MESSA DI CAPODANNO (2021)

MESSA DI CAPODANNO (2021)

CIRCONCISIONE DI N. SIGNORE E OTTAVA DELLA NATIVITÀ.

Stazione a S. Maria in Trastevere

Doppio di II classe. – Paramenti bianchi.

La liturgia celebra oggi tre feste: La prima è quella che gli antichi sacramentari chiamano « nell’Ottava del Signore ». Gesù è nato da otto giorni. Così la Messa ha numerosi riferimenti a quelle di Natale. La seconda festa ci ricorda che, dopo Dio, noi dobbiamo Gesù a Maria. Cosi un tempo si celebrava in questo giorno una seconda Messa in onore della Madre di Dio nella Basilica di Santa Maria Maggiore. Ne è rimasta una traccia nella Orazione, nella Secreta e nel Postcommunio, che sono prese dalla Messa votiva della SS. Vergine, e nei Salmi dei Vespri, tolti dal suo Officio. – La terza festa, infine, è quella della Circoncisione, che si celebra dal VI secolo. Mosè imponeva questo rito purificatore a tutti i bambini Israeliti, l’ottavo giorno dalla loro nascita (Vang.). È una figura del Battesimo per il quale l’uomo è circonciso spiritualmente. « Tu vedi, dice S. Ambrogio, che tutta la legge antica è stata la figura di quello che doveva venire; infatti anche la circoncisione significa espiazione dei peccati. Colui che è spiritualmente circonciso con la correzione dei suoi vizi, è giudicato degno dello sguardo del Signore » (1° Notturno). Così, parlando del primo sangue divino che il Salvatore versò per lavare le nostre anime, la Chiesa insiste sul pensiero della correzione di quello che di cattivo è in noi. « Gesù Cristo ha dato se stesso per riscattarci da ogni iniquità e purificarci » (Ep.). « Degnati, Signore, con questi celesti misteri, di purificarci » (Secr.). «Fa, o Signore, che questa Comunione ci purifichi dei nostri peccati » (Postcom.).

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. IX: 6
Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.
Ps XCVII:1
Cantáte Dómino cánticum novum: quia mirabília fecit.

[Cantate al Signore un cantico nuovo: perché ha fatto cose mirabili.]


Puer natus est nobis, et fílius datus est nobis: cujus impérium super húmerum ejus: et vocábitur nomen ejus magni consílii Angelus.

[Ci è nato un bambino, ci è stato dato un figlio, il cui impero poggia sugli ómeri suoi: e il suo nome sarà: Angelo del buon consiglio.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui salútis ætérnæ, beátæ Maríæ virginitáte fecúnda, humáno géneri praemia præstitísti: tríbue, quǽsumus; ut ipsam pro nobis intercédere sentiámus, per quam merúimus auctórem vitæ suscípere, Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: 

[O Dio, che mediante la feconda verginità della beata Maria, hai conferito al genere umano il beneficio dell’eterna salvezza: concédici, Te ne preghiamo: di sperimentare in nostro favore l’intercessione di Colei per mezzo della quale ci fu dato di ricevere l’autore della vita: il Signore nostro Gesù Cristo, tuo Figlio]

Lectio

Léctio Epístolæ beati Pauli Apóstoli ad Titum.
Tit II:11-15
Caríssime: Appáruit grátia Dei Salvatóris nostri ómnibus homínibus, erúdiens nos, ut, abnegántes impietátem et sæculária desidéria, sóbrie et juste et pie vivámus in hoc saeculo, exspectántes beátam spem et advéntum glóriæ magni Dei et Salvatóris nostri Jesu Christi: qui dedit semetípsum pro nobis: ut nos redímeret ab omni iniquitáte, et mundáret sibi pópulum acceptábilem, sectatórem bonórum óperum. Hæc lóquere et exhortáre: in Christo Jesu, Dómino nostro.

[“Carissimo: La grazia di Dio nostro Salvatore si è manifestata per tutti gli uomini, insegnandoci che, rinunciata l’empietà e i desideri mondani, viviamo con temperanza; con giustizia e con pietà in questo mondo, in attesa della beata speranza e della manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo; il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità, e formarsi un popolo puro che gli fosse accetto, zelante delle buone opere. Così insegna ed esorta in Cristo Signor nostro” (Tit. II, 11-15). –]

OMELIA I

IL PROGRAMMA DELLA NOSTRA VITA

[A, Castellazzi: Alla Scuole degli Apostoli. Ed. Artigian. Pavia, 1929]

Quando S. Paolo si recò nell’isola di Creta col suo discepolo e collaboratore Tito, vi trovò parecchi gruppi di Cristiani, che non erano organizzati in una gerarchia regolare. Non potendo l’Apostolo trattenersi a lungo nell’isola, vi lasciò Tito a organizzare quella Chiesa. Più tardi gli scrive una lettera. In essa gli dà norme da seguire nell’adempimento del suo ufficio pastorale rispetto agli uffici ecclesiastici, ai doveri delle varie classi di persone e ai doveri generali dei Cristiani. Nel brano riportato, avendo prima stabiliti i doveri secondo i differenti stati, reca la ragione per la quale i Cristiani sono tenuti a questi doveri. Sono tenuti perché Dio, che nella sua bontà è sceso dal cielo per tutti, ha insegnato a tutti a rinunciare all’empietà e ai desideri del secolo per vivere nella moderazione, nella giustizia, nell’amor di Dio. Così vivendo saranno consolati dalla presenza della venuta del Redentore, il quale ha dato in sacrificio se stesso per riscattarci dal peccato, e così formare di noi un popolo veramente eletto, tutto dato alle buone opere. Sul cominciare dell’anno la Chiesa ripete a noi questo insegnamento, per esortarci a vivere secondo

1. Pietà,

2. Temperanza,

3. Giustizia.

1.

L’Incarnazione e la vita su questa terra del Figlio di Dio, sono una scuola efficacissima per tutti gli uomini. « Tutta la sua vita mortale — dice S. Agostino — fu una scuola di ben vivere per mezzo della natura umana che si è degnato di assumere» (De vera Relig. 16, 32). In primo luogo Gesù Cristo ci insegnò che per attendere la beata speranza dobbiamo aver rinunciata l’empietà e i desideri mondani. – Nella religione pagana, che i novelli Cristiani avevano abbandonata, il culto della verità non esisteva. Si aveva qualche conoscenza di Dio, ma non si adorava come Dio. Il culto che gli si prestava era superstizioso quando non era immorale. Dell’ultimo fine dell’uomo si aveva un’idea sbagliata. Non si cercava tanto di condurre una vita terrena, che fosse preparazione alla vita celeste, quanto di godere quaggiù più che fosse possibile, come se tutto dovesse finire in questa valle di lacrime. Non si alzava a Dio la mente, la quale non sapeva sollevarsi da quanto cadeva sotto gli occhi. Tra queste dense tenebre di errori e di corruzione apparve Gesù, sapienza increata, che insegnò la vera dottrina rispetto a Dio uno ed eterno: che ci manifestò le verità che riguardano la seconda vita; ne indirizzò le menti e i cuori a Dio, nostro principio e nostro fine. – I novelli convertiti avevano rinunciato alle dottrine empie del paganesimo, ma ciò non era tutto. L’edificio vecchio dell’empietà era stato demolito, e al suo posto bisognava innalzare l’edificio della pietà. Quanti esempi ci ha lasciato Gesù Cristo in proposito! A dodici anni sale al tempio con Maria e con Giuseppe per la solennità di Pasqua. Terminata la solennità, rimane in Gerusalemme. Quando, dopo tre giorni di ricerche, Maria e Giuseppe lo ritrovano, al lamento della Madre Gesù risponde: « Perché mi cercavate? Nulla sapevate che io devo attendere a ciò che riguarda il Padre mio? » (Luc. II, 49). E come attendeva Gesù in quei giorni alle cose del Padre suo? Stando nel tempio seduto in mezzo ai dottori in atto di ascoltarli e interrogarli. Grande scuola di pietà pei fanciulli, i quali dall’apprendimento delle cognizioni profane non devono disgiungere l’apprendimento delle cognizioni divine. Appena la loro mente si apre devono incominciare a interessarsi della loro sorte celeste, a conoscer Dio, a conoscere la sua volontà. Grande scuola anche per gli adulti. L’obbligo di interessarsi di Dio, del nostro ultimo fine incomincia alla soglia, della vita, e non cessa che alla nostra partenza da questo mondo. Se le verità che riguardano Dio le abbiam dimenticate, bisogna richiamarle alla mente con lo studio del Catechismo, con la frequenza alle prediche. – Interessarsi di Dio vuol dire procurare la sua gloria. Questa procurò sempre Gesù in tutta la sua vita. E la sera che precedette la sua passione poteva dire : «Padre, io ti ho glorificato sulla terra» (Giov. XVII, 4). Noi possiamo dar gloria a Dio mostrandoci Cristiani pubblicamente, edificando gli altri con la frequenza ai santi Sacramenti, con la pratica degli esercizi di pietà. Interessarsi di Dio vuol dire intrattenersi con Lui mediante la preghiera. Gesù Cristo, che ci ha insegnato ed esortato a pregare con la parola, ci ha anche grandemente confortato alla pratica della preghiera col suo esempio. Egli prega nel tempio e prega sul monte quando ha cessato di ammaestrare le turbe. Prega nel deserto e prega nella gloria della trasfigurazione; prega di giorno e prega di notte. Prega quando risuscita Lazzaro, quando istituisce l’Eucaristia. Con la preghiera incomincia e chiude la sua passione. In una parola, Egli ha praticamente dimostrato come «bisogna pregar sempre, senza stancarsi mai» (Luc. XVIII, 1).

2.

E’ naturale che nella religione pagana l’uomo non fosse portato alla rinuncia, al sacrificio. Il piacere, l’accontentamento delle passioni non vi trovavano ostacolo alcuno. Tutt’altro, invece, è nella Religione Cristiana. Gesù Cristo venne su questa terra a darci insegnamenti ed esempi affatto opposti agli insegnamenti e agli esempi pagani. Egli è venuto a insegnarci che rinunciati i desideri mondani viviamo con temperanza. Si tratta di una vera riforma della vita. Non solo bisogna voltare la schiena alle antiche abitudini: bisogna formarsi abitudini nuove. Uno può voltare la schiena alle antiche abitudini, senza allontanarsene troppo. Senza staccare da esse il cuore. È un addio forzato col desiderio, se non sempre con la speranza, dell’arrivederci. Non siamo noi che ci distacchiamo da ciò che domina in questo mondo: sono spesso le circostanze che cene staccano: sono questi beni apparenti che spesso ci abbandonano, lasciando noi nell’amarezza. Questa non è la sobrietà e la temperanza insegnataci da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli. Gesù Cristo ci ha insegnato la rinuncia ai desideri sregolati dei beni di questo mondo. E rinuncia vuol dire staccarsene senza rimpianto, e senza desiderio di ritornarvi. Rinuncia vuol dire essere pronto a sostenere qualunque sforzo, a impegnarsi in un combattimento lungo e faticoso, a provare avversione per ciò che prima si amava, ad amare e praticare ciò che prima si odiava. « Gesù Cristo ci ha redenti, affinché, conducendo una vita illibata e ricca di buone opere possiamo divenire eredi del regno di Dio» (Ambrosiaster, in Ep. ad Tit.. cap. II, v. 11). Il Cristiano che vuol conseguire l’eredità del regno celeste, deve saper porre un freno alle proprie tendenze; altrimenti non riuscirà a condurre una vita illibata, ad arricchirsi di buone opere. Senza la temperanza saremo ben presto travolti dalle passioni. La malerba cresce presto: tagliata, ricompare ben tosto. Le passioni, anche rintuzzate, rialzano subito il capo. L’odio, la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola si fanno sentire a nostro dispetto. Che avverrà se, invece di combatterle con la mortificazione ne porgiamo loro alimento, con l’assecondarle? Presto ci prenderanno la mano e ci trasporteranno dove esse vogliono. Tanto, coloro che non sanno mai porre un limite alle loro brame non possederanno mai neppure su questa terra il godimento che vanno immaginandosi. Un viandante si propone di arrivare a quell’altura che si presenta al suo sguardo. Quando vi è giunto vede che, dopo uno spazio più o meno esteso di terreno piano, si trova un’altra altura. Non si dà pace finché non ha raggiunta anche quella. Arrivato vi vede ripetersi la scena di prima. Nuova altura, e dopo quella un’altra ancora, ed egli è inquieto perché non può raggiungerle tutte. Così, coloro che non sanno mai mettere un limite ai loro desideri, che non sanno imporsi delle privazioni saranno sempre malcontenti e irrequieti per le disillusioni che provano. I volti sereni, l’allegria schietta, che è il riflesso della pace dell’anima, si cercherebbero invano tra coloro che si fanno un idolo del ventre, degli onori, delle ricchezze, dei piaceri. Chi vuol trovarli li deve cercare tra coloro che sanno porsi un freno nell’uso dei beni di questa vita, e sanno moderare le loro voglie.

3.

Gesù Cristo ci ha anche insegnato a vivere con giustizia rispetto al prossimo. Questa giustizia richiede « che nessuno desideri ciò che è del prossimo » (S. Efrem). Molto più richiede che non si tolga ciò che è del prossimo. Richiede che non gli tolgano i beni materiali coi furti, con le appropriazione indebite, con le dannificazioni, con le frodi, con la sottrazione della paga dovuta, col non mettersi in grado di pagare i debiti ecc. Richiede che non gli si tolgano i beni morali con le calunnie, con le mormorazioni, con le critiche ingiuste, con le insinuazioni. Richiede che non gli si tolgano i beni spirituali con il cattivo esempio, con la propaganda dell’errore, con toglierlo alle pratiche di pietà, con avviarlo alle usanze mondane. – L’uomo è creato per vivere in società. La vita sociale ha molti privilegi; ma, si sa: ogni diritto ha il suo rovescio. La vita sociale porta con sé anche i suoi pesi. Caratteri perfettamente uguali non si trovano. Ogni creatura ha la sua natura. E questo basta perché possano sorgere dissensi, contrasti tra coloro che, o per un motivo o per un altro, si trovano a contatto. Lo spirito della giustizia vuole che in questi casi non si abbia a scendere a liti o a recriminazioni. « Gli uni portate i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo », ci dice l’Apostolo (Gal. VI, 2). Il quale ancor più chiaramente dice ai Corinti: « In tutti i modi è già un mancamento l’aver delle liti gli uni con gli altri. E perché piuttosto non sopportate qualche ingiustizia? Perché piuttosto non soffrite qualche danno? » (I Cor. VI, 7). Invero se domandiamo a Dio che sopporti noi, è troppo giusto che noi sopportiamo gli altri. Sentiamo l’Ecclesiastico: «Un uomo nutre lo sdegno contro un altr’uomo, e chiede che Dio lo guarisca? Egli non usa misericordia verso il suo simile, e chiede perdono de’ suoi peccati? Egli che è carne conserva rancore, e chiede che Dio gli sia propizio?» (Eccli XXVIII, 3-5). – È spirito di giustizia non restringere la mano quando si tratta di soccorrere i fratelli bisognosi. La solennità di quest’oggi c’insegna che Gesù Cristo ha dato per noi il suo sangue. E noi, seguaci di Gesù Cristo, non faremo cosa straordinaria se daremo al nostro prossimo un po’ di quei beni, che Dio ci ha largiti. Dovessimo dare al nostro prossimo tutto quanto possediamo non daremo mai quanto a noi ha dato Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, per redimerci da ogni iniquità. Non lesiniamo nel dimostrare la nostra giustizia verso il prossimo, se vogliamo sperare l a manifestazione gloriosa del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo.« Chiunque, pertanto, vuol pervenire al regno celeste, viva con temperanza verso se stesso, con giustizia verso il prossimo, con pietà perseverante verso Dio» (S. Fulgenzio, De remiss. Pacc. L. 1 c. 23). Cominciamo subito da quest’oggi a mettere in pratica questo programma affinché, se il Signore volesse chiamarci al rendiconto nel corso di quest’anno, in qualunque momento ci chiami abbia a trovarci pronti.Mons. Francesco Iannsens, Vescovo di Nuova Orleans, venerato dai suoi figli come un santo, viaggiando sopra un piroscafo alla volta d’Europa, è colpito improvvisamente dalla morte. Non gli rimane che il tempo di inginocchiarsi in cabina e dire: «Mio Dio, vi ringrazio che son pronto» (La Madre Francesca Zaverio Cabrini; Torino 1928, p. 144-45). Che d’ora innanzi la nostra vita sia tale, da poter anche noi dare questa risposta alla divina chiamata, in qualunque momento e in qualunque circostanza si faccia sentire!

Graduale

Ps XCVII:3; 2
Vidérunt omnes fines terræ salutare Dei nostri: jubiláte Deo, omnis terra.

 [Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio: acclami a Dio tutta la terra.]

Allelúja.

V. Notum fecit Dominus salutare suum: ante conspéctum géntium revelávit justitiam suam. Allelúja, allelúja.

[Il Signore ci fece conoscere la sua salvezza: agli occhi delle genti rivelò la sua giustizi. Alleluia, alleluia].


Heb I:1-2
Multifárie olim Deus loquens pátribus in Prophétis, novíssime diébus istis locútus est nobis in Fílio. Allelúja.

[Un tempo Iddio parlò in molti modi ai nostri padri per mezzo dei profeti, ultimamente in questi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio. Allelúia.]

Evangelium

Luc II: 21
In illo témpore: Postquam consummáti sunt dies octo, ut circumciderétur Puer: vocátum est nomen ejus Jesus, quod vocátum est ab Angelo, priúsquam in útero conciperétur.

[In quel tempo: Passati gli otto giorni, il bambino doveva essere circonciso, e gli fu posto il nome Gesú: come era stato indicato dall’Angelo prima di essere concepito.]

OMELIA II.

[Mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol I, Ed. Queriniana, Brescia, 1897]

In questo solo e non lungo versetto si contiene la lezione evangelica, che or ora solennemente si cantava e che la Chiesa ci mette innanzi affinché la meditiamo: se brevissima è la lezione evangelica, alto e gravissimo ne è il significato. Arte mirabile e veramente divina sapienza è questa della Chiesa di tener sempre viva nella mente de’ suoi figliuoli la memoria dei misteri principali della fede; misteri che si incontrano tutti e insieme si svolgono nella adorabile persona di Gesù Cristo e a vari intervalli troviamo sparsi lungo la via dell’anno liturgico. Otto giorni or sono la Chiesa piena di gioia ci invitava a contemplare il divino Infante nella spelonca di Betlemme e a riconoscerlo ed adorarlo coi pastori; oggi ci chiama ancora a Betlemme, in quella stessa spelonca, giacche sembra che in questi otto giorni nessuno gli avesse offerto un asilo meno disagiato per assistere al doloroso rito della Circoncisione, alla quale gli piacque sottoporsi. Fra sei giorni lo rivedremo ancora in atto di ricevere gli omaggi dei primi credenti gentili, i Magi. Si direbbe che la Chiesa lungo il cammino, che i suoi figliuoli devono percorrere, qua e là innalza alcune colonne, sulle quali sta scritta una pagina della vita del suo sposo, il Salvatore del mondo. I popoli, ivi passando, si fermano alcun poco, levano gli occhi, leggono quella pagina, pensano al divino Maestro, ricordano la sua vita e i suoi esempi, e, ristorate le forze, più lieti ed animosi ripigliano la via, che dalla terra della schiavitù, l’Egitto, attraverso alle ardenti sabbie del deserto, conduce alla terra promessa, alla terra dove scorre latte e miele. Nel corso dell’anno ecclesiastico è questa la seconda colonna, che troviamo. Che cosa vi leggiamo noi, o carissimi? Due sole parole, ma feconde di preziosi insegnamenti: Circoncisione e il nome di Gesù. Arrestiamoci un poco ai piedi di questa colonna e meditiamole con religiosa attenzione. – « Come furono compiuti gli otto giorni per circoncidere il bambino, gli fu posto nome Gesù, com’era stato chiamato dall’Angelo prima d’essere concepito nel seno ». In questa sentenza evangelica, come dissi, due cose distinte sono accennate, la Circoncisione e il nome di Gesù, che il Bambino celeste ricevette nello stesso tempo; su queste due cose fermeremo le nostre considerazioni (In questo luogo S. Luca non dice veramente che Gesù ricevesse la Circoncisione, ma solo che erano compiuti gli otto giorni, nei quali doveva riceverlo; ma la maniera di scrivere dell’Evangelista congiunta alla tradizione costante, unanime ed universale e suggellata con la festa, che si celebra, ci dà la certezza assoluta che Gesù Cristo fu circonciso. – Il rito della Circoncisione si poteva compiere da chiunque, in qualunque luogo, e perciò possiamo credere che Gesù la ricevesse nel luogo stesso, dove nacque e da Giuseppe come pensano alcuni Padri). – Che cosa era la Circoncisione, che la legge mosaica imponeva soltanto ai bambini di sesso maschile? Era un taglio doloroso, che si faceva sul corpo del bambino, od anche dell’uomo adulto, allorché questo voleva essere ascritto tra i figli di Abramo e abbracciare la legge mosaica. Quando fu essa istituita? Allorché Iddio fece ad Abramo la solenne promessa, che in lui sarebbero benedette le genti tutte e che dalla sua progenie verrebbe il Salvatore del mondo. Più tardi poi Mosè determinò il tempo, cioè l’ottavo giorno dopo la natività, stabilì i particolari del rito e la pena terribile per chi non l’avesse compiuto. Il rito della Circoncisione fu in uso non solo presso i Giudei, ma presso altri popoli d’Oriente e in parecchi luoghi è osservata anche al giorno d’oggi, come assicurano di alcune tribù selvagge d’Africa viaggiatori degni di fede. Quale fu il fine di questo rito e quale il suo significato? Dio chiamò Abramo: gli fece magnifiche promesse, come apprendiamo dai Libri Santi, somma delle quali ch’egli sarebbe padre d’un gran popolo, dal quale sarebbe nato il Messia, l’Uomo – Dio, il riparatore del genere umano: Abramo rispose fedelmente alla chiamata e non venne mai meno nelle più dure prove: tra Dio ed Abramo avvenne come un Patto sacro e simbolo di questo Patto fu la Circoncisione, e ciò apparisce ripetutamente dalla dottrina dell’Apostolo. Oltre di che una società religiosa è simile ad un esercito, ad un corpo qualunque ordinato. – Trovate voi un corpo, una società, un esercito, un regno, un impero, una repubblica senza un segno qualunque, una bandiera, intorno alla quale i singoli membri si raccolgano e si rattestino? No, per fermo; similmente la Religione mosaica domandava un segno visibile, che la distinguesse dalle altre e sotto il quale, quasi vessillo, si stringesse. Questo segno fu dato da Dio, accolto prima da Abramo e sancito qual legge fondamentale da Mosè. Chi non era circonciso presso gli Ebrei era fuori della Sinagoga, era gentile, come presso di noi Cristiani chi non ha ricevuto il Battesimo è infedele. Il perché non deve recare meraviglia che i Padri, seguendo l’insegnamento di S. Paolo, abbiano considerata la Circoncisione come una figura ed un simbolo del Battesimo cristiano: e in vero non pochi, né oscuri sono i punti di somiglianza tra i due riti sacri. – La Circoncisione fu istituita da Dio, autore dell’Antico Patto, il Battesimo fu istituito dall’Uomo – Dio, Gesù Cristo, autore del Nuovo Patto; la Circoncisione imprimeva nel corpo un segno indelebile, il Battesimo lo imprime nell’anima: la Circoncisione si riceveva una sola volta e una sola volta si riceve il Battesimo: quella si poteva dare dal Sacerdote e dal laico e questo si può amministrare validamente da qualunque persona anche infedele. La Circoncisione non conferiva la grazia per virtù propria, ma era segno ed eccitamento della fede, che giustificava: il Battesimo è segno e insieme strumento, o mezzo infallibile della grazia: per la Circoncisione il bambino e l’adulto che la riceveva, diventava figlio di Abramo, membro della Sinagoga: pel Battesimo il bambino e l’adulto diventa membro della Chiesa e figlio adottivo di Dio. Ben a ragione dunque la Circoncisione giudaica fu sempre considerata come una figura del nostro Battesimo. – E perché dunque, mi domanderete voi, perché dunque Gesù Cristo volle sottoporsi alla Circoncisione, Egli che era la stessa santità e veniva per abolirla? Per quelle stesse ragioni per le quali osservò più tardi tutte le altre prescrizioni della legge mosaica e che sono con tanta accuratezza indicate dai Padri. Ricevendo la Circoncisione, Gesù Cristo riconobbe la sua origine divina e con essa tutta la economia mosaica: ci diede un esempio efficacissimo di ubbidienza alle leggi, anche quando impongono gravi sacrifici e tal era senza dubbio la Circoncisione; essa era una implicita confessione del peccato, a cui tutti i figli di Adamo erano e sono soggetti; e Gesù Cristo, che veniva per assumerne la pena ed espiarla in se stesso, che volle avere la somiglianza dei peccatori – In similitudinem carnis peccati– volle altresì la Circoncisione. V’ha di più; Gesù Cristo veniva per ammaestrare gli uomini e prima i fratelli suoi, secondo la carne, gli Ebrei, e più volte lo disse nel santo Vangelo: Era dunque necessario che rimuovesse da sé tutto ciò che in qualsiasi modo rendeva la sua parola meno accetta a gli Ebrei; ora s’Egli non fosse stato circonciso, naturalmente lo avrebbero respinto come un gentile e questo solo sarebbe bastato a far sì che turassero le orecchie alle sue parole e l’avessero in abbominazione. Altro motivo e nobilissimo Egli ebbe di volere per sé la Circoncisione del corpo quale figura della Circoncisione del cuore, che si può dire il fondo dell’insegnamento pratico del Vangelo; ma di questo argomento a maggior agio ragioneremo altrove. – Dissi che la Circoncisione mosaica, alla quale Gesù Cristo in questo giorno con esempio sublime di umiltà, di abnegazione e di amore al patire volontariamente si sottomise, è figura del nostro Battesimo e ne accennai le ragioni. Non vi paia dunque cosa strana, che qui tocchi alcune verità troppo necessarie intorno al Battesimo e vi metta in guardia contro certi abusi e pregiudizi, che sventuratamente si aprono la via nella nostra società cristiana. – Era legge inviolabile presso gli Ebrei che ogni bambino maschio ricevesse la Circoncisione ed era stato determinato il giorno ottavo dopo il nascimento. Non uno dei figli d’Israele violava la legge. Ora, non Mosè, ma Cristo, nella forma più solenne ha stabilito, che ogni uomo, senza distinzione di sesso, d’età o di condizione riceva il Battesimo: non Mosè, ma Cristo ha chiaramente stabilito, che chi non riceve il Battesimo, è fuori della sua Chiesa, è già giudicato e condannato! Udite « In verità, in verità ti dico, che se alcuno non è nato d’acqua e di spirito non può entrare nel Regno di Dio » (S. Giov. III, 5). E ancora « Chi avrà creduto e sarà stato battezzato, sarà salvo; ma chi non avrà creduto (e non sarà battezzato) sarà condannato » (San Marco, XVI, 16). A questa legge assoluta, sancita da Cristo stesso, nessuno può sottrarsi: non gli adulti, che la conoscono e la devono osservare: non i bambini, ai quali devono provvedere i loro genitori e che per essi devono rispondere dinanzi a Dio finché bambini non sono arbitri di sé medesimi.

1) Non occorre il dirlo, la condanna eterna a chi non riceve il S. Battesimo è intimata soltanto a quelli che ne conoscono l’obbligo e la necessità, come è manifesto dalle parole di nostro Signore, che dice: « Predicate ad ogni creatura: chi avrà creduto e sarà battezzato ecc. ». Dunque si parla degli adulti, che prima devono essere istruiti, devono credere, e poi, come conseguenza del credere, ricevere il Battesimo. Ora che vediamo noi, o carissimi fratelli? Lo dico con profondo dolore: noi vediamo alcuni genitori (pochissimi è vero, ma l’esempio è contagioso), i quali rifiutano di presentare al sacro Fonte i loro figliuoli. Quale oltraggio alla fede, che professiamo, alla Chiesa, della quale siamo figli! Grande Iddio! Sarebbe mai, che in mezzo ad una società, che Cristo ha fatto tutta cristiana, vedessimo sorgere una società non cristiana, una società pagana? Sarebbero questi i segni paurosi di quella defezione o apostasia, di cui parla l’Apostolo? Che molti non si curino della Confessione, della S. Eucaristia, del Matrimonio cristiano, degli altri Sacramenti, istituiti da Voi, o divino Salvatore, è un male, una sventura, èuna colpa, che piangiamo a calde lagrime; ma che si rifiuti di ricevere il vostro Battesimo, che si respinga il carattere di vostro discepolo, che si chiuda la porta della vostra Chiesa, ah! questo è troppo. E tal delitto, che, in una società già tutta vostra, non ha nome; è la guerra fatta a Voi stesso, è il ripudio formale del vostro Vangelo, è un ricacciarci negli orrori del paganesimo, è un dirvi: – Non vi vogliamo più e aboliamo il vostro Nome per sempre -. E questi genitori non sono essi compresi di ribrezzo e di spavento, pensando che i loro figli non appartengono a Cristo, che non portano impresso nell’anima loro il carattere di Lui, che sono come stranieri in mezzo alla famiglia cristiana? A qual religione adunque appartengono essi? Qual Dio riconoscono essi se non vogliono saperne del Dio de’ Cristiani, se rigettano Gesù Cristo? Qual fede, quale speranza possono essi avere quaggiù? Mio Dio! Non avrei giammai creduto, che in mezzo a questa società, che piglia il suo nome e deve riconoscere le sue grandezze intellettuali, morali e materiali da Gesù Cristo, sorgessero uomini, che pubblicamente lo ripudiassero. Preghiamo per loro e che tanto scandalo ci ispiri orrore! Gesù Cristo stabilì e promulgò la legge del Battesimo sotto pena di eterna perdizione: la Chiesa, depositaria e interprete di questa legge sovrana, ne determina il tempo e quasi seguendo le traccio della mosaica, prescrive, che i bambini siano portati al sacro fonte entro l’ottavo giorno dal dì della nascita. Legge facile, tutta ispirata al bene spirituale dei bambini e in tutto conforme ai doveri, che ci stringono innanzi a Dio. E questa legge sì giusta, sì facile, tutta in tesa al bene delle anime di questi bambini, si osserva? Ah! figli e fratelli carissimi, lasciate che vi esprima tutta l’amarezza dell’anima mia. Nelle nostre città e anche in alcune delle nostre borgate più popolose, sventuratamente alcuni genitori, (e non son pochi), non rifiutano, ma differiscono il Battesimo dei loro figli un mese, parecchi mesi e perfino qualche anno. E come ciò, o carissimi? Voi non potete ignorare come il Battesimo sia necessario per modo, che senza di esso le porte de’ cieli son chiuse: voi non ignorate che una legge gravissima della Chiesa vi obbliga a procurar loro tanto bene entro l’ottavo giorno dopo il loro nascimento; perché dunque ritardare sì a lungo l’adempimento del vostro dovere? Perché calpestare una legge della Chiesa sì facile ad osservarsi è di tanta importanza? La vita di questi bambini è d’una estrema delicatezza; un lieve soffio la può estinguere; qual dolore per voi, o genitori, qual rimorso per tutta la vita, qual conto dovreste rendere a Dio, se per vostra trascuratezza il vostro bambino morisse senza Battesimo! Ne sareste in consolabili! Appena adunque vi è possibile, prima dell’ottavo giorno, portatelo al Tempio, affinché il vostro figlio diventi figlio di Dio e col Battesimo riceva il diritto alla vita eterna. Voi dite: – Si ritarda il Battesimo per giusti motivi; si aspetta che la madre possa prender parte alla festa di famiglia; si attende il padrino; spesso vi sono altre ragioni, che obbligano a differire il rito solenne -.Tutto ciò che volete, o carissimi; ma la legge esiste, la si deve osservare e se ragioni speciali ne rendono necessaria la dispensa, la si domandi a quella Autorità, che sola la può concedere, e che, benigna com’è, la concederà, né vi sia mai chi in cosa di sì grave momento si faccia giudice di se stesso. E perché in questi casi non si provvede tosto alla sicurezza del bambino, conferendogli privatamente il Battesimo, rimettendo a miglior agio la celebrazione del rito solenne, come desiderate? La legge civile prescrive il tempo, nel quale il neonato debb’essere inscritto nei pubblici registri e nessuno di voi, o genitori, vien meno alla sua osservanza e sta bene. Perché dunque non si mostra almeno eguale rispetto alla legge della Chiesa? Forseché le leggi di questa sono da meno delle leggi civili? Forseché gli interessi eterni dell’anima sottostanno agli interessi temporari del corpo? Voi stessi siatene giudici. E poiché qui viene a proposito, non vi spiaccia che tolga ad esaminare una difficoltà, che si oppone e che merita una risposta, tanto più che ha l’apparenza di verità. Si dice: – Sarebbe ragionevole differire il Battesimo a quel tempo, nel quale l’uomo conosce ciò che fa e ha coscienza dei doveri, che assume. E cosa che non è conforme alla ragione e al rispetto, che devesi alla libertà umana, ascrivere ad una religione chi non la conosce, imporgli doveri gravi, che al tutto ignora e che un giorno, conosciutili, potrebbe disconoscere e rigettare. – È ciò che voi fate allorché conferite il Battesimo ad un bambino. Aspettate che cresca, che conosca la Religione e i doveri, ch’essa impone e che liberamente l’abbracci, se così gli parrà. E ciò che si faceva in altri tempi nella Chiesa; è ciò che si fa cogli altri Sacramenti, che si ricevono dopo acquistato l’uso della ragione. Nessuno deve esser fatto Cristiano senza saperlo, per sorpresa, quasi per forza e tale è il bambino, che riceve il Battesimo -. Breve è la risposta, ma chiara e precisa. Padri, che mi ascoltate, ditemi: Trovereste voi ragionevole e giusto aspettare che i vostri figli tocchino i dieci, o i dodici anni prima di ricordar loro i doveri, che a voi li legano? Vi parrebbe ragionevole e giusto attendere il pieno sviluppo della loro intelligenza e il pieno esercizio della loro libertà per domandar loro se accettano di riconoscervi per padri, se acconsentono a divenire vostri figli ed adempirne gli obblighi? Che dico? Dov’è lo Stato, il quale aspetti che i bambini raggiungano l’uso della ragione e acquistino la piena balìa di se stessi, prima di dichiararli suoi sudditi e di esigere l’osservanza delle sue leggi? Basta che siano nati nel suo territorio perché egli li consideri e tratti come suoi sudditi, né crede necessario domandar loro se acconsentano di divenir tali e accettare le sue leggi. Forseché i vostri figli non sono stati in scritti tra i cittadini del paese, che gli è patria, pochi giorni dopo nati e prima che potessero conoscere quali doveri imponeva loro quell’atto? E vorreste, che Dio, Padre supremo di tutti, attendesse l’assenso dei vostri figli, prima di pigliar possesso di loro col Battesimo? E vorreste che la Chiesa aspettasse che questi figli, nati nel suo seno, un giorno venissero a dirle: – Noi siamo contenti di diventare col Battesimo vostri figli? – Il diritto di Dio sopra di voi, o genitori, e sopra dei vostri figli non è forse maggiore del vostro? Non esiste prima dei figli e di voi stessi? E chi può sottrarli al diritto ch’Egli ha sopra di loro, diritto imprescrittibile, diritto pieno e assoluto? Essi, questi bambini, non conoscono il dovere che hanno, né lo possono conoscere ed adempire; ma lo conoscete voi, o genitori; e poiché i vostri bambini formano una cosa sola con voi finché, con l’acquisto dell’uso della ragione, diventano arbitri di se stessi, il dovere cade sopra di voi e voi dovete procurar loro il Battesimo come lo dovreste ricevere voi stessi se ancora non l’aveste ricevuto. Voi dovete rispondere di loro fino a quel di, nel quale la responsabilità passando con l’uso della ragione in essi, cesserà la vostra. Ed è sì vero che voi formate con essi una sola cosa e che voi dovete rispondere di loro finché coll’uso della ragione saranno padroni di se stessi, che la Chiesa non permette di battezzare i vostri bambini senza il vostro assenso, come severamente vieta di battezzare chicchessia contro la sua volontà. E vero: i bambini ricevono il Battesimo senza conoscerlo; ma senza conoscerlo contraggono eziandio la colpa primitiva; e così se ricevono la ferita, ricevono anche la medicina, ignorando l’altra e l’altra. Sommo benefìcio è il Battesimo: qual beneficio maggiore che ricevere la grazia di Dio, l’essere fatti figliuoli suoi per adozione, eredi dell’eterna felicità! E si può ritardare tanto benefìcio ai propri figliuoli? E si deve aspettare ch’essi prestino il loro assenso? E aspettereste il loro assenso se si trattasse di accettare per essi una pingue eredità, un’alta onorificenza? Se i vostri bambini fossero infermi, aspettereste voi il loro assenso per chiamare il medico e porgere loro la medicina? Se la loro vita corresse pericolo, aspettereste voi il loro assenso per salvarli? Perché dunque non si tiene la stessa regola allorché si tratta della vita dell’anima? Dov’è l’uomo che rifiuti un grande favore? L’assenso è sempre e necessariamente supposto: la volontà dei vostri figli ancor bambini, o genitori, è la vostra e quali obblighi essa abbia in faccia a Dio, non lo potete ignorare. Lo sappiamo: nei tempi antichi, nei primi secoli il Battesimo si differiva in età più adulta; ma vi erano motivi e ben gravi: non si volevano esporre incautamente fanciulli al furore della persecuzione: si volevano preparare a quelle terribili prove. Cessati i pericoli delle persecuzioni, la Chiesa riprovò 1’abuso di differire il Battesimo ai figli di genitori cristiani: ed oggidì noi vorremmo rinnovare quell’abuso? Non sia dunque che nelle nostre città e borgate si veggano bambini di parecchi mesi e talvolta di qualche anno non ancora battezzati, per conseguenza privi della grazia di Dio, in balìa del peccato ed in pericolo di morire fuori della Chiesa. La digressione è stata alquanto lunga, ma non inutile: ritorniamo al nostro argomento. – Presso gli Ebrei, nell’atto in cui il bambino veniva circonciso riceveva altresì il nome: similmente presso di noi, nell’atto in cui è battezzato, gli viene anche imposto il nome ed a ragione. Per la Circoncisione il bambino diventava membro della società mosaica, e pel Battesimo diventa membro della società cristiana; è dunque giusto che in quell’atto, nel quale viene ascritto nella nuova società, riceva anche il nome, col quale possa essere riconosciuto e scritto nel numero de’ suoi membri. Al Figlio di Maria e di Dio, dice il Vangelo, fu posto nome Gesù – Et vocatum est nomen eius Jesus-. Gesù! nome adorabile e glorioso, che un giorno risuonerà su tutte le lingue, in tutti gli angoli più remoti della terra. Che cosa è il nome? E una parola, che in dica e designa una persona, che gli uomini s’accordano di darle e che tal volta è la espressione e lo specchio più o meno fedele delle sue doti fisiche e morali. Il nome d’una persona, perché sia veramente il suo nome, dovrebb’essere la cornice, che racchiude il quadro, la corolla che contiene il fiore; dovrebb’essere il compendio delle qualità, onde va adorno chi lo porta. Ciò raramente avviene tra noi, ma perfettamente avvenne nel Salvatore. Né poteva essere altri menti, perché quel nome non veniva dagli uomini, ma da Dio stesso ed esprimeva a meraviglia il carattere personale, la dignità e la missione di lui. Gesù, in nostra lingua, significa Salvatore: Salvatore senza restrizione di sorta, senza limite di tempo, di luoghi, di popoli: Salvatore universale, perenne. Vero è che prima di Lui questo nome augusto fu dato ad uomini; ma ad essi non conveniva (e non sempre) che in parte e sovente sembrava una ironia amara: erano uomini che lo imponevano! Qui il nome di Gesù o Salvatore, è dato da Dio ed esprime fedelmente ciò ch’esso suona: Salvatore degli uomini, di tutti gli uomini, quanto all’anima e quanto al corpo, solo, unico Salvatore, perché nella grand’opera che compie, non ha bisogno d’altri, e tutta sua ne è la gloria. Meritamente i Libri Santi dicono, che non v ‘è sotto del cielo altro nome, nel quale si possa avere salute e che al suono di questo nome santo si piega ogni ginocchio in cielo, in terra e giù nell’abisso. Parrebbe dunque impossibile che tanto nome possa essere profanato e bestemmiato da chi lo conosce, crede in Lui e ne ha ricevuto il beneficio della salvezza. E così, o carissimi? Rispondete Ohimè! Quante volte questo nome benedetto per le vie, per le piazze, per le case, in privato ed in pubblico è orribilmente insultato e bestemmiato! Insultare e bestemmiare il nome di Colui, che non solo non ci ha fatto, né può fargli la più lieve offesa, ma ci ha colmato di benefìci, che è il nostro Salvatore, l’unica nostra speranza! Non sia mai, o dilettissimi, che sulla vostra lingua risuoni la parola della bestemmia e nemmeno della irriverenza contro questo nome santissimo! A Lui sia sempre, in cielo, in terra, in ogni luogo, lode, onore e gloria! – Lo dissi sopra: come gli Ebrei nell’atto della Circoncisione, così noi Cristiani tutti nell’atto del Battesimo diamo il nome ai nostri bambini. E qui, o carissimi, non vi è osservazione utile a fare ? Sì, v’è e voi non muoverete lamento se la dirò con tutta franchezza. La Chiesa raccomanda e quasi prescrive che ai bambini nel Battesimo si impongano nomi sacri, i nomi di qualcuno degli innumerevoli eroi, onde Essa va meritamente altera. Quel nome del santo deve ricordare per tutta la vita il modello da imitare, l’avvocato e protettore, al quale ricorrere. Quel nome, che portano, è un richiamo continuo alla fede, è un eccitamento alla virtù, è una parola, che compendia in sé le gesta d’un Apostolo, d’un martire, d’un santo è uno sprone potente ad imitarne la vita, è un rimprovero efficace se colla loro condotta lo disonorano. – Il Cristianesimo ha trionfato del paganesimo e la grandezza e la gloria di quello sotto qualsivoglia rispetto trascendono al tutto la grandezza e la gloria di questo. Perché dunque disseppellire nomi prettamente pagani e talvolta nomi di famosi colpevoli, di grandi scellerati ed imporli a vostri figli? Non è questa brutta e inesplicabile contraddizione? Noi, Cristiani, mendicare i nomi dei nostri figli presso i gentili o presso i romanzieri, forse al disotto dei gentili! I nomi di Pietro, di Paolo, di Giovanni, di Tommaso, di Luigi, di Francesco, di Agnese, di Agata, di Cecilia, di Caterina e di cento e cento altri eroi ed eroine della Chiesa Cattolica che vi presentano ideali stupendi di fortezza, di virtù senza macchia, di scienza, di grandezza morale? Questa simpatia pei nomi pagani o quasi pagani o romantici, che largamente si manifesta in mezzo a noi, pur troppo è argomento di un’altra simpatia, la simpatia delle idee e delle opere pagane e romantiche, che fermentano in seno alla nostra società cristiana. Siamo Cristiani e i nomi dei nostri figli e nipoti siano pur essi una professione della nostra fede e un ricordo delle virtù, delle quali deve essere ricca e bella la nostra vita!

III OMELIA

(Discorsi di G. B. M. VIANNEY VOL. I, IV ed. Ed. Marietti – 1933)

PRIMA DOMENICA DELL’ANNO

Domine, dimitte illam et hoc anno.

[Signore, lasciatela ancora un anno sulla terra.]

