po’ sconcertato di questa direzione che egli giudica assai spicciativa. In seguito ho avuto occasione d’incontrare il diacono di allora, quando, ottuagenario, terminava la sua vita in una Società di Sacerdoti secolari, ove la sua più grande applicazione era sempre stata di far meglio conoscere ed amare il Santissimo Sacramento. « Mai, mi disse, ho ricevuto una direzione più illuminata, né più opportuna ». Sono questi i doni intellettuali dello Spirito Santo. I doni di scienza e d’intelletto, sono sviluppi della virtù della fede e più ancora dello spirito di fede. Il dono di sapienza, è uno sviluppo della virtù della carità. Quanto al dono del consiglio, lo è della virtù morale di prudenza. Ci restano da esaminare i doni affettivi dello Spirito Santo, il dono di fortezza che è uno sviluppo della virtù di fortezza; i doni del timor di Dio e della pietà che sono sviluppi della virtù di religione.
4.
La fortezza è una virtù morale soprannaturale che rende più salda la nostra volontà nella ricerca del bene soprannaturale che, senza dubbio, si ottiene difficilmente, ma nel quale è ancor più difficile perseverare e crescere. La fortezza rinvigorisce la nostra volontà comunicandole quel vigore soprannaturale che le permetterà di non lasciarsi turbare, né scoraggiare o paralizzare moralmente da tutti quei timori che nell’anima nostra, vengono ogni giorno ad opporsi all’adempimento del nostro dovere di stato. La fortezza rende pure ferma la nostra volontà dandole quel vigore soprannaturale che le permetterà di non lasciarsi trascinare da folli audacie. Così la fortezza esercita sulla nostra volontà un duplice influsso: è per essa un appoggio ed un freno. Est probibitiva timoris et moderativa audaciarum. Con la grazia della rigenerazione battesimale, la fortezza è data al battezzato per metterlo in condizione di non cedere sia al timore delle difficoltà della vita, che all’apprensione delle lotte da sostenere: Horror difficultatis et labor certaminis. Tale fortezza è accompagnata da una comunicazione dei doni dello Spirito Santo, ma specialmente del dono di fortezza, soprattutto nell’adulto che dovrà impegnare la lotta, fin dall’ingresso nella nuova vita. – La grazia di forza, è la grazia sacramentale che riceve il cresimato e che gli permette di non lasciarsi vincere dalla potenza del peccato che è nel mondo, cedendo al peccato o lasciandosi scoraggiare da esso, e gli consente invece di vincere il peccato operando il bene in sé e attorno a sé. Al cresimato si addice la parola d’ordine dell’Apostolo: Noli vinci a malo, sed vince in bono malum (Rom. XII, 2). Il cresimato riceve la fortezza che gli permetterà anche di lottare contro tutte le forme di rispetto umano, la paura della critica e degli uomini peccatori, fossero anche suoi amici. Più che il neo battezzato, il cresimato riceve i doni dello Spirito Santo, in proporzione è vero delle sue disposizioni, e questi doni gli permetteranno di diventare un Cristiano di vera e soda maturità. Egli riceve specialmente, ma sempre nella misura delle sue disposizioni, il dono di fortezza che farà di lui un lottatore, preparato ed armato per i combattimenti della vita. – Al Diacono che riceve già il sacramento dell’Ordine, molto più che al battezzato e al cresimato, sono comunicati in abbondanza i doni dello Spirito Santo. Ed è in particolare, una larga partecipazione a quella fortezza di cui è stato rivestito il Salvatore, Sommo Sacerdote, per lottare contro il peccato e la morte, per vincere il peccato e la morte. In realtà i doni dello Spirito Santo sono comunicati al Cristiano nella recezione fruttuosa di ogni sacramento, e ad ogni nuova venuta della grazia nell’anima sua. Lo Spirito Santo viene in lui non soltanto per condurlo con la grazia comune, ma