IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (25)

CATECHISMO CATTOLICO A CURA DEL CARDINAL PIETRO GASPARRI (25)

PRIMA VERSIONE ITALIANA APPROVATA DALL’AUTORE 1932 COI TIPI DELLA SOC. ED. (LA SCUOLA) BRESCIA

Brixiæ, die 15 octobris 1931.

IMPRIMATUR

+ AEM. BONGIORNI, Vic. Gen

TESTIMONIANZE DEI CONCILI ECUMENICI DEI ROMANI PONTEFICI, DEI SANTI PADRI E DELLE SACRE CONGREGAZIONI ROMANE CHE SI CITANO NEL CATECHISMO

DOMANDA 371a.

Concilio II° di Laterano (1139), can. 23:

« Scacciamo dalla Chiesa di Dio e condanniamo per eretici e ingiungiamo che siano puniti dalla potestà secolare coloro che, fingendo zelo religioso, condannano il sacramento del corpo e del sangue del Signore, il Battesimo de’ fanciulli, il sacerdozio e tutti gli altri Ordini ecclesiastici e i contratti di legittime nozze. Intendiamo compresi nella stessa condanna anche i loro difensori » .

(Mansi, XXI, 532).

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. I:

« Anzitutto il sacro Sinodo insegna e professa con schiettezza e semplicità che nell’augusto Sacramento della santa Eucaristia si contiene, dopo la consacrazione del pane e del vino, il Signor nostro Gesù Cristo, vero Dio e uomo, veramente, realmente e sostanzialmente sotto l’apparenza di quegli elementi sensibili. Nè del resto c’è contraddizione che proprio il Salvatore nostro, secondo il modo naturale di esistere, segga in cielo per sempre alla destra del Padre e che nondimeno stia con noi in molti altri luoghi, colla presenza sacramentale della sua sostanza. È questo un modo d’esistere possibile a Dio, per quanto a parole noi non possiamo se non a malapena esprimere: ma col pensiero illuminato dalla fede possiamo giungervi e dobbiamo credervi con perfetta costanza. Difatti anzi gli antenati nostri, quanti vissero nella Chiesa vera di Cristo, ragionando a proposito di questo santissimo Sacramento, professarono apertissimamente che questo mirabile Sacramento fu istituito dal nostro Redentore nell’ultima cena, quando, benedetto il pane e il vino, con eloquenti e chiarissime parole solennemente disse di porgere a coloro proprio il suo corpo e il suo sangue. E siccome queste parole, conservate dai santi Evangelisti e ripetute poi da san Paolo, offrono precisamente e propriamente quel significato, secondo il quale furono intese dai Padri, è davvero un’indegnità vergognosa che da taluni nomini cavillosi e cattivi siano stravolte, contro il pensiero universale della Chiesa, a sensi metaforici fittizi e immaginari, che rinnegano la verità della carne e del sangue di Cristo. Certo è che la Chiesa, quale colonna e fondamento della verità, ha detestato come ispirazione del demonio queste fandonie escogitate da uomini empii, riconoscendo sempre con animo grato e ricordevole questo eccellentissimo beneficio di Cristo ».

Leone XIII, Encicl. Miræ caritatis, 28 maggio 1902:

« Ebbene, siamo mossi e quasi sospinti precisamente dala medesima carità apostolica, la quale vigila sulle vicende della Chiesa ad aggiungere, a quelle già compiute proposte, alche altra cosa, come un perfezionamento loro, vale a dire che si raccomandi vivissimamente al popolo cristiano la santissima Eucaristia, quale dono divinissimo ricercato proprio dall’intimo Cuore del medesimo Redentore, che desiderò ardentemente questa singolare unione cogli uomini: dono fatto apposta per elargire i frutti sanitarissimi della sua redenzione…. « Ora, per rinvigorire e rinfervorar la fede negli animi è opportuno, che niente più, il mistero Eucaristico, detto con esattezza mistero di fede, in quanto che in esso solo si contiene, per un’abbondanza e varietà in certo modo unica di miracoli, tutto il soprannaturale: il Signore pietoso e compassionevole lasciò, come ricordo delle sue meraviglie, un cibo a quelli che lo temono (Salmo CX, 4-5). Difatti Dio volle riferito tutto il soprannaturale all’Incarnazione del Verbo, in grazia della quale il genere umano potesse riacquistare la salvezza, come dice l’Apostolo: Si propose di restaurare in Cristo, proprio in lui, le cose tutte del cielo e della terra (Agli Efes., I , 9-10); ora l’Eucaristia, secondo il pensiero de’ santi Padri, deve considerarsi come una certa quale continuazione e un’amplificazione dell’Incarnazione, dacché in virtù di essa la sostanza del Verbo incarnato s’unisce a ciascun uomo e si rinnova miracolosamente il supremo sacrificio del Calvario. Così profetò Malachia: Dappertutto è sacrificata e offerta in mio onore una vittima pura (I, 11) ».

(Acta Leonis XIII, XXII, 116, 122).

DOMANDA 372a

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

DOMANDA 373a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 4:

« Poiché Cristo redentor nostro dichiarò che è davvero suo corpo ciò che offriva sotto apparenza di pane, fu persuasione sempre della Chiesa di Dio, che ora di nuovo questo santo Sinodo ribadisce, che, per la consacrazione del pane e del vino, avviene la conversione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del Corpo di Cristo Signor nostro e di tutta la sostanza del vino nella sostanza del sangue di lui; e questa conversione fu convenientemente e con esattezza chiamata Transustanziazione dalla santa Chiesa cattolica ».