(S. Luca, XIII, 8)

Un uomo, ci dice il Salvatore del mondo, aveva un fico piantato nella sua vigna, e venendo a cercarvi i frutti, non ne trovò alcuno. Allora si rivolse al vignaiolo e gli dice: ecco, son già tre anni che vengo a raccogliere frutto da questo fico, senza trovarne; taglialo dunque, perché occupare ancor la terra? Il vignaiolo gli risponde. Signore, lasciamolo ancora quest’anno, lo lavorerò intorno, vi metterò del concime, forse porterà frutto, altrimenti lo taglierete e lo getterete al fuoco. No, fratelli miei, questa parabola non ha bisogno do spiegazione alcuna, siamo proprio noi, questo fico che il Signore ha piantato nel seno della Chiesa e dal quale aveva diritto di di aspettarsi buoni frutti, ma finora abbiamo deluso le sue speranze. Indignato per la nostra condotta Egli voleva toglierci da questo mondo e punirci; ma Gesù-Cristo, che è il nostro vero vignaiolo, che coltiva le nostre anime con tanta cura e che è già il nostro Mediatore, ha chiesto, di grazia, a suo Padre di lasciarci ancora questo anno sulla terra, promettendo a suo Padre che Egli avrebbe raddoppiato le sue cure ed avrebbe fatto tutto quel che poteva per convertirci. Padre mio, gli dice questo tenero Salvatore, ancora questo anno, non lo punite così presto; io lo perseguirò continuamente, sia con i rimorsi della coscienza che lo divorano, sia con i buoni esempi, sia con buone ispirazioni. Io incaricherò questi ministri di annunciar loro che sono sempre pronto a riceverlo; che la mia misericordia è infinita. Ma, se malgrado tutto questo, essi non vogliono amarvi, ben lungi dal difenderli contro la vostra giustizia, Io stesso mi volgerò contro di loro pregandovi di toglierli da questo mondo e di punirli. Preveniamo, fratelli miei, una sì grande sventura e profittiamo di questa misericordia che è infinita! Fratelli miei, passiamo santamente l’anno che stiamo per iniziare: e per questo, evitiamo questi disordini che hanno reso i nostri anni passati così peccaminosi agli occhi di Dio. È quel che io voglio dimostrarvi in maniera semplice e familiare affinché, comprendendolo bene, possiate profittarne.

I. Perché, fratelli miei, la nostra vita è piena di tanta sofferenza? Se consideriamo bene la vita dell’uomo, non è altro che una catena di mali: malattie, dolori, persecuzioni o infine le perdite di proprietà si succedono incessantemente su di noi; così che da qualunque parte l’uomo terreno si giri o si consideri, trova solo croci e afflizioni. Andate,  domandate dal più piccolo al più grande, tutti ti avranno lo stesso linguaggio. Infine, fratelli miei, l’uomo sulla terra, se non si rivolge a Dio, non può che essere infelice. Lo sapete perché, fratelli miei? No, mi direte voi. Ebbene! Amico mio, eccone il vero motivo. È che Dio, non ci messo in questo mondo solo come in un luogo di esilio e di reclusione, Egli vuole forzarci con così tanti mali a non attaccare ad esso il nostro cuore e a sospirare beni ben più grandi, più puri e più durevoli di quelli che si possono trovare in questa vita. Per farci sentire il bisogno di portare la nostra visuale verso i beni eterni, Dio ha dato ai nostri cuori desideri così vasti ed estesi, che nulla di creato è in grado di soddisfarli: ma a questo punto egli spera di trovare qualche piacere, attaccandosi a degli oggetti creati; appena possedeva ciò che desiderava con così tanto ardore, non appena assaggiato, egli si volge da un’altra parte, sperando di trovare qualcosa di meglio. È quindi costretto e forzato a confessare, per esperienza personale, che è inutile voler riporre qui la propria felicità in cose deperibili. Se spera di avere qualche consolazione in questo mondo non sarà se non disprezzando le cose che sono passeggere e di così poca durate, e tendendo al fine nobile e felice per il quale Dio lo ha creato. Volete essere felice amico mio? Guardate il cielo: là è dove il vostro cuore troverà qualcosa di cui saziarsi pienamente. Per provarlo, fratelli miei, dovrei solo interrogare un bambino e chiedergli per qual ragione Dio l’ha creato e messo al mondo; egli mi risponderebbe: per conoscerlo, amarlo, servirlo e quindi guadagnare la vita eterna. Ma di questi beni, di questi piaceri, di questi onori che cosa devi farne? Mi direbbe di nuovo: tutto ciò esiste solo per essere disprezzato, ed ogni Cristiano fedele agli impegni presi con Dio sul sacro fonte del Battesimo, le disprezza e le calpesta con i piedi. Ma mi direte ancora, cosa dobbiamo fare allora? Come dovremmo comportarci per giungere al fine beato per il quale siamo stati creati, in mezzo a così tante miserie? Eh! Amici miei, niente di più facile, tutti i mali che voi sperimentate sono i veri mezzi per condurvici: cerco di dimostrarvelo in modo chiaro come di giorno a mezzogiorno. Innanzitutto io vi dirò che Gesù Cristo con le sue sofferenze e la sua morte ha reso tutti i nostri atti meritori, per cui per un buon Cristiano, non c’è un movimento del nostro cuore e del nostro corpo che non sia ricompensato se lo facciamo per Lui. Forse voi pensate che questo non sia ancora abbastanza chiaro. Ebbene, se ciò non è sufficiente abbastanza, riesaminiamo la questione. Seguitemi per un momento e saprete come fare per rendere tutte le vostre azioni meritorie per la vita eterna, senza nulla cambiare nel vostro modo di agire. Bisogna soltanto tutto fare per piacere a Dio, e aggiungerò pure che invece di rendere le vostre azioni più penose facendole per Dio, al contrario, esse saranno solo più dolci e più leggere. Al mattino, quando vi svegliate, pensate immediatamente a Dio, e fatevi subito il segno della croce in Lui dicendo: Mio Dio, io vi dono il mio cuore, e poiché Voi siete così buono da darmi un altro giorno, fatemi la grazia che tutto ciò che io farò, non sia che per la vostra gloria e la salvezza della mia anima. Ahimè! dobbiamo poi dire in noi stessi: quanti ieri sono caduti nell’inferno, che forse erano meno colpevoli di me: devo dunque fare meglio di quanto non abbia fatto finora. Da questo momento, dovete offrire a Dio tutte le vostre azioni della giornata dicendogli: Ricevete, o mio Dio, tutti i pensieri, tutte le azioni che io farò in unione con ciò che avete sopportato durante la vostra vita mortale per mio amore. Questo è quello che non dovete mai dimenticare; perché, affinché le nostre azioni siano meritorie per il cielo, dobbiamo averle offerte al buon Dio, altrimenti esse saranno senza ricompensa. Quando è giunto il momento di svegliarvi, alzatevi prontamente: fare attenzione a non ascoltare il demone che ti tenterà di rimanere un po’ di più a letto, per farti mancare la vostra preghiera, o per farvela fare distrattamente, al pensiero di ciò che vi attende, o dell’opera che vi pressa. Quando vi vestite, fatelo modestamente, pensando che Dio ha gli occhi su di voi e che il vostro buon Angelo custode vi sia vicino, cosa di cui non potete dubitare. Mettetevi poi in ginocchio, non ascoltate ancora il demone che vi dice di rimandare la vostra preghiera ad un altro momento, per farvi offendere Dio fin dal mattino; al contrario, fate la vostra preghiera con tal rispetto e modestia per quanto ne sarete in grado. Dopo la vostra preghiera, prevedete le occasioni che potreste avere di offendere Dio durante la giornata, per poterle evitare. Quindi prendete una qualche risoluzione che vi sforzerete di eseguire dal primo momento: come, ad esempio, fare il vostro lavoro nello spirito di penitenza, evitare l’impazienza, le mormorazioni, i giuramenti, frenare la vostra lingua. La sera esaminerete poi se siete stati fedeli ad essa; se avete mancato, imponetevi qualche penitenza per punirvi delle vostre infedeltà, e siatene certi, se userete questa pratica, sarete presto in grado di correggervi da tutti i vostri difetti. – Quando andate a lavorare, invece di occuparvi della condotta dell’uno o dell’altro, occupatevi di alcuni buoni pensieri, come della morte: pensate che presto sarete tratti fuori da questo mondo; voi esaminerete quanto bene abbiate fatto da quando ci siete; vi dorrete soprattutto per i giorni persi per il cielo, cosa che vi porterà a raddoppiare le vostre buone opere, oppure del giudizio che forse, prima che la giornata finisca, dovrete rendere conto di tutta la vita e che quel momento deciderà il vostro destino, o eternamente infelice, o eternamente beato; o nel fuoco dell’inferno, dentro il quale bruciano quelli che hanno vissuto nel peccato, o nella felicità del paradiso, che è la ricompensa per coloro che sono stati fedeli nel servire Dio; o, se volete, trattenetevi sulla bruttura del peccato che ci separa da Dio, che ci rende schiavi del demonio gettandoci in un abisso di mali eterni. – Ma, voi mi direte, non possiamo fare tutte queste meditazioni. Ebbene! vedete la bontà di Dio, non sapete come meditare su queste grandi verità? Ebbene! fate delle preghiere, dite il vostro Rosario. Se siete un padre o una madre, ditelo per i vostri figli, affinché il buon Dio possa dare loro la grazia di essere dei buoni Cristiani che faranno la vostra consolazione in questo mondo e la vostra gloria nell’altro! E i figli devono dirlo per i loro padri e madri, affinché Dio li preservi e siano ben allevati cristianamente. Oppure pregate per la conversione dei peccatori, affinché possano avere la felicità di tornare a Dio. E con questo,  voi eviterete un numero infinito di parole inutili, o forse anche dei commenti che spesso non sono dei più innocente. Dovete, fratelli miei, abituarvi quanto più possibile, ad usare santamente il tempo. Ricordatevi che non possiamo salvarci senza pensarvi e che, se c’è un affare che meriti che noi ci pensiamo, è certamente l’affare della nostra salvezza, perché non ci ha messo sulla terra se non per salvarci. – Bisogna, fratelli miei, che prima di cominciare il vostro lavoro, non manchiate mai di fare il segno della croce, e non imitate quelle persone senza religione che non osano farlo perché sono in compagnia. Offrite con tutta semplicità le vostre pene al buon Dio, e rinnovate di tanto in tanto questa offerta con la quale avrete la felicità di attirare la benedizione del cielo su di voi e su tutto ciò che farete. Vedete, fratelli miei, quanti atti di virtù potete praticare comportandovi in questa maniera senza cambiare nulla in ciò che fate.  Se lavorate per piacere a Dio, obbedite ai suoi comandamenti che vi ordinano di guadagnare il vostro pane col sudore della vostra fronte: ecco un atto di obbedienza. Se questo vale per espiare i vostri peccati, fate un atto di penitenza. Se ha il fine di ottenere qualche grazia per voi o qualcun altro: ecco un atto di fiducia e di carità. O quanto, fratelli miei, possiamo meritare ogni giorno il cielo facendo quel che dobbiamo fare; ma facendolo per Dio e la salvezza della nostra anima! Chi vi impedisce, quando sentite battere le ore, di pensare alla brevità del tempo e dire in voi stessi: le ore passano e la morte avanza, io corro verso l’eternità. Sono pronto a comparire davanti al tribunale di Dio? Sono nello stato di peccato? E, fratelli miei, se avete questa disgrazia, fate presto un atto di contrizione per timore che Dio vi rigetti, e prendete poi la risoluzione di andarvi a confessare per due ragioni. La prima è che, se morite in questo stato, sarete certamente dannato, e tutte le buone opere che avete fatto saranno perdute per il cielo. Ed allora. Fratelli miei, avrete il coraggio di restare in uno stato che vi rende nemico del vostro DIO che vi ama tanto? Quando vi riposate dalle vostre fatiche, alzate gli occhi verso questo bel cielo che vi è stato preparato e, se avrete la felicità di servire DIO come dovete, dicendo a voi stesso: O bel cielo, quando avrò la felicità di possedervi! Tuttavia, fratelli miei, è vero il dire che il demonio non trascura di fare tutto quel che può per portarci al peccato, poiché San Pietro ci dice: « che egli ruggisce senza lena intorno a noi come un leone per divorarci. » Occorre dunque comprendere, fratelli miei, che finché sarete sulla terra, avrete tentazioni. Ma cosa dovete fare quando sentite il demonio che vorrebbe portarvi al male? Eccolo! Fate subito ricorso a DIO, dicendogli: « Mio DIO, venite in mio aiuto! Vergine Santa aiutatemi, per favore » oppure: « Mio santo Angelo custode, combattete il nemico della mia salvezza! » Fate subito queste riflessioni: nell’ora della mia morte, vorrò io aver fatto questo? No, senza dubbio. Ebbene! Bisogna dunque resistere a questa tentazione. Io potrò ora nascondermi agli occhi del mondo; ma DIO mi vede. Quando mi giudicherà, cosa gli risponderò se avrò la sventura di commettere questo peccato? Si tratta qui di Paradiso o di inferno, quale dei due vorrò scegliere? Credetemi, fratelli miei, fate queste piccole riflessioni tutte le volte che sarete tentati, e vedrete che la tentazione diminuirà man mano che le resistete, e ne uscirete vittoriosi. Di seguito, voi proverete da voi stessi che se vi costa il resistere, in seguito si è compensati dalla gioia e dalla consolazione che si prova dopo aver cacciato il demonio. Io sono sicuro che molti tra voi diranno tra loro che questo è proprio vero. I padri e le madri, dovranno abituare i loro figli a resistere subito alla tentazione, perché si può dire a tanti padri e madri che ci sono bambini che a quindici o sedici anni non sanno più cosa significhi resistere ad una tentazione, che li lasciamo prendere nelle trappole del demonio come uccelli nelle reti! Da dove deriva questo, se non dall’ignoranza o dalla negligenza dei genitori? Ma forse, mi direte, come volete che insegniamo ai nostri figli quando noi neppure lo sappiamo? Ma se non siete tanto istruiti, perché dunque siete entrati nello stato matrimoniale, nel quale sapete, o almeno dovreste sapere, che se il buon DIO vi dà dei figli, voi siete obbligati, sotto pena di dannazione, ad istruirli nel modo in cui devono comportarsi per andare in cielo. Amico mio, non è forse abbastanza che la vostra ignoranza vi perda senza perdere altri con voi? Se almeno, essendo perfettamente convinti che non abbiate molti lumi, perché non vi fate istruire nei vostri doveri da coloro che ne sono incaricati? Ma, voi mi direte, come osar dire ad un pastore che io sono poco ostruito? Egli si burlerebbe di me! Si burlerebbe di me!?, fratelli miei, voi vi ingannate, anzi egli avrà piacere ad insegnarvi ciò che voi dovete sapere, e di conseguenza i vostri figli. Dovete inoltre insegnar loro a santificare il loro lavoro, cioè a farlo non per diventare ricchi né per essere stimati dal mondo, ma per piacere a DIO che ce lo comanda per espiare i nostri peccati; con questo voi avrete la consolazione di vederli diventare figli saggi ed obbedienti, che faranno la vostra consolazione in questo mondo e la vostra gloria nell’altro. Voi avrete la felicità di vederli temere DIO e padroneggiare le loro passioni. No, fratelli miei, il mio intento non è oggi quello di mostrare ai padri ed alle madri la grandezza dei loro obblighi: essi sono così grandi e terribili che meritano una intera istruzione. Io dirò solo di passaggio, che essi devono fare ogni sforzo per ispirar loro il timore e l’amore di DIO; che le loro anime sono il deposito che DIO ha loro affidato, di cui un giorno bisognerà rendere un conto molto rigoroso. Infine si deve terminare la giornata con la preghiera della sera che si deve fare in comune per quanto possibile: perché, fratelli miei nulla è più vantaggioso di questa pratica di pietà, perché Gesù-Cristo ci ha detto Egli stesso che « se due o tre persone si uniranno insieme per pregare nel mio nome, Io sarò in mezzo a loro ». D’altro canto, cosa c’è di più consolante per un padre di famiglia di vedere ogni giorno tutta la sua casa prosternata ai piedi di DIO per adorarlo e ringraziarlo dei benefici ricevuti durante la giornata, e nello stesso tempo, gemere sui suoi passati peccati? Non c’è da sperare che tutti così trascorreranno santamente la notte? Colui che fa la preghiera non deve andare troppo svelto, affinché gli altri possano seguirlo, né troppo lentamente, cosa che causerebbe distrazioni agli altri, ma tenere un giusto mezzo. A questa preghiera della sera si deve aggiungere un esame in comune. Cioè, fermarsi un istante per rimettere i propri peccati davanti agli occhi. Ecco il vantaggio di questo esame: esso ci porta al dolore dei nostri peccati, ci ispira la risoluzione di non più ricadervi e quando andremo a confessarci, avremo più facilità a ricordarcene. Infine, se la morte ci coglie, noi compariremo con più fiducia davanti al tribunale di DIO; poiché San Paolo ci dice che se noi giudicheremo noi stessi, DIO ci risparmierà nei suoi giudizi. Sarebbe ancor da sperare, che prima di andare a dormire, facciate una piccola lettura di pietà, almeno durante l’inverno. Questa vi darà qualche buon pensiero che vi occuperà nel dormire e nello svegliarvi e con ciò fisserete più perfettamente le verità della vostra salvezza nel cuore. Nelle case ove non si sa leggere, ebbene, si può recitare il Rosario, cosa che attirerebbe la protezione della Vergine Santa. Si, fratelli miei, quando si trascorre così la giornata si può prendere il riposo in pace e dormire nel Signore. Se durante la notte ci si sveglia, si profitta di questo momento per lodare e adorare DIO. Ecco, fratelli miei, il piano di vita che dovete seguire, ed il buon ordine che dovete stabilire nelle vostre famiglie.

II. Vediamo ora i disordini più comuni e più pericolosi che bisogna evitare, ed in seguito le obbligazioni di ogni stato in particolare. Io dico innanzitutto che i peccati, i disordini più comuni sono le veglie, i giuramenti, le parole e le canzoni disoneste. Dico innanzitutto le veglie, sì, fratelli miei, sì, queste assemblee notturne che sono ordinariamente la scuola in cui i giovani perdono tutte le virtù della loro età, ed apprendono ogni tipo di vizio. In effetti, fratelli miei, quali sono le virtù della giovinezza? Non è forse l’amore per la preghiera, la frequentazione dei Sacramenti, la sottomissione ai loro genitori, l’assiduità al loro lavoro, una mirabile purezza di coscienza, un vivo orrore del peccato impuro? Tali sono, fratelli miei, le virtù che i giovani devono sforzarsi di acquisire. Ebbene! Fratelli miei, io vi dirò che benché raffermo sia un giovane o una giovane in queste virtù, se essi hanno la sventura di frequentare certe veglie, o certe compagnie, essi le avranno tutte ben presto perdute. Ditemi, fratelli miei, voi che ne siete testimoni, cosa vi si intendono se non le parole più sudicie e più vergognose? Cosa vi si vede se non familiarità tra i giovani che fanno arrossire il pudore, ed oso dire che se questi fossero degli infedeli, non ne farebbero di più. Ed i padri e le madri ne sono testimoni, e non dicono nulla, e padroni e padrone, conservano il silenzio! Un falso rispetto umano chiude la loro bocca! E voi sareste Cristiani! Avreste una Religione e sperate pure di andare un giorno in cielo! O DIO mio quale accecamento! Si può mai concepire? Sì, poveri ciechi, voi andrete, ma questo sarà nell’inferno: ecco dove sarete gettati. Come, voi vi lamentate che le vostre bestie muoiono? Voi avete senza dubbio dimenticato tutti questi crimini che si sono commessi durante i cinque o sei mesi d’inverno nelle vostre stalle? Voi avete dimenticato ciò che dice lo Spirito Santo: « Ovunque si commetterà il peccato, cadrà la maledizione del Signore. » Ahimè! quanti giovani avrebbero ancora la loro innocenza se non avessero partecipato a certe veglie e che forse non ritorneranno mai a DIO. Non è forse ancora, all’uscir di là che i giovani formeranno dei legami che, il più sovente, finiscono con lo scandalo e la perdita della reputazione di una fanciulla? Non è là che certi giovani libertini, dopo aver venduto la propria anima al demonio, vanno a perdere quelle delle altre? Sì, fratelli miei, i mali che ne risultano sono incalcolabili. Se siete dei Cristiani e desiderate salvare le vostre anime e quelle dei vostri figli e dei vostri domestici, non dovete mai organizzare veglie notturne a casa vostra, a meno che non ci siate voi, uno dei capi della casa, per impedire che DIO ne sia offeso. Quando sono entrati tutti, dovete chiudere la porta e non lasciarvi entrare nessuno. Iniziate la vostra veglia recitando una o due decine del vostro Rosario per attirare la protezione della Santa Vergine, cosa che potete fare lavorando. Poi bandite tutte le canzoni lascive o cattive: esse profanano il vostro cuore e la vostra bocca che sono i templi dello Spirito Santo; così che tutti questi racconti che non sono che menzogne, e che, più ordinariamente, sono contro persone consacrate a DIO, cosa che le rende ancor più criminali. E non dovete mai lasciare andare i vostri figli nelle altre veglie. Perché vi sfuggono, se non per essere più liberi? Se sarete fedeli nell’adempiere ai vostri doveri, DIO sarà meno offeso e voi, meno colpevoli. C’è ancora un disordine più deplorevole e più comune, che sono le parole libere. No, fratelli miei, nulla di più abominevole, di più detestabile di queste parole. In effetti, fratelli miei, cosa è più contrario alla santità della nostra Religione di queste parole impure? Esse oltraggiano Dio, scandalizzano il prossimo: ma per parlare più chiaramente, esse perdono tutto. Non basta spesso che una parola disonesta per occasionare mille cattivi pensieri, mille desideri vergognosi, forse anche per far cadere in un numero infinito di altre infamie, e per insegnare alle anime innocenti il male che essi hanno la fortuna di ignorare. E che! Fratelli miei, un Cristiano può lasciare occupare il suo spirito da tali orrori, un Cristiano che è il tempio dello Spirito Santo; un Cristiano che è stato santificato dal contatto del corpo adorabile di Gesù-Cristo! o DIO mio quanto poco conosciamo ciò che facciamo peccando! Se il nostro Signore vi dice che si può conoscere un albero dai suoi frutti, giudicate secondo il linguaggio di certe persone quale debba essere la corruzione del loro cuore, e tuttavia, nulla di più comune. Qual è la conversazione dei giovani? Non è questo maledetto peccato! Hanno altro in bocca? Entrate, oserei dire con S. Giovanni Crisostomo, entrate in queste bettole, cioè in questi ripari di impurità; su cosa volge la conversazione anche tra persone di una certa età? Non si giungono fino a gloriare colui che ne dirà di più! La loro bocca non è simile ad un tubo di cui l’inferno si serve per vomitare tutto le porcherie e le sue impurità sulla terra, ed attrarre le anime ad esso? Che fanno questi cattivi Cristiani, o piuttosto questi inviati degli abissi? Sono nella gioia? In luogo di cantare le lodi di DIO, sono le canzoni più vergognose che dovrebbero far morire un Cristiano di orrore.  Ah! gran DIO! Chi non fremerebbe pensando al giudizio che DIO ne farà. Sì, come Gesù-Cristo ci assicura Egli stesso, una sola parola inutile non resterà senza punizione. Ahimè! Qual sarà dunque la punizione di questi discorsi licenziosi, di questi spropositi indecenti, di questi orrori infami che fanno rizzare i capelli? Volete concepire l’accecamento di questi poveri sventurati, ascoltate queste parole: « Io non ho cattive intenzioni, vi dicono ancora; è solo per ridere, non sono che inezie e  barzellette che non fanno niente. » E che! Fratelli miei, un peccato così odioso agli occhi di DIO, un peccato, dico io, che solo il sacrilegio può oltrepassare, è una bagattella per voi! Oh! quanto il vostro cuore è rovinato e corrotto da questo vizio odioso. Oh no! No, non si può ridere e scherzare di ciò di cui dovremmo fuggire con più orrore che da un mostro che ci insegue per divorarci. Qual crimine, fratelli miei, amare ciò che DIO vuole che noi detestiamo sovranamente! Voi mi dite che non avete cattive intenzioni; ma ditemi anche, povero e miserabile vittima degli abissi, coloro che vi ascoltano ne avranno meno di cattivi pensieri e desideri criminali? La vostra intenzione arresterà forse la loro immaginazione ed il loro cuore? Parlate più chiaramente dicendo che voi siete la causa della loro perdita e della loro dannazione eterna. Oh! Questo peccato getta le anime all’inferno! Lo Spirito Santo ci dice che questo maledetto peccato di impurità ha coperto la superficie della terra. No, fratelli miei, no, non vado più oltre in questa materia; vi tornerò in una istruzione in cui tenterò di dipingervelo con ancora più orrore. Io dico dunque che i padri e le madri devono essere molto vigilanti nei confronti dei propri figli o domestici, non fare né dire un qualcosa che possa esser di danno a questa bella virtù di purezza. Quanti fanciulli o domestici che non si son dati a questo vizio se non dopo che i loro padri e madri ne hanno dato l’esempio! Quanti fanciulli e domestici persi per i cattivi esempi dei loro padri e madri o dei loro padroni o padrone! Sarebbe stato meglio per loro che si fosse piantati loro un pugnale nel seno! … almeno avrebbero avuto la felicità di essere nello stato di grazia, e sarebbero andati al cielo invece che essere gettati nell’inferno. I padroni devono essere molto vigilanti verso i loro domestici. Se ce ne sono alcuni che siano libertini nel linguaggio, la carità deve indurre a riprenderli due o tre volte con bontà; ma se continuano, dovete allontanarli da voi, altrimenti i vostri figli non tarderanno a somigliare loro. Diciamo anche, un domestico di questa specie è capace di attirare ogni tipo di maledizione sopra una casa. Un altro disordine che regna nelle famiglie e tra gli operai, sono le impazienze, i mormorii, i giuramenti. Ebbene! Fratelli miei, cosa guadagnate con le vostre impazienze ed i vostri mormorii? Forse vanno meglio i vostri affari? Ne soffrirete di meno? Non è tutto il contrario? Voi ne soffrite di più, e cosa più disastrosa è che voi perdete tutto il merito per il cielo. Ma, voi mi direte forse, che questo va bene per coloro che non hanno nulla da sopportare; se voi foste al posto mio, fareste forse ancor peggio. Io comprenderei tutto questo e ne converrei, fratelli miei, se non fossimo Cristiani, se non avessimo altra speranza che i beni ed i piaceri che possiamo gustare in questo mondo. Se, io dico, fossimo i primi a soffrirne; ma dopo Adamo ed Eva fino al presente, tutti i Santi hanno avuto qualcosa da soffrire, e per la maggior parte, molto più di noi; ma essi hanno sofferto con pazienza, sempre sottomessi alla volontà di DIO, e al presente, le loro pene sono finite, la loro felicità che è cominciata, non finirà mai. Ah! fratelli miei, guardiamo questo bel cielo, pensiamo alla felicità che DIO vi ci prepara, e sopporteremo tutti i mali della vita, in spirito di penitenza, con la speranza di una eterna ricompensa. Possiate voi avere la felicità, di sera, di poter dire che la vostra giornata è tutta per il buon DIO! Io dico che i lavoratori, se vogliono guadagnare il cielo. Devono soffrire con pazienza il rigore delle stagioni, i cattivi umori di coloro che li fanno lavorare; evitare i mormorii ed i giuramenti così comuni tra essi e compiere fedelmente il loro dovere. Gli sposi e le spose devono vivere in pace nella loro unione, edificarsi reciprocamente, pregare l’un per l’altro, sopportare i loro difetti con pazienza, incoraggiare alla virtù con i loro buoni esempi e seguire le regole sante e sacre del loro stato, pensando di essere figli dei santi, e che di conseguenza, non devono comportarsi come i pagani che non hanno la fortuna di conoscere il vero DIO. I padroni devono prendere le stesse cure dei loro domestici e dei loro figli ricordando ciò che dice San Paolo: che se non hanno cura dei loro domestici, sono peggiori dei pagani, e saranno puniti più severamente nel giorno del giudizio. I domestici agiscono per servirvi ed esservi fedeli, e voi dovete trattarli non come degli schiavi, ma come i vostri figli ed i vostri fratelli. Le domestiche devono considerare le loro padrone come se tenessero il posto di Gesù-Cristo sulla terra. Il loro dovere è quello di servirli con gioia, di obbedir loro con buona grazia, senza mormorii, e curare i loro beni come propri. I domestici devono evitare tra loro quegli atti estremamente familiari che sono sì pericolosi e sì funesti per l’innocenza. Se avete la ventura di trovarvi in una di queste occasioni, dovete lasciarla, a qualunque costo: è proprio là che dobbiamo seguire il consiglio che Gesù-Cristo vi dà, dicendovi che se il vostro occhio destro, o la vostra mano destra sono occasioni di peccato, strappateli e gettateli via da voi, perché è meglio andare in cielo con un solo occhio o una mano in meno, che esser precipitato nell’inferno con tutto il vostro corpo; vale a dire che, per quanto vantaggiosa possa essere la condizione in cui vi troviate, bisogna lasciarla senza indugio, altrimenti mai vi salverete. Preferite, ci dice Gesù-Cristo, la vostra salvezza, perché è la sola cosa che dovete avere a cuore. Ahimè! fratelli miei, quanto sono rari questi Cristiani che sono disposti a soffrire tutto piuttosto che rischiare la salvezza della propria anima. Sì, fratelli miei, avete udito riassunto tutto ciò che dovete fare per santificarvi nel vostro stato; ahimè! quanti peccati abbiamo da rimproverarci fino al presente. Giudichiamoci, fratelli miei, secondo queste regole, cerchiamo di conformarvi oramai la nostra condotta. E perché, fratelli miei, non faremmo tutto ciò che potremo per piacere al nostro DIO che ci ama tanto? Ah! se ci prendessimo la pena di gettare i nostri sguardi sulla bontà di DIO verso noi! In effetti, fratelli miei, tutti i sentimenti di DIO verso il peccatore non sono che sentimenti di bontà e di misericordia. Benché peccatore Egli lo ama ancora. Egli odia il peccato, è vero, ma ama il peccatore che, benché peccatore, non cessa di essere sua opera creata a sua immagine ed essere l’oggetto dei suoi più teneri sospiri da tutta l’eternità. È per lui che ha creato il cielo e la terra;  è per lui che ha lasciato gli Angeli ed i Santi; è per lui che sulla terra ha sofferto tanto per trentatré anni; è per lui che ha stabilito questa bella Religione sì degna di un DIO, sì capace di rendere felice colui che ha la fortuna di seguirla! Volete voi, fratelli miei, che vi mostri quanto DIO ci ami, benché peccatori, ascoltate lo Spirito Santo che ci dice che DIO si comporta verso di noi come Davide si comportò verso il figlio suo Assalonne, che formò un’armata di scellerati per detronizzare e togliere la vita ad un padre così buono, per poter regnare a suo posto. David è costretto a fuggire e lasciare il suo palazzo per mettere in sicurezza la sua vita, essendo perseguitato dal suo figlio degenere. E malgrado questo crimine dovette essere stato molto odioso a David, tuttavia lo Spirito-Santo ci dice che il suo amore per questo figlio ingrato era senza limiti, e sembrava quasi che a misura che questo figlio malvagio armasse il suo furore, questo buon padre sentisse nuovo amore per lui. Vedendosi costretto a marciare alla testa di un’armata per arrestare questo figlio sventurato, la sua prima cura prima di ingaggiare battaglia, fu quella di raccomandare ai suoi ufficiali ed ai suoi soldati, di salvare suo figlio. Questo figlio criminale e barbaro, vuole togliergli la vita, ed è per lui che questo padre prega. Egli perì per un visibile permesso dell’Alto, e Davide, lungi dal gioire della defezione di questo ribelle, e vedersi in sicurezza, al contrario, quando ne apprende la morte, sembra dimenticare la sua vita ed il suo regno, per non pensare che a piangere la morte di colui che non cercava che di sopprimerlo. Il suo dolore fu così grande e le sue lacrime abbondanti, che si coprì il viso per non vedere più il giorno; egli si ritirò nell’oscurità del suo palazzo e si lasciò andare a tutta l’amarezza del suo cuore. Le sue grida erano così laceranti e le sue lacrime sì amare ed abbondanti che gettò la costernazione fin nel mezzo delle sue truppe, rimproverando a se stesso di non avere avuto la fortuna di morire per salvare la vita di suoi figlio. Ad ogni istante lo si sentiva gridare: « Ah! figlio mio caro, Assalonne, ah! chi mi toglierà la vita per renderla a te. – Ah! fosse piaciuto a DIO che fossi morto al posto tuo! Non voleva ricevere più consolazioni; il suo dolore e le sue lacrime. lo accompagnarono fino alla tomba. Ditemi, fratelli miei, avreste mai pensato che la vostra perdita potesse causare tante lacrime e dolori al vostro divin Salvatore? Ah! chi non ne sarebbe colpito? Un DIO che piange la perdita di un’anima con tante lacrime, che non smette di gridare: amico, mio, amico mio, dove vai? A perdere la tua anima ed il tuo DIO? Fermati, fermati! Ah! guarda le mie lacrime, il mio sangue che ancora scorre: occorre che io muoia una seconda volta per salvarti? Eccomi. Oh! Angeli del cielo, scendete sulla terra, venite a piangere con me la perdita di quest’anima! Oh! sventurato è il Cristiano che persevera ancora a correre verso gli abissi, malgrado la voce che il suo DIO gli fa ascoltare continuamente! Ma, mi direte, nessuno ci parla in questo modo. Oh! amico mio, se non tappereste le vostre orecchie, ascoltereste incessantemente la voce del vostro DIO che vi insegue. Ditemi, amico mio, cosa sono questi rimorsi di coscienza quando siete caduto in peccato? Perché dunque questi turbamenti, che queste tempeste che vi agitano? Perché dunque questa paura e questo terrore in cui siete, o vi sembra di essere sempre pronti ad essere schiantato dai fulmini del cielo? Quante volte non avete sentito, anche peccando, una mano invisibile che sembrava vi respingesse dicendo: disgraziato, cosa fai? Sventurato, dove vai? Ah! figlio mio, perché vuoi dannarti? Non converrete con me che un Cristiano che disprezza tante grazie, meriti di essere abbandonato e riprovato, perché non ha ascoltato la voce di DIO, né approfittato delle sue grazie? Ma no, fratelli miei, è DIO solo che quest’anima ingrata disprezza e sembra voler togliere la vita e tutte le creature chiedono vendetta, ed è precisamente DIO solo che vuol salvarla, e si oppone a tutto ciò che potrebbe nuocergli, vegliando sulla sua conservazione come se fosse sola al mondo, e che la sua felicità dipendesse dalla sua mentre il peccatore gli pianta il pugnale in seno, DIO gli tende una mano per dirgli che vuole perdonarlo. I tuoni ed i fulmini del cielo sembrano gettarsi ai piedi del trono di DIO per pregarlo di grazia di permettere loro di schiantarlo. Ah! no, dice loro il divin Salvatore, quest’anima mi è troppo cara, io l’amo ancora, benché peccatrice. Ma Signore, riprendono queste folgori, ma essa non vive se non per oltraggiarvi? Non importa, io voglio conservarla, perché so che un giorno mi amerà; è per questo che io voglio vegliare alla sua conservazione. Ah! fratelli miei, sareste così duri da non essere colpiti da tanta bontà da parte del nostro DIO? Ebbene! Fratelli miei, andiamo oltre. Voi vedrete un altro spettacolo dell’amore di DIO per le sue creature e soprattutto per un peccatore convertito. Il Signore ci parla per bocca del profeta Osea. Egli giunge anche fino a voler nascondere i nostri peccati, dicendoci che DIO tratta il peccatore che lo oltraggia come una madre tratta un figlio sprovvisto di ragione. Voi vedete, ci dice, questo figlio privo di ragione, a volte è di cattivo umore, a volte è impaziente, grida, si irrita, giunge perfino a battere con le sue piccole mani il seno della madre che lo porta; si sforza si soddisfare la sua debole collera. Ebbene! Ci dice, qual vendetta credete che questa madre trarrà dalla temerità di questo figlio? Eccola: lo stringerà e lo presserà più teneramente al suo cuore: raddoppia le sue carezze; ella lo carezza, gli presenta la sua mammella ed il suo latte, per cercare di calmare il suo piccolo umore: ecco tutta la sua vendetta. Ebbene! Vi dice il profeta, se questo figlio avesse la conoscenza di ciò che fa, cosa dovrebbe pensare vedendo tanta dolcezza da parte di questa madre! Diamogli per un momento il linguaggio della ragione che la natura gli ha rifiutato; che penserà e che giudicherà di tutto questo quando sarà rinvenuto della sua collera? È vero che sarà stupefatto dalla temerità che ha avuto nell’irritarsi contro colei che lo teneva tra le sue braccia, che non aveva che da aprire la mano per lasciarlo cadere a terra e schiacciarlo. Ma nello stesso tempo temerà che questa buona madre rifiuti di perdonare questi piccoli furori? Non vedrà che al contrario essi sono già perdonati, perché lo carezza più teneramente mentre potrebbe vendicarsi? Sì, ci dice questo profeta, il Signore vi ama tanto, benché peccatori, da portarvi tra le sue mani fino alla vostra vecchiaia. No, no, egli dice, quand’anche una madre avesse il coraggio di abbandonare un figlio, Io non avrei il coraggio di abbandonare una delle creature. Ahimè! Fratelli miei, niente di più facile da concepire. DIO non sembra chiudere gli occhi sui nostri peccati? Non vediamo, ogni giorno, peccatori che non sembrano vivere che per oltraggiarlo, e che fanno tutti i loro sforzi per perdere gli altri, sia con i loro cattivi esempi, sia con i loro insulti, sia con parole disoneste. Non sembrerebbe che l’inferno li abbia inviati per carpire queste anime dalle mani di DIO per gettarle nell’inferno. Ebbene! DIO non ha cura di questi sventurati che non vivono se non per farlo soffrire e rapirgli delle anime? Non fa per essi tutto ciò che fa per il più giusto? Non comanda al sole di illuminarli, alla terra di nutrirli? Gli uni, agli animali di nutrirli, gli altri di vestirli, o di aiutarli nei loro lavori? Non comanda a tutti gli uomini di amarli come se stessi? Sì, fratelli miei, sembra che DIO, dal canto suo, si impegni a farci del bene per conquistare il nostro amore, e dall’altro lato sembra che il peccatore impieghi tutto ciò che è in lui per fargli la guerra e disprezzarlo … mio DIO! Quanto cieco è l’uomo! Quanto poco conosce quel che fa peccando, rivoltandosi contro un padre sì buono, un amico così caritatevole! Deplorando il nostro accecamento, cosa dobbiamo concludere da tutto questo, Cristiani? Questo: se DIO è tanto buono da darci la speranza di un nuovo anno, noi dobbiamo fare tutto ciò che possiamo per trascorrerlo santamente e che, durante questo anno, noi possiamo ancora guadagnare l’amicizia del nostro DIO, riparare al male che abbiamo fatto non solo durante quest’anno che è passato, ma durante tutta la nostra vita, ed assicurarci una eternità di beatitudine, di gioia e di gloria. Oh! se l’anno prossimo avremmo la felicità di poter dire che questo anno è stato tutto per il buon DIO; qual tesoro avremmo accumulato! È ciò che vi auguro …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXVIII:12; 15
Tui sunt cæli et tua est terra: orbem terrárum et plenitúdinem ejus tu fundásti: justítia et judícium præparátio sedis tuæ.

[Tuoi sono i cieli e tua è la terra: Tu hai fondato il mondo e quanto vi si contiene: la giustizia e l’equità sono le basi del tuo trono].

Secreta

Munéribus nostris, quǽsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi.

[Ti preghiamo, o Signore, affinché gradite queste nostre offerte e preghiere, Ti degni di mondarci con questi celesti misteri e pietosamente di esaudirci.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps XCVII:3

Vidérunt omnes fines terræ salutáre Dei nostri.
[Tutti i confini della terra videro la salvezza del nostro Dio.]

Postcommunio

Orémus.
Hæc nos commúnio, Dómine, purget a crímine: et, intercedénte beáta Vírgine Dei Genetríce María, cæléstis remédii fáciat esse consórtes.

[Questa comunione, o Signore, ci purífichi dal peccato e, per intercessione della beata Vergine Maria Madre di Dio, ci faccia partecipi del celeste rimedio.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: GENNAIO 2021

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA:

GENNAIO 2021

PRIMO GIORNO DELL’ANNO.

La divozione al Papa

È terminato l’anno 2020. E noi siamo qui appunto radunati con questo intento di rendere al Signore con un solenne Te Deum le più vive azioni di grazie per i singolari benefizi, che si è degnato di farci nell’anno reste decorso. Ma siamo pure entrati nell’anno 2121, e nel recarci oggi al tempio abbiamo pure per questo riguardo avuto lo scopo di rinnovare dinanzi al Sacramentato Gesù quei santi voti, coi quali un giorno al fonte battesimale per bocca dei nostri padrini abbiamo giurato di voler essere fedeli seguaci del nostro Divin Redentore e maestro, credendo tutto ciò che Egli ci ha insegnato a credere e praticando tutto quello che egli ci ha comandato di praticare. Ma oltre a queste due grandi azioni è della massima importanza che in questa occasione noi ne facciamo un’altra ancora. Come uomini, e uomini di una particolare condizione, applicati a qualche particolare ufficio, con qualche particolare impegno, arrivati al termine di un anno ed al principio di un altro, noi siamo soliti di prendere qualche speciale proposito da adempiere particolarmente nel nuovo anno, in cui si è entrati, onde migliorare la condizione nostra, accrescere il nostro bene fisico e morale, farne avvantaggiare la nostra possibile felicità. Or quello che noi facciamo come uomini, è quello che dobbiamo fare anche più come Cristiani. Ogni nuovo anno che il Signore ci apre innanzi, ancorché non ci concedesse che di passarne qualche mese, qualche settimana, qualche giorno, è sempre un nuovo tratto di tempo che Egli ci concede per fruire della sua misericordia e per accrescere i nostri meriti per l’altra vita; epperò noi siamo in dovere incominciando un nuovo anno di prendere tutti e ciascuno qualche speciale proposito in relazione al grande benefizio che il Signore ci fa. Ed io son certo che voi tutti compirete questo dovere secondo lo stato, i bisogni egli obblighi particolari vostri. Ma trattandosi di proporne uno che sia a tutti conveniente e giovevole, sapete voi quale a me pare più d’ogni altro in questa circostanza importante? Quello della devozione al Papa. In quest’anno 2021 (*) ricorre il trentennale pontificale del Sommo Pontefice gloriosamente regnante Gregorio XVIII. E questo fausto avvenimento non può e non deve trascorrere inosservato, senza anzi la convenevole commemorazione per parte di alcun vero cristiano cattolico. E ciò tanto più da veri Cristiani cattolici dobbiamo fare, in quanto che si tratta altresì di riparare il Papa di quelle gravi offese e consolarlo di quelle forti afflizioni che di questi ultimi tempi gli furono recate. Nessuno di voi ignora come i suoi nemici dichiarati, gli aggregati cioè al Massonismo ed al Socialismo (che insieme alla bestia, e ai falsi profeti del Novus Ordo modernista, compongono il corpo mistico di satana – ndr.), oggidì più che mai si siano scatenati furibondi contro il Papa per distruggere se fosse possibile la sua esistenza, e per coprirlo ad ogni modo delle più basse e vituperevoli ingiurie. E nessuno di voi ignora come a questi nemici dichiarati altri se ne siano aggiunti più subdoli, epperò anche più maligni, i seguaci cioè del Modernismo, che pur professandosi ipocritamente suoi figli rispettosi, mirano più che altri mai a scalzare la sua sovrana autorità di Vicario di Gesù Cristo. Io credo adunque che non potrei in quest’oggi darvi miglior suggerimento di questo: la devozione al Papa. E perché lo abbiate ad accogliere e praticare più volonterosamente io vi parlerò oggi del Papa, e vi mostrerò come per lui si adattino perfettamente le parole da Gesù Cristo indirizzate al primo Papa: Tu es Petrxis, et super hanc petram ædificabo ecclesiam meam: et portæ inferi non prævalebunt adversus eam: Tu sei Pietro, e sopra di questa pietra fabbricherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa giammai (Matt. XVI, 18). …

(*) La date sono naturalmente aggiornate, come il nome del Sommo Pontefice regnante – ndr.

