DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XII DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

LXIX: 2-3
Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam.
[O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Ps LXIX: 4

Avertántur retrórsum et erubéscant: qui cógitant mihi mala. [Vadano delusi e scornati coloro che tramano contro di me.]

Deus, in adjutórium meum inténde: Dómine, ad adjuvándum me festína: confundántur et revereántur inimíci mei, qui quærunt ánimam meam. [O Dio, vieni in mio aiuto: o Signore, affrettati ad aiutarmi: siano confusi e svergognati i miei nemici, che attentano alla mia vita.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens et miséricors Deus, de cujus múnere venit, ut tibi a fidélibus tuis digne et laudabíliter serviátur: tríbue, quǽsumus, nobis; ut ad promissiónes tuas sine offensióne currámus.
[Onnipotente e misericordioso Iddio, poiché dalla tua grazia proviene che i tuoi fedeli Ti servano degnamente e lodevolmente, concedici, Te ne preghiamo, di correre, senza ostacoli, verso i beni da Te promessi.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios. 2 Cor III: 4-9.

“Fratres: Fidúciam talem habémus per Christum ad Deum: non quod sufficiéntes simus cogitáre áliquid a nobis, quasi ex nobis: sed sufficiéntia nostra ex Deo est: qui et idóneos nos fecit minístros novi testaménti: non líttera, sed spíritu: líttera enim occídit, spíritus autem vivíficat. Quod si ministrátio mortis, lítteris deformáta in lapídibus, fuit in glória; ita ut non possent inténdere fili Israël in fáciem Moysi, propter glóriam vultus ejus, quæ evacuátur: quómodo non magis ministrátio Spíritus erit in glória? Nam si ministrátio damnátionis glória est multo magis abúndat ministérium justítiæ in glória.

OMELIA I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia 1920)D

Il SACERDOZIO

“Fratelli: Tanta fiducia in Dio noi l’abbiamo per Cristo. Non che siamo capaci da noi a pensar qualche cosa, come se venisse da noi; ma la nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito; perché la lettera uccide ma lo spirito dà vita. Ora, se il ministero della morte, scolpito in lettere su pietre, è stato circonfuso di gloria in modo che i figli d’Israele non potevano fissare lo sguardo in faccia a Mosè, tanto era lo splendore passeggero del suo volto; quanto più non sarà circonfuso di gloria il ministero dello Spirito? Invero, se è glorioso il ministero di condanna, molto più è superiore in gloria il ministero di giustizia” (2 Cor. III, 4-9).

La severa lettera di San Paolo a quei di Corinto aveva prodotto un salutare effetto. Quella comunità aveva preso ora un andamento più consolante; e, sebbene gli sconvenienti non fossero tutti scomparsi, c’era fondata speranza che l’ulteriore azione di S. Paolo riuscisse al compimento dell’opera incominciata. Non dormivano, è naturale i suoi nemici; anzi lo combattevano più aspramente di prima. Cercavano soprattutto di metterlo in discredito negandogli la dignità e l’autorità di Apostolo e criticando il suo modo di operare. Era in gioco la missione di Apostolo, affidata da Dio a Paolo, e questi crede suo dovere di difendersi dai falsi apostoli, perché non riuscissero a trar dalla loro parte i fedeli, specialmente i neofiti. Ed ecco che dalla Macedonia, pochi mesi dopo la prima, invia a Corinto una seconda lettera, in cui rivendica la sua autorità di Apostolo, e ribatte le calunnie dei suoi avversari. L’epistola di quest’oggi è un passo della lettera dove San Paolo difende il suo ministero. Se egli si presenta come predicatore della fede non lo fa per vana gloria, ben riconoscendo la sua insufficienza. Tutto il suo vanto lo ripone in Dio, per la cui grazia, datagli per mezzo di Gesù Cristo, egli compie il suo ministero tra loro. Dio ha scelto lui e i suoi compagni a essere ministri idonei del nuovo Testamento, in cui non regna più la lettera che uccide come nell’antico, ma lo spirito che dà la vita della grazia. È un ministero superiore all’antico per la gloria di cui è circonfuso. Il ministero della legge che uccide — non dando la forza di praticare ciò che prescrive — fu circondato di gloria, come si vide sul volto di Mosè, che portava questa legge scolpita in tavole di pietra. Questa gloria dev’esser sorpassata da quella che circonda il ministero dello spirito che vivifica. La gloria del ministero che vivifica è, senza confronto, superiore alla gloria del ministero di condanna. Il contenuto dell’Epistola di quest’oggi ci porta a parlare del Sacerdote Cattolico, il quale:

1. È banditore d’una dottrina sublime,

2. È dispensatore dei divini misteri,

3. Merita il nostro rispetto e le nostre premure.

1.

La nostra capacità viene da Dio, il quale ci ha anche resi idonei a esser ministri della nuova alleanza, non della lettera, ma dello spirito. L’Apostolo compie il suo ministero per la grazia di Dio. Egli, che lo ha scelto a suo ministro, lo ha reso idoneo a predicare la dottrina del Vangelo, nel quale regna lo spirito, e non più la lettera come nell’antico testamento. Come San Paolo, ogni Sacerdote è scelto da Dio, che lo rende idoneo a predicare la dottrina del Vangelo. Con la dottrina del Vangelo il sacerdote si fa guida agli uomini in questo terreno pellegrinaggio. Satana, il padre della menzogna, fa deviare dal retto sentiero i nostri progenitori nel paradiso terrestre. Fa deviare, dopo di essi, continuamente, i loro discendenti. Ha, in questo, ai suoi ordini una schiera di alleati. Insegnanti, conferenziere, settari, gaudenti, beffardi, libri, riviste, giornali, direttamente o indirettamente, tolgono di vista all’uomo la meta, cui deve arrivare. E l’uomo comincia ad essere indeciso; smarrisce il sentiero e, smarritolo, non ha più la volontà di rifare la via da capo. Il Sacerdote è posto da Dio a illuminare la via che l’uomo deve percorrere. Egli addita i pericoli da schivare, indica la via sicura, e la rischiara con gli insegnamenti di Colui che proclamò:« Io sono la via » (Giov. XIV, 6.). Ismaele va errando nel deserto di Betsabea, tormentato dalla sete. Questa è ormai divenuta insostenibile, e la madre per non vedere il figlio morire, lo abbandona sotto un arbusto. Dio ascolta il grido di Agar e di Ismaele, e manda il suo Angelo a mostrare il pozzo d’acqua ristoratrice (Gen. XXI, 14 segg.). Il Sacerdote è l’Angelo che al viandante diretto alla patria celeste, ormai privo del primo fervore, annoiato dalla lunghezza del cammino, stanco per la sua asprezza, indeciso a continuarlo, solleva lo spirito e infonde nuova forza e coraggio, facendogli porre la fiducia in Colui che dice: «Non si turbi il vostro cuore. Abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me» (Giov. XIV, 1). – La parola del Sacerdote è l’unica che sappia veramente appagare il cuore e l’intelligenza dell’uomo. La sua dottrina «non è cosa umana» (Gal. I, 4) Perciò avvince tutte le intelligenze, fa superar tutte le difficoltà. Le scoperte, il progresso, le migliorate condizioni sociali non possono togliere nulla alla efficacia e alla bellezza della dottrina del Vangelo. La parola di Dio non può scolorire davanti alla parola degli uomini. È una dottrina che non invecchierà Mai, che non avrà mai bisogno d’essere sfrondata o corretta.

2.

L’Apostolo, facendo il confronto tra l’antica alleanza, che si fondava sulla lettera, cioè sulla legge scritta, e la nuova alleanza, che è opera dello Spirito Santo, osserva: la lettera uccide, ma lo spinto dà vita. La lettera, ossia la legge scritta uccide, perché non dando la grazia necessaria a compiere ciò che è comandato e ad evitare ciò che è proibito, era, indirettamente, occasione di peccato, e quindi di morte eterna. Lo spirito dà vita, perché nella nuova legge, lo Spirito Santo dà la grazia, con cui l’uomo può osservare ciò che esternamente viene comandato o proibito. E il Sacerdote, in questa nuova legge, è fatto da Dio l’idoneo dispensatore della grazia. – L’uomo nasce figlio di questa valle di lagrime, spoglio d’ogni bene soprannaturale. Il Sacerdote versa sul suo capo l’acqua battesimale, ed egli rinasce figlio del cielo, adorno dei beni della grazia. Per il ministero del Sacerdote gli è aperta la porta al regno di Gesù Cristo, la Chiesa, e acquista il diritto a ricevere gli altri Sacramenti con l’abbondanza delle grazie, che li accompagnano. – Ogni uomo è destinato preda alla morte. Chi nasce muore. Quando arriva questo giorno, l’uomo si trova ancora di fianco il Sacerdote. «E’ infermo alcuno tra voi? — è scritto nel Nuovo Testamento — chiami i Sacerdoti della Chiesa e facciano orazione su lui, ungendolo con l’olio nel nome del Signore» (Giac. V, 19). Così si pratica nella Chiesa Cattolica. Presso il morente accorre il Sacerdote, che gli amministra il Sacramento dell’olio Santo, il quale con la sua grazia porta sollievo spirituale e corporale ai Cristiani gravemente infermi. L’uomo ha pur sempre bisogno dei soccorsi della grazia durante la sua vita. La grazia santificante, che ci viene infusa nel Battesimo, generalmente non rimane a lungo. Al primo svegliarsi delle passioni si perde facilmente. E con la perdita della grazia santificante è perduto anche il diritto alla eredità celeste. L’uomo che ha perduto la grazia santificante è un povero figlio diseredato, che ha bisogno di essere riconciliato con il Padre. Anche questa volta è il Sacerdote che avvicina il figlio al Padre. Egli, pronunciando nel tribunale di penitenza le parole dell’assoluzione, apre al figlio pentito la casa del Padre, lo rimette nelle sue grazie, e gli riacquista i diritti perduti. Ma chi aveva strappato il figlio dalla casa del padre, non si dà pace ora che ve lo vede riammesso. È questa per lui una sconfitta insopportabile, che lo spinge alla rivincita. Occorrono forze raddoppiate per resistere ai suoi assalti. Il Sacerdote procurerà queste forze, somministrandogli un pane che è la fonte delle grazie. Nelle vicinanze di Betsaida Gesù Cristo, mosso a compassione delle turbe che da tre giorni l’avevano seguito, pensa a ristorarle, perché nel ritorno alle loro case, sfinite di forze, non abbiano a venir meno per via. Moltiplicati dei pani che gli furono presentati, « li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero davanti alle turbe ». (Marc. VIII, 6). Nell’ultima cena dà incarico ai discepoli di distribuire con le loro mani ai fedeli il Pane eucaristico, perché possano fortificarsi nel combattimento spirituale, e non venir meno sotto gli assalti del demonio, del mondo, della carne. Difatti, « mentre mangiavano Gesù prese del pane, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: — Prendete e mangiate, questo è il mio corpo, (Matt. XXVI, 26) il quale è dato per voi: fate questo in memoria di me » – E i Sacerdoti, seguendo il comando di Gesù Cristo, continuano a rinnovare nella santa Messa la consacrazione eucaristica e a distribuire ai fedeli questo Pane di vita. – Il Beato Giovanni de Brébeuf, martire canadese, si trovava in un villaggio di Uroni, quando all’improvviso giungono gli Irochesi, loro terribili nemici. I capitani presenti fanno uscire dal villaggio le donne e i fanciulli, e pregano il Beato e il suo compagno, padre Gabriele Lalemant a seguire i fuggiaschi. «La vostra presenza — dicono essi — non ci può esser di servizio alcuno. Voi non sapete maneggiare né l’accetta né il fucile». — «C’è qualcosa ch’è più necessaria delle armi, — risponde il de Brébeuf — e sono i Sacramenti che noi soli possiamo amministrare. Il nostro posto è in mezzo a voi». E rimasero infatti ad amministrare i Sacramenti, ricevendo in premio la corona del martirio (Nicola Risi, Gli otto Martiri Canadesi della Compagnia di Gesù. Torino, 1926. p. 63-64). Nessuno può dispensare ai fedeli i tesori spirituali che dispensa il sacerdote. S. Paolo esalta tutta l’importanza del ministero sacerdotale con una semplice frase, chiamandolo ministero circonfuso di gloria. È, dunque, un ministero che merita tutto il nostro rispetto e il nostro interessamento. Ma questo contegno non è, pur troppo, il contegno della maggior parte. Per alcuni il Sacerdote non esiste che per esser bersaglio alle critiche, alle calunnie, alle persecuzioni. I preti, secondo essi, sono la cagione di tutti i malanni che succedono, o che potrebbero succedere. Ci sono i settari, i nemici della Religione, che combattono il Sacerdote per i loro fini. In battaglia si cerca di colpire specialmente gli ufficiali. Tolti di mezzo questi, i battaglioni si disgregano. I nemici della Religione Cattolica cercano di colpire specialmente i Sacerdoti per scristianizzare il popolo. – Altri si interessano del Sacerdote e lo stimano finché fa comodo. Diventa loro insopportabile quando, costretto dal proprio dovere, dà qualche ammonimento o fa qualche osservazione. «Chi vien biasimato o ripreso — nota in proposito il Grisostomo — chiunque egli sia, tralasciando affatto di essere riconoscente, diventa nemico » (In 1 Epist. ad Thess. Hom. 10, 1). E il Cristiano che viene avvisato, ammonito, ripreso dal Sacerdote gli diventa nemico. – Per altri il Sacerdote non esiste. Non gli si fanno critiche, ma neppure si pensa a lui. Lo si lascia stare. È considerato come uno che compie una funzione sociale qualsiasi, e niente di più. Questo non è un tributare l’onore, il rispetto, che s’addicono alla dignità dei ministri del nuovo Testamento. I Sacerdoti siano uomini; avranno anch’essi i loro difetti. Noi dobbiamo, però, considerare la loro dignità e non voler scrutare le loro azioni. «Non mi accada mai — scrive S. Gerolamo — che io dica qualcosa di sfavorevole rispetto a coloro, che, succeduti alla dignità apostolica, con la bocca consacrata ci danno il Corpo di Cristo, e per mezzo dei quali noi siamo Cristiani; e i quali, avendo le chiavi del regno celeste, in certo qual modo giudicano prima del giudizio» (Epist. 14, 8 ad Heliod.). – La nostra deferenza verso i Sacerdoti dobbiamo dimostrala, pure, nell’ascoltar volentieri la parola del Vangelo, da essi predicata, nel mostrarci docili alle loro cure. « Poiché — nota S. Cipriano — le eresie e gli scismi non trassero origine da altro, che dalla disubbidienza al Sacerdote di Dio» (Epist. 13, 5). – Se per mezzo del Sacerdote riceviamo i Sacramenti, partecipiamo ai divini misteri, usufruiamo delle celesti benedizioni, non possiamo disinteressarci di lui. Non basta il rispetto, la docilità alla sua parola. La riconoscenza deve spingerci a pregare per lui. La Chiesa ha stabilito giorni particolari di preghiere e di penitenza pei sacerdoti: le quattro tempora. Il Cristiano, però, non deve limitarsi a pregare pei Sacerdoti che salgono l’altare la prima volta. Deve pregare per i novelli Sacerdoti, deve pregare per quelli che sono incanutiti nel ministero, e deve pregare pei Sacerdoti futuri. Lo comanda Gesù: « La messe è veramente copiosa, ma gli operai sono pochi. Pregate il padrone della messe che mandi gli operai a lavorare nel suo campo (Matt. IX, 37-38). E che gli operai oggi siano pochi lo constatiamo tutti. Concorriamo adunque con la preghiera, e anche con quel contributo materiale che ci è possibile, a mandar nuovi operai nella vigna del Signore. Favorendo le vocazioni al Sacerdozio, faremo opera graditissima a Gesù perché concorreremo a procurargli dei collaboratori; faremo opera di carità squisita al prossimo, concorrendo a procurargli una guida spirituale; faremo il nostro migliore vantaggio perché ci faremo partecipi, in qualche modo, dei meriti che si acquista il Sacerdote nel salvar le anime.

Graduale

Ps XXXIII: 2-3.

Benedícam Dóminum in omni témpore: semper laus ejus in ore meo. [Benedirò il Signore in ogni tempo: la sua lode sarà sempre sulle mie labbra.]
V. In Dómino laudábitur ánima mea: áudiant mansuéti, et læténtur.
[La mia ànima sarà esaltata nel Signore: lo ascoltino i mansueti e siano rallegrati.]

Alleluja

Allelúja, allelúja

Ps LXXXVII: 2

Dómine, Deus salútis meæ, in die clamávi et nocte coram te. Allelúja. [O Signore Iddio, mia salvezza: ho gridato a Te giorno e notte. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Lucam.