S. Giustino, Apologia I , 66:

« E questo cibo si chiama da noi Eucaristia e a nessuno è lecito parteciparvi, se non crede alla verità de’ nostri insegnamenti e non è stato purificato dal lavacro istituito per la remission de’ peccati e la rigenerazione, e non viva come Cristo insegnò. Perché non prendiamo questi come un comun pane o una comune bevanda; ma come Gesù Cristo salvator nostro, fatto carne per il Verbo di Dio, rivestì carne e sangue per amor della nostra salvezza, così siamo ammaestrati che è carne e sangue appunto di Gesù incarnato quel cibo, sul quale furono rese grazie con la preghiera contenente proprio le parole di lui: cibo, in grazia del quale il nostro sangue e le nostre carni sono per trasmutazione alimentate. Difatti gli Apostoli nelle loro memorie, che sono i Vangeli, insegnarono che così fu comandato da Gesù; quando, cioè, preso il pane, dopo aver reso grazie, dichiarò: Fate ciò in memoria di me; questo è il mio corpo; e similmente, preso il calice e rese grazie: Questo — disse — è il sangue mio. E ad essi soli lo affidò ».

(P. G., 6, 427 s.).

S. Efrem, In Hebdomadam Sanctam, IV, 4. 6:

« Gesù Signor nostro prese nelle mani un pane, dapprima puro e semplice e lo benedisse, lo segnò e santificò nel nome del Padre e dello Spirito, lo spezzò e distribuì a’ suoi discepoli a bocconi, nella sua benignità; dichiarò corpo suo vivo il pane e lo riempì di sè stesso e dello Spirito; poi, porgendo colla mano, diede ad essi il pane, che la sua destra aveva santificato: Ricevete, mangiate tutti di questo, che è stato santificato dalla mia parola. Non giudicate pane quel che ora vi ho dato; prendete, mangiate questo pane, non lasciatene disperder le briciole; quest’è davvero quel che ho chiamato corpo mio. Un frammento duna sua briciola ha potenza di santificare migliaia di migliaia e basta per dar vita a ognuno che ne mangia. Prendete, mangiate con fede, senza il minimo dubbio che quest’è il mio corpo; e chi lo mangia con fede, mangia, in esso, fuoco e spirito. Ma chi lo mangia dubitoso, diventa per lui semplice pane; invece chi mangia con fede il pane consacrato nel mio nome, se è puro, puro si conserva, se peccatore, vien perdonato. Chi poi lo trascura o disprezza od offende, stia pur certo che offende il Figlio, il quale lo dichiarò ed effettivamente lo rese corpo suo.

« Dopo che i discepoli ebbero mangiato il pane nuovo e santo e capirono per fede d’aver mangiato, con esso, il corpo di Cristo, Cristo continuò a spiegare e a consegnare tutto il Sacramento. Prese e versò vino nel calice, poi lo benedisse, lo segnò e santificò, dichiarando ch’era sangue suo, destinato ad essere sparso…. Cristo li invitò a bere e spiegò loro ch’era suo sangue ciò che nel calice bevevano: Quest’è il vero mio sangue, eh’è sparso per tutti voi; prendete, bevetene tutti, perché il testamento nuovo è nel mio sangue. Come avete visto far me, così voi farete in mia memoria. Quando, in qualsiasi luogo, vi radunerete nella Chiesa in mio nome, fate in mia memoria quel che ho fatto io; mangiate il mio corpo e bevete il mio sangue, testamento nuovo e antico ».

(Lamy, 1. c., I , 416, 422).

S. Atanasio, Fragmenta sermonis cuiusdam ad Baptizatos:

« Vedrai le viti portar i pani e il calice del vino e deporli sulla mensa. E fino a che non sono state fatte ancora le preghiere e le invocazioni, non c’è altro che pane e calice. Ma, dopo fatte le grandi e mirabili preghiere, allora il pane diventa corpo e il calice sangue del Signor nostro Gesù Cristo…. « Veniamo al compimento de’ misteri. Questo pane e questo calice prima delle preghiere e delle suppliche non hai nulla fuor della propria natura, ma, pronunciate le grandi preghiere e le sante suppliche, il Verbo discende nel pane e nel calice e si fa suo corpo ».

(P. G., 26, 1326).

S. Cirillo di Gerusalemme, Cathecheses, XXII (mist. IV), 2-3. 6. 9; XXIII (mist. V), 7:

« Anche da sola questa istituzione del beato Paolo (I Cor., XI, 23) è più che sufficiente per assicurare la vostra fede circa i divini misteri, de’ quali voi fatti degni, siete diventati

concorporei e consanguinei di Cristo. Difatti egli proclamava testé: Ciò che in quella notte nella quale era consegnato, ecc. Orbene, dopo ch’egli in persona ha detto e dichiarato del pane: Quest’è il mio corpo, chi mai oserà d’or innanzi dubitare? E, dopo ch’egli ha affermato e dichiarato: Quest’è il mio sangue, chi mai avanzerà dubbii per dire che non è suo sangue? « Una volta cangiò, a Cana di Galilea, l’acqua in vino, che è affine al sangue; e lo giudicheremo non degno di fede, quando cangiò il vino in sangue? Invitato a nozze materiali, compì questo miracolo stupendo; e non ammetteremo anche più volentieri che abbia voluto donare il corpo e il sangue suo in godimento ai figli del talamo nuziale? « Perciò con piena persuasione riceviamo (quelli) come il corpo e il sangue di Cristo. Difatti sotto l’apparenza di pane ti è dato il corpo e sotto l’apparenza di vino il sangue nell’intento che, ricevuto il corpo e il sangue di Cristo, diventi proprio a lui concorporeo e consanguineo. Difatti diventiamo così, dopo comunicato il corpo e il sangue di lui alle nostre membra, i portatori di Cristo. Così diventiamo, al dir del beato Pietro, partecipi della natura divina (II di Piet., I, 4). « E perciò non considerarli semplice pane e vino; son davvero corpo e sangue di Cristo, secondo l’affermazione del Signore; e, benché il senso t’insinui quel pensiero, ti faccia fermamente certo la fede. Non giudicar dal gusto, ma sii certo per fede senza esitazione che sei stato fatto degno di questo dono: il corpo e il sangue di Cristo. « Così istruito e radicato nella fede certissima, che non è pane quel che sembra pane, benché sia tale al gusto del senso, ma corpo di Cristo, e che non è vino quel che par vino, benché così sembri al gusto, ma sangue di Cristo, e che a questo proposito sin dai tempi antichi Davide cantava nei salmi: e il pane sostenti il cuor dell’uomo, affinchè risplenda la faccia con l’olio (Ps. CIII, 15), conferma il tuo cuore, ricevendo come spirituale quel pane e rischiara di gioia il volto della tua anima. « Poi, santificati da queste lodi spirituali, preghiamo Dio benigno che piova lo Spirito Santo sulle offerte, di modo che renda proprio corpo di Cristo il pane e sangue di Cristo il vino. Perchè tutto quanto lo Spirito Santo ha toccato, è stato consacrato e tramutato ».

( P . G., 33, 1098 ss., 1114).

S. Giovanni Crisostomo, In Matthæum, LXXXII, 4:

« Rendiamo dappertutto l’ossequio nostro a Dio e non erigiamoci a lui in contraddizione, anche se par contrario alla nostra ragione e al nostro pensiero ciò ch’egli dice, ma sulla nostra ragione e sul nostro pensiero prevalga la parola di lui. Facciamo così anche ne’ misteri, non badando soltanto a quel che cade sotto il senso, ma tenendo fede alle sue parole; difatti la sua parola non può ingannare, mentre s’inganna facilmente il nostro senso; la sua parola non cade mai in fallo, spesso invece il nostro senso. E poiché egli ha detto: Questo è il mio corpo, siamo docili a credere e guardiamo a lui con occhi spirituali. Difatti Cristo non ci ha dato nulla di sensibile, ma nelle cose anche sensibili tutto è spirituale. Così appunto anche nel Battesimo il dono dell’acqua ci è dato pel tramite di cosa sensibile : quello poi che si compie è spirituale, generazione e rinnovamento. Perchè egli t’avrebbe dato schietti e senza corpo que’ doni, se tu fossi incorporeo; ma, perchè l’anima è congiunta col corpo, te li regala spirituali in forma sensibile. Quanti sono quelli che ora direbbero: Avrei voluto vederne la figura, la fisionomia, la veste, i calzari? Ecco: tu lo vedi, lo tocchi, mangi di lui in persona ».

(P. G, 58, 743).

S. Giovanni Damasceno, De fide ortodoxa, IV, 13 :

« È davvero unito alla divinità il corpo, ch’ebbe nascita dalla santa Vergine; non in guisa che ridiscenda il corpo, ch’è stato accolto ne’ cieli, ma perchè proprio il pane e il vino si tramutano in corpo e sangue di Dio. Se chiedi come avvenga ciò, ti basti sapere che avviene in virtù dello Spirito Santo; al modo stesso che il Signore si prese dalla santa Madre di Dio la carne, affinchè in lui precisamente avesse sussistenza, nè altro è a noi chiaro e conosciuto, salvo che la parola di Dio è verace ed efficace e può tutto, ma non possiamo affatto noi scrutarne il modo. Però assurdo non è dire: come con processo naturale il pane mangiato e il vino e l’acqua bevuti si tramutano in corpo e sangue di chi mangia e di chi beve, sicché non diventano altro corpo differente dal corpo suo, che prima esisteva; così, per l’invocazione e l’intervento dello Spirito Santo, si convertono in corpo e sangue di Cristo, con un processo troppo più alto delle forze e della condizione di natura, il pane, che fu preparato nella offerta, e similmente il vino e l’acqua: in modo che non sono affatto due, ma una cosa unica e identica…. Pane e vino poi non sono figura del corpo e sangue di Cristo — si badi bene! — ma proprio il corpo del Signore, congiunto colla divinità, poiché appunto il Signore ha detto: Questo è non figura del corpo, ma il corpo mio, e non figura del sangue, ma il sangue mio…. Che se taluni, come il divin Basilio, chiamarono il pane ed il vino gli antitipi del corpo e del sangue del Signore, così si espressero non dopo la consacrazione, ma prima che l’offerta stessa fosse consacrata. Orbene antitipi son detti di cose che han da essere, non perchè non siano davvero corpo e sangue di Cristo, bensì perchè ora siam fatti partecipi, pel loro tramite, della divinità di Cristo, allora invece coll’intelligeuza, attraverso la pura apparenza ».

(P. G., 94, 1143 ss.).

DOMANDA 374a.

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ebbene, unica è la Chiesa universale de’ fedeli, fuor della quale nessuno si salva affatto, nella quale l’identico sacerdote è anche sacrificio, Gesù Cristo; e il corpo e il sangue di lui son davvero contenuti sotto le apparenze di pane e di vino nel Sacramento dell’Altare, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per divina potenza; sicché, a compire il mistero di unità, proprio noi riceviamo di suo tutto ciò ch’egli ebbe di nostro ».

(Mansi, XXII, 982).

II Concilio di Lione (1274), Professio fidei Michælis Paleologi.

« La medesima Chiesa Romana forma il Sacramento dell’Eucaristia con pane azimo, credendo e insegnando che nel Sacramento stesso il pane si transustanzia davvero in corpo e il vino in sangue del Signor nostro Gesù Cristo ».

(Mansi, XXIV, 71).

Concilio di Costanza (1414-1418), sess. VIII, prop. 1-3, tra gli errori di Giovanni Wicleff:

« 1. Rimangono nel Sacramento dell’altare la sostanza del pane materiale e similmente la sostanza del vino materiale.

« 2. Nel medesimo Sacramento gli accidenti del pane non rimangono senza soggetto.

« 3. Nel medesimo Sacramento Cristo non c’è identico e reale (nella) propria presenza corporale».

(Mansi, XXVII, 1207).

Concilio di Trento: Vedi D. 371.

Il medesimo, sess. XIII, Decreto sulla Ss. Eucaristia, can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che nel sacrosanto sacramento dell’Eucaristia rimane la sostanza del pane e del vino insieme col corpo e il sangue del Signor nostro Gesù Cristo; e chi nega quella mirabile e singolare conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, rimanendo soltanto le specie del pane e del vino: conversione, che la Chiesa Cattolica chiama esattamente Transustanziazione ».

Benedetto XII, Dal libricino Jamdudum, an. 1341:

« Similmente che gli Armeni non affermano che, dopo Transudette le parole della consacrazione del pane e del vino, si sia compiuta la transustanziazione del pane e del vino nel vero corpo e sangue di Cristo, quale nacque dalla Vergine, patì e risuscitò; ma credono che quel Sacramento sia un esemplare, od un’immagine o figura del vero corpo e sangue del Signor e: . . . perciò essi non chiamano il Sacramento dell’altare corpo e sangue del Signore, ma vittima o sacrificio, o comunione ».

(Mansi, XXV, 1189).

Pio VI, Cost. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, 29 prop. tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« La dottrina del Sinodo, in quel luogo dove, proponendosi d’insegnare la dottrina di fede circa il rito della consacrazione, si sbriga delle questioni scolastiche concernenti la maniera che Cristo è nella Eucaristia, dalle quali esorta i parroci, che hanno incarico d’insegnare, ad astenersi, ed, esposti questi due soli punti: 1° che Cristo è davvero, realmente e sostanzialmente sotto le specie, dopo la consacrazione; 2° che allora cessa tutta la sostanza del pane e del vino, rimanendo soltanto le apparenze —, tralascia addirittura qualsiasi cenno alla transustanziazione o conversione di tutta la sostanza del pane nel corpo e di tutta la sostanza del vino nel sangue, che il Concilio di Trento definì come un articolo di fede e ch’è contenuta nella solenne profession di fede; in quanto, per via di siffatta inconsulta e sospetta omissione, vien tolta la cognizione così d’un articolo, che riguarda la fede, come anche del vocabolo consacrato dalla Chiesa per proteggerne la professione contro l’eresie; e in quanto perciò mira a farla dimenticare, come si trattasse d’una questione puramente scolastica, la dottrina del Sinodo è perniciosa, si sottrae all’esposizione della verità cattolica, circa il dogma della transustanziazione, è favorevole agli eretici » .

(Bullarii Romani continuatio, ed. di Prato, VI, III, 2712).

DOMANDA 376a

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 1:

« Poiché sotto il vecchio Testamento, come attesta S. Paolo Apostolo, non c’era perfezione, per impotenza del sacerdozio levitico, convenne che sorgesse, per disegno di Dio padre di misericordia, un altro sacerdote dell’ordine di Melchisedecco, il Signor nostro Gesù Cristo, che fosse in grado di sollevare e perfezionare quanti dovevano essere santificati. Egli dunque, Dio e Signore nostro, si sarebbe un giorno sulla Croce, morendovi, immolato al Padre, per operare la redenzione eterna; ma, perchè il suo sacerdozio non doveva estinguersi per la morte, nell’ultima cena, nella notte del suo tradimento, per lasciare alla sua sposa diletta, la Chiesa, un visibile sacrificio, come la natura umana esige, dal quale fosse riprodotto quello di sangue che stava per consumarsi una volta soltanto sulla Croce; inoltre perchè ne restasse memoria sino alla fine del mondo e la sua salutare efficacia fosse applicata in remissione de’ peccati, che noi ogni giorno commettiamo, dichiarando d’essere stato costituito in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco, offerì a Dio Padre, sotto le specie del pane e del vino, il corpo e sangue suo, e sotto le apparenze di essi, ne fece dono, perchè lo ricevessero, agli Apostoli che costituì da quell’istante sacerdoti del nuovo Testamento; e fece loro precetto, e ai loro successori nel sacerdozio, di offrirlo con queste parole: Fate questo in memoria di me ecc., come intese e insegnò sempre la Chiesa Cattolica. Difatti, compiuta la vecchia Pasqua, che gl’Israeliti celebravano per memoria della liberazione dall’Egitto, istituì una Pasqua novella, cioè l’immolazione di sè stesso nella Chiesa, per mano de’ sacerdoti, sotto segni visibili, per memoria del suo passaggio da questo mondo al Padre, allorché ci redense con lo spargimento del suo sangue, ci strappò al dominio delle tenebre e ci trasferì nel suo regno. « Ed è questa la famosa vittima immacolata, che non può esser contaminata da qualsiasi indegnità o malizia di chi offre; quale il Signore predisse per bocca di Malachia che pura sarebbe stata offerta in ogni luogo al nome suo, ch’era per diventar grande fra le Genti; e quale chiaramente indicò l’Apostolo Paolo, scrivendo a’ Corinzii, quando dichiarava che chi è contaminato dalla partecipazione alla mensa de’ demonii non può farsi partecipe alla mensa del Signore (cfr. I ai Cor., X, 21); intendendo in entrambi i vocaboli, per mensa, l’Altare. Questa è finalmente la vittima prefigurata per via dei vari simboli di sacrifizi, al tempo della natura e della Legge; in quanto comprende tutti i benefici da quelli significati, come compimento e consumazione di essi tutti ».

Il medesimo, ib., can. 2:

« Sia scomunicato chi afferma che Cristo con quelle parole: Fate questo in memoria di me, non istituì sacerdoti gli Apostoli, oppure che non ordinò ad essi e agli altri sacerdoti che offrissero il corpo e sangue suo ».

DOMANDA 379a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, c. 3:

« La santissima Eucaristia questo ha in comune con gli altri Sacramenti, d’essere un simbolo di cosa sacra e un segno visibile della grazia invisibile; ma in essa è eccellente e singolare che, mentre gli altri Sacramenti hanno virtù di santificare solamente quando uno se ne giova, invece nella Eucaristia, anche prima di riceverla, c’è l’autore in persona della santità: difatti gli Apostoli ancora non avevan ricevuto dalla mano del Signore l’Eucaristia ed Esso appunto affermava in verità ch’era suo corpo quel che offriva; e sempre rimase nella Chiesa questa fede che, subito dopo la consacrazione, sotto l’apparenza del pane e del vino, esiste il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue insieme coll’anima e divinità di lui stesso; però il corpo, in forza della significazione delle parole, sotto l’apparenza del pane e il sangue sotto l’apparenza del vino: ma lo stesso corpo sotto l’apparenza del vino, e il sangue sotto l’apparenza del pane e l’anima sotto l’una e l’altra in forza della naturale connessione e concomitanza, per cui sono congiunte tra loro le parti di Cristo Signore, ormai risorto da morte per non più morire; inoltre la divinità per la mirabile unione ipostatica col corpo e coll’anima. È perciò verissimo che sotto l’una o l’altra o sotto ambedue le specie c’è l’identico contenuto, perchè tutto e intero è Cristo sotto la specie del pane, come sotto qualsiasi frammento di essa; e tutto similmente sotto la specie del vino e le parti di essa.

« Can. 3. Sia scomunicato chi nega che tutto Cristo sia contenuto nel venerabile Sacramento dell’Eucaristia, sotto ciascuna specie e sotto le singole parti di ciascuna specie, se è avvenuta separazione ».

DOMANDA 382a.

Concilio di Firenze, Decretum prò Græcis:

« Che, parimenti, si consacra veracemente il corpo di Cristo con azimo, o pane fermentato di frumento; e che i sacerdoti devono consacrare nell’uno o nell’altro lo stesso

corpo del Signore, ciascuno conforme alla consuetudine della sua Chiesa, sia occidentale, sia orientale ».

(Mansi, XXXI, 1031).

Il medesimo, Decretum prò Armenis:

« Terzo è il Sacramento dell’Eucaristia e sua materia è il pane di frumento e il vino di vite, al quale dev’essere mescolato, prima della consacrazione, un pochino d’acqua. E l’acqua vi si mescola perchè, secondo le attestazioni de’ santi Padri e Dottori della Chiesa, riferite prima durante la discussione, si crede che il Signore stesso abbia istituito questo Sacramento col vino mescolato con acqua. Poi perchè conferisce alla rappresentazione della passion del Signore. Difatti il beato Alessandro, quinto papa dopo il beato Pietro, dice: « Nell’offerta, fatta a Dio durante la Messa, del Sacramento si offra soltanto pane e vino mescolato con acqua. Non si deve infatti infondere nel calice o solo vino o sola acqua, ma l’uno e l’altra mescolati, perchè si legge che l’uno e l’altra, cioè sangue e acqua, stillò dal fianco di Cristo » . Inoltre anche perché conferisca a significar l’effetto di questo Sacramento, cioè l’unione del popolo cristiano a Cristo. Infatti l’acqua significa il popolo, come dice l’Apocalisse: Acque molte…. molti popoli (Apoc, XVII, 15). E Papa Giulio II dopo il beato Silvestro dice: « Si deve offrire il calice del Signore, stando alla prescrizion de’ canoni, con vino mescolato di acqua, perchè intendiamo essere indicato nell’acqua il popolo e nel vino il sangue di Cristo. Dunque, quando nel calice si mescola l’acqua col vino, si riunisce il popolo a Cristo e si congiunge e stringe a colui, nel quale crede, la turba de’ fedeli » . Dunque poiché sia la S. Romana Chiesa, istruita dai Ss. Apostoli Pietro e Paolo, sia le altre Chiese de’ Latini e de’ Greci, nelle quali s’illustrarono i luminari d’ogni santità e dottrina, così osservarono fin dalla nascita della Chiesa e così osservano tuttora, sembra davvero sconveniente che qualunque altra regione si stacchi da questa universale e ragionevole osservanza. Perciò decretiamo che anche gli Armeni si conformino con tutto quanto il mondo cristiano: che i loro sacerdoti mescolino al vino, come s’è detto, un pochino d’acqua nell’offerta del calice ».

(Ib., 1056).

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 7:

« Inoltre il santo Sinodo ammonisce che fu prescritto dalla Chiesa ai sacerdoti di mescolare, all’offertorio, acqua col vino, sia perchè si crede che Cristo Signore così abbia fatto, sia perchè dal suo fianco uscì acqua insieme col sangue, sacro ricordo che con questa mistura viene richiamato; e poiché nell’Apocalisse del beato Giovanni acque son detti i popoli, si raffigura l’unione del popolo stesso fedele col capo Cristo ».

Concilio di Firenze, Decretum prò Armenis :

« Forma di questo Sacramento son le parole del Salvatore, colle quali istituì questo Sacramento: difatti il sacerdote compie questo Sacramento, in quanto parla nella persona di Cristo. Perchè, in virtù appunto delle parole, la sostanza del pane si converte in corpo di Cristo e la sostanza del vino in sangue; però in tal guisa che tutto Cristo esiste contenuto sotto la specie del pane e tutto sotto la specie del vino. E anche sotto qualsiasi parte dell’ostia consacrata e del vino consacrato, dopo la separazione, c’è Cristo intero. Effetto di questo Sacramento, ch’esso opera nell’anima di chi lo riceve degnamente, è l’unione dell’uomo a Cristo. E siccome per la grazia l’uomo s’incorpora a Cristo e si unisce alle sue membra, ne consegue che, in chi lo riceve degnamente, la grazia per opera di questo Sacramento s’accresce; e, rispetto alla vita spirituale, opera questo Sacramento ogni effetto del cibo e della bevanda materiale rispetto alla vita del corpo, col sostentarla, accrescerla, guarirla, riempirla di diletto. Difatti, come dice Papa Urbano, in esso noi rinnoviamo grato ricordo del nostro Salvatore, per esso siam preservati dal male, confortati al bene, aiutati efficacemente ad accrescere le virtù e la grazia » .

(Mansi, 1. c.).

DOMANDA 385a

Concilio IV di Laterano (1215), c. I, De fide catholica, contra Albigenses:

« Ora, unica è la Chiesa universale de’ fedeli; e in essa il sacerdote in persona è anche il sacrificio, Cristo Gesù, del quale nel Sacramento dell’altare si contengono sotto le specie

del pane e del vino il corpo e il sangue, dopo la transustanziazione del pane in corpo e del vino in sangue, per potenza divina ».

(Mansi, XXII, 982).

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Ireneo, Adversus hæreses, IV, 17, 5:

« Pertanto, volendo dare anche un consiglio a’ suoi discepoli, di offrire a Dio le primizie delle sue creature, non come n’avesse bisogno, ma perchè non siano, a suo riguardo, né indifferenti nè ingrati, prese quello che nella creazione è il pane e rese grazie, dicendo: Questo è il mio corpo (Matt., XXVI, 26). E similmente dichiarò suo sangue il vino, qual è nella creazione comune anche a noi; e insegnò il nuovo sacrificio del nuovo Testamento. E la Chiesa, ricevutolo dagli Apostoli, ne fa offerta a Dio in tutto il mondo, a Dio che fornisce gli alimenti, come primizia de’ suoi doni nel nuovo Testamento, del quale Malachia, tra i dodici profeti, aveva profetato così: Non sono ben disposto, dice il Signore onnipotente, verso di voi e non accetterò sacrificio dalle vostre mani; perchè dall’oriente all’occidente il mio nome tra i popoli è glorificato e dappertutto si offre incenso al mio nome e un sacrificio puro, perchè grande è il mio nome tra le Genti, dice il Signore onnipotente (Mal., X, 11); è chiarissimo da queste parole che il primo popolo cesserà le sue offerte a Dio e dappertutto invece si offrirà una vittima pura a Lui, e il nome di Lui è glorificato fra le Genti » .

( P . G., 7, 1023).

DOMANDA 386a.

Concilio di Trento: Vedi D. 376.

S. Gregorio Magno, Dialogus, IV, 58:

« Specialmente questa vittima salva l’anima dalla morte eterna, perchè essa misteriosamente rinnova per noi la morte dell’Unigenito, il quale sebbene risorgendo da morte più non muore e la morte non ne avrà dominio (Ai Romani VI, 9), pure, vivendo in se stesso immortale e incorruttibile, s’immola di nuovo per noi in questo mistero del santo sarrMcio. Infatti lì si riceve il suo corpo, la sua carne si distribuisce per la salvezza del popolo, il suo sangue vien versato non tra le mani degl’infedeli, ma nella bocca de’ fedeli. Perciò riflettiamo qual è per noi questo sacrificio, che per nostra assoluzione riproduce perpetuamente la passione del Figlio unigenito.

(P. L. 77, 425)

DOMANDA 387a

Concilio di Trento: Vedi D . 379.

DOMANDA 388°

Concilio di Trento, sess. XXII, Sul sacrificio della Messa, cap. 2:

« E poiché in questo divin Sacrificio, che si compie nella Messa, è contenuto e s’immola incruento quel Cristo medesimo, che una volta s’immolò cruento sull’ara della Croce, il santo Sinodo insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio; e per sua virtù avviene che, se ci accostiamo a Dio con cuore sincero e retta fede, con timore e riverenza, contriti e pentiti, otteniamo misericordia e la grazia di un aiuto opportuno. Il Signore infatti, placato da quest’offerta, col concedere la grazia e il dono del pentimento, perdona colpe e peccati anche enormi; difatti unica è la vittima e la medesima e chi offre ora pel ministero de’ sacerdoti è il medesimo, che allora si sacrificò sulla Croce, diversificando soltanto il modo della offerta. E i frutti di quel cruento sacrificio si ricevono abbondantissimamente per mezzo di questo incruento, tant’è vero che questo non deroga in qualsiasi modo a quello. Perciò è offerto legittimamente, conforme alla tradizione degli Apostoli, non soltanto per i peccati, le pene, le sodisfazioni e le altre necessità de’ fedeli viventi, ma per i morti nel Cristo, ancora non interamente purificati ».

DOMANDA 389a.

Concilio di Trento: Vedi D . 388.

DOMANDA 390a.

S. Cirillo di Gerusalemme, Catecheses XXIII, (mist. V), 10:

« Se un re relegasse in esilio gente da cui è stato offeso e poi quelli, a’ quali questa gente appartiene, composta una corona, l’offrissero al re per i proprii disgraziati da lui puniti, non condonerebbe forse il re a loro que’ supplizio? Così pure noi per i defunti, anche se son peccatori, offrendo preghiere a Dio, non intrecciamo una corona, ma offriamo Cristo immolato per i nostri peccati, intendendo soddisfare e propiziare per noi come per loro Dio clemente ».

(P. G., 33, 1118).

DOMANDA 392a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, can. 5:

« Sia scomunicato chi dirà che è un’impostura celebrare la Messa in onore de’ Santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come intende la Chiesa ».

DOMANDA 393a.

Concilio di Trento, sess. 22, Del sacrificio della Messa, cap. 6:

« A dir vero il sacrosanto Sinodo desidererebbe che a ciascuna Messa i fedeli, che assistono, partecipassero con amore di spirito non soltanto, ma anche col ricevere l’Eucaristia sacramentalmente, affinchè così provenisse a loro più abbondante il frutto di questo santissimo Sacrificio: tuttavia, se ciò non avviene sempre, non perciò condanna quelle Messe nelle quali soltanto il sacerdote comunica sacramentalmente, come private e illecite, ma le approva, anzi le raccomanda: inquantochè anche quelle Messe hanno da esser considerate pubbliche, parte perchè il popolo vi partecipa spiritualmente, parte perchè son celebrate da un pubblico ministro della Chiesa, non solamente per sè, ma per tutti i fedeli che appartengono al corpo di Cristo ».

DOMANDA 394a.

Pio VI, Costit. Auctorem fidei, 28 ag. 1794, prop. 30 tra le condannate, contro gli errori del Sinodo di Pistoia:

« Una dottrina del Sinodo dichiara di « credere che l’offerta del sacrificio s’estende a tutti, però in guisa che nella liturgia può essere fatta speciale memoria di alcuni tanto vivi quanto morti, supplicando Dio in modo particolare per essi »; poi subito soggiunge: « però non crediamo che sia ad arbitrio del sacerdote l’applicare i frutti del sacrificio a chi gli pare; anzi condanniamo quest’errore come assai lesivo de’ diritti di Dio, il quale solo distribuisce a chi vuole i frutti del sacrificio e secondo quella misura che proprio a lui piace »; sicché logicamente gabella per « falsa l’opinione invalsa tra il popolo che chi offre un’elemosina al sacerdote, col patto di dirgli una Messa, ne ricava un frutto speciale ». Tal dottrina, intesa nel senso che, oltre alla speciale commemorazione e orazione, quell’offerta particolare, ossia applicazione del sacrificio, fatta dal sacerdote, non giovi di più, a pari condizioni, per coloro, in favore de’ quali è applicato, che per altri qualsiasi, come se dalla speciale applicazione non derivasse nessun frutto speciale, che la Chiesa raccomanda e prescrive di fare per determinate persone o classi di persone, specialmente ai pastori per i loro greggi: conseguenza logica d’un precetto divino, espressamente formulata dal sacro Concilio di Trento (sess. XXIII, cap. II, sulla riforma; Bened. XIV, Costit. Cum semper oblatas, § 2): è falsa, temeraria, dannosa, ingiuriosa verso la Chiesa, e conduce all’errore altra volta condannato in Wicleff ».

(Bullarii Romani continuatio, 1. e, 2712 s.).

DOMANDA 397a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla Santissima Eucaristia, cap. 2:

« Dunque il nostro Salvatore, prima di ritornare da questo mondo al Padre, istituì questo Sacramento, nel quale per così dire die fondo alle ricchezze del suo divino amore verso gli uomini, lasciando un memoriale de’ suoi miracoli. (Salm. CX, 4); e, nel riceverlo, comandò che richiamassimo il ricordo di lui e ne annunciassimo la morte, fino a che verrà egli stesso a giudicare il mondo (I. Ai Cor., XI, 26). E volle che questo Sacramento fosse ricevuto come un cibo spirituale dell’anima, col quale si nutrono e confortano coloro che vivono la vita di lui, il quale proclamò: Chi mangia di me quello vivrà per amor mio (Gio., VI, 58), e come un contravveleno, col quule ci liberiamo dalle colpe d’ogni giorno e ci preserviamo dalle mortali. Inoltre volle che fosse un pegno della gloria avvenire dell’eterna felicità: e perciò simbolo di quel corpo, del quale è capo Egli stesso e al quale ci volle congiunti quali membra: con vincolo strettissimo di fede speranza e carità, sicché tutti fossimo concordi e non ci fossero tra noi divisioni (I ai Cor. I, 10) ».