(da A. Carmagnola: Avvento e feste del Natale. S. E. I. Torino, IV ed. 1947) .

Queste sono le feste della CHIESA Cattolica del mese di Gennaio 2021

1 Gennaio In Circumcisione Domini   Duplex II. classis *L1*

                 I venerdì del mese

2 Gennaio

I Sabato del mese

3 Gennaio  SS. NOME DI Gesù

6 Gennaio In Epiphania Domini    Duplex I. classis *L1*

10 Gennaio Sanctæ Familiæ Jesu Mariæ

13 Gennaio Commemoratio Baptismatis Domini Nostri Jesu Christi    Duplex II. classis

14 Gennaio S. Hilarii Episcopi Confessoris Ecclesiæ Doctoris    Duplex

15 Gennaio S. Pauli Primi Eremitæ et Confessoris    Duplex

16 Gennaio S. Marcelli Papæ et Martyris    Semiduplex

17 Gennaio Dominica II post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                  S. Antonii Abbatis    Duplex

18 Gennaio Cathedræ S. Petri    Duplex majus *L1*

19 Gennaio Ss. Marii, Marthæ, Audifacis, et Abachum Martyrum    Simplex

20 Gennaio Ss. Fabiani et Sebastiani Martyrum    Duplex

21 Gennaio S. Agnetis Virginis et Martyris    Duplex *L1*

22 Gennaio Ss. Vincentii et Anastasii Martyrum    Semiduplex

23 Gennaio S. Raymundi de Peñafort Confessoris    Semiduplex m.t.v.

24 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

                 S. Timothei Episcopi et Martyris    Duplex

25 Gennaio

In Conversione S. Pauli Apostoli    Duplex majus *L1*

26 Gennaio S. Polycarpi Episcopi et Martyris    Duplex

27 Gennaio S. Joannis Chrysostomi Episcopi Confessoris et Eccl. Doctoris –  Duplex

28 Gennaio S. Petri Nolasci Confessoris    Duplex

29 Gennaio S. Francisci Salesii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

30 Gennaio S. Martinæ Virginis et Martyris    Semiduplex

31 Gennaio Dominica III Post Epiphaniam    Semiduplex Dominica minor *I*

    S. Joannis Bosco Confessoris    Duplex

TE DEUM DI RINGRAZIAMENTO

ULTIMO GIORNO DELL’ANNO.

IL TE – DEUM di ringraziamento.

(A. Carmagnola: AVVENTO, Novena e Festa del S. Natale: S. E. I. Torino, 1947)

Eccoci arrivati ormai al termine dell’anno, durante il quale abbiamo fatto un nuovo cammino verso la nostra eternità. Ora chiunque di noi si volga indietro a misurare col pensiero la via trascorsa, da quanti pericoli deve confessare di esser stato salvato, di quanti_beni deve riconoscere di essere stato favorito, di quante grazie deve dirsi ricolmo! E qual è stata mai quella mano benedetta, che durante questo passato anno ci ha difesi, ci ha beneficati, ci ha fatto copia de’ suoi tesori? Dobbiamo noi cercare sulla terra ovvero in cielo il nostro benefattore?… Allorquando il giovane Tobia, reduce dal suo viaggio nella Media, scampato da tanti rischi, lieto di nozze avventurate e di abbondanti sostanze insieme col padre suo convenne di ricambiare i benefizi del suo compagno di viaggio, questi svelatosi per l’arcangelo Raffaele: Benedite, disse, benedite Iddio, Signore del cielo e della terra, perché è Egli che ha usata con voi la sua misericordia. Or ecco quello, che io devo dire ora a me stesso e a voi: Rendiamo a Dio le debite lodi; a Dio innalziamo i nostri umili ringrazi amenti; a lui mandiamo ogni sorta di benedizioni; perciocché il benefattore nostro è Egli; è Egli che ci ha liberati da tanti mali; è egli che ci ha compartiti tanti beni. Mentre in quest’anno la morte ha troncato tante vite, che erano ben anche più preziose delle nostre, Dio ci ha risparmiati; Dio ci ha sostenuti, Dio ci ha dato ogni giorno il pane necessario per la vita, ci ha liberati da tante infermità, ci ha favoriti tanti bei giorni lieti e sereni? – Ma più ancora che nelle cose materiali, Dio ci ha beneficati nell’ordine spirituale. O anime giuste, chi è che vi ha preservate dal precipitare nelle più gravi enormità? Non è la mano di Dio? Anime penitenti, chi è che ha vibrato un colpo nel vostro cuore per ispezzarlo e cavarne il pianto della Contrizione? Non è la mano di Dio? Anime peccatrici non è passato giorno di quest’anno, in cui tutte le creature non abbiano alzato un grido contro di voi, e non abbiano chiesto licenza a Dio di vendicare in voi le offese fatte continuamente a sua divina Maestà. Chi ad esse ha impedito di compiere la vostra rovina? Chi vi ha dato ancora spazio di penitenza? Sempre la mano di Dio. Tutti adunque, che ci troviamo qui ancora in questo momento, abbiamo nel corso di questo anno ricevuti benefizi immensi dal Signore. Ma quale corrispondenza abbiamo noi usata a tanti benefizi? Abbiamo noi raggiunto il fine per cui ci furono fatti? Ci siamo resi più virtuosi? Abbiamo vinto i nostri difetti più comuni? Siamo noi divenuti più ferventi nell’amor di Dio e del prossimo? In una parola ci siamo dati ad una vita più santa? Forse è accaduto tutto il contrario, ed anziché farci migliori abbiamo peggiorato assai. Se così fosse sgraziatamente, nel riconoscere la bontà di Dio a nostro riguardo, domandiamogli anzitutto sinceramente perdono della nostra poca corrispondenza, e fors’anche della nostra ingratitudine. Poscia ringraziandolo con tutto il cuore di tanta bontà, promettiamogli sinceramente di voler d’ora innanzi, nella vita che ancora si degnerà di concederei, corrispondere ai benefizi suoi, coll’attendere seriamente alla fuga del peccato, alla pratica della virtù, all’opera della nostra santificazione.

Te Deum

Te Deum laudámus:

* te Dóminum confitémur.

Te ætérnum Patrem

* omnis terra venerátur.

Tibi omnes Ángeli,

* tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:

Tibi Chérubim et Séraphim

* incessábili voce proclámant:

(Fit reverentia)

Sanctus, Sanctus, Sanctus

* Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra

* majestátis glóriæ tuæ.

Te gloriósus

* Apostolórum chorus,

Te Prophetárum

* laudábilis númerus,

Te Mártyrum candidátus

* laudat exércitus.

Te per orbem terrárum

* sancta confitétur Ecclésia,

Patrem

* imménsæ majestátis;

Venerándum tuum verum

* et únicum Fílium;

Sanctum quoque

* Paráclitum Spíritum.

Tu Rex glóriæ,

* Christe.

Tu Patris

* sempitérnus es Fílius.

(Fit reverentia)

Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem:

* non horruísti Vírginis úterum.

Tu, devícto mortis acúleo,

* aperuísti credéntibus regna cælórum.

Tu ad déxteram Dei sedes,

* in glória Patris.

Judex créderis

* esse ventúrus.

(Sequens versus dicitur flexis genibus)

Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni,

* quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis

* in glória numerári.

Salvum fac pópulum tuum, Dómine,

* et bénedic hereditáti tuæ.

Et rege eos,

* et extólle illos usque in ætérnum.

Per síngulos dies

* benedícimus te.

(Fit reverentia, secundum consuetudinem)

Et laudámus nomen tuum in sǽculum,

* et in sǽculum sǽculi.

Dignáre, Dómine, die isto

* sine peccáto nos custodíre.

Miserére nostri, Dómine,

* miserére nostri.

Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos,

* quemádmodum sperávimus in te.

In te, Dómine, sperávi:

* non confúndar in ætérnum.

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (2)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (2)

Trad. M. T. Garutti

Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa – Catania, 7 Marzo 1957

P. Ambrogio Gullo O. P. Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957 – Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO II.

I PADRI UOMINI DI CHIESA PER ECCELLENZA

Significato della parola « Padri ».

Chiamiamo « Padri della Chiesa » tutti gli scrittori cattolici dei primi secoli, quelli la cui opera è rimasta, nel suo insieme, conforme all’ortodossia tradizionale. Il fatto di aver scritto non ha in sé valore particolare: le loro composizioni non sono assimilate ai Libri canonici del Vecchio e Nuovo Testamento ai quali è riconosciuta una ispirazione divina specialissima. Non è affatto sicuro né probabile che gli scritti dei Padri rappresentino la totalità della loro azione personale, né, a maggior ragione, la totalità dell’azione apostolica del loro tempo, tutt’altro. Nondimeno, proprio per questi scritti, essi hanno acquisito, per i secoli posteriori, una autorità eccezionale; essi sono per noi i testimoni diretti della vita cristiana durante tutto il periodo degli inizi. Senza dubbio, le comunità si sviluppavano per effetto di una spinta interna, di una linfa che sale e alimenta dal di dentro, segno evidente d’una autentica vitalità. Ma noi non conosceremmo che superficialmente questa vitalità senza gli scritti rimastici di quell’epoca. Da ciò l’interesse fondamentale di queste opere. – In realtà, bisogna aspettare il V secolo perché la parola « Padre » esprima pienamente quel valore dottrinale che gli si attribuisce oggi. San Basilio o San Gregorio Nazianzeno furono gli iniziatori di questa tendenza, che si impose al momento delle controversie cristologiche, in modo particolare nei Concili di Efeso e di Calcedonia (451). La fama dei Vescovi che avevano respinto vittoriosamente le grandi eresie trinitarie del IV secolo, nella loro azione conciliare o fuori dei concili, ma con un vero accordo di pensiero e di atteggiamento religioso, dette allora a quel nome di « Padri » un contenuto dottrinale che in seguito è andato sempre più estendendosi. Questa denominazione deve il suo prestigio non solamente ai grandi concili del IV secolo, i cui membri furono da allora chiamati «Padri », ma anche ai Vescovi anteriori e agli altri scrittori cristiani approvati dai Vescovi fin dai tempi apostolici. – San Vincenzo di Lérins, verso il 430, nel suo celebre « Commonitorium », fa appello all’autorità speciale di quelli che, essendo entrati m comunione con l’intera Chiesa, sono i soli « maestri da approvare » (magistri probabiles). Sono questi maestri i veri « Padri », ben diversi dai semplici scrittori ecclesiastici, la cui autorità non è così autenticamente garantita. Un documento importante della fine dello stesso secolo, opera parziale del Papa San Gelasio, al quale fu poi attribuito per intero (Decreto gelasiano), precisa ancora questi dati e li illustra con un elenco di nomi famosi. Ne manca uno, importantissimo, quello di Santo Ireneo, colui che aveva posto la regola capitale in questo campo: la necessaria conformità con una Sede capace di garantire da sola il legame diretto con gli Apostoli, la sede di Roma. – La santità di vita richiesta per l’attribuzione del nome di Padri, non è così rigorosa come la canonizzazione in vista del culto liturgico; esige una autentica vita cristiana ma senza quel grado eroico di cui a poco a poco la Chiesa ha fatto una condizione essenziale per l’onore degli Altari. Nel titolo di Padre, è l’ortodossia dottrinale che ha la prevalenza. – L’antichità che s’impone egualmente in questo campo, risale dal punto di vista delle fonti fino agli Apostoli esclusi: questi, infatti, continuano in qualche modo la Rivelazione propriamente detta, di cui furono i testimoni diretti ed immediati nella persona del Cristo. Questo contatto con gli Apostoli dà ai primi Padri, anche se non sono vescovi, e ai primi scritti, anche se sono anonimi, una autorità tutta particolare che non bisogna né esagerare né diminuire. Il punto di partenza della Patristica è dunque molto netto: la fine del I secolo, benché le opere cristiane vi siano rare: ce n’è almeno una e di grande portata, l’epistola di San Clemente di Roma, e forse anche la Didachè il cui autore è ignoto. All’altra estremità, l’epoca detta dei Padri è stata naturalmente più fluttuante. Ha superato da molto tempo il V secolo; fin dal medioevo, si dava particolare importanza a San Gregorio Magno (+ 604) in Occidente, e in Oriente a San Giovanni Damasceno, semplice monaco e grande difensore del culto delle immagini (+ 749). Generalmente si sta a queste due date; non crediamo però che le ragioni invocate per restare fissi ad esse siano decisive. Si lasciano così fuori della Patristica alcuni santi che hanno manifesti contatti con l’antichità cristiana e che è ingiusto porre in qualche modo fuori della serie, poiché i loro scritti non risentono affatto dell’ispirazione medievale. Pensiamo, per l’Oriente, a San Teodoro Studita, che incarna la lotta contro l’iconoclastia, agli inizi del sec. IX. Prima di lui in Occidente troviamo San Beda il Venerabile, posteriore di più di un secolo a Gregorio Magno, e forse bisognerebbe aggiungervi anche i grandi monaci anglo-sassoni degli inizi del sec. IX, che furono più dei testimoni del passato che dei veri iniziatori. La data dell’842, che segna la fine della lotta iconoclasta, con l’ascesa al potere dell’imperatrice Teodora, vedova dell’imperatore Teofilo e reggente in nome del figlio Michele, ancora minorenne, è una data capitale, sul piano religioso come su quello politico, data sottolineata ancora dalla festa dell’Ortodossia istituita fin dall’843 e tuttora in onore nella Chiesa bizantina. L’iconoclastia non era stata battuta se non grazie all’appoggio dell’Occidente, dei Papi in particolare, e la nuova solennità avrebbe potuto chiamarsi festa dell’Ortodossia cattolica: ragione di più per ricollegarvi l’antichità cristiana. Con la fine del IX sec. un nuovo periodo storico si apre in Oriente come in Occidente. L’epoca patristica è definitivamente chiusa.

Spirituali e mistici, più che speculativi.

Il lettore moderno affronta, generalmente i Padri con preoccupazioni che sono spesso molto lontane dalle loro e gli impediscono di capirli esattamente, a dispetto di una cultura letteraria e storica assai profonda. Egli chiede loro lumi su punti che essi hanno affrontato solo incidentalmente, trattando di questioni ben più importanti per essi di quelle che appassionano i moderni. Esiste un vero « campo » patristico, che occorre conoscere, almeno nelle sue grandi linee, prima di abbordare i Padri, se si vuol fare uno studio serio ed obiettivo. I teologi stessi si sbagliano spesso in proposito. A maggior ragione i laici rischiano di restare fuori da questo campo così particolare, se non si sono informati con cura sull’argomento. Il titolo stesso di questo libro — « spirituali e mistici » — non basta a orientare il lettore; queste due parole, per quanto giuste e utili siano, hanno preso ai giorni nostri dei significati ben determinati che non rispondono, se non lontanamente, alla realtà antica. Esse scartano già molte concezioni false ed hanno quindi un valore almeno indicativo. Bisogna tuttavia precisarle ancora, senza però rinchiuderci in quadri troppo angusti, che impediscano di andare al nocciolo delle opere. I Padri hanno meno la preoccupazione della scienza che della realtà vivente conosciuta per mezzo della fede. Ora questa solo nutre l’anima del Cristiano quando è illuminata dallo Spinto, e lo scopo che noi perseguiamo in questo lavoro fondamentale è mostrarne la funzione vitale. Nell’analisi di tale realtà vivente, abbiamo immediatamente posto in risalto un elemento essenziale, determinato da Cristo stesso, la Chiesa, di cui i primi documenti cristiani ci fanno toccare e afferrare l’azione diretta, prolungata attraverso i secoli. Certo vi è una bella distanza da un San Clemente di Roma e un Sant’Ignazio di Antiochia a un Sant’Agostino e a un San Gregorio Magno, ma un legame potente li unisce: il Coipo Mistico. – Questo Corpo, la Chiesa, è prima di tutto, nel mondo, una incarnazione continua del soprannaturale propriamente detto: è una vita divina nel senso letterale della parola. La lotta delle due città, di cui Sant’Agostino detterà le leggi nel V secolo, è già impegnata sin dai primi tempi, e gli apologisti, alla fine del secondo, ne mettono in luce la posta, o, se non altro, ne intravedono la grandezza e il mistero. Essi non sono tanto polemisti quanto apostoli a modo loro. Questa caratteristica è ancor più marcata nei Dottori propriamente detti, quelli che ebbero il dono di penetrare nel cuore dei misteri, non certo per comprenderli a fondo, ma per attingervi le luci provvidenzialmente necessarie contro le grandi eresie. Essi furono eminentemente dei contemplatori di questi misteri, nel senso profondo della parola, e vi trovarono luce e forza per realizzare l’alta missione dottrinale che la Provvidenza divina aveva loro affidato. – I « Dottori » ebbero sempre cura, nella Chiesa, di unire alla più rigorosa ortodossia la più intensa vita cristiana, ed i più illustri fra di essi furono anche i più ardenti promotori della fede «viva». Su questo punto c’è una comunanza di vedute, una unanimità di vita e di pensiero evidenti: essi furono « buoni pastori » nel senso evangelico della parola. Tutti, salvo rare eccezioni, si dedicarono alla preghiera con un fervore esemplare, e molti raggiunsero le vette della più pura contemplazione. La loro mistica è generalmente dottrinale nella sua base, ma la loro fede era così strettamente associata alla carità che oggigiorno si è creduto talvolta di potere e dover ritenere solo questo aspetto del Cristianesimo; ciò che porta ad una grave deformazione. Non è esclusa l’esperienza religiosa, ma essa trova il suo apogeo in una pura contemplazione del vero Dio, e persino della Trinità. Le Tre Persone, senza uscire dalla loro trascendenza, si comunicano in modo reale alle anime di preghiera e i Dottori antichi sembrano averne spesso beneficiato, talmente le loro opere testimoniano una certa intimità con esse. Questo misticismo è inseparabile da una vera ascesi che serve loro di base e che non si potrebbe dimenticare qui, anche se i principi dottrinali di una via ascetica completa, se non autonoma, non siano stati formulati e sistematizzati che più tardi. Sintesi del genere non sono spesso possibili che dopo lunghe esperienze, e talvolta in reazione contro gli abusi, così come, sul piano dottrinale, le definizioni dogmatiche e le costruzioni di sistemi non hanno potuto essere realizzati che in risposta a degli errori. Alcuni tentativi di sistematizzazione teologica si sono verificati al tempo dei Padri: ma essi sono eccezionali. Gli antichi non si preoccupavano tanto della scienza e delle sue esigenze rigorose, per ciò che riguarda il metodo, quanto della vita sotto le varie forme che sono state ora evocate. Vi fu qualche tentativo, in Oriente, prima di Sant’Agostino, il quale, verso il V secolo o al principio di questo, tentò parecchi abbozzi, d’altronde magistrali; e, quattro secoli più tardi, la Patristica si onora della piccola sintesi dottrinale di San Giovanni Damasceno. Tutto ciò annuncia da lontano un vasto campo da esplorare. Sarà l’impegno del Medioevo che affronterà i temi con un metodo, che non sarà più quello dei Padri, ma che non deve far dimenticare il loro. – Nelle opere dei Padri viene spesso trascurata la filosofia; ed è una lacuna, almeno per quanto riguarda i più grandi. Anche per quest’ultimi, e soprattutto in Oriente, la filosofia ha un ruolo secondario. Tuttavia non è inutile accennarvi, non fosse altro che per ricordare quella funzione ausiliaria che si ha spesso tendenza ad esagerare. Anche per Sant’Agostino, particolarmente subito dopo la sua conversione, la filosofia non sarà mai la preoccupazione predominante; tuttavia il suo apporto in questo campo non può essere trascurato senza recare un grave pregiudizio alla sua memoria, e a tutta la storia del pensiero Occidentale e cristiano. Sant’Agostino fu un pensatore nel senso letterale della parola, ma un pensatore religioso, un santo che si diede interamente, anima e corpo, alla grazia, dopo la sua conversione, e che, da secoli, rimane la guida spirituale più autorevole dell’Occidente. – Questa analisi metodica, di cui i capitoli seguenti saranno la giustificazione dettagliata, conferma la nozione di « Padri », data all’inizio di questo lavoro: organi qualificati dello Spirito Santo in quell’epoca privilegiata che è l’antichità cristiana, età che Cristo colmò dei suoi doni per farne guida per eccellenza dei tempi nuovi.

La nota dominante della Patristica: sapienza cristiana.

Il quadro che precede rischia, nella sua sommaria formulazione, di inaridire la storia di una dottrina che fu soprattutto una vita cristiana, eminente nelle istituzioni come nelle persone. Se la si vuole caratterizzare con una sola parola, forse bisognerebbe ricondurre tutto alla sapienza cristiana, considerando questa stessa come una realizzazione interiore della fede viva che agisce per la carità, secondo la parola di San Paolo (Gal. V, 6). Si tratta qui veramente di una realizzazione perfetta nell’insieme; la Chiesa aveva il dovere di giungere a questa pienezza di vita per imporsi, come ha fatto, in quei primi secoli cristiani: poiché tutto era da creare allora, sul piano spirituale, in un mondo materializzato dal paganesimo, o da una amministrazione potente ma implacabile. Bisognava, al di là del corpo, far vivere lo spirito volgendolo verso un Dio puro spirito, assolutamente trascendente e tuttavia capace di realizzare una vita superiore nell’uomo; anzitutto nella sua anima e poi, come per ridondanza, in quella degli altri. Tale è la grande legge evangelica. Cristo ha colmato gli Apostoli del suo Spirito al fine di intraprendere la conquista del mondo. Egli aveva agito e predicato davanti a loro per degli anni; era riapparso loro risuscitato ed essi ancora titubavano, come stupefatti, quasi schiacciati sotto il peso di un compito sovrumano. Lo Spirito Santo, nella Pentecoste, li trasformò interiormente, ne fece degli altri uomini; e sarà in forza di questo rinnovamento interiore che agirà in seguito sull’umanità, come il lievito nella pasta, secondo la formula stessa del Salvatore. Questa azione dello Spirito di Dio sull’uomo si presenta sotto molte forme. Tutte però hanno come risultato una sapienza universale, che è come la sintesi delle virtù teologali e dei doni superiori dello Spirito Santo. Ecco l’essenza dello spirito evangelico che animava i Padri e che doveva essere il vero sostegno della loro azione. Stiamo attenti a non vedere in essi soprattutto e soltanto dei filosofi; vi fu, in alcuni di essi, un vero sforzo razionale, ma fu accessorio, non essenziale, come certuni vorrebbero farci credere al giorno d’oggi. La ragione non ha che una funzione ausiliaria nella loro teologia. Questa stessa è per loro meno una scienza, nel senso tecnico della parola, che una vita di fede cosciente e organizzata per l’utilità personale e per quella del prossimo; i Padri, che ebbero generalmente l’alta responsabilità di anime affidate alla loro vigilanza, sentirono vivamente il dovere di istruirle e formarle. Essi posero in tal modo le basi di una vera teologia cristiana. Nondimeno, non è questa l’essenza dell’anima patristica. – I Padri sono innanzi tutto i testimoni di un Dio trascendente, ma che ama le creature al punto di abitare nell’umanità e persino in ogni uomo per mezzo di Cristo e del Suo Spirito. Per poter dire tutto in una parola, Dio si degna, per amore verso di noi, di vivere nella Chiesa, questa parte dell’umanità che Cristo ha raggruppato nella persona degli Apostoli e che Egli anima col suo Spirito. Ecco l’ambiente spirituale autentico dei Padri, la nota fondamentale della loro dottrina e della loro azione. I Padri sono gli uomini dello Spirito ed i testimoni della sua presenza attiva nel seno dell’umanità. Essi non sono degli allucinati, giocattoli fragili della loro immaginazione o dei loro sensi smarriti. Essi sono uomini sani di spirito, come testimonia la continuità, la potenza e la fecondità della loro azione: in realtà, essi hanno lanciato ai quattro angoli della terra, senza alcun mezzo umano, questa forza incomparabile che è il Cristianesimo stesso. Esso ha trasformato spiritualmente l’umanità: è la sola forza che conta ancor oggi di fronte al materialismo organizzato per lo sfruttamento del mondo nella negazione delle vere attività dell’uomo. Lo Spirito, nel senso letterale della parola, ci pone di primo acchito su un piano superiore, ed integra perfettamente vari aspetti di una attività umana assai intensa nell’ordine cristiano. – Bisogna tuttavia prevenire qui pericolosi equivoci, fissando a larghi tratti i valori diversi che si nascondono nella parola Spirito. Correntemente, essa indica l’anima umana, considerata nella sua attività soprasensibile: alte visioni intuitive e vita razionale. Si può, senza compromettere l’unità sostanziale dell’uomo, corpo ed anima ad un tempo, insistere nella necessaria sottomissione del corpo all’anima. Le attività sensibili son ben differenti dalle operazioni superiori, dette spirituali, senza che vi sia dualità. Alcuni Padri le hanno talvolta troppo distinte; ma altri, come Sant’Agostino, salvaguardano bene l’unità dell’anima, sia pure ordinando le sue operazioni interiori verso un Essere spirituale eminente che è Dio, e che d’altronde rimane nella sua alta trascendenza. Dio è, in pienezza, Spirito, puro Spirito, benché Egli sia dovunque e in ogni essere, con la sua essenza e con la sua azione. È lo Spirito Santo che è il principio dell’attività divina sull’anima. Tale azione si esercita specialmente nell’ordine soprannaturale. La formula spirito cristiano indica, in modo felice, una vera collaborazione spirituale dell’uomo con Dio, secondo i principi posti da Cristo e realizzati con l’aiuto dello Spirito Santo. Limitiamoci a questi significati fondamentali. – Nell’ordine dell’azione, forse si potrebbe riportare tutto alla sapienza, presa in un senso pieno che ci ponga di colpo su di un piano in cui si raggiungono precisamente il divino e l’umano, nel campo del pensiero come in quello dell’apostolato. Si tratta di una sapienza viva, sapienza teologale, vera sintesi delle tre grandi virtù che sono l’essenza del cristianesimo, secondo San Paolo (I Cor., XIII, 1-13). La sapienza scientifica dei teologi venuti dopo, metterà ancor più accento sui principi speculativi, i quali, del resto, si impongono ai ricercatori, anche nel campo del rivelato, con gli adattamenti indispensabili allo studio del soprannaturale. Essa non esclude nulla dei dati posti dai Padri sopra un altro piano: l’esercizio vivo della fede, della speranza e della carità sotto l’azione dello Spirito Santo.

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (25)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (25)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 371a.

Concilio II° di Laterano (1139), can. 23:

« Scacciamo dalla Chiesa di Dio e condanniamo per eretici e ingiungiamo che siano puniti dalla potestà secolare coloro che, fingendo zelo religioso, condannano il sacramento del corpo e del sangue del Signore, il Battesimo de’ fanciulli, il sacerdozio e tutti gli altri Ordini ecclesiastici e i contratti di legittime nozze. Intendiamo compresi nella stessa condanna anche i loro difensori » .

(Mansi, XXI, 532).

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. I:

« Anzitutto il sacro Sinodo insegna e professa con schiettezza e semplicità che nell’augusto Sacramento della santa Eucaristia si contiene, dopo la consacrazione del pane e del vino, il Signor nostro Gesù Cristo, vero Dio e uomo, veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quegli elementi sensibili. Nè del resto c’è contraddizione che proprio il Salvatore nostro, secondo il modo naturale di esistere, segga in cielo per sempre alla destra del Padre e che nondimeno stia con noi in molti altri luoghi, colla presenza sacramentale della sua sostanza. È questo un modo d’esistere possibile a Dio, per quanto a parole noi non possiamo se non a malapena esprimere: ma col pensiero illuminato dalla fede possiamo giungervi e dobbiamo credervi con perfetta costanza. Difatti anzi gli antenati nostri, quanti vissero nella Chiesa vera di Cristo, ragionando a proposito di questo santissimo Sacramento, professarono apertissimamente che questo mirabile Sacramento fu istituito dal nostro Redentore nell’ultima cena, quando, benedetto il pane e il vino, con eloquenti e chiarissime parole solennemente disse di porgere a coloro proprio il suo corpo e il suo sangue. E siccome queste parole, conservate dai santi Evangelisti e ripetute poi da san Paolo, offrono precisamente e propriamente quel significato, secondo il quale furono intese dai Padri, è davvero un’indegnità vergognosa che da taluni nomini cavillosi e cattivi siano stravolte, contro il pensiero universale della Chiesa, a sensi metaforici fittizi e immaginari, che rinnegano la verità della carne e del sangue di Cristo. Certo è che la Chiesa, quale colonna e fondamento della verità, ha detestato come ispirazione del demonio queste fandonie escogitate da uomini empii, riconoscendo sempre con animo grato e ricordevole questo eccellentissimo beneficio di Cristo ».

Leone XIII, Encicl. Miræ caritatis, 28 maggio 1902:

« Ebbene, siamo mossi e quasi sospinti precisamente dala medesima carità apostolica, la quale vigila sulle vicende della Chiesa ad aggiungere, a quelle già compiute proposte, alche altra cosa, come un perfezionamento loro, vale a dire che si raccomandi vivissimamente al popolo cristiano la santissima Eucaristia, quale dono divinissimo ricercato proprio dall’intimo Cuore del medesimo Redentore, che desiderò ardentemente questa singolare unione cogli uomini: dono fatto apposta per elargire i frutti sanitarissimi della sua redenzione…. « Ora, per rinvigorire e rinfervorar la fede negli animi è opportuno, che niente più, il mistero Eucaristico, detto con esattezza mistero di fede, in quanto che in esso solo si contiene, per un’abbondanza e varietà in certo modo unica di miracoli, tutto il soprannaturale: il Signore pietoso e compassionevole lasciò, come ricordo delle sue meraviglie, un cibo a quelli che lo temono (Salmo CX, 4-5). Difatti Dio volle riferito tutto il soprannaturale all’Incarnazione del Verbo, in grazia della quale il genere umano potesse riacquistare la salvezza, come dice l’Apostolo: Si propose di restaurare in Cristo, proprio in lui, le cose tutte del cielo e della terra (Agli Efes., I , 9-10); ora l’Eucaristia, secondo il pensiero de’ santi Padri, deve considerarsi come una certa quale continuazione e un’amplificazione dell’Incarnazione, dacché in virtù di essa la sostanza del Verbo incarnato s’unisce a ciascun uomo e si rinnova miracolosamente il supremo sacrificio del Calvario. Così profetò Malachia: Dappertutto è sacrificata e offerta in mio onore una vittima pura (I, 11) ».

(Acta Leonis XIII, XXII, 116, 122).

DOMANDA 372a

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

DOMANDA 373a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 4:

« Poiché Cristo redentor nostro dichiarò che è davvero suo corpo ciò che offriva sotto apparenza di pane, fu persuasione sempre della Chiesa di Dio, che ora di nuovo questo santo Sinodo ribadisce, che, per la consacrazione del pane e del vino, avviene la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo Signor nostro e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del sangue di lui; e questa conversione fu convenientemente e con esattezza chiamata Transustanziazione dalla santa Chiesa cattolica ».

S. Giustino, Apologia I , 66:

« E questo cibo si chiama da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparvi, se non crede alla verità de’ nostri insegnamenti e non è stato purificato dal lavacro istituito per la remission de’ peccati e la rigenerazione, e non viva come Cristo insegnò. Perché non prendiamo questi come un comun pane o una comune bevanda; ma come Gesù Cristo salvator nostro, fatto carne per il Verbo di Dio, rivestì carne e sangue per amor della nostra salvezza, così siamo ammaestrati che è carne e sangue appunto di Gesù incarnato quel cibo, sul quale furono rese grazie con la preghiera contenente proprio le parole di lui: cibo, in grazia del quale il nostro sangue e le nostre carni sono per trasmutazione alimentate. Difatti gli Apostoli nelle loro memorie, che sono i Vangeli, insegnarono che così fu comandato da Gesù; quando, cioè, preso il pane, dopo aver reso grazie, dichiarò: Fate ciò in memoria di me; questo è il mio corpo; e similmente, preso il calice e rese grazie: Questo — disse — è il sangue mio. E ad essi soli lo affidò ».

(P. G., 6, 427 s.).

S. Efrem, In Hebdomadam Sanctam, IV, 4. 6:

« Gesù Signor nostro prese nelle mani un pane, dapprima puro e semplice e lo benedisse, lo segnò e santificò nel nome del Padre e dello Spirito, lo spezzò e distribuì a’ suoi discepoli a bocconi, nella sua benignità; dichiarò corpo suo vivo il pane e lo riempì di sè stesso e dello Spirito; poi, porgendo colla mano, diede ad essi il pane, che la sua destra aveva santificato: Ricevete, mangiate tutti di questo, che è stato santificato dalla mia parola. Non giudicate pane quel che ora vi ho dato; prendete, mangiate questo pane, non lasciatene disperder le briciole; quest’è davvero quel che ho chiamato corpo mio. Un frammento duna sua briciola ha potenza di santificare migliaia di migliaia e basta per dar vita a ognuno che ne mangia. Prendete, mangiate con fede, senza il minimo dubbio che quest’è il mio corpo; e chi lo mangia con fede, mangia, in esso, fuoco e spirito. Ma chi lo mangia dubitoso, diventa per lui semplice pane; invece chi mangia con fede il pane consacrato nel mio nome, se è puro, puro si conserva, se peccatore, vien perdonato. Chi poi lo trascura o disprezza od offende, stia pur certo che offende il Figlio, il quale lo dichiarò ed effettivamente lo rese corpo suo.

« Dopo che i discepoli ebbero mangiato il pane nuovo e santo e capirono per fede d’aver mangiato, con esso, il corpo di Cristo, Cristo continuò a spiegare e a consegnare tutto il Sacramento. Prese e versò vino nel calice, poi lo benedisse, lo segnò e santificò, dichiarando ch’era sangue suo, destinato ad essere sparso…. Cristo li invitò a bere e spiegò loro ch’era suo sangue ciò che nel calice bevevano: Quest’è il vero mio sangue, eh’è sparso per tutti voi; prendete, bevetene tutti, perché il testamento nuovo è nel mio sangue. Come avete visto far me, così voi farete in mia memoria. Quando, in qualsiasi luogo, vi radunerete nella Chiesa in mio nome, fate in mia memoria quel che ho fatto io; mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue, testamento nuovo e antico ».

(Lamy, 1. c., I , 416, 422).

S. Atanasio, Fragmenta sermonis cuiusdam ad Baptizatos:

« Vedrai le viti portar i pani e il calice del vino e deporli sulla mensa. E fino a che non sono state fatte ancora le preghiere e le invocazioni, non c’è altro che pane e calice. Ma, dopo fatte le grandi e mirabili preghiere, allora il pane diventa corpo e il calice sangue del Signor nostro Gesù Cristo…. « Veniamo al compimento de’ misteri. Questo pane e questo calice prima delle preghiere e delle suppliche non hai nulla fuor della propria natura, ma, pronunciate le grandi preghiere e le sante suppliche, il Verbo discende nel pane e nel calice e si fa suo corpo ».

(P. G., 26, 1326).

S. Cirillo di Gerusalemme, Cathecheses, XXII (mist. IV), 2-3. 6. 9; XXIII (mist. V), 7:

« Anche da sola questa istituzione del beato Paolo (I Cor., XI, 23) è più che sufficiente per assicurare la vostra fede circa i divini misteri, de’ quali voi fatti degni, siete diventati

concorporei e consanguinei di Cristo. Difatti egli proclamava testé: Ciò che in quella notte nella quale era consegnato, ecc. Orbene, dopo ch’egli in persona ha detto e dichiarato del pane: Quest’è il mio corpo, chi mai oserà d’or innanzi dubitare? E, dopo ch’egli ha affermato e dichiarato: Quest’è il mio sangue, chi mai avanzerà dubbii per dire che non è suo sangue? « Una volta cangiò, a Cana di Galilea, l’acqua in vino, che è affine al sangue; e lo giudicheremo non degno di fede, quando cangiò il vino in sangue? Invitato a nozze materiali, compì questo miracolo stupendo; e non ammetteremo anche più volentieri che abbia voluto donare il corpo e il sangue suo in godimento ai figli del talamo nuziale? « Perciò con piena persuasione riceviamo (quelli) come il corpo e il sangue di Cristo. Difatti sotto l’apparenza di pane ti è dato il corpo e sotto l’apparenza di vino il sangue nell’intento che, ricevuto il corpo e il sangue di Cristo, diventi proprio a lui concorporeo e consanguineo. Difatti diventiamo così, dopo comunicato il corpo e il sangue di lui alle nostre membra, i portatori di Cristo. Così diventiamo, al dir del beato Pietro, partecipi della natura divina (II di Piet., I, 4). « E perciò non considerarli semplice pane e vino; son davvero corpo e sangue di Cristo, secondo l’affermazione del Signore; e, benché il senso t’insinui quel pensiero, ti faccia fermamente certo la fede. Non giudicar dal gusto, ma sii certo per fede senza esitazione che sei stato fatto degno di questo dono: il corpo e il sangue di Cristo. « Così istruito e radicato nella fede certissima, che non è pane quel che sembra pane, benché sia tale al gusto del senso, ma corpo di Cristo, e che non è vino quel che par vino, benché così sembri al gusto, ma sangue di Cristo, e che a questo proposito sin dai tempi antichi Davide cantava nei salmi: e il pane sostenti il cuor dell’uomo, affinchè risplenda la faccia con l’olio (Ps. CIII, 15), conferma il tuo cuore, ricevendo come spirituale quel pane e rischiara di gioia il volto della tua anima. « Poi, santificati da queste lodi spirituali, preghiamo Dio benigno che piova lo Spirito Santo sulle offerte, di modo che renda proprio corpo di Cristo il pane e sangue di Cristo il vino. Perchè tutto quanto lo Spirito Santo ha toccato, è stato consacrato e tramutato ».

( P . G., 33, 1098 ss., 1114).

S. Giovanni Crisostomo, In Matthæum, LXXXII, 4:

« Rendiamo dappertutto l’ossequio nostro a Dio e non erigiamoci a lui in contraddizione, anche se par contrario alla nostra ragione e al nostro pensiero ciò ch’egli dice, ma sulla nostra ragione e sul nostro pensiero prevalga la parola di lui. Facciamo così anche ne’ misteri, non badando soltanto a quel che cade sotto il senso, ma tenendo fede alle sue parole; difatti la sua parola non può ingannare, mentre s’inganna facilmente il nostro senso; la sua parola non cade mai in fallo, spesso invece il nostro senso. E poiché egli ha detto: Questo è il mio corpo, siamo docili a credere e guardiamo a lui con occhi spirituali. Difatti Cristo non ci ha dato nulla di sensibile, ma nelle cose anche sensibili tutto è spirituale. Così appunto anche nel Battesimo il dono dell’acqua ci è dato pel tramite di cosa sensibile : quello poi che si compie è spirituale, generazione e rinnovamento. Perchè egli t’avrebbe dato schietti e senza corpo que’ doni, se tu fossi incorporeo; ma, perchè l’anima è congiunta col corpo, te li regala spirituali in forma sensibile. Quanti sono quelli che ora direbbero: Avrei voluto vederne la figura, la fisionomia, la veste, i calzari? Ecco: tu lo vedi, lo tocchi, mangi di lui in persona ».

(P. G, 58, 743).

S. Giovanni Damasceno, De fide ortodoxa, IV, 13 :

« È davvero unito alla divinità il corpo, ch’ebbe nascita dalla santa Vergine; non in guisa che ridiscenda il corpo, ch’è stato accolto ne’ cieli, ma perchè proprio il pane e il vino si tramutano in corpo e sangue di Dio. Se chiedi come avvenga ciò, ti basti sapere che avviene in virtù dello Spirito Santo; al modo stesso che il Signore si prese dalla santa Madre di Dio la carne, affinchè in lui precisamente avesse sussistenza, nè altro è a noi chiaro e conosciuto, salvo che la parola di Dio è verace ed efficace e può tutto, ma non possiamo affatto noi scrutarne il modo. Però assurdo non è dire: come con processo naturale il pane mangiato e il vino e l’acqua bevuti si tramutano in corpo e sangue di chi mangia e di chi beve, sicché non diventano altro corpo differente dal corpo suo, che prima esisteva; così, per l’invocazione e l’intervento dello Spirito Santo, si convertono in corpo e sangue di Cristo, con un processo troppo più alto delle forze e della condizione di natura, il pane, che fu preparato nella offerta, e similmente il vino e l’acqua: in modo che non sono affatto due, ma una cosa unica e identica…. Pane e vino poi non sono figura del corpo e sangue di Cristo — si badi bene! — ma proprio il corpo del Signore, congiunto colla divinità, poiché appunto il Signore ha detto: Questo è non figura del corpo, ma il corpo mio, e non figura del sangue, ma il sangue mio…. Che se taluni, come il divin Basilio, chiamarono il pane ed il vino gli antitipi del corpo e del sangue del Signore, così si espressero non dopo la consacrazione, ma prima che l’offerta stessa fosse consacrata. Orbene antitipi son detti di cose che han da essere, non perchè non siano davvero corpo e sangue di Cristo, bensì perchè ora siam fatti partecipi, pel loro tramite, della divinità di Cristo, allora invece coll’intelligeuza, attraverso la pura apparenza ».

(P. G., 94, 1143 ss.).

DOMANDA 374a.

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ebbene, unica è la Chiesa universale de’ fedeli, fuor della quale nessuno si salva affatto, nella quale l’identico sacerdote è anche sacrificio, Gesù Cristo; e il corpo e il sangue di lui son davvero contenuti sotto le apparenze di pane e di vino nel Sacramento dell’Altare, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per divina potenza; sicché, a compire il mistero di unità, proprio noi riceviamo di suo tutto ciò ch’egli ebbe di nostro ».

(Mansi, XXII, 982).

II Concilio di Lione (1274), Professio fidei Michælis Paleologi.

« La medesima Chiesa Romana forma il Sacramento dell’Eucaristia con pane azimo, credendo e insegnando che nel Sacramento stesso il pane si transustanzia davvero in corpo e il vino in sangue del Signor nostro Gesù Cristo ».

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio di Costanza (1414-1418), sess. VIII, prop. 1-3, tra gli errori di Giovanni Wicleff:

« 1. Rimangono nel Sacramento dell’altare la sostanza del pane materiale e similmente la sostanza del vino materiale.

« 2. Nel medesimo Sacramento gli accidenti del pane non rimangono senza soggetto.

« 3. Nel medesimo Sacramento Cristo non c’è identico e reale (nella) propria presenza corporale».

(Mansi, XXVII, 1207).

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

Il medesimo, sess. XIII, Decreto sulla Ss. Eucaristia, can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che nel sacrosanto sacramento dell’Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme col corpo e il sangue del Signor nostro Gesù Cristo; e chi nega quella mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, rimanendo soltanto le specie del pane e del vino: conversione, che la Chiesa Cattolica chiama esattamente Transustanziazione ».