Luc. X: 23-37

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Beáti óculi, qui vident quæ vos videtis. Dico enim vobis, quod multi prophétæ et reges voluérunt vidére quæ vos videtis, et non vidérunt: et audire quæ audítis, et non audiérunt. Et ecce, quidam legisperítus surréxit, tentans illum, et dicens: Magister, quid faciéndo vitam ætérnam possidébo? At ille dixit ad eum: In lege quid scriptum est? quómodo legis? Ille respóndens, dixit: Díliges Dóminum, Deum tuum, ex toto corde tuo, et ex tota ánima tua, et ex ómnibus víribus tuis; et ex omni mente tua: et próximum tuum sicut teípsum. Dixítque illi: Recte respondísti: hoc fac, et vives. Ille autem volens justificáre seípsum, dixit ad Jesum: Et quis est meus próximus? Suscípiens autem Jesus, dixit: Homo quidam descendébat ab Jerúsalem in Jéricho, et íncidit in latrónes, qui étiam despoliavérunt eum: et plagis impósitis abiérunt, semivívo relícto. Accidit autem, ut sacerdos quidam descénderet eádem via: et viso illo præterívit. Simíliter et levíta, cum esset secus locum et vidéret eum, pertránsiit. Samaritánus autem quidam iter fáciens, venit secus eum: et videns eum, misericórdia motus est. Et apprópians, alligávit vulnera ejus, infúndens óleum et vinum: et impónens illum in juméntum suum, duxit in stábulum, et curam ejus egit. Et áltera die prótulit duos denários et dedit stabulário, et ait: Curam illíus habe: et quodcúmque supererogáveris, ego cum redíero, reddam tibi. Quis horum trium vidétur tibi próximus fuísse illi, qui íncidit in latrónes? At ille dixit: Qui fecit misericórdiam in illum. Et ait illi Jesus: Vade, et tu fac simíliter.”

OMELIA II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XL

“In quel tempo Gesù disse a’ suoi discepoli: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e regi bramarono di vedere quello che voi vedete, e no videro; e udire quello che voi udite, e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottor di legge per tentarlo, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Egli disse a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli rispose, e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze, o con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è mio prossimo? E Gesù prese la parola, e disse: Un uomo andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se n’andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi: ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Chi di questi tre ti pare egli essere stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: Colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo.” (Luc. X. 23-37)

Nostro Signor Gesù Cristo disse nel Santo Vangelo che Egli era venuto sulla terra a portare il fuoco della carità, e che nient’altro Egli voleva così ardentemente quanto che si accendesse un tal fuoco. Quindi non deve far meraviglia che tante e tante volte nella sua predicazione tornasse sopra l’importante argomento della carità, ed ora la raccomandasse direttamente o indirettamente colle sue magnifiche parabole. La Chiesa poi, fedelissima interprete della volontà di Gesù Cristo, suo sposo, fa ancor essa come Gesù, epperò più volte nel corso dell’anno nei Santi Vangeli della Domenica, che sono quelli che propone al nostro studio più attento, ci rinnova i precetti e le raccomandazioni di Gesù Cristo riguardo alla carità. Così fa pure questa Domenica, mettendoci sotto gli occhi uno dei più bei passi del Santo Vangelo, una di quelle più ammirabili parabole, che sono una tra le più espressive rivelazioni del Cuore di Gesù Cristo e de’ suoi santi voleri. Ascoltate.

1. I Farisei, sempre pieni di livore contro di Gesù, così mansueto e dolce, non facevano altro che cercare occasioni per sfogare la loro malignità. Ora trovandosi Gesù sulle frontiere della Samaria, stando per ritornare nella Galilea, occorse contro di Lui, da parte di quei perversi un attacco più violento di ostilità. Il divino Maestro volendo più profondamente scolpire nella mente de’ suoi discepoli ciò che doveva formar la loro felicità e la loro gioia, rivolto ad essi aveva loro detto: Beati gli occhi che veggono quello che voi vedete. Imperocché vi dico, che molti profeti e re bramarono di vedere quello che voi vedete e nol videro, e di udire quello che voi udite e non l’udirono. Allora alzatosi un certo dottore della legge (fingendosi ignorante) per tentare Gesù, gli disse: Maestro, che debbo io fare per possedere la vita eterna? Ma Gesù rispose a lui: Che è quello che sta scritto nella legge? come leggi tu? Quegli allora rispose e disse: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuor tuo, e con tutta l’anima tua, e con tutte le tue forze e con tutto il tuo spirito; e il prossimo tuo come te stesso. E Gesù gli disse: Bene hai risposto: fa questo e vivrai. Ma quegli volendo giustificare se stesso, disse a Gesù: E chi è il mio prossimo? Nella quale domanda era nascosta la più fina perfidia. Perciocché in quel tempo anche presso gli Ebrei la parola prossimo non presentava che l’idea di parente, di congiunto, di connazionale, mentre uno straniero, uno sconosciuto era quasi riguardato come nemico. Quindi questo dottor della legge credendo che neppur Gesù volesse spingere l’obbligo dell’amore fraterno oltre i confini della stessa nazione, avrebbe avuto la soddisfazione di farsi conoscere come esatto osservatore della legge, o in caso che Gesù Cristo avesse esteso il nome di prossimo anche agli stranieri, ai gentili, questo ipocrita avrebbe avuto il maligno piacere di udire Gesù a contraddire alla comune dottrina dei maestri della Sinagoga. Ora, non è veramente detestabile la condotta di questo Fariseo? Ma pure, miei cari, alla condotta di costui è molto somigliante la condotta di certi giovani, di certi Cristiani ai tempi nostri, i quali avendo cattivi sentimenti ed operando male e pur volendo giustificare se stessi, o adducono la ignoranza dei loro doveri, o cercano nella legge di Dio, nei precetti della Chiesa, negli insegnamenti e negli ordini del Vicario di Gesù Cristo, in quelli dei genitori e superiori, di trovare delle contraddizioni. Quanto è comune, in quelli che hanno commesso un qualche grave mancamento, il dire: Io non credevo che fosse male; mentre invece anche ignorando la legge, il precetto o la proibizione, si sentiva benissimo nel fondo della coscienza la legge stessa di natura, che o prescriveva o proibiva la tal cosa! Quanto è facile il sentire certi Cristiani domandare malignamente: E perché si deve pregare? Perché non si deve lavorare alla festa? Perché bisogna perdonare? Perché bisogna astenersi da certi piaceri? perché non si può almeno pensare e desiderare certe cose? Perché in certi giorni si deve far magro? Perché certi libri sono proibiti? Perché il Papa non vuol smettere le sue pretese? Perché questo? Perché quello? Eh, miei cari, se veramente non sapete darvi una risposta conveniente ai vostri perché, bisogna anzitutto che confessiate di essere molto ignoranti e riconosciate come l’ignoranza vostra sia inescusabile, avendo voi tanta facilità per mezzo delle istruzioni religiose, delle buone letture e dello studio della dottrina cristiana, di togliere dalla mente vostra tale ignoranza. Ma se invece, come può accadere in taluni, questi perché non son messi fuori che per far dello spirito, quasi per mettere in imbarazzo i Sacerdoti o i buoni Cristiani a cui li rivolgete, dovete pur dire a voi stessi in fondo al cuore, che siete maligni e perfidi come il Fariseo, di cui parla oggi il Vangelo. – Miei cari giovani e cari Cristiani, amate adunque di istruirvi nella verità di nostra santa Religione, nei doveri che essa impone a tutti in generale ed a ciascuno in particolare: questo amore di conoscere la fede di Gesù Cristo non sarà mai soverchio, perché quanto più si conoscerà tanto più si amerà e si praticherà. E se nello studio della fede cristiana vi accadrà molte volte di incontrare delle verità o dei precetti di cui non intendiate il significato e la forza, quando ne avete la comodità, domandate pure a chi può darvele, le necessarie spiegazioni. Ma procurate sempre di far questo con un cuor umile e docile; e non sia mai che, fingendo ignoranza che in voi non c’è, moviate delle domande per cattivo fine, o per mostrarvi in faccia agli altri diffidenti dell’insegnamento della Chiesa o per fare stoltamente mostra di ingegno nel discoprire contraddizioni, le quali non esisterebbero che nella vostra testa piccola e superba.

2. Ma tornando al Vangelo, la perfidia di quel dottore della legge diede occasione a Gesù di far scaturire dal suo cuore una delle sue più divine parabole: Un uomo, disse Egli, andava da Gerusalemme a Gerico, e diede negli assassini, i quali ancor lo spogliarono; e avendogli date delle ferite, se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Or avvenne che passò per la stessa strada un sacerdote, il quale vedutolo, passò oltre. Similmente anche un levita, arrivato vicino a quel luogo, e veduto colui, tirò innanzi; ma un Samaritano, che faceva suo viaggio, giunse presso a lui; e vedutolo, si mosse a compassione. E se gli accostò, e fasciò le ferite di lui, spargendovi sopra olio e vino; e messolo sul suo giumento, lo condusse all’albergo, ed ebbe cura di esso. E il dì seguente tirò fuori due danari, e li diede all’ostiere, e dissegli: Abbi cura di lui: e tutto quello che spenderai di più te lo restituirò al mio ritorno. Terminata questa stupenda parabola, Gesù rivoltosi al dottore, che lo aveva interrogato, gli chiese: Chi di questi tre ti pare egli esser stato prossimo per colui che diede negli assassini? E quegli rispose: colui che usò ad esso misericordia. E Gesù gli disse: Va’, fa’ anche tu allo stesso modo. Gesù adunque con questa parabola fece conoscere al Fariseo che nostro prossimo sono indistintamente tutti gli uomini del mondo, anche quelli che non solo non ci sono amici o parenti, ma che o per nazionalità o per qualsiasi altra ragione possono parere od anche essere nostri avversari e nemici. Imperciocché tra i Samaritani e gli Ebrei eravi una grande divisione. I Samaritani avendo fabbricato un tempio sul monte Garizim e non andando più a sacrificare nel tempio di Gerusalemme, venivano riguardati come scismatici, scomunicati e nemici. E poiché Gesù aveva narrato essere stato uno di questi, che si fece a soccorrere l’ebreo ferito sulla strada, implicitamente diceva al dottore della legge: Se un Samaritano soccorse un Ebreo, quantunque nemico, deve far lo stesso un Ebreo verso un Samaritano, ossia un uomo qualsiasi verso chiunque si trovi nel bisogno di essere soccorso; perché tutti gli uomini del mondo per mezzo della mia legge, che è legge di amore, sono approssimati gli uni agli altri, e gli uni agli altri resi fratelli, perché figli tutti di un solo e medesimo Padre Celeste. – Ma l’ammaestramento che Gesù Cristo diede al Fariseo è quello che dà anche a noi. Epperò anche noi dobbiamo badare a non cadere nell’errore dei Farisei e non vedere il nostro prossimo soltanto negli amici e nei parenti. Se fosse così non avremmo maggior merito dei pagani. Tutti adunque riguardiamo come nostro prossimo e a tutti, senza eccezione di sorta, potendo, facciamo del bene. – Se non che qualcuno potrebbe qui domandare: Ma dunque si dovrà far del bene anche ai malvagi, ai peccatori? A questa domanda rispondo col dire che senza dubbio ci vuole una savia discrezione nell’esercitare la carità e specialmente nel far elemosina al prossimo. Lo stesso Spirito Santo nell’Ecclesiastico (XII) ci avverte di badare a chi facciamo del bene e di non farlo all’empio: Si bene feceris, scito cui feceris. Da bono et ne suscipias peccatorem. Benefac humili et non dederis impio. Ma bisogna tuttavia notare che così ordinando, Iddio non vuole altro se non questo: che non facciamo la carità al peccatore, perché è peccatore, ma affinché non manteniamo in lui i peccati ed i vizi. Del resto sebbene questa discrezione sia lodevole, non è tuttavia necessaria, perché il bene fatto ad un malvagio per amor di Dio è sempre a Lui gradito e per noi meritorio. Così Gesù Cristo nel deserto moltiplicando il pane lo fece distribuire a tutti, senza badare chi era buono e chi era cattivo. Anche il B. Giordano, generale dell’Ordine dei Domenicani, ebbe l’incontro di un miserabile tutto nudo e tremante di freddo, che metteva compassione. Il buon religioso gli diede la sua cappa per ricoprirsi, e quel furfante andò a venderla e si mangiò i danari con alcuni altri ladroncelli nell’osteria. Il B. Giordano, saputo il successo disse: se colui ha gettato i danari, io non ho già perduta la cappa. L’ho veduta partire pel Paradiso, e diventar un manto da re per mia maggior gloria. Non è dunque necessario, perché l’elemosina sia semplicemente meritoria, fiscaleggiare ogni uomo e fargli un processo sopra la vita ed i miracoli, per dargli un pezzo di pane. Aprite la mano e date per amor di Dio, ed il merito è sempre in sicuro. D’altronde, o miei cari, quanto sarebbe facile alle volte ingannarsi e pensare malamente di chi non si dovrebbe, e negare perciò del bene a cui tanto importerebbe di farlo. Ed a convincerci di questo, valga ciò che si legge essere avvenuto al Santo Pontefice Gregorio Magno. S. Gregorio Magno prima di essere Papa, era abate nel monastero di S. Andrea in Roma. Un giorno fu introdotto a lui un pover’uomo, il quale con molta istanza faceva premura di dire una parola al padre abate. La parola che voleva dirgli, fu buttarglisi in ginocchio, ed esporgli come in un punto gli si era affondata una nave con sopra quanto aveva al mondo, e non essergli restato altro che i debiti, per cui correva pericolo di andar in prigione con sterminio della sua povera famiglia. L’abate, mosso a compassione, gli  fece dare sei scudi d’oro. Di lì a poche ore torna lo stesso con pianti e grida più compassionevoli che mai, e si protesta che sei scudi al suo bisogno, sono come una goccia d’acqua al mare: e che per pietà gli dia qualche altro soccorso. L’abate tutto viscere di carità, gli fa dare altri sei scudi d’oro. Colui, vedendo che gli scudi venivano a sei a sei, tornò la sera del medesimo dì, a dare un’altra stretta alla borsa del monastero. L’abate, a quella terza venuta in così breve tempo, senza scomporsi, senza ricordargli la discrezione, gli dice: mio povero uomo, non so se vi sia più denaro in cassa; se ve ne sarà, ve lo farò dare. Chiamato il dispensiere, il quale gli disse non esservi più un soldo, egli rispose: Vedete se vi è qualche cosa da vendere. V’era un piatto d’argento, di una ricca dama romana, che in quel piattello aveva mandato un piccolo regalo. Dategli quel piatto d’argento. — E la padrona che dirà? — E questo povero uomo, che ha da fare? Quando la padrona lo ricerchi glielo farò pagare. Salito poi Gregorio al Pontificato ordinò al suo maggiordomo, che ogni mattina facesse l’invito di dodici poveri alla tavola papale. Una mattina ne vide tredici, e tutti li accolse. Ma finita la tavola interrogò quel decimoterzo povero, come era entrato a desinare col Papa, senz’essere invitato. Rispose « Io sono quello stesso, a cui, essendo tu abate, facevi sborsare dodici scudi d’oro, e quel piatto d’argento di soprappiù. Sono il tuo Angelo custode, che ho voluto far queste prove della tua carità. E ti faccio sapere che per le tue elemosine, Dio Ti ha promosso al sommo di tutti gli onori in terra, qual è il Pontificato, e che per le stesse elemosine Dio ti tiene preparati maggiori onori in Cielo ». E ciò detto disparve.