per trascinarlo per mezzo dei doni, e sempre maggiormente, verso il Figlio unico di Dio fatto uomo, e per Lui, verso il Padre. Se egli resta inerte nel peccato o nella mediocrità, la responsabilità e la colpa sono interamente sue. – Il dono del timor di Dio procede contemporaneamente dall’altissima idea che mediante la fede, ci formiamo di Dio e delle cose di Dio, e dal grande amore che abbiamo per Iddio e per tutto ciò che direttamente a Lui si riferisce. Niente nel timor di Dio, di ciò che sarebbe paura, turbamento, avversione. Invece, una vista di Dio che ispira infinito rispetto, amore profondo e vivo, compiacenza infinita e somma attrattiva. Nei rapporti con Dio, nella maniera di trattare con Lui, l’anima sarà piena di premura, di dedizione e metterà tutto ciò che ha di migliore e di più perfetto. Attenzione e applicazione nelle preghiere, sforzo per penetrarne il significato reale e liturgico, un contegno esterno irreprensibile, il più degno che possa essere. Ricordiamo il giorno della nostra Prima Comunione. Con quale fede, amore e delicatezza squisita, ci siamo accostati alla Santissima Eucarestia. Con quale sincerità, semplicità e amabilità abbiamo detto a Gesù Ostia: « Gesù ti adoro e ti amo. Prendimi perché sia tuo per sempre». Quel giorno il dono del timore di Dio era in noi. – La devozione conferisce alla vita cristiana slancio, generosità, applicazione sostenuta. nella preghiera, negli esercizi, nel lavoro. Alla devozione, la pietà aggiunse una nota di particolare confidenza, di cordialità, semplicità, spontaneità. Penetriamo col pensiero in una famiglia e consideriamo, il modo di agire di un padre e di una madre rispetto ai figli, oppure dei figli rispetto ai loro genitori. È la pietà materna; la pietà filiale. Trasponiamo ed eleviamo sul piano spirituale questo modo di agire riferendolo alle nostre relazioni con Dio, nostro Padre; col Verbo Incarnato, nostro Salvatore; con lo Spirito Santo, nostro santificatore. Avremo l’idea della vera pietà. Colui che non ha avuto e non ha sentito la pietà filiale potrà difficilmente formarsi l’idea della pietà cristiana. Trasponiamo ed eleviamo ancora, ed avremo l’idea esatta del dono di pietà. Come si vede il dono di pietà può confondersi con quello del timor di Dio, come pure è permesso distinguerli. L’uno e l’altro sono uno sviluppo della virtù di religione, la quale può sempre procedere da una grande fede e da un grande amor di Dio.
5.
Ogni volta che, essendo in istato di grazia, facciamo il bene, religioso o profano, compiamo una opera meritoria che ci conferisce uno stretto diritto a ricevere muove grazie, cioè una nuova venuta dello Spirito Santo, che accentua le precedenti, con una grazia santificante più abbondante e diritti a ricevere da Dio soccorsi soprannaturali. Possiamo così andare di merito in merito, di grado in grado, fino a una santità sempre più elevata. È ciò che si chiama il merito nel vero senso della parola, il merito propriamente detto. Ora la vita mistica e i doni dello Spirito Santo, che ne sono le facoltà, sfuggono a questo merito. Però non ne concludiamo che la vita mistica non ci è data e i doni dello Spirito Santo non ci sono stati accordati, oppure che la vita mistica e i doni dello Spirito Santo ci sono comunicati con parsimonia. In realtà, o a titolo di merito di semplice convenienza, Dio, nella Sua infinita liberalità, ci accorda la vita mistica e i doni dello Spirito Santo, quando facciamo il bene, soprattutto in certi giorni, nei quali vi mettiamo maggiore buona volontà, più applicazione, dedizione, generosità. In quei giorni abbiamo l’impressione di una grazia che ci prende, ci trascina, ci rallegra o mette nell’anima nostra una grande calma e una pace profonda. Abbiamo il sentimento di Dio in noi e