Benedetto XII, Dal libricino Jamdudum, an. 1341:

« Similmente che gli Armeni non affermano che, dopo Transudette le parole della consacrazione del pane e del vino, si sia compiuta la transustanziazione del pane e del vino nel vero corpo e sangue di Cristo, quale nacque dalla Vergine, patì e risuscitò; ma credono che quel Sacramento sia un esemplare, od un’immagine o figura del vero corpo e sangue del Signor e: . . . perciò essi non chiamano il Sacramento dell’altare corpo e sangue del Signore, ma vittima o sacrificio, o comunione ».

(Mansi, XXV, 1189).

Pio VI, Cost. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, 29 prop. tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« La dottrina del Sinodo, in quel luogo dove, proponendosi d’insegnare la dottrina di fede circa il rito della consacrazione, si sbriga delle questioni scolastiche concernenti la maniera che Cristo è nella Eucaristia, dalle quali esorta i parroci, che hanno incarico d’insegnare, ad astenersi, ed, esposti questi due soli punti: 1° che Cristo è davvero, realmente e sostanzialmente sotto le specie, dopo la consacrazione; 2° che allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino, rimanendo soltanto le apparenze —, tralascia addirittura qualsiasi cenno alla transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento definì come un articolo di fede e ch’è contenuta nella solenne profession di fede; in quanto, per via di siffatta inconsulta e sospetta omissione, vien tolta la cognizione così d’un articolo, che riguarda la fede, come anche del vocabolo consacrato dalla Chiesa per proteggerne la professione contro l’eresie; e in quanto perciò mira a farla dimenticare, come si trattasse d’una questione puramente scolastica, la dottrina del Sinodo è perniciosa, si sottrae all’esposizione della verità cattolica, circa il dogma della transustanziazione, è favorevole agli eretici » .

(Bullarii Romani continuatio, ed. di Prato, VI, III, 2712).

DOMANDA 376a

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 1:

« Poiché sotto il vecchio Testamento, come attesta S. Paolo Apostolo, non c’era perfezione, per impotenza del sacerdozio levitico, convenne che sorgesse, per disegno di Dio padre di misericordia, un altro sacerdote dell’ordine di Melchisedecco, il Signor nostro Gesù Cristo, che fosse in grado di sollevare e perfezionare quanti dovevano essere santificati. Egli dunque, Dio e Signore nostro, si sarebbe un giorno sulla Croce, morendovi, immolato al Padre, per operare la redenzione eterna; ma, perchè il suo sacerdozio non doveva estinguersi per la morte, nell’ultima cena, nella notte del suo tradimento, per lasciare alla sua sposa diletta, la Chiesa, un visibile sacrificio, come la natura umana esige, dal quale fosse riprodotto quello di sangue che stava per consumarsi una volta soltanto sulla Croce; inoltre perchè ne restasse memoria sino alla fine del mondo e la sua salutare efficacia fosse applicata in remissione de’ peccati, che noi ogni giorno commettiamo, dichiarando d’essere stato costituito in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco, offerì a Dio Padre, sotto le specie del pane e del vino, il corpo e sangue suo, e sotto le apparenze di essi, ne fece dono, perchè lo ricevessero, agli Apostoli che costituì da quell’istante sacerdoti del nuovo Testamento; e fece loro precetto, e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo con queste parole: Fate questo in memoria di me ecc., come intese e insegnò sempre la Chiesa Cattolica. Difatti, compiuta la vecchia Pasqua, che gl’Israeliti celebravano per memoria della liberazione dall’Egitto, istituì una Pasqua novella, cioè l’immolazione di sè stesso nella Chiesa, per mano de’ sacerdoti, sotto segni visibili, per memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre, allorché ci redense con lo spargimento del suo sangue, ci strappò al dominio delle tenebre e ci trasferì nel suo regno. « Ed è questa la famosa vittima immacolata, che non può esser contaminata da qualsiasi indegnità o malizia di chi offre; quale il Signore predisse per bocca di Malachia che pura sarebbe stata offerta in ogni luogo al nome suo, ch’era per diventar grande fra le Genti; e quale chiaramente indicò l’Apostolo Paolo, scrivendo a’ Corinzii, quando dichiarava che chi è contaminato dalla partecipazione alla mensa de’ demonii non può farsi partecipe alla mensa del Signore (cfr. I ai Cor., X, 21); intendendo in entrambi i vocaboli, per mensa, l’Altare. Questa è finalmente la vittima prefigurata per via dei vari simboli di sacrifizi, al tempo della natura e della Legge; in quanto comprende tutti i benefici da quelli significati, come compimento e consumazione di essi tutti ».

Il medesimo, ib., can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che Cristo con quelle parole: Fate questo in memoria di me, non istituì sacerdoti gli Apostoli, oppure che non ordinò ad essi e agli altri sacerdoti che offrissero il corpo e sangue suo ».

DOMANDA 379a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, c. 3:

« La santissima Eucaristia questo ha in comune con gli altri Sacramenti, d’essere un simbolo di cosa sacra e un segno visibile della grazia invisibile; ma in essa è eccellente e singolare che, mentre gli altri Sacramenti hanno virtù di santificare solamente quando uno se ne giova, invece nella Eucaristia, anche prima di riceverla, c’è l’autore in persona della santità: difatti gli Apostoli ancora non avevan ricevuto dalla mano del Signore l’Eucaristia ed Esso appunto affermava in verità ch’era suo corpo quel che offriva; e sempre rimase nella Chiesa questa fede che, subito dopo la consacrazione, sotto l’apparenza del pane e del vino, esiste il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue insieme coll’anima e divinità di lui stesso; però il corpo, in forza della significazione delle parole, sotto l’apparenza del pane e il sangue sotto l’apparenza del vino: ma lo stesso corpo sotto l’apparenza del vino, e il sangue sotto l’apparenza del pane e l’anima sotto l’una e l’altra in forza della naturale connessione e concomitanza, per cui sono congiunte tra loro le parti di Cristo Signore, ormai risorto da morte per non più morire; inoltre la divinità per la mirabile unione ipostatica col corpo e coll’anima. È perciò verissimo che sotto l’una o l’altra o sotto ambedue le specie c’è l’identico contenuto, perchè tutto e intero è Cristo sotto la specie del pane, come sotto qualsiasi frammento di essa; e tutto similmente sotto la specie del vino e le parti di essa.

« Can. 3. Sia scomunicato chi nega che tutto Cristo sia contenuto nel venerabile Sacramento dell’Eucaristia, sotto ciascuna specie e sotto le singole parti di ciascuna specie, se è avvenuta separazione ».

DOMANDA 382a.

Concilio di Firenze, Decretum prò Græcis:

« Che, parimenti, si consacra veracemente il corpo di Cristo con azimo, o pane fermentato di frumento; e che i sacerdoti devono consacrare nell’uno o nell’altro lo stesso

corpo del Signore, ciascuno conforme alla consuetudine della sua Chiesa, sia occidentale, sia orientale ».

(Mansi, XXXI, 1031).

Il medesimo, Decretum prò Armenis:

« Terzo è il Sacramento dell’Eucaristia e sua materia è il pane di frumento e il vino di vite, al quale dev’essere mescolato, prima della consacrazione, un pochino d’acqua. E l’acqua vi si mescola perchè, secondo le attestazioni de’ santi Padri e Dottori della Chiesa, riferite prima durante la discussione, si crede che il Signore stesso abbia istituito questo Sacramento col vino mescolato con acqua. Poi perchè conferisce alla rappresentazione della passion del Signore. Difatti il beato Alessandro, quinto papa dopo il beato Pietro, dice: « Nell’offerta, fatta a Dio durante la Messa, del Sacramento si offra soltanto pane e vino mescolato con acqua. Non si deve infatti infondere nel calice o solo vino o sola acqua, ma l’uno e l’altra mescolati, perchè si legge che l’uno e l’altra, cioè sangue e acqua, stillò dal fianco di Cristo » . Inoltre anche perché conferisca a significar l’effetto di questo Sacramento, cioè l’unione del popolo cristiano a Cristo. Infatti l’acqua significa il popolo, come dice l’Apocalisse: Acque molte…. molti popoli (Apoc, XVII, 15). E Papa Giulio II dopo il beato Silvestro dice: « Si deve offrire il calice del Signore, stando alla prescrizion de’ canoni, con vino mescolato di acqua, perchè intendiamo essere indicato nell’acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Dunque, quando nel calice si mescola l’acqua col vino, si riunisce il popolo a Cristo e si congiunge e stringe a colui, nel quale crede, la turba de’ fedeli » . Dunque poiché sia la S. Romana Chiesa, istruita dai Ss. Apostoli Pietro e Paolo, sia le altre Chiese de’ Latini e de’ Greci, nelle quali s’illustrarono i luminari d’ogni santità e dottrina, così osservarono fin dalla nascita della Chiesa e così osservano tuttora, sembra davvero sconveniente che qualunque altra regione si stacchi da questa universale e ragionevole osservanza. Perciò decretiamo che anche gli Armeni si conformino con tutto quanto il mondo cristiano: che i loro sacerdoti mescolino al vino, come s’è detto, un pochino d’acqua nell’offerta del calice ».

(Ib., 1056).

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 7:

« Inoltre il santo Sinodo ammonisce che fu prescritto dalla Chiesa ai sacerdoti di mescolare, all’offertorio, acqua col vino, sia perchè si crede che Cristo Signore così abbia fatto, sia perchè dal suo fianco uscì acqua insieme col sangue, sacro ricordo che con questa mistura viene richiamato; e poiché nell’Apocalisse del beato Giovanni acque son detti i popoli, si raffigura l’unione del popolo stesso fedele col capo Cristo ».

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis :

« Forma di questo Sacramento son le parole del Salvatore, colle quali istituì questo Sacramento: difatti il sacerdote compie questo Sacramento, in quanto parla nella persona di Cristo. Perchè, in virtù appunto delle parole, la sostanza del pane si converte in corpo di Cristo e la sostanza del vino in sangue; però in tal guisa che tutto Cristo esiste contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino. E anche sotto qualsiasi parte dell’ostia consacrata e del vino consacrato, dopo la separazione, c’è Cristo intero. Effetto di questo Sacramento, ch’esso opera nell’anima di chi lo riceve degnamente, è l’unione dell’uomo a Cristo. E siccome per la grazia l’uomo s’incorpora a Cristo e si unisce alle sue membra, ne consegue che, in chi lo riceve degnamente, la grazia per opera di questo Sacramento s’accresce; e, rispetto alla vita spirituale, opera questo Sacramento ogni effetto del cibo e della bevanda materiale rispetto alla vita del corpo, col sostentarla, accrescerla, guarirla, riempirla di diletto. Difatti, come dice Papa Urbano, in esso noi rinnoviamo grato ricordo del nostro Salvatore, per esso siam preservati dal male, confortati al bene, aiutati efficacemente ad accrescere le virtù e la grazia » .

(Mansi, 1. c.).

DOMANDA 385a

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ora, unica è la Chiesa universale de’ fedeli; e in essa il sacerdote in persona è anche il sacrificio, Cristo Gesù, del quale nel Sacramento dell’altare si contengono sotto le specie

del pane e del vino il corpo e il sangue, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per potenza divina ».

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Ireneo, Adversus hæreses, IV, 17, 5:

« Pertanto, volendo dare anche un consiglio a’ suoi discepoli, di offrire a Dio le primizie delle sue creature, non come n’avesse bisogno, ma perchè non siano, a suo riguardo, né indifferenti nè ingrati, prese quello che nella creazione è il pane e rese grazie, dicendo: Questo è il mio corpo (Matt., XXVI, 26). E similmente dichiarò suo sangue il vino, qual è nella creazione comune anche a noi; e insegnò il nuovo sacrificio del nuovo Testamento. E la Chiesa, ricevutolo dagli Apostoli, ne fa offerta a Dio in tutto il mondo, a Dio che fornisce gli alimenti, come primizia de’ suoi doni nel nuovo Testamento, del quale Malachia, tra i dodici profeti, aveva profetato così: Non sono ben disposto, dice il Signore onnipotente, verso di voi e non accetterò sacrificio dalle vostre mani; perchè dall’oriente all’occidente il mio nome tra i popoli è glorificato e dappertutto si offre incenso al mio nome e un sacrificio puro, perchè grande è il mio nome tra le Genti, dice il Signore onnipotente (Mal., X, 11); è chiarissimo da queste parole che il primo popolo cesserà le sue offerte a Dio e dappertutto invece si offrirà una vittima pura a Lui, e il nome di Lui è glorificato fra le Genti » .

( P . G., 7, 1023).

DOMANDA 386a.

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Gregorio Magno, Dialogus, IV, 58:

« Specialmente questa vittima salva l’anima dalla morte eterna, perchè essa misteriosamente rinnova per noi la morte dell’Unigenito, il quale sebbene risorgendo da morte più non muore e la morte non ne avrà dominio (Ai Romani VI, 9), pure, vivendo in se stesso immortale e incorruttibile, s’immola di nuovo per noi in questo mistero del santo sarrMcio. Infatti lì si riceve il suo corpo, la sua carne si distribuisce per la salvezza del popolo, il suo sangue vien versato non tra le mani degl’infedeli, ma nella bocca de’ fedeli. Perciò riflettiamo qual è per noi questo sacrificio, che per nostra assoluzione riproduce perpetuamente la passione del Figlio unigenito.

(P. L. 77, 425)

DOMANDA 387a

Concilio di Trento: Vedi D . 379.

DOMANDA 388°

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 2:

« E poiché in questo divin Sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e s’immola incruento quel Cristo medesimo, che una volta s’immolò cruento sull’ara della Croce, il santo Sinodo insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio; e per sua virtù avviene che, se ci accostiamo a Dio con cuore sincero e retta fede, con timore e riverenza, contriti e pentiti, otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto opportuno. Il Signore infatti, placato da quest’offerta, col concedere la grazia e il dono del pentimento, perdona colpe e peccati anche enormi; difatti unica è la vittima e la medesima e chi offre ora pel ministero de’ sacerdoti è il medesimo, che allora si sacrificò sulla Croce, diversificando soltanto il modo della offerta. E i frutti di quel cruento sacrificio si ricevono abbondantissimamente per mezzo di questo incruento, tant’è vero che questo non deroga in qualsiasi modo a quello. Perciò è offerto legittimamente, conforme alla tradizione degli Apostoli, non soltanto per i peccati, le pene, le sodisfazioni e le altre necessità de’ fedeli viventi, ma per i morti nel Cristo, ancora non interamente purificati ».

DOMANDA 389a.

Concilio di Trento: Vedi D . 388.

DOMANDA 390a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses XXIII, (mist. V), 10:

« Se un re relegasse in esilio gente da cui è stato offeso e poi quelli, a’ quali questa gente appartiene, composta una corona, l’offrissero al re per i proprii disgraziati da lui puniti, non condonerebbe forse il re a loro que’ supplizio? Così pure noi per i defunti, anche se son peccatori, offrendo preghiere a Dio, non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo immolato per i nostri peccati, intendendo soddisfare e propiziare per noi come per loro Dio clemente ».

(P. G., 33, 1118).

DOMANDA 392a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, can. 5:

« Sia scomunicato chi dirà che è un’impostura celebrare la Messa in onore de’ Santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa ».

DOMANDA 393a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, cap. 6:

« A dir vero il sacrosanto Sinodo desidererebbe che a ciascuna Messa i fedeli, che assistono, partecipassero con amore di spirito non soltanto, ma anche col ricevere l’Eucaristia sacramentalmente, affinchè così provenisse a loro più abbondante il frutto di questo santissimo Sacrificio: tuttavia, se ciò non avviene sempre, non perciò condanna quelle Messe nelle quali soltanto il sacerdote comunica sacramentalmente, come private e illecite, ma le approva, anzi le raccomanda: inquantochè anche quelle Messe hanno da esser considerate pubbliche, parte perchè il popolo vi partecipa spiritualmente, parte perchè son celebrate da un pubblico ministro della Chiesa, non solamente per sè, ma per tutti i fedeli che appartengono al corpo di Cristo ».

DOMANDA 394a.

Pio VI, Costit. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, prop. 30 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« Una dottrina del Sinodo dichiara di « credere che l’offerta del sacrificio s’estende a tutti, però in guisa che nella liturgia può essere fatta speciale memoria di alcuni tanto vivi quanto morti, supplicando Dio in modo particolare per essi »; poi subito soggiunge: « però non crediamo che sia ad arbitrio del sacerdote l’applicare i frutti del sacrificio a chi gli pare; anzi condanniamo quest’errore come assai lesivo de’ diritti di Dio, il quale solo distribuisce a chi vuole i frutti del sacrificio e secondo quella misura che proprio a lui piace »; sicché logicamente gabella per « falsa l’opinione invalsa tra il popolo che chi offre un’elemosina al sacerdote, col patto di dirgli una Messa, ne ricava un frutto speciale ». Tal dottrina, intesa nel senso che, oltre alla speciale commemorazione e orazione, quell’offerta particolare, ossia applicazione del sacrificio, fatta dal sacerdote, non giovi di più, a pari condizioni, per coloro, in favore de’ quali è applicato, che per altri qualsiasi, come se dalla speciale applicazione non derivasse nessun frutto speciale, che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per determinate persone o classi di persone, specialmente ai pastori per i loro greggi: conseguenza logica d’un precetto divino, espressamente formulata dal sacro Concilio di Trento (sess. XXIII, cap. II, sulla riforma; Bened. XIV, Costit. Cum semper oblatas, § 2): è falsa, temeraria, dannosa, ingiuriosa verso la Chiesa, e conduce all’errore altra volta condannato in Wicleff ».

(Bullarii Romani continuatio, 1. e, 2712 s.).

DOMANDA 397a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla Santissima Eucaristia, cap. 2:

« Dunque il nostro Salvatore, prima di ritornare da questo mondo al Padre, istituì questo Sacramento, nel quale per così dire die fondo alle ricchezze del suo divino amore verso gli uomini, lasciando un memoriale de’ suoi miracoli. (Salm. CX, 4); e, nel riceverlo, comandò che richiamassimo il ricordo di lui e ne annunciassimo la morte, fino a che verrà egli stesso a giudicare il mondo (I. Ai Cor., XI, 26). E volle che questo Sacramento fosse ricevuto come un cibo spirituale dell’anima, col quale si nutrono e confortano coloro che vivono la vita di lui, il quale proclamò: Chi mangia di me quello vivrà per amor mio (Gio., VI, 58), e come un contravveleno, col quule ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo dalle mortali. Inoltre volle che fosse un pegno della gloria avvenire dell’eterna felicità: e perciò simbolo di quel corpo, del quale è capo Egli stesso e al quale ci volle congiunti quali membra: con vincolo strettissimo di fede speranza e carità, sicché tutti fossimo concordi e non ci fossero tra noi divisioni (I ai Cor. I, 10) ».

S. Ignazio Martire, Epist. ad Magnesios, 20:

« …. Voi tutti quanti siete uniti, per la grazia, nell’unica fede e nell’unico Gesù Cristo (figlio dell’uomo, secondo la carne, dalla stirpe di Davide e figlio di Dio) per obbedire al vescovo e ai sacerdoti con animo concorde, spezzando l’unico pane, ch’è farmaco d’immortalità e contravveleno per non morire, anzi per viver sempre in Gesù Cristo ».

(P. G., 5, 662).

S. Ireneo, Adv. hæreses, V, 2, 3:

« E come la pianta di vite, deposta nel tempo fruttifica e il grano di frumento, cascando al suolo e dopo marcito, sboccia molteplice per virtù di Dio, la quale siili estende a tutte le cose, che poi vengono utili all’uomo grazie alla sapienza, e, ricevuta la parola di Dio, diventano l’Eucaristia, corpo e sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, da, essa nutriti, dopo la deposizione e la dissoluzione sottoterra risorgeranno a suo tempo nella gloria di Dio Padre, perchè il verbo di Dio dà loro la risurrezione».

(P. G., VII, 1127).

S. Giovanni Crisostomo, In Joann., XLVI, 3:

« Poi, allo scopo di congiungerci a sè non soltanto per via d’amore, ma realmente colla sua carne, effetto del cibo ch’egli donò per dimostrare di quanto grande amore ci ama, si mescolò a noi e si costituì tutto in un sol corpo, cosicché noi fossimo come un corpo unico, congiunto al suo capo ».

(P. G., 59, 260).

Il medesimo, In I Corinth., XXIV, 2:

« Poiché noi, moltitudine, siamo un sol pane e un sol corpo. Cos’è infatti, dico, la comunione? Noi siamo appunto quel corpo. Infatti cos’è il pane? Corpo di Cristo. E che cosa diventano quelli che comunicano? Corpo di Cristo; non una moltitudine di corpi, ma un corpo solo. Come infatti, benché consti di molti granelli, il pane forma una unità dove i granelli non più compariscono, eppure esistono, ma per l’unione non se ne vede la distinzione; così noi siam congiunti reciprocamente e con Cristo. Difatti non è l’uno nutrito d’un corpo e l’altro d’un altro, ma tutti da un medesimo ».

(P. G., 61, 200).

DOMANDA 399a.

S. Giovanni Crisostomo, In Matthaeum, LXXXII, 5:

« Pensa quanto ti sdegni contro il traditore e contro quelli che crocifissero Cristo: bada dunque di non renderti colpevole tu stesso del corpo e del sangue di Cristo. Quelli trucidarono un corpo sacro, tu lo ricevi con anima sporca dopo tanti beneficii. Difatti non gli bastò di farsi uomo, d’essere schiaffeggiato e immolato, ma volle accomunarsi a noi; ci costituì suo corpo non soltanto per via di fede, ma nella realtà. Quanta dunque dovrebb’essere la purezza di colui, che si giova di questo Sacrificio! »

(P. G., 58, 743).

DOMANDA 400a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 7:

« Se a chicchessia è sconveniente accostarsi non devotamente a qualsiasi sacra funzione, senza dubbio quanto più è conosciuta all’uomo cristiano la santità e la divinità di questo Sacramento, tanto più attentamente gli convien evitare di accostarsi a riceverlo senza grande riverenza e pietà, specie se ricordiamo le parole dell’Apostolo, piene di terribilità: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore (I ai Cor., XI, 29). Perciò a chi vuol comunicarsi è bene ricordare quel precetto di lui: L’uomo si renda degno (ibid.). Ora il costume della Chiesa mette in chiaro che è necessaria tal degnità nel senso di non accostarsi alla sacra Eucaristia colla coscienza del peccato mortale, per quanto il fedele creda di esser pentito, tralasciando di premettere la Confessione sacramentale: tal dovere questo sacro Sinodo ha deciso che debba esser osservato, come da tutti i Cristiani, così pure da que’ sacerdoti ai quali per ministero incombe di celebrare, salvo che non ci sia un confessore; che se, per urgente necessità, il sacerdote celebra senza prima confessarsi, è tenuto a confessarsi quanto prima ».

DOMANDA 405a.

S. Congregazione del Concilio, Decret. Sacra Tridentina Synodus, 20 dic. 1905, Sulla Comunione quotidiana:

« Si procuri che alla santa Comunione vada innanzi una accurata preparazione e segua poi un conveniente ringraziamento, secondo le forze, la condizione, gli uffici di ciascuno ».

( Acta Apost. Sedis, I I , 896).

DOMANDA 406a.

S. Basilio, Regolæ brevius tractatæ:

«Domanda 172: Con qual trepidazione o persuasione di animo o affetto abbiamo da ricevere il corpo e il sangue di Cristo?

« Risposta: La trepidazione ce l’insegna l’Apostolo, quando dichiara: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna (I ai Cor., XI, 29); e la perfetta persuasione risulta dalla fede nelle parole del Signore, che disse: Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi; fate ciò in memoria di me (Luc., XXII, 19).»

(P. G., 31, 1195).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (26)

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa Catania, 7 Marzo 1957

P. Ambrogio Gullo O. P. – Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957

Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO I

I PRIMI TESTIMONI DELLO SPIRITO NELLA CHIESA

I veri testimoni dello Spirito Santo

Con tale espressione designiamo in modo particolare i Padri della Chiesa. Distinguiamoli bene dagli Apostoli, senza dimenticare i punti di contatto, numerosi e importanti, che a questi li collegano. – Gli Apostoli sono essenzialmente i testimoni del Dio vivente. S. Pietro, nel Cenacolo, desiderando completare il numero simbolico di dodici col rimpiazzare il traditore Giuda, mette anzitutto come condizione l’eventuale candidato al titolo di Apostolo abbia conosciuto personalmente Gesù Cristo. – Che egli sia, dice il capo dei Dodici, « di questi uomini che sono stati insieme con noi per tutto quel tempo in cui il Signore Gesù è vissuto, è andato e venuto con noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui di mezzo a noi fu assunto » (Act. I, 21-22). Titolo incomparabile! I Dodici ebbero l’insigne privilegio di vivere nell’intimità dell’Uomo-Dio come nessuno al mondo vi è vissuto, all’infuori di Maria. In un certo senso la loro condizione ha persino  superato quella della Vergine, perché essi hanno ascoltato discorsi che non sono stati pronunciati davanti a lei, anche se Gesù gliene aveva trasmesso in precedenza la sostanza attraverso una sublime via spirituale. Egli ha compiuto davanti ai Dodici degli atti per mezzo dei quali i grandi misteri della Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione dovevano essere rivelati e trasmessi all’intera umanità. Dio non si è rivelato al mondo che attraverso i Dodici ed è la loro testimonianza che ha valore ufficiale. – S. Paolo non ha certamente visto il Cristo sulla terra ma ha il titolo di Apostolo per eccellenza, associato persino a S. Pietro, nel culto che la Chiesa gli rende da secoli. E questo perché anche lui testimone dell’Uomo-Dio, prima nell’atto stesso della sua conversione, in cui il Cristo, abbattendolo, gli si rivelò in persona: « Sono Gesù Cristo che tu perseguiti » (Act., 1, 5); e più tardi nelle rivelazioni che ebbe, poiché molte ne riferisce nelle sue Epistole, e gli Atti menzionano vari favori soprannaturali che fanno del convertito di Damasco un vero testimone di Dio. Se non ha visto il Cristo nella sua condizione terrena, lo ha visto spiritualmente nella sua gloria ed è a questo titolo che egli è Apostolo. Altri discepoli, fuori dei « Dodici » sono stati talvolta chiamati Apostoli, per il fatto che generalmente anch’essi, avevano conosciuto il Salvatore e potevano rendere testimonianza della sua azione, ma l’uso è piuttosto ristretto. La Didaché parla anche di missionari itineranti, chiamati Apostoli, che pare non siano stati necessariamente testimoni oculari del Cristo; ma la loro importanza è minima ed essi non contano nella gerarchia apostolica. Solo i testimoni ufficiali, raggruppati dal Cristo durante la sua vita o poco dopo la sua resurrezione, sono veramente Apostoli, e la loro influenza diretta continua fino alla fine dello stesso secolo, nella persona di S. Giovanni. – L’epoca patristica comincia con i primi scrittori cristiani, molti dei quali hanno conosciuto S. Giovanni, se non addirittura S. Pietro: essi ci si presentano con un’altra caratteristica essenziale: quella di testimoni dello Spirito Santo nella Chiesa. Il Cristo, salendo al Cielo aveva promesso agli Apostoli di realizzare ben presto la promessa che aveva loro fatta di un altro se stesso, un consolatore, una guida, un avvocato. La promessa fu mantenuta e il giorno di Pentecoste, dell’anno 30, inaugurò una nuova fase nella storia del Testamento Divino: la fondazione della Chiesa per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. Gli Apostoli non ne furono soltanto gli Spettatori, ma gli organi. Cosicché, dopo essere stati i testimoni del Dio Incarnato, divennero da quel momento « I testimoni dello Spirito » che agiva nella Chiesa. Privilegiati della grazia, adempirono a questa duplice missione fino alla morte, che, secondo la tradizione, aggiunse alla testimonianza il sigillo del sangue. – È quésta seconda testimonianza degli Apostoli che doveva essere più tardi riservata più particolarmente  ai Padri, poiché nessuno, fra essi, aveva visto il Cristo in persona. Tuttavia, sul punto particolare dell’azione esercitata dallo Spirito nella Chiesa, gli scritti dei primi discepoli del Salvatore hanno essi stessi fornito una ricca documentazione, che occorre ricordare per sommi capi, perché sarà la sorgente principale alla quale attingerà largamente la pietà cristiana fin dall’antichità. – Tutti gli scritti apostolici hanno certamente evocato questa azione, ma quelli di S. Paolo e di S. Giovanni sono particolarmente ricchi in questo campo, se si è potuto parlare della mistica di questi due Apostoli, raggruppando soprattutto i testi delle loro opere che ne sono la sorgente o la manifestazione (J. Huby: Mystiques paulinienne et johannique Parii, 1946). Non è qui del resto la sostanza del messaggio cristiano?

Gli Apostoli, precursori dei Padri

Il Cristianesimo è essenzialmente un mutuo dono di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo. È la vita stessa di Dio portata all’umanità del Verbo fatto carne: « A quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati ». S. Giovanni scriveva queste cose verso la fine del primo secolo; condensava in queste parole « nati da Dio », non soltanto i ricordi della sua intimità personale con Gesù Cristo durante tre anni, ma quelli delle esperienze di tre quarti di secolo in quegli ambienti cristiani d’Oriente, in Siria e in Asia Minore, così profondamente imbevuti del pensiero di S. Paolo. Quel pensiero che egli stesso in qualche modo personificava e che i Padri ricevettero dalle sue mani come una eredità sacra. – I primi scritti del Cristianesimo mostrano i loro autori preoccupati di fare un larghissimo posto all’azione dello Spirito Santo. Nemmeno i Vangeli sinottici, la cui funzione era solo di evocare, davanti ai Cristiani che vivevano ancora in un ambiente pentecostale, la vita terrestre del Salvatore, e soprattutto la sua attività pubblica, hanno omesso questo aspetto superiore. Esso domina dall’alto, in due di questi Vangeli, il sermone della montagna attraverso le beatitudini: i Padri ne faranno una realizzazione propria dello Spirito Santo. San Giovanni vi insisterà ancor di più, soprattutto nel discorso dopo la cena: lì, tutto è ordinato alla promessa dello Spirito Santo, la cui venuta esige il sacrificio di Cristo e la sua dipartita per il Cielo: la Pentecoste esige un tal prezzo. – Le Epistole riecheggiano largamente la dottrina del Vangeli. San Pietro è, secondo gli Atti, il primo testimone ufficiale di questa azione dello Spirito, nel momento stesso in cui essa comincia a manifestarsi in pubblico, con la Pentecoste. Egli cita la profezia di Gioele, ma le sue parole ne evocano altre, che diverranno famose. S. Pietro stesso sarà, fra i ministri dello Spirito Santo, quello posto più in alto, nelle prime cristianità, e non è senza emozione che di ciò si trova menzione sobria ma decisa sia nelle sue Epistole che nei discorsi. Nella II Epistola, egli collega questa azione dello Spirito Santo al commovente ricordo della Trasfigurazione e questa evocazione ne dimostra l’importanza che assumeva ai suoi occhi; « perché non furono pronunziate per umano volere le profezie, ma ispirati dallo Spirito Santo parlavano i santi uomini di Dio ». – San Paolo metterà, più di ogni altro, l’accento su queste dottrine. Egli ha, senza dubbio, insistito molto sui danni del peccato originale, in modo particolare nell’Epistola ai Romani, (c. V e VII). Ma generalmente si separano troppo questi testi da quelli del capitolo VIII, splendido omaggio all’azione dello Spirito nel bazzettato: non solo, egli dichiara che il peccato è distrutto, ma che una vita nuova si stabilisce nel Cristiano (VIII, 1-11): essa gode di favori celesti fino all’intimità in questa vita (12-27) e garantisce una vita eterna di felicità (28-39). Queste pagine sulle virtù teologali sono un’eco del magnifico elogio che ne aveva fatto l’Apostolo, l’anno precedente, nella sua prima lettera ai Corinti (XIII, 1-13). – Il Cristiano dovrebbe avere sempre presenti alla memoria questi testi; essi erano l’anima delle direttive date dall’Apostolo a proposito dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità. È lo Spirito che dà al battezzato la forza necessaria per lottare contro la carne ed i suoi appetiti; è mediante lo Spirito che, a poco a poco, l’amore diventa una forza che trasforma la Legge, nella misura in cui l’uomo sa conformarvisi. Allora, l’ubbidienza al comandamento non viene tanto dal di fuori quanto dal di dentro, grazie allo Spirito Santo che ci è stato donato. E questa espansione dello Spirito è, essa pure, una larga partecipazione alla vita divina stessa, a quella vita posseduta pienamente dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Tale è la dottrina che costituirà per secoli la sostanza dell’insegnamento patristico. – Le Epistole di San Giovanni, e in particolare la prima, danno tutto il loro significato ai testi del suo Vangelo sullo Spirito Santo designato qui col nome di Unzione, per fissare i suoi legami con colui che è egli stesso « l’Unto » per eccellenza, il Cristo. Per tre volte, San Giovanni gli dà qui questo titolo (I, 11, 20 e 22). Tale insistenza è in funzione sia della verità che viene dal Cristo, sia della carità che è la caratteristica propria dell’Apostolo, carità verso il prossimo e verso Dio. Ma l’accento è messo con maggior decisione sull’origine divina della dottrina che penetra con forza nello spirito e nel cuore: « Quanto a voi, dimori in voi l’Unzione che da lui avete ricevuta e così non avete bisogno che alcuno vi ammaestri perché l’Unzione di lui vi insegna tutte le cose, ed è verace e non ha menzogna (11, 27).

Il tema centrale della patristica

Ecco infatti, precisamente, la nota patristica per eccellenza: i primi scritti cristiani ci introducono in un ambiente saturo di vita divina, frutto del battesimo e animato dall’azione dello Spirito Santo, nel quale Cristo continua a governare la Chiesa. In realtà, i Padri sono i primi spirituali della cristianità. Troppo spesso oggi vien dimenticato questo aspetto della loro personalità. Si vede anzitutto in loro dei testimoni della fede, ardenti apologisti, polemisti, creatori persino di scuole nel senso moderno della parola, col rischio di falsare la loro vera personalità, se si trascura quanto è essenziale, cioè la vita soprannaturale. È questa che nelle loro opere è veramente fondamentale e che bisogna mettere in primo piano. Non si tratta di trascurare la fede, ma non bisogna separarla dalla carità che ne è l’anima, secondo, la parola di San Paolo, che ricordava ai Galati: «In Cristo Gesù, ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione ma la fede operante per la carità » (Gal. V, 6). – Questa verità elementare è ammessa da tutti nella Chiesa sul piano dei principi. In realtà, tuttavia, è raro che le si dia tutta l’importanza che merita quando descrivono i tempi antichi e, ancora di più quando si arriva ai periodi più recenti. Troppo spesso la Chiesa viene considerata sotto aspetti multipli, ma dispersi, che impediscono ogni visione profonda dell’insieme in coloro che non vi sono attratti da una forza speciale. È questo, precisamente, un punto debole al quale vorremmo rimediare con la presentazione di testi antichi essenziali in questo campo. ‘ – I doni dello Spirito Santo possono esserne il centro, poiché i Padri stessi ne hanno dato moltissime descrizioni. Essi li presentano come una forza divina superiore, che anima il Cristianesimo autentico e gli infonde un’intensa vitalità, sotto ogni punto di vista, sul piano della dottrina come sul piano dell’azione. D’altronde i due aspetti sono, in essi, generalmente uniti in modo indissolubile: questo è uno dei caratteri salienti della Chiesa primitiva e rimarrà dominante per dei secoli. È forse qui che il periodo patristico trova il suo carattere specifico più marcato. È quindi d’immenso interesse mettere in luce questa dottrina, non solo considerandola da un punto di vista teorico o letterario, ma ponendola nell’antico quadro vitale, sia della cristianità in genere, sia della anima cristiana singola, la quale risponde con generosità ai richiami della grazia. – D’altronde, i centri di intenso fervore sono numerosi nell’antichità, anche al di fuori dei chiostri, ed è possibile trovare su questa strada preziose indicazioni riguardanti la vita profonda delle cristianità primitive. Le stesse opere dottrinali hanno una nota spirituale che è un’eco dell’ambiente; più ancora, evidentemente, i sermoni o i trattati religiosi. Possono scaturirne vere illuminazioni, purché si badi un poco a rilevarle. Ci limitiamo qui a indicare le sorgenti più abbondanti sul tema speciale dei doni dello Spirito Santo, schematizzati nell’elenco compilato da Isaia a proposito dell’annunciato Messia. Non che tutto si riduca a questo piccolo documento, ma esso può servire a raggruppare molti testi patristici che toccano le vette più alte della vita spirituale. Per questo l’elenco ha un grande interesse. Molto tempo prima di Cristo, si parla nel Vecchio Testamento dello Spirito di Dio come principio di illuminazione morale o intellettuale, profetica o artistica. Con i Salmi ed i Libri Sapienziali, la nota religiosa e morale passa al primo piano, e diventa preponderante negli ambienti ferventi, poco prima della venuta di Cristo. – Il testo d’Isaia ha un ruolo importantissimo, ma non esclusivo. Verso l’anno 50 a. C., uno dei Salmi detti di Salomone, il XVII al v. 37, riproduce presso a poco l’elenco d’Isaia il cui testo è ben conosciuto: « Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, Un fiore verrà su da questa radice; E sopra di lui riposerà Io Spirito del Signore Spirito di Sapienza e di intelletto, Spirito di consiglio e di fortezza; Spirito di scienza e di pietà. Lo riempirà lo spirito del timor di Dio (Is., XI, 12). – Anche se la parola timore, che nella Scrittura traduce tante sfumature, non esprime nulla di nuovo, il fatto di esser ripetuto nella conclusione indica che si suol completare il numero « sette », che risponde ad una pienezza; è un elemento questo che bisogna tener presente soprattutto qui. Tutta la tradizione cristiana, fondata sui molteplici settenari dell’Apocalisse (I e V), lo interpreterà in questo senso, con una unanimità che fa legge (V. A. Gardeil, « Dons du Saint-Esprit », i n D. T. coll. 1749-1751).

Fonti delle dottrine sullo Spirito Santo

Questi testi dell’antico Testamento furono messi pienamente in luce dai Padri, grazie a S. Paolo e a S. Giovanni, la cui influenza fu assolutamente decisiva fin dai primi secoli. Questi due Apostoli rappresentano d’altronde, nonostante il loro fondamentale accordo, numerose sfumature che è bene mettere in rilievo, perché si ritroveranno nei Padri, secondo i doni accordati ad ognuno e secondo la loro missione nella Chiesa. L’insistenza su Cristo, sia in San Paolo che in San Giovanni, non deve farci dimenticare il posto che entrambi fanno allo Spirito Santo nelle esortazioni che rivolgono ai fedeli nelle loro Epistole. – Come San Paolo, San Giovanni ha proclamato la dottrina dell’azione universale dello Spirito nei Cristiani, e ha preparato remotamente la sua diffusione tra i Padri. Questa dottrina divenne così comune, in quella forma settenaria che ne è l’espressione corrente. San Giovanni non ha parlato dei sette doni, ma ha moltiplicato i richiami al numero sette nell’Apocalisse, parlandò delle sette Chiese, dei sette candelabri, delle sette stelle, dei sette spiriti divini, e più tardi collegherà le sue misteriose profezie a sette sigilli, sette trombe, sette segni e sette coppe, altrettante occasioni per evocare i sette doni enumerati da Isaia: ben presto si stabilirono dei legami fra gli uni e gli altri. Assumendo il numero sette per le attività dello Spirito Santo, Agostino non farà che fissare una regola cui si ispirava la letteratura religiosa già da molti secoli e la cui origine divina sembrava ormai indiscutibile.

« Spirituali e mistici dei primi tempi »: questo titolo potrebbe essere preso in senso stretto come criterio di scelta fra gli antichi scrittori ecclesiastici. Ma, così facendo, introdurremmo nell’antichità cristiana una categoria mentale che essa ignorava. Rischieremmo di restringere troppo l’argomento, e, forse, di tagliarlo fuori dalle sue vere fonti di ispirazione. In realtà, tutti gli antichi scrittori ecclesiastici, durante gli ottocento anni che vanno dalle ultime decadi del I secolo alla metà del IX, possono essere considerati come « spirituali » e « mistici », se si prendono queste parole in senso largo, e questa accezione risponde bene alla denominazione di Padri che diede loro l’antichità a partire dal secolo V e che è loro rimasta. La si è progressivamente estesa fino al VII sec, poi all’VIII e anche alla prima parte del IX; ma l’estremo limite è là. Infatti, questa denominazione di Padri, presa in se stessa, risponde bene a una preoccupazione spirituale e designa gli organi qualificati dello Spirito Santo nel Corpo Mistico di Cristo. La parola risale alle origini della Chiesa, benché sia divenuta corrente solo in seguito ai Grandi Concili, che provarono il bisogno di affermare l’adattamento delle nuove formule di fede al contenuto delle esposizioni tradizionali, specialmente sulla divinità del Cristo e sulla sua umanità. Designava pure, poiché allora non si separavano questi due aspetti di una realtà vivente, l’autorità degli stessi uomini in quanto concerne le regole della vita cristiana e particolarmente le più alte. – Fra queste regole, legate al dogma, ma di alta portata vitale, quelle che toccano l’unione personale delle anime con Dio presero un rilievo straordinario fin dal II secolo, e più ancora nel III e IV. La sapienza ne è l’aspetto più saliente, ed essa implicava già una vera intimità con Dio, frutto di una altissima conoscenza e di un ardente amore, attribuiti, l’uno e l’altro, ad una azione superiore della grazia. Tutti i grandi Dottori ne beneficiarono, ma il più eminente di essi, in questo come in molti altri campi, è Sant’Agostino; e in lui noi ascoltiamo non soltanto la voce dell’antica Chiesa di Occidente, ma anche di quella d’Oriente di cui il grande Dottore conobbe certamente le grandi tendenze spirituali attraverso Sant’Ambrogio, fervente discepolo dei mistici alessandrini. Egli stesso poi fu maestro incomparabile della vita interiore. – Questo misticismo non era mai isolato, negli antichi, da altre attività interiori della vita cristiana; ne era piuttosto l’anima e il sostegno. Bisogna discernerlo con cura fra le molteplici attività cui essi si dedicavano, per seguire le indicazioni della Provvidenza nei fatti che richiedevano il loro intervento, o nelle vaste  meditazioni che la pietà ispirava loro. La teologia, la filosofia stessa vi trovavano spesso il loro alimento, e non lo si deve dimenticare studiandole. Non bisogna né attaccarsi a queste discipline al punto di trascurare la profonda ispirazione religiosa che ne era spesso il principio animatore, né disdegnarle, col pretesto di andare più in profondità fino al midollo divino che ne è la forza animatrice. – È questa forza interiore che deve essere tenuta maggiormente in considerazione da ogni vero Cristiano che affronta i Padri, ed è ad essa soprattutto che vogliamo rivolgere la nostra attenzione in quest’opera, breve riassunto di studi generali sul pensiero dei Padri. Tuttavia l’insistenza sullo Spirito non è possibile e non può essere utile se non si ha una visione abbastanza precisa dell’insieme di quest’opera letteraria che forma la Patristica. Ne daremo qui un quadro molto sommario, ma indispensabile per classificare bene i diversissimi dati dottrinali di cui dobbiamo fare la sintesi. Potremo distinguervi senza sforzo tre gruppi abbastanza distinti: gli iniziatori, nei tre primi secoli; i grandi pensatori, dei sec. IV e V, da Sant’Atanasio a San Leone Magno (+ 461); i continuatori, dal 461 all’843. – I tre primi secoli sembrano essere un periodo preparatorio, quando li si paragona al prestigio di cui dovevano godere i grandi Dottori del IV sec. Esso è infatti fondamentale, perché fissa le basi sulle quali si eleverà l’imponente edificio spirituale ulteriore. Indubbiamente, anche su questo punto, questo o quel Padre del gran secolo avrà la preminenza; però malgrado alcune lacune, che non bisogna del resto esagerare, i primi Padri hanno, generalmente, un sapore evangelico molto marcato che proviene, senza dubbio, dal contatto più diretto coi tempi apostolici, o da un’azione provvidenziale più accentuata in favore della Chiesa nascente e perseguitata. – I grandi pensatori dell’antichità cristiana si trovano nel periodo che va dalla pace di Milano, 313, alla morte di San Leone, 461, tosto seguita dalla caduta definitiva dell’Impero d’Occidente. Questi centoquaranta anni, che formano, per noi. il gran secolo patristico, non sono, come spesso si crede, un periodo di riposo e di facile trionfo. Invece di essere esteriore, il combattimento per la fede si svolge ora dentro la Chiesa stessa ed è quindi ancora più grave. La Provvidenza divina vi provvede appunto suscitando un maggior numero di uomini superiori che faranno trionfare l’ortodossia tradizionale e cattolica. Alcuni di questi Dottori ebbero una certa funzione pubblica, come San Basilio di Cesarea, San Cirillo d’Alessandria in Oriente, Sant’Ambrogio in Occidente, ma sarebbe ingiusto vedere in essi delle personalità politiche; essi sono anzitutto uomini di Chiesa, così come lo furono San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino, il cui carattere eminentemente soprannaturale è indiscusso. Tutti, malgrado le modalità di azione imposte dalle circostanze, furono uomini di Chiesa e organi dello Spirito Santo. I loro continuatori, dal V al IX secolo, hanno avuto evidentemente meno splendore: le grandi indagini dottrinarie si chiudono con il papa San Leone. Gli scrittori degli ultimi secoli patristici hanno avuto provvidenzialmente il merito di serbare il deposito sacro, ricevuto dagli Apostoli attraverso la Chiesa. Il Papato, in Occidente, deve maggiormente prendere in mano la direzione della Chiesa e San Gregorio il Grande è il modello più perfetto di questa sublime azione della Chiesa e dello Spirito Santo, per mezzo di lei, nel mondo. In Oriente, la Chiesa bizantina, ridotta sempre più dalle conquiste persiane e arabe, si lega strettamente all’impero, senza rompere i legami con Roma soprattutto grazie ai monaci, grandi difensori del culto integrale di Cristo, della Madonna e delle immagini, tre veri centri del loro trionfante misticismo.