3. Ma ora, passando ad altre riflessioni, è da notare come i Santi Padri sotto il velo della parabola di quest’oggi, hanno trovato la storia dell’umanità all’ora della sua caduta. Adamo usciva innocente e puro dalle mani del suo Creatore e suo Dio; ma cadde tra le mani del demonio, e fu spogliato della grazia santificante, coperto delle vergognose piaghe del peccato. Una profonda ignoranza, ecco la piaga del suo intelletto; una terribile concupiscenza, ecco la piaga della sua volontà; non può rialzarsi dalla sua caduta, e tutta intera la sua posterità, coperta delle stesse piaghe, ridotta alla stessa nudità, è fatalmente condannata a morire. Avvenne poi che un sacerdote scendendo per la medesima via, vedutolo passò avanti. Similmente anche un levita, andando presso al luogo, vedutolo, trapassò oltre. Il sacerdote ed il levita, che passandogli vicino, si accontentano di vederlo senza soccorrerlo nella sua miserabile condizione, ci mostrano l’impotenza della legge e dei profeti per la salute dell’umanità decaduta. La legge, dice l’Apostolo, ha bensì potuto farci conoscere il peccato, ma non aveva rimedio efficace per la sua guarigione. – La povera umanità caduta da sì alto in quell’orrendo abisso del male, doveva dunque essere perduta senza riparo…? e dopo essere stata spogliata dall’infernale ladrone, avrebbe dovuto dividerne i supplizi per tutta l’eternità? No, miei cari. Gesù Cristo, quel buono e tenero Salvatore, che gl’ingiusti suoi nemici trattarono appunto da Samaritano, dall’alto del trono di sua gloria, Egli ha veduta la povera nostra umanità colpevole, decaduta, ferita a morte, condannata agli abissi; e a tal vista che provò Egli? la più profonda compassione: Misericordia motus est. E questa divina compassione doveva per noi produrre i frutti più felici. Il Salvatore ha intrapreso il viaggio dal cielo alla terra e, disceso fino a noi, prese tra le divine sue braccia questa umanità debole, languente, abbattuta; ne ha perscrutate tutte le piaghe, ha versato sulle sue ferite l’olio della sua grazia ed il prezioso vino dell’adorabile suo sangue per mezzo dei Sacramenti. E questa povera umana natura fortificata e rigenerata, venne da Lui condotta ad un mirabile albergo, la Chiesa, ch’Egli ha quaggiù fondata affine di perpetuare sino alla fine dei secoli la sua missione di misericordia e d’amore. Ed ai pastori di questa Chiesa Ei dice incessantemente: Abbiate cura di queste anime; non risparmiate i vostri sudori, né le vostre fatiche; più tardi Io vi rivedrò, e ricompenserò generosamente i vostri sforzi e i vostri lavori. Oh carità immensa del buon Samaritano, Gesù Cristo! Questo ammirabile esempio è quello che deve servir di regola anche a noi. Fin qui noi avremo forse creduto che per praticare la carità bastasse il non voler male ai nostri fratelli, non serbarne alcun rancore, non odiarli. Ah! questo non basta: la nostra carità, come quella del Samaritano, deve esser pietosa ed effettiva. Apriamo perciò il nostro cuore ad una tenera e dolce compassione, andiamo incontro alle umane miserie, cerchiamo mezzi di scoprirle e con l’olio della dolcezza nelle nostre parole, col vino della generosità nei nostri consigli, nelle nostre elemosine, portiamo rimedio alle tante piaghe, che trafiggono il nostro prossimo. Oh allora si, che potremo meritare ancor noi gli elogi che implicitamente fece Gesù Cristo al buon Samaritano; e non solo gli elogi, ma il premio ancora, perché tutto ciò che noi avremo fatto di bene al prossimo lo avremo fatto a Gesù Cristo stesso, che ne ha promessa e ne darà l’eterna ricompensa.

CREDO…

Offertorium

Orémus
Exod XXXII: 11;13;14

Precátus est Moyses in conspéctu Dómini, Dei sui, et dixit: Quare, Dómine, irascéris in pópulo tuo? Parce iræ ánimæ tuæ: meménto Abraham, Isaac et Jacob, quibus jurásti dare terram fluéntem lac et mel. Et placátus factus est Dóminus de malignitáte, quam dixit fácere pópulo suo. [Mosè pregò in presenza del Signore Dio suo, e disse: Perché, o Signore, sei adirato col tuo popolo? Calma la tua ira, ricordati di Abramo, Isacco e Giacobbe, ai quali hai giurato di dare la terra ove scorre latte e miele. E, placato, il Signore si astenne dai castighi che aveva minacciato al popolo suo.]

Secreta

Hóstias, quǽsumus, Dómine, propítius inténde, quas sacris altáribus exhibémus: ut, nobis indulgéntiam largiéndo, tuo nómini dent honórem. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda propizio alle oblazioni che Ti presentiamo sul sacro altare, affinché a noi ottengano il tuo perdono, e al tuo nome diano gloria.]

Communio

Ps CIII: 13; 14-15

De fructu óperum tuórum, Dómine, satiábitur terra: ut edúcas panem de terra, et vinum lætíficet cor hóminis: ut exhílaret fáciem in oleo, et panis cor hóminis confírmet. [Mediante la tua potenza, impingua, o Signore, la terra, affinché produca il pane, e il vino che rallegra il cuore dell’uomo: cosí che abbia olio con che ungersi la faccia e pane che sostenti il suo vigore.]

 Postcommunio

Orémus.
Vivíficet nos, quǽsumus, Dómine, hujus participátio sancta mystérii: et páriter nobis expiatiónem tríbuat et múnimen.
[O Signore, Te ne preghiamo, fa che la santa partecipazione di questo mistero ci vivifichi, e al tempo stesso ci perdoni e protegga.]

Per l’Ordinario della Messa vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA SATTOLICA – SETTEMBRE 2019

CALENDARIO LITURGICO DEL MESE DI SETTEMBRE (2019)

SETTEMBRE è il mese che la Chiesa dedica ai sette dolori della Madonna  ed alla nascita della B. V. Maria

-381-

Fidelibus, qui mense septembri preces vel alia pietatis obsequia B. M. V. Perdolenti devote præstiterint, conceditur [A chi durante il mese di settembre, devotamente pregherà o compirà un esercizio di ossequio e pietà alla B. M. V. si concede]:

Indulgentia quinque annorum semel, quolibet mensis die;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo eidem pio exercitio quotidie per integrum mensem vacaverint

(Breve Ap., 3 apr. 1857; S. C . Indulg., 26 nov. 1876 et 27 ian. 1888; S. Pæn. Ap., 12 nov. 1936).

-382-

Fidelibus, qualibet ex septem feriis sextis utrumque festum B. M. V. Perdolentis immediate antecedentibus, si ad honorem eiusdem Virginis Perdolentis septies Pater, Ave et Gloria recitaverint, conceditur [Ai fedeli che per sette venerdì antecedenti la festa della BMV Addolorata, in onore della Vergine Addolorata reciteranno sette Pater, Maria, Gloria]:

Indulgentia septem annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus (Breve Ap., 22 mart. 1918; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

Stabat Mater dolorosa

Juxta crucem lacrimosa,

Dum pendebat Filius;

Cujus animam gementem,

Contristatam et dolentem

Pertransivit gladius.

O quam tristis et afflicta

Fuit illa benedicta

Mater Unigeniti

Quæ mœrebat et dolebat

Pia Mater dum videbat

Nati pœnas inclyti.

Quis est homo qui non fleret

Matrem Christi si videret

In tanto supplicio?

Quis non posset contristari

Christi Matrem contemplari

Dolentem cum Filio?

Pro peccatis sum gentis

Vidit Jesum in tormentis

Et flagellis subditum,

Vidit suum dulcem Natum

Moriendo desolatum,

Dum emisit spiritum.

Eia Mater, fons amoris,

Me sentire vim doloris,

Fac ut tecum lugeam.

Fac ut ardeat cor meum

In amando Christum Deum,

Ut sibi complaceam.

Sancta Mater, istud agas,

Crucìfixi fige plagas

Cordi meo valide.

Tui Nati vulnerati

Tam dignati prò me pati,

Pœnas mecum divide.

Fac me tecum pie flere:

Crucifixo condolere,

Donec ego vixero.

Juxta crucem tecum stare,

Et me Tibi sociare

In planctu desidero.

Virgo virginum præclara

Mihi jam non sis amara;

Fac me tecum plangere.

Fac ut portem Christi mortem;

Passionis fac consortem,

Et plagas recolere

Fac me plagis vulnerari,

Fac me Cruce inebriari

Et cruore Filii

Flammis ne urar succensus,

Per te, Virgo, sim defensus

In die Judicii.

Christi, cum sit hinc exire

Da per Matrem me venire

Ad palmam victoriæ.

Quando corpus morietur,

Fac ut anima donetur

Paradisi gloria. Amen.

Indulgentia septem annorum.

~Indulgentia plenaria suetis conditionibus, sequentia quotidie per integrum mensem devote reperita (S. C . Indulg., 18 iun. 1876; S. Paen. Ap., 1 aug. 1934).

Festa della Natività della Beata Vergine Maria: 8 settembre 2016

Novena a Maria Bambina

Santa Maria Bambina della casa reale di David, Regina degli Angeli, Madre di grazia e di amore, vi saluto con tutto il mio cuore. Ottenete per me la grazia di amare il Signore fedelmente durante tutti i giorni della mia vita. Ottenete per me una grandissima devozione a Voi, che siete la prima creatura dell’amore di Dio.

Ave Maria,…

O celeste Maria Bambina, che come una colomba pura nasce immacolata e bella, vero prodigio della saggezza di Dio, la mia anima gioisce in Voi. Oh! Aiutatemi a preservare nell’Angelica virtù di purezza a costo di qualsiasi sacrificio.

Ave Maria,…

Beata, incantevole e Santa Bambina, giardino spirituale di delizia, dove il giorno dell’incarnazione è stato piantato l’albero della vita, aiutatemi ad evitare il frutto velenoso della vanità ed i piaceri del mondo. Aiutatemi a far attecchire nella mia anima i pensieri, i sentimenti e le virtù del vostro Figlio divino.

Ave Maria,…

Vi saluto, Maria Bambina ammirevole, rosa mistica, giardino chiuso, aperto solo allo Sposo celeste. O Giglio di paradiso,  fatemi amare la vita umile e nascosta; lasciate che lo Sposo celeste trovi la porta del mio cuore sempre aperta alle chiamate amorevoli delle sue grazie ed ispirazioni.

Ave Maria,…

Santa Maria bambina, mistica Aurora, porta del cielo, Voi siete la mia fiducia e speranza. O potente avvocata, dalla vostra culla stendete la mano per sostenermi nel cammino della vita. Fate che io serva Dio con ardore e costanza fino alla morte e così possa giungere all’eternità con Voi.

Ave Maria,…

Preghiera:

Beata Maria bambina, destinata ad essere la Madre di Dio e la nostra tenera Madre, provvedetemi di grazie celesti, ascoltate misericordiosamente le mie suppliche. Nei bisogni che mi opprimono e soprattutto nelle mie presenti tribolazioni, ho riposto tutta la mia fiducia in Voi.

O Santa bambina, i privilegi che a Voi sola sono stati concessi dall’Altissimo, i meriti che avete acquistato, mostrano che la fonte dei favori spirituali ed i benefici continui che dispensate sono inesauribili, poiché il vostro potere presso il cuore di Dio è illimitato. – Degnatevi attraverso l’immensa profusione di grazie con cui l’Altissimo Vi ha arricchito fin dal primo momento della vostra Immacolata Concezione, di esaudire, o celeste Bambina, le nostre richieste e staremo eternamente a lodare la bontà del vostro Cuore Immacolato.

[IMPRIMATUR: In Curia Archiep. Mediolani – 31 agosto 1931

Canon. CAVEZZALI, Pro Vic. Gen.]

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Ecco le feste del mese di SETTEMBRE

1 Settembre Dominica XII Post Pentecosten I. Septembris    Semiduplex Dominica minor *I* – S. Ægidii Abbatis   

2 Settembre S. Stephani Hungariæ Regis Confessoris    Semiduplex

3 Settembre S. Pii X Papæ Confessoris    Duplex

4 Settembre S. Laurentii Justiniani Episcopi et Confessoris    Semiduplex

6 Settembre I Venerdì del mese

7 Settembre Sanctæ Mariæ Sabbato    Simplex

                           I sabato del mese

8 Settembre Dominica XIII Post Pentecosten II. Septembris    Semiduplex   – Dominica minor –

                In Nativitate Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

9 Settembre S. Gorgonii Martyris    Feria

10 Settembre S. Nicolai de Tolentino Confessoris    Duplex

11 Settembre Ss. Proti et Hyacinthi Martyrum    Feria

12 Settembre S. Nominis Beatæ Mariæ Virginis    Duplex

13 Settembre

14 Settembre In Exaltatione Sanctæ Crucis    Duplex II. classis *L1*

15 Settembre Dominica XIV Post Pentecosten III.   Septembris  –  Semiduplex Dominica minor *I*

                           Septem Dolorum Beatæ Mariæ Virginis    Duplex II. classis

16 Settembre Ss. Cornelii Papæ et Cypriani Episcopi, Martyrum    Semiduplex

17 Settembre Impressionis Stigmatum S. Francisci    Feria

18 Settembre S. Josephi de Cupertino Confessoris   

Feria Quarta Quattuor Temporum Septembris

19 Settembre S. Januarii Episcopi et Sociorum Martyrum    Duplex

20 Settembre S. Eustachii et Sociorum Martyrum

Feria Sexta Quattuor Temporum Septembris

21 Settembre S. Matthæi Apostoli et Evangelistæ    Duplex II. classis

SABBATO Quattuor Temporum Septembris

22 Settembre Dominica XV Post Pentecosten IV. Septembris    Semiduplex – Dominica minor *I* –  S. Thomæ de Villanova Episcopi et Confessoris    Duplex

23 Settembre S. Lini Papæ et Martyris    Semiduplex

24 Settembre Beatæ Mariæ Virginis de Mercede    Feria

26 Settembre Ss. Cypriani et Justinæ

27 Settembre S. Cosmæ et Damiani Martyrum    Semiduplex

28 Settembre S. Wenceslai Ducis et Martyris    Feria

29 Settembre Dominica XVI Post Pentecosten I. Octobris    Semiduplex Dominica minor *I* –

                        In Dedicatione S. Michaëlis Archangelis    Duplex I. classis *L1

30 Settembre S. Hierónymi Presbýteris Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex *L1*

LO SCUDO DELLA FEDE (75)