S. Ignazio Martire, Epist. ad Magnesios, 20:

« …. Voi tutti quanti siete uniti, per la grazia, nell’unica fede e nell’unico Gesù Cristo (figlio dell’uomo, secondo la carne, dalla stirpe di Davide e figlio di Dio) per obbedire al vescovo e ai sacerdoti con animo concorde, spezzando l’unico pane, ch’è farmaco d’immortalità e contravveleno per non morire, anzi per viver sempre in Gesù Cristo ».

(P. G., 5, 662).

S. Ireneo, Adv. hæreses, V, 2, 3:

« E come la pianta di vite, deposta nel tempo fruttifica e il grano di frumento, cascando al suolo e dopo marcito, sboccia molteplice per virtù di Dio, la quale siili estende a tutte le cose, che poi vengono utili all’uomo grazie alla sapienza, e, ricevuta la parola di Dio, diventano l’Eucaristia, corpo e sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, da, essa nutriti, dopo la deposizione e la dissoluzione sottoterra risorgeranno a suo tempo nella gloria di Dio Padre, perchè il verbo di Dio dà loro la risurrezione».

(P. G., VII, 1127).

S. Giovanni Crisostomo, In Joann., XLVI, 3:

« Poi, allo scopo di congiungerci a sè non soltanto per via d’amore, ma realmente colla sua carne, effetto del cibo ch’egli donò per dimostrare di quanto grande amore ci ama, si mescolò a noi e si costituì tutto in un sol corpo, cosicché noi fossimo come un corpo unico, congiunto al suo capo ».

(P. G., 59, 260).

Il medesimo, In I Corinth., XXIV, 2:

« Poiché noi, moltitudine, siamo un sol pane e un sol corpo. Cos’è infatti, dico, la comunione? Noi siamo appunto quel corpo. Infatti cos’è il pane? Corpo di Cristo. E che cosa diventano quelli che comunicano? Corpo di Cristo; non una moltitudine di corpi, ma un corpo solo. Come infatti, benché consti di molti granelli, il pane forma una unità dove i granelli non più compariscono, eppure esistono, ma per l’unione non se ne vede la distinzione; così noi siam congiunti reciprocamente e con Cristo. Difatti non è l’uno nutrito d’un corpo e l’altro d’un altro, ma tutti da un medesimo ».

(P. G., 61, 200).

DOMANDA 399a.

S. Giovanni Crisostomo, In Matthaeum, LXXXII, 5:

« Pensa quanto ti sdegni contro il traditore e contro quelli che crocifissero Cristo: bada dunque di non renderti colpevole tu stesso del corpo e del sangue di Cristo. Quelli trucidarono un corpo sacro, tu lo ricevi con anima sporca dopo tanti beneficii. Difatti non gli bastò di farsi uomo, d’essere schiaffeggiato e immolato, ma volle accomunarsi a noi; ci costituì suo corpo non soltanto per via di fede, ma nella realtà. Quanta dunque dovrebb’essere la purezza di colui, che si giova di questo Sacrificio! »

(P. G., 58, 743).

DOMANDA 400a.

Concilio di Trento, sess. XIII, Decreto sulla santissima Eucaristia, cap. 7:

« Se a chicchessia è sconveniente accostarsi non devotamente a qualsiasi sacra funzione, senza dubbio quanto più è conosciuta all’uomo cristiano la santità e la divinità di questo Sacramento, tanto più attentamente gli convien evitare di accostarsi a riceverlo senza grande riverenza e pietà, specie se ricordiamo le parole dell’Apostolo, piene di terribilità: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore (I ai Cor., XI, 29). Perciò a chi vuol comunicarsi è bene ricordare quel precetto di lui: L’uomo si renda degno (ibid.). Ora il costume della Chiesa mette in chiaro che è necessaria tal degnità nel senso di non accostarsi alla sacra Eucaristia colla coscienza del peccato mortale, per quanto il fedele creda di esser pentito, tralasciando di premettere la Confessione sacramentale: tal dovere questo sacro Sinodo ha deciso che debba esser osservato, come da tutti i Cristiani, così pure da que’ sacerdoti ai quali per ministero incombe di celebrare, salvo che non ci sia un confessore; che se, per urgente necessità, il sacerdote celebra senza prima confessarsi, è tenuto a confessarsi quanto prima ».

DOMANDA 405a.

S. Congregazione del Concilio, Decret. Sacra Tridentina Synodus, 20 dic. 1905, Sulla Comunione quotidiana:

« Si procuri che alla santa Comunione vada innanzi una accurata preparazione e segua poi un conveniente ringraziamento, secondo le forze, la condizione, gli uffici di ciascuno ».

( Acta Apost. Sedis, I I , 896).

DOMANDA 406a.

S. Basilio, Regolæ brevius tractatæ:

«Domanda 172: Con qual trepidazione o persuasione di animo o affetto abbiamo da ricevere il corpo e il sangue di Cristo?

« Risposta: La trepidazione ce l’insegna l’Apostolo, quando dichiara: Chi mangia e beve da indegno, mangia e beve la sua condanna (I ai Cor., XI, 29); e la perfetta persuasione risulta dalla fede nelle parole del Signore, che disse: Questo è il mio corpo, che sarà immolato per voi; fate ciò in memoria di me (Luc., XXII, 19).»

(P. G., 31, 1195).

IL CATECHISMO CATTOLICO DEL CARDINAL GASPARRI (26)