INQUISIZIONE
Speciale tribunale ecclesiastico per combattere e sopprimere l’eresia.
SOMMARIO : I. I. medievale. – II. I. spagnuola.
I. I. MEDIEVALE.
I. ORIGINE. – Missione essenziale dell’episcopato è non solo d’insegnare le verità della fede, ma anche di difenderle contro coloro che le attaccano. Ora, esso si dimostrò impotente a reprimere gli inquietanti progressi fatti nei secc. XI, XII e XIII soprattutto dai catari (chiamati in Italia patarini, nella Linguadoca albigesi, dal nome della regione in cui pullulavano) e dai valdesi. Il Papato perciò, a scongiurare il grave pericolo che minacciava la Cristianità, creò un tribunale speciale: l’Inquisizione. Ma procedette a tappe. – Dapprima Lucio III, a Verona, nel 1184, ponendo il principio di una procedura più sbrigativa che non quella dell’accusa pubblica, ereditata dalla legge romana, obbligò i Vescovi a visitare una o due volte all’anno, personalmente o mediante sostituti, le parrocchie contaminate dall’eresia per sentire, sotto il vincolo del giuramento, le testimonianze di persone degne di fede. Ad essi spettava inoltre la ricerca {inquisitio) d’ufficio dei colpevoli, la loro riconciliazione con la Chiesa o la loro punizione, qualora si rifiutassero di purificarsi, mediante giuramento, dall’accusa di eresia o diventassero recidivi. L’episcopato aveva giurisdizione anche sugli esenti, perché procedeva quale delegato della S. Sede (9, X, V, 7). Varie costituzioni emesse da Innocenzo III negli aa. 1205, 1206 e 1212 e il can. 3 del Concilio Ecumenico Lateranense (1215) completarono le prescrizioni di Lucio III (17-19, 21, X , V , 3; 13 X, V, 7). – Non bastando ancora l’episcopato a tale compito, la S. Sede affidò poteri temporanei a delegati, i più attivi dei quali furono, in Francia; Pietro de Castelnau, assassinato il 15 genn. 1208, e Romano, cardinale di S. Angelo; in Italia: il card. Ugolino. Terminata la crociata che abbatté la potenza degli albigesi in Linguadoca, Raimondo VII, conte di Tolosa, re Luigi I ed il legato romano firmarono il Trattato di Parigi del 12 apr. 1229 che assicurava alla Chiesa la cooperazione dello Stato (testo fotografato in J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen àge, II, Parigi 1938, p. 8) . – Da parte sua l’imperatore Federico II promulgò costituzioni contro gli eretici nel 1220, 1224 e 1231 (J. – L. – A . Huillard-Bréholles, Historia diplomatica Frederici II [Parigi 1852], p. 4, 421 e 19, X, V, 7 ). Fu allora che Gregorio IX istituì per l’Europa, dal 1231 al 1234, dei tribunali d’I., presieduti da inquisitori permanenti, i quali esercitavano i loro poteri entro circoscrizioni determinate. A tale scopo egli scelse Francescani e Domenicani, designati a tale ufficio dai loro superiori gerarchici (L. Auvray, Registres de Grégoire IX [ivi 1890], pp. 339-41 e Th. Ripoll, Biillarium Ordinis Fratrum Prædic., I [Roma 1729], p. 47) o più tardi, dalla S. Sede stessa.