LO SCUDO DELLA FEDE (75)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO X

DECIMA PRODE: TRAFFICO DELLE INDULGENZE

Il lusso sformato qual è ne’ Prelati della Corte di Roma non può mantenersi senza un proporzionato dispendio, ed eccovi perciò la necessità di fare un mercimonio delle cose spirituali. Così la discorrono quegli infelici che vogliono strapparvi dal seno della S. Chiesa: e passano poi a raccontarvi, come per raccogliere denaro in Roma si vendono le Indulgenze, le dispense pei matrimoni, le facoltà di ergere Oratorii privati, le investiture dei benefizii ecclesiastici, le Reliquie dei Santi, ed andate dicendo. Chi li credesse, colà tutto è compera e vendita e permuta, senza un riguardo al mondo, né a Dio, né alle cose sante: e per esprimere tutto ciò hanno già inventato un termine tutto lor proprio, chiamando Roma la gran bottega dei Sacerdoti. Ora, miei cari, sentite una parola di tutte queste accuse; e prima d’ogni altra cosa delle Indulgenze, sopra le quali fan più rumore, che verrete da esse a conoscere sempre meglio qual sorta di Religione sia il Protestantismo, che per reggersi in piedi, ha bisogno di ricorrere a tali calunnie. – La prima occasione di accusa la tolgono dalle Indulgenze, le quali a detta loro, sono la merce che frutta a Roma le più larghe entrate. Ebbene per rispondere subito con dei fatti alle costoro parole, domandate loro, che abbiano mai speso per tutti quei giubilei ed indulgenze, che dopoché sono in vita, hanno udito annunciare al mondo? Che abbiano speso almeno in quest’ultimi pubblicati dal Sommo Pontefice Pio IX, inchiudendovi fino questo del cinquantotto? Chi ha mai loro chiesto un soldo per l’acquisto di tali beni spirituali? Vi potranno forse rispondere che non se ne sono mai curati. Tal sia di loro; ma se avessero voluto curarsene, avrebbero forse dovuto spendere qualche cosa? Inoltre nel corso dell’anno per varie solennità sono concesse le Sante Indulgenze, e vengono dichiarate ai fedeli dai sacri pergami, e ne sono avvisati fin con tabelle appese sulle porte delle Chiese, ora chi ha mai dovuto spendere un soldo per entrare a parteciparne? Questi favori spirituali sono accordati ad innumerevoli Congregazioni e Fraternità stabilite in tutto l’orbe, sono annesse ad una immensità di opere pie, e chi ha mai sognato che per acquistarli si richiedesse altro che l’adempimento delle pratiche ingiunte all’uopo? Dove vanno dunque a parare tutti i guadagni di Roma, e tutte le vendite delle S. Indulgenze? Ma se non è così al presente, fu però cosi in passato, ripigliano essi, e le storie ci ricordano che fu appunto per occasione di quelle vendite che Martin Lutero tolse a protestare contro la Chiesa. Ed io vi risponderò che hanno letto molto male le storie quelli che hanno trovato in esse tutte queste falsità, mentre la Chiesa né in passato né al presente ha venduto mai Indulgenze. Nella Chiesa Cattolica, il vendere beni spirituali è stimato non solo un peccato gravissimo, ma poco meno che un errore in fede, mentre in più d’un caso furono trattati come eretici i Simoniaci che sono appunto quelli che si contaminano di questa iniquità: ed in ogni tempo la S. Chiesa li ha perseguitati. Quanto alle Indulgenze poi si sa con quanti decreti la S. Chiesa abbia divietato qualunque abuso che alcuno dei suoi ufficiali avesse potuto commettere. Quello che ha dato ad alcuni ignoranti l’occasione di errare ed a molti tristi quella di malignare, ecco qual è. La S. Chiesa quando accorda questi favori così eccelsi, quali sono le S. Indulgenze suole imporre qualche opera di pietà e di penitenza ai fedeli sia perché se ne rendano più degni, sia perché questa sia come un qualche compenso per quello che loro vien perdonato. Le opere di penitenza poi, secondo la dottrina delle Sante Scritture si riducono a tre principali, preghiera, digiuno. e limosina, e lo sanno tutti quelli che sanno i primi elementi della fede cristiana. Ora siccome la S. Chiesa non ha ancora creduto per le dicerie dei suoi nemici ed anche per le mormorazioni di alcuni suoi figliuoli disamorati di levar dal Catalogo delle buone opere la limosina, né di rinunziare al diritto che ha di prescriverla ai fedeli, quando lo giudica conveniente ingiunge questa per l’acquisto delle Indulgenze nello stesso modo con cui ingiunge la preghiera od il digiuno. Che se alcune anime vili ed interessate ne tolgono poi occasione di calunnia contro la Chiesa, è tutta loro malizia: mentre il modo onde vien prescritta in questi casi la limosina è così savio, e così disinteressato che per quanto altri aguzzi l’occhio non potrà mai trovare nulla a riprendere. – In due maniere per lo più essa la ingiunge, o lascia in piena nostra libertà il farla a chi ne pare, oppure determina qualche fine speciale. Nell’un caso e nell’altro essa non si occupa punto de’ nostri denari. Così abbiamo veduto più di una volta tra l’opere ingiunte per l’acquisto del Giubileo, essere imposta in genere qualche limosina ed allora i fedeli scelgono quei poverelli che vogliono, quelle vedove, quei derelitti verso i quali si senton mossi, e qui certo non v’ha neppur l’ombra di traffico. – In altre occasioni sono state stabilite limosine o pel mantenimento de’ luoghi di Terra Santa, sì cari alla pietà cristiana, o per la propagazione della S. Fede o per i Cristiani che gemevano sotto la schiavitù dei Turchi, o per l’erezione di Ospedali, o per altra opera somigliante, ed in queste occasioni il denaro era versato nelle mani di quelli cui si apparteneva, e neppure qui si può rinvenire ombra di traffico. La grande pietra dello scandalo fu la limosina imposta da Leone X per l’erezione del tempio di S. Pietro in Roma. Questa somministrò primamente a Martin Lutero l’occasione d’insorgere contro la Chiesa, e fino ai dì nostri è l’argomento perpetuo delle calunnie dei Protestanti contro di lei. Del resto eccovi in poche parole il fatto genuino. Il gran Pontefice Leone X per recare ad effetto il disegno di Giulio II di formare in Roma un tempio dedicato al Principe degli Apostoli, che fosse meno indegno della Maestà della Cattolica Chiesa, e per riuscir nell’opera invitò tutti i fedeli dell’orbe cattolico a concorrervi colle loro limosine. Però per renderli più efficacemente promulgò alcune Indulgenze da lucrarsi da coloro i quali avessero colle loro limosine cooperato ad un’opera sì bella di divin culto, e di cristiana pietà. Or che cosa può esservi qui a riprendere? O negare che la S. Chiesa abbia facoltà di concedere le Indulgenze: ma questo in sulle prime non osò farlo neppur Martin Lutero, mentre non insorse, se non contro certi abusi introdotti dai banditori di esse indulgenze, abusi condannati subito e repressi dalla medesima S. Chiesa; oppure affermare che non sia opera di divin culto l’erezione di un tempio alla maestà del Signore. Ma i Protestanti che fanno tanto strepito colle Scritture, dovrebbero pur sapere che Dio fin dall’antica Legge ebbe tanto a cuore la magnificenza del tempio che ne rivelò egli stesso tutto il disegno, che ne prescrisse da sé tutti gli ornamenti, che infuse perfino la scienza a due artefici affinché ne conducessero perfettamente alcuni dei lavori più delicati. Dov’è dunque il traffico, la vendita dei beni spirituali? Finché i Protestanti non dimostreranno che le cose siano passate altrimenti, noi potremo dir sempre, che quando vilipendono in proposito la S. Chiesa, essi sono o ignoranti di quel che dicono, o calunniatori che vogliono trarre in errore i semplici. E poiché siamo a parlare delle indulgenze aggiungerò qui un’altra calunnia che per occasione di esse i Protestanti scagliano contro la Chiesa. Dicono che la facilità di questi perdoni e giubilei agevola in gran maniera il peccato, poiché, qual ritegno avranno più i fedeli a commettere la colpa, quando sanno essere tanto facile l’impetrarne il perdono? Inoltre come non saranno più rimessi nelle buone opere i Cristiani, mentre per loro diventa, mercé le Indulgenze, sì piana la via del Cielo? Ora, miei cari, son proprio curiose queste difficoltà sul labbro dei Protestanti! Essi insegnano che non sono necessarie al tutto le buone opere, che per giungere al Cielo basta la fede, che un’anima più nera della pece, purché creda di essere giustificata davanti a Dio, con ciò solo è monda più della neve; dopo d’avere insegnate queste belle dottrine, vengono col collo torto a deplorare lo scemamento delle buone opere e la facilità del peccare. È proprio l’ipocrisia dei Giudei, i quali non avevano scrupolo di uccidere Gesù, ma avevano scrupolo d’entrar nel pretorio nel dì festivo. – Ma perché vediate anche più chiaramente come v’ingannano con queste lustre di pietà, richiamate al pensiero quel che insegna la Cattolica Chiesa al nostro proposito. Nel peccato vi sono due cose da attendere, vi è la colpa la quale offende il Signore, vi è la pena di cui si rende meritevole chi commette la colpa. Ora la colpa secondo la dottrina Cattolica non si perdona se non se per mezzo del Sacramento di Penitenza o ricevuto da chi ne ha la possibilità, o almeno desiderato da chi non ha il mezzo di accostarvisi se pure con questo desiderio congiunga la contrizione. La pena poi o in tutto o in parte si condona nello stesso Sacramento secondo il più od il meno di contrizione che altri vi apporta, oppure resta a scontarsi in questa o nell’altra vita con penalità temporali. Ora notate bene, l’Indulgenza non è poi altro che una remissione o parziale o totale della pena dovuta al peccato, ma non mai della colpa: e però l’Indulgenza non può aver luogo se non dopo già pianto, già detestato, già scancellato il peccato dall’anima. In qual modo dunque può l’Indulgenza dar coraggio a peccare? Immaginatevi che alcuno vedendo un nuotatore che dal lido si avanza in alto mare prendesse a dir seriamente che per ciò è quegli sì ardito a gettarsi in alto, perché  tiene poi in pronto una carrozza che lo condurrà alla riva, che cosa rispondereste voi? Fareste una risata solenne e gli direste che i cocchi non viaggiano sulle acque, che bisogna già essere a riva per potersene valere. Ma quando sentite un Protestante che vi dice sul serio che i Cattolici si fidano a peccare perché hanno pronta la remissione nelle Indulgenze voi dovete dire lo stesso. Con le Indulgenze non si rimettono i peccati, bisogna che questi siano già perdonati, perché possiamo con le Indulgenze ricevere la condonazione anche della pena ad essi dovuto. Epperò come quel nuotatore se non ha altri mezzi per tornare a riva che la carrozza può risolversi a far naufragio quando vuole, così quel peccatore che per salvarsi non volesse impiegare altro mezzo che le Indulgenze potrebbe risolversi ad andar dannato. Ora essendo tale la dottrina di S. Chiesa, che senso ha quella difficoltà che certi barbassori muovono con tanta sicumèra e presunzione? Nè è punto più vero quello che soggiungono che per occasione dell’Indulgenze si diminuiscono le opere buone: poiché per l’acquisto medesimo delle Indulgenze si prescrivono varie opere buone, come la preghiera, il digiuno, la limosina senza contare che è una opera molto buona l’acquisto stesso delle Indulgenze: poiché in esso vi è un esercizio di fede alla divina parola, vi è un atto sincero di umiltà nel riconoscersi meritevole di castigo dinanzi a Dio, vi è un desiderio di soddisfare la divina giustizia, vi è una glorificazione del sangue preziosissimo di Gesù in virtù del quale ci vengono condonate le pene da noi meritate. E ciò senza dir nulla dell’inculcare che fa perpetuamente la S. Chiesa che non ci contentiamo delle S. Indulgenze, ma che le congiungiamo con ogni sorta di buone opere. Convinti sopra di ciò non sanno tuttavia ancora ammutolire. Le Indulgenze dei Cattolici, ripigliano, fanno torto alla Redenzione di Nostro Signore Gesù Cristo. Ed in qual modo? Doppiamente, rispondono, e perché i Cattolici richiedono in esse che si facciano certe opere ingiunte quasi esse fossero ancor necessarie per la piena remissione delle colpe dopo la Redenzione, e poi perché i Cattolici alle soddisfazioni di Gesù aggiungono anche quelle della Madonna e dei Santi, quasi le prime non bastassero da sé sole. Ebbene, miei cari, io mi contento di rispondere a tutte le costoro difficoltà perché mi danno campo di spiegarvi meglio la dottrina di S. Chiesa. – In primo luogo avete da sapere che in ogni opera buona che noi facciamo, vi è un doppio valore: vi è il merito con cui acquistiamo la vita eterna, vi è la soddisfazione per cui purghiamo le nostre colpe. Il merito nasce da ciò che sono fatte per movimento e principio di carità; la soddisfazione da ciò che sono a noi laboriose e penali. Così lo insegna chiaramente la S. Scrittura, la quale ci fa sapere a cagion di esempio, che la limosina ci libera dal peccato, che lo estingue (Tob. IV; Eccli. III), che è quanto dire che soddisfa per esso, e nello stesso tempo che come opera buona e grata a Dio ci merita la vita eterna, come insegna Nostro Signore dicendo: Abbiatevi il Regno che vi fu preparato: poiché ebbi fame, e mi deste a mangiare, ebbi sete e mi deste a bere (Matth. XXV). – In secondo luogo è da sapere che il merito è personale e proprio ad ognuno sì fattamente che non può cedersi a chicchessia, ed a questo risponderà il grado di gloria che ognuno avrà in Cielo: laddove la soddisfazione che non è poi altro che il pagamento di un debito può impiegarsi anche in favore di un altro. In quel modo che può un uomo ricco pagare per un suo amico i debiti che gl’impediscono il conseguimento di un pubblico impiego senza che possa tuttavia conferirgli il merito per quell’impiego. – In terzo luogo è da sapere che nella Chiesa il tesoro di queste soddisfazioni è infinito: perocché la passione di Gesù che principalmente Io forma è di valore infinito. Il valor della soddisfazione si toglie dalla dignità di chi soffre allo stesso modo che la gravità dell’offesa si toglie dalla dignità di chi è offeso. Ora essendo Dio quello che sofferse nella sua carne mortale, è d’infinita virtù la sua passione: tantoché essa varrebbe non solo per la salvezza di un mondo, ma per mondi innumerevoli se tanti ne esistessero e ne abbisognassero. – A formare tuttavia questo tesoro vi concorrono eziandio le soddisfazioni della Vergine e dei Santi che patirono più di quanto che fosse necessario allo sconto dei propri peccati. I Protestanti non possono soffrire che ciò si dica: ma  si turino pur gli orecchi che ciò non conta, perché è evidente che è cosi. La B. Vergine certamente non commise mai peccato di alcuna sorta né mortale né veniale, eppure sofferse smisurati dolori ai pie della Croce. S. Giovanni Battista fu santificato sino dal sen materno, eppure praticò durissime austerità in vita, e poi diede il sangue per la giustizia. Gli Apostoli similmente e tanti Santi Martiri di vita illibatissima soffersero pene atroci prima della morte, e pure la sola morte sarebbe stata bastevole secondo la fede a soddisfare per tutte le loro colpe. Similmente tanti santissimi penitenti, e Vergini, e Confessori congiungendo una penitenza asprissima con una vita molto innocente più soddisfecero di quello che fosse richiesto ai loro falli. Certamente il S. Giobbe diceva, volesse il Cielo che le mie colpe fossero bilanciate colle pene che io soffro, come queste apparirebbero ben più gravi di quelle(Job. VI, 1). Tutto ciò èinnegabile. Ora di tutte queste soddisfazioniviene a formarsene come un tesoro d’immensovalore, che è poi quello che la S.Chiesa ci applica colle indulgenze.Domando io pertanto in primo luogoche torto fa a Gesù che ci si applichino lesoddisfazioni di Gesù per isconto dei nostripeccati? Anzi quale onore più grande puòfarsi alla Redenzione che quello di credereche il Sangue prezioso di Gesù ci ottengail perdono non solo della colpa, ma ancordella pena dovuta ai nostri peccati? Ma, dicono, i Cattolici vogliono che per ottenere questo perdono, noi ci mettiamo anche le nostre opere. O ascoltate dunque una volta per sempre, ed intendete bene la verità. In tutto quello che noi facciamo per vantaggio delle nostre anime in tutto trovano i Protestanti che noi facciamo un affronto a Gesù. Se ascoltiamo la S. Messa dicono che facciamo torto al Sacrifizio della Croce, se facciamo opere buone dicono che rendiamo inutili quelle di Gesù, se invochiamo la Madonna ed i Santi dicono che li anteponiamo a Gesù, se facciamo le opere ingiunte per l’acquisto delle S. Indulgente trovano che rendiamo inutile la Passione di Gesù. Ma il vero volete sapere qual è?La verità è che essi disonorano ed insultano altamente Gesù con tutte queste ragioni inique perché con esse disconoscono al tutto quel che sia la Redenzione. Imperocché la Redenzione che Gesù ha fatto di noi non consiste già in questo che abbia dispensato noi dal fare la parte nostra. Nulla meno. Il benefizio infinito della Redenzione consiste in ciò, che mentre noi non potevamo senza di essa far nulla che ci valesse a vita eterna, non credere, non sperare, non pentirci dei nostri peccati, non amare il Signore come si conveniva, Gesù ci ottenne col suo Sangue prezioso la grazia immensa di poter far tutto ciò in modo che ci valesse a salute. Ma dopo fattaci questa grazia, non solo non esclude la nostra cooperazione, ma la vuole, la comanda, la esige a qualunque costo. I santi Vangeli ci intimano che dobbiamo far penitenza, che dobbiamo digiunare, che dobbiamo pregare, che dobbiamo partecipare ai Sacramenti, che dobbiamo esercitare coi prossimi le opere di misericordia ed andate dicendo. E Gesù Cristo nel dì del giudizio allegherà contro i reprobi per condannarli la mancanza delle buone opere. come per rimunerare gli eletti addurrà qual titolo l’esercizio delle medesime. Bisogna aver perduto il senno per non intendere e peggio per impugnare questa verità. Che cosa direste voi di un contadino il quale sul pretesto di non fare torto alla divina Providenza che l’ha da sostentare non volesse più arare la terra, non seminare, non incalzare, non mietere, non riporre le sue provigioni? Direste che è un pazzo. La Providenza divina consiste in ciò che ci mantiene le forze per lavorare, che ci manda le piogge opportune, che ci fa sorgere il sole, i venti, e quanto è necessario al raccolto, ma non esclude, anzi suppone, anzi richiede anche il nostro lavoro, la nostra opera. Ora dite lo stesso nel nostro caso. La Redenzione di Gesù ci ha procurati tutti i mezzi necessari per fare il bene che senza di essa mai non avremmo avuti, ma non ci viene poi applicata se noi non facciamo anche la porte nostra. Volete saper chiaro una volta dove vada a parare quel sì iniquo magnificare che fanno i Protestanti la Redenzione? Ah non è amore verso Gesù, non è stima, non è riverenza verso il Sangue divino, è un pretesto che essi tolgono per esimersi da ogni obbligo di far penitenza, e di esercitarsi in opere buone. Ma il congiungere colle soddisfazioni di Gesù anche quelle della Madonna e dei Santi, non è poi il fargli qualche torto? Niente affatto, miei cari. Imperocché se noi le aggiungessimo quasi non fossero sufficienti quelle di Gesù, certo sarebbe un affronto; ma la Cattolica Chiesa mai non ha fatto questo, e ne avrebbe orrore. Le aggiunge perché riescono d’immensa gloria e di splendido trionfo allo stesso Gesù: mentre da esse si vede quel che Gesù ha potuto fare con la sua grazia nei suoi servi che li ha di tanto aiutati, di tanto fatti degni che potessero accumulare sì gran capitale di soddisfazioni che bastasse non solo a loro ma ancora ai loro fratelli. Se vedeste un Imperatore che ha dintorno tanti scudieri e sì ricchi che possano fare anche ad altri splendide largizioni, direste mai che questi con la loro grandezza fan torto all’Imperatore? Tutto all’opposto: perocché questi mostrano anzi più grande quel Monarca che ha potuto far essi sì grandi. Di che vi parrà anche chiaro come i Cattolici riconoscano quella gran verità che Gesù Cristo è l’unico nostro Redentore, l’unico Mediatore, il Salvatore unico di tutti gli uomini. Imperocché noi confessiamo con gran giubilo del nostro cuore che solo Gesù ci ha riconciliati col Padre celeste, solo Gesù ci ha meritate tutte le grazie, solo Gesù ci aiuta a far le opere buone, solo Gesù dà valore alle nostre soddisfazioni. E se in qualche cosa concorrono anche i Santi o intercedendo per noi, o facendoci parte delle loro soddisfazioni, tutto è vanto, onore, gloria, opera di Gesù il quale dopo di averli colle sue grazie fatti degni e di pregare e di offrire qualche soddisfazione per noi, si compiace nella sua misericordia di accettar quell’offerte e quelle preghiere. Ma finalmente, ripigliano, sia pure anche solo una pena temporale quella che si rimette con le Indulgenze, con quale autorità però la Chiesa esercita un tal diritto? Io vi potrei rispondere che se la Chiesa l’esercita, è questa una prova indubitata che ne ha l’autorità, perocché essendo essa infallibile non può eccedere nei suoi diritti né  usurparsi un’autorità che non possieda. Tuttavia eccovi un’altra risposta. Vi ho detto sopra che nel peccato vi è da considerare la colpa e la pena. Ora dovete sapere che la S. Scrittura c’insegna che dopo rimessa la colpa non è sempre rimessa anche la pena. Cosi a cagion di esempio fu perdonato a David il suo peccato, ma tuttavia gli rimase a portar la pena della morte del suo figliuolo. Così furono perdonate ai Giudei le Idolatrie ed infedeltà che avevano commesse nel deserto per le preghiere di Mosè, ma tuttavia fu data loro per pena la morte temporanea nel deserto, di che si vede manifesto che nel peccato oltre il reato della colpa v’è eziandio quel della pena che non sempre si rimette col rimettersi della colpa. Appunto come avviene talvolta tra noi che alcuno il quale ha ricevuto dal suo prossimo danni ed ingiurie accorda il perdono al suo offensore, ma vuole però che gli rifaccia i danni che gli ha recati. Ora qua! è la potestà conferita da Gesù Cristo alla sua Chiesa? Forse soltanto quella di rimettere i peccati? No. Gesù Cristo dice ripetutamente che qualunque cosa essa legherà, qualunque scioglierà sarà sciolta o legata in Cielo. Non mette limiti, non appone condizioni: e siccome per l’applicazione dei meriti di Gesù rimette la colpa, così per l’applicazione delle soddisfazioni di Gesù rimette la pena, la quale è ancor essa un legame verissimo dei fedeli. E così di fatto l’ha poi sempre inteso e praticato la S. Chiesa. L’Apostolo S. Paolo rimette all’incestuoso sì noto di Corinto una tal pena in nome di Gesù Cristo come egli parla (2. Cor. II).I santi Martiri nei primi tempi, come il testificano S. Cipriano e Tertulliano, chiedevano, ed impetravano spesse volte dai Pastori legittimi della Chiesa che rimettessero una tal pena a quegli infelici che per timore dei tormenti avevano rinnegata la S. Fede nel tempo della persecuzione, e che poi erano tornati a penitenza: nei tempi susseguenti il Concilio di Nicea, quello di Ancira, quello di Laodicea suggeriscono il modo più prudente di accordare codeste indulgenze. Dai tempi di S. Gregorio in poi è sì noto l’uso delle Indulgenze che senza un’audacia estrema non può mettersi in dubbio da verun protestante. Ma v’è ancora più di tutto ciò. I Concili generali che sono la voce infallibile di tutta la Chiesa le autenticano in molti modi, il Concilio Claromontano riceve le S. Indulgenzedal Papa Urbano II. Il Concilio Lateranese da Pasquale II. Nell’altro Concilio Lateranese ed in quel di Lione mentre si riprendono quelli che abusavano a fini mondani delle Indulgenze se ne conferma il loro valore. In quel di Costanza si condanna l’errore dell’eretico Wicleffo che le impugnava. In una parola la S. Chiesa fino ai dì nostri ha sempre posseduta una tale autorità, e l’ha sempre esercitata. Ecco dunque dove sta fondato il diritto di S. Chiesa. Sta fondato sulle Scritture, sta fondato sulla Tradizione, sta fondato sull’infallibilità che Gesù ha concesso alla sua Chiesa, mercé la sua assistenza divina. E tutto ciò basti in risposta a quelli che disconoscono i diritti di S. Chiesa. Voi però non vi contentate di mantenerli con tutta la fermezza di vostra fede, passate anche ad accrescere sempre più in voi la stima di sì gran beni, ed abbiate sollecitudine quando la S. Chiesa ve li offre di acquistarli. I veri fedeli in ogni tempo guardarono sempre carissime le Indulgenze. Molti gran Santi della Chiesa fecero più volte il viaggio di Roma e della Palestina per guadagnare questi spirituali tesori. Quando i Sommi Pontefici incominciarono a pubblicare periodicamente ogni cento, e poi ogni cinquanta,e finalmente ogni venticinque anni i Giubilei, tutto il popolo Cristiano se ne commosse, e v’ha memoria che in certi tempi fino a centomila fedeli entravano ed uscivano ogni giorno dalle porte di Roma venuti da tutta la terra per acquistarli. Questa fu la Fede dei nostri Padri, questa sia la nostra ed a suo tempo si vedrà quanto si sia fidato sicuramente chi riposò sugli insegnamenti di S. Chiesa.