diciamo: Quanto è buono Dio! oppure: Quanto è dolce stare qui! È la vita mistica, almeno ai suoi inizi, coi doni dello Spirito Santo. – Una riserva tuttavia s’impone. Dio non accorda la comunicazione della vita mistica e dei doni dello Spirito Santo con grande pienezza se non a certe anime privilegiate da Lui chiamate ad una più grande santità, come i martiri, i confessori, le vergini, oppure ad alcune anime che Egli ha destinate ad esercitare nella società un’azione di primo piano, alle quali ha affidato una specie di missione. Tali sono i grandi missionari, i fondatori o le fondatrici di Ordini religiosi. – Si vede tutta l’attività mirabile, potente e molteplice, pieghevole quanto varia, che i doni dello Spirito Santo conferiscono o possono conferire a quelli che li ricevono. Possono nondimeno esercitarsi nell’anima nostra, prima che sia stata elevata alla vita mistica. Ed è senza dubbio in questo modo che operano nella maggior parte degli adulti che ricevono il battesimo, nei giovani cresimati, in moltissime anime sante. – La vita mistica consiste essenzialmente nella contemplazione, che può essere solo agl’inizi, ed in seguito andare di progresso in progresso fino a raggiungere i massimi sviluppi. Senza dubbio i doni dello Spirito Santo la invocano. Ma, ancora una volta, non la esigono. Quando l’anima in istato di grazia ha raggiunto la contemplazione e vi si è sviluppata, allora i doni dello Spirito Santo, le sue facoltà, si dispiegano in tutta la loro ampiezza, in tutta la loro multiformità e la bellezza santa dell’azione che le caratterizza. – La vita mistica, lo abbiamo notato, sfugge al merito propriamente detto. Ma è data da Dio con liberalità alle anime che fanno il bene, soprattutto nei giorni di maggiore santità. Il modo di ottenere che venga data con più grande abbondanza, è corrispondere con slancio, prima ai doni dello Spirito Santo, poi alla vita mistica che essi invocano. In maniera generale, è mettersi coraggiosamente alla pratica della vita ascetica, come santa Teresa c’invita a farlo. Facciamo del nostro meglio corrispondendo fedelmente alla grazia comune che ci è data; nella Sua sapienza e liberalità infinita, Dio ci accorderà il resto per sovrappiù.
CONCLUSIONE
«Piego le ginocchia dinanzi a Dio Padre da cui ogni famiglia umana e nei cieli e sulla terra prende nome, e gli chiedo che vi mandi lo Spirito Santo, acciò questo divino Spirito vi radichi, per la fede, nel Nostro Signor Gesù Cristo, e riempia il vostro cuore di carità per il nostro adorato Maestro, affinché tutti, penetrati dalla carità del Cristo per voi, possiate conoscere quale ne sia la lunghezza e la larghezza, cioè l’universalità, quale l’altezza e la profondità, cioè l’infinita perfezione, e perché vi circondi tutti individualmente, col suo ardente amore, con quell’amore che sorpassa tutto ciò che la scienza umana, sia pur penetrante può afferrarne, e quanto l’umana intelligenza, sia pur potente, può comprenderne. » E così tutti uniti al Cristo per mezzo di una fede viva, una carità perfetta, un ardente amore, e questo, per lo Spirito che viene dal Padre, per il Figlio, e che ci trascina verso il Padre, per il Figlio, vivere, per voi, sia Cristo. Abbiatelo nello spirito, nel cuore e nelle mani cioè, diventate nel mondo, delle copie vive e fedeli di Lui… ». – Lo Spirito Santo, il « Divino Sconosciuto! » diceva un illustre Vescovo francese dell’inizio del nostro secolo, Mgr. Dupanloup. Questa parola è stata notata e spesso citata. Infatti, lo Spirito Santo è il «Divino Sconosciuto ». Ci muoviamo in Lui, naturalmente e soprannaturalmente. La liturgia Lo celebra nei suoi inni al termine di ciascun salmo che ci fa cantare o recitare. E nonostante lo Spirito Santo resta il « Divino Sconosciuto ». Se ne parla poco; non s’invoca abbastanza; la teologia stessa è troppo muta a suo riguardo. Questo libro è stato scritto per cercar di colmare tale lacuna. L’autore ringrazia lo Spirito Santo di aver permesso che al termine della sua vita, potesse offrirgli questa testimonianza di teologia dogmatica. A tutti coloro che ha conosciuti e sui quali ha esercitato il suo pensiero, la sua azione, questa parola d’ordine che è nel medesimo tempo un regolamento di vita: Al Padre, per il Figlio, nello Spirito. –