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (2)

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (24)

CATECHISMO CATTOLICO

A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (25)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 291a.

S. Giovanni Crisostomo, In Genesim, XXX, 5:

« Gran bene è la preghiera. Difatti, se uno parlando ad un uomo fornito di virtù, ne percepisce non piccolo vantaggio, di quanto gran beni non godrà colui, il quale parlerà con Dio? Difatti la preghiera è un colloquio con Dio…. A dir vero, non può egli esaudirci prima che lo preghiamo? Eppure, per questo egli differisce di esaudirci e aspetta, per cogliere l’occasione di renderci degni giustamente della sua provvidenza ».

(P. G., 53, 280).

DOMANDA 298a

S. Agostino, In Joann., CVII, I:

« Dobbiamo ora trattare di questa parola del Signore: In verità, in verità vi dico: se chiederete al Padre qualche cosa in mio nome, ve la darà. (Gio., XVI, 23). È già stato detto nei punti precedenti di questo discorso del Signore — in considerazione di chi chiede qualche cosa al Padre in nome di Cristo, ma non riceve — che non si chiede nel nome del Salvatore quel che non si chiede in ordine alla salvezza. Difatti quando dice In nome mio s’ha da intendere che dica non una serie di lettere o di sillabe, ma ciò che è significato precisamente dal suono delle parole e che con quel suono si comprende rettamente e veracemente, Di conseguenza chi sente di Cristo ciò, che non si deve sentire dell’unico Figlio di Dio, non chiede in nome di lui, anche se pronuncia materialmente, con lettere e sillabe, la parola Cristo: dal momento che chiede in nome di colui, a cui pensa, quando chiede. Ma chi pensa quel che ha da pensarsi di lui, chiede proprio in nome di lui: e riceve quel che chiede, e non chiede in contrasto colla sua eterna salute. Ma riceve quando deve ricevere. Certe cose ifatti non sono ricusate, ma si differiscono per concederle a tempo opportuno. Così appunto s’ha da intendere ciò che dice: Darà a voi: perchè con queste parole si vedano significati que’ beneficii, che spettano propriamente a quelli che chiedono. In verità tutti i Santi sono per se stessi esauditi, ma non per tutti gli amici o nemici loro o altri qualsiasi: non indifferentemente fu detto Darà, ma Darà a voi ».

(P. L., 35, 1896).

DOMANDA 313a.

Concilio di Trento: Vedi D. 189.

DOMANDA 322a.

Leone XIII, Encicl. Adiutricem populi, 5 sett. 1895:

« Si palesa splendidamente il mistero della singolare carità di Cristo verso di noi, anche dal fatto che morendo egli volle lasciare la Madre sua per madre al discepolo Giovanni col memorabile testamento: Ecco il tuo figlio. Ora Cristo designò in Giovanni, come fu sempre pensiero della Chiesa, la persona del genere umano, specialmente di coloro che per la fede aderirebbero a lui. Su questo pensiero dice S. Anselmo di Canterbury: « Che cosa di più degno può immaginarsi che tu, Vergine, sii madre di coloro, di cui Cristo volle essere padre e fratello? » (Preghiera 47). Ella dunque di questo compito singolare e laborioso si assunse il carico e morì da magnanima, dopo i sacri auspicii del Cenacolo ».

(Acta Leonis XIII, XV, 302).

Pio X, Encicl. Ad diem illum, 2 febbr. 1904:

« Non è forse madre di Cristo Maria? dunque è anche madre nostra. Difatti ognuno deve ritenere che Gesù, Verbo fatto carne, è anche il salvatore dell’uman genere. Ora, in quanto Dio-Uomo, ebbe un corpo materiale, come tutti gli altri uomini; in quanto poi restauratore dell’uman genere, una specie di corpo spirituale e, come si dice, mistico, ed è la società di coloro, che credono in Cristo. Siamo molti in un unico corpo di Cristo (Ai Rom., XII, 5). Ma la Vergine non concepì il Figlio eterno di Dio soltanto allo scopo che diventasse uomo, assumendo da lei la natura umana; ma anche allo scopo che diventasse, per mezzo della natura assunta da lei, il salvatore degli uomini. Perciò disse l’Angelo ai pastori: È nato a voi oggi il Salvatore, che è Cristo Signore (Luc., II, 11). Nell’unico e medesimo grembo dunque della Madre purissima Cristo, come assunse la carne, così s’aggiunse una specie di corpo spirituale, costituito cioè da coloro ch’eran per credere in lui. Sicché Maria, in quanto ha in grembo il Salvatore, può dire d’avervi portato anche quelli, la vita de’ quali era contenuta nella vita del Salvatore. Tutti dunque, quanti siamo congiunti con Cristo, e che, al dir dell’Apostolo, siamo membra del corpo di lui, della carne e delle ossa di lui (Agli Efes., V, 30), siamo usciti dal grembo di Maria, a modo di corpo intimamente aderente al capo. Onde, per una ragione a dir vero spirituale e mistica, siamo noi chiamati figli di Maria, ed ella è madre di noi tutti. Madre, a dir vero, spirituale… ma davvero madre delle membra di Cristo, che siamo noi. (S. Agost., De sancta virginitate, 6). Se dunque la beatissima Vergine è madre insieme di Dio e degli uomini, chi mai potrebbe dubitare ch’ella non faccia ogni sforzo affinchè Cristo, capo del corpo della Chiesa (Ai Coloss., I , 18), diffonda su noi, sue membra, i suoi doni, specie quello di riconoscerlo e di vivere per lui? (I. di Giov., IV, 9) ».

(Acta Pii X, I, 152).

Benedetto XV, Lett. al Sodalizio di N. Signora della Buona Morte, 22 marzo 1918:

« …. Similmente è chiaro che la Vergine Dolorosa, in quanto che, costituita da Gesù Cristo Madre di tutti quanti gli uomini, li accolse in virtù del testamento d’un amor infinito lasciato a lei e compie con materna bontà il suo ufficio per la loro vita spirituale, non può far a meno di venire in soccorso ai carissimi figli di adozione più sollecitamente in quel momento, nel quale si tratta della loro salvezza e santificazione da confermarsi per l’eternità ».

(Acta Apost. Sedis, X , 182).

Pio XI, Encicl. Rerum Ecclesiæ, 28 febb. 1926:

« Orbene arrida benigna e soccorra ai comuni propositi la Santissima Regina degli Apostoli Maria, che, avendo avuto raccomandati al suo cuore materno tutti quanti gli uomini sul Calvario, aiuta e ama coloro, che ignorano d’essere stati redenti da Cristo Gesù, non meno di coloro, che godono fortunatamente dei beneficii della di lui redenzione ».

(Acta Apost. Sedis, XVIII, 83).

DOMANDA 325A.

Concilio di Firenze, Decretimi prò Armenis:

« Sono sette i Sacramenti della nuova legge: cioè Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio, che differiscono assai dai Sacramenti dell’antica legge. Quelli difatti non conferivano la grazia, ma solamente la raffiguravano come un dono della passione di Cristo: mentre questi nostri come contengono la grazia così la conferiscono a chi li riceve degnamente. Di questi i primi cinque sono ordinati alla spiritual perfezione di ciascun uomo in se stesso, i due ultimi al reggimento e moltiplicazione di tutta la Chiesa. Difatti per mezzo del Battesimo rinasciamo spiritualmente: per mezzo della Cresima cresciamo in grazia e siamo rafforzati nella fede. Rinati poi e rafforzati ci nutriamo del cibo divino dell’Eucaristia. Che se per causa del peccato incorriamo nell’infermità dell’anima, ne siamo risanati spiritualmente per mezzo della Penitenza: spiritualmente e anche corporalmente, in quanto giova all’anima, per mezzo della Estrema Unzione; per mezzo dell’Ordine poi la Chiesa è governata e moltiplicata spiritualmente, per mezzo del Matrimonio è aumentata corporalmente. Tutti questi Sacramenti sono costituiti di tre elementi, vale a dire di oggetti come materia, di parole come forma e della persona del ministro, che conferisce il Sacramento, coll’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa; e, se manca uno di essi, il Sacramento non si compie ».

(Mansi, XXXI, 1054).

Concilio di Trento, sess. VII, Dei Sacramenti in generale, can. 1 e 6:

« Sia scomunicato chi afferma che i Sacramenti della nuova legge non sono stati tutti istituiti da Gesù Cristo, o che sono più o meno di sette, vale a dire: Battesimo, Cresima, Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio, oppure che qualcuno di questi sette non è davvero e propriamente un Sacramento. – « Sia scomunicato chi afferma che i Sacramenti della nuova legge non contengono la grazia che significano, oppure che non conferiscono la grazia stessa a coloro che non vi mettono ostacolo; quasi che fossero segni soltanto esteriori della grazia o della giustizia ricevuta per mezzo della fede e una specie di contrassegno della professione cristiana, per mezzo del quale dinanzi agli uomini si distinguono i fedeli dagli infedeli ».

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 39-41 tra le condannate:

« 39. Le opinioni di cui erano imbevuti i Padri del Concilio di Trento, circa L’origine dei Sacramenti, e che ebbero senza dubbio influenza sui loro canoni dogmatici, sono ben differenti da quelle che ora hanno credito meritamente presso gli storici critici del fatto cristiano.

« 40. I Sacramenti ebbero origine dal fatto che gli Apostoli e i loro successori interpretarono, per la spinta delle circostanze e degli avvenimenti, una semplice idea e intenzione di Cristo.

« 41. I Sacramenti mirano soltanto allo scopo di richiamare in mente all’uomo la presenza sempre benefica del Creatore ».

(Acta Apost. Sedis, XL, 472).

DOMANDA 326a.

Concilio di Firenze, Vedi D. 325.

Concilio di Trento, Sess. VII, Dei sacramenti in generale, can. 11:

« Sia scomunicato chi affermerà che nei ministri, mentre formano e conferiscono i Sacramenti, non si richiede almeno l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa ».

DOMANDA 329a.

Concilio di Firenze: Vedi D . 325.

DOMANDA 331a

Concilio di Trento, sess. VII , Dei Sacramenti in generale, can. 7, 8:

« Sia scomunicato chi dirà che non sempre nè a tutti, ma qualche volta e a qualcuno, per mezzo di questi Sacramenti è data la grazia, per quanto dipende da Dio, anche se li ricevono convenientemente. « Sia scomunicato chi afferma che, per mezzo dei Sacramenti della nuova legge, non è conferita la grazia ex opere operato, ma che basta la sola fede nella divina promessa, a conseguire la grazia ».

S. Agostino, Epist. 98, 2:

« L’unico Spirito, dal quale il presentato viene rigenerato, opera in modo che…. chi ha da essere santificato possa rigenerarsi quand’è presentato, per l’intervento dell’altrui volontà. Difatti non sta scritto: Se uno non sarà rinato dalla volontà dei genitori o dalla fede dei presentatori o dei ministri, ma: Se uno non sarà rinato di acqua e Spirito Santo (Gio., III, 5). Dunque l’acqua conferendo all’esterno il Sacramento della grazia e lo Spirito operando all’interno il beneficio della grazia…. rigenerano nell’unico Cristo l’uomo generato dall’unico Adamo ».

(P. L., 33, 360).

Il medesimo, In Ioann., LXXX, 3:

« Ormai voi siete mondi per la parola che io ho detto a voi » (Gio., XV, 3). Perché non sarà: Voi siete mondi per il Battesimo, nel quale siete stati lavati, ma dice: Per la parola che ho detta a voi, se non perché la parola purifica anche nell’acqua? Togli la parola e che cos’è l’acqua, se non acqua? S’aggiunge la parola all’elemento e si compie il Sacramento, anch’esso come una parola visibile ».

(P. L., 35, 1840).

DOMANDA 337a.

Concilio di Trento, sess. XIV, Del Sacramento della Penitenza, cap. 4:

« Inoltre insegna che, quantunque questa contrizione talvolta accade che sia carità perfetta e che riconcilii l’uomo a Dio, prima che questo Sacramento sia attualmente ricevuto, nondimeno la riconciliazione non dev’essere attribuita precisamente alla contrizione, senza il desiderio del Sacramento, che in essa è compreso ».

DOMANDA 339a.

S. Agostino, Contra Epistolam Parmeniani, I I , 28:

« L’uno e l’altro (Battesimo e Ordine) è un Sacramento ed è conferito all’uomo con una specie di consacrazione, quello quando si battezza, questo quando si ordina, e perciò nella Chiesa Cattolica l’uno e l’altro non è lecito che sia ripetuto. Difatti se talvolta anche prelati, che vengono dalla stessa parte, corretto per amor di pace l’errore scismatico, furono accolti, benché parve conveniente che sostenessero i medesimi uffici di prima, non furono di nuovo ordinati, ma, come il Battesimo, così l’Ordinazione rimase intatta in loro, perchè ciò che fu corretto nella pace dell’unità era vizio nella separazione, non nei Sacramenti, che dappertutto sono quel che sono ».

(P. L., 43, 70).

DOMANDA 341a.

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

« Tra questi Sacramenti, il Battesimo la Cresima e l’Ordine sono i tre che imprimono nell’anima il Carattere, cioè una specie di contrassegno spirituale, indelebile, distintivo da tutti gli altri. Onde non si ripetono nella medesima persona. Invece gli altri quattro non imprimono il Carattere e possono ripetersi ».

(Mansi, XXXI, 1054).

Concilio di Trento, sess. VII, Dei Sacramenti in generale, can. 9:

« Sia scomunicato chi afferma che coi tre Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine non s’imprime nell’anima il Carattere, vale a dire una specie di contrassegno spirituale e indelebile, sicché non posson esser ripetuti » .

Innocenzo III, Epist. Majores Ecclesiae Causas (1201) a Umberto arcivescovo di Arles:

« Altri non senza ragione distinguono tra involontario e involontario, tra costretto e costretto, perchè chi è piegato violentemente dal terrore e dai supplizii e riceve il Battesimo per non incontrar danno, colui a dir vero, come chi s’accosta al Battesimo per finzione, riceve impresso il carattere di cristianità ed egli, come volente sotto condizione, benché in assoluto non voglia, è da costringersi alla osservanza della fede cristiana…. Chi poi non mai è consenziente, ma affatto contrario, non riceve né la realtà né il carattere del Sacramento, perché conta di più contraddire espressamente che non consentire…. A lor volta i dormienti e i dementi se, prima di entrare in demenza o nel sonno, persistevano a contraddire, non ricevono il carattere del Sacramento, perché s’intende che in essi perduri il proposito del rifiuto, anche se sono stati così immersi; non invece, se prima erano stati catecumeni e avevano avuto il proposito di essere battezzati; perciò la Chiesa in caso di necessità è solita battezzarli. Dunque il rito sacramentale imprime il carattere, quando non trova in contrasto l’opposizione della volontà ».

(Decretales Gregorii IX, 1. III, tit. 42, cap. 3).

DOMANDA 348a.

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 42 tra le condannate:

« La comunità cristiana introdusse la necessità del Battesimo, adottandolo come un rito necessario e annettendogli i doveri della professione cristiana » .

(Acta Apost. Sedis, XL, 472).

S. Basilio Magno, Homilia 13, 5:

« Il Battesimo è il prezzo del riscatto per i prigionieri, il condono dei debiti, la morte del peccato, la rigenerazione dell’anima, l’abito della luce, il sigillo che non può essere infranto con nessuno sforzo, guida al cielo, pegno del regno, dono di adozione ».

(P. G., 31, 434).

DOMANDA 349a.

Concilio di Vienna (1311-1312), Constitutio de Trinitate et fide, cantra errores Petri Olivi:

« Da tutti i fedeli dev’essere professato un unico Battesimo, che rigenera tutti i battezzati in Cristo, come unico è Dio e unica la fede (agli Efes., IV, 5). Ed esso, celebrato coll’acqua nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, crediamo che sia perfetto rimedio di salvezza tanto per gli adulti, quanto pei bambini, senza distinzione ».

(Mansi, XXV, 411).

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

« Occupa il primo luogo fra tutti i Sacramenti il santo Battesimo, che è porta della vita spirituale; difatti per mezzo di esso noi diventiamo membra di Cristo e del corpo della Chiesa. E siccome per causa del primo uomo la morte entrò in tutti quanti, non possiamo, come dice la Verità, entrare nel regno de’ cieli, se non rinasciamo dall’acqua e dallo Spirito (Gio., III, 5). Materia di questo Sacramento è l’acqua vera e naturale; non importa se calda o fredda. La forma è poi: Io ti battezzo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Tuttavia non neghiamo che vero battesimo si compia anche con quelle parole: È battezzato il tal servo di Cristo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, oppure: È battezzato dalle mie mani il tale nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo; dacché, essendo la Santa Trinità la causa principale onde il Battesimo ha forza, e strumentale invece il ministro che conferisce all’esterno il Sacramento, se si effettua l’atto, coll’invocazione della Santa Trinità, il Sacramento è compiuto. Ministro di questo Sacramento è il sacerdote, al quale compete battezzare d’ufficio. In caso poi di necessità non soltanto il sacerdote o il diacono, ma anche un laico o una donna, anzi pure un pagano o un eretico può battezzare, purché osservi la forma della Chiesa e intenda fare ciò che fa la Chiesa. L’effetto di questo Sacramento è la remissione d’ogni colpa originale e attuale, anche di ogni pena dovuta per la colpa stessa. Perciò nessuna soddisfazione si deve imporre ai battezzati per i peccati del passato: ma essi morendo prima di commettere qualche colpa, ottengono subito il regno de’ cieli e la visione di Dio ».

(Mansi, XXXI, 1059).

Concilio di Trento, sess. VII, Sui Sacramenti in generale, can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che l’acqua vera e naturale non è necessaria per il Battesimo, e perciò stravolge a senso metaforico quelle parole del Signor Nostro Gesù Cristo : Se uno non sarà rinato di acqua e di Spirito Santo ( Giov., III, 5) ».

Innocenzo III, Epist. Non ut apponeres, 1 marzo 1206, a Toria arcivescovo di Nidrosia. ‘

« Hai domandato se si devono considerar cristiani i bambini, qualora, in punto di morte, per mancanza d’acqua e per assenza del sacerdote, qualcuno per semplicità li ha bagnati di saliva sul capo sul petto e tra le scapole, in luogo di Battesimo. Rispondiamo che, siccome nel Battesimo si richiedon sempre due cose, cioè la parola e l’elemento, necessariamente, secondo dice la Verità a proposito della parola: Andate nel mondo ecc. (Marc, XVI, 15; Matt., XXVIII, 19) e, parimenti, riguardo all’elemento: Se alcuno non ecc. (Gio., III, 5), non devi nemmeno aver dubbio che non abbiano un vero Battesimo coloro per i quali è stato omesso non solo l’uno e l’altro requisito, ma uno di essi ».

(Decretales Gregorii IX, III, 42, 5).

Didaché, VII, 1:

« Quanto poi al Battesimo, battezzate così: e dopo aver detto tutto ciò, battezzate nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, con acqua viva ».

(Patres Apostolici, ed. Funk, I, 17 s.).

DOMANDA 352a

Concilio IV di Laterano (1215), c. I , De fide catholica contra Albigenses:

« Il Sacramento del Battesimo (che si compie coll’acqua, invocando Dio e l’individua Trinità, vale a dire il Padre e il Figliuolo e lo Spirito Santo), conferito legittimamente nella forma della Chiesa da chicchessia, tanto ai bambini quanto agli adulti giova alla salvezza » .

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Firenze, Vedi D. 349.

S. Agostino, Contra Epistolam Parmeniani, II, 29:

« Del resto, anche se darà (il Battesimo) un qualsiasi laico, spinto dalla necessità del morente, sapendo, da quando lo riceveva lui stesso, come si dovesse dare, non so chi mai vorrebbe piamente sostenere che debba essere ripetuto. Difatti, quando non vi sia un’urgente necessità, a conferirlo si usurpa un compito altrui; se poi c’è necessità urgente, o non è peccato o è veniale. Ma anche se è arbitrario, non essendoci urgenza, e sia dato a chicchessia da chicchessia, ciò che è stato dato non può dirsi non dato; al più si può dire giusto che fu dato illecitamente » .

(P. L., 43, 71).

DOMANDA 354a

Concilio di Firenze, Decretum prò Jacobitis:

« Impone a tutti quelli…. che si gloriano del nome cristiano, che bisogna metter da parte addirittura la circoncisione, in qualunque tempo, sia prima, sia dopo il Battesimo, poi che nessuno affatto la può praticare, tanto se riponga, quanto se non riponga speranza in essa, senza pregiudizio della salute eterna. Quanto poi a’ fanciulli, a cagion del pericolo di morte, che può accadere spesso, insegna che, siccome ad essi non si può venir in aiuto con altro rimedio se non col Sacramento del Battesimo, per mezzo del quale vengono sottratti alla schiavitù del demonio e adottati come figli di Dio, il sacro Battesimo non dev’essere differito, secondo la pratica di certuni, per quaranta oppure ottanta giorni o altro tempo, ma si deve conferire al più presto che è comodamente possibile; a condizione però che, se incombe il pericolo di morte, siano battezzati subito, senza differimento, anche da un laico o da una donna, nella forma della Chiesa, se manca il sacerdote, com’è contemplato più distesamente nel decreto per gli Armeni ».

(Mansi, XXXI, 1738 ss.).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 43 tra le condannate :

« L’usanza di conferire il Battesimo ai bambini derivò da un’evoluzione della disciplina, e fu una delle cause per le quali il Sacramento si sdoppia, cioè in Battesimo e Penitenza ».

(Acta Apost. Sedis, X L , 472).

DOMANDA 357a.

Concilio di Trento, Sess. V I I , De’ Sacramenti in generale, can. 7:

« Sia scomunicato chi afferma che i battezzati appunto per il Battesimo hanno l’obbligo unicamente della fede, ma non di osservare tutta quanta la legge di Cristo ».

DOMANDA 358a

Concilio di Cartagine: V. D. 74; Concilio di Firenze: V. D. 341.

Concilio di Trento, Sess. VII, Sul Battesimo, can. 5:

« Sia scomunicato chi afferma facoltativo il Battesimo, cioè non necessario per la salvezza ».

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, III, 10:

« Uno, se non riceve il Battesimo, non può aver salute, eccetto i soli martiri, che ricevono il regno anche senza l’acqua » .

(P. G., 33, 439).

DOMANDA 359a.

Innocenzo III, Epist. Majores Ecclesiae Causas (fine del 1201) a Umberto arcivescovo di Arles:

« La pena del peccato originale è la mancanza della vision di Dio, quella dell’attuale è il tormento della geenna perpetua…. » .

(Decretales Gregorii IX, 1. III, tit. 42, cap. 3).

Pio VI, Costit. Auctorem fìdei, 28 ag. 1794, prop. 26 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« È falsa, temeraria, ingiuriosa contro le scuole cattoliche la dottrina, la quale ci gabella, alla pari d’una storiella Pelagiana, quel luogo d’oltretomba (designato talvolta dai fedeli col nome di limbo de’ bambini) nel quale son punite colla pena del danno, senza quella del fuoco; le anime de’ morti con la sola colpa originale; come se per ciò stesso, che alcuni escludono la pena del fuoco, dimostrassero l’esistenza di quel luogo e stato scevro di colpa e pena tra mezzo al regno di Dio e alla dannazione eterna, come favoleggiavano i Pelagiani » .

(Bullarii Romani continuatio, 1. c. , 2711 ss.).

Pio IX: V. D. 162.

DOMANDA 360a.

Innocenzo II: V. D. 162.

S. Fulgenzio, De fide, 41:

« Da quando il Salvatore disse: Se uno non rinascerà dall’acqua e dallo Spirito Santo, non può entrar nel regno di Dio (Gio., III, 5). Non può alcuno ricevere il regno de’ cieli né la vita eterna, senza il Sacramento del Battesimo, tranne quelli che versano per Cristo il sangue nella Chiesa Cattolica. Perché sia nella Chiesa Cattolica, sia in qualunque eresia o scisma, chi riceve il Sacramento del Battesimo nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, riceve perfetto il Sacramento; ma non avrà la salvezza, che è virtù del Sacramento, se riceverà il Sacramento stesso fuori della Chiesa cattolica. Dunque ha da far ritorno alla Chiesa, non precisamente per ricever di nuovo il Sacramento del Battesimo, che nessuno deve rinnovare in un uomo battezzato, ma per ricevere nella società cattolica la vita eterna, perchè non può esser mai in grado di ottenerla, chi col Sacramento del Battesimo sia rimasto estraneo alla Chiesa cattolica ».

(P. L., 65, 692).

DOMANDA 363a.

Concilio II di Lione (1274), Professione di fede di Michele Paleologo:

« La medesima santa Romana Chiesa crede anche e insegna che son sette i Sacramenti ecclesiastici, vale a dire un solo Battesimo, e di esso s’è detto sopra; altro Sacramento è quello della Confermazione, che è conferito dai vescovi colla imposizion delle mani, cresimando i battezzati; un altro è la Penitenza, un altro l’Eucaristia, un altro il Sacramento dell’Ordine, un altro il Matrimonio, un altro l’Estrema Unzione, che, secondo la dottrina del beato Giacomo, s’adopera per gli infermi. Il Sacramento dell’Eucaristia la medesima Romana Chiesa lo forma col pane azimo, credendo e insegnando che nel Sacramento appunto il pane si transustanzia davvero nel corpo e il vino nel sangue del Signor nostro Gesù Cristo. Quanto poi al Matrimonio crede che non si permette che un solo marito abbia più mogli contemporaneamente, né una donna più mariti. Ma, sciolto il legittimo matrimonio per la morte dell’uno de’ coniugi, afferma che sono lecite successivamente le seconde e poi le terze nozze: purché non s’opponga per qualche ragione un altro impedimento canonico ».

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis:

Il secondo sacramento è la Confermazione; e di esso materia è il crisma composto di olio, che significa la purezza di coscienza, e del balsamo, che significa il profumo della buona fama, benedetto dal vescovo. La forma poi è: Io ti segno della croce e ti confermo col crisma della salute nel nome del Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo. Ordinario ministro è il vescovo. E, mentre un semplice sacerdote può compiere tutte l’altre unzioni, quest’altra non la deve conferire se non il vescovo: perchè si legge de’ soli Apostoli, de’ quali tengono le veci i vescovi, che davano lo Spirito Santo per mezzo dell’imposizione della mano, come fa chiaro il passo degli Atti degli Apostoli: Ora, avendo udito gli Apostoli, che erano in Gerusalemme, che Samaria aveva ricevuto la parola di Dio, mandarono là Pietro e Giovanni. E, com’essi vi giunsero, pregarono per loro perchè ricevessero lo Spirito Santo; non ancora infatti era sceso su alcuno di essi, ma soltanto eran stati battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano su di essi le mani e ricevevano lo Spirito Santo (Atti, VIII, 14 ss.). Orbene nella Chiesa si conferisce la Confermazione i n luogo di quella imposizion delle mani. Si legge tuttavia che qualche volta, con dispensa della Sede Apostolica, per causa ragionevole e assai urgente, un semplice sacerdote, consacrato il crisma dal Vescovo, amministrò con esso il Sacramento della Confermazione. L’effetto poi di questo Sacramento è che in esso è conferito lo Spirito Santo per rinvigorire, come fu dato agli Apostoli nel giorno della Pentecoste, affinchè il cristiano confessi coraggiosamente il nome di Cristo. E perciò il cresimando è unto sulla fronte, sede della timidezza, affinchè non arrossisca di professare il nome di Cristo e specialmente la Croce di lui, la quale è scandalo per i Giudei e per le Genti una stoltezza (ai Cor., I , 23), come dice l’Apostolo; perciò è segnato col segno della croce ».

(Mansi, XXXI, 1055 s.).

Concilio di Trento, sess. VII, Del Sacramento della Confermazione:

« Can. 1. Sia scomunicato chi afferma che la Confermazione dei battezzati è una cerimonia oziosa e non piuttosto un vero e proprio Sacramento, oppure che una volta fu nient’altro che un insegnamento catechistico, col quale i fanciulli vicini all’adolescenza esponevano in cospetto alla Chiesa la ragione della loro fede ».

« Can. 2. Sia scomunicato chi afferma che fanno ingiuria allo Spirito Santo coloro i quali attribuiscono qualche virtù al sacro crisma della Confermazione ».

« Can. 3. Sia scomunicato chi afferma che l’ordinario ministro della santa Confermazione non è solamente il Vescovo, ma qualsiasi semplice sacerdote ».

Innocenzo III, Epist. Cum venisset, 25 febbr. 1204, ad Basili um archiep. Trinovitanum:

« L’imposizione della mano, che con altro nome si chiama Confermazione, è designata per mezzo dell’unzione della fronte, perché per mezzo di essa è dato lo Spirito Santo ad aumento e irrobustimento. Onde, mentre un semplice sacerdote o presbitero può compiere tutte l’altre unzioni, questa non la può conferire se non il sommo sacerdote cioè il vescovo, perché dei soli Apostoli, di cui i vescovi son vicari, si legge che comunicavano lo Spirito Santo per l’imposizione della mano

(Atti, VIII, 14 ss.) ».

(P. L., 215, 285).

Pio X, Decreto Lamentabili, 3 luglio 1907, prop. 44 tra le condannate:

« Niente dimostra che il rito del Sacramento della Cresima sia stato introdotto dagli Apostoli; ma la formale distinzione tra i due Sacramenti, cioè Battesimo e Confermazione, non entra nella storia del cristianesimo primitivo ».

(Acta Apost. Sedis, XL, 473).

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses, XXI, (mist. III), 3:

« Guardati dal sospettare che questo sia unguento nudo e crudo. Difatti come il pane dell’Eucaristia, dopo l’invocazione dello Spirito Santo, non è più pane ordinario, ma corpo di Cristo, così anche codesto santo unguento non è più unguento puro, o, se piace meglio dir così, comune, dopo l’invocazione, ma donativo di Cristo e dello Spirito Santo, divenuto efficace per presenza della sua divinità. Ed esso viene simbolicamente spalmato sulla fronte e sugli altri tuoi sensi. E, mentre il corpo è unto coll’unguento visibile, l’anima è santificata dal santo Spirito vivificatore ».

(P. G., 33, 1090 ss.).

S. Cirillo d’Alessandria, In Joel, 32:

« Ci è stata data, come pioggia, l’acqua vivace del sacro Battesimo e, come frumento, un pane vivo e, come vino, un sangue. S’è aggiunto similmente l’uso dell’olio, affinchè conferisse perfezione ai giustificati in Cristo per mezzo del santo Battesimo » .

(P. G., 71, 374).

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XI – “DIVINI REDEMPTORIS”

La Divini Redemptoris è un’Enciclica magistrale del Pontefice Pio XI che ha per tema la denuncia della perversa ideologia comunista nei confronti della dottrina sociale della Chiesa Cattolica, diametralmente opposta, che da par suo, maestra dei popoli e luce per l’umanità tutta, l’ha definita in modo infallibile sulla scorta dei principi evangelici fissati dall’irreformabile Magistero apostolico. Il comunismo, già nome di una setta protestante della prosapia degli anabattisti, è l’ennesimo travestimento della gnosi e del panteismo satanico. In realtà l’idea che soggiace all’apparente truffaldina filantropia pro poveri-operai, è che, poiché tutto l’universo è Dio stesso in espansione evolutiva, e noi tutti siamo fiammelle divine, cioè parti di Dio: … ergo, tutti abbiamo il diritto di possedere tutto, e nessuno può arrogarsi il diritto di appropriarsi di una cosa qualsiasi che invece, essendo parte immanente di Dio, appartiene a tutti (… case, campi, donne e figli compresi). Questa idea bislacca o se volete, tragicomica (.. che era già quella stessa di Platone e dei neoplatonici alessandrini, oltre che degli gnostici di ogni tempo e di ogni latitudine…), ovviamente suggerita dal serpente maledetto ai suoi adepti, tutti aderenti a logge massoniche o professanti culti magico-esoterici, è esattamente all’opposto dell’insegnamento apostolico come sottolinea il Santo Padre nella presente enciclica: « … Conseguentemente Dio l’ha dotato – l’uomo – di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà ». Se pensiamo che la setta gnostico-modernista insediata in Vaticano – là dove abita satana, dice l’Apocalisse –, deponendo la sua maschera luciferina, professa oggi la stessa dottrina marxista che nega la proprietà privata in nome di un pauperismo spacciato come francescano – che è però quello dei condannati con l’anatema da Giovanni XXII, i “fraticelli” medioevali, la setta che tra i suoi eretici simpatizzanti annoverava nientemeno che lo gnostico-sodomita, il nemico giurato del primato Pontificio e del Vicario di Cristo, lo scopiazzatore di poemi arabi, ma sì, proprio lui: Dante Alighieri, mascherato – per fuggire all’inquisizione – da tomista ipocrita … ma questa è un’altra storia anche se la radice è la medesima, per appunto il panteismo anticristiano. Ed ancora il comunismo ha oggi assunto un aspetto da farsa teatrale mondialista in mano a poche vipere della razza – come li stroncava s. Giovanni Battista-, imponendosi col terrore mediatico sanitario e finanziario, a braccetto con la bestia del falso Cristianesimo degli apostati montini-conciliari che “reggono il moccolo”, in attesa di imporre la religione unica mondiale, quella noachide del Corona-lucifero e della statua della bestia dell’anticristo da porre in adorazione “controllata da chip sottopelle” nel tempio santo. – Per il resto l’Enciclica è un documento straordinario che non ha bisogno di commenti, ma solo di riflessione e – per chi ha ancora qualche neurone funzionante – di santa condivisione.

LETTERA ENCICLICA

DIVINI REDEMPTORIS

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI, PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI CHE HANNO PACE E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA,

SUL COMUNISMO ATEO

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

1. – La promessa di un divino Redentore illumina la prima pagina della storia dell’umanità; e così la fiduciosa speranza di tempi migliori lenì il rimpianto del « paradiso » perduto e accompagnò il genere umano nel suo tribolato cammino, « finché nella pienezza dei tempi » il Salvatore del mondo, venendo sulla terra, compì l’attesa e inaugurò una nuova civiltà universale, la civiltà cristiana, immensamente superiore a quella che l’uomo aveva fino allora laboriosamente raggiunto in alcune nazioni più privilegiate.

2. – Ma la lotta fra il bene e il male rimase nel mondo come triste retaggio della colpa originale; e l’antico tentatore non ha mai desistito dall’ingannare l’umanità con false promesse. Perciò nel corso dei secoli uno sconvolgimento è succeduto all’altro fino alla rivoluzione dei nostri giorni, la quale o già imperversa o seriamente minaccia, si può dire, dappertutto e supera in ampiezza e violenza quanto si ebbe a sperimentare nelle precedenti persecuzioni contro la Chiesa. Popoli interi si trovano nel pericolo di ricadere in una barbarie peggiore di quella in cui ancora giaceva la maggior parte del mondo all’apparire del Redentore.

3. – Questo pericolo tanto minaccioso, Voi l’avete già compreso, Venerabili Fratelli, è il « comunismo bolscevico » ed ateo che mira a capovolgere l’ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana.

I

ATTEGGIAMENTO DELLA CHIESA DI FRONTE AL COMUNISMO

CONDANNE ANTERIORI

4. – Di fronte a tale minaccia la Chiesa Cattolica non poteva tacere e non tacque. Non tacque specialmente questa Sede Apostolica, che sa essere sua specialissima missione la difesa della verità e della giustizia e di tutti quei beni eterni che il comunismo misconosce e combatte. Fin dai tempi in cui i circoli colti pretesero liberare la civiltà umana dai legami della morale e della religione, i Nostri Predecessori attirarono l’attenzione del mondo apertamente ed esplicitamente alle conseguenze della scristianizzazione della società umana. E quanto al comunismo, già fin dal 1846 il venerato Nostro Predecessore Pio IX di s. mem. pronunciò solenne condanna, confermata poi nel Sillabo, contro « quella nefanda dottrina del cosiddetto comunismo sommamente contraria allo stesso diritto naturale, la quale, una volta ammessa, porterebbe al radicale sovvertimento dei diritti, delle cose, delle proprietà di tutti, e della stessa società umana » . Più tardi, l’altro Nostro Predecessore d’immortale memoria, Leone XIII, nell’Enciclica Quod Apostolici muneris lo definiva « peste distruggitrice, la quale, intaccando il midollo della società umana, la condurrebbe alla rovina »; e con chiara visione indicava che i movimenti atei delle masse nell’epoca del tecnicismo traevano origine da quella filosofia, che già da secoli cercava separare la scienza e la vita dalla fede e dalla Chiesa.

ATTI DEL PRESENTE PONTIFICATO

5. – Noi pure durante il Nostro pontificato abbiamo sovente e con premurosa insistenza denunziate le correnti atee minacciosamente crescenti. Quando nel 1924 la Nostra missione di soccorso ritornava dall’Unione Sovietica, Ci siamo pronunziati contro il comunismo in apposita Allocuzione diretta al mondo intero. Nelle Nostre Encicliche Miserentissimus Redemptor, Quadragesimo anno, Caritate Christi, Acerba animi, Dilectissima Nobis, abbiamo elevato solenne protesta contro le persecuzioni scatenate ora in Russia, ora nel Messico, ora nella Spagna; né si è ancora spenta l’eco universale di quelle allocuzioni da Noi tenute l’anno scorso in occasione dell’inaugurazione della Mostra mondiale della stampa cattolica, dell’udienza ai profughi spagnoli e del Messaggio radiofonico per la festa del Santo Natale. Persino gli stessi più accaniti nemici della Chiesa, i quali da Mosca dirigono questa lotta contro la civiltà cristiana, con i loro ininterrotti attacchi a parole e a fatti rendono testimonianza che il Papato, anche ai giorni nostri, ha continuato fedelmente a tutelare il santuario della Religione Cristiana, e più frequentemente e in modo più persuasivo che qualsiasi altra pubblica autorità terrena ha richiamato l’attenzione sul pericolo comunista.

NECESSITÀ DI UN ALTRO DOCUMENTO SOLENNE

6. – Ma nonostante questi ripetuti avvertimenti paterni, che sono stati da Voi, Venerabili Fratelli, con Nostra grande soddisfazione, così fedelmente trasmessi e commentati ai fedeli con tante vostre recenti lettere pastorali anche collettive, il pericolo sotto la spinta di abili agitatori non fa che aggravarsi di giorno in giorno. Perciò Noi Ci crediamo in dovere di elevare di nuovo la Nostra voce con un documento ancora più solenne, com’è costume di questa Sede Apostolica, maestra di verità, e come lo rende naturale il fatto che un tale documento è nel desiderio di tutto il mondo cattolico. E confidiamo che l’eco della Nostra voce giunga dovunque si trovino menti scevre di pregiudizi e cuori sinceramente desiderosi del bene dell’umanità; tanto più che la Nostra parola ora viene dolorosamente avvalorata dalla vista dei frutti amari delle idee sovversive, quali Noi abbiamo previsti e preannunziati e che si vanno paurosamente moltiplicando nei paesi già dominati dal comunismo e che minacciosamente incombono agli altri paesi del mondo.

7. – Noi, quindi, vogliamo ancora una volta esporre in breve sintesi i princìpi del comunismo ateo come si manifestano principalmente nel bolscevismo, con i suoi metodi di azione, contrapponendo a questi falsi princìpi la luminosa dottrina della Chiesa ed inculcando di nuovo con insistenza i mezzi con i quali la civiltà cristiana, sola civiltà veramente umana, può essere salvata da questo satanico flagello e maggiormente sviluppata, per il vero benessere dell’umana società.

II

DOTTRINA E FRUTTI DEL COMUNISMO

DOTTRINA

Falso ideale

8. – Il comunismo di oggi, in modo più accentuato di altri simili movimenti del passato, nasconde in sé un’idea di falsa redenzione. Uno pseudo-ideale di giustizia, di uguaglianza e di fraternità nel lavoro, pervade tutta la sua dottrina, e tutta la sua attività d’un certo falso misticismo, che alle folle adescate da fallaci promesse comunica uno slancio e un entusiasmo contagioso, specialmente in un tempo come il nostro, in cui da una distribuzione difettosa delle cose di questo mondo risulta una miseria non consueta. Si vanta anzi questo pseudo-ideale come se fosse stato iniziatore di un certo progresso economico, il quale, quando è reale, si spiega con ben altre cause, come con l’intensificare la produzione industriale in paesi che ne erano quasi privi, valendosi anche di enormi ricchezze naturali, e con l’uso di metodi brutali per fare ingenti lavori con poca spesa.

Materialismo evoluzionistico di Marx

9. – La dottrina che il comunismo nasconde sotto apparenze talvolta così seducenti, in sostanza oggi si fonda sui princìpi già predicati da C. Marx del materialismo dialettico e del materialismo storico, di cui i teorici del bolscevismo pretendono possedere l’unica genuina interpretazione. Questa dottrina insegna che esiste una sola realtà, la materia, con le sue forze cieche, la quale evolvendosi diventa pianta, animale, uomo. Anche la società umana non ha altro che un’apparenza e una forma della materia che si evolve nel detto modo, e per ineluttabile necessità tende, in un perpetuo conflitto delle forze, verso la sintesi finale: una società senza classi. In tale dottrina, com’è evidente, non vi è posto per l’idea di Dio, non esiste differenza fra spirito e materia, né tra anima e corpo; non si dà sopravvivenza dell’anima dopo la morte, e quindi nessuna speranza in un’altra vita. Insistendo sull’aspetto dialettico del loro materialismo, i comunisti pretendono che il conflitto, che porta il mondo verso la sintesi finale, può essere accelerato dagli uomini. Quindi si sforzano di rendere più acuti gli antagonismi che sorgono fra le diverse classi della società; e la lotta di classe, con i suoi odi e le sue distruzioni, prende l’aspetto d’una crociata per il progresso dell’umanità. Invece, tutte le forze, quali che esse siano, che resistono a quelle violenze sistematiche, debbono essere annientate come nemiche del genere umano.