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus…” (XXVII)

SALMO 27: AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus …

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.T

SALMO XXVII

[1] Psalmus ipsi David.

   Ad te, Domine, clamabo; Deus meus,

ne sileas a me: nequando taceas a me, et assimilabor descendentibus in lacum.

[2] Exaudi, Domine, vocem deprecationis meæ, dum oro ad te, dum extollo manus meas ad templum sanctum tuum.

[3] Ne simul trahas me cum peccatoribus, et cum operantibus iniquitatem ne perdas me;

[4] qui loquuntur pacem cum proximo suo, mala autem in cordibus eorum.

[5] Da illis secundum opera eorum, et secundum nequitiam adinventionum ipsorum.

[6] Secundum opera manuum eorum tribue illis, redde retributionem eorum ipsis.

[7] Quoniam non intellexerunt opera Domini et in opera manuum ejus; destrues illos, et non aedificabis eos.

[8] Benedictus Dominus, quoniam exaudivit vocem deprecationis meæ.

[9] Dominus adjutor meus et protector meus; in ipso speravit cor meum, et adjutus sum:

[10] et refloruit caro mea, et ex voluntate mea confitebor ei.

[11] Dominus fortitudo plebis suæ, et protector salvationum christi sui est.

[12] Salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hæreditati tuæ; et rege eos, et extolle illos usque in æternum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVII.

Davide, in persona di Cristo, congiunge la passione sua e la glorificazione, come nel salmo 21, del quale è questo un compendio.

Salmo dello stesso David.

1. A te, o Signore, alzerò le mie grida: Dio Mio, non istare in silenzio con me, affinché, tacendo tu, non sia io come quelli che scendono nella fossa.

2. Esaudisci, o Signore, la voce delle suppliche mentre io ti prego, mentre alzo le mie mani al tuo tempio santo.

3. Non mi prendere insieme coi peccatori non mi sperdere con quelli che commettono

l’iniquità;

4. i quali parlano di pace col prossimo loro, ma nei loro cuori covano il male.

5. Rendi a questi secondo le opere, delle mani loro e secondo la malvagità delle loro macchinazioni.

6. Dà ad essi secondo le opere delle mani loro; rendi ad essi la lor ricompensa.

7. Perché non hanno intese le opere del Signore, né quello che ha fatto la mano di lui; tu gli distruggerai, e non gli ristorerai.

8. Benedetto il Signore, perché ha esaudito la voce della mia orazione.

9. Il Signore mio aiuto e mio protettore; in Lui sperò il cuor mio, e fui sovvenuto.

10. E rifiorì la mia carne, ed io col mio affetto a Lui darò laude.

11. Il Signore è fortezza del suo popolo, ed è protettore della salvazione del suo Cristo.

12. Salva, o Signore, il popol tuo, e benedici la tua eredità, e sii loro pastore e ingrandiscili fino all’eternità.

Sommario analitico

Il sentimento più probabile e più fondato è che questo salmo sia stato composto da Davide durante la rivolta di Assalonne, allorché fu obbligato a fuggire da Gerusalemme, a risalire piangendo il versante del monte degli ulivi, e Sadoc ed Abiathar portarono l’arca del Signore nell’accompagnare Davide (II Re, XV), per cui Davide la fece riposare nella città, giudicando indegno il possederla presso di lui. Esaminando attentamente questo salmo, si vede che tutto si riporta a questa circostanza dolorosa della vita del Re-Profeta. – 1° Davide grida verso il Signore (1), e noi vediamo (II Re, XV, 23) che tutto il popolo piange ad alta voce nell’accompagnarlo. – 2° Egli domanda a Dio di non restare in silenzio, cioè di non rifiutare di rendergli oracoli a suo favore attraverso il sommo sacerdote. – 3° Davide, camminando con la testa coperta da un velo, somiglia più ad un morto che ad un vivo. – 4° Dal monte degli ulivi, egli poteva facilmente levare le mani verso il tabernacolo (2). – 5° Egli allora era ancora punito per il suo doppio crimine di omicidio ed adulterio, cosa che gli faceva credere di essere coinvolto nel castigo riservato ai peccatori (3). – 6° Achitophel, che gli aveva tenuto un linguaggio pacifico, si dichiarava contro di lui. – 7° Egli prevede che Dio punirà Assalonne ed Achitophel come meritano. – 8° Rende grazie a Dio per la sua liberazione futura ed esprime la speranza certa di essere come richiamato alla vita e ristabilito sul suo trono. – 9° Raccomanda a Dio il suo popolo che vedeva esposto ai pericoli più gravi, in mezzo alle guerre civili. – Questo salmo che, nel senso spirituale, ha per oggetto nostro Signore in croce che profeta la distruzione di Gerusalemme e, nella seconda parte, celebra il trionfo della sua resurrezione, e pregando per tutta la sua Chiesa, ottiene a tutti i Cristiani imploranti, tra le tribolazioni, il soccorso e la misericordia di Dio.

I – Davide chiede a Dio di venire in suo soccorso:

1° A causa della sua pietà che manifesta: a) con le sue grida, b) con la disposizione in cui si trova di ascoltare il responso del Signore, c) con la sua umiltà che gli fa riconoscere che solo Dio può salvare dalla morte (1), d) con la fiducia che gli fa sperare che Dio solo, verso il quale tende la mani, può liberarlo dai suoi mali (2).

2° A causa dell’empietà dei suoi nemici, con i quali egli chiede a Dio di non essere confuso (3): – a) sotto un linguaggio in apparenza pacifico, essi nascondono i loro perfidi disegni (4); – b) essi riceveranno il giusto castigo per le loro opere e per i loro pensieri criminali; – c) il principio dei loro crimini, così come dei loro castighi, e del loro odio, è che essi non sono entrati nell’intelligenza delle opere di Dio (7).

II. – Davide rende grazie a Dio per ciò che si è degnato di esaudire: – a) dichiarandosi suo aiuto e suo protettore, dandogli una nuova forza dopo le crudeli prove (9, 10), – b) diventando la forza del suo popolo, e la protezione che salva il suo Cristo (11).

III. – Egli prega Dio di compiere al più presto ciò che ha dichiarato di fare per il suo popolo, – a) liberandolo dai pericoli in mezzo ai quali si trova, – b) colmandolo delle sue benedizioni e dei suoi doni, – c) dirigendolo nel preservarlo dal peccato, – d) ed elevandolo, con le virtù e le sue grazie, fino all’eternità (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1-7.

ff. 1, 2. – Niente di più negativo è l’attirarsi, con le proprie infedeltà, il silenzio di Dio che minaccia di non ascoltare coloro che rifiutano da se stessi di ascoltare quando Egli parla loro (Dug.). – Un uomo privato del soccorso di Dio è simile ad un morto, non ha in sé i principi della vita spirituale; le sue azioni più oneste non sono che sforzi filosofici, e non delle opere cristiane e perciò meritorie del cielo. – La preghiera è potente ed efficace quando le mani pregano insieme alla lingua, e le opere insieme alle parole (Dug.).

ff. 3. – La pratica di alzare le mani pregando è antica come la preghiera stessa. Essa indica ed esprime: – 1° che l’anima vuole spiegare le ali per elevarsi verso il cielo pregando; – 2° che essa si rifugia con viva fiducia nel seno di Dio come porto sicuro; – 3° che offre a Dio tutto ciò che è, e tutto ciò che possiede; – 4° che essa ha il più ardente desiderio di ottenere il soccorso che implora; – 5° che è preparata e disposta ai combattimenti spirituali che Egli gli fa affrontare; – 6° che così esprime ancora, come nota Tertulliano, l’innocenza delle opere; – 7° che infine rappresenta, agli occhi del Padre eterno, l’immagine di Gesù Cristo crocifisso. – Il torrente della malizia dei peccatori coinvolge sovente coloro che non resistono nel principio; non si ha il coraggio di opporsi alla sua violenza. All’inizio ci si contenta di dissimulare il male che si vuol credere di non poter impedire; in seguito si familiarizza con esso; poi, anche se non lo si approva interamente, però non lo si condanna. All’inizio ci si lascia andare; la seconda volta, questa prima impressione si attenua, se ne forma l’abitudine, si smorza il rimorso della coscienza, ed infine ci si invischia con i peccatori, e ci si perde con coloro che commettono l’iniquità. – « Non permettete che io faccia causa comune con quelli che parlano di pace nell’assemblea dei loro fratelli, e che meditano il male nei loro cuori ». Per questi uomini, l’ideale della pace è la tranquillità del disordine, è la piacevole soddisfazione delle passioni, la gioiosità ininterrotta di tutto ciò che alletta l’orgoglio ed i sensi.

ff. 4. –  Il carattere dipinto qui dal Re-Profeta, uno dei più comuni nel mondo, e dei più odiosi al Signore, è la maniera di agire di coloro che, nel mondo, si definscono “gente onesta”. Mille sono le offerte di servizio, mille le proteste di devozione la più sincera, mentre nel fondo del cuore ci si nutre di pensieri di gelosia, di odio, di perfide intenzioni. Si tratta dei processi di prudenza, di finezza, di politica, dell’uso del mondo; e la Scrittura che è parola di Dio, le mette al rango dei crimini: dappertutto il Signore minaccia delle sue vendette i furbi, i cuori doppi, i simulatori, e dappertutto Egli fa i suoi elogi al candore, alla probità, alla semplicità (Berthier). – Il tuo nemico, dice l’autore dell’Ecclesiastico, ha il dolce sulle labbra, ma in cuore medita di gettarti in una fossa. Il nemico avrà lacrime agli occhi, ma se troverà l’occasione, non si sazierà del tuo sangue. Se ti capiterà del male, egli sarà là per primo e, con il pretesto di aiutarti, ti prenderà per il tallone (Eccli. XII, 15-18).

ff. 5, 6. –  Dio rende a ciascuno non secondo la sua qualità, secondo la sua scienza, le sue ricchezze, gli onori, le dignità di cui è rivestito, ma secondo le sue opere. Quando il male che il peccatore si preparava a far soffrire agli altri ricade sulla sua testa, egli non fa che ricevere la ricompensa delle opere delle sue mani. È dunque egli stesso che prepara con la proprie mani il suo supplizio, e la giustizia di Dio non fa che rendergli ciò che gli è dovuto (Duguet).

ff. 7. –  In questo versetto, noi vediamo nello stesso tempo la causa della disgrazia dei riprovati, l’estensione di questi malanni, la durata di questa sventura, e sono pochi i testi dei Libri santi dai quali si possa trarre una maggiore istruzione. La causa d questo sventura è quella di non aver compreso le opere del Signore, le cose mirabili che ha fatto per la creazione ed nel governo del mondo, e soprattutto il miracolo del suo amore nella redenzione del genere umano. « Le perfezioni invisibili di Dio, come la sua eterna potenza e la sua divinità, sono divenute visibili, dopo la creazione del mondo, per tutto ciò che è stato fatto; così la sua eterna potenza e la sua divinità, in modo tale da essere inescusabili ». (Rom. I, 20). Gesù Cristo piangerà su Gerusalemme, perché essa non aveva conosciuto che lui doveva dare la pace. Il risultato di questo disconoscimento, è la distruzione; la durata di questa sventura è l’eternità (Berthier).