II. GLI INQUISITORI. – Domenicani e Francescani esplicarono contro gli eretici uno zelo ardente. In Italia si urtarono contro le autorità locali che li proteggevano, e contro i ghibellini che avevano fatto lega con essi. Pietro di Verona pagò con la vita l’esercizio delle sue funzioni di inquisitore nel Milanese e a Firenze (29 apr. 1252). Ma nonostante la resistenza, l’eresia catara volgeva al declino verso la fine del sec. XIII e all’inizio del XIV. Quanto ai valdesi, perseguitati dovunque, emigrarono nelle Alpi del Delfinato, poi, scacciati dai loro rifugi, passarono nel Piemonte, dove esistono tuttora. Nei secc. XIV e XV gli inquisitori perseguirono gli pseudo-apostoli, discepoli di fra’ Dolcino, e gli amanti degeneri della povertà francescana, conosciuti sotto il nome di beghini, spirituali e fraticelli. Dinanzi a loro comparivano anche gli Ebrei convertiti che apostatavano, i bestemmiatori, gli scomunicati, dopo un anno di insordescenza, i colpevoli di stregoneria, di divinazione, di sortilegi, di fatture, di invocazione del demonio, di delitti contro natura, di adulterio, di incesto, di concubinato, di usura e, infine, i violatori del riposo domenicale. – Nella loro qualità di giudici delegati della S. Sede, gli inquisitori godevano di poteri eccezionali, che li rendevano indipendenti dall’Ordinario, almeno per quanto riguardava l’esercizio del loro ufficio. Taluni commisero abusi, ma la colpa era più spesso dei loro dipendenti, come, ad es., i notai. La S. Sede punì senza pietà i colpevoli, ad es., Roberto le Bougre, che incorse nella prigione perpetua. Per porre fine a qualunque arbitrio, Clemente V decretò che l’uso della tortura, la promulgazione delle sentenze definitive, la sorveglianza delle prigioni fossero di competenza insieme dei Vescovi e degli inquisitori (1, 2, V, 3 in Clem.). In seguito Giovanni XXII obbligò i giudici dell’Inquisizione a comunicare le procedure agli Ordinari (J. – M . Vidal, Bullaire de l’Inquisìtion francaise au XIVe siècle, Parigi 1913, nn. 40, 55, 56).
III. LA PROCEDURA. – La procedura inquisitoriale è conosciuta nei suoi minimi particolari, grazie ai manuali redatti da Nicola Eymeric, Bernardo Gui e altri. Sospetti, denunce, accuse, la stessa voce pubblica, bastavano all’inquisitore per citare a comparire dinanzi a sé le persone compromesse, o farle trarre in arresto, sia dalle autorità civili, che dai propri dipendenti (sergenti, messaggeri, notai, carcerieri). L’interrogatorio doveva avere luogo in presenza di due testimoni. Un notaio – in sua mancanza due persone idonee – scriveva i processi verbali delle deposizioni o almeno la sostanza di esse. Esente da ogni giurisdizione, l’inquisitore, salvo eccezioni, si dispensava dall’osservare la procedura di diritto comune, per seguire a suo piacimento quella messa in onore da Clemente V e chiamata sommaria, passava oltre a ogni privilegio, ai procedimenti dilatori!, all’appello e all’applicazione del can. 37 del IV Concilio Lateranense che proibiva le citazioni a più di due giornate di cammino (dietæ) dal domicilio dell’incolpato. L’inquisitore aveva dunque un potere discrezionale. La colpevolezza era stabilita sia con la confessione degli interessati, sia con prove testimoniali. Come testimoni potevano essere uditi anche eretici e infamati, pur sottoponendo le loro deposizioni a un serio esame. Erano esclusi i nemici mortali dell’interessato. Due testimonianze di persone degne di fede erano sufficienti a stabilire la colpevolezza; le deposizioni dei testimoni erano comunicate agli imputati, ma i loro nomi erano tenuti nascosti per tema di rappresaglie. Per questo occorreva tuttavia, dopo Bonifacio VIII, che il pericolo fosse giudicato molto grave (20, V , 2 in 6°). – Esistevano vari mezzi per costringere l’imputato a confessare: il regime della prigione stretta, che comportava il digiuno, la privazione del sonno, la prigionia nelle segrete, i ceppi ai piedi e le catene ai polsi, e tormenti anche più crudeli. Se recalcitrava, il detenuto era sottoposto alla tortura, ossia al cavalletto, alla corda, ai carboni ardenti, o al supplizio dello stivaletto. Tuttavia bisognava evitare sempre la mutilazione e il pericolo di morte. – In forza della decretale Si adversus (11, X, V, 7) l’avvocato o il notaio che prestavano il concorso del loro ufficio a un eretico o a un fautore di eresia, si esponevano alla perdita dell’ufficio e incorrevano nell’infamia. Di conseguenza gli imputati restavano indifesi. Tutto al più si permetteva all’avvocato di consigliare il colpevole a confessare. Una volta raggiunta la prova del delitto di eresia, l’inquisitore riuniva una giuria composta di religiosi, di chierici secolari, di persone gravi, di giureconsulti, in numero rilevante, fino a raggiungere la quarantina. Ascoltato il loro parere, egli pronunciava la sentenza sia in pubblico, solennemente, nel cosiddetto « sermone generale », sia fuori di esso. Se l’eretico si ostinava a rifiutare la ritrattazione dei suoi errori o se ricadeva dopo averli abiurati (nel qual caso era giudicato recidivo) l’inquisitore lo abbandonava (relinquimus) — appositamente non adoperava il verbo tradimus — al braccio secolare, pregandolo di risparmiare al colpevole la mutilazione e la morte. In pratica però questa raccomandazione non aveva effetto; solo preservava il giudice dall’irregolarità, in cui sarebbe incorso con il partecipare a una sentenza capitale. Se la corte laica di giustizia non avesse dato alle fiamme l’impenitente o il recidivo, sarebbe stata passibile di scomunica, in quanto favoriva l’eresia (C. Douais, Practica Inquisitionis heretìce pravitatis, auctore Bernardo Guidonis, Parigi 1886, pp. 88 e 127). – Condotto al luogo del supplizio, se il condannato dichiarava di pentirsi e di rinnegare i suoi errori, il tribunale lo restituiva all’inquisitore, il quale lo sottometteva a un interrogatorio molto serrato al fine di evitare qualunque soperchieria. Il pentito doveva denunciare, verosimilmente senza alcuna costrizione fisica, i suoi complici e abiurare una per una le sue eresie. Per castigo era condannato alla prigione perpetua. Se la sua conversione in extremis appariva simulata, la sentenza primitiva riprendeva il suo effetto. Il recidivo che si convertiva all’ultima ora otteneva solo la grazia di ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, prima di morire sul rogo: il delitto di eresia era paragonabile a un caso di lesa maestà divina. – Se il colpevole era chierico od aveva ricevuto gli Ordini, l’autorità ecclesiastica procedeva a degradarlo prima di abbandonarlo al potere civile. Sul fondamento delle costituzioni apostoliche, del Liber Sextus (18, V, 2, in 6°) e della legislazione imperiale, alcuni autori hanno immaginato che l’appello fosse permesso solo nel caso di una sentenza interlocutoria, ma escluso per le sentenze definitive, in particolare per le condanne che importavano il ricorso al braccio secolare. I regesti pontifici han dimostrato, almeno per quanto riguarda il sec. XIV, la falsità di tali affermazioni (v. J. – M. Vidal, Bulicare de l’Inquisìtion francaise, pp. LXXII – LXXX). Tra le pene inflitte agli eretici che abiuravano i loro errori, sembra che quella della reclusione fosse la più largamente adoperata dagli inquisitori. Il regime penitenziario variava a seconda dei casi e dei luoghi: la « prigione larga » escludeva i ferri e le segrete, penalità riservate ai condannati alla «prigione stretta» o alla « prigione strettissima ». – In qualunque caso però, i detenuti non ricevevano altro cibo che « il pane del dolore e l’acqua della tribolazione ».