A che cosa si riducono l’uomo e la famiglia

10. – Inoltre il comunismo spoglia l’uomo della sua libertà, principio spirituale della sua condotta morale; toglie ogni dignità alla persona umana e ogni ritegno morale contro l’assalto degli stimoli ciechi. All’uomo individuo non è riconosciuto, di fronte alla collettività, alcun diritto naturale della personalità umana, essendo essa, nel comunismo, semplice ruota e ingranaggio del sistema. Nelle relazioni poi degli uomini fra loro è sostenuto il principio dell’assoluta uguaglianza, rinnegando ogni gerarchia e ogni autorità che sia stabilita da Dio, compresa quella dei genitori; ma tutto ciò che tra gli uomini esiste della cosiddetta autorità e subordinazione, tutto deriva dalla collettività come da primo e unico fonte. Né viene accordato agli individui diritto alcuno di proprietà sui beni di natura e sui mezzi di produzione, poiché, essendo essi sorgente di altri beni, il loro possesso condurrebbe al potere di un uomo sull’altro. Per questo appunto dovrà essere distrutta radicalmente questa sorta di proprietà privata, come la prima sorgente di ogni schiavitù economica.

11. – Rifiutando alla vita umana ogni carattere sacro e spirituale, una tale dottrina naturalmente fa del matrimonio e della famiglia una istituzione puramente artificiale e civile, ossia il frutto di un determinato sistema economico; viene rinnegata l’esistenza di un vincolo matrimoniale di natura giuridico-morale che sia sottratto al beneplacito dei singoli o della collettività, e, conseguentemente, l’indissolubilità di esso. In particolare per il comunismo non esiste alcun legame della donna con la famiglia e con la casa. Esso, proclamando il principio dell’emancipazione della donna, la ritira dalla vita domestica e dalla cura dei figli per trascinarla nella vita pubblica e nella produzione collettiva nella stessa misura che l’uomo, devolvendo alla collettività la cura del focolare e della prole. È negato infine ai genitori il diritto di educare, essendo questo concepito come un diritto esclusivo della comunità, nel cui nome soltanto e per suo mandato i genitori possono esercitarlo.

Che cosa diventerebbe la società

12 – Che cosa sarebbe dunque la società umana, basata su tali fondamenti materialistici? Sarebbe una collettività senz’altra gerarchia che quella del sistema economico. Essa avrebbe come unica missione la produzione dei beni per mezzo del lavoro collettivo e per fine il godimento dei beni della terra in un paradiso in cui ciascuno « darebbe secondo le sue forze, e riceverebbe secondo i suoi bisogni ». Alla collettività il comunismo riconosce il diritto, o piuttosto l’arbitrio illimitato, di aggiogare gli individui al lavoro collettivo, senza riguardo al loro benessere personale, anche contro la loro volontà e persino con la violenza. In essa tanto la morale quanto l’ordine giuridico non sarebbero se non un’emanazione del sistema economico del tempo, di origine quindi terrestre, mutevole e caduca. In breve, si pretende di introdurre una nuova epoca e una nuova civiltà, frutto soltanto di una cieca evoluzione: « una umanità senza Dio ».

13. – Quando poi le qualità collettive saranno finalmente acquisite da tutti, in quella condizione utopistica di una società senza alcuna differenza di classi, lo Stato politico, che ora si concepisce solo come lo strumento di dominazione dei capitalisti sui proletari, perderà ogni sua ragione d’essere e si « dissolverà »; però, finché questa beata condizione non sarà attuata, lo Stato e il potere statale sono per il comunismo il mezzo più efficace e più universale per conseguire il suo fine.

14. – Ecco, Venerabili Fratelli, il nuovo presunto Vangelo, che il comunismo bolscevico ed ateo annunzia all’umanità, quasi messaggio salutare e redentore! Un sistema, pieno di errori e sofismi, contrastante sia con la ragione sia con la rivelazione divina; sovvertitore dell’ordine sociale, perché equivale alla distruzione delle sue basi fondamentali, misconoscitore della vera origine della natura e del fine dello Stato, negatore dei diritti della personalità umana, della sua dignità e libertà.

DIFFUSIONE

Abbaglianti promesse

15. – Ma come mai può avvenire che un tale sistema, scientificamente da lungo tempo sorpassato, confutato dalla realtà pratica; come può avvenire, diciamo, che un tale sistema possa diffondersi così rapidamente in tutte le parti del mondo? La spiegazione sta nel fatto che assai pochi hanno potuto penetrare la vera natura del comunismo; i più invece cedono alla tentazione abilmente presentata sotto le più abbaglianti promesse. Con il pretesto che si vuole soltanto migliorare la sorte delle classi lavoratrici, togliere abusi reali prodotti dall’economia liberale e ottenere una più equa distribuzione dei beni terreni (scopi senza dubbio pienamente legittimi), e approfittando della mondiale crisi economica, si riesce ad attirare nella sfera d’influenza del comunismo anche quei ceti della popolazione che per principio rigettano ogni materialismo e ogni terrorismo. E siccome ogni errore contiene sempre una parte di vero, questo lato della verità che abbiamo accennato, messo astutamente in mostra a tempo e luogo per coprire, quando conviene, la crudezza ributtante e inumana dei princìpi e dei metodi del comunismo, seduce anche spiriti non volgari, fino a diventarne a loro volta gli apostoli presso giovani intelligenze ancora poco atte ad avvertirne gli intrinseci errori. I banditori del comunismo sanno inoltre approfittare anche degli antagonismi di razza, delle divisioni od opposizioni di diversi sistemi politici, perfino del disorientamento nel campo della scienza senza Dio, per infiltrarsi nelle Università e corroborare i princìpi della loro dottrina con argomenti pseudo-scientifici.

Il liberalismo gli ha preparato la strada

16. – Per spiegare poi come il comunismo sia riuscito a farsi accettare senza esame da tante masse di operai, conviene ricordarsi che questi vi erano già preparati dall’abbandono religioso e morale nel quale erano stati lasciati dall’economia liberale. Con i turni di lavoro anche domenicale non si dava loro tempo neppur di soddisfare ai più gravi doveri religiosi nei giorni festivi; non si pensava a costruire chiese presso le officine né a facilitare l’opera del sacerdote; anzi si continuava a promuovere positivamente il laicismo. Si raccoglie dunque ora l’eredità di errori dai Nostri Predecessori e da Noi stessi tante volte denunciati, e non è da meravigliarsi che in un mondo già largamente scristianizzato dilaghi l’errore comunista.

Propaganda astuta e vastissima

17. – Inoltre la diffusione così rapida delle idee comuniste, che si infiltrano in tutti i paesi grandi e piccoli, colti e meno sviluppati, sicché nessun angolo della terra è libero da esse, si spiega con una propaganda veramente diabolica quale forse il mondo non ha mai veduto: propaganda diretta da un solo centro e che abilissimamente si adatta alle condizioni dei diversi popoli; propaganda che dispone di grandi mezzi finanziari, di gigantesche organizzazioni, di congressi internazionali, di innumerevoli forze ben addestrate; propaganda che si fa attraverso fogli volanti e riviste, nei cinematografi, nei teatri, con la radio, nelle scuole e persino nelle Università, penetrando a poco a poco in tutti i ceti delle popolazioni anche migliori, senza che quasi si accorgano del veleno che sempre più pervade le menti e i cuori.

Congiura del silenzio nella stampa

18 – Un terzo potente aiuto al diffondersi del comunismo è una vera congiura del silenzio in grande parte della stampa mondiale non cattolica. Diciamo congiura, perché non si può altrimenti spiegare che una stampa così avida di mettere in rilievo anche i piccoli incidenti quotidiani, abbia potuto per tanto tempo tacere degli orrori commessi in Russia, nel Messico e anche in gran parte della Spagna, e parli relativamente così poco d’una tanto vasta organizzazione mondiale quale è il comunismo di Mosca. Questo silenzio è dovuto in parte a ragioni di una politica meno previdente, ed è favorito da varie forze occulte le quali da tempo cercano di distruggere l’ordine sociale cristiano.

DOLOROSI EFFETTI

Russia e Messico

19. – Intanto i dolorosi effetti di quella propaganda ci stanno dinanzi. Dove il comunismo ha potuto affermarsi e dominare — e qui Noi pensiamo con singolare affetto paterno ai popoli della Russia e del Messico —, ivi si è sforzato con ogni mezzo di distruggere (e lo proclama apertamente) fin dalle loro basi la civiltà e la religione cristiana, spegnendone nel cuore degli uomini, specie della gioventù, ogni ricordo. Vescovi e sacerdoti sono stati banditi, condannati ai lavori forzati, fucilati e messi a morte in maniera inumana; semplici laici, per aver difeso la religione, sono stati sospettati, vessati, perseguitati e trascinati nelle prigioni e davanti ai tribunali.

Orrori del comunismo nella Spagna

20. – Anche là dove, come nella Nostra carissima Spagna il flagello comunista non ha avuto ancora il tempo di far sentire tutti gli effetti delle sue teorie, vi si è, in compenso, scatenato purtroppo con una violenza più furibonda. Non si è abbattuta l’una o l’altra chiesa, questo o quel chiostro, ma quando fu possibile si distrusse ogni chiesa e ogni chiostro e qualsiasi traccia di religione cristiana, anche se legata ai più insigni monumenti d’arte e di scienza! Il furore comunista non si è limitato ad uccidere Vescovi e migliaia di sacerdoti, di religiosi e religiose, cercando in modo particolare quelli e quelle che proprio si occupavano con maggior impegno degli operai e dei poveri; ma fece un numero molto maggiore di vittime tra i laici di ogni ceto, che fino al presente vengono, si può dire ogni giorno, trucidati a schiere per il fatto di essere buoni cristiani o almeno contrari all’ateismo comunista. E una tale spaventevole distruzione viene eseguita con un odio, una barbarie e una efferatezza che non si sarebbero creduti possibili nel nostro secolo. – Non vi può essere uomo privato, che pensi saggiamente, né uomo di Stato, consapevole della sua responsabilità, che non rabbrividisca al pensiero che quanto oggi accade in Ispagna non abbia forse a ripetersi domani in altre nazioni civili. Frutti naturali del sistema

21. – Né si può dire che tali atrocità siano un fenomeno transitorio solito ad accompagnarsi a qualunque grande rivoluzione, isolati eccessi di esasperazione comuni ad ogni guerra; no, sono frutti naturali del sistema, che manca di ogni freno interno. Un freno è necessario all’uomo, sia individuo, sia in società. Anche i popoli barbari ebbero questo freno nella legge naturale scolpita da Dio nell’animo di ciascun uomo. E quando questa legge naturale venne meglio osservata, si videro antiche nazioni assurgere ad una grandezza che abbaglia ancora, più di quel che converrebbe, certi superficiali studiosi della storia umana. Ma se si strappa dal cuore degli uomini l’idea stessa di Dio, essi necessariamente sono dalle loro passioni sospinti alla più efferata barbarie.

Lotta contro tutto ciò che è divino

22. – È quello che purtroppo stiamo vedendo: per la prima volta nella storia stiamo assistendo ad una lotta freddamente voluta, e accuratamente preparata dell’uomo contro « tutto ciò che è divino ». Il comunismo è per sua natura antireligioso, e considera la religione come « l’oppio del popolo » perché i princìpi religiosi che parlano della vita d’oltre tomba, distolgono il proletario dal mirare al conseguimento del paradiso sovietico, che è di questa terra.

Il terrorismo

23. – Ma non si calpesta impunemente la legge naturale e l’Autore di essa: il comunismo non ha potuto né potrà ottenere il suo intento neppure nel campo puramente economico. È vero che nella Russia ha potuto contribuire a scuotere uomini e cose da una lunga e secolare inerzia, e ottenere con ogni sorta di mezzi, spesso senza scrupoli, qualche successo materiale; ma sappiamo per testimonianze non sospette, anche recentissime, che di fatto neppur là ha raggiunto lo scopo che aveva promesso; senza contare poi la schiavitù che il terrorismo ha imposto a milioni di uomini. Anche nel campo economico è pur necessaria qualche morale, qualche sentimento della responsabilità, che invece non trova posto in un sistema prettamente materialistico come il comunismo. Per sostituirlo non rimane che il terrorismo, quale appunto vediamo ora nella Russia, dove gli antichi compagni di congiura e di lotta si dilaniano a vicenda; un terrorismo, il quale per altro non riesce ad arginare né la corruzione dei costumi, e neppure il dissolvimento della compagine sociale.

UN PATERNO PENSIERO AI POPOLI OPPRESSI IN RUSSIA

24. – Con questo però non vogliamo in nessuna maniera condannare in massa i popoli dell’Unione Sovietica, per i quali nutriamo il più vivo affetto paterno. Sappiamo che non pochi di essi gemono sotto il duro giogo loro imposto con la forza da uomini in massima parte estranei ai veri interessi del paese, e riconosciamo che molti altri furono ingannati da fallaci speranze. Noi colpiamo il sistema e i suoi autori e fautori, i quali hanno considerato la Russia come terreno più adatto per introdurre in pratica un sistema già elaborato da decenni, e di là continuano a propagarlo in tutto il mondo.

III

OPPOSTA LUMINOSA DOTTRINA DELLA CHIESA

25. – Esposti così gli errori e i mezzi violenti e ingannevoli del comunismo bolscevico ed ateo, è tempo ormai, Venerabili Fratelli, di opporgli brevemente la vera nozione della civiltà umana, della umana Società, quale ce l’insegnano la ragione e la rivelazione per il tramite della Chiesa Magistra gentium, e quale Voi già conoscete.

SUPREMA REALTÀ: DIO!

26. – Al di sopra di ogni altra realtà sta il sommo, unico supremo Essere, Dio, Creatore onnipotente di tutte le cose, Giudice sapientissimo e giustissimo di tutti gli uomini. Questa suprema realtà, Dio, è la condanna più assoluta delle impudenti menzogne del comunismo. E in verità, non perché gli uomini credono, Dio è; ma perché Egli è, perciò lo crede e lo prega chiunque non chiuda volontariamente gli occhi di fronte alla verità.

CHE COSA SONO L’UOMO E LA FAMIGLIA SECONDO LA RAGIONE E LA FEDE

27. – Quanto a ciò che la ragione e la fede dicono dell’uomo, Noi abbiamo esposto i punti fondamentali nell’Enciclica sull’educazione cristiana. L’uomo ha un’anima spirituale e immortale; è una persona, dal Creatore ammirabilmente fornita di doni di corpo e di spirito, un vero « microcosmo » come dicevano gli antichi, un piccolo mondo, che vale di gran lunga più di tutto l’immenso mondo inanimato. Egli ha in questa e nell’altra vita solo Dio per ultimo fine; è dalla grazia santificante elevato al grado di figlio di Dio e incorporato al regno di Dio nel mistico Corpo di Cristo. Conseguentemente Dio l’ha dotato di molteplici e svariate prerogative: diritto alla vita, all’integrità del corpo, ai mezzi necessari all’esistenza; diritto di tendere al suo ultimo fine nella via tracciata da Dio; diritto all’associazione, alla proprietà, e all’uso della proprietà.

28. – Come il matrimonio e il diritto all’uso naturale di esso sono di origine divina, così anche la costituzione e le prerogative fondamentali della famiglia sono state determinate e fissate dal Creatore stesso, non dall’arbitrio umano né da fattori economici. Nell’Enciclica sul matrimonio cristiano e nell’altra Nostra, sopra accennata, sull’educazione, Ci siamo largamente diffusi su questi argomenti.

CHE COSA È LA SOCIETÀ

Mutui diritti e doveri tra l’uomo e la società

29. – Ma Dio ha in pari tempo ordinato l’uomo anche alla società civile, richiesta dalla sua stessa natura. Nel piano del Creatore la società è un mezzo naturale, di cui l’uomo può e deve servirsi per il raggiungimento del suo fine, essendo la società umana per l’uomo, e non viceversa. Ciò non è da intendersi nel senso del liberalismo individualistico, che subordina la società all’uso egoistico dell’individuo; ma solo nel senso che, mediante l’unione organica con la società, sia a tutti resa possibile per la mutua collaborazione l’attuazione della vera felicità terrena; inoltre nel senso che nella società trovano sviluppo tutte le doti individuali e sociali, inserite nella natura umana, le quali sorpassano l’immediato interesse del momento e rispecchiano nella società la perfezione divina: ciò nell’uomo isolato non potrebbe verificarsi. Ma anche quest’ultimo scopo è in ultima analisi in ordine all’uomo, perché riconosca questo riflesso della perfezione divina, e lo rimandi così in lode e adorazione al Creatore. Solo l’uomo, la persona umana, e non una qualsiasi società umana, è dotato di ragione e di volontà moralmente libera.

30. – Pertanto come l’uomo non può esimersi dai doveri voluti da Dio verso la società civile, e i rappresentanti dell’autorità hanno il diritto, quando egli si rifiutasse illegittimamente, di costringerlo al compimento del proprio dovere, così la società non può frodare l’uomo dei diritti personali, che gli sono stati concessi dal Creatore, i più importanti dei quali sono stati da Noi sopra accennati, né di rendergliene impossibile per principio l’uso. È quindi conforme alla ragione e da essa voluto che alla fin fine tutte le cose terrestri siano ordinate alla persona umana, affinché per mezzo suo esse trovino la via verso il Creatore. E si applica all’uomo, alla persona umana, ciò che l’Apostolo delle Genti scrive ai Corinti sull’economia della salvezza cristiana: «Tutto è vostro, voi siete di Cristo, Cristo è di Dio » . Mentre il comunismo impoverisce la persona umana, capovolgendo i termini della relazione dell’uomo e della società, la ragione e la rivelazione la elevano così in alto!

L’ordine economico-sociale

31. – Sull’ordine economico-sociale i princìpi direttivi sono stati esposti nell’Enciclica sociale di Leone XIII sulla questione del lavoro, e nella Nostra sulla ricostruzione dell’ordine sociale sono stati adattati alle esigenze del tempo presente. Poi, insistendo di nuovo sulla dottrina secolare della Chiesa, circa il carattere individuale e sociale della proprietà privata, Noi abbiamo precisato il diritto e la dignità del lavoro, i rapporti di vicendevole appoggio e aiuto che devono esistere tra quelli che detengono il capitale e quelli che lavorano, il salario dovuto per stretta giustizia all’operaio per sé e per la sua famiglia.

32. – Nella stessa Nostra Enciclica abbiamo mostrato che i mezzi per salvare il mondo attuale dalla triste rovina prodotta dal liberalismo amorale non consistono nella lotta di classe e nel terrore, e neppure nell’abuso autocratico del potere statale, ma nella penetrazione della giustizia sociale e del sentimento di amore cristiano nell’ordine economico e sociale. Abbiamo mostrato come una sana prosperità deve essere ricostruita secondo i veri princìpi di un sano corporativismo che rispetti la debita gerarchia sociale, e come tutte le corporazioni devono unirsi in un’armonica unità, ispirandosi al principio del bene comune della società. E la missione più genuina e principale del potere pubblico e civile consiste appunto nel promuovere efficacemente questa armonia e la coordinazione di tutte le forze sociali. Gerarchia sociale e prerogative dello Stato

33. – In vista di questa collaborazione organica per il conseguimento della tranquillità, la dottrina cattolica rivendica allo Stato la dignità e l’autorità di un vigilante e previdente difensore dei diritti divini e umani, sui quali le Sacre Scritture e i Padri della Chiesa insistono tanto spesso. Non è vero che tutti abbiamo uguali diritti nella società civile, e che non esista legittima gerarchia. Ci basti richiamarCi alle Encicliche di Leone XIII, sopra accennate, specialmente a quella sul potere dello Stato [18] e all’altra sopra la costituzione cristiana dello Stato [19]. In esse il cattolico trova esposti luminosamente i princìpi della ragione e della fede, che lo renderanno capace di proteggersi contro gli errori e i pericoli della concezione statale comunista. La spoliazione dei diritti e l’asservimento dell’uomo, il rinnegamento dell’origine prima e trascendente dello Stato e del potere statale, l’abuso orribile del potere pubblico a servizio del terrorismo collettivista sono proprio il contrario di ciò che corrisponde all’etica naturale e alla volontà del Creatore. Sia l’uomo sia la società civile traggono origine dal Creatore, e sono da Lui mutuamente ordinati l’uno all’altra; quindi nessuno dei due può esimersi dai doveri correlativi, né rinnegarne o menomarne i diritti. Il Creatore stesso ha regolato questo mutuo rapporto nelle sue linee fondamentali ed è ingiusta usurpazione quella che il comunismo si arroga, d’imporre cioè in luogo della legge divina basata sugli immutabili princìpi della verità e della carità, un programma politico di partito, che promana dall’arbitrio umano ed è pieno di odio.

BELLEZZA DI TALE DOTTRINA DELLA CHIESA

34. – La Chiesa, nell’insegnare questa luminosa dottrina, non ha altra mira che di attuare il felice annunzio cantato dagli Angeli sulla grotta di Betlemme alla nascita del Redentore: «Gloria a Dio… e… pace agli uomini… » ; pace vera e vera felicità, anche quaggiù quanto è possibile, in vista e in preparazione della felicità eterna, ma agli uomini di buona volontà. Questa dottrina è ugualmente lontana da tutti gli estremi dell’errore come da tutte le esagerazioni dei partiti o sistemi che vi aderiscono, si attiene sempre all’equilibrio della verità e della giustizia; lo rivendica nella teoria, lo applica e lo promuove nella pratica, conciliando i diritti e i doveri degli uni con quelli degli altri, come l’autorità con la libertà, la dignità dell’individuo con quella dello Stato, la personalità umana nel suddito con la rappresentanza divina nel superiore, e quindi la doverosa soggezione e l’amore ordinato di sé, della famiglia e della patria, con l’amore delle altre famiglie e degli altri popoli, fondato nell’amore di Dio, padre di tutti, primo principio ed ultimo fine. Essa non disgiunge la giusta cura dei beni temporali dalla sollecitudine degli eterni. Se quelli subordina a questi, secondo la parola del suo divino Fondatore: «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato per giunta », è lungi dal disinteressarsi delle cose umane e dal nuocere ai progressi civili e ai vantaggi materiali; anzi li sostiene e li promuove nella più ragionevole ed efficace maniera. Così, anche nel campo economico-sociale, la Chiesa, benché non abbia mai offerto un determinato sistema tecnico, non essendo questo compito suo, ha però fissato chiaramente punti e linee che, pur prestandosi a diverse applicazioni concrete secondo le varie condizioni dei tempi, dei luoghi e dei popoli, indicano la via sicura per ottenere il felice progresso della società.

35. – La saggezza e la somma utilità di questa dottrina vengono ammesse da quanti veramente la conoscono. Ben a ragione insigni statisti poterono affermare che, dopo avere studiato i diversi sistemi sociali, non avevano trovato nulla di più sapiente che i princìpi esposti nelle Encicliche Rerum novarum e Quadragesimo anno. Ma anche in paesi non cattolici, anzi neppur cristiani, si riconosce quanto siano utili per la società umana le dottrine sociali della Chiesa; così, or fa appena un mese, un eminente uomo politico dell’estremo Oriente, non cristiano, non dubitò di proclamare che la Chiesa con la sua dottrina di pace e di fraternità cristiana porta un altissimo contributo allo stabilimento e al mantenimento della pace operosa tra le nazioni. Perfino gli stessi comunisti, come sappiamo dalle sicure relazioni che affluiscono da ogni parte a questo Centro della Cristianità, se non sono ancora del tutto corrotti, quando viene loro esposta la dottrina sociale della Chiesa, ne riconoscono la superiorità sulle dottrine dei loro capi e maestri. Soltanto gli accecati dalla passione e dall’odio chiudono gli occhi alla luce della verità e la combattono ostinatamente.

È VERO CHE LA CHIESA NON HA AGITO CONFORME A TALE DOTTRINA?

36. – Ma i nemici della Chiesa, pur costretti a riconoscere la sapienza della sua dottrina, rimproverano alla Chiesa di non aver saputo agire in conformità di quei princìpi, e perciò affermano di doversi cercare altre vie. Quanto questa accusa sia falsa e ingiusta lo dimostra tutta la storia del Cristianesimo. Per non accennare che a qualche punto caratteristico, fu il Cristianesimo a proclamare per primo, in una maniera e con un’ampiezza e convinzione sconosciute ai secoli precedenti, la vera e universale fratellanza di tutti gli uomini di qualunque condizione e stirpe, contribuendo così potentemente all’abolizione della schiavitù, non con sanguinose rivolte, ma per l’interna forza della sua dottrina, che alla superba patrizia romana faceva vedere nella sua schiava una sua sorella in Cristo. Fu il Cristianesimo, che adora il Figlio di Dio fattosi uomo per amor degli uomini e divenuto come « Figlio dell’Artigiano », anzi « Artigiano » Egli stesso, fu il Cristianesimo ad innalzare il lavoro manuale alla sua vera dignità; quel lavoro manuale prima tanto disprezzato, che perfino il discreto Marco Tullio Cicerone, riassumendo l’opinione generale del suo tempo, non si peritò di scrivere queste parole di cui ora si vergognerebbe ogni sociologo: «Tutti gli artigiani si occupano in mestieri spregevoli, poiché l’officina non può avere alcunché di nobile » .

37. – Fedele a questi princìpi, la Chiesa ha rigenerato la società umana; sotto il suo influsso sorsero mirabili opere di carità, potenti corporazioni di artigiani e lavoratori d’ogni categoria, derise bensì dal liberalismo del secolo scorso come cose da Medio Evo, ma ora rivendicate all’ammirazione dei nostri contemporanei che cercano in molti paesi di farne in qualche modo rivivere il concetto. E quando altre correnti intralciavano l’opera e ostacolavano l’influsso salutare della Chiesa, questa fino ai giorni nostri non desisteva dall’ammonire gli erranti. Basti ricordare con quanta fermezza, energia e costanza il Nostro Predecessore Leone XIII rivendicasse all’operaio il diritto di associazione, che il liberalismo dominante negli Stati più potenti si accaniva a negargli. E questo influsso della dottrina della Chiesa anche al presente è più grande che non sembri, perché grande e certo, benché invisibile e non facilmente mensurabile, è il predominio delle idee sui fatti.

38. – Si può ben dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli « facendo del bene » a tutti. Non vi sarebbero né socialismo né comunismo se coloro che governavano i popoli non avessero disprezzato gli insegnamenti e i materni avvertimenti della Chiesa: essi invece hanno voluto, sulle basi del liberalismo e del laicismo, fabbricare altri edifici sociali, che sulle prime parevano potenti e grandiosi, ma ben presto si videro mancare di solidi fondamenti, e vanno miseramente crollando l’uno dopo l’altro, come deve crollare tutto ciò che non poggia sull’unica pietra angolare che è Gesù Cristo.

IV

RIMEDI E MEZZI

NECESSITÀ DI RICORRERE AI RIPARI

39. – Questa, Venerabili Fratelli, è la dottrina della Chiesa, l’unica che possa apportare vera luce, come in ogni altro campo, così anche nel campo sociale, e possa recare salvezza di fronte all’ideologia comunista. Ma bisogna che tale dottrina passi sempre più nella pratica della vita, secondo l’avvertimento dell’Apostolo San Giacomo: « Siate… operatori della parola e non semplici uditori, ingannando voi stessi »[24]; perciò quello che più urge al presente è adoperare con energia gli opportuni rimedi per opporsi efficacemente al minaccioso sconvolgimento che si va preparando. Nutriamo la ferma fiducia che almeno la passione con cui i figli delle tenebre giorno e notte lavorano alla loro propaganda materialistica e atea, valga a santamente stimolare i figli della luce ad uno zelo non dissimile, anzi maggiore, per l’onore della Maestà divina.

40. – Che cosa bisogna dunque fare, di quali rimedi servirsi per difendere Cristo e la civiltà cristiana contro quel pernicioso nemico? Come un padre nel cerchio della sua famiglia, Noi vorremmo intrattenerci quasi nell’intimità sui doveri che la grande lotta dei giorni nostri impone a tutti i figli della Chiesa, indirizzando il Nostro paterno avvertimento anche a quei figli che si sono allontanati da essa.

RINNOVAMENTO DELLA VITA CRISTIANA

Rimedio fondamentale

41. – Come in tutti i periodi più burrascosi della storia della Chiesa, così ancor oggi il fondamentale rimedio è un sincero rinnovamento di vita privata e pubblica secondo i princìpi del Vangelo in tutti coloro che si gloriano di appartenere all’Ovile di Cristo, affinché siano veramente il sale della terra che preservi la società umana da una tale corruzione.

42. – Con animo profondamente grato al Padre dei lumi, da cui discendono « ogni cosa ottima data e ogni dono perfetto », vediamo dappertutto consolanti segni di questo rinnovamento spirituale, non solo in tante anime singolarmente elette che in questi ultimi anni si sono innalzate al vertice della più sublime santità e in tante altre sempre più numerose che generosamente camminano verso la stessa luminosa meta, ma anche nel rifiorire di una pietà sentita e vissuta in tutti i ceti della società, anche nei più colti, come abbiamo rilevato nel Nostro recente Motu-proprio In multis solaciis del 28 ottobre scorso, in occasione del riordinamento della Pontificia Accademia delle Scienze.

43. – Non possiamo però negare che molto ancora resta da fare su questa via del rinnovamento spirituale. Anche in paesi cattolici, troppi sono coloro che sono cattolici quasi solo di nome; troppi coloro che, pur seguendo più o meno fedelmente le pratiche più essenziali della religione che si vantano di professare, non si curano di conoscerla meglio, di acquistarne una più intima e più profonda convinzione, e meno ancora di far sì che all’esterna vernice corrisponda l’interno splendore di una coscienza retta e pura, che sente e compie tutti i suoi doveri sotto lo sguardo di Dio. Sappiamo quanto il Divin Salvatore aborrisse questa vana e fallace esteriorità, Egli che voleva che tutti adorassero il Padre « in spirito e verità ». Chi non vive veramente e sinceramente secondo la fede che professa, non potrà oggi, mentre tanto gagliardo soffia il vento della lotta e della persecuzione, reggersi a lungo, ma verrà miseramente travolto da questo nuovo diluvio che minaccia il mondo, e così mentre si prepara da sé la propria rovina, esporrà al ludibrio anche il nome Cristiano.

Distacco dai beni terreni

44. – E qui vogliamo, Venerabili Fratelli, insistere più particolarmente sopra due insegnamenti del Signore, che hanno speciale connessione con le attuali condizioni del genere umano: il distacco dai beni terreni e il precetto della carità. «Beati i poveri di spirito » furono le prime parole che uscirono dalle labbra del Divino Maestro, nel suo sermone della montagna [28]. E questa lezione è più che mai necessaria in questi tempi di materialismo assetato dei beni e piaceri di questa terra. Tutti i cristiani, ricchi o poveri, devono sempre tener fisso lo sguardo al cielo, ricordandosi che « non abbiamo qui una città permanente, ma cerchiamo quella avvenire ». I ricchi non devono porre nelle cose della terra la loro felicità né indirizzare al conseguimento di quelle i loro sforzi migliori; ma, considerandosene solo come amministratori che sanno di doverne rendere conto al supremo Padrone, se ne valgano come di mezzi preziosi che Dio loro porge per fare del bene; e non lascino di distribuire ai poveri quello che loro avanza, secondo il precetto evangelico [30]. Altrimenti si verificherà di loro e delle loro ricchezze la severa sentenza di San Giacomo Apostolo: « Su via adesso, o ricchi, piangete, urlate a motivo delle miserie che verranno sopra di voi. Le vostre ricchezze si sono imputridite e le vostre vesti sono state ròse dalle tignole. L’oro e l’argento vostro sono arrugginiti; e la loro ruggine sarà una testimonianza contro di voi, e come fuoco divorerà le vostre carni. Avete accumulato tesori d’ira, per gli ultimi giorni…» .

45. – Ma anche i poveri, a loro volta, pur adoperandosi secondo le leggi della carità e della giustizia a provvedersi del necessario e anche a migliorare la loro condizione, devono sempre rimanere essi pure « poveri di spirito » , stimando più i beni spirituali che i beni e i godimenti terreni. Si ricordino poi che non si riuscirà mai a fare scomparire dal mondo le miserie, i dolori, le tribolazioni, alle quali sono soggetti anche coloro che all’apparenza sembrano più fortunati. Quindi, per tutti è necessaria la pazienza, quella pazienza cristiana che solleva il cuore alle divine promesse di una felicità eterna. « Siate dunque pazienti, o fratelli, — vi diremo ancora con San Giacomo — sino alla venuta del Signore. Ecco, l’agricoltore aspetta il prezioso frutto della terra, e l’aspetta con pazienza finché riceva le primizie e i frutti successivi. Siate anche voi pazienti, e rinfrancate i vostri cuori, perché la venuta del Signore è vicina » . Solo così si adempirà la consolante promessa del Signore: «Beati i poveri! » E non è questa una consolazione e una promessa vana come sono le promesse dei comunisti; ma sono parole di vita che contengono una somma realtà e che si verificano pienamente qui in terra e poi nell’eternità. Quanti poveri, infatti, in queste parole e nell’aspettativa del regno dei cieli, che è già proclamato loro proprietà: « perché il regno di Dio è vostro »[34], trovano una felicità, che tanti ricchi non trovano nelle loro ricchezze, sempre inquieti e sempre assetati come sono di averne di più.

Carità cristiana

46. – Ancora più importante, come rimedio del male di cui trattiamo, o certo più direttamente ordinato a risanarlo, è il precetto della carità. Noi pensiamo a quella carità cristiana, « paziente e benigna », la quale evita ogni aria di avvilente protezione e ogni ostentazione; quella carità che fin dagli inizi del Cristianesimo guadagnò a Cristo i più poveri tra i poveri, gli schiavi; e ringraziamo tutti coloro che nelle opere di beneficenza, dalle conferenze di San Vincenzo de’ Paoli fino alle grandi recenti organizzazioni d’assistenza sociale, hanno esercitato ed esercitano le opere della misericordia corporale e spirituale. Quanto più gli operai e i poveri sperimenteranno in se stessi ciò che lo spirito dell’amore animato dalla virtù di Cristo fa per essi, tanto più si spoglieranno del pregiudizio che il Cristianesimo abbia perduto della sua efficacia e la Chiesa stia dalla parte di quelli che sfruttano il loro lavoro.

47. – Ma quando vediamo da un lato una folla di indigenti, che per varie ragioni indipendenti da loro sono veramente oppressi dalla miseria, e dall’altro lato, accanto ad essi, tanti che si divertono spensieratamente e spendono enormi somme in cose inutili, non possiamo non riconoscere con dolore che non solo non è ben osservata la giustizia, ma che pure il precetto della carità cristiana non è approfondito abbastanza, non è vissuto nella pratica quotidiana. Desideriamo pertanto, Venerabili Fratelli, che venga sempre più illustrato con la parola e con gli scritti questo divino precetto, preziosa tessera di riconoscimento lasciata da Cristo ai suoi veri discepoli; questo precetto, che c’insegna a vedere nei sofferenti Gesù stesso e ci impone di amare i nostri fratelli come il divin Salvatore ha amato noi, cioè fino al sacrificio di noi stessi e, se occorre, anche della propria vita. Si meditino poi da tutti e spesso quelle parole, per una parte consolanti ma per l’altra terribili, della sentenza finale, che pronuncerà il Giudice Supremo nel giorno dell’estremo Giudizio: «Venite, o benedetti dal Padre mio: … perché io ebbi fame, e voi mi deste da mangiare; ebbi sete, e mi deste da bere… In verità vi dico che tutte le volte che avete fatto qualche cosa a uno di questi minimi tra i miei fratelli, l’avete fatta a me » . E di contro: «Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno…: perché io ebbi fame, e voi non mi deste da mangiare; ebbi sete, e non mi deste da bere… Io vi dico in verità che tutte le volte che voi non l’avete fatto a uno di questi minimi tra i miei fratelli, non l’avete fatto a me » .

48. – Per assicurarsi dunque la vita eterna e poter efficacemente soccorrere gli indigenti, è necessario ritornare ad una vita più modesta; rinunziare ai godimenti, spesso anche peccaminosi, che il mondo oggi offre in tanta abbondanza; dimenticare se stesso per l’amore del prossimo. Una divina forza rigeneratrice si trova in questo « precetto nuovo » (come Gesù lo chiamava) di carità cristiana, la cui fedele osservanza infonderà nei cuori un’interna pace sconosciuta al mondo, e rimedierà efficacemente ai mali che travagliano l’umanità. Doveri di stretta giustizia

49. – Ma la carità non sarà mai vera carità se non terrà sempre conto della giustizia. L’Apostolo insegna che « chi ama il prossimo, ha adempiuto la legge »; e ne dà la ragione: « poiché il Non fornicare, Non uccidere, Non rubare, … e qualsiasi altro precetto, si riassume in questa formula: Amerai il tuo prossimo come te stesso » . Se dunque, secondo l’Apostolo, tutti i doveri si riducono al solo precetto della vera carità, anche quelli che sono di stretta giustizia, come il non uccidere e il non rubare; una carità che privi l’operaio del salario a cui ha stretto diritto, non è carità, ma un vano nome e una vuota apparenza di carità. Né l’operaio ha bisogno di ricevere come elemosina ciò che a lui tocca per giustizia; né si può tentare di esimersi dai grandi doveri imposti dalla giustizia con piccoli doni di misericordia. Carità e giustizia impongono dei doveri, spesso circa la stessa cosa, ma sotto diverso aspetto; e gli operai, a questi doveri altrui che li riguardano, sono giustamente sensibilissimi per ragione della loro stessa dignità.

50. – Perciò Ci rivolgiamo in modo particolare a voi, padroni e industriali cristiani, il cui compito è spesso tanto difficile perché voi portate la pesante eredità degli errori di un regime economico iniquo che ha esercitato il suo rovinoso influsso durante più generazioni; siate voi stessi memori della vostra responsabilità. È purtroppo vero che il modo di agire di certi ambienti cattolici ha contribuito a scuotere la fiducia dei lavoratori nella religione di Gesù Cristo. Essi non volevano capire che la carità cristiana esige il riconoscimento di certi diritti, che sono dovuti all’operaio e che la Chiesa gli ha esplicitamente riconosciuti. Come è da giudicarsi l’operato di quei padroni cattolici, i quali in qualche luogo sono riusciti ad impedire la lettura della Nostra Enciclica Quadragesimo anno, nelle loro chiese patronali? o di quegli industriali cattolici che si sono mostrati fino ad oggi gli avversari di un movimento operaio da Noi stessi raccomandato? E non è da deplorare che il diritto di proprietà, riconosciuto dalla Chiesa, sia stato talvolta usato per defraudare l’operaio del suo giusto salario e dei suoi diritti sociali?

Giustizia sociale

51. – Difatti, oltre la giustizia commutativa, vi è pure la giustizia sociale, che impone anch’essa dei doveri a cui non si possono sottrarre né i padroni né gli operai. Ed è appunto proprio della giustizia sociale l’esigere dai singoli tutto ciò che è necessario al bene comune. Ma come nell’organismo vivente non viene provvisto al tutto, se non si dà alle singole parti e alle singole membra tutto ciò di cui esse abbisognano per esercitare le loro funzioni; così non si può provvedere all’organismo sociale e al bene di tutta la società se non si dà alle singole parti e ai singoli membri, cioè uomini dotati della dignità di persone, tutto quello che devono avere per le loro funzioni sociali. Se si soddisferà anche alla giustizia sociale, un’intensa attività di tutta la vita economica svolta nella tranquillità e nell’ordine ne sarà il frutto e dimostrerà la sanità del corpo sociale, come la sanità del corpo umano si riconosce da una imperturbata e insieme piena e fruttuosa attività di tutto l’organismo.

52. – Ma non si può dire di aver soddisfatto alla giustizia sociale se gli operai non hanno assicurato il proprio sostentamento e quello delle proprie famiglie con un salario proporzionato a questo fine; se non si facilita loro l’occasione di acquistare qualche modesta fortuna, prevenendo così la piaga del pauperismo universale; se non si prendono provvedimenti a loro vantaggio, con assicurazioni pubbliche o private, per il tempo della loro vecchiaia, della malattia o della disoccupazione. In una parola, per ripetere quello che abbiamo detto nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno: «Allora l’economia sociale veramente sussisterà e otterrà i suoi fini, quando a tutti e singoli i soci saranno somministrati tutti i beni che si possono apprestare con le forze e i sussidi della natura, con l’arte tecnica, con la costituzione sociale del fatto economico; i quali beni debbono essere tanti quanti sono necessari sia a soddisfare ai bisogni e alle oneste comodità, sia a promuovere gli uomini a quella più felice condizione di vita, che, quando la cosa si faccia prudentemente, non solo non è d’ostacolo alla virtù, ma grandemente la favorisce » .

53. – Se poi, come avviene sempre più frequentemente nel salariato, la giustizia non può essere osservata dai singoli, se non a patto che tutti si accordino a praticarla insieme mediante istituzioni che uniscano tra loro i datori di lavoro, per evitare tra essi una concorrenza incompatibile con la giustizia dovuta ai lavoratori, il dovere degli impresari e padroni è di sostenere e di promuovere queste istituzioni necessarie, che diventano il mezzo normale per poter adempiere i doveri di giustizia. Ma anche i lavoratori si ricordino dei loro obblighi di carità e di giustizia verso i datori di lavoro, e siano persuasi che con questo salvaguarderanno meglio anche i propri interessi.

54. – Se dunque si considera l’insieme della vita economica, — come l’abbiamo già notato nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno, — non si potrà far regnare nelle relazioni economico-sociali la mutua collaborazione della giustizia e della carità, se non per mezzo di un corpo di istituzioni professionali e interprofessionali su basi solidamente cristiane, collegate tra loro e formanti, sotto forme diverse e adattate ai luoghi e circostanze, quello che si diceva la Corporazione.

STUDIO E DIFFUSIONE DELLA DOTTRINA SOCIALE

55. – Per dare a questa azione sociale una maggiore efficacia, è assai necessario promuovere lo studio dei problemi sociali alla luce della dottrina della Chiesa e diffonderne gli insegnamenti sotto l’egida dell’autorità da Dio costituita nella Chiesa stessa. Se il modo di agire di taluni cattolici ha lasciato a desiderare nel campo economico-sociale, ciò spesso avvenne perché essi non hanno abbastanza conosciuto e meditato gli insegnamenti dei Sommi Pontefici su questo argomento. Perciò è sommamente necessario che in tutti i ceti della società si promuova una più intensa formazione sociale corrispondente al diverso grado di cultura, intellettuale, e si procuri con ogni sollecitudine e industria la più larga diffusione degli insegnamenti della Chiesa anche tra la classe operaia. Siano illuminate le menti dalla luce sicura della dottrina cattolica e inclinate le volontà a seguirla e ad applicarla come norma del retto vivere, per l’adempimento coscienzioso dei molteplici doveri sociali. Si combatta così quella incoerenza e discontinuità nella vita cristiana da Noi varie volte lamentata, per cui taluni, mentre sono apparentemente fedeli all’adempimento dei loro doveri religiosi, nel campo poi del lavoro o dell’industria o della professione o nel commercio o nell’impiego, per un deplorevole sdoppiamento di coscienza, conducono una vita troppo difforme dalle norme così chiare della giustizia e della carità cristiana, procurando in tal modo grave scandalo ai deboli e offrendo ai cattivi facile pretesto di screditare la Chiesa stessa.