II. — 8-12.

ff. 8-10. –  Felici coloro che, come Davide, dopo aver pregato Dio, possono dirgli: « Siate benedetto per aver esaudito la mia preghiera. » Solo una viva fede può dare questa certezza. Ma ancor più felice colui che, dopo non aver ottenuto ciò che domandava, dice a Dio con sincera riconoscenza: « siate benedetto per non aver esaudito la mia preghiera, perché verso i vostri amici, voi considerate più i loro veri interessi che le loro inclinazioni ed i loro desideri » (Duguet). – Quando sia possibile rendere testimonianza al fatto che si considera Dio nostro aiuto e nostro protettore, che si spera in Lui e non negli uomini, né nelle ricchezze, si può aggiungere con certezza, come Davide, che nel presente si è stati soccorsi da Lui, anche se la tribolazione dura ancora (Dug.). « … la mia carne è come rifiorita ». La giovinezza dell’uomo, dice San Tommaso su questo salmo, è spesso comparata nella santa Scrittura, ad un fiore, e con ragione: perché come il fiore è presagio del frutto, così la giovinezza è il presagio della vita che deve seguire. La carne sembra dunque rifiorire quando, nella sua vecchiaia, essa sembra raggiante, perché l’uomo sembra in effetti raggiante quando la sua anima è nella gioia, anche se sembra invecchiare nella tristezza, « Voi lo vedrete, dice Dio in Isaia, e gioirà il vostro cuore, le vostre ossa saran rigogliose come erba fresca » (Isaia LXVI, 14). Non sarà che nella resurrezione che la nostra carne riprenderà tutto il fiore dell’età, della salute, della gioia e della bellezza. Qui in basso, questa forza, questo vigore sarebbe pericoloso.

ff. 11, 12. – Coloro che Gesù Cristo ha riscattato con la sua morte e che si è acquistato con il suo sangue come sua eredità, sono veramente la razza scelta, il sacerdozio reale, la nazione santa, il popolo di Dio (I Piet. II, 9). – Questo popolo, ben diversamente dal popolo giudaico che ha voluto imporre la sua giustizia alla giustizia di Dio, crede e proclama che la sua forza viene da Dio solo, e che Dio solo può salvarlo, benedirlo, condurlo, proteggerlo nel cammino della vita ed elevarlo fin nella gloria dell’eternità.

IL RISPETTO UMANO

Rispetto umano.

[Ab. E. Barbier:

I TESORI DI CORNELIO ALAPIDE

Vol III, S. E. I. Torino, 1930 – imprim.]

1. Il rispetto umano è una schiavitù. — 2. Il rispetto umano è una vigliacca debolezza. — 3. Il rispetto umano è uno scandalo. — 4. Che cosa vi è di disordinato nel rispetto umano. — 5. Donde viene il rispetto umano e necessità di disprezzarlo. — 6. Fa un atto di coraggio chi vince il rispetto umano.

1. IL RISPETTO UMANO È UNA SCHIAVITÙ.

— Quale atto più servile che quello di ridurre e di costringere se medesimo alla necessità di conformare la propria religione al capriccio altrui? di praticarla, non più secondo le norme del Vangelo, ma secondo le esigenze degli altri? di non adempiere i propri doveri, se non nella misura voluta dal mondo? di non essere Cristiano, se non a talento di chi ci vede? S. Agostino condanna i savi del paganesimo, i quali mentre con la ragione vedevano un Dio unico, per rispetto umano si piegavano ad adorarne molti. E in forza di un altro rispetto umano, il Cristiano vigliacco non serve al Dio che conosce e nel quale crede: quelli erano superstiziosi e idolatri; questo diviene oggidì, per rispetto umano, infedele ed empio. Quelli, per non esporsi all’odio dei popoli, praticavano all’esteriore quello che internamente ripudiavano, adoravano quello che disprezzavano, professavano quello che detestavano: — Colebant quod reprehendebant, agebant quod arguebant, quod culpabant adorabant (De Civit. Dei). E noi, per evitare le censure degli uomini, per una vile dipendenza dalle vane usanze e dalle massime corrotte del secolo, noi disonoriamo quello che professiamo, profaniamo quello che riveriamo, bestemmiano, se se non con la bocca, con le opere, non già, come diceva l’Apostolo, quello che ignoriamo, ma quello che sappiamo e riconosciamo. I pagani contraffacevano i devoti, scrive Bourdaloue. e noi Cristiani ci facciamo scimmie degli atei. La finzione di quelli non riguardava che false divinità, e quindi non era più che una finzione; presso di noi al contrario, la finzione riferendosi al culto del vero Dio, diventa un’abbominevole impostura (Sermon sur le respect hum.). Ora. il fare così non è un rendersi schiavi, e proprio in quello in cui siamo meno scusabili, perché si tratta dell’anima e dell’eternità?… Nati liberi, tali dobbiamo inviolabilmente mantenerci per Iddio, cui si deve culto, fede, rispetto, adorazione, riconoscenza, amore…

2. IL RISPETTO UMANO È UNA VIGLIACCA DEBOLEZZA.

— La notte della Passione del Salvatore, la portinaia della casa di Caifa, disse a Pietro: « Non sei anche tu uno dei discepoli di quest’uomo? ed egli rispose: No » — Dicit Petro ancilla ostiaria: Numquid et tu ex discipulis es hominis istius? Dicit ille: Non sum (IOANN. XVIII, 17). Ecco la debolezza vigliacca del rispetto umano. Qui si è avverato, come si avvera sempre in simili casi, quel detto dei Proverbi: « Chi teme l’uomo, non tarda a cadere » — Qui timet hominem, cito corruet (Prov. XXIX , 25); e quell’altro del Salmista: « Non invocarono il Signore; quindi tremarono di spavento dove non c’era punto nulla da temere » — Deum non invocaverunt; illic trepidaverunt, ubi non erat timor (Psalm. LII, 6). La persona che si lascia vincere dal rispetto umano, teme quello che non è da temere, e non teme quello che bisogna temere… Che viltà, per esempio, non osare dimostrarsi Cristiano per un semplice segno di croce! Il segno del Cristiano non è forse la croce? Non è forse la croce, dice S. Agostino, che benedice e l’acqua che ci rigenera, e il sacrifizio che ci nutrisce, e la santa unzione che ci fortifica? (Tract. CXVIII, in Ioann.). Avete voi dimenticato che della croce furono segnate le vostre fronti, quando foste confermati dallo Spirito Santo? Perché segnarvela in fronte? Non forse perché su la fronte è la sede del pudore? Sì certo; Gesù Cristo volle armare con la croce, la nostra fronte contro quella falsa e misera vergogna del rispetto umano, che ci fa arrossire di cose che gli uomini chiamano piccole, ma che sono grandi innanzi a Dio. » Cosa indegna e vile è il rispetto umano, e non ve n’è altra che tanto degradi, abbassi e disonori l’uomo… Colui che ne è schiavo, non merita più il nome di uomo, ma il suo luogo è tra le banderuole che segnano la direzione dei venti; poiché non sa fare altro che questo… Una tale persona è sommamente spregevole… Che cosa è la che trattiene? un motto, un sarcasmo, una beffa, un segno… Oh! che piccolezza di spirito, che viltà di cuore! Ne arrossiamo noi medesimi in segreto, e non ci sentiamo l’animo di superare simili bagattelle!… Cerchiamo pure di nascondere e di orpellare con altri nomi questa fiacchezza, questa viltà, ma invano… Noi temiamo le censure del mondo, degli increduli, degli empi, degli ignoranti, degli accidiosi, dei dissoluti… Noi temiamo di acquistarci nome di spiriti deboli e pregiudicati, se pratichiamo la Religione; e non vediamo che somma debolezza è non praticarla. Qual cosa più vergognosa e più degradante, che la vergogna di comparire quello che si deve essere? Siamo canzonati; ma cosa vi è di più frivolo che le beffe? Chi è che si burla di noi? quale ne è il merito, il credito, la scienza, la virtù?… E noi osiamo vantarci coraggiosi, di animo grande, di carattere generoso? Codardia odiosa è il rispetto umano. Noi apparteniamo a Dio per tutti i titoli, per la creazione, la redenzione, la santificazione, la conservazione, e arrossiamo di servire Dio!… Il soldato si vergogna di servire il suo re! Di difendere la patria!… Noi ci adontiamo della Religione, della virtù! cioè, ci vergogniamo di essere creati ad immagine di Dio, di essere stati redenti col suo sangue; noi arrossiamo di ciò che forma la gloria degli Apostoli, dei martiri, dei dottori, dei pontefici, dei confessori, delle vergini. Noi abbiamo vergogna di chiamare Dio nostro padre, di essere suoi figli, di lavorare alla nostra salute, di andare al cielo! Quale stupidaggine e follia! o codarda debolezza, che non merita né indulgenza, né perdono!

3. IL RISPETTO UMANO È UNO SCANDALO.

— Il rispetto umano è uno scandalo ingiurioso a Dio, perché ne abbatte il culto… Scandalo che facilmente si comunica, essendo gli uomini molto proclivi a dire ciò che odono…; a fare quello che vedono farsi dagli altri… Ma è soprattutto uno scandalo affliggente, dannosissimo nei ricchi, nei potenti, nei dotti.

4. CHE COSA VI È DI DISORDINATO NEL RISPETTO UMANO.

— Primo disordine del rispetto umano: distrugge l’amore di preferenza che dobbiamo a Dio, il che è un annientare tutta la religione. Sacro dovere di ogni persona è preferire Dio alla creatura; ora, il rispetto umano fa anteporre la creatura al Creatore; e da ciò appunto questo vizio prende il suo nome che è disonorante come lo stesso vizio. Perché, infatti, lo chiamiamo rispetto umano? certamente non per altro motivo, se non perché ci fa preferire la creatura in vece del Creatore. Da un lato mi comanda Iddio, dall’altro mi comanda il mondo; ed io per non dispiacere alla creatura, a lei obbedisco a scorno di Dio e a detrimento della mia salute; con disprezzo di Dio e dei miei più sacri doveri… Per piacere all’uomo, divengo ribelle a Dio. E allora, addio Religione… – Secondo disordine del rispetto umano: getta l’uomo in una specie di apostasia. Quante irriverenze nel luogo santo, per paura di comparire ipocrita o bigotto!… L’altare non diventa forse, per lo schiavo del rispetto umano, l’ara del Dio sconosciuto?… non è anzi da lui disprezzato, disonorato, rinnegato? Gli Ateniesi onoravano il vero Dio senza conoscerlo; costui conosce il vero Dio, e lo dimentica, lo vilipende… Terzo disordine del rispetto umano: rende inutili le più preziose grazie di Dio. Un tale, per esempio, sente in se desideri e disposizioni ad una vita più ordinata, ma il rispetto umano li soffoca e riduce all’impotenza… Vorrebbe un altro convertirsi, confessarsi, accostarsi alla santa Eucaristia: pregare, santificale le feste, essere in una parola, veramente e apertamente e sinceramente virtuoso e fedele Cristiano; ma il rispetto umano lo trattiene, lo arresta, l’inceppa, lo impietrisce… Si vorrebbe fare il bene e adempiere tutti i doveri di buon Cristiano, ma si vorrebbe che il mondo non se ne accorgesse… Si esce di chiesa, si parte dalla predica ben persuasi, ben convinti, e risolutamente determinati a fare quello che si è udito, ma ecco il rispetto umano che fa barriera insormontabile alle buone risoluzioni, manda a monte ogni anche ottimo provvedimento già preso… E così tutte le più elette grazie cadono vane sotto il peso di questa vigliacca debolezza prodotta dal rispetto umano…

5. DONDE VIENE IL RISPETTO UMANO E NECESSITÀ DI DISPREZZARLO.

— Il Vangelo, parlando dei progressi che faceva la dottrina di Gesù negli animi, dice che anche parecchi fra i primari e i maggiorenti dei Giudei credettero in Gesù Cristo, ma nota che non ne facevano professione esteriore, temendo che i farisei li scacciassero dalle sinagoghe; poiché stava loro più a cuore la lode degli uomini, che la gloria di Dio: — Ex principibus multi crediderunt in eum; sed propter pharisæos, non confìtebantur, ut e synagoga non eiicerentur. Dilexerunt enim gloriam nominimi magis quam gloriam Dei (IOANN. XII, 42-43). Ora tutti quelli che si lasciano guidare dal rispetto umano, non sono essi guidati da simili motivi?… O sì, questi sono la vera sorgente del rispetto umano!… Si temono le osservazioni, gli appunti, le critiche degli uomini!… Ora perché non abbiamo noi i sentimenti di S. Agostino e non diciamo con lui: « Fate pure di me quel giudizio che più vi garba; per me tutto il mio desiderio è che la mia coscienza non mi accusi innanzi a Dio (Senti de Augustino quidquid libet, sola me conscientia in oculis Dei non accuset – Contro, Secundin. 1. I, c. I ) » . – E necessità indeclinabile per il fedele, il calpestare il rispetto umano. « Bisogna credere col cuore per ottenere la giustificazione, scrive il grande Apostolo, ma per arrivare alla salvezza ci vuole la confessione della bocca » — Corde ereditar ad iustitiam, ore autem confessio fit ad salutem (Rom. X, 10); e al suo discepolo Timoteo inculcava che non si vergognasse di rendere testimonianza al Signore Gesù Cristo e non arrossisse di lui. Paolo, schiavo del medesimo Gesù; ma soffrisse con lui per l’Evangelo, secondo la forza che gliene veniva da Dio: — Noli erubescere testimonium Domini nostri, neque me vinctum eius; sed collabora Evangelio secundum virtutem Dei (II Tim., II, 8). Poi, parlando di se medesimo ai Galati poteva dire con la fronte alta: « Di chi cerco io l’approvazione? degli uomini o di Dio? Forse che mi studio di piacere agli uomini? Se piacessi ancora al mondo, non sarei servo di Dio? » — Modo hominibus suadeo; an Deo? An quæro hominibus piacere? Si adhuc hominibus placerem, Christi servus non essem (Gal. I , 10). – « No, dice altrove questo grande Apostolo, io non arrossisco del Vangelo » — Non erubesco Evangelium (Rom. I, 16); « e poco m’importa del giudizio che voi od altri facciate di me » — Mihi prò minimo est ut a vobis iudicer aut ab humano die (I Cor. IV, 3). Non meno chiaramente del discepolo, già aveva parlato il maestro, perché parole formali di Gesù Cristo sono le seguenti: « Se alcuno si vergognerà di me e della mia dottrina, il Figliuolo dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà circondato della sua maestà e di quella del Padre, e degli Angeli santi » — Qui me erubuerit, et meos sermones, huno Filius liominis erubescet, cura venerit in maiestate sua, et Patris, et sanctorum angelorum (Luc. IX, 26). E poi di nuovo: « Chi mi avrà rinnegato dinanzi agli uomini, sarà pure rinnegato da me in faccia al Padre mio che è nei cieli » — Qui negaverit me coram hominibus, negabo et ego eum coram Patre meo, qui in cælis est (MATTH. X, 33). Ascoltiamo dunque l’avviso d’Isaia e non spaventiamoci dell’obbrobrio e delle bestemmie degli uomini: — Nolite timere opprobrium hominum, et blasphemias eorum ne metuatis (ISAI. L I , 7).

6. FA UN ATTO DI CORAGGIO CHI VINCE IL RISPETTO UMANO. — « È gloria grande seguire il Signore, dice il Savio; da lui si avrà lunghezza di giorni » — Gloria magna est sequi Dominum: longitudo dierum assumetur ab eo (Eccli. XXIII, 38). « Perché non rinnegarono il Cristo, scrive S. Agostino, passarono da questo mondo al Padre celeste: confessandolo, meritarono la corona di vita, e la tengono per sempre (Quia Christum non negaverunt, transierunt de hoc mundo ad Patrem; confitendo, coronam promerentes, et vitam sine fine tenentes – In Eccli.) ». Che cosa fece mai di così grande, il buon ladrone, domanda S. Giovanni Crisostomo, di andare così presto in cielo? Volete voi che vi dica in due parole la sua virtù? Udite: mentre Pietro rinnegava Gesù Cristo ai piedi della croce, allora egli lo confessava pubblicamente su la croce. Il discepolo non ebbe coraggio di sopportare le minacce di una vile fantesca; ma il ladrone vedendo intorno a sé tutto il popolo che urlava, schiamazzava, bestemmiava contro il Cristo, non tenne in nessun conto tutto quel baccano; non si fermò alle umiliazioni presenti del crocifisso, ma veduto tutto cogli occhi della fede, non badando alle illusioni esteriori, calpestando ogni rispetto umano, riconosceva nel paziente il Signore dei cieli, e a Lui sottomettendo le facoltà dell’anima sua, ad alta voce e senza paura di essere burlato, esclamava: Signore, ricordatevi di me, giunto che sarete al vostro regno (Homil. de Cruce et latrone). E in ricompensa della sua viva fede, del suo coraggio nel confessarlo in faccia a tutta la folla, senza badare a rispetto umano, ebbe la dolce ventura di udirsi rivolgere dalla bocca medesima di Gesù Cristo quelle consolanti parole: « Oggi sarai con me in paradiso — Hodie mecum eris in paradiso (Luc. XXIII, 43). La forza, la grazia, la salute, la gloria, stanno nel disprezzo del rispetto umano… Chi si mette sotto i piedi il rispetto umano, è padrone di sé, del mondo, di tutte le creature, del cielo, di Dio medesimo… Il Cristiano coraggioso non arrossisce mai di Dio, né della sua religione… In questo coraggio sta la vera gloria… Esso salvò la Maddalena, il pubblicano, il prodigo, il buon ladrone. Se essi avessero dato ascolto al rispetto umano, sarebbero tutti perduti; lo disprezzarono, sono lodati da Gesù e resi gloriosi… I Santi, i più eccellenti personaggi di tutti i secoli, tali divennero perché, disprezzando il rispetto umano, camminarono diritti alla loro via… Imitiamoli… « Se noi soffriamo con Gesù, dice S. Paolo, regneremo con lui; se lo rinneghiamo, anch’Egli ci rinnegherà » — Si sustiuebiinus et conregnabimus; si negaverimus et ille negabit nos (II Tim. I I , 12).« Essi ebbero timore di ciò che non dovevano temere, dice il Profeta,e il Signore spezzerà le ossa di quelli che cercano di piacere agli uomini;furono coperti di confusione, perchè Iddio li ha disprezzati » — lllic trepidaverunt ubi non erat timor, Deus dissipavit ossa eorum qui hominibus placent; confusi sunt, quoniam Deus sprevit eos (Psalm. LII, 6-7). Eccoun triplice castigo per quelli che si lasciano guidare dal rispetto umano perincontrare il genio del mondo: 1° il rompimento delle ossa, cioè la perditadella vita, della felicità, della pace, della salute; 2° la confusione, l’ignominia,la perdita della gloria; 3° il disprezzo di Dio e la riprovazione.

SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMO 26: DOMINUS illuminatio mea et salus

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou

LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXVI

[1] Psalmus David, priusquam liniretur.

    Dominus illuminatio mea

et salus mea; quem timebo?

[2] Dominus protector vitæ meæ; a quo trepidabo?

[3] Dum appropiant super me nocentes, ut edant carnes meas,

[4] qui tribulant me inimici mei, ipsi infirmati sunt et ceciderunt.

[5] Si consistant adversum me castra, non timebit cor meum.

[6] Si exsurgat adversum me prælium, in hoc ego sperabo.

[7] Unam petii a Domino, hanc requiram, ut inhabitem in domo Domini omnibus diebus vitæ meæ,

[8] ut videam voluptatem Domini, et visitem templum ejus.

[9] Quoniam abscondit me in tabernaculo suo; in die malorum protexit me in abscondito tabernaculi sui.

[10] In petra exaltavit me, et nunc exaltavit caput meum super inimicos meos.

[11] Circuivi, et immolavi in tabernaculo ejus hostiam vociferationis; cantabo, et psalmum dicam Domino.

[12] Exaudi, Domine, vocem meam, qua clamavi ad te; miserere mei, et exaudi me.

[13] Tibi dixit cor meum, exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram.

[14] Ne avertas faciem tuam a me; ne declines in ira a servo tuo.

[15] Adjutor meus esto; ne derelinquas me, neque despicias me, Deus salutaris meus.

[16] Quoniam pater meus et mater mea dereliquerunt me; Dominus autem assumpsit me.

[17] Legem pone mihi, Domine, in via tua, et dirige me in semitam rectam, propter inimicos meos.

[18] Ne tradideris me in animas tribulantium me, quoniam insurrexerunt in me testes iniqui, et mentita est iniquitas sibi.

[19] Credo videre bona Domini in terra viventium.

[20] Expecta Dominum, viriliter age, et confortetur cor tuum, et sustine Dominum.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata 

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXVI.

Prima che Davide fosse unto, la seconda volta, solennemente in re stando ancora in esilio, ei compose questo salmo, in cui desidera il regno celeste, disprezzando sia prosperità, sia avversità temporali.

Salmo di David, prima che fosse unto.

1. Il Signore mia luce e mia salute: chi ho io da temere?

2. Il Signore difende la mia vita: chi potrà farmi tremare?

3. Nel mentre che i cattivi mi vengon sopra per divorar le mie carni:

4. Questi nemici miei, che mi affliggono, eglino stessi hanno inciampato, e sono caduti.

5. Quando io avrò contro di me degli eserciti attendati, il mio cuore non temerà.

6. Quando si verrà a battaglia contro di me, in questa io porrò mia speranza.

7. Una sola cosa ho domandato al Signore, questo io cercherò: che io possa abitare nella casa del Signore per tutti i giorni della mia vita;

8. Affine di vedere il gaudio del Signore, frequentando il suo tempio.

9. Imperocché egli mi ha ascoso nel suo tabernacolo; nel giorno delle sciagure mi pose al coperto nell’intimo del suo tabernacolo.

10. Sopra di un’alta pietra mi trasportò, e adesso ha innalzata la mia testa sopra dei miei nemici.

11. Starò intorno a lui, immolando sacrifizi nel suo tabernacolo al suon delle trombe; canterò e salmeggerò, lodando il Signore.

12. Esaudisci, o Signore, la voce mia colla quale ti ho invocato; abbi misericordia di me, ed esaudiscimi.

13. Con te parlò il cuor mio, gli occhi miei ti hanno cercato; la tua faccia cercherò io, o Signore.

14. Non rivolgere la tua faccia da me, non ritirarti per isdegno dal servo tuo.

15. Sii tu mio aiuto: non mi abbandonare, e non disprezzarmi, o Dio mio salvatore.

16. Perché il padre mio e la madre mia mi hanno abbandonato; ma il Signore si è preso cura di me.

17. Ponmi davanti, o Signore, la legge della tua vita; e per riguardo ai nemici miei guidami pel diritto sentiero.

18. Non abbandonarmi ai desiderii di coloro che mi perseguitano, dappoiché si son presentati contro di me dei testimoni falsi, e l’iniquità s’inventò delle menzogne.

19. Credo che io vedrò i beni del Signore nella terra dei vivi.

20. Aspetta il Signore, diportati virilmente, e prenda vigore il cuor tuo e aspetta pazientemente il Signore.

Sommario analitico

Davide prima della sua seconda consacrazione, nel fuggire alla persecuzione di Saul, condannato a condurre una vita errante, senza poter visitare il santo tabernacolo, e gemente nell’esilio, rappresenta ogni uomo giusto provato dalle tentazioni della vita e dalle persecuzioni del mondo, ritirato in spirito davanti al santo Tabernacolo, col desiderio di dimorarvi sempre e rianimato nella fede dalle promesse del Signore e dai beni invisibili della vita eterna. Malgrado tutti gli sforzi dei suoi nemici, egli si dichiara senza timori, perché egli possiede Dio (1):

(1) Il carattere dei giusti si manifesta qui in tutta la sua verità. Non si tratta qui della impassibilità rigida né della sfida superba lanciata al dolore dal giusto degli stoici, immortalati da Orazio. Qui ci sono le alternanze tra il coraggio e la paura, la debolezza e la forza, di un’anima che dubita nella speranza e che spera nel dubbio, pregando sempre senza cessare d’amare. Questa non è l’attitudine calma e fiera di una personalità esaltata, né dell’orgoglio umano che si erge da solo contro l’universo e si avvolge nel suo diritto come in un mantello, ma è il contegno di un figlio davanti a suo padre, che in un istante è intrepido davanti al pericolo da cui si sente minacciato, ed un istante dopo, gridando e tremando, quando il male diventa imminente, si stringe presto contro il suo protettore e lo invoca tra le lacrime:

I. – Come guida nei combattimenti, in cui viene in suo soccorso: – 1) rischiarando la sua intelligenza; – 2) fortificando la sua volontà (1); – 3)proteggendo tutte le potenze della sua anima (2); – 4) distruggendo i nemici che sono: a) spudorati e crudeli (3), b) numerosi e accaniti onde perderlo (4-6).

II. – Come asilo nel pericolo; Dio gli offre il suo tabernacolo, ove egli trova: – 1° un’abitazione stabile per tutti i giorni della sua vita (7); – 2° le delizie ineffabili nella visita del suo tempio (8); – 3° una protezione sicura contro tutti gli assalti dei nemici: a) Dio lo sottrae ai loro inseguimenti, b) lo protegge nel segreto del suo tabernacolo, c) lo eleva e lo rende superiore a tutti i loro sforzi (9, 10); – 4° un mezzo facile per rendere a Dio il culto che Gli è dovuto: a) frequentando il suo tempio e circondando i suoi altari, b) offrendogli vittime, c) cantando le sue lodi, d) componendo salmi in suo onore (11). –

III. Come remuneratore dopo la vittoria: – 1° nell’altra vita, mostrandosi a Lui faccia a faccia, cosa che Davide chiede: a) con le sue preghiere e le sue grida (12), b) con le affezioni e gli slanci del suo cuore, c) con lo zelo che egli mette nel ricercare Dio, d) con gli sguardi ardenti che rivolge al cielo (13). – 2° in questa vita, egli domanda a Dio: a) di dargli man forte contro i suoi nemici, perché Dio è sempre stato il suo Salvatore (15), e Dio si è dichiarato suo protettore quando veniva abbandonato da tutti (16); b) di dirigerlo nella via dei suoi comandamenti, dandogli la sua legge che: 1) gli impedirà di errare, 2) gli farà conoscere le trappole che gli tendono i suoi nemici (17), 3) lo difenderà contro tutte le menzogne e le loro calunnie (18); c) di fortificare il suo spirito ed il suo cuore: 1) con una fede perfetta nei beni futuri (19); 2) con una speranza ferma e paziente; 3) con una carità che porta ad atti eroici, alla pazienza nelle tribolazioni, all’attesa perseverante del Signore (20).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1- 6.

ff. 1-6. –  Ci sono tre grandi verità nei primi sei versetti di questo salmo. Dio è nostra luce, Egli è l’autore della nostra salvezza, Egli è il nostro unico protettore con il quale non abbiamo nulla da temere. Senza la luce di Dio, noi saremmo nelle tenebre; senza la salvezza che Egli ci ha meritato, noi saremmo tutti vittime della riprovazione eterna; senza la forza che Egli ci dà, noi cadremmo nel niente della natura e nel niente del peccato (Berthier). – Queste tre cose rendono un uomo intrepido, invincibile contro tutte le avversità: – che Dio lo illumini, perché egli veda ciò che è giusto; – che Dio lo guarisca e lo salvi, perché egli possa mettere in esecuzione ciò che ha conosciuto essere giusto; – che Dio sia il suo protettore, perché possa resistere a tutte le tentazioni (Ruffin). – « Il Signore è la mia luce e la mia salvezza, di cosa avrò paura? » Egli mi illumina affinché le tenebre spariscano, sicché io cammini saldo in piena luce: cosa temerò? Perché Dio non ci dà affatto una salvezza per cui altri possa sopraffarci; Egli non è una luce per cui altri possa avvolgerci nelle tenebre. Dio ci rischiara, noi siamo illuminati; Dio ci salva, noi siamo salvati; se dunque ci illumina e ci salva, è evidente che fuori da Lui non siamo che tenebre e debolezza (S. Agost.). – Quale invincibile fiducia deve dunque avere colui che sa dire: « Il Signore è protettore della mia vita, davanti a cosa mai tremerò? ». Un imperatore è protetto da uomini armati di scudo e non teme; un mortale è protetto da altri mortali e si sente in sicurezza; ed il mortale protetto da un Difensore immortale dovrebbe forse temere e tremare? – Ma quale baldanza, quale sicurezza non debba avere, comprendete bene, colui che dice: « Quando anche fossero accampate intorno a me delle armate, il mio cuore non tremerebbe! » Se i campi sono fortificati, sono essi mai più fortificati di Dio? « Quand’anche una guerra scoppiasse contro di me », chi mi muove guerra? Può essa togliere la mia speranza? Può togliermi ciò che da l’Onnipotente? Così come non si può vincere Colui che dà, così non mi si può togliere ciò che Egli mi dà. Se si può togliere il dono, si può vincere colui che dona (S. Agost.). – « Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? » (Rom. VIII, 31). – Non c’è che una parola da dire … « Io sono », e tutti i nostri nemici cadranno all’indietro.

II — 7-11.

ff. 7-11. –  L’unico desiderio, l’oggetto unico del Re-Profeta, è di abitare nella casa di Dio, di conversare con Dio, di gioire delle dolcezze inseparabili dal servizio di Dio. Egli non divide affatto le sue affezioni tra Dio e il mondo, tra Dio e le sue passioni; egli non riserva alcun giorno all’ambizione, ai piaceri, alle cure nell’aumentare la sua fortuna, le sue ricchezze, ma tutto è donato a Dio (Berthier). – L’unico desiderio del Cristiano, è la ricerca unica alla quale tutti devono tendere. C’è una sola cosa necessaria, e qual è questa unica cosa? … È abitare nella casa del Signore. In questa vita passeggera ci si serve del termine di « casa »; ma a propriamente parlare, non bisognerebbe servirsi se non del termine di « tenda ». La tenda conviene al viaggiatore, al soldato in campagna, a colui che combatte un nemico. Quando dunque noi abitiamo una tenda in questa vita, è manifesto che abbiamo un nemico da combattere. Noi abbiamo quindi quaggiù una tenda, ed in alto una casa (S. Agost.). – « … Tutti i giorni della mia vita », non dei giorni che potrebbero finire, ma dei giorni eterni. I giorni della vita presente sono piuttosto una morte che una vita, ma i giorni della vita eterna sono come gli anni di Dio che non finiranno mai, questi giorni non sono in realtà che uno stesso giorno che non tramonta mai (S. Agost.). – Nelle abitazioni terrene gli uomini cercano diverse gioie e piaceri vari; ognuno vuole abitare una casa nella quale nulla turbi la sua anima, ma ove al contrario tutto lo rallegri, e se le cose che lo affascinano vengono eliminate, vuole ad ogni costo cambiare casa … Ed il profeta ci dice cosa desidera fare in questa casa: … contemplare le gioie del Signore. Che il nostro cuore si elevi più in alto di tutte le cose ordinarie; che il nostro spirito si elevi più in alto di tutti i pensieri che ci sono abituali e che sono nati dai desideri del nostro corpo … Se arriva un pensiero che non ecceda la nostra intelligenza, dite: la non c’è il cielo; perché se ci fosse il cielo, io non sarei stato capace di concepire questa idea. È così che bisogna desiderare il bene, ma quale bene? Il bene per il quale tutte le cose sono buone, il bene dal quale deriva tutto ciò che è buono. Tale è la gioia del Signore che noi saremo ammessi a contemplare senza che ci circonda nessuna suggestione, senza che alcuna potenza si allontani da noi, senza che alcun nemico vi si opponga (S. Agost.). – Perché il Signore ci fa questa grazia nell’eternità? « … Perché nel giorno della sciagura Egli mi ha messo al riparo nel segreto della sua dimora ». La vita presente forma i giorni delle nostre avversità. Come Colui che mi ha guardato con misericordia mentre ero lontano da Lui, non mi renderà felice quando sarò presso di Lui? Colui che ha dato una tale dimostrazione di protezione al viaggiatore esiliato, lo abbandonerà forse al termine del viaggio? (S. Agost.). – Gli antichi favori di Dio ci danno il diritto di attenderne di nuovi. – Mentre agli uomini, dopo aver ricevuto un beneficio, non bisogna subito chiederne un altro, al fine di danneggiare il proprio credito e rendersi inopportuno; con Dio invece, noi possiamo dire in tutta verità, … Egli mi proteggerà, perché Egli mi ha già protetto. Dio aveva nascosto e protetto Davide nell’interno del suo tabernacolo, perché lo aveva sottratto al furore dei suoi nemici, ed aveva assicurata la sua anima contro tutti i danni ai quali questo santo re fosse esposto. Questo segreto del tabernacolo è ancora aperto a tutti i perseguitati e ai sofferenti. Nel tempo della tempesta, essi si ritirano nella presenza del Signore, e ricorsi alla preghiera, ne escono non solo consolati, ma pieni di forza contro tutti i nemici della salvezza (Berth., Applic. à l’Euch.). – Noi immoliamo un’ostia di giubilazione, un sacrificio di azione di grazia che ci è impossibile spiegare con le nostre parole; noi l’immoliamo, ma dove? Nel suo tabernacolo, nella Santa Chiesa. Cosa immoliamo dunque? Una gioia immensa ed inenarrabile, che nessuna parola, nessuna voce può descrivere. Tale è l’ostia di giubilazione. Ma dove la si cerca? Dove la si trova? Percorrendo ogni cosa. « Io ho percorso ogni cosa, dice il Profeta, ed ho immolato nel suo tabernacolo un’ostia di giubilazione ». Che il vostro spirito percorre la creazione intera, ed ogni parte della creazione vi griderà: è Dio che mi fatto! Ciò che vi affascina nell’opera, è vanto dell’operaio, e più percorrete l’universo in tutti i sensi, più questo esame manifesta ai vostri occhi la gloria del suo Autore. Voi considerate i cieli, essi sono le grandi opere di Dio, voi considerate la terra, è Dio che ha creato queste numerose semenze, questi germi di infinita varietà, questa moltitudine di animali. Percorrete i cieli e la terra, non omettete alcunché: da ogni luogo, tutte le cose proclamano davanti a voi il loro Autore, e le creature di tutte le specie sono come tante voci che lodano il Creatore. Ma chi potrebbe dipingere la creazione intera? Chi potrebbe farne l’elogio che merita? E se il linguaggio dell’uomo è così ridotto all’impotenza quando si tratta delle creature di Dio, cosa può nei riguardi del Creatore? La parola viene meno e all’uomo non resta che l’emozione della sua gioia (S. Agost.).

III. — 12-20.

ff. 12. – Nella preghiera, soprattutto nell’orazione, è il cuore che deve parlare, che deve dire, come si esprime il Re-Profeta. È l’occhio dell’anima che deve cercare. Questo linguaggio del cuore, è il solo degno di essere ascoltato da Dio. La preghiera vocale senza il grido del cuore, non è che un suono che batte l’aria; ma il grido del cuore, senza parole, è una vera preghiera, è il nodo del santo rapporto che l’uomo deve intrattenere con Dio (Berthier).

ff. 13. Se la nostra gioia fosse posta nel sole che rischiara questo mondo, non sarà il nostro cuore a dire: « Io ho cantato la vostra lode »; per questo ci sarebbero gli occhi del nostro corpo.A Chi il nostro cuore dice: « … io ho cercato il vostro volto », se non a Colui che possono vedere gli occhi del nostro cuore? Gli occhi del corpo ricercano la luce del sole, gli occhi del cuore la luce di Dio. Ma voi volete vedere questa luce che contemplano gli occhi del cuore, perché questa luce è Dio stesso; perché Dio è luce, dice San Giovanni, e in Lui non ci sono tenebre (Giov. I, 5). – Volete dunque vedere questa luce? Purificate l’occhio che può contemplarla; perché sono beati coloro il cui cuore è puro, perché essi vedranno Dio (Matt. V, 8). (S. Agost.).

ff. 14. –  C’è una sorta di progresso nelle espressioni di cui si serve il Profeta. Dio nasconde il suo volto quando cessa di irradiare i raggi della sua luce; Egli monta in collera quando non parla più al cuore dell’uomo, Egli lo abbandona quando lo lascia in preda alle sue passioni, Egli lo allontana e lo rigetta quando lo prova senza ritorno, quando lo toglie cioè da questo mondo per fargli provare le sue vendette nell’altra vita. I peccatori non si accorgono del loro stato deplorevole se non al momento di questa ultima catastrofe, e quando non c’è oramai più tempo per implorare la misericordia divina (Berthier). – Non c’è altra terra dei viventi che il cielo, non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; ed ancora, non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio il cui regno è eterno (Idem).

ff. 15. –  Noi abbiamo domandato a Dio solo una cosa, di abitare nella sua casa tutti i giorni della nostra vita, di contemplare le sue delizie, di vederlo faccia a faccia. Noi siamo sulla strada per arrivare a tanto; ma se Dio ci abbandona, la rovina ci assalirà lungo il cammino, e noi ci arresteremmo senza camminare più: Voi siete il mio aiuto, non mi abbandonate, etc. (S. Agost.).

ff. 16. –  Il Re-Profeta si fa un figlio di Dio, fa di Dio suo padre, fa di Dio sua madre. Dio è suo padre perché Egli lo ha creato, perché lo chiama, perché gli da dei comandi, perché lo dirige. Dio è sua madre perché lo tiene nelle sue braccia, lo nutre, lo allatta, lo porta nel suo seno. « Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, etc. ». I genitori mortali hanno generato dei figli, dei figli mortali sono succeduti ai genitori mortali, affinché coloro che li hanno generato morissero; Colui che mi ha creato non morirà affatto, ed io non mi separerò mai da Lui (S. Agost.). –È triste l’abbandono in cui i genitori lasciano l’anima dei loro figli nell’età in cui essi avrebbero tanto bisogno di essere illuminati, sostenuti, guidati meno ancora che dalle istruzioni, bensì con degli esempi viventi di religione, di pietà, di virtù. Quale gioia per noi aver ricevuto nel nostro Battesimo Dio come padre, e per madre la Chiesa Cattolica, nel seno della quale noi siamo stati posti, per apprendervi le verità della salvezza e le massime della vera pietà! – Abbiamo lo spirito ed il cuore di un bambino celeste, staccato dalla terra dalla sua nascita novella, animato dallo spirito di adozione divina, e da una docilità, da una sottomissione assoluta a Colui che è il Padre degli spiriti, affinché noi viviamo (Ebr. XII, 9). – È dall’abbandono totale da parte delle creature, che appare la fede dei servitori di Dio. È allora che l’uomo di fede esclama con S. Agostino: « … mi si tolgano le cose che Dio mi aveva dato, ma non mi si tolga Dio che me le aveva date ». È allora che Dio pure raccoglie i suoi servitori, e si dichiara Dio e Padre, il divino amico dei solitari e degli abbandonati.

ff. 17. – Il Profeta desidera essere condotto lungo le vie della giustizia, a causa dei suoi nemici. Il gran numero di nemici invisibili che incessantemente tendono insidie per farci uscire dal sentiero della giustizia che conduce dritto alla vita, è un motivo potente per chiedere più ardentemente a Dio la sua luce alfine di farci conoscere la sua volontà e la sua grazia per metterla in esecuzione.

ff. 18. – Come gli uomini sono liberati dalla volontà di coloro che li affliggono? « perché i testimoni dell’iniquità si sono levati contro di noi ». Siccome sono dei testimoni mendaci, se io sono legato alla loro volontà, io mentirò con essi e diverrò come uno di loro, non partecipando più alla vostra verità, ma alla loro menzogna. Al contrario, quando essi esercitano secondo volontà il loro furore contro di me, e si sforzano di ostacolare il mio cammino; se non mi abbandonate alla loro volontà e conseguentemente mi offrirò ai loro desideri, io resterò fermo, sarò nella vostra verità e l’iniquità avrà mentito a suo detrimento e non al mio (S. Agost.). – Testimoni ingiusti, sono una tentazione pericolosa da cui si può chiedere a Dio di essere preservati. Volendo perderci, questi testimoni di iniquità perdono se stessi, e la loro menzogna ricade su di loro.

ff. 19. –  È nei mali, nelle persecuzioni da cui il Re-Profeta è assediato, che si trovano i pegni certi che lo rassicurano, per un’altra vita, al possesso dei beni del Signore, per cui ha avuto una conoscenza chiara e distinta dei beni eterni che contempla come se avesse davanti agli occhi il cielo aperto; perché la sua ragione e la sua fede gli dicono dal fondo all’anima che questi mali, queste persecuzioni, sono contrarie ad ogni giustizia, dalla Provvidenza di Dio egli ebbe, per l’avvenire, un altro stato in cui la sua innocenza fu riconosciuta e la sua pazienza glorificata (S. Agost.). – Egli ritorna ancora alla sola cosa che ha domandato: dopo questo pericolo, dopo questi travagli, dopo queste difficoltà, agitato, affannato, sfinito tra le mani di quelli che lo perseguitano e lo affliggono, è fermo e pieno di sicurezza, perché il Signore lo ha preso in adozione, perché il Signore è suo aiuto, perché il Signore lo conduce, perché il Signore lo dirige; dopo l’esame di tutte le cose e di questo sacrificio di giubilo, dopo i trasporti della sua allegria, dei suoi gemiti nelle pene, infine respira ed esclama: « Io credo fermamente che vedrò i beni del Signore ». O beni deliziosi, immortali, incomparabili, eterni, immutabili! E quando vi vedrò, o beni del Signore? Io vi vedrò, ma non sarà in questa terra dei mortali, ma nella terra dei viventi (S. Agost.). – Non c’è altra terra dei viventi se non il cielo, così come non c’è altro libro dei viventi che il libro della predestinazione; e non c’è altro Dio dei viventi se non il vero Dio, il cui regno è eterno.

ff. 20. – Dio differisce ma non negherà il compiersi della sua promessa. « Attendere il Signore » … voi non attendete qualcuno che possa ingannare, né che possa ingannarsi, o che non saprà prendere, per darlo, ciò che ha promesso. Voi avete la promessa di colui che è Onnipotente, la promessa di Colui che è infallibile, la promessa di Colui che è verace. « … Attendo il Signore, agisco con coraggio ». A colui che lo insidia ha fatto perdere la pazienza e lo fatto diventare debole come una donna, facendogli perdere ogni vigore, « Attendo il Signore », e nell’aspettarlo, lo possederete, possederete cioè Colui che aspettate. Desiderate qualcos’altro se potete mai trovare qualcosa di più grande, di meglio, di più dolce! (S. Agost.).

I SERMONI DEL CURATO D’ARS -SUL MATRIMONIO

I SERMONI DEL CURATO D’ARS

[Discorsi di S. G. B. M. VIANNEY, curato d’Ars – Vol. I, Quarta ed. – Ed. Marietti, Torino-Roma, 1933]

Sul Matrimonio.

Quanto i Cristiani sarebbero felici, se avessero la sorte come questi due sposi fedeli che si recarono a pregare Gesù Cristo di assistere alle loro nozze per benedirle e per conceder loro le grazie necessarie alla loro santificazione! Ma no, pochissimi fanno quello che devono fare per impegnare Gesù Cristo a recarsi alle loro nozze per benedirle; all’opposto, sembra che si impieghino tutti i mezzi per impedirlo. Ah! quante persone dannate per non aver invitato Gesù Cristo alle loro nozze, quante persone che cominciano il loro inferno in questo mondo! Ah! quanti Cristiani che abbracciano questo stato colle stesse disposizioni dei pagani e forse son più colpevole! Diciamo, gemendo, che, di tutti i sacramenti non ve ne è alcun altro che sia tanto profanato. Sembra che non si riceva questo gran sacramento che per commettere un sacrilegio. Ah! se noi vediamo molti contrarre dei cattivi matrimoni, molti infelici, molti che colla maledizioni che si vomitano l’uno contro l’altro, veramente cominciano il loro inferno in questo mondo, non cerchiamone altra causa se non nella profanazione di questo sacramento. Ah! se di tutti i trenta matrimoni, ne occorressero tre soli che avessero ricevute tutte le grazie, sarebbe già molto. Ma che cosa ne conseguita da queste profanazioni, se non una generazione di riprovati? Mio Dio, possiamo noi pensarvi e non tremare, vedendo tante povere persone le quali non entrano in questo stato che per cadere nell’inferno? Qual è il mio disegno, M. F.? Eccolo. Dapprima di mostrare a coloro che hanno abbracciato questo stato, le colpe che vi hanno commesse, e poscia a coloro che pensano di abbracciarlo, le disposizioni che vi devono recare.

I. — Nessuno dubita che noi possiamo salvarci in tutti gli stati che Dio ha creati, ciascuno in quello che Dio ci ha destinato, se noi vi rechiamo le disposizioni che Dio domanda da noi: di guisa che, se noi ci perdiamo nel nostro stato, segno è che non l’abbiamo abbracciato con buone disposizioni. Ma è vero che ve ne sono i quali presentano maggiori difficoltà degli altri. Noi sappiamo qual è quello che ne presenta di maggiori, è quello del matrimonio; e tuttavolta noi vediamo che è quello che si riceve con più cattive disposizioni. Quando si vuol ricevere il sacramento della confermazione, si premette un ritiro, si procura di farsi bene istruire, per rendersi degni delle grazie che vi sono annesse; ma per quello del matrimonio, dal quale dipende ordinariamente la felicità o l’infelicità di colui che lo riceve, lontano dal prepararvisi con un ritiro o con qualche altra buona azione, sembra che non si saranno mai accumulati abbastanza peccati sopra peccati per riceverlo, sembra che non si avrà mai commesso tanto male per meritare la maledizione del buon Dio, affine di essere infelici per il volgere di tutta la vita preparandosi un inferno per l’eternità. Quando si vuol abbracciare lo stato ecclesiastico, od entrare in un monastero, o restare nel celibato, si consulta, si prega, si compiono delle buone opere, affine di domandare a Dio la grazia di conoscere la propria vocazione; benché nell’ordine religioso tutto converga a Dio. tutto ci allontani dal male, nonostante ciò, si prendono molte precauzioni; ma per il matrimonio, nel quale è così difficile il salvarsi, o per meglio dire, nel quale tanti si dannano, dove sono le preparazioni che si premettono per domandare a Dio la grazia di meritare il soccorso del cielo che ci è così necessario per potere santificarci? Quasi nessuno vi si prepara, o vi si prepara in un modo così debole che il cuore non vi ha alcuna parte. Quando un giovane od una giovane cominciano a voler pensare a collocarsi, prendono le messe dall’allontanarsi da Dio, abbandonando la religione, la preghiera, i sacramenti. Gli abbigliamenti ed i piaceri prendono il posto della religione, e i peccati più vergognosi prendono il posto dei sacramenti. Essi battono questa via fino al momento di contrarre il matrimonio, nel quale la maggior parte consumano tre sacrilegi in due o tre giorni; vo’ dire profanando il sacramento della penitenza, quello dell’Eucaristia e quello del matrimonio, se il prete è tanto infelice da amministrar loro i due primi; io dico almeno la maggior parte, se non di tutti. Il più gran numero di Cristiani, vi recano un cuore mille volte più corrotto dal vizio infame dell’impurità, che un gran numero di pagani non oserebbero di commettere. Una giovane che desidera impalmarsi con un giovane, non ha più alcuna riservatezza. Ah! ella abbandona il buon Dio, e il buon Dio alla sua volta la abbandona; ella si getta a corpo perduto in tutto ciò che è più infame. Ah! che possono essere e che possono diventare queste povere persone che ricevono il sacramento del matrimonio in un simile stato, e quanti di questi infelici non lo rivelano neppure in confessione? O mio Dio, con qual orrore il cielo può e deve riguardare tali matrimoni! Ma che avviene di queste persone infelici? Ah! lo scandalo d’una parrocchia ed una sorgente di sventure per i poveri figli che nasceranno da essi! Che cosa si ascolta in questa casa? Nient’altro, se non giuramenti, bestemmie, imprecazioni e maledizioni. Quella giovane credeva che se poteva avere quell’uomo, o quell’uomo quella giovane, nulla sarebbe loro mancato; ma ah! dopo aver fondata la famiglia, quale cangiamento, quante lagrime, quanti patimenti, quanti gemiti! Ma tutto ciò a nulla giova. La sventura li ha incolti, ed è necessario restarvi fino alla morte, è necessario vivere