CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (23)
PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA
Brixiæ, die 15 octobris 1931.
IMPRIMATUR
+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen
TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO
DOMANDA 189a.
Concilio di Trento, sess. VI, Decretum de justificatione, cap. II:
« Ma nessuno, per quanto giustificato si deve credere dispensato dall’osservanza de’ comandamenti; nessuno deve servirsi di quella parola temeraria e proibita sotto scomunica dai Padri: che l’osservanza dei comandamenti di Dio è impossibile per un uomo giustificato. Difatti Dio non comanda cose impossibili, ma quando comanda ammonisce di far ciò che puoi e di domandare quel che non puoi e aiuta affinché tu possa, perché i suoi comandi non sono pesanti (Gio. V, 3) e il suo giogo è soave e leggero il peso (Matt. XI, 30). « Infatti quelli che son figli di Dio amano Cristo; ora quelli che lo amano, come attesta Egli stesso, osservano la sua parola (Gio. XIV, 23), cosa che senza dubbio possono praticare coll’aiuto divino ».
DOMANDA 196a.
S. Giovanni Damasceno, De imaginibus, II, 5:
« Saremmo davvero in errore se di Dio, pur invisibile, ci formassimo una immagine, poiché ciò che non è corporeo, né visibile, né circoscritto, né limitato da contorni, non può essere affatto dipinto. Così pure agiremmo empiamente se giudicassimo che sieno dei le immagini degli uomini da noi formate e ad esse attribuissimo onori divini come a divinità. Ma noi non ammettiamo niente di tutto ciò ».
( P . G., 94, 1287).
I l medesimo, ibid., I l i , 4 1 :
« Adoriamo un solo creatore e artefice delle cose, Dio, al quale dobbiamo culto di l a t r i a , come a Dio che dev’essere adorato per sua natura. Veneriamo anche la SS.ma Madre di Dio, non come Dio, ma come madre di Dio secondo la carne. Inoltre veneriamo i Santi come eletti e amici di Dio, ai quali è agevole l’intercessione presso di Lui » .
( P . G., 94, 1358).
DOMANDA 197a.
Concilio II. di Nicea (787), De sacris imaginibus, …. seduta VII:
« Sulla traccia, per così dire, d’un regal sentiero e seguendo il magistero divinamente ispirato dei santi nostri Padri e la tradizione della Chiesa cattolica (difatti sappiamo che essa è dello Spirito Santo, il quale certamente abita in essa) definiamo con ogni certezza e sollecitudine che devono in modo conveniente proporsi al culto, sia la figura della Croce preziosa e salutare, sia le iMmagini venerabili e sante, tanto quelle dipinte e a mosaico, quanto quelle di altra materia nelle sante chiese di Dio e sui sacri vasi e vesti e sulle pareti e le tavolette e nelle case e nelle vie; vale a dire tanto l’immagine di nostro Signore Dio e Salvatore Gesù Cristo, quanto dell’Immacolata Madre di Dio signora nostra e dei venerabili Angeli e di tutti i Santi insieme e degli uomini virtuosi. Difatti, quanto più frequentemente si contemplano attraverso l’immagine, tanto più alacremente ci si sente elevati al ricordo e al desiderio di essi, a baciarli e tributar loro l’adorazione d’onore, non tuttavia la vera latria, che secondo la fede spetta e conviene soltanto alla natura divina: di maniera che ad esse, come alla figura della preziosa Croce salvatrice, e ai santi vangeli e agli altri sacri monumenti si faccia pure offerta d’incenso e di lumi per omaggio d’onore. Tal’era il pio costume anche degli antichi. L’onore tributato all’immagine risale infatti al raffigurato; e chi venera un’immagine, venera in essa la persona del rappresentato…. Quelli dunque, che osano pensare o insegnare diversamente, o disprezzare da veri ed empii eretici le tradizioni ecclesiastiche ed escogitare ogni genere di novità, oppure rifiutare le cose destinate al culto in Chiesa, per esempio il Vangelo, la rappresentazione della Croce, una immagine dipinta, le sacre reliquie d’un martire, oppure escogitare con malizia o astuzia di abolire qualcuna delle legittime tradizioni della Chiesa Cattolica; oppure servirsi profanamente de’ sacri vasi o de’ venerandi monasteri, se sono Vescovi o chierici, ordiniamo che siano deposti; se monaci o laici, che siano separati dalla comunità ».
(Mansi, XIII, 378).
Concilio di Trento: Vedi D. 174.
DOMANDA 198a.
Concilio di Nicea. Vedi D. 197; Concilio di Trento, D.174.
S. Cirillo d’Alessandria, In Psalm., CXIII, 16:
« Facciamo pure le immagini degli uomini santi, ma non per adorarle come divinità, bensì per sentirci spinti dalla loro contemplazione alla imitazione di essi; ora noi ci rappresentiamo l’immagine di Cristo allo scopo di eccitare l’anima nostra all’amore di lui ».
DOMANDA 213a.