56. – Grande contributo a questo rinnovamento può rendere la stampa cattolica. Essa può e deve dapprima in vari e attraenti modi far sempre meglio conoscere la dottrina sociale, informare con esattezza ma anche con la debita ampiezza sull’attività dei nemici, riferire sui mezzi di combattere che si sono mostrati i più efficaci in varie regioni, proporre utili suggerimenti e mettere in guardia contro le astuzie e gli inganni coi quali i comunisti procurano, e sono già riusciti, ad attrarre a sé uomini in buona fede.

PREMUNIRSI CONTRO LE INSIDIE DEL COMUNISMO

57. – Su questo punto abbiamo giù insistito nella Nostra Allocuzione del 12 maggio dell’anno scorso, ma crediamo necessario, Venerabili Fratelli, di dover in modo particolare richiamarvi sopra di nuovo la vostra attenzione. Il comunismo nel principio si mostrò quale era in tutta la sua perversità, ma ben presto si accorse che in tale modo allontanava da sé i popoli, e perciò ha cambiato tattica e procura di attirare le folle con vari inganni, nascondendo i propri disegni dietro idee che in sé sono buone ed attraenti. Così, vedendo il comune desiderio di pace, i capi del comunismo fingono di essere i più zelanti fautori e propagatori del movimento per la pace mondiale; ma nello stesso tempo eccitano a una lotta di classe che fa correre fiumi di sangue, e sentendo di non avere interna garanzia di pace, ricorrono ad armamenti illimitati. Così, sotto vari nomi che neppure alludono al comunismo, fondano associazioni e periodici che servono poi unicamente a far penetrare le loro idee in ambienti altrimenti a loro non facilmente accessibili; anzi procurano con perfidia di infiltrarsi in associazioni cattoliche e religiose. Così altrove, senza punto recedere dai loro perversi princìpi, invitano i cattolici a collaborare con loro sul campo così detto umanitario e caritativo, proponendo talvolta anche cose del tutto conformi allo spirito cristiano e alla dottrina della Chiesa. Altrove poi spingono l’ipocrisia fino a far credere che il comunismo in paesi di maggior fede o di maggior cultura assumerà un altro aspetto più mite, non impedirà il culto religioso e rispetterà la libertà delle coscienze. Vi sono anzi di quelli che riferendosi a certi cambiamenti introdotti recentemente nella legislazione sovietica, ne concludono che il comunismo stia per abbandonare il suo programma di lotta contro Dio.

58. – Procurate, Venerabili Fratelli, che i fedeli non si lascino ingannare! Il comunismo è intrinsecamente perverso e non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana. E se taluni indotti in errore cooperassero alla vittoria del comunismo nel loro paese, cadranno per primi come vittime del loro errore, e quanto più le regioni dove il comunismo riesce a penetrare si distinguono per l’antichità e la grandezza della loro civiltà cristiana, tanto più devastatore vi si manifesterà l’odio dei « senza Dio ».

PREGHIERA E PENITENZA

59. – Ma « se il Signore non sarà il custode della città, indarno veglia colui che la custodisce » . Perciò, come ultimo e potentissimo rimedio, vi raccomandiamo, Venerabili Fratelli, di promuovere e intensificare nel modo più efficace nelle vostre diocesi lo spirito di preghiera congiunta con la cristiana penitenza. Quando gli Apostoli chiesero al Salvatore perché non avessero essi potuto liberare dallo spirito maligno un demoniaco, il Signore rispose: «Demoni siffatti non si scacciano, se non con la preghiera e col digiuno » . Anche il male che oggi tormenta l’umanità non potrà esser vinto se non da una universale santa crociata di preghiera e di penitenza; e raccomandiamo singolarmente agli Ordini contemplativi, maschili e femminili, di raddoppiare le loro suppliche e i loro sacrifici per impetrare dal Cielo alla Chiesa un valido soccorso nelle lotte presenti, con la possente intercessione della Vergine Immacolata, la quale, come un giorno schiacciò il capo all’antico serpente, così è sempre il sicuro presidio e l’invincibile « Aiuto dei Cristiani ».

V

MINISTRI E AUSILIARI DI QUEST’OPERA SOCIALE DELLA CHIESA

I SACERDOTI

 60. – Per l’opera mondiale di salute che siamo venuti tracciando e per l’applicazione dei rimedi che abbiamo brevemente indicati, ministri e operai evangelici designati dal divino Re Gesù Cristo sono in prima linea i Sacerdoti. Ad essi, per vocazione speciale, sotto la guida dei sacri Pastori e in unione di filiale obbedienza al Vicario di Cristo in terra, è affidato il compito di tener accesa nel mondo la fiaccola della fede e di infondere nei fedeli quella soprannaturale fiducia colla quale la Chiesa nel nome di Cristo ha combattuto e vinto tante altre battaglie: «Questa è la vittoria che vince il mondo, la fede nostra ».

61. – In modo particolare ricordiamo ai sacerdoti l’esortazione del Nostro Predecessore Leone XIII, tante volte ripetuta, di andare all’operaio; esortazione che Noi facciamo Nostra e completiamo: « Andate all’operaio, specialmente all’operaio povero, e in generale, andate ai poveri », seguendo in ciò gli ammaestramenti di Gesù e della sua Chiesa. I poveri difatti sono i più insidiati dai mestatori, che sfruttano la loro misera condizione per accenderne l’invidia contro i ricchi ed eccitarli a prendersi con la forza quello che sembra loro ingiustamente negato dalla fortuna; e se il sacerdote non va agli operai, ai poveri, per premunirli o disingannarli dai pregiudizi e dalle false teorie, essi diventeranno facile preda degli apostoli del comunismo.

62. – Non possiamo negare che molto si è fatto in questo senso, specialmente dopo le Encicliche Rerum novarum e Quadragesimo anno; e con paterna compiacenza salutiamo le industriose cure pastorali di tanti Vescovi e Sacerdoti, che vanno escogitando e provando, sia pure con le debite prudenti cautele, nuovi metodi di apostolato meglio corrispondenti alle esigenze moderne. Ma tutto questo è ancora troppo poco per il bisogno presente. Come, quando la patria è in pericolo, tutto ciò che non è strettamente necessario o non è direttamente ordinato all’urgente bisogno della difesa comune, passa in seconda linea; così anche nel caso nostro, ogni altra opera, per quanto bella e buona, deve cedere il posto alla vitale necessità di salvare le basi della fede e della civiltà cristiana. E quindi nelle parrocchie i sacerdoti, pur dando naturalmente quello che è necessario alla cura ordinaria dei fedeli, riservino il più e il meglio delle loro forze e della loro attività a riguadagnare le masse dei lavoratori a Cristo e alla Chiesa e a far penetrare lo spirito cristiano negli ambienti che ne sono più alieni. Essi poi nelle masse popolari troveranno una corrispondenza e un’abbondanza di frutti inaspettata, che li compenserà del duro lavoro del primo dissodamento; come abbiamo visto e vediamo in Roma e in molte altre metropoli, dove al sorgere di nuove chiese nei quartieri periferici si vanno raccogliendo zelanti comunità parrocchiali e si operano veri miracoli di conversioni tra popolazioni che erano ostili alla religione solo perché non la conoscevano.

63. – Ma il più efficace mezzo di apostolato tra le folle dei poveri e degli umili è l’esempio del sacerdote, l’esempio di tutte le virtù sacerdotali, quali le abbiamo descritte nella Nostra Enciclica Ad catholici sacerdotii; ma nel caso presente in modo speciale è necessario un luminoso esempio di vita umile, povera, disinteressata, copia fedele del Divino Maestro che poteva proclamare con divina franchezza: « Le volpi hanno delle tane e gli uccelli dell’aria hanno dei nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo » . Un sacerdote veramente ed evangelicamente povero e disinteressato fa miracoli di bene in mezzo al popolo, come un San Vincenzo de’ Paoli, un Curato d’Ars, un Cottolengo, un Don Bosco e tanti altri; mentre un sacerdote avaro e interessato, come abbiamo ricordato nella già citata Enciclica, anche se non precipita come Giuda, nel baratro del tradimento, sarà per lo meno un vano « bronzo risonante » e un inutile « cembalo squillante » , e troppo spesso un impedimento piuttosto che uno strumento di grazia in mezzo al popolo. E se il sacerdote secolare o regolare per obbligo del suo ufficio deve amministrare dei beni temporali, si ricordi che non soltanto deve scrupolosamente osservare tutto ciò che prescrivono la carità e la giustizia, ma deve mostrarsi in modo particolare veramente un padre dei poveri.

L’AZIONE CATTOLICA

64. – Dopo che al Clero, Noi rivolgiamo il Nostro paterno invito ai carissimi figli Nostri del laicato, che militano nelle file della tanto a Noi diletta Azione Cattolica, che già dichiarammo in altra occasione « un sussidio particolarmente provvidenziale » all’opera della Chiesa in queste contingenze tanto difficili. Infatti l’Azione Cattolica è pure apostolato sociale, in quanto tende a diffondere il Regno di Gesù Cristo non solo negli individui, ma anche nelle famiglie e nella società. Deve perciò anzi tutto attendere a formare con cura speciale i suoi soci e prepararli alle sante battaglie del Signore. A tale lavoro formativo, quanto mai urgente e necessario, che si deve sempre premettere all’azione diretta e fattiva, serviranno certamente i circoli di studio, le settimane sociali, corsi organici di conferenze e tutte quelle altre iniziative atte a far conoscere la soluzione dei problemi sociali in senso cristiano.

 65. – Militi dell’Azione Cattolica così ben preparati ed addestrati saranno i primi ed immediati apostoli dei loro compagni di lavoro e diventeranno i preziosi ausiliari del sacerdote per portare la luce della verità e sollevare le gravi miserie materiali e spirituali in innumerevoli zone refrattarie all’azione del ministro di Dio, o per inveterati pregiudizi contro il Clero o per deplorevole apatia religiosa. Si coopererà in tal modo, sotto la guida di sacerdoti particolarmente esperti, a quella assistenza religiosa alle classi lavoratrici, che Ci sta tanto a cuore, come il mezzo più adatto per preservare quei Nostri diletti figli dall’insidia comunista.

66. – Oltre a questo apostolato individuale, spesse volte nascosto, ma oltremodo utile ed efficace, è compito dell’Azione Cattolica fare con la propaganda orale e scritta una larga seminagione dei princìpi fondamentali che servano alla costruzione di un ordine sociale cristiano, quali risultano dai documenti Pontifici.

ORGANIZZAZIONI AUSILIARIE

67. – Attorno all’Azione Cattolica si schierano le organizzazioni che Noi abbiamo già salutato come ausiliarie della stessa. Anche queste così utili organizzazioni Noi esortiamo con paterno affetto a consacrarsi alla grande missione di cui trattiamo, che attualmente supera tutte le altre per la sua vitale importanza.

ORGANIZZAZIONI DI CLASSE

68. – Noi pensiamo altresì a quelle organizzazioni di classe: di lavoratori, di agricoltori, di ingegneri, di medici, di padroni, di studiosi, e altre simili; uomini e donne, i quali vivono nelle stesse condizioni culturali e quasi naturalmente sono stati riuniti in gruppi omogenei. Proprio questi gruppi e queste organizzazioni sono destinate ad introdurre quell’ordine nella società, che Noi abbiamo avuto di mira nella Nostra Enciclica Quadragesimo anno, e a diffondere così il riconoscimento della regalità di Cristo nei diversi campi della cultura e del lavoro.

69. – Che se, per le mutate condizioni della vita economica e sociale, lo Stato si è creduto in dovere di intervenire fino ad assistere e regolare direttamente tali istituzioni con particolari disposizioni legislative, salvo il rispetto doveroso delle libertà e delle iniziative private; anche in tali circostanze l’Azione Cattolica non può tenersi estranea alla realtà, ma deve dare con saggezza il suo contributo di pensiero, con lo studio dei nuovi problemi alla luce della dottrina cattolica, e di attività con la partecipazione leale e volonterosa dei suoi inscritti alle nuove forme ed istituzioni, portando in esse lo spirito cristiano, che è sempre principio di ordine e di mutua e fraterna collaborazione.

APPELLO AGLI OPERAI CATTOLICI

70. – Una parola particolarmente paterna vorremmo qui indirizzare ai Nostri cari operai cattolici, giovani e adulti, i quali, forse in premio della loro fedeltà, talvolta eroica in questi tempi tanto difficili, hanno ricevuto una missione molto nobile e ardua. Sotto la guida dei loro Vescovi e dei loro sacerdoti, essi devono ricondurre alla Chiesa e a Dio quelle immense moltitudini dei loro fratelli di lavoro, i quali, esacerbati per non essere stati compresi o trattati con la dignità alla quale avevano diritto, si sono allontanati da Dio. Gli operai cattolici col loro esempio, con le loro parole, dimostrino a questi loro fratelli traviati che la Chiesa è una tenera Madre per tutti quelli che lavorano e soffrono, e non ha mai mancato, né mai mancherà al suo sacro dovere materno di difendere i suoi figli. Se questa missione, che essi debbono compiere nelle miniere, nelle fabbriche, nei cantieri, dovunque si lavora, richiede alle volte dei grandi sacrifizi, si ricorderanno che il Salvatore del mondo ha dato non solo l’esempio del lavoro, ma anche quello del sacrificio.

NECESSITÀ DELLA CONCORDIA TRA I CATTOLICI

71. – A tutti i Nostri figli poi, d’ogni classe sociale, d’ogni nazione, di ogni gruppo religioso e laico nella Chiesa, vorremmo indirizzare un nuovo e più urgente appello alla concordia. Più volte il Nostro cuore paterno è stato addolorato dalle divisioni, spesso futili nelle loro cause, ma sempre tragiche nelle loro conseguenze, che mettono alle prese i figli d’una stessa Madre, la Chiesa. Così si vede che i sovversivi, che non sono tanto numerosi, approfittando di queste discordie, le rendono più acute, e finiscono per gettare gli stessi cattolici gli uni contro gli altri. Dopo gli avvenimenti di questi ultimi mesi, dovrebbe sembrare superfluo il Nostro monito. Lo ripetiamo però una volta ancora per quelli che non hanno capito, o forse non vogliono capire. Quelli che lavorano ad aumentare discordie fra cattolici prendono sopra di sé una terribile responsabilità dinanzi a Dio e alla Chiesa.

APPELLO A QUANTI CREDONO IN DIO

72. – Ma a questa lotta impegnata dal « potere delle tenebre » contro l’idea stessa della Divinità, Ci è caro sperare che, oltre tutti quelli che si gloriano del nome di Cristo, si oppongano pure validamente quanti (e sono la stragrande maggioranza dell’umanità) credono ancora in Dio e lo adorano. Rinnoviamo quindi l’appello che già lanciammo cinque anni or sono nella Nostra Enciclica Caritate Christi, affinché essi pure lealmente e cordialmente concorrano da parte loro « per allontanare dall’umanità il grande pericolo che minaccia tutti ». Poiché — come allora dicevamo, — siccome « il credere in Dio è il fondamento incrollabile di ogni ordinamento sociale e di ogni responsabilità sulla terra, perciò tutti quelli che non vogliono l’anarchia e il terrore devono energicamente adoperarsi perché i nemici della religione non raggiungano lo scopo da loro così apertamente proclamato » .

DOVERI DELLO STATO CRISTIANO

Aiutare la Chiesa

73. – Abbiamo esposto, Venerabili Fratelli, il compito positivo, d’ordine dottrinale insieme e pratico, che la Chiesa si assume, per la sua stessa missione affidatale da Cristo, di edificare la società cristiana e, ai nostri tempi, di oppugnare e infrangere gli sforzi del comunismo; e abbiamo fatto appello a tutte e singole le classi della società. A questa medesima impresa spirituale della Chiesa lo Stato cristiano deve pure positivamente concorrere, aiutando in tale compito la Chiesa coi mezzi che gli sono propri, i quali, benché siano mezzi esterni, non mirano meno, in primo luogo, al bene delle anime.

74. – Perciò gli Stati porranno ogni cura per impedire che una propaganda atea, la quale sconvolge tutti i fondamenti dell’ordine, faccia strage nei loro territori, perché non si potrà avere autorità sulla terra se non viene riconosciuta l’autorità della Maestà divina, né sarà fermo il giuramento se non si giura nel nome del Dio vivente. Noi ripetiamo ciò che spesso e così insistentemente abbiamo detto, particolarmente nella Nostra Enciclica Caritate Christi: « Come può sostenersi un contratto qualsiasi e quale valore può avere un trattato, dove manchi ogni garanzia di coscienza? E come si può parlare di garanzia di coscienza, dove è venuta meno ogni fede in Dio, ogni timor di Dio? Tolta questa base, ogni legge morale cade con essa e non vi è più nessun rimedio che possa impedire la graduale ma inevitabile rovina dei popoli, della famiglia, dello Stato, della stessa umana civiltà » .

Provvedimenti di bene comune

75. – Inoltre lo Stato deve mettere ogni cura per creare quelle condizioni materiali di vita senza cui un’ordinata società non può sussistere, e per fornire lavoro specialmente ai padri di famiglia e alla gioventù. S’inducano a questo fine le classi possidenti ad assumersi, per la urgente necessità del bene comune, quei pesi, senza i quali la società umana non può essere salvata né essi stessi potrebbero trovar salvezza. I provvedimenti però che lo Stato prende a questo fine, devono essere tali che colpiscano davvero quelli che di fatto hanno nelle loro mani i maggiori capitali e vanno continuamente aumentandoli con grave danno altrui.

Prudente e sobria amministrazione

76. – Lo Stato medesimo, memore della sua responsabilità davanti a Dio e alla società, con una prudente e sobria amministrazione sia di esempio a tutti gli altri. Oggi più che mai la gravissima crisi mondiale esige che coloro che dispongono di fondi enormi, frutto del lavoro e del sudore di milioni di cittadini, abbiano sempre davanti agli occhi unicamente il bene comune e siano intenti a promuoverlo quanto più è possibile. Anche i funzionari dello Stato e tutti gli impiegati adempiano per obbligo di coscienza i loro doveri con fedeltà e disinteresse, seguendo i luminosi esempi antichi e recenti di uomini insigni, che con indefesso lavoro sacrificarono tutta la loro vita per il bene della patria. Nel commercio poi dei popoli fra loro, si procuri sollecitamente di rimuovere quegli impedimenti artificiali della vita economica, che promanano dal sentimento della diffidenza e dall’odio, ricordandosi che tutti i popoli della terra formano un’unica famiglia di Dio.

Lasciare libertà alla Chiesa

77. – Ma nello stesso tempo lo Stato deve lasciare alla Chiesa la piena libertà di compiere la sua divina e del tutto spirituale missione per contribuire con ciò stesso potentemente a salvare i popoli dalla terribile tormenta dell’ora presente. Si fa oggi dappertutto un angoscioso appello alle forze morali e spirituali; e ben a ragione, perché il male che si deve combattere è prima di tutto, considerato nella sua prima sorgente, un male di natura spirituale, ed è da questa sorgente che sgorgano per una logica diabolica tutte le mostruosità del comunismo. Ora, tra le forze morali e religiose eccelle incontestabilmente la Chiesa Cattolica; e perciò il bene stesso dell’umanità esige che non si pongano impedimenti alla sua operosità.

78. – Se si agisce altrimenti e si pretende in pari tempo di raggiungere lo scopo con mezzi puramente economici e politici, si è in balìa di un errore pericoloso. E quando si esclude la religione dalla scuola, dall’educazione, dalla vita pubblica, e si espongono a ludibrio i rappresentanti del Cristianesimo e i suoi sacri riti, non si promuove forse quel materialismo donde germoglia il comunismo? Né la forza, neppure la meglio organizzata, né gli ideali terreni, siano pur essi i più grandi e i più nobili, possono padroneggiare un movimento, che getta le sue radici proprio nella troppa stima dei beni del mondo.

79. – Confidiamo che coloro che dirigono le sorti delle Nazioni, per poco che sentano il pericolo estremo da cui oggi sono minacciati i popoli, sentiranno sempre meglio il supremo dovere di non impedire alla Chiesa il compimento della sua missione; tanto più che nel compierla, mentre mira alla felicità eterna dell’uomo, essa lavora inseparabilmente anche per la vera felicità temporale.

APPELLO PATERNO AI TRAVIATI

80. – Ma non possiamo porre fine a questa Lettera Enciclica senza rivolgere una parola a quegli stessi figli Nostri che sono già intaccati o quasi dal male comunista. Li esortiamo vivamente ad ascoltare la voce del Padre che li ama; e preghiamo il Signore che li illumini affinché abbandonino la via sdrucciolevole che travolge tutti in una immensa catastrofica rovina e riconoscano anch’essi che l’unico Salvatore è Gesù Cristo Signor Nostro: « perché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’esser salvati » .

CONCLUSIONE

S. GIUSEPPE MODELLO E PATRONO

81. – E per affrettare la tanto da tutti desiderata pace di Cristo nel regno di Cristo, poniamo la grande azione della Chiesa Cattolica contro il comunismo ateo mondiale sotto l’egida del potente Protettore della Chiesa, San Giuseppe. Egli appartiene alla classe operaia ed ha sperimentato il peso della povertà, per sé e per la Sacra Famiglia, di cui era il capo vigile ed affettuoso; a lui fu affidato il Fanciullo divino, quando Erode sguinzagliò contro di Lui i suoi sicari. Con una vita di fedelissimo adempimento del dovere quotidiano, ha lasciato un esempio a tutti quelli che devono guadagnarsi il pane col lavoro delle loro mani e meritò di essere chiamato il Giusto, esempio vivente di quella giustizia cristiana, che deve dominare nella vita sociale.

82. – Con gli occhi rivolti in alto, la nostra fede vede i « nuovi cieli » e la « nuova terra », di cui parla il primo Nostro Antecessore, San Pietro. Mentre le promesse dei falsi profeti in questa terra si spengono nel sangue e nelle lacrime, risplende di celeste bellezza la grande apocalittica profezia del Redentore del mondo: « Ecco, Io faccio nuove tutte le cose » . – Non Ci resta, Venerabili Fratelli, che alzare le mani paterne e fare scendere sopra di Voi, sopra il Vostro clero e popolo, su tutta la grande famiglia cattolica, l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, festa di San Giuseppe, Patrono della Chiesa Universale, il 19 marzo 1937, anno XVI del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

I SERMONI DEL CURATO D’ARS: SUL SANTO NATALE

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, ed. Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

PER IL GIORNO DI NATALE

(Primo discorso)

SUL MISTERO

Annunciare ad un moribondo il quale è estremamente affezionato alla vita, che un medico valente può trarlo dalle porte della morte e restituirgli una sanità perfetta, si potrebbe recargli una più felice novella? Ma infinitamente più lieta è quella che l’angelo reca oggi a tutti gli uomini nella persona dei pastori! Si, miei Fratelli, il demonio col peccato, aveva inferto le ferite più crudeli e più letali alle nostre povere anime. Vi aveva piantato le tre passioni le più funeste, dalle quali derivano tutte le altre, che sono l’orgoglio, l’avarizia, la sensualità. Essendo divenuti gli schiavi di queste vergognose passioni, noi eravamo tutti come altrettanti infermi pei quali non eravi speranza di sorta e non potevamo aspettarci che la morte eterna, se Gesù Cristo nostro vero medico non fòsse venuto in nostro soccorso. Ma no, commosso della nostra sventura, lasciò il seno del Padre suo, discese nel mondo nell’umiliazione, nella povertà e nei patimenti, affin di distruggere l’opera del demonio e applicare dei rimedi efficaci alle crudeli ferite che ci aveva recate questo antico serpente. Sì, egli viene, questo tenero Salvatore, per guarirci da tutti questi mali spirituali, per meritarci la grazia di condurre una vita umile, povera e mortificata; e, per meglio muoverci a far ciò, Egli medesimo ce ne porge l’esempio. È quello che noi vediamo in un modo ammirabile nella sua nascita. Noi vediamo che egli ci prepara 1° colle sue umiliazioni e colla obbedienza sua un rimedio al nostro orgoglio; 2° colla sua estrema povertà, un rimedio al nostro amore per i beni di questo mondo, e 3° col suo stato di patimento e di mortificazione, un rimedio al nostro amore per i piaceri dei sensi. Con questi rimedi ci restituisce la vita spirituale che il peccato di Adamo ci aveva rapita, diciamo ancor meglio, Egli viene ad aprirci la porta del cielo che il peccato ci aveva chiusa. Dopo tutto ciò, io vi lascio pensare quale debba essere la gioia e la riconoscenza d’un Cristiano alla vista di tanti benefizi! Ne occorrono altri per farci amare questo tenero e dolce Gesù, il quale viene per prendere sopra di sé tutti i nostri peccati, e che soddisfa alla giustizia del Padre suo per noi tutti? 0 mio Dio! Un Cristiano può pensare a tutto ciò senza venir meno d’amore e di riconoscenza?

I. — Io dico adunque, che la prima piaga che il peccato ha recato nel nostro cuore è l’orgoglio, questa passione così pericolosa, la quale consiste in un fondo d’amore e di stima di noi medesimi, e fa: 1° che noi non amiamo di dipendere da alcuno, né di obbedire; 2° che noi nulla temiamo tanto quanto di vederci umiliati agli occhi degli uomini; 3° che noi ricerchiamo tutto ciò che può farci emergere nella stima degli uomini. Ora, ecco quello che Gesù Cristo viene a combattere nella sua nascita colla umiltà più profonda.  – Non solamente Egli vuol dipendere dal Padre suo e obbedirgli in tutto, ma vuole ancora obbedire agli uomini e dipendere in qualche modo dalla loro volontà. Infatti, l’imperatore Augusto, per vanità, per capriccio o per interesse, ordina che si faccia il censimento di tutti i suoi sudditi, e che ciascun suddito si rechi a farsi registrare nel luogo nel quale sia nato. Noi vediamo che appena questo ordine è stato pubblicato, la Ss. Vergine e S. Giuseppe si mettono in viaggio, e Gesù Cristo benché nel seno della madre sua, obbedisca prontamente e con conoscenza a questo ordine. Ditemi, possiamo noi trovare un esempio di umiltà più adatto a farci praticare questa virtù con amore e con premura? E che! Un Dio obbedisce alle sue creature e vuole dipendere da esse, e noi, miserabili peccatori, che dovremmo, alla vista delle nostre miserie spirituali, nasconderci nella polvere, potremmo noi cercare mille pretesti per dispensarci dall’obbedire ai comandamenti di Dio e della sua Chiesa, ai nostri superiori, i quali in ciò tengono il luogo di Dio? Quale onta per noi se confrontiamo la nostra condotta con quella di Gesù Cristo! Un’altra lezione di umiltà che Gesù Cristo ci porge, è di aver voluto subire il rifiuto del mondo. Dopo un lungo viaggio, Maria e Giuseppe arrivarono a Betlemme; con quale onore non dovevasi ricevere Colui che si aspettava da quattromila anni! Ma come Egli veniva per guarirci del nostro orgoglio e per insegnarci l’umiltà, permette che tutti lo rifiutino e che nessuno voglia ricettarlo. Ecco dunque il padrone dell’universo, del cielo e della terra, disprezzato dagli uomini per i quali viene a sagrificare la propria vita per salvarli! E necessario adunque che questo tenero Salvatore sia ridotto di prendere a prestito il luogo degli animali. O mio Signore! quale umiltà e quale annientamento per un Dio! Certamente, nulla ci è più sensibile che gli affronti, i disprezzi, ed i rifiuti; che se noi vogliamo considerare quelli che furono fatti provare a Gesù Cristo, per quanto grandi siano i nostri, potremmo noi mai levarne lamento? Quale felicità per noi di avere dinanzi agli occhi un così bel modello che possiamo riprodurre senza timore di ingannarci! Io dico che Gesù Cristo, lontano dal cercare ciò che poteva farlo emergere nella stima degli uomini, all’opposto, vuol nascere nell’oscurità e nell’oblio; Egli vuole che poveri pastori siano istruiti segretamente della sua nascita da un angelo, affinché le prime adorazioni che riceverebbe provenissero dai più umili degli uomini. Lascia nel loro riposo e nella loro abbondanza i grandi ed i fortunati del secolo, per mandare i suoi ambasciatori ai poveri, onde siano consolati nel loro stato vedendo in una mangiatoia, adagiato sopra una manata di paglia, il loro Dio e il loro Salvatore. I ricchi non sono chiamati che alcun tempo dopo per farci comprendere che ordinariamente le ricchezze, gli agi, ci allontanano dal buon Dio. Possiamo noi, dopo un tale esempio, avere dell’ambizione, conservare un cuore gonfio d’orgoglio, ripieno di vanità? Possiamo ancora cercare la stima e le lodi degli uomini, gettando gli occhi sopra questa mangiatoia? Non vi pare di udire questo tenero ed amabile Gesù dire a tutti: “Imparate da me quanto sono dolce ed umile di cuore? „ – Dopo ciò, amiamo di vivere nella dimenticanza e nel disprezzo del mondo; non temiamo tanto, scrive S. Agostino, quanto gli onori e le ricchezze di questo mondo, perché se fosse permesso di amarli, Colui che si è fatto uomo per l’amore di noi, Egli medesimo li avrebbe amati. Se Egli fugge e disprezza tutto ciò, noi dobbiamo fare lo stesso, amare quello che ha amato e disprezzare quello che ha disprezzato; ecco l’insegnamento che Gesù Cristo ne porge venendo al mondo, ed ecco nell’atto stesso il rimedio che Egli applica alla nostra prima piaga, che è l’orgoglio. Ma ne abbiamo una seconda, la quale non è meno pericolosa: è l’avarizia.

II. — Noi diciamo che la seconda piaga che il peccato ha inferto nel cuore dell’uomo, è l’avarizia, con altre parole, un amore smodato delle ricchezze e dei beni di questo mondo. Ah! quanto questa passione mena strage nel mondo! S. Paolo ha ben ragione di dirci che essa è la sorgente di tutti i mali. Infatti, non è da questo malaugurato interesse che provengono le ingiustizie, le invidie, gli odi, gli spergiuri, i processi, le querele, le animosità e le durezze verso i poveri? Dopo ciò possiamo meravigliarci che Gesù Cristo, il quale non viene sopra la terra che per guarire le passioni degli uomini, voglia nascere nella più grande povertà e nella privazione di tutti gli agi anche di quelli che sembrano necessari alla vita degli uomini? Per questo noi vediamo che Egli comincia a scegliere una madre povera, e vuol essere creduto il figlio di un povero operaio, e, come i profeti avevano annunciato che nascerebbe dalla famiglia regale di Davide, così affin di conciliare questa nobile origine col suo grande amore per la povertà, permette che, nel tempo della sua nascita, questa illustre famiglia sia caduta nell’indigenza. Non è tutto. Maria e Giuseppe, benché poveri, avevano una piccola casa a Nazareth; era ancora troppo per Lui; Egli non vuol nascere in un luogo che possa chiamar suo; e per questo obbliga Maria, la sua santa Madre, a intraprendere con Giuseppe il viaggio di Betlemme nel tempo preciso nel quale doveva darlo in luce. Ma almeno in Betlemme, che era la patria del loro avo Davide, non troverà parenti per riceverlo in loro casa? No, dice il Vangelo, nessuno lo vuol ricevere; tutti lo rimandano col pretesto che è povero. Ditemi, dove si recherà questo tenero Salvatore, se nessuno vuol riceverlo per guarentirlo dalle ingiurie del tempo cattivo? Tuttavolta resta ancora uno spediente; entrare in una locanda. Infatti, Maria e Giuseppe si presentano. Ma Gesù, il quale aveva tutto preveduto, permise che il concorso fosse così grande, sicché essi non trovarono luogo. Oh! dove riposerà dunque il nostro amabile Salvatore? S. Giuseppe e la Ss. Vergine cercano da ogni parte; essi scorgono una vecchia casupola nella quale le bestie si ritiravano nel cattivo tempo. O cieli! meravigliate! un Dio in una stalla! Egli poteva scegliere un magnifico palazzo; ma colui che ama cotanto la povertà non lo farà. Una stalla sarà il suo palazzo, una mangiatoia la sua culla, un po’ di paglia comporrà il suo letto, miserabili pannolini saranno tutti i suoi ornamenti, e dei poveri pastori formeranno la sua corte. – Ditemi, poteva Egli insegnarci in modo più efficace, il disprezzo che dovremmo fare dei beni e delle ricchezze di questo mondo, e nell’atto stesso, la stima che dobbiamo avere per la povertà e per i poveri? Venite, miserabili, ci dice S. Bernardo, venite voi tutti che attaccate i vostri cuori ai beni di questo mondo, ascoltate quello che vi diranno in questa stalla, questi pastori e questi pannolini che involgono il vostro Salvatore! Ah! sventura a voi che amate i beni di questo mondo! Ah! quanto è difficile che i ricchi si salvino! — Perché, mi direte voi? — Perché? 1° perché  ordinariamente una persona che è ricca è piena d’orgoglio; è necessario che tutti si curvino dinanzi a lei; che tutte le volontà degli altri siano sottomesse alla sua; 2° perché le affezionano i nostri cuori alla vita presente per la qual cosa, noi vediamo ogni giorno che un ricco teme grandemente la morte; 3° perché le ricchezze rovinano l’amore di Dio, estinguono tutti i sentimenti di compassione verso i poveri, o, per dir meglio, le ricchezze sono uno strumento che mette in movimento tutte le altre passioni. Ah! se noi avessimo gli occhi dell’anima aperti, quanto temeremmo che il nostro cuore si affezionasse alle cose di questo mondo! Ah! se i poveri potessero comprendere quanto il loro stato li avvicina a Dio e loro dischiude il cielo, benedirebbero il buon Dio di averli collocati in uno stato che li avvicina al loro Salvatore! Ma se voi mi domandate, chi sono questi poveri che Gesù Cristo ama tanto? Sono quelli che soffrono la loro povertà in ispirito di penitenza, senza mormorare e senza lagnarsi.  Altrimenti, la loro povertà non servirebbe che a renderli più colpevoli dei ricchi.- Ma i ricchi, mi direte voi, che cosa devono per imitare un Dio così povero e così disprezzato? — Ecco: non affezionare il loro cuore ai beni che posseggono; consacrarli in buone opere per quanto il possono; ringraziare il buon Dio di aver loro concesso un mezzo per cancellare i loro peccati colle loro limosine; di non mai disprezzare coloro che sono poveri; all’opposto rispettarli per la grande rassomiglianza che hanno con Gesù Cristo. È dunque con questa grande povertà che Gesù Cristo ci insegna a combattere l’attaccamento che abbiamo per i beni di questo mondo: è con ciò che Egli ci guarisce della seconda piaga che il peccato ci ha recato. Ma questo tenero Salvatore vuol guarircene un’altra recata dal peccato, che è la sensualità.

III. — Questa passione consiste nell’amore smodato dei piaceri che si gustano coi sensi. Questa funesta passione prende nascimento dall’eccesso del bere e del mangiare, dall’amore eccessivo del riposo, degli agi e delle comodità della vita, dagli spettacoli, dalle assemblee profane, in una parola, da tutti i piaceri che noi possiamo godere coi sensi. Che cosa fa Gesù Cristo per guarirci da questa pericolosa malattia? Egli nasce fra i patimenti, nelle lagrime, nella mortificazione; Egli nasce nel cuor della notte, nella stagione più rigorosa dell’anno. Appena nato, è coricato sopra una brancata di paglia, in una stalla. O mio Dio! quale stato per un Dio! Quando il Padre eterno creò Adamo, lo collocò in un giardino di delizie; quando nasce il Figlio suo, lo colloca sopra una manata di paglia! O mio Dio! quale stato! Colui che abbellisce il cielo e la terra, che forma tutta la felicità degli Angeli e dei santi vuol nascere, vivere e morire nei patimenti. Può Egli dimostrare in un modo più forte il disprezzo che dobbiamo fare del nostro corpo, e come dobbiamo trattarlo duramente, per timore che non perda l’anima nostra? O mio Dio! quale contraddizione! un Dio soffre per noi, un Dio versa lagrime sopra i nostri peccati, e noi non vorremmo soffrir nulla, aver tutti i nostri agi! … – Ma le lagrime e i patimenti di questo divino Bambino ci muovono terribili minacce. “Sventura a voi, ci dice, che passate la vostra vita nel ridere, perché sorgerà un giorno nel quale verserete lagrime che mai avranno termine.„ — “Il regno dei cieli soffre violenza e non è che per coloro che se la fanno continuamente. „ Sì, se noi ci avviciniamo con fiducia alla culla di Gesù Cristo, se noi mescoliamo le nostre lagrime con quelle del nostro tenero Salvatore, nell’ora della morte, noi udremo queste dolci parole: “Beati color che hanno pianto, perché saranno consolati.” Ecco dunque questa terza piaga che Gesù Cristo vuol guarire venendo al mondo, che è la sensualità, vo’ dire quel malaugurato peccato d’impurità. Con quale ardore dobbiamo amare e ricercare tutto ciò che può procurarci o conservare una virtù che ci rende aggradevoli a Dio! Sì, prima della nascita di Gesù Cristo correva troppa distanza tra Dio e noi, perché potessimo osare di pregarlo. Ma, il Figlio di Dio, facendosi uomo, volle avvicinarci grandemente a Lui, e forzarci ad amarlo fino alla tenerezza. In qual modo vedendo un Dio in questo stato di bambino, potremmo negargli di amarlo con tutto il nostro cuore? Egli vuole egli medesimo essere il nostro Mediatore, è Lui che si incarica di domandare ogni cosa al Padre suo per noi; ci chiama fratelli suoi, figli suoi; poteva egli prendere dei nomi che ci inspirino una più grande fiducia? Accostiamoci adunque a lui con una grande confidenza tutte le volte che abbiamo peccato; egli medesimo domanderà il nostro perdono, e ci otterrà la sorte di perseverare. Ma per meritare questa grande e preziosa grazia, è necessario camminare sulle tracce del nostro modello; che a suo esempio noi amiamo la povertà, il disprezzo e la purità; che la nostra vita risponda alla grandezza della nostra qualità di figli e di fratelli di un Dio fatto uomo. No, noi non possiamo considerare la condotta dei Giudei senza essere compresi di meraviglia. Questo popolo lo aspettava da quattro mila anni, aveva fervorosamente pregato pel desiderio che aveva di riceverlo; e quando Egli viene, non trova alcuno per fornirgli un qualche ricovero; gli è necessario, benché sia onnipotente, benché sia Dio, prendere a prestito dagli animali un asilo. Tuttavia, io trovo nella condotta dei Giudei, benché colpevole sia, non un argomento di scusa per questo popolo, ma un motivo di condanna per la maggior parte dei Cristiani. Noi vediamo che i Giudei si erano formati del loro liberatore un’idea che non si accordava collo stato d’umiliazione nel quale apparve; sembravano non potersi persuadere che Egli fosse colui che doveva essere il loro liberatore; poiché S. Paolo ha lasciato scritto che “se i Giudei l’avessero conosciuto per Dio, non lo avrebbero mandato a morte „ (I. Cor. II, 8). Ecco una piccola scusa per i Giudei. Ma per noi quale scusa potremo recare della nostra freddezza e del nostro disprezzo per Gesù Cristo? Si, certamente, noi crediamo che Gesù Cristo è venuto sulla terra, che ha prodotto le prove più convincenti della sua divinità: ecco quello che forma l’oggetto della nostra solennità. Questo medesimo Dio vuol prendere, coll’effusione della sua grazia, una nascita spirituale nei nostri cuori: ecco i motivi della nostra fiducia. Noi ci gloriamo e abbiamo ragione di riconoscere Gesù Cristo per nostro Dio, per nostro Salvatore e per nostro modello: ecco il fondamento della nostra fede. Ma, ditemi, con tutto ciò, quale omaggio gli rendiamo noi? Qual cosa facciamo di più per Lui, come se non crediamo tutto ciò? Ditemi, la nostra condotta risponde alla nostra credenza? Consideriamo più attentamente e noi vedremo che siamo più colpevoli dei Giudei nel loro accecamento e nel loro induramento.