IV. I PENITENTI. — A volte, i prigionieri ottenevano la libertà provvisoria o definitiva. Si imponeva loro, però, di portare, sulle vesti, segni d’infamia: pezzi di stoffa gialla o rossa, di forme diverse, che li esponevano a ogni sorta di vessazioni, di affronti, di incommodità, che rendevano loro la vita difficile. Infatti, i buoni Cristiani si rifiutavano di avere relazioni con essi ; di dare i propri figli in matrimonio ai loro figli e alle loro figlie. Insulti e persecuzioni non venivano risparmiati. I calunniatori e i falsi testimoni erano duramente puniti: per due giorni consecutivi, dal levar del sole fino a nona, e nelle quattro domeniche successive, erano issati su una scala, a mani legate e capo scoperto, vestiti di un camice senza cintura, davanti alle porte delle chiese, perché la folla li coprisse di ingiurie. Altre volte, gli inquisitori imponevano ai penitenti pellegrinaggi più o meno lontani. I pellegrinaggi maggiori erano a S. Giacomo di Compostella, a Roma, a S. Tommaso di Canterbury, ai SS. Tre Re Magi di Colonia. Al loro ritorno i pellegrini presentavano dei certificati in attestazione del viaggio compiuto e delle visite obbligatorie ai santuari. Ai pellegrinaggi e ai segni d’infamia si accompagnava ordinariamente la fustigazione pubblica. In determinati giorni di festa o di domenica, il penitente assisteva alla Messa parrocchiale, presentandosi al celebrante, con un cero in una mano, delle verghe nell’altra, e riceveva la flagellazione. La cerimonia poteva anche aver luogo durante le processioni. Il fustigato annunciava al popolo riunito, che egli aveva meritato la sua sorte, perché aveva commesso dei misfatti contro gli inquisitori e il tribunale dell’Inquisizione. Sui penitenti gravavano poi altri doveri, come assistere alla predica e alla Messa cantata, astenersi dalle opere servili nei giorni proibiti, ricevere i Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, nelle date stabilite, digiunare, ecc. Le pene inflitte ai colpevoli erano dalla Chiesa stimate, più che punizioni, penitenze utili alla salvezza dei penitenti, tornati alla vera fede cristiana. Così, la prima domenica del mese, il curato spiegava le lettere penitenziali in possesso di un penitente e gli ricordava gli obblighi a cui era tenuto.
V. IL FINANZIAMENTO. – La ricerca e la cattura degli eretici o di coloro che li favorivano, implicava gravi spese. Per compensarle, gli inquisitori imponevano delle multe, sia a titolo principale sia a compenso di pene gravi commutate in pene più lievi. Il resto degli utili era devoluto ad opere pie, quali la costruzione o la manutenzione di chiese, di ponti, di fontane, l’acquisto di paramenti sacri, di vasi sacri destinati agli edifici del culto. – La confisca totale cadeva sui beni degli eretici ostinati e dei recidivi, anche se penitenti, che erano stati rimessi al braccio secolare, come pure sui beni di coloro che erano stati condannati alla prigione perpetua. In Francia un funzionario reale detto « receveur des encours », percepiva il ricavato delle confische, il che gli consentiva di assumersi le spese del tribunale dell’Inquisizione, che incombevano al re. In Italia i redditi del tribunale dell’Inquisizione, si dividevano in tre parti, fra le città, gli ufficiali laici, e il tribunale stesso.
VI. CONSEGUENZE DELLE CONDANNE. – La macchia di eresia non cessava con la morte: secondo le disposizioni delle Decretali (12, X, III, 28 e 8, X, V, 7) la presenza del corpo di un eretico profanava il cimitero dov’era sepolto e l’inquisitore ordinava che le ossa venissero riesumate e calcinate sul rogo. Alcune costituzioni apostoliche e un editto di Federico II prescrivevano la distruzione totale delle case in cui dei catari, detti « perfetti » o « perfette », erano stati arrestati, o s’erano nascosti, o avevano predicato o amministrato il consolamentum, sorta di sacramento che sostituiva quelli della Chiesa. In realtà gli inquisitori applicarono tali decreti solo alle case in cui morivano persone che avevano ricevuto il consolamentum in punto di morte, a saputa del proprietario, o in cui erano state elevate al grado di « perfetti ». – Infine, alcune inabilità civili ed ecclesiastiche colpivano ipso facto tutti gli eretici riconciliati con la Chiesa, fino alla seconda generazione in linea paterna e fino alla prima in linea materna; i chierici divenivano inabili a possedere dignità e benefici ecclesiastici; i laici non potevano esercitare pubblici uffici né compiere determinati atti della vita civile (L. Tanon, Histoire des Tribunaux de l’Inquisìtion en France, Parigi 1893, pp. 539-45). Gli inquisitori accordavano spesso remissioni e commutazione di pene, ma sempre rivedibili.
VII. IL NUMERO. – Quale fu il numero di eretici e di recidivi che subirono il supplizio del fuoco? La documentazione insufficiente impedisce di determinarlo con esattezza. Si hanno indicazioni precise solo sull’attività, nel sec. XIV, del tribunale di Pamiers dove, su 64 persone condannate, 5 furono consegnate al braccio secolare, e su quella dell’inquisitore Bernardo Gui nel Tolosano, dove su 930 persone 42 perirono sul rogo (cf. J. – M. Vidal, Le tribunal d’Inquisition de Pamiers, Tolosa 1906, p. 329; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, I , Parigi 1900, p. ccv). – I moderni hanno giudicato severamente l’istituzione dell’Inquisizione, e l’hanno tacciata di essere contraria alla libertà di coscienza. Ma dimenticano che in passato si ignorava questa libertà e che l’eresia incuteva orrore nei ben pensanti, che erano certamente la grande maggioranza anche nei paesi più infetti di eresia. Non va inoltre dimenticato che in alcuni paesi il Tribunale dell’Inquisizione, durò pochissimo ed ebbe importanza assai relativa: così nell’Italia meridionale, nei regni spagnoli durante i secc. XIII e XIV e nella Germania. A Roma stessa sparì ben presto: il processo contro Lutero nel 1518 fu condotto dall’Uditore generale della Camera Apostolica.
BIBL.; Fonti; Ph. Limborch, Historìa Inquisitionis, Amsterdam 1692; Th.Ripoll, Bullarium O.F.P., Roma 1729; J.H.Sbaralea, Bullarium Franciscanum, Roma 1765; P. Frédéricq, Corpus documentorum Inquisitionis hæreticæ pravitatis Neerlandicæ, 5 voll., Gand 1889; J. Dollinger, Beitràge zur Sektengeschichte des Mittelalters, Munster 1890; C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisìtion dans le Languedoc, 2 voll., Parigi 1893. — Manuali degli Inquisitori: Bernardo di Como, Lucerna inquisitorum hæreticæ pravitatis, Milano 1566; N. Eymeric, Directorium inquisitorum cum commentariis F. Pegnæ, Roma 1578; Davide d’Augusta, De inquisitione hæreticorum, in Abhandlungen der historischen Klasse der Kònìglichen bayerischen Akademìe der Wissenschaft, 14, parte 2″ (1878), pp. 204-35; B. Gui, Practica Inquisitionis hæreticæ pravitatis, ed. C. Douais, Parigi 1886; nuova ed. parziale G. Mollat e G. Drioux, 2 voll., ivi 1926-27; A. Dondaine, Le manuel de l’Inquisiteur {1230-1330), in Archivum Fratrum Prædicatorum, 17 (1947), pp. 85-194; T . Kaeppeli, Un processo contro i valdesi di Piemonte nel 1335, in Rivista della storia della Chiesa in Italia, 1 (1947), pp. 285-91. – Studi; Una bibliografia, ma incompleta, è stata data da E . Vacandard, in DThC, VII (1923) coll. 2067-68 e da J. Guiraud, Histoire de l’Inquisìtion au moyen age, Parigi 1935, I , pp. XI – XLVIII. I libri scritti di recente, a parte quello del Guiraud, non hanno rinnovato l’argomento. Il libro classico di H . C. Lea, A history of the Inquisition of the Middle Ages, 3 voll., Nuova York 1887, vers. frane, di S. Reinach, Parigi 1900-1902, ha perso un po’ del suo valore; vale però meglio il libro di A. S. Turbeville, Medioeval heresy and the Inquisition, Londra 1920. Per l’Italia vedi F. Tocco, L’eresia nel medioevo, Firenze 1884; L . Fumi, Eretici e ribelli nell’Umbria: studio d’un decennio (1320-30), Todi 1916; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici lombardi (1292-1318), in Miscellanea di storia italiana, 3a serie, 19 (1922), pp. 445-557; A. Mercati, Frate Bartolo d’Assisi michelista e la sua ritrattazione, in Archivum Franciscanum historicum, 20 (1927), pp. 260-304; G. Biscaro, Inquisitori ed eretici a Firenze (1319-34), in Studi medievali, 8 (1929), pp. 347-75; id., Eretici ed inquisitori nella Marca Trevisana (1280 1308), in Archivio veneto, 5a serie, 11(1932), pp. 148-80; G. Cornaggia Medici, La visitatio plebana. Caratteri della procedura inquisitoria vescovile con speciale riguardo alle fonti della Chiesa milanese, Milano 1935; P. Barino da Milano, L’istituzione dell’I, monastico-papale a Venezia nel sec. XIII, in Collectanea franciscana, 5 (1935), pp. 177-212; id. – Per una storia dell’Inquisizione, medievale, in Scuola cattolica, 67 (1939), PP. 589-96; F. Bock, Die Beteilung an den Inquisìtìonsprozessen unter Johanns XXII., in Archivum Fratrum Prædicatorum, 6 (1936), pp. 312-333; id., Studien zu den politischen Inquisìtìonsprozessen Johanns XXII., in Quellen und Forschungen, 26 (1936), p. 21-142, 27 (1937), pp. 109-34; C. Della Veneria, L’Inquisizione medievale, e il processo inquisitorio, Milano 1939; P. Barino da Milano, Le eresie popolari del sec. XI nell’Europa occidentale, in Studi gregoriani 1 (1947), pp. 43-89; R. Morghen, Osservazioni critiche su alcune questioni fondamentali riguardanti le origini ed i caratteri propri delle eresie medievali, in Miscellanea storica in memoria di Pietro Fedele, Roma 1946, pp. 97-151.
II. INQUISIZIONE SPAGNOLA.
I. ISTITUZIONE. – Gli Ebrei, numerosi Spagna, vi avevano raggiunto una posizionepreponderante grazie alla loro abilità commerciale. La loro arroganza, il loro lusso e le loro ricchezze, oltre la pratica dell’usura, eccitarono contro di essi l’esasperazione pubblica, che prorompeva di quando in quando in feroci rappresaglie e massacri. Ripetute predicazioni, particolarmente per opera di S. Vincenzo Ferreri, e severi editti nel 1412-13 ne indussero molti a passare al Cristianesimo. Ma troppo spesso tali conversioni erano provocate dall’interesse o dalla paura senza condurre a mutazione di costumi o di occupazioni; molti di questi conversos, o marranos, come furono chiamati, praticavano di nascosto riti giudaici, altri ritornavano addirittura al giudaismo particolarmente in punto di morte; sicché furono ritenuti dagli Spagnoli peggiori di coloro che non s’erano convertiti. – Per provvedere a questo stato di cose e al riordinamento religioso della Spagna, cedendo alle istanze di autorevoli personaggi dell’alto clero e del laicato, i sovrani Ferdinando ed Isabella chiesero a Sisto IV il ripristino della Inquisizione.
II. ORGANIZZAZIONE. – Con bolla del primo novembre 1478 l’Iquisizione fu infatti ripristinata. Essa però assumeva un più deciso carattere nazionale perché, pur ricevendo i loro poteri dal Papa, gli inquisitori erano nominati su proposta dei sovrani che potevano rimuoverli o sostituirli quando non facessero al caso loro. Anche nelle confische che colpivano i rei, i sovrani avevano la loro parte. I tre primi inquisitori furono nominati nel 1480; il Papa ne aggiunse altri sette, e per dareuniformità e disciplina al loro procedere, i due sovrani, accanto agli altri consigli della corona, istituirono il Consejo de la Suprema y General Inquisicion (detto più brevemente la Suprema) con giurisdizione su tutto ciò che interessava la fede. A capo di questo consiglio fu posto un inquisitore generale con pieno potere sui giudici dei singoli tribunali sottoposti. Gli inquisitori iniziarono la loro attività a Siviglia, città popolata di convertiti, donde molti esularono. Un editto del 2 genn. 1481 impose a chi dava loro asilo di consegnarli all’Inquisizione. Un secondo editto, detto di grazia, prometteva il perdono ai penitenti; allo scadere della dilazione accordata, la denuncia dei colpevoli o sospetti di apostasia diventò obbligatoria e per scovare i falsi cristiani fu compilato un memento in 37 articoli in cui si indicavano le loro osservanze caratteristiche. – Molte lamentele, portate fino a Roma, contro il modo di procedere degli inquisitori, decisero Sisto IV a togliere la nomina di questi alla corona e a creare in Castiglia una corte d’appello per i processi di eresia (25 maggio 1483); ma il tentativo non riuscì. Il Papa nominò allora inquisitore generale il Torquemada il quale esercitò le sue funzioni dapprima in Castiglia (1483) e poi in Aragona (1484), quindi nel resto della Spagna (3 apr. 1487). Egli compose, per i suoi sottoposti un codice che, integrato con aggiunte successive, fu pubblicato a Madrid nel 1576 sotto il titolo di Compilacion de las istructiones del officio de la Sancta Inquisicion. Non era opera originale, perché condensava la dottrina esposta da Bernardo Gui nella Practica Inquisitionis e da Nicolò Eymerich nel Directorium Inquisitorum. Vi apportava solo delle precisazioni di dettagli e delle direttive occasionali. – In Aragona l’Inquisizione trovò una forte opposizione. I conversos di Saragozza ordirono un complotto contro i due inquisitori Pedro Arbues de Epila e Yuglar. a notte del 14 sett. 1485, Pedro fu ucciso da un colpo di spada. La sua morte (17 sett.), suscitò a Saragozza la rivolta della popolazione contro i conversos. La repressione fu severa e i congiurati perirono tutti sul rogo. Nel 1492 tutti gli Ebrei, che non accettarono di farsi cristiani, furono costretti a lasciare la Spagna, causa i disordini e le cospirazioni che andavano fomentando; da allora in poi non si ebbero giudaizzanti che saltuariamente, sebbene venissero guardati con sospetto o con disprezzo quei Cristiani che traevano origine dagli Ebrei convertiti. – Quello che era successo ai marranos avvenne anche per i Mori rimasti in Spagna dopo la conquista di Granata (1492), ai quali nel 1498 fu imposto di farsi Cristiani o di andarsene. Si creò così una classe di convertiti (moriscos) solo superficialmente e contro di loro si volse l’attività della Inquisizione. – Gli errori degli alumbrados nei secc. XVI-XVII, tennero pure occupata l’Inquisizione, al giudizio della quale del resto furono assoggettati reati di diritto comune, che ben