Pio XI, Encicl. Divini illius Magistri, 31 dic. 1929:
« Il compito di educare non è proprio dei singoli uomini, ma necessariamente della società. Ora si contano tre sorta di società necessarie, distinte tra di loro, ma, per volere di Dio, armonicamente unite, alle quali l’uomo viene inscritto dalla sua nascita: due di esse di ordine naturale cioè la domestica e la civile; e una terza, cioè la Chiesa, di ordine soprannaturale. Viene in primo luogo la famiglia la quale, poiché è stata stabilita e preparata da Dio stesso allo scopo preciso di procrear la prole e di curarne l’educazione, ‘precede, di natura sua, e perciò con propri diritti, la società civile. Però la famiglia è società imperfetta per il fatto che non ha tutti i mezzi per raggiungere con perfezione il suo nobilissimo fine; invece la società civile possedendo tutti i mezzi necessari pel suo fine, vale a dire per il comune benessere di questa vita, è società in tutto completa e perfetta e quindi, per questo rispetto, superiore alla famiglia, che solamente nel consorzio civile può adempiere convenientemente e sicuramente il suo compito. La terza società finalmente, nella quale gli uomini, per via del Battesimo, fanno ingresso alla vita della divina grazia, è la Chiesa: società precisamente soprannaturale, che abbraccia tutto quanto il genere umano, in sè perfetta, perchè possiede ogni mezzo pel suo fine, cioè l’eterna salvezza degli uomini; perciò, nel suo ordine, suprema. « Ne consegue che l’educazione, la quale investe intero l’uomo, considerato sia come individuo sia come partecipe della società umana, sia nell’ordine di natura sia nell’ordine della grazia divina, appartiene, in proporzioni rispettive a norma del presente stato costituito da Dio, a queste tre società necessarie, conformemente al fine proprio di ciascuna. « E in primo luogo essa spetta alla Chiesa in linea di preferenza, per il duplice titolo di ordine soprannaturale, a lei soltanto da Dio conferito e quindi più eccellente e più valido affatto di qualsiasi altro titolo d’ordine naturale. « La prima ragione di tal diritto risiede nella suprema autorità e missione d’insegnamento, alla medesima conferita dal divin Fondatore deUa Chiesa con queste precise parole: A me fu dato ogni potere nel cielo e sulla terra. Andate dunque e istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre del Figliolo e dello Spirito Santo: insegnando loro a osservare tutti i miei comandamenti. Ed ecco io sono con voi ogni giorno fino alla fine del mondo. (Matth. XXVIII, 18-20). A questo magistero Cristo Signore assicurò l’immunità dall’errore insieme coll’incarico d’insegnare a tutti la sua dottrina; perciò la Chiesa « fu costituita dal suo divin Fondatore come colonna e fondamento della verità, affinchè insegni a tutti gli uomini la fede divina e custodisca integro e inviolato il deposito suo, a lei affidato, e guidi e informi gli uomini e le loro associazioni e azioni all’onestà de’ costumi e all’integrità della vita, secondo la norma della dottrina rivelata. (Pio IX, Encicl. Cum non sine, 14 luglio 1864). – « L’altra ragione del diritto sgorga da quel mandato soprannaturale di madre, in forza del quale la Chiesa, purissima sposa di Cristo, largisce agli uomini la vita della divina grazia e l’alimenta e accresce co’ suoi sacramenti e precetti. Giustamente dice S. Agostino: « Non avrà Dio per padre chi non vorrà per madre la Chiesa » . {De Symbolo ad cathech., XIII). – « Orbene « Dio stesso fece partecipe la Chiesa del divin magistero e inoltre infallibile, per divin suo dono » in tutte le cose, che cadono sotto il suo mandato di educare, cioè « nella fede e nella formazione de’ costumi; perciò essa è la più grande e sicura maestra degli uomini e possiede diritto inviolabile alla libertà del magistero » (Leone XIII, Encicl. Libertas, 20 giugno 1888). Conseguenza necessaria è che la Chiesa non sia soggetta ad alcuna potestà terrena, come nell’origine, così nell’esercizio della sua missione di educare, tanto in materia spettante al suo proprio ufficio quanto nelle cose necessarie o consentanee ad adempirlo. Quindi, rispetto ad ogni altra disciplina e insegnamento umano, per sè stesso di diritto comune a tutti, cioè de’ singoli cittadini e della società stessa, la Chiesa ha facoltà, non soggetta per nulla a qualsiasi potestà, di giovarsene e soprattutto di giudicarne, in quanto sembrano proprio conferire od opporsi alla cristiana educazione. Tanto può la Chiesa sia perchè, essendo società perfetta, è indipendente nella scelta e nell’applicazione delle difese e de’ sussidii, che giovano al suo fine; sia perchè ogni dottrina e istituzione, come ogni azione umana, dipende necessariamente dal fine ultimo e perciò non può non andar soggetta alle prescrizioni della legge divina, di cui la Chiesa è proprio l’infallibile custode, interprete e maestra ».
(Acta Apost. Sedis, XXII, 52 ss.).
DOMANDA 214.a
Leone XIII, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885:
« Così davvero il rispetto de’ cittadini circonderà con onore e volentieri la dignità del potere. Se infatti si saranno una buona volta persuasi che i governanti godono d’un’autorità conferita da Dio, capiranno davvero che son giusti doveri quelli di ottemperare ai reggitori e di tributare ossequio e fedeltà con una specie di riverenza, qual’è quella de’ figliuoli verso i genitori. Ogni spirito stia soggetto alle alte potestà (Ai Rom., XIII, 1). Sprezzare la legittima autorità, in qualunque persona sia costituita, davvero non è lecito più che resistere alla volontà divina; e chi vi resiste precipita a rovina volontaria. Chi resiste all’autorità resiste a una disposizione di Dio; ma chi resiste si cagiona da sè la dannazione. (Ai Rom., XIII, 2). Perciò negar obbedienza e provocare colla forza a sommossa il popolo è delitto di lesa maestà non soltanto umana, ma anche divina ».