IV. — Dapprima, M. F., non parleremo di coloro i quali, dopo di aver perduto la fede, non la professano più esternamente; ma parliamo di coloro i quali credono tutto ciò che la Chiesa insegna, e che tuttavia nulla fanno di quanto la religione ci comanda. Facciamo alcune riflessioni particolari, opportune per il tempo nel quale viviamo. Noi rimproveriamo i Giudei di aver negato un asilo a Gesù Cristo, benché non lo conoscessero. Ora, abbiamo noi ben posto mente che noi gli rechiamo lo stesso affronto tutte le volte che trascuriamo di riceverlo nei nostri cuori colla santa comunione? Noi riprendiamo i Giudei di averlo appeso alla croce, benché non avesse loro procurato che del bene; ditemi, qual male ci ha recato, o più giustamente, qual bene non ci ha procurato? E noi non gli rechiamo lo stesso oltraggio, tutte le volte che abbiamo l’audacia di abbandonarci in preda del peccato? E i nostri peccati non sono ancora più penosi a questo buon cuore che non quello che i Giudei gli fecero soffrire? Noi non possiamo leggere senza essere compresi d’orrore tutte le persecuzioni che i Giudei gli fecero soffrire, benché credessero di fare una cosa accettevole a Dio. Ma non facciamo noi alla santità del Vangelo una guerra mille volte più crudele colle sregolatezze dei nostri costumi ? Ah! noi non apparteniamo al Cristianesimo che per una fede morta, e non sembra che noi non crediamo in Gesù Cristo che per oltraggiarlo maggiormente e per disonorarlo con una vita cosi miserabile agli occhi di Dio. Posto ciò, giudicate ciò che i Giudei devono pensare di noi, e con essi, tutti i nemici della nostra santa Religione. Quando essi esaminano i costumi della maggior parte dei Cristiani, essi ne trovano una quantità che vivono quasi non fossero mai stati Cristiani: lascio di essere più particolare per non dilungarmi lungamente. Io mi limito a due punti essenziali, che sono il culto esterno della nostra santa Religione, ed i doveri della carità cristiana. No, nulla dovrebbe essere per noi più umiliante e più amaro di quei rimproveri che i nemici della nostra Religione muovono contro di noi; perché tutto ciò tende ad assodare come la nostra condotta è in contraddizione colla nostra credenza. Voi vi gloriate, ci dicono, di possedere in corpo ed in anima la Persona di quel medesimo Gesù Cristo che è vissuto in altro tempo sopra la terra, e che voi adorate come vostro Dio e vostro Salvatore; voi credete che Egli discende sopra i vostri altari, che riposa nei vostri tabernacoli, e voi credete che la sua carne è veramente il vostro nutrimento e il suo sangue la vostra bevanda; ma se la vostra fede è tale, siete voi gli empi, perché  vi recate nelle vostre chiese con minor rispetto, ritenutezza e decenza, che non fareste recandovi nella casa di un uomo onesto per fargli visita. I pagani non avrebbero certamente permesso che si commettessero nei loro templi e in presenza dei loro idoli, mentre si offrivano sacrifizi, le immodestie che voi commettete alla presenza di Gesù Cristo nel momento nel quale voi dite che Egli discende sopra i vostri altari. Se veramente credeste quello che voi dite di credere, voi dovreste essere compresi d’un santo tremore. Ah! questi rimproveri sono pur troppo meritati. Che cosa pensare vedendo il modo col quale la maggior parte dei Cristiani si conducono nelle nostre chiese? Gli uni hanno lo spirito volto ai loro affari temporali, gli altri ai loro piaceri; questi dorme, si gira la testa, si sbadiglia, si squaderna il libro, si guarda se i santi uffici saranno quanto prima terminati. La presenza di Gesù Cristo è un martirio, mentre si passeranno le cinque o le sei ore nei salotti, in una bettola, alla caccia, senza che si trovi questo tempo troppo lungo; e vediamo che in questo tempo che si consacra al mondo ed ai piaceri suoi, non si pensa né a dormire, né a sbadigliare, né ad annoiarsi. È mai possibile che la presenza di Gesù Cristo sia così penosa per Cristiani i quali dovrebbero riporre tutta la loro felicità nel venire a tenere un momento di compagnia ad un cosi buon padre? Ditemi, che cosa deve pensare di noi Gesù Cristo medesimo, il quale non si è reso presente nei nostri tabernacoli che per amore per noi, e che vede che la sua santa presenza, che dovrebbe formare tutta la nostra felicità, ed essere il nostro paradiso in questo mondo, sembra essere un supplizio ed un martirio per noi? Non si ha ragion di credere che codesti Cristiani non saranno mai assunti in cielo, dove sarebbe necessario restare per il volgere di tutta l’eternità alla presenza di questo medesimo Salvatore? Il tempo non sarebbe soverchiamente lungo?… Ah! voi non conoscete la vostra felicità, quando siete così fortunati di venire a presentarvi davanti al Padre vostro che vi ama più che se medesimo, e che vi chiama ai piedi dei suoi altari, come altra volta chiamò i pastori, per ricolmarvi d’ogni sorta di benefizi. Se noi fossimo ben penetrati di ciò, con quale amore, con quale sollecitudine non ci recheremmo qui come i magi, per offrirgli in dono tutto quello che possediamo, vo’ dire, i nostri cuori e le anime nostre? I padri e le madri non verrebbero con maggior diligenza ad offrirgli tutta la loro famiglia, perché la benedicesse e le concedesse le grazie di santificazione? Con qual piacere i ricchi non verrebbero ad offrirgli una parte dei loro beni nella persona dei poveri? Mio Dio, la nostra poca fede ci fa perdere i beni dell’eternità! – Ascoltate ancora i nemici della nostra santa religione: noi nulla diciamo, così essi, dei vostri sacramenti per riguardo ai quali la vostra condotta è tanto lontana dalla vostra credenza, quanto lo è il cielo dalla terra, giusta i principi della vostra fede. Voi diventate per il vostro battesimo come altrettanti Dei, ciò che vi aderge ad un grado di onore che non si può comprendere, perché si suppone che solo Dio vi sia superiore. Ma che devesi pensare di voi, vedendo il maggior numero abbandonarsi a delitti che vi mettono al disotto dei bruti privi di ragione? Voi diventate, per il sacramento della Confermazione, come altrettanti soldati di Gesù Cristo, che si inscrivono sotto lo stendardo della croce, che non devono mai arrossire delle umiliazioni e degli obbrobri del loro Padrone, che, in ogni circostanza, devono rendere testimonianza alla verità del Vangelo. Ma tuttavolta, chi oserebbe dirlo? occorrono nel mezzo di voi non so quanti Cristiani che il rispetto umano impedisce di fare pubblicamente le loro opere di pietà; che forse non oserebbero avere un crocifisso nella loro camera e dell’acqua benedetta a lato del loro letto; che avrebbero vergogna di fare il segno della croce prima e dopo i loro pasti, o che si nascondono per farlo. Vedete quanto siete lontani dal vivere secondo che la vostra Religione vi comanda? Voi ci dite, per riguardo alla confessione e alla comunione, delle cose che sono bellissime e consolantissime: ma in qual modo vi accostate voi a questi sacramenti? In qual modo li ricevete voi? Negli uni, non è che un’abitudine, un uso, un trastullo; negli altri è un supplizio: è necessario trascinarveli. per così dire. Vedete come è necessario che i vostri ministri  vi incalzino e vi sollecitino, perché vi accostiate a questo tribunale della penitenza dove ricevete, voi dite, il perdono dei rostri peccati: a questa mensa dove voi credete di mangiare il pane degli angeli, che il Salvator vostro? Se voi credete quello che dite, non si sarebbe piuttosto obbligati di frenarvi, vedendo come è grande la felicità vostra di ricevere il vostro Dio, che deve formare la consolazione vostra in questo mondo e la gloria vostra nell’altro? Tutto quello che, giusta la fede vostra, si chiama una sorgente di grazia e di santificazione, non è, nel fatto, per la maggior parte di voi, che una occasione di irriverenza, di disprezzo, di profanazione e di sacrilegi. O voi siete degli empi, o la vostra Religione è falsa, perché se voi foste veramente persuasi che la vostra Religione è santa, voi non vi condurreste in questo modo in tutto quello che vi comanda. Voi avete, oltre la domenica, delle feste le quali, voi dite, sono istituite, le une per onorare quello che voi chiamate i misteri della vostra Religione; le altre per celebrare la memoria dei vostri Apostoli, le virtù dei vostri martiri, ai quali è tanto costato il fondare la vostra Religione. Ma diteci, queste feste, queste domeniche, in qual modo le celebrate voi? Non sono segnatamente tutti questi giorni che voi scegliete per darvi in balia di ogni sorta di disordini, di stravizzi e di libertinaggio? Non commettete un male più grave, in questi giorni che voi dite essere così santi, che in tutti gli altri tempi? Le vostre funzioni, che voi ci dite essere una riunione coi santi che sono in cielo, dove voi cominciate a gustare la medesima felicità, vedete il pregio nei quale li tenete: una parte non vi si reca quasi mai; gli altri vi sono come i colpevoli sul banco degli accusati; che cosa potrebbesi pensare dei vostri misteri e dei vostri santi, se si volesse giudicarne dal modo col quale celebrate le loro feste? – Ma non badiamoci più a lungo intorno a questo culto esteriore, il quale, per una singolare bizzarria, e per una inconseguenza piena di irreligione, rivela la vostra fede e nell’atto medesimo la smentisce. Dove si trova nel mezzo di voi quella carità fraterna, la quale, nei principì di vostra credenza, è fondata sopra motivi così sublimi e così divini ? Siamo un po’ più particolari, e noi vedremo se questi rimproveri non sono ben fondati. Quanto la vostra Religione è bella, ci dicono i Giudei ed anche i pagani, se voi faceste quello che essa vi comanda! Non solamente voi siete fratelli, ma, ciò che è più bello, voi non formate tutti insieme che un medesimo corpo con Gesù Cristo, la cui carne e il cui sangue vi servono ogni giorno di nutrimento; voi siete tutti membri gli uni degli altri. Bisogna convenirne, questo articolo della vostra fede è ammirabile, vi è qualche cosa di divino. Se voi operaste secondo la vostra credenza, voi sareste nel caso di attrarre tutte le altre nazioni alla vostra Religione, tanto è bella, consolante, e ineffabili beni vi promette per l’altra vita! Ma quello che fa credere a tutte le nazioni che la vostra Religione non è tale quale voi la dite, è che la condotta vostra è affatto opposta a quello che la vostra Religione vi comanda. Se si interrogassero i vostri pastori, e che loro fosse permesso di svelare quello che vi ha di più segreto, ci mostrerebbero le querele, le inimicizie, la vendetta, le gelosie, le maldicenze, i falsi rapporti, i processi e tanti altri vizi che eccitano l’orrore di tutti i popoli, anche di coloro dei quali voi dite che la Religione è tanto lontana dalla vostra per rapporto alla santità. La corruzione dei costumi che regna in mezzo a voi, trattiene coloro che non sono della vostra Religione di abbracciarla; perché se voi foste ben persuasi che essa è buona e divina, voi vi condurreste in modo tutto diverso. Ah! qual vergogna per noi che i nemici della nostra santa Religione tengano un tal linguaggio! E non hanno ragione di tenerlo? Esaminando noi medesimi la nostra condotta, noi vediamo positivamente che nulla facciamo di quello che essa comanda. All’opposto, noi non sembriamo appartenere ad una Religione così santa che per dimenticarla, e per allontanare coloro che avrebbero desiderio di abbracciarla; una Religione che ci proibisce il peccato che commettiamo con diletto e verso il quale siamo trasportati con un tal furore, che non sembriamo vivere che per moltiplicarlo; una Religione che espone ogni giorno Gesù Cristo ai nostri occhi, come un buon padre che vuole colmarci di benefizi: ora noi fuggiamo la sua santa presenza, o, se qui ci rechiamo, non è che per disprezzarlo e renderci più colpevoli; una Religione che ci offri il perdono dei nostri peccati per il ministero dei suoi sacerdoti: lontani dal approfittare di questi mezzi, o li profaniamo, o li fuggiamo; una Religione che ci lascia intravvedere tanti beni per l’altra vita, e che ci mostra dei mezzi così chiari e così facili per acquistarli: e noi sembriamo non conoscere tutto ciò che per farli segno di disprezzo e di scherno; una Religione la quale ci dipinge in un modo così spaventoso i tormenti dell’altra vita, onde farceli evitare: e noi sembriamo non aver mai commesso abbastanza di male per meritarli! Mio Dio, in quale abisso di accecamento siamo caduti! una Religione che non cessa mai di avvertirci che dobbiamo continuamente adoperarci a correggerci dei difetti, a reprimere le nostre tendenze verso il male: e, lontani dal farlo, sembriamo cercare tutto ciò che può accendere le nostre passioni; una Religione che ci avverte che non dobbiamo operare che per il buon Dio e sempre nella vista di piacergli: e noi non abbiamo in quello che facciamo che viste umane; noi vogliamo sempre che il mondo ne sia testimonio, ci lodi, feliciti. O mio Dio, quale accecamento e quale povertà! E noi potremmo adunare tanti beni per il cielo, se volessimo condurci secondo le regole che ci fornisce la nostra santa Religione. Ma, ascoltate ancora i nemici della nostra santa e divina Religione, come ci opprimono di rimproveri. Voi dite che il vostro Gesù Cristo, che credete essere il Salvator vostro, vi assicura che Egli terrebbe in conto come fatto a se medesimo tutto ciò che voi fareste al fratel vostro; ecco una delle vostre credenze, e certamente ciò è bello, ma se ciò è come voi dite, voi non lo credete che per insultare Gesù Cristo medesimo! Voi non lo credete che per straziarlo e oltraggiarlo, in una parola per maltrattarlo nel modo più crudele nella persona del vostro prossimo! Le più lievi colpe contro la carità devono essere considerate, giusta i principi vostri, come altrettanti oltraggi recati a Gesù Cristo. Ma, dite, Cristiani, qual nome dobbiamo dare a tutte quelle maldicenze, a quelle calunnie, a quelle vendette e a quegli odi con cui vi divorate gli uni gli altri? Voi siete dunque mille volte più colpevoli verso la Persona di Gesù Cristo che non i Giudei medesimi ai quali rimproverate la sua morte! No, M. F, le azioni dei popoli più barbari contro l’umanità, sono nulla in confronto di ciò che noi facciamo ogni giorno contro i princìpi della carità cristiana. Ecco, M. F., una parte dei rimproveri che ci muovono i nemici della nostra santa Religione. – Io non ho la forza di andare innanzi, tanto ciò è triste e disonorevole per la nostra santa Religione, la quale è così bella, così consolante, e capace di renderci felici anche in questo mondo, preparandoci una così grande felicità per la eternità. Voi converrete con me che se questi rimproveri hanno già qualche cosa che umilia un Cristiano, benché non siano mossi che da uomini, io vi lascio pensare quello che essi saranno, quando avremo la sventura di udirli dalla bocca medesima di Gesù Cristo, quando ci presenteremo dinanzi a Lui per rendergli conto delle opere che la nostra fede avrebbe dovuto produrre in noi. Miserabili Cristiani, ci dirà Gesù Cristo, dove sono i frutti di quella fede nella quale siete vissuti e della quale voi recitaste ogni giorno il Simbolo? Voi mi avete preso per Salvator vostro e per vostro modello: ecco le mie lacrime e le mie penitenze; dove sono le vostre? Qual frutto avete voi tratto dal mio sangue adorabile, che ho fatto fluire sopra di voi co’ miei sacramenti? A che vi ha giovato questa croce, dinanzi alla quale tante volte vi siete prostrati? Quale rassomiglianza corre tra me e voi? Qual cosa vi ha di comune tra le vostre penitenze e le mie? tra la vostra vita e la mia? Ah! miserabili, rendetemi conto di tutto il bene che questa fede avrebbe prodotto in voi, se voi aveste avuto la sorte di farla fruttificare! Venite, vili e infedeli, rendetemi conto di questa fede preziosa e inestimabile, la quale poteva e che avrebbe dovuto farvi produrre le ricchezze eterne. Voi l’avete indegnamente associata con una vita tutta carnale e tutta pagana. Vedete, infelici, quale rassomiglianza corre tra voi e me! Ecco il mio Vangelo, ed ecco la vostra fede. Ecco la mia umiltà ed il mio annientamento, ed ecco il vostro orgoglio, la vostra ambizione e la vostra vanità. Ecco la vostra avarizia, e il mio distacco dalle cose di questo mondo. Ecco la vostra durezza verso i poveri e il disprezzo al quale li avete fatti segno; ecco la mia carità e l’amor mio per essi. Ecco tutte le vostre intemperanze, e i miei digiuni e le mie mortificazioni. Ecco tutte le vostre freddezze e tutte le vostre irriverenze nel tempio del Padre mio; ecco tutte le profanazioni vostre, tutti i vostri sacrilegi e tutti gli scandali che avete dati ai miei figli; ecco tutte le anime che avete perdute, e tutti i patimenti e tutti i tormenti che ho sofferto per salvarle! Se voi siete stati la causa per cui i miei nemici hanno bestemmiato il mio santo nome, io saprò ben punirli; ma per voi, io voglio farvi provare tutto ciò che la mia giustizia ha di più rigoroso. Sì, ci dice Gesù Cristo,  (Matth. x, 15) gli abitanti di Sodoma e di Gomorra saranno trattati con minore severità che questo popolo infelice, al quale ho elargito tante grazie, ed al quale i miei lumi, i miei favori e tutti i benefizi miei sono tornati inutili, e che mi ha ricambiato colla più nera ingratitudine. – Sì, i cattivi malediranno eternamente il giorno nel quale hanno ricevuto il santo Battesimo, i pastori che li hanno istruiti, i sacramenti che sono stati loro amministrati. Ah! che dico! quel confessionale, quella sacra mensa, quella cattedra, quell’altare, quella croce, quel Vangelo, o per meglio farvelo comprendere, tutto ciò che è stato l’oggetto della loro fede sarà l’oggetto delle loro imprecazioni, delle loro maledizioni, delle loro bestemmie e della loro disperazione eterna. O mio Dio! quale onta e quale sventura per un Cristiano di non essere stato Cristiano che per dannarsi più facilmente e per meglio far patire un Dio il quale non voleva che la sua felicità eterna, un Dio che non ha risparmiato nulla per questo, che ha abbandonato il seno del Padre suo, che è disceso sopra la terra, ha assunto la nostra umanità, ha trascorso tutta la sua vita nei patimenti e nelle lagrime e che è morto appeso ad una croce per lui! Egli non ha cessato, esso dirà, di incalzarmi con tanti buoni pensieri, con tante buone istruzioni dalla parte dei miei pastori, coi rimorsi della mia coscienza. Dopo il mio peccato, Egli medesimo si è offerto per servirmi di modello; che poteva egli fare di più per procurarmi il cielo? No, nulla di più; se io avessi voluto, tutto ciò mi avrebbe servito per guadagnare il cielo, che mai possederò. Ritorniamo dai nostri traviamenti, e procuriamo di condurci meglio che non abbiamo fatto sino al presente.

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE (2020)

DOMENICA FRA L’OTTAVA DELLA NATIVITÀ DEL SIGNORE. (2020)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Semidoppio. – Paramenti bianchi.

La Messa ci dice che « il Verbo disceso dal Cielo durante la notte  di Natale (Intr.) è « il Figlio di Dio venuto per renderci partecipi della sua eredita come figli adottivi » (Ep.). Prima di Lui, l’uomo era infatti come « un erede, che, nella sua minorità, non differisce da un servo » (Ep.). Ora invece che la legge nuova l’ha emancipato dalla tutela dell’antica, « egli non è più servitore, ma figlio » (Ep.).

Rivelandoci questa paternità soprannaturale di Cristo, che colpisce più specialmente le nostre anime in questo tempo di Natale, la liturgia fa risplendere ai nostri occhi la Divinità sotto l’aspetto di Paternità. Cosi il culto dei figli di Dio si riassume in questa parola, detta con Gesù, con labbra pure e retto cuore: « Padre!». (Ep.).Il Vangelo ci mostra anche quale sarà in avvenire la missione grandiosa di questo Bambino che comincia a manifestarsi oggi nel tempio. « È il Re » (Grad.) « il regno del quale » (All.) « penetrerà fino all’intimo dei cuori» (Vang.). Per tutti sarà una pietra di salvezza; pietra d’inciampo per quelli che lo perseguiteranno (Com.) pietra angolare «per molti in Israele» (Vang.). L’Introito parla della notte nella quale l’Angelo di Dio colpi i primogeniti degli Egiziani, preparando la liberazione d’Israele, immagine della notte santa nella quale la Beatissima Maria mise alla luce il Salvatore, venuto per liberare l’umanità.

Incipit 

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 

Sap XVIII: 14-15.
Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de cœlis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Ps XCII: 1
Dóminus regnávit, decórem indútus est: indútus est Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se.

[Il Signore regna, rivestito di maestà: Egli si ammanta e si cinge di potenza.]

Dum médium siléntium tenérent ómnia, et nox in suo cursu médium iter háberet, omnípotens Sermo tuus, Dómine, de coelis a regálibus sédibus venit

[Mentre tutto era immerso in profondo silenzio, e la notte era a metà del suo corso, l’onnipotente tuo Verbo, o Signore, discese dal celeste trono regale.]

Oratio 

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, dírige actus nostros in beneplácito tuo: ut in nómine dilécti Fílii tui mereámur bonis opéribus abundáre.

[Onnipotente e sempiterno Iddio, indirizza i nostri atti secondo il tuo beneplacito, affinché possiamo abbondare in opere buone, in nome del tuo diletto Figlio]

Lectio 

Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Gálatas.
Gal IV:1-7
Patres: Quanto témpore heres párvulus est, nihil differt a servo, cum sit dóminus ómnium: sed sub tutóribus et actóribus est usque ad præfinítum tempus a patre: ita et nos, cum essémus párvuli, sub eleméntis mundi erámus serviéntes. At ubi venit plenitúdo témporis, misit Deus Fílium suum, factum ex mulíere, factum sub lege, ut eos, qui sub lege erant, redímeret, ut adoptiónem filiórum reciperémus. Quóniam autem estis fílii, misit Deus Spíritum Fílii sui in corda vestra, clamántem: Abba, Pater.
Itaque jam non est servus, sed fílius: quod si fílius, et heres per Deum.

[Fratelli: Fin quando l’erede è minore di età, benché sia padrone di tutto, non differisce in nulla da un servo, ma sta sotto l’autorità dei tutori e degli amministratori, fino al tempo prestabilito dal Padre. Così anche noi, quando eravamo minori d’età, eravamo servi degli elementi del mondo. Ma quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, affinché redimesse quelli che erano sotto la legge, e noi ricevessimo l’adozione in figli. Ora, poiché siete figli, Iddio ha mandato lo spirito del suo Figlio nei vostri cuori, il quale grida: Abba, Padre. Perciò, ormai nessuno è più schiavo, ma figlio, e se è figlio, è anche erede, per la grazia di Dio.]

S. Paolo insegna così ai Galati che, essendo passati dal Giudaismo al Cristianesimo, sono affrancati dalla servitù dell’antica legge, e sotto la nuova debbonsi riguardar come figli di Dio, e chiamarlo Abba, cioè caro Padre, perché ha dato loro per fratello il suo Figlio Gesù Cristo. La nostra felicità nel diventar Cristiani è stata ancora più grande di quella dei Giudei, perché i nostri padri erano pagani. Ringraziamo ogni giorno il Signore di sì gran benefizio, ed attestiamogli la nostra riconoscenza, con la fede, la carità, la confidenza, la pazienza e con la più esatta vigilanza per evitare il peccato, l’unico male, che privandoci del titolo di figli di Dio, e di tutti i privilegi a questo uniti, ci sottoporrebbe di nuovo alla schiavitù del demonio.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale

Ps XLIV: 3; 2
Speciósus forma præ filiis hóminum: diffúsa est gratia in lábiis tuis.

[Tu sei bello fra i figli degli uomini: la grazia è diffusa sulle tue labbra.]

V. Eructávit cor meum verbum bonum, dico ego ópera mea Regi: lingua mea cálamus scribæ, velóciter scribéntis.

[V. Mi erompe dal cuore una buona parola, al re canto i miei versi: la mia lingua è come la penna di un veloce scrivano.]

Alleluja

Allelúja, allelúja
Ps XCII: 1.
Dóminus regnávit, decórem índuit: índuit Dóminus fortitúdinem, et præcínxit se virtúte. Allelúja.

 [Il Signore regna, si ammanta di maestà: il Signore si ammanta di fortezza e di potenza. Allelúja]

Evangelium 

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum Lucam.
R. Gloria tibi, Domine!
Luc II:33-40
In illo témpore: Erat Joseph et Maria Mater Jesu, mirántes super his quæ dicebántur de illo. Et benedíxit illis Símeon, et dixit ad Maríam Matrem ejus: Ecce, pósitus est hic in ruínam et in resurrectiónem multórum in Israël: et in signum, cui contradicétur: et tuam ipsíus ánimam pertransíbit gládius, ut reveléntur ex multis córdibus cogitatiónes. Et erat Anna prophetíssa, fília Phánuel, de tribu Aser: hæc procésserat in diébus multis, et víxerat cum viro suo annis septem a virginitáte sua. Et hæc vídua usque ad annos octogínta quátuor: quæ non discedébat de templo, jejúniis et obsecratiónibus sérviens nocte ac die. Et hæc, ipsa hora supervéniens, confitebátur Dómino, et loquebátur de illo ómnibus, qui exspectábant redemptiónem Israël. Et ut perfecérunt ómnia secúndum legem Dómini, revérsi sunt in Galilæam in civitátem suam Názareth. Puer autem crescébat, et confortabátur, plenus sapiéntia: et grátia Dei erat in illo.

[“In quel tempo il padre e la madre di Gesù restavano meravigliati delle cose, che di lui si dicevano. E Simeone li benedisse, e disse a Maria, sua madre: Ecco che questi è posto por ruiua e per risurrezione di molti in Israele, eper bersaglio alla contraddizione; e anche l’anima tua stessa sarà trapassata dal coltello, affinché di molti cuori restino disvelati i pensieri. Eravi anche una profetessa, Anna figliuola di Fanuel, della tribù di Aser: ella era molto avanzata in età, ed era vissuta sette anni col suo marito, al quale erasi sposata fanciulla. Ed ella era rimasta vedova fino agli ottantaquattro anni, e non usciva dal tempio, servendo Dio notte e giorno con orazioni e digiuni. E questa, sopraggiungendo in quel tempo stesso, lodava anch’essa il Signore, e parlava di Luì a tutti coloro, che aspettavano la redenzione d’Israele. E soddisfatto che ebbero a tutto quello che ordinava la legge del Signore, se ne tornarono nella Galilea alla loro città di Nazaret. E il Bambino cresceva, esi fortificava pieno di sapienza: el a grazia di Dio era in lui”]

OMELIA

Gesù modello dei figli

[Mons. A. Feruglio, Vescovo di Vicenza: Omelie di Natale – Soc. An. Tipogr. fra Cattolici Vicentini, 1914 – imprim. 1913]

(NATALE 1905)

Parvulus natus est nobis. —

Pastores invenerunt Mariam et Joseph et

Infantem positum in præsepio.

Un pargoletto è nato a noi.—

I pastori trovarono Maria, Giuseppe e

l’Infante posto in una mangiatoia.

Is. IX, 6 – Luc. XI, 16.

SOMMARIO: Per darci esempio delle più perfette virtù famigliari:

a) Gesù si diporta da vero figlio di Maria e di Giuseppe;

b) Maria e Giuseppe trattano con lui da veri genitori.

Non è mio intendimento intrattenervi quest’oggi sui santi motivi che devono eccitare in noi sentimenti di ammirazione, di gioia, di amore e di gratitudine, alla considerazione del portentoso avvenimento della nascita del Salvatore. Già i vostri cuori ne sono altamente compresi. L’immensa carità per cui un Dio si abbassa alla condizione di uomo, e, a costo di indicibili umiliazioni e patimenti, viene a trarci dalla schiavitù di satana, dall’abisso tenebroso dell’ignoranza e della corruzione, all’ammirabile sua luce, alla speranza dell’immortale felicità, non può non riempirci di stupore e di tenerezza. – Ma se ci arrestassimo a questi, affetti, ben poco corrisponderemmo all’immensa sua carità ed alla sua Redenzione pur sì copiosa. — Giacché se, a dir di San Cirillo, Egli ci è vita perché ci santifica, verità pel dono della fede, ci è pur via per gli esempi che ci ha dati. Est nobis via per vitæ actionem, veritas per fidei rectitudinem, vita per sanctificationem. Saremmo sommamente ingrati all’amor suo perché non raggiungeremmo la nostra santificazione e salute, se paghi di credere alle sue parole e di ammirare le sue opere, non ci curassimo d’imitarne gli esempi. E poiché anche le minime circostanze della vita del Salvatore sono ammaestramenti per noi, e come nota Sant’Agostino: Ei ci fu maestro perfino col nascere — etiam nascendo magister extitit (Aug. contra Faustum, lib. 24, c. 64) — non ci sia grave rilevare gli insegnamenti che ci porge il neonato Messia. — Questi, a dir vero, sono innumerevoli, noi però fisseremo il pensiero su quella circostanza predetta da Isaia, che Egli cioè apparve pargoletto — parvulus natus est nobis (Is. IX, 6) — e ricordata da San Luca allorché scrive che i pastori trovarono Maria e Giuseppe e l’infante posto in una mangiatoia. Invenerunt Mariam et Joseph et infantem positum in præsepio.

1. Gesù si diporta come vero figlio di Maria e di Giuseppe.

A chi chiedesse perché mai il Redentore abbia voluto comparire bambino, per passare gradatamente nei diversi stadi della vita umana, sarebbe facile il rispondere che così era decretato dall’infinita sapienza dell’Eterno. Però, se è vero che Iddio, di alcune sue disposizioni ne tiene occulti i motivi e perciò sarebbe temeraria stoltezza il volerli scandagliare, è vero eziandio che di altre si compiace renderli accessibili all’umano intelletto, affinché invitati a considerarli, ci sentiamo attirati ad ammirare la sua sapienza, potenza e bontà, ed a seguirne i pietosi disegni. E tale appunto è la grande opera dell’Incarnazione del Verbo. Nessuna necessità, osserva S. Agostino, costringeva il Verbo a nascere di donna, per farsi vero uomo (Aug. contra Faust, lib. 26, c. 7). Che, se diciamo che era conveniente s’incarnasse nel seno della Vergine, per assumere un corpo come gli altri uomini derivante dal comun padre Adamo, qual necessità v’era che venuto alla luce non comparisse tosto uomo di età matura? Perché presentarsi impotente bambino, bisognoso di tutto, incapace di muoversi e di parlare? Perché insomma assoggettarsi a tutti gli inconvenienti che circondano l’età infantile? Così ci diede esempio, è vero, di umiltà e di pazienza, ma tali esempi poteva darceli, come ce li diede, in età perfetta. Sembrerebbe dunque inesplicabile il motivo per il quale ci apparve bambino, tanto più che la sua anima sarebbe già stata adatta ad un corpo nel suo pieno sviluppo, capace di tutti gli atti d’un uomo giunto a perfetta età. Difatti mentre gli altri bambini sono in istato di perfetta ignoranza che andrà man mano dileguandosi, Egli fin dal suo concepimento fu sì ricolmo di tutti i tesori della sapienza e della scienza, che, a suo confronto, il più dotto tra gli uomini sarebbe un povero ignorante. Perché dunque volle comparire in tale condizione? – La fede c’insegna che Gesù venne al mondo per restaurare ogni cosa. Instaurare omnia quæ in terris sunt (Eph. 1, 10). Il peccato aveva guastata l’opera di Dio sotto ogni rapporto. Era quindi necessario che il Redentore, come coi suoi meriti e colla sua dottrina così col suo esempio, risanasse tutto l’uomo. Perciò non bastava si rendesse modello delle virtù riguardanti l’uomo individualmente considerato, ma poiché l’uomo è per natura socievole, conveniva che Gesù col suo esempio gli si facesse maestro di virtù anche nei suoi rapporti con la società. Conveniva insomma che coll’individuo risanasse la società stessa. Ora, o dilettissimi, perché l’uomo viva rettamente qual membro della società, è requisito essenziale l’ossequio alla autorità. — Ed oh! quali e quanti solenni esempi ci ha dato il Redentore in età adulta, di sommissione all’autorità dichiarando che essa viene da Dio. Ma poiché la società fondamentale, da cui dipende il benessere di ogni altra società, è la famiglia, il Verbo fatto uomo dispose di essere membro d’una famiglia dalla quale dispensa gli esempi delle più perfette virtù domestiche e sociali. — Volle pertanto convivere con Maria, sua vera Madre, sino al tempo della sua vita pubblica; e benché la sua generazione fosse per opera dello Spirito Santo e non di padre terreno, volle tuttavia che l’autorità paterna dirigente la sua famiglia fosse un nomo, non avventizio, ma congiunto per intimo naturale legame alla medesima, perché San Giuseppe fu vero marito dell’intemerata e purissima tra le Vergini. Fu dunque per nostro ammaestramento che il Salvatore si degnò di apparir pargoletto, di passare dall’infanzia ai successivi stadi della vita umana, come pure di richiedere le cure della sua santissima Madre e del suo putativo Padre. Infatti qual necessità vi era che essi gli procurassero l’alimento, mentre Egli è Colui che dà l’essere, la vita e l’alimento a tutte le creature? Forse non era sua quella provvidenza per cui Giuseppe e Maria trovavano di che nutrirlo e vestirlo? Qual bisogno aveva Egli della loro tutela? Non poteva Egli, come fece in altra età, sottrarsi prodigiosamente ai suoi nemici persecutori? Non poteva comandare ai venti ed alle procelle, camminar sulle onde, frenare gli spiriti d’abisso, disporre a suo piacimento di tutto il creato? — Qual bisogno che altri lo guidasse, se Egli è la Sapienza increata che infonde l’intelligenza e l’accorgimento in quelli che devono dirigerlo? — Ah! sì, è un tratto d’immensa carità, che ben meditato non può non riempirci d’indicibile stupore, l’abbassarsi di Gesù alla condizione di bambino, di figlio di famiglia, per essere nostro modello. – Né si pensi, soggiunge Sant’Agostino, che di tale abbassamento abbia solo in apparenza mostrato di provare, ma provò in realtà la debolezza, le privazioni, le ripugnanze e tutti gli inconvenienti che ne conseguono. Humanæ conditionis affectus non simulavit sed exhibuit, non necessitate conditionis, sed magisteri voluntate (Aug. contra Faust, lib.26, c. 7). Pertanto, con vera dipendenza, quale si addice a figlio verso i genitori, s’assoggetta a Maria e a Giuseppe. — È da sottrarsi alla persecuzione di Erode, o, defunto quest’empio dopo sette anni, è da far ritorno a Nazareth? Gesù non fa cenno, non parla. Un Angelo illuminerà Giuseppe il capo della famiglia, e da questi dipenderà la fuga ed il ritorno. Né questa soggezione ha fine coll’infanzia. Ben poco ci narrano gli Evangelisti della vita di Gesù fino alla sua predicazione. Ma la risposta data a Maria e a Giuseppe quando, a dodici anni, rimase a loro insaputa nel tempio, ben ci fa comprendere ch’Egli non voleva disporre di sé, ma dipendere in tutto dai loro cenni. Non sapevate, disse, che dove mi chiama il Padre mio, io devo trovarmi? Nesciebatis quia in iis quæ Patris mei sunt oportet me esse?(Luc. II, 49). — Quasi dicesse: la straordinarietà stessa di quest’incidente doveva rendervi accorti che una volontà superiore mi obbligava a derogare alla rigorosa soggezione che costantemente vi professo. — E perché da tal fatto non si potesse pensare che la sua dipendenza da Maria e Giuseppe non fosse perfetta, l’Evangelista s’affretta a soggiungere che ritornò con loro a Nazareth e se ne stava soggetto ad essi. Et erat subditus illis (Luc. II, 51). Deh! qual lezione, o dilettissimi! Il Padrone dell’universo, per insegnarci il rispetto all’autorità, s’assoggetta per tal modo a coloro ai quali Egli stesso comunica l’autorità. Qual confusione per quei figli che non si conformano a questodivino esemplare, mentre è assoluta disposizione di Dio che devano star soggetti ai loro genitori; per figli, dico, tanto bisognosi di direzione, perché non hanno quell’esperienza che s’acquista solo coll’avanzar degli anni, e perciò sono tanto esposti alle illusioni ed alle seduzioni. — Qual rimprovero per tutti coloro che acciecati dalla superbia non venerano nei superiori l’autorità di Dio, ma se vi si adagiano, lo fanno solo per motivi umani, pronti a trasgredirne i comandi per quanto giusti, ed a ribellarsi alla legittima podestà, appena il possano senza danno. Deh! quanti guai non affliggono ai dì nostri la società e ne minacciano la rovina, appunto perché si disconosce il fonte dell’autorità che è Dio. — Contro quegl’infelici il mitissimo San Bernardo indicando l’esempio di Gesù fanciullo esclama: Confonditi, o uomo, confonditi, superba polvere. Un Dio si umilia e tu ti esalti? Un Dio si assoggetta agli uomini e tu anelando a sollevarti sopra gli uomini, t’innalzi al di sopra del tuo Facitore? O uomo, se sdegni d’imitare un altro uomo, non deve sembrarti cosa indegna imitare il tuo Creatore (S. Bern. Hom. I super Missus).Ma fissiamo ancora il pensiero sul fanciullo Gesù. Se in tutte, anche le minime cose, Egli pende dai cenni di Maria e di Giuseppe, quando tale dipendenza è in opposizione alla volontà del celeste Padre, non la osserva. — Un atto di sublime missione affidatagli dal Padre, richiede la sua presenza nel tempio. Egli allora s’apparta da Maria e da Giuseppe, permettendo l’affanno che ne deriverebbe a quei santi Personaggi, appunto per dimostrare come ogni terreno affetto deve farsi tacere di fronte alla certa e precisa volontà dell’Eterno. Ah! non sia mai che la soggezione all’uomo ci porti a violare i voleri di Dio. Ciò non sarebbe un assoggettarsi alla autorità di Dio che risiede nell’uomo, ma un turpe assoggettarsi alla creatura in onta al Creatore. Quindi Pietro e Giovanni al Sinedrio, che ingiungeva loro di smettere l’esercizio dell’apostolato, rispondevano: Giudicate voi stessi se dinanzi al Signore sia giusto l’obbedire a voi anziché a Dio (Act. IV, 19).Non sia mai che i figli trascurino una manifesta vocazione di dedicarsi interamente a Dio, o senza vocazione si avventurino in uno stato al quale Egli non li ha destinati, per non contristare i genitori. Dell’amore ai parenti, che fa preferire la loro volontà a quella di Dio, Gesù Cristo ha pronunciata questa terribile sentenza: Chi ama suo padre e sua madre più di me, non è degno di me: non est me dignus (Matth. X, 37). Eccovi, o figli dilettissimi, le splendide lezioni che ci porge il divin Salvatore, il quale per darcele si degnò di cominciare coll’infanzia la sua mortale carriera. Ecco perché, come predisse Isaia ci apparve pargoletto e, come scrive S. Luca, fu trovato bambino circondato dalle cure della sua Genitrice e del suo padre putativo. Invenerunt Mariam et Joseph et ìnfantem positum in præsepio Luc. II. 16 — Non si creda tuttavia che colle considerazioni fatte finora si sieno posti in rilievo tutti gli esempi e gli ammaestramenti che risultano dalla circostanza che ha dato argomento ai nostri riflessi. Ben altri ne rimangono, e della più alta importanza: noi contentiamoci di considerarne un altro ancora.

2. Maria e Giuseppe trattano con Lui da veri genitori.

Il Redentore volle sulla terra essere membro d’una famiglia, perché da quella emanassero gli esempi di tutte le domestiche virtù. In essa Egli offrì sé stesso perfetto modello di figlio, rispettoso ed ossequente ai genitori. — Ma quali poi dovevano essere gli uffici ed i rapporti di Maria e di Giuseppe verso di Lui? — Dovevano alimentarlo, vestirlo, circondarlo di tutte quelle cure, che richiede il benessere corporale di un figlio. Così han fatto con la più affettuosa ed instancabile sollecitudine. Ma ciò che maggiormente attira la mia attenzione e che mi infonde quasi un senso di sgomento, è che sopra di Lui quei santi personaggi esercitavano veramente l’autorità paterna. E come mai, si potrà dire, essi per quanto grandi, per quanto santi, sapendo chi era Gesù, osavano sorvegliarlo quasi che ne abbisognasse, tenerlo soggetto e comandargli? – Ah! dilettissimi, se l’uomo ragiona con le sue corte vedute, si troverà dinanzi un inesplicabile mistero. Ma se per poco ci eleviamo a superiori considerazioni, troveremo che appunto perché illuminati e santi, appunto perché conoscevano bene Gesù, facevano così. — Essi, ripieni delta Spirito divino, compresero che, posti a capo di una famiglia di cui Gesù volle essere figlio, era nei disegni dell’Eterno che con Lui esercitassero le parti di genitori, facendo tacere la ripugnanza derivante dalla profonda venerazione che per Lui nutrivano. Non erano guidati da umane considerazioni, per quanto nobili e plausibili, ma dalla sola volontà di Dio manifesta, e per l’ufficio cui furono assunti e per la condizione in cui il divin Figlio si degnò di figurare. Per questo non esitano a sottoporlo alla dolorosa ed umiliante cerimonia della circoncisione. Nessuno meglio di loro sapeva che Egli non vi era soggetto, ma sapevano pure che il loro Gesù, si degnò d’apparir figlio di quella nazione nella quale i pargoletti per legge divina dovevano sottostare a tale cerimonia. — Per la stessa ragione, pargoletto di quaranta giorni, lo presentano al tempio per offrirlo al Signore e quindi riscattarlo, come per tutti i primogeniti prescriveva la legge mosaica, legge che certamente non poteva riguardare l’Uomo-Dio. – E che dirò poi della vigilanza e dell’impero esercitati da Maria e da Giuseppe sul fanciullo Gesù? L’Evangelio ci dice tutto con dire che se ne stava soggetto a loro. — Che a Nazareth s’occupasse di questa o di quella cosa, che si recasse in questo o quel luogo, pendeva dai loro cenni. — E poiché è compito dei genitori di educare i figli alle osservanze religiose, giunto ai dodici anni, lo conducono al tempio per la solennità della Pasqua, come era prescritto dalla legge per tutti i maschi, incominciando da quell’età. Vi era forse tenuto? Sarebbe follia ed empietà il pensarlo. Ma tant’è; la volontà di Dio, per rapporto ai genitori è tale, ed essi vi si conformano con tutta esattezza. — Quanto poi s’interessassero di averlo sempre in custodia, lo dicono le affannose ricerche, quando di ritorno a Nazareth, per un inevitabile equivoco, non lo trovarono in loro compagnia. Lo dicono le dolci ma accorate rimostranze della Vergine, allorché finalmente lo ritrovarono nel tempio. – Ma basti, o dilettissimi. Ora sia lecito domandare: Se a sì scrupolosa vigilanza si tennero obbligati Maria e Giuseppe, non perché Gesù ne abbisognasse, ma solo perché lo richiedeva il loro officio secondo i voleri del Cielo, quale sarà il dovere dei genitori verso i figliuoli? Ve ne sono molti di quelli che sanno sacrificarsi pel benessere fisico e materiale dei figli, perché civilmente educati ed istruiti riescano a ben figurare nel mondo, ad occupare posti luminosi e lucrosi, ad acquistare rinomanza e vantaggi terreni, ma quanto pochi si curano della vera educazione che consiste essenzialmente nell’indirizzarli al gran fine per cui furano creati, che è quello di servire il Signore e salvare l’anima. — Quanto raramente parlano ai figliuoli di Dio e dei loro doveri verso di Lui! — Quanto poco si curano d’infervorarli nelle pratiche di religione e di metterli in guardia contro i pericoli e le seduzioni del mondo: — Quanto spesso, per una stolta fiducia, rallentano la vigilanza massime per riguardo a certi ritrovi, a certe compagnie, a certe letture di libri e di giornali, allora più funesti, quando sotto la larva di Cattolicismo e di pietà, nascondono il veleno dell’empietà! — E non si tratta già del figlio di Maria, impeccabile, ricolmo di tutti i tesori della grazia, vero Dio. Si tratta di miseri figli d’Adamo colle conseguenze della colpa d’origine, inclinati al male, accessibili a tutte le seduzioni dell’errore e del vizio. Mio Dio! quale spaventoso rendiconto al tribunale di quel Gesù che, se oggi consideriamo pargoletto, è pur giudice supremo degli uomini. Di quel Gesù che a costo di tanta pena, per la sua santissima Genitrice e per il casto Sposo di Lei, volle che per nostro ammaestramento esercitassero su di Lui scrupolosamente l’autorità e la vigilanza di genitori. Che risponderanno coloro che nell’educazione dei figli si prefiggono viste puramente mondane, e non l’adempimento della volontà di Dio, e quindi la vita religiosamente morale dei medesimi? Deh! piaccia al Signore che a quanti m’ascoltano sia dato di fissare a cuor tranquillo la capanna di Betlemme, nella coscienza di aver ricopiati gli esempi derivanti dalla condizione del Pargolo divino. — Piaccia al Signore che tali esempi vengano imitati da tutti. Per tal modo la società, funestata da tanti guai, perché il giusto concetto dell’autorità è troppo spesso disconosciuto e da chi deve esercitarla e da chi deve sottostarvi, mentre si dimentica che essa è da Dio e non da altri, la società, dico, si risanerà col vero culto della autorità nel fondamento della medesima che è la famiglia. Ed a questi miei voti infonda efficacia la benedizione coll’indulgenza plenaria che a nome e per concessione del Sommo Pontefice sto per impartirvi ….

  Credo …

IL CREDO

 Offertorium 

Orémus
Ps XCII:1-2
Deus firmávit orbem terræ, qui non commovébitur: paráta sedes tua, Deus, ex tunc, a sæculo tu es.

[Iddio ha consolidato la terra, che non vacillerà: il tuo trono, o Dio, è stabile fin da principio, tu sei da tutta l’eternità.]

Secreta 

Concéde, quǽsumus, omnípotens Deus: ut óculis tuæ majestátis munus oblátum, et grátiam nobis piæ devotiónis obtineat, et efféctum beátæ perennitátis acquírat.

[Concedi, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che questa offerta, presentata alla tua maestà, ci ottenga la grazia di una fervida pietà e ci assicuri il possesso della eternità beata.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio 

Matt II:20
Tolle Púerum et Matrem ejus, et vade in terram Israël: defúncti sunt enim, qui quærébant ánimam Púeri.

[Prendi il bambino e sua madre, e va nella terra di Israele: quelli che volevano farlo morire sono morti.]

Postcommunio 

Orémus.
Per hujus, Dómine, operatiónem mystérii, et vitia nostra purgéntur, et justa desidéria compleántur.

 [Per l’efficacia di questo mistero, o Signore, siano distrutti i nostri vizii e compiuti i nostri giusti desiderii.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA