SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

F. CAYRÉ:

SPIRITUALI E MISTICI DEI PRIMI TEMPI (1)

Trad. M. T. Garutti Ed. Paoline – Catania

Nulla osta per la stampa Catania, 7 Marzo 1957

P. Ambrogio Gullo O. P. – Rev. Eccl.

Imprimatur

Catanæ die 11 Martii 1957

Can. Nicolaus Ciancio Vic. Gen.

CAPITOLO I

I PRIMI TESTIMONI DELLO SPIRITO NELLA CHIESA

I veri testimoni dello Spirito Santo

Con tale espressione designiamo in modo particolare i Padri della Chiesa. Distinguiamoli bene dagli Apostoli, senza dimenticare i punti di contatto, numerosi e importanti, che a questi li collegano. – Gli Apostoli sono essenzialmente i testimoni del Dio vivente. S. Pietro, nel Cenacolo, desiderando completare il numero simbolico di dodici col rimpiazzare il traditore Giuda, mette anzitutto come condizione l’eventuale candidato al titolo di Apostolo abbia conosciuto personalmente Gesù Cristo. – Che egli sia, dice il capo dei Dodici, « di questi uomini che sono stati insieme con noi per tutto quel tempo in cui il Signore Gesù è vissuto, è andato e venuto con noi, a cominciare dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui di mezzo a noi fu assunto » (Act. I, 21-22). Titolo incomparabile! I Dodici ebbero l’insigne privilegio di vivere nell’intimità dell’Uomo-Dio come nessuno al mondo vi è vissuto, all’infuori di Maria. In un certo senso la loro condizione ha persino  superato quella della Vergine, perché essi hanno ascoltato discorsi che non sono stati pronunciati davanti a lei, anche se Gesù gliene aveva trasmesso in precedenza la sostanza attraverso una sublime via spirituale. Egli ha compiuto davanti ai Dodici degli atti per mezzo dei quali i grandi misteri della Trinità, dell’Incarnazione e della Redenzione dovevano essere rivelati e trasmessi all’intera umanità. Dio non si è rivelato al mondo che attraverso i Dodici ed è la loro testimonianza che ha valore ufficiale. – S. Paolo non ha certamente visto il Cristo sulla terra ma ha il titolo di Apostolo per eccellenza, associato persino a S. Pietro, nel culto che la Chiesa gli rende da secoli. E questo perché anche lui testimone dell’Uomo-Dio, prima nell’atto stesso della sua conversione, in cui il Cristo, abbattendolo, gli si rivelò in persona: « Sono Gesù Cristo che tu perseguiti » (Act., 1, 5); e più tardi nelle rivelazioni che ebbe, poiché molte ne riferisce nelle sue Epistole, e gli Atti menzionano vari favori soprannaturali che fanno del convertito di Damasco un vero testimone di Dio. Se non ha visto il Cristo nella sua condizione terrena, lo ha visto spiritualmente nella sua gloria ed è a questo titolo che egli è Apostolo. Altri discepoli, fuori dei « Dodici » sono stati talvolta chiamati Apostoli, per il fatto che generalmente anch’essi, avevano conosciuto il Salvatore e potevano rendere testimonianza della sua azione, ma l’uso è piuttosto ristretto. La Didaché parla anche di missionari itineranti, chiamati Apostoli, che pare non siano stati necessariamente testimoni oculari del Cristo; ma la loro importanza è minima ed essi non contano nella gerarchia apostolica. Solo i testimoni ufficiali, raggruppati dal Cristo durante la sua vita o poco dopo la sua resurrezione, sono veramente Apostoli, e la loro influenza diretta continua fino alla fine dello stesso secolo, nella persona di S. Giovanni. – L’epoca patristica comincia con i primi scrittori cristiani, molti dei quali hanno conosciuto S. Giovanni, se non addirittura S. Pietro: essi ci si presentano con un’altra caratteristica essenziale: quella di testimoni dello Spirito Santo nella Chiesa. Il Cristo, salendo al Cielo aveva promesso agli Apostoli di realizzare ben presto la promessa che aveva loro fatta di un altro se stesso, un consolatore, una guida, un avvocato. La promessa fu mantenuta e il giorno di Pentecoste, dell’anno 30, inaugurò una nuova fase nella storia del Testamento Divino: la fondazione della Chiesa per mezzo dell’azione dello Spirito Santo. Gli Apostoli non ne furono soltanto gli Spettatori, ma gli organi. Cosicché, dopo essere stati i testimoni del Dio Incarnato, divennero da quel momento « I testimoni dello Spirito » che agiva nella Chiesa. Privilegiati della grazia, adempirono a questa duplice missione fino alla morte, che, secondo la tradizione, aggiunse alla testimonianza il sigillo del sangue. – È quésta seconda testimonianza degli Apostoli che doveva essere più tardi riservata più particolarmente  ai Padri, poiché nessuno, fra essi, aveva visto il Cristo in persona. Tuttavia, sul punto particolare dell’azione esercitata dallo Spirito nella Chiesa, gli scritti dei primi discepoli del Salvatore hanno essi stessi fornito una ricca documentazione, che occorre ricordare per sommi capi, perché sarà la sorgente principale alla quale attingerà largamente la pietà cristiana fin dall’antichità. – Tutti gli scritti apostolici hanno certamente evocato questa azione, ma quelli di S. Paolo e di S. Giovanni sono particolarmente ricchi in questo campo, se si è potuto parlare della mistica di questi due Apostoli, raggruppando soprattutto i testi delle loro opere che ne sono la sorgente o la manifestazione (J. Huby: Mystiques paulinienne et johannique Parii, 1946). Non è qui del resto la sostanza del messaggio cristiano?

Gli Apostoli, precursori dei Padri

Il Cristianesimo è essenzialmente un mutuo dono di Dio all’uomo e dell’uomo a Dio, attraverso l’azione dello Spirito Santo. È la vita stessa di Dio portata all’umanità del Verbo fatto carne: « A quanti lo accolsero, ai credenti nel suo nome, diede il diritto di diventare figli di Dio; i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomini ma da Dio sono nati ». S. Giovanni scriveva queste cose verso la fine del primo secolo; condensava in queste parole « nati da Dio », non soltanto i ricordi della sua intimità personale con Gesù Cristo durante tre anni, ma quelli delle esperienze di tre quarti di secolo in quegli ambienti cristiani d’Oriente, in Siria e in Asia Minore, così profondamente imbevuti del pensiero di S. Paolo. Quel pensiero che egli stesso in qualche modo personificava e che i Padri ricevettero dalle sue mani come una eredità sacra. – I primi scritti del Cristianesimo mostrano i loro autori preoccupati di fare un larghissimo posto all’azione dello Spirito Santo. Nemmeno i Vangeli sinottici, la cui funzione era solo di evocare, davanti ai Cristiani che vivevano ancora in un ambiente pentecostale, la vita terrestre del Salvatore, e soprattutto la sua attività pubblica, hanno omesso questo aspetto superiore. Esso domina dall’alto, in due di questi Vangeli, il sermone della montagna attraverso le beatitudini: i Padri ne faranno una realizzazione propria dello Spirito Santo. San Giovanni vi insisterà ancor di più, soprattutto nel discorso dopo la cena: lì, tutto è ordinato alla promessa dello Spirito Santo, la cui venuta esige il sacrificio di Cristo e la sua dipartita per il Cielo: la Pentecoste esige un tal prezzo. – Le Epistole riecheggiano largamente la dottrina del Vangeli. San Pietro è, secondo gli Atti, il primo testimone ufficiale di questa azione dello Spirito, nel momento stesso in cui essa comincia a manifestarsi in pubblico, con la Pentecoste. Egli cita la profezia di Gioele, ma le sue parole ne evocano altre, che diverranno famose. S. Pietro stesso sarà, fra i ministri dello Spirito Santo, quello posto più in alto, nelle prime cristianità, e non è senza emozione che di ciò si trova menzione sobria ma decisa sia nelle sue Epistole che nei discorsi. Nella II Epistola, egli collega questa azione dello Spirito Santo al commovente ricordo della Trasfigurazione e questa evocazione ne dimostra l’importanza che assumeva ai suoi occhi; « perché non furono pronunziate per umano volere le profezie, ma ispirati dallo Spirito Santo parlavano i santi uomini di Dio ». – San Paolo metterà, più di ogni altro, l’accento su queste dottrine. Egli ha, senza dubbio, insistito molto sui danni del peccato originale, in modo particolare nell’Epistola ai Romani, (c. V e VII). Ma generalmente si separano troppo questi testi da quelli del capitolo VIII, splendido omaggio all’azione dello Spirito nel bazzettato: non solo, egli dichiara che il peccato è distrutto, ma che una vita nuova si stabilisce nel Cristiano (VIII, 1-11): essa gode di favori celesti fino all’intimità in questa vita (12-27) e garantisce una vita eterna di felicità (28-39). Queste pagine sulle virtù teologali sono un’eco del magnifico elogio che ne aveva fatto l’Apostolo, l’anno precedente, nella sua prima lettera ai Corinti (XIII, 1-13). – Il Cristiano dovrebbe avere sempre presenti alla memoria questi testi; essi erano l’anima delle direttive date dall’Apostolo a proposito dell’azione dello Spirito Santo nelle comunità. È lo Spirito che dà al battezzato la forza necessaria per lottare contro la carne ed i suoi appetiti; è mediante lo Spirito che, a poco a poco, l’amore diventa una forza che trasforma la Legge, nella misura in cui l’uomo sa conformarvisi. Allora, l’ubbidienza al comandamento non viene tanto dal di fuori quanto dal di dentro, grazie allo Spirito Santo che ci è stato donato. E questa espansione dello Spirito è, essa pure, una larga partecipazione alla vita divina stessa, a quella vita posseduta pienamente dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo. Tale è la dottrina che costituirà per secoli la sostanza dell’insegnamento patristico. – Le Epistole di San Giovanni, e in particolare la prima, danno tutto il loro significato ai testi del suo Vangelo sullo Spirito Santo designato qui col nome di Unzione, per fissare i suoi legami con colui che è egli stesso « l’Unto » per eccellenza, il Cristo. Per tre volte, San Giovanni gli dà qui questo titolo (I, 11, 20 e 22). Tale insistenza è in funzione sia della verità che viene dal Cristo, sia della carità che è la caratteristica propria dell’Apostolo, carità verso il prossimo e verso Dio. Ma l’accento è messo con maggior decisione sull’origine divina della dottrina che penetra con forza nello spirito e nel cuore: « Quanto a voi, dimori in voi l’Unzione che da lui avete ricevuta e così non avete bisogno che alcuno vi ammaestri perché l’Unzione di lui vi insegna tutte le cose, ed è verace e non ha menzogna (11, 27).

Il tema centrale della patristica

Ecco infatti, precisamente, la nota patristica per eccellenza: i primi scritti cristiani ci introducono in un ambiente saturo di vita divina, frutto del battesimo e animato dall’azione dello Spirito Santo, nel quale Cristo continua a governare la Chiesa. In realtà, i Padri sono i primi spirituali della cristianità. Troppo spesso oggi vien dimenticato questo aspetto della loro personalità. Si vede anzitutto in loro dei testimoni della fede, ardenti apologisti, polemisti, creatori persino di scuole nel senso moderno della parola, col rischio di falsare la loro vera personalità, se si trascura quanto è essenziale, cioè la vita soprannaturale. È questa che nelle loro opere è veramente fondamentale e che bisogna mettere in primo piano. Non si tratta di trascurare la fede, ma non bisogna separarla dalla carità che ne è l’anima, secondo, la parola di San Paolo, che ricordava ai Galati: «In Cristo Gesù, ha valore né la circoncisione né l’incirconcisione ma la fede operante per la carità » (Gal. V, 6). – Questa verità elementare è ammessa da tutti nella Chiesa sul piano dei principi. In realtà, tuttavia, è raro che le si dia tutta l’importanza che merita quando descrivono i tempi antichi e, ancora di più quando si arriva ai periodi più recenti. Troppo spesso la Chiesa viene considerata sotto aspetti multipli, ma dispersi, che impediscono ogni visione profonda dell’insieme in coloro che non vi sono attratti da una forza speciale. È questo, precisamente, un punto debole al quale vorremmo rimediare con la presentazione di testi antichi essenziali in questo campo. ‘ – I doni dello Spirito Santo possono esserne il centro, poiché i Padri stessi ne hanno dato moltissime descrizioni. Essi li presentano come una forza divina superiore, che anima il Cristianesimo autentico e gli infonde un’intensa vitalità, sotto ogni punto di vista, sul piano della dottrina come sul piano dell’azione. D’altronde i due aspetti sono, in essi, generalmente uniti in modo indissolubile: questo è uno dei caratteri salienti della Chiesa primitiva e rimarrà dominante per dei secoli. È forse qui che il periodo patristico trova il suo carattere specifico più marcato. È quindi d’immenso interesse mettere in luce questa dottrina, non solo considerandola da un punto di vista teorico o letterario, ma ponendola nell’antico quadro vitale, sia della cristianità in genere, sia della anima cristiana singola, la quale risponde con generosità ai richiami della grazia. – D’altronde, i centri di intenso fervore sono numerosi nell’antichità, anche al di fuori dei chiostri, ed è possibile trovare su questa strada preziose indicazioni riguardanti la vita profonda delle cristianità primitive. Le stesse opere dottrinali hanno una nota spirituale che è un’eco dell’ambiente; più ancora, evidentemente, i sermoni o i trattati religiosi. Possono scaturirne vere illuminazioni, purché si badi un poco a rilevarle. Ci limitiamo qui a indicare le sorgenti più abbondanti sul tema speciale dei doni dello Spirito Santo, schematizzati nell’elenco compilato da Isaia a proposito dell’annunciato Messia. Non che tutto si riduca a questo piccolo documento, ma esso può servire a raggruppare molti testi patristici che toccano le vette più alte della vita spirituale. Per questo l’elenco ha un grande interesse. Molto tempo prima di Cristo, si parla nel Vecchio Testamento dello Spirito di Dio come principio di illuminazione morale o intellettuale, profetica o artistica. Con i Salmi ed i Libri Sapienziali, la nota religiosa e morale passa al primo piano, e diventa preponderante negli ambienti ferventi, poco prima della venuta di Cristo. – Il testo d’Isaia ha un ruolo importantissimo, ma non esclusivo. Verso l’anno 50 a. C., uno dei Salmi detti di Salomone, il XVII al v. 37, riproduce presso a poco l’elenco d’Isaia il cui testo è ben conosciuto: « Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse, Un fiore verrà su da questa radice; E sopra di lui riposerà Io Spirito del Signore Spirito di Sapienza e di intelletto, Spirito di consiglio e di fortezza; Spirito di scienza e di pietà. Lo riempirà lo spirito del timor di Dio (Is., XI, 12). – Anche se la parola timore, che nella Scrittura traduce tante sfumature, non esprime nulla di nuovo, il fatto di esser ripetuto nella conclusione indica che si suol completare il numero « sette », che risponde ad una pienezza; è un elemento questo che bisogna tener presente soprattutto qui. Tutta la tradizione cristiana, fondata sui molteplici settenari dell’Apocalisse (I e V), lo interpreterà in questo senso, con una unanimità che fa legge (V. A. Gardeil, « Dons du Saint-Esprit », i n D. T. coll. 1749-1751).

Fonti delle dottrine sullo Spirito Santo

Questi testi dell’antico Testamento furono messi pienamente in luce dai Padri, grazie a S. Paolo e a S. Giovanni, la cui influenza fu assolutamente decisiva fin dai primi secoli. Questi due Apostoli rappresentano d’altronde, nonostante il loro fondamentale accordo, numerose sfumature che è bene mettere in rilievo, perché si ritroveranno nei Padri, secondo i doni accordati ad ognuno e secondo la loro missione nella Chiesa. L’insistenza su Cristo, sia in San Paolo che in San Giovanni, non deve farci dimenticare il posto che entrambi fanno allo Spirito Santo nelle esortazioni che rivolgono ai fedeli nelle loro Epistole. – Come San Paolo, San Giovanni ha proclamato la dottrina dell’azione universale dello Spirito nei Cristiani, e ha preparato remotamente la sua diffusione tra i Padri. Questa dottrina divenne così comune, in quella forma settenaria che ne è l’espressione corrente. San Giovanni non ha parlato dei sette doni, ma ha moltiplicato i richiami al numero sette nell’Apocalisse, parlandò delle sette Chiese, dei sette candelabri, delle sette stelle, dei sette spiriti divini, e più tardi collegherà le sue misteriose profezie a sette sigilli, sette trombe, sette segni e sette coppe, altrettante occasioni per evocare i sette doni enumerati da Isaia: ben presto si stabilirono dei legami fra gli uni e gli altri. Assumendo il numero sette per le attività dello Spirito Santo, Agostino non farà che fissare una regola cui si ispirava la letteratura religiosa già da molti secoli e la cui origine divina sembrava ormai indiscutibile.

« Spirituali e mistici dei primi tempi »: questo titolo potrebbe essere preso in senso stretto come criterio di scelta fra gli antichi scrittori ecclesiastici. Ma, così facendo, introdurremmo nell’antichità cristiana una categoria mentale che essa ignorava. Rischieremmo di restringere troppo l’argomento, e, forse, di tagliarlo fuori dalle sue vere fonti di ispirazione. In realtà, tutti gli antichi scrittori ecclesiastici, durante gli ottocento anni che vanno dalle ultime decadi del I secolo alla metà del IX, possono essere considerati come « spirituali » e « mistici », se si prendono queste parole in senso largo, e questa accezione risponde bene alla denominazione di Padri che diede loro l’antichità a partire dal secolo V e che è loro rimasta. La si è progressivamente estesa fino al VII sec, poi all’VIII e anche alla prima parte del IX; ma l’estremo limite è là. Infatti, questa denominazione di Padri, presa in se stessa, risponde bene a una preoccupazione spirituale e designa gli organi qualificati dello Spirito Santo nel Corpo Mistico di Cristo. La parola risale alle origini della Chiesa, benché sia divenuta corrente solo in seguito ai Grandi Concili, che provarono il bisogno di affermare l’adattamento delle nuove formule di fede al contenuto delle esposizioni tradizionali, specialmente sulla divinità del Cristo e sulla sua umanità. Designava pure, poiché allora non si separavano questi due aspetti di una realtà vivente, l’autorità degli stessi uomini in quanto concerne le regole della vita cristiana e particolarmente le più alte. – Fra queste regole, legate al dogma, ma di alta portata vitale, quelle che toccano l’unione personale delle anime con Dio presero un rilievo straordinario fin dal II secolo, e più ancora nel III e IV. La sapienza ne è l’aspetto più saliente, ed essa implicava già una vera intimità con Dio, frutto di una altissima conoscenza e di un ardente amore, attribuiti, l’uno e l’altro, ad una azione superiore della grazia. Tutti i grandi Dottori ne beneficiarono, ma il più eminente di essi, in questo come in molti altri campi, è Sant’Agostino; e in lui noi ascoltiamo non soltanto la voce dell’antica Chiesa di Occidente, ma anche di quella d’Oriente di cui il grande Dottore conobbe certamente le grandi tendenze spirituali attraverso Sant’Ambrogio, fervente discepolo dei mistici alessandrini. Egli stesso poi fu maestro incomparabile della vita interiore. – Questo misticismo non era mai isolato, negli antichi, da altre attività interiori della vita cristiana; ne era piuttosto l’anima e il sostegno. Bisogna discernerlo con cura fra le molteplici attività cui essi si dedicavano, per seguire le indicazioni della Provvidenza nei fatti che richiedevano il loro intervento, o nelle vaste  meditazioni che la pietà ispirava loro. La teologia, la filosofia stessa vi trovavano spesso il loro alimento, e non lo si deve dimenticare studiandole. Non bisogna né attaccarsi a queste discipline al punto di trascurare la profonda ispirazione religiosa che ne era spesso il principio animatore, né disdegnarle, col pretesto di andare più in profondità fino al midollo divino che ne è la forza animatrice. – È questa forza interiore che deve essere tenuta maggiormente in considerazione da ogni vero Cristiano che affronta i Padri, ed è ad essa soprattutto che vogliamo rivolgere la nostra attenzione in quest’opera, breve riassunto di studi generali sul pensiero dei Padri. Tuttavia l’insistenza sullo Spirito non è possibile e non può essere utile se non si ha una visione abbastanza precisa dell’insieme di quest’opera letteraria che forma la Patristica. Ne daremo qui un quadro molto sommario, ma indispensabile per classificare bene i diversissimi dati dottrinali di cui dobbiamo fare la sintesi. Potremo distinguervi senza sforzo tre gruppi abbastanza distinti: gli iniziatori, nei tre primi secoli; i grandi pensatori, dei sec. IV e V, da Sant’Atanasio a San Leone Magno (+ 461); i continuatori, dal 461 all’843. – I tre primi secoli sembrano essere un periodo preparatorio, quando li si paragona al prestigio di cui dovevano godere i grandi Dottori del IV sec. Esso è infatti fondamentale, perché fissa le basi sulle quali si eleverà l’imponente edificio spirituale ulteriore. Indubbiamente, anche su questo punto, questo o quel Padre del gran secolo avrà la preminenza; però malgrado alcune lacune, che non bisogna del resto esagerare, i primi Padri hanno, generalmente, un sapore evangelico molto marcato che proviene, senza dubbio, dal contatto più diretto coi tempi apostolici, o da un’azione provvidenziale più accentuata in favore della Chiesa nascente e perseguitata. – I grandi pensatori dell’antichità cristiana si trovano nel periodo che va dalla pace di Milano, 313, alla morte di San Leone, 461, tosto seguita dalla caduta definitiva dell’Impero d’Occidente. Questi centoquaranta anni, che formano, per noi. il gran secolo patristico, non sono, come spesso si crede, un periodo di riposo e di facile trionfo. Invece di essere esteriore, il combattimento per la fede si svolge ora dentro la Chiesa stessa ed è quindi ancora più grave. La Provvidenza divina vi provvede appunto suscitando un maggior numero di uomini superiori che faranno trionfare l’ortodossia tradizionale e cattolica. Alcuni di questi Dottori ebbero una certa funzione pubblica, come San Basilio di Cesarea, San Cirillo d’Alessandria in Oriente, Sant’Ambrogio in Occidente, ma sarebbe ingiusto vedere in essi delle personalità politiche; essi sono anzitutto uomini di Chiesa, così come lo furono San Giovanni Crisostomo e Sant’Agostino, il cui carattere eminentemente soprannaturale è indiscusso. Tutti, malgrado le modalità di azione imposte dalle circostanze, furono uomini di Chiesa e organi dello Spirito Santo. I loro continuatori, dal V al IX secolo, hanno avuto evidentemente meno splendore: le grandi indagini dottrinarie si chiudono con il papa San Leone. Gli scrittori degli ultimi secoli patristici hanno avuto provvidenzialmente il merito di serbare il deposito sacro, ricevuto dagli Apostoli attraverso la Chiesa. Il Papato, in Occidente, deve maggiormente prendere in mano la direzione della Chiesa e San Gregorio il Grande è il modello più perfetto di questa sublime azione della Chiesa e dello Spirito Santo, per mezzo di lei, nel mondo. In Oriente, la Chiesa bizantina, ridotta sempre più dalle conquiste persiane e arabe, si lega strettamente all’impero, senza rompere i legami con Roma soprattutto grazie ai monaci, grandi difensori del culto integrale di Cristo, della Madonna e delle immagini, tre veri centri del loro trionfante misticismo.

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