(Acta Leonis XIII, V, 121-22).
DOMANDA 216a.
Leone X III, Encicl. Immortale Dei, 1 nov. 1885 :
« Da ciò consegue che il pubblico potere per se stesso non è che da Dio. Infatti soltanto Dio è il più vero e il più grande padrone d’ogni cosa, al quale bisogna che si sottomettano e servano tutte le cose qualunque siano; di modo che chiunque ha diritto di comandare non lo riceve altronde se non dal supremo principe di tutto, Dio: Non c’è potere se non da Dio. (Ad Rom., XIII, 1) ».
(Ibid., 120).
S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Romanos, XXIII, 1:
« E dimostrando che ciò è comandato a tutti anche ai sacerdoti e ai monaci e non soltanto ai secolari, fin da principio dichiara dicendo: Ogni anima sia soggetta alle alte potestà; anche se è un apostolo, un evangelista e un profeta o qualsiasi altro; e difatti questa soggezione non scalza la pietà. E non disse semplicemente: Obbedisca, ma stia soggetta. Ebbene la prima difesa di tale ordinamento, che s’accorda anche coi ragionamenti di fede, è che questi precetti provennero da Dio: Non c’è infatti potere, disse, se non da Dio. Che dici? Dunque ogni principe è ordinato da Dio? Non dico questo, risponde: e difatti, io non parlo ora dei singoli principi, ma dell’autorità in se stessa. Affermo che è disposizione della divina sapienza che ci siano principati e che gli uni comandino, gli altri stiano soggetti, e che ogni cosa non sia governata dal caso e senza disegno, come se i popoli fossero flutti sbattuti di qua e di là. Perciò non disse: Infatti non c’è principe se non da Dio; ma parla dell’autorità stessa dicendo: Infatti non c’è potere se non da Dio; quelli che veramente sono poteri, sono ordinati da Dio ».
(P. G., 60, 615).
DOMANDA 218a.
Leone XIII, Encicl. Rerum novarum, 15 maggio 1891:
« E primieramente tutto l’insegnamento religioso, di cui è interprete e custode la Chiesa, molto può giovare a metter d’accordo ricchi e proletari tra loro e unirli, vale a dire richiamando l’una e l’altra classe ai reciproci doveri e innanzi tutto quelli che derivano da giustizia. Obblighi di giustizia quanto al proletario e all’operaio sono questi: prestare integralmente e fedelmente l’opera che liberamente e secondo equità fu pattuita; non recar danno in alcun modo alla roba, nè offesa alla persona dei padroni; nella difesa stessa dei propri diritti astenersi da fatti violenti, nè mai far sommossa; non far comunella coi delinquenti, che agitano ingannevolmente speranze esagerate e grosse promesse, cosa che cagiona di solito inutile pentimento e rovina dei beni. — Questi altri invece riguardano i ricchi e i padroni: non tenere gli operai alla stregua di schiavi; rispettare in essi la dignità della persona umana nobilitata per di più da quello che si chiama carattere cristiano. L’arte di guadagnare, se si segue l a ragione naturale e la filosofia cristiana, non è vergogna per un uomo, ma onore, perché fornisce una onesta possibilità di sostentamento. Davvero turpe e disumano è l’usar degli uomini come di cose per un guadagno, nè stimarli più di quanto valgano i loro nervi e le loro forze. Similmente si comanda di tener conto a riguardo dei proletari della religione e dei beni spirituali. Perciò entra nei doveri dei padroni di consentire che l’operaio abbia tempo sufficiente per la pietà: non esporlo ai lenocini delle corruttele e alla attrattive del male, nè distoglierlo per qualsiasi motivo dalla cura della famiglia e dall’amore del risparmio. Similmente non imporre opera superiore alle forze o di tal sorta che non convenga all’età e al sesso. Principalissimo tra i doveri dei padroni è dare a ciascuno la giusta mercede ».
(Acta Leonis XIII, XI, 110, 111).
DOMANDA 220a.
Leone XIII, Encicl. Quoad apostolici muneris, 28 dic. 1878:
« Se però talvolta accade che i capi esercitino a capriccio e oltre misura il potere pubblico, la dottrina della Chiesa cattolica non permette d’insorgere a proprio talento contro di essi, affinchè non si turbi sempre più la tranquillità dell’ordine e la società non ne subisca maggior danno. E se si arriverà a tal punto che non sorrida alcun’altra speranza di salvezza, essa insegna ad affrettare il rimedio coi meriti della cristiana pazienza e con incessanti preghiere a Dio. Che se la volontà dei legislatori e dei capi sanzionerà e comanderà cosa che ripugni alla legge divina o naturale, la dignità e il dovere del nome cristiano e inoltre la sentenza apostolica esigono che si debba obbedire prima a Dio che agli uomini ». (Atti, V, 29).
(Ibid., I, 177).
DOMANDA 226a.
Alessandro VII, Decr. 24 sett. 1665, prop. 2a , tra le condannate:
« Un cavaliere, provocato a duello, lo può accettare per non incorrere presso gli altri nel biasimo di viltà ».
(Du Plessis, 1. c., III, 11, 321).
Leone XIII, Lett. Pastoralis officii, 12 sett. 1891 ai Vescovi di Germania e d’Austria:
« L’una e l’altra legge divina, tanto quella eh’è stata promulgata col lume della ragione naturale, quanto quella promulgata nei libri sacri scritti sotto divina ispirazione, vieta rigorosamente che alcuno, tranne per ragione pubblica, uccida o ferisca un uomo, se non costretto dalla necessità per provvedere alla propria salvezza. Ma ehi provoca a duello o l’accetta, questo mira, e a ciò convergono le forze dell’animo suo, senza esser affatto costretto, a strappare la vita o almeno infligger ferite all’avversario. Inoltre, l’una e l’altra legge divina proibisce che nessuno faccia getto spensierato della sua vita, esponendola a rischio grave e manifesto, quando nessuna ragione di dovere o di carità magnanima lo consiglia; ma questa cieca temerità, disprezzatrice della vita, è nella natura appunto del duello. Perciò non è possibile che sia dubbio per chicchessia o cosa oscura che sopra coloro, i quali fanno duello, ricade il duplice delitto dell’altrui uccisione e del rischio volontario della propria vita. Finalmente, non c’è peste più avversa alla disciplina del vivere civile e che rovini il retto ordinamento della nazione quanto permettere ai cittadini che si eriga ciascuno rivendicatore, privatamente e colla violenza, del diritto e dell’onore, che reputi violato».
(Acta Leonis XIII, XI, 284).
DOMANDA 229a.
Pio XI, Encicl. Divini illius Magistri, 31 dic. 1929:
« Ma molto più disastrose son le dottrine ed opinioni intorno al seguire in tutto, per guida, la natura: esse s’intrufolano in una parte scabrosa dell’educazione umana, cioè in quella che concerne l’integrità de’ costumi e la castità. Molti infatti di tanto in tanto tengono e promuovono con stoltezza e con rischio un metodo di educazione, ch’è detta sfacciatamente sessuale, stimando falsamente di potere, con mezzi puramente naturali e con un qualsiasi presidio di religione e di devozione soltanto, preservare i giovani dei piacere e dalla lussuria vale a dire iniziando e istruendo, anche in pubblico, tutti costoro, senza distinzione di sesso, con insegnamenti lubrici, o peggio esponendoli per tempo alle occasioni, affinchè l’animo loro, assuefatto — com’essi cianciano — a siffatti incontri, incallisca, per così dire, contro i pericoli della pubertà ».
(Acta Apost. Sedis, XXII, 71).
DOMANDA 258a
Concilio IV di Laterano (1215), cap. 21: Del dovere della Confessione…. e di comunicarsi almeno alla Pasqua.
« Ogni fedele dell’uno e dell’altro sesso, giunto agli anni della discrezione, confessi lealmente al proprio sacerdote almeno una volta all’anno tutti i suoi peccati da solo a solo e cerchi di adempiere secondo le proprie forze la imposta penitenza, ricevendo con pietà il sacramento dell’Eucaristia almeno alla Pasqua, a meno che dietro consiglio del proprio sacerdote giudichi per qualche ragionevole motivo di astenersene per qualche tempo: altrimenti da vivo gli sia impedito di entrare alla Chiesa e in morte sia privato della sepoltura cristiana. Perciò questa norma salutare sia spesso annunciata nelle chiese, affinchè nessuno possa mettere innanzi la scusa dell’ignoranza. Ma se qualcuno vorrà, per giusto motivo, confessare i suoi peccati a un sacerdote forestiero prima chieda e ottenga licenza dal proprio sacerdote, altrimenti questi non lo potrebbe assolvere o legare. Ma il sacerdote sia discreto e cauto, sicché, da buon medico, infonda vino e olio sopra le piaghe del ferito, richiedendo con diligenza le circostanze tanto del peccatore quanto del peccato, per mezzo delle quali possa prudentemente capire qual consiglio gli debba dare e qual rimedio applicare, giovandosi di varii esperimenti per salvare il malato ».
(Mansi, XXII, 1007)
Concilio Tridentino, sess. XIV, cap. 5, De Pœnitentia:
« La Chiesa ha stabilito per mezzo del Concilio di Laterano…. che il precetto della Confessione sia adempito almeno ima volta all’anno da tutti e singoli, quando sono arrivati agli anni della discrezione. Sicché ormai si osserva in tutta quanta la Chiesa, con immenso vantaggio per le anime dei fedeli, quella salutare usanza di confessarsi nel tempo sacro e opportuno della quaresima; usanza che il santo Sinodo approva e accetta assai volentieri come pia e veramente degna da praticarsi ».
DOMANDA 259a.
Concilio IV di Laterano, vedi D. 258.
Concilio di Trento, sess. XIII, De Eucharistia, can. 9:
« Sia scomunicato chi nega che tutti e singoli i fedeli di Cristo d’ambo i sessi sono tenuti, giunti che siano all’età della discrezione, a comunicarsi ogni anno almeno alla Pasqua, secondo il precetto della santa Madre Chiesa ».
DOMANDA 261a.
Sacra Congregazione del Concilio, Decreto Sacra Tridentina Synodus, 2 dic. 1905:
« L’accesso alla Comunione frequente e quotidiana, desideratissima com’è da Cristo Signore e dalla Chiesa cattolica, sia lasciato aperto a tutti i fedeli di Cristo di qualunque classe o condizione; sicché nessuno, che sia in istato di grazia e voglia accostarsi alla Sacra Mensa con animo retto e pio, possa esserne tenuto lontano ».
(Acta Apost. Sedis, II, 296).
Sacra Congregazione dei Sacramenti, Decreto Quam singulari, 8 ag. 1910:
« VI. Chi ha cura de’ fanciulli deve procurare con ogni mezzo che essi, dopo la prima comunione, si accostino spesso alla sacra Mensa e, se è possibile, anche ogni giorno come desiderano Gesù Cristo e la madre Chiesa; e che ciò facciano con quella divozione dell’anima, che comporta l’età ».
(Ibid., II, 582).
DOMANDA 262a.
S. Congreg. dei Sacramenti, 1. c.:
« I. L’età della discrezione tanto per la Confessione quanto per la Comunione è quella, nella quale il fanciullo comincia a ragionare, cioè verso il settimo anno approssimativamente. Da questo tempo comincia l’obbligo di sodisfare all’uno e all’altro precetto della Confessione e della Comunione ».
(Ibid.).
DOMANDA 263a.
S. Congregazione dei Sacramenti, 1. c.:
« IV. L’obbligo del precetto della Confessione e della Comunione, al quale è tenuto il fanciullo, ricade specialmente sopra coloro, che devono averne cura, cioè sui genitori, sul confessore, sugl’istitutori e sul parroco. Spetta poi al padre, o a chi ne fa le veci, e al confessore, secondo il Catechismo Romano, ammettere il fanciullo alla prima Comunione ».
(Ibid.).
DOMANDA 264a.
S. Congreg. dei Sacramenti, 1. e. :
« II. Per la prima Confessione e Comunione non è necessaria la piena e perfetta conoscenza della dottrina cristiana. Tuttavia il fanciullo dovrà poi a mano a mano imparare tutto intero il catechismo, secondo la sua capacità ».
« III. La conoscenza della religione, che si richiede nel fanciullo perchè si prepari convenientemente alla prima Comunione, è quella che gli permette di comprendere, secondo la sua capacità, i misteri della fede, necessari di necessità di mezzo, e di distinguere il pane Eucaristico dal pane comune e materiale, di modo che s’accosti alla SS. Eucaristia con la devozione che l’età stessa comporta ».
(Ibid.).
DOMANDA 265a.
S. Congreg. dei Sacramenti: V. D. 263.
DOMANDA 266a.
S. Congreg. dei Sacramenti, 1. c.:
« VI. Rammentino coloro cui spetta la cura (de’ fanciulli) l’obbligo gravissimo di provvedere che i fanciulli stessi intervengano alle pubbliche lezioni di catechismo; altrimenti, suppliscano in altro modo alla loro religiosa istruzione » .
(Ibid.).
DOMANDA 269a.
S. Congreg. del S. Ufficio, Decreto 24 sett. 1665, 4 a prop. condannata :
« Chi fa una confessione nulla di proposito, adempie il precetto della Chiesa ».
(Du Plessis, III, II, 321).
DOMANDA 275a.
Pio XI, Enc. Quas primas, 11 dic. 1925:
Ordini religiosi d’ambo i sessi e sodalizi che, prestando validissimo aiuto ai Pastori della Chiesa, s’adoperano con tutto zelo a promuovere o a costituire il regno di Cristo tanto col combattere, in grazia de’ sacri voti, la triplice concupiscenza del mondo, quanto col contribuire, per mezzo d’una professione di vita più perfetta, a far rifulgere sempre più al cospetto di tutti con splendore perenne, quella santità, che il divin Fondatore volle fosse della Chiesa una nota insigne».
(Acta Apost. Sedis, XVII, 609).
DOMANDA 276a.
Leone XIII, Lett. Testem benevolentiæ, 22 genn. 1899 all’È.mo Card. Gibbons:
« Da questo disprezzo, per così dire, delle virtù evangeliche, che erroneamente son chiamate passive, era inevitabile conseguenza che penetrasse a poco a poco negli animi anche il disprezzo della vita religiosa stessa. E desumiamo che quest’errore sia comune ai fautori delle nuove opinioni, da certe loro sentenze a proposito dei voti che fanno gli Ordini religiosi. Dicono infatti che quelli sono in contrasto assoluto coll’indole del nostro tempo in quanto restringono i confini della libertà umana; e che sono buoni per gli spiriti deboli piuttosto che per i forti; e che non giovano alla perfezione cristiana e al bene dell’umano consorzio, che anzi piuttosto s’oppongono e nuociono all’una e all’altro. Orbene quanta falsità ci sia in queste affermazioni apparisce facilmente dalla pratica e dalla dottrina della Chiesa, che sempre approvò altamente la vita religiosa…. Aggiungono che il sistema di vita religiosa non giova punto o ben poco alla Chiesa. È un’ingiuria per gli Ordini religiosi, e del resto chi ha svolto gli annali della Chiesa non vi potrà mai consentire ».
(Acta Leonis XIII, XIX, 15-16).
Il medesimo, Lett. Au milieu des consolations, 23 ag. 1900, all’E.mo Card. Richard:
« Gli Ordini religiosi, come ognun sa, ebbero l’origine e la loro ragione d’esistere dai sublimi consigli evangelici che il nostro divin Redentore suggerì, pel corso di tutte le generazioni, a coloro che intendono raggiunger la perfezione cristiana: anime forti e generose che per mezzo della preghiera e della contemplazione, di sante austerità, della pratica di certe regole, tendono alle più alte vette della vita spirituale. Nati sotto l’azione della Chiesa, che ne conferma colla sua autorità il reggimento e la disciplina, gli Ordini religiosi sono scelta porzione del gregge di Gesù Cristo; sono, secondo S. Cipriano, « l’onore e l’avvenenza della grazia spirituale » (De discipl. et habitu virginum, c. 77), e nel tempo stesso fanno testimonianza della santa fecondità della Chiesa. Le loro promesse, spontanee e libere, dopo matura riflessione durante il noviziato, furono considerate e rispettate sempre come cosa sacra, sorgente delle più nobili virtù. Lo scopo di questi impegni è doppio: anzitutto sollevare le persone, che se li assumono, a un più alto grado di perfezione; poi prepararle, purificandone e fortificandone l’anima, al ministero esteriore, che si esercita per la salvezza eterna del prossimo e al sollievo delle numerose miserie dell’umanità. Così, lavorando sotto la direzione suprema della Sede Apostolica per attuare l’ideale perfezione additata da Nostro Signore, vivendo con regole niente affatto in contrasto con qualsiasi forma di governo civile, gli Istituti religiosi contribuiscono assai alla missione della Chiesa, riposta essenzialmente nel santificar le anime e beneficare l’umanità. Perciò dovunque fu rispettato il diritto naturale d’ogni cittadino di scegliere il genere di vita ch’egli crede più conforme al suo genio e al suo perfezionamento morale, anche gli Ordini religiosi sbocciarono come un prodotto spontaneo del suolo cattolico e i Vescovi li considerarono ben a ragione preziosi ausiliarii del santo ministero e della carità cristiana » .
(Acta Leonis XIII, XX, 340-41).
Pio XI, Lett. Unigenitus Dei Filius, 19 marzo 1924 :
« Il Figlio Unigenito di Dio, venuto nel mondo per redimere l’uman genere, dopo aver dato norme di vita spirituale per guida di tutti al raggiungimento del fine stabilito, insegnò di più che a chi vuol seguire più dappresso le sue vestigia, conviene abbracciare e osservare i consigli evangelici. Ora chiunque, fatto voto a Dio, promette di osservare siffatti consigli, non soltanto si libera da tutti gli ostacoli, che di solito ritardano gli uomini dal santificarsi, per es. i beni di fortuna, le cure e le brighe del matrimonio, la smodata libertà in tutte le cose; ma anche cammina alla vita perfetta per una via così diritta e spedita da sembrar che abbia gettato l’ancora ormai nel porto di salvezza ».
(Acta Apost. Sedis, XVI, 133).
DOMANDA 280a.
Concilio di Trento, sess. VI, De justificatione, can. 11:
« Sia scomunicato chi afferma che l’uomo è giustificato unicamente coll’accreditamento della santità di Cristo, o colla sola remissione de’ peccati, senza la grazia e la carità diffusa dallo Spirito Santo ne’ lor cuori e ad essi inerente; ovvero che la grazia, per cui siamo giustificati, è soltanto un favore di Dio ».
S. Cirillo d’Alessandria, In Joann., I , 9:
« Divenuti partecipi di lui (Dio) per virtù dello Spirito, ci è stato impresso il sigillo della sua somiglianza, e ci siamo elevati alla forma esemplare della sua immagine, per la quale la divina Scrittura afferma che noi siamo stati creati. E così, ricuperata finalmente l’antica bellezza di natura e rinnovellati sul modello di quella divina natura, supereremo i danni che ci toccarono in conseguenza della prevaricazione. Per merito dunque di Cristo siamo saliti alla dignità soprannaturale; anche noi, (non però come lui, senz’alcuna differenza) diventeremo figli di Dio, ma a somiglianza di lui, vale a dire in virtù della grazia, per la quale, a lui conformandoci, lo riproduciamo. Difatti egli è il vero Figlio di Dio, generato dal Padre, mentre noi siamo per sua benignità figli adottivi, per via della grazia che ce ne fa degni: Io ho detto: siete dei e figli tutti dell’Eccelso (Salm. LXXXI, 6). Perchè appunto la natura creata e schiava è chiamata all’ordine soprannaturale soltanto al cenno e per volontà del Padre; invece il Figlio, Dio e Signore, è Dio non per cenno di Dio e del Padre, nè per sola volontà di lui, ma, per esser lo splendore della sostanza stessa del Padre, rivendica a sè il bene proprio di lui, secondo natura ».
(P. G., 13, 154).
DOMANDA 282a.
Concilio II d’Orange, (529), can. 18:
« Per le buone opere compiute è dovuta ricompensa senza che alcun merito prevenga la grazia; ma, per essere compiute, precede una grazia, che non è dovuta ».
(Mansi, VIII, 715).
Concilio di Trento, Sess. VI, Decretum de justificatione, can. 32:
« Sia scomunicato chi afferma che le buone opere dell’uomo giustificato sono soltanto dono di Dio, e non anche meriti buoni dell’uomo stesso giustificato, oppure che l’uomo giustificato non merita veramente colle buone opere, da lui compiute per grazia di Dio e per merito di Gesù Cristo, di cui è membro vivo, l’aumento della grazia, la vita eterna e il raggiungimento della stessa vita eterna (se muore in grazia) e inoltre l’aumento della gloria ».
DOMANDA 283a
Concilio di Trento, Sess. V I , Decretum de justificatione, can. 27:
« Chi sostiene che non v’è peccato mortale se non quello di mancanza di fede, oppure che la grazia, una volta ricevuta, non si perde per altro peccato, sia pur grave ed enorme, tranne che pel peccato di mancanza di fede, sia scomunicato ».
S. Basilio: Vedi D. 66.
DOMANDA 285a.
Concilio di Trento, Sess. VI, Decretum de justificatione:
« Vengono poi disposti alla stessa giustificazione, mentre mossi ed aiutati dalla grazia divina e acquistando la fede dalla predicazione, sono mossi liberamente verso Iddio, credendo vere le cose che furono da Dio rivelate e promesse; e anzitutto, che l’empio è da Dio giustificato per la grazia di Lui, in virtù della redenzione che è in Cristo Gesù; inoltre coll’elevarsi alla speranza, volgendosi dal timore della divina giustizia, onde sono utilmente scossi nella consapevolezza d’esser peccatori, a considerare la misericordia di Dio, nella fiducia che Dio sarà loro propizio per amor di Cristo; col cominciare ad amarlo come fonte d’ogni giustificazione; col ribellarsi quindi contro i peccati per una specie di odio e per detestazione, cioè per quel pentimento che dev’esser concepito prima del Battesimo; finalmente col proposito di ricevere il Battesimo, d’incominciare una nuova vita e di osservare i divini comandamenti. Di questa disposizione sta scritto: Chi a Dio s’accosta deve credere che c’è e ch’è rimuneratore di chi lo cerca (Agli Ebr., XI, 6) e : O figlio, abbi fiducia, ti son rimessi i tuoi peccati (Marc, II, 5; Matt., I X , 2) e; il timore del Signore scaccia il peccato (Eccli., I, 27) e: Fate penitenza e ognuno di voi sia battezzato in nome di Gesù Cristo per la remissione de vostri peccati e riceverete il dono dello Spirito Santo (Atti, II, 38) e: Andate dunque e ammaestrate tutte le genti battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare i miei comandamenti (Matt., XXVIII, 19, 20). Finalmente: Preparate i vostri cuori al Signore ». (I Re, VII, 3).
S. Agostino, De spiritu et littera, 48:
« Se però quelli che vivendo secondo natura adempiono la legge (Ai Rom,, II, 14) non ancora si devono considerare nel numero dei giustificati dalla grazia di Cristo, ma piuttosto di coloro, di cui, benché infedeli e lontani dall’adorare il vero Dio in verità e giustizia, leggiamo tuttavia o conosciamo, o sentiamo dire fatti che a norma di giustizia non solo non possiamo biasimare, ma anzi dobbiamo meritatamente e legittimamente lodare; tuttavia, se si esaminan bene per qual fine siano compiute, a stento se ne troverà che meritino la dovuta lode di giustizia o l’apologia. Però, siccome nell’anima umana l’imagine di Dio non fu proprio distrutta dalla contaminazione degli affetti terreni sicché non vi sieno rimaste le fattezze fondamentali, per cui meritamente si può dire che nello stesso stato d’infedeltà compia o sappia in parte la legge; se, ciò ch’è stato detto, è fermo, vale a dire che le genti, le quali non hanno legge, cioè la legge di Dio, compiono naturalmente i precetti della legge…. non n’è turbata la differenza, per cui il Nuovo Testamento si differenzia dal Vecchio…. Infatti come certi peccati veniali non tolgono al giusto la vita eterna, peccati senza cui non trascorre la vita, così per la eterna salvezza niente giovano all’empio alcune buone opere, senza le quali è ben difficile che trascorra la vita di qualsiasi anche pessimo uomo ».
(P. L., 44, 229 s.).
DOMANDA 286a.
S. Efrem, De Epiphania, X, 14:
« Il buon Signore mira a questi due fini: non vuol costringere la nostra libertà, nè permette che siamo rilassati. Se infatti usa la costrizione, toglie il libero arbitrio; se invece usa indulgenza, priva l’anima dell’aiuto suo. Sapendo il Signore che, se costringe, ci toglie la libertà; se ci toglie l’aiuto, ci rovina; se insegna, ci acquista: non ci costringe, nè toglie l’aiuto, come fa il maligno, ma insegna, ammaestra e conquista, perchè è buono ».
(Lamy, 1. c., I , 102).
S. Cirillo d’Alessandria, De adoratione in spiritu et veritate, I:
« Poiché la natura dell’uomo non è molto salda, nè abbastanza robusta per svincolarsi dai vizi, Dio le viene in aiuto. Pertanto conferisce duplice grazia; come infatti persuade cogli ammonimenti, così trova i modi d’aiutare e li rende più efficaci di fronte al male presente che vuol farci violenza ».
(P. G., 68, 174).
DOMANDA 287a.
Concilio II d’Orange (529) contro i Semipelagiani:
« Can. 3. Chi afferma che la grazia di Dio può essere conferita Conferita alla preghiera dell’uomo, ma non che la grazia stessa opera in modo che sia da nói invocata, contraddice al Profeta Isaia, o all’Apostolo che dice lo stesso: Fui ritrovato da chi non mi cercava, apparvi palesemente a chi non mi domandava (Ai Rom., X, 20; Isaia LXV, 1) ».
« Can. 4. Chi sostiene che, per purificarci dal peccato, Iddio aspetta la nostra volontà, ma non ammette che per infusione e operazione in noi dello Spirito Santo avviene che anche vogliamo esser purificati, resiste proprio allo Spirito Santo, che dice per bocca di Salomone: La volontà è preparata dal Signore (Prov., VIII, 36) e all’Apostolo che salutarmente proclama: ionm. È Dio che opera in voi e il volere e il fare secondo la buona volontà (Ai Fil., II, 13) ».
« Can. 5. Chi afferma che, tanto l’aumento, come pure il principio della fede e persino il desiderio del credere, grazie al quale crediamo in colui, che giustifica l’empio, e giungiamo alla (ri)generazione del sacro Battesimo, nasce in noi non per un dono della grazia, cioè per ispirazione dello Spirito Santo, che volge la nostra volontà dallo stato d’infedeltà alla fede, dall’empietà alla pietà, ma per via naturale, si dimostra contrario alla dottrina degli Apostoli, perchè dice il beato Paolo: Noi confidiamo perchè chi ha incominciato in noi l’opera buona la condurrà a termine pel giorno del Signor nostro Gesù Cristo (Ai Fil., I, 6); e ancora: Per merito di Cristo a voi fu concesso non soltanto di credere in lui, ma anche di patire per lui (Ai Fil., I, 29) e: Gratuitamente siete stati fatti salvi per la fede e non da voi; perocché essa è dono di Dio (Agli Efes., II, 8). Infatti coloro, che affermano cosa naturale la fede, per la quale crediamo in Dio, vengono in certo senso a concludere che sono fedeli tutti coloro, i quali sono estranei alla Chiesa di Cristo ». « Can. 6. Si oppone all’Apostolo, che dice : Che cos’hai, che non hai ricevuto? (I ai Cor., IV, X) e: Per la grazia di Dio son ciò che sono (I ai Cor., XV, 10) chi afferma che la misericordia è da Dio conferita alla nostra fede, volontà, desiderio, sforzo, attività, vigilanza, diligenza, richiesta, preghiera, insistenza, ma non ammette che avvenga in noi per infusione ed ispirazione dello Spirito Santo il fatto che crediamo, vogliamo e siamo in grado di far tutte queste cose, come si conviene; e all’umiltà, o all’obbedienza umana vuol sì congiunto l’aiuto della grazia, ma non consente che della grazia stessa è dono se noi siamo obbedienti e umili ».
(Mansi, VIII, 713 s.).
Concilio di Trento, Sess. VI, Sulla giustificazione:
« Can. 1. Chi sostiene che l’uomo colle opere sue, che sono compiute colle forze della natura umana, oppure con la conoscenza della legge, senza la grazia divina derivante da Gesù Cristo, possa giustificarsi al cospetto di Dio, sia scomunicato ».
« Can. 2. Chi sostiene che la grazia divina è data per mezzo di Gesù Cristo a questo scopo soltanto che l’uomo possa più falcilmente vivere da giusto e meritarsi la vita eterna, quasiché per mezzo del libero arbitrio, senza la grazia, possa in qualsiasi modo vivere e meritare, a stento però e con difficoltà, sia scomunicato ».
« Can. 3. Chi sostiene che l’uomo possa credere, sperare, amare o pentirsi senza l’ispirazione proveniente dallo Spirito Santo e senza il suo aiuto, com’è necessario affinchè gli sia conferita la grazia della giustificazione, sia scomunicato ».
S. Gregorio di Nazianzo, Oratio, 37, 13:
« Poiché infatti ci sono taluni i quali per le buone azioni insuperbiscono talmente che l’attribuiscono in tutto a se stessi, nè riconoscono d’aver ricevuto affatto qualche cosa dal Creatore e dall’autore della loro sapienza e datore d’ogni bene, li ammaestra la parola (Non è di chi vuole, nè di chi corre, ma di Dio che ha compassione) che persino lo stesso retto volere ha bisogno dell’aiuto divino; anzi per parlare più giustamente, anche la volontà stessa e la scelta delle azioni rette e congiunte col dovere è un beneficio divino e un dono che deriva dalla benignità di Dio. Se infatti ci salviamo, dipende e da noi e da Dio. Perciò dice: Non di chi vuole, cioè non soltanto di chi vuole, nè di chi corre soltanto, ma anche di Dio che ha pietà. Così, siccome lo stesso volere è da Dio, ben a ragione attribuì tutto a Dio. Per quanto tu corra, per quanto tu lotti, tu hai bisogno di chi dà la corona ».
(P. G., 36, 298 s.).
S. Giovanni Crisostomo, In Genesim, XXV, 7:
« E difatti non è possibile che noi compiamo qualche cosa di buono se non siamo aiutati dalla grazia superna ».
(P. G., 53, 228).
DOMANDA 288a.
Concilio di Trento, Vedi D. 289.
Innocenzo X, Costit. Cum occasione, 31 mag. 1653, contro di errori di Giansenio, prop. I tra le condannate:
« Taluni precetti di Dio sono impossibili per gli uomini giusti, anche se vogliono e si sforzano, in proporzione delle forze che possiedono presentemente; a essi manca pure l a grazia, per mezzo della quale si rendano possibili » .
(Du Plessis, 1. c., III, II, 261).
S. Giovanni Crisostomo, In Epist. ad Hebraeos, XVI, 4:
« Non è lecito affermare: Non posso; sarebbe un accusar il Creatore. Difatti se ci avesse fatto incapaci e comandasse, contro di lui sarebbe l’accusa. Come dunque, disse, molti non possono? Perchè non vogliono. Come mai non vogliono? Per indolenza; difatti se vorranno potranno benissimo…. Infatti abbiamo Dio che dà l’aiuto e la forza; resta che facciamo la scelta, che ci disponiamo agli atti da compiere come a un dovere, che abbiamo premura, che facciamo attenzione; e tutto verrà da sè ».
(P. G., 63, 127 s.).