poco avevano a che fare con l’eresia; e ciò avuto riguardo al migliore funzionamento della sua procedura in confronto agli altri tribunali, alla sua segretezza ed alla maggiore integrità dei giudici. Essa non dimenticò la tradizione medievale ch’era di condurre i rei a penitenza per sottrarli soprattutto alla consegna al braccio secolare ed alle relative conseguenze; non sfuggì però ai pregiudizi dei tempi nell’applicazione delle pene corporali e nel solenne apparato dell’auto da fé (atto di fede). È certo che con l’allargarsi dei poteri dell’Inquisizione in Spagna ne ebbero a scapitare i tribunali vescovili, ai quali venne a mancare quasi del tutto il potere coercitivo. Anzi sarebbe stato proposito della Suprema assoggettare a sé i Vescovi stessi (v. CARRANZA); ma a ciò Roma non volle consentire. Numerosi del resto furono gli attriti con l’autorità Papale che interveniva per moderare lo zelo degli inquisitori, impedire le esorbitanze senza riuscire sempre a correggerne lo spirito aspro di indipendenza e la condotta inflessibile e dura. Sono ben noti i tentativi del re Filippo II per introdurre l’Inquisizione nei suoi domini di Napoli e di Milano e nei Paesi Bassi, incontrando la risoluta resistenza degli abitanti. In Spagna l’Inquisizione, soppressa una prima volta dal dominio francese nel 1809, fu ristabilita nel 1814 e soppressa poi definitivamente nel 1821.
BIBL.: Durante le sue ultime vicende gli archivi dell’Inquisizione, come avvenne anche altrove, andarono distrutti, mettendo così in serio imbarazzo chi voglia descriverne imparzialmente i caratteri e le vicende. Nella storiografia del periodo romantico ebbe larga parte la tendenziosità anticlericale e l’immaginazione romanzesca. Così non si può accettare ad occhi chiusi quanto ne scrisse il più noto storico : Y . A. Llorente, Anales de la Inquisición de Espana, Madrid 1812; id., Memoria histórìca, ivi 1812; id., Historia crìtica de la Inquisición de Espana, ivi 1822 (l’autore fu segretario generale del S. Uffizio e attinse abbondantemente negli archivi); H. Ch. Lea, The Moriscos of Spain. Their conversion and expulsion, Filadelfia 1901; id., A hystory of the Inquisition of Spain, 4 voll., Nuova York 1906-1907; E. Schàfer, Beitràge zur Geschìchte des spanischen Protestantismus und der Inquisition in XVI. Jahrhundert, 3 voll., Giitersloh 1902 (cf. R. De Schepper, in Rev. hist. ecclés., 10 [1909], pp. 138-45); F. Tocco, Henry Charles Lea e la storia dell’Inquisizione, spagnola, in Archivio storico italiano, 5 (1911), pp. 265-303; Ch. Moeller, Les bùchers et les auto-da-fé, in Rev. hist. ecclés., 14 (1913) P- 720-51; 15(1914) pp. 50-69; Pastor, II, p. 593 sgg.; R. Sabatini, Torjuemada et l’Inquisìtion espagnole, trad. francese dall’inglese, Parigi 1937 (opera insufficiente e a volte tendenziosa).
Guglielmo Mollat
Evidentemente I FACINOROSI MASSONIZZANTI, i comunistoidi mondialisti, i modernisti apostati – cattolici falsi ed ipocriti – non ricordano le inquisizioni degli ariani, dei musulmani, degi protestanti luterani, calvinisti, anglicani, dei regimi comunisti in tutto il mondo, – Europa Orientale, Messico, Cuba, Cina, Corea, Indocina – ove l’inquisizione non era regolata dai tribunali, ma da scimitarre, mannaie, roghi pubblici, gulag e fucilazioni, per non parlare dell’acqua tofana o dei bambini di Trento – Simonino -, Marostica – Lorenzino – etc. Si vede che la memoria è corta e superselettiva per coprire ben altri e veri crimini contro l’umanità!
[Nota di ExsurgatDeus]