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Al termine di questo « Trattato dello Spirito Santo », cerchiamo di comprendere a fondo, per ammirarla, adorarla e ispirarne tutta la nostra vita, la relazione stretta, intima, profonda che esiste fra lo Spirito Santo e la Santissima Eucarestia. Dopo aver istituito la vita soprannaturale, il nostro divino Salvatore, nell’esaltazione del Suo amore per noi, pensa a istituire un pane che sarà il nutrimento di questa vita. La vita soprannaturale è Lui stesso, il Verbo generato dal Padre, da cui procede lo Spirito, per il quale, col quale, nel quale viene in noi per vivificarci. Il pane, è ancora Lui stesso, Verbo di Dio fatto uomo, realmente presente sotto le specie del pane e del vino, che vuol essere nutrimento e bevanda di questa vita. Questo strettissimo legame che esiste tra lo Spirito Santo e l’Eucarestia non si spiega che con l’amore infinito del nostro Salvatore per noi, secondo queste parole dell’Apostolo san Giovanni: Cum dilexisset suos qui erant în mundo, în finem dilexit eos (Joan. XIII, 1). – I protestanti non hanno compreso ciò che l’Eucarestia recava alla presenza spirituale del Salvatore sulla terra, come non hanno capito quel che il Sacrificio eucaristico aggiungeva al Sacrificio della croce. Non hanno compreso che molto imperfettamente tutto l’amore del Salvatore per noi. Errore di persone intellettuali, che hanno capito solo una parte dell’opera di Cristo. La presenza reale e la Comunione al corpo e al sangue di Cristo procedono dall’amore infinito del Verbo di Dio fatto uomo. L’amore del Cristo che, nonostante hanno sempre avuto e conservano, vivo e profondo, avrebbe dovuto e dovrebbe condurli o ricondurli alla presenza reale e alla Comunione sacramentale. Sarebbe questo l’accordo tanto desiderato fra tutti i Cristiani. I protestanti si stupiscono del nostro amore ardente per il Cristo. La spiegazione è nell’Eucarestia. Abbiamo la vita nel Cristo, e, mediante l’Eucarestia, abbiamo il nutrimento normale di questa vita. Essi, anche se hanno la vita nel Cristo, sono privi del normale nutrimento. Di qui, la loro anemia spirituale, la loro. debolezza. Così, il nostro Salvatore, prima di lasciarci, ci ha detto:
« Nunc relinquo mundum et vado ad Patrem (Joan. XVI, 28).
Sed non relinquam vos orphanos. Et iterum venio ad vos (Joan. XIV, 18 ).
Venio ad vos per Spiritum, cum Spiritu, în Spiritu (cfr. passim).
Hoc est corpus meum hic est calix sanguinis mei (Mt. XXVI, 26; Mc. XIV, 22; Lc. XXII, 19). Adesso io lascio il mondo e vado al Padre mio. — Ma non vi lascerò orfani. Torno a voi. Torno a voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito; ciò che significa: vivo in voi per il mio Spirito, col mio Spirito, nel mio Spirito. — Il nutrimento di questa vita sono Io stesso. È il mio corpo, il mio sangue: è la mia Eucarestia »; queste tre grandi affermazioni del nostro Salvatore sono, secondo noi, inseparabili e unite da una relazione molto stretta, intima e profonda; esse dicono tutta la vita spirituale che il Cristo continua sulla terra; ne mostrano tutta la grandezza, la bellezza, la potenza santificante. È il nostro dogma, la nostra fede. Nulla è più operante di una tale fede, quando è ben stabilita nello spirito e nel cuore.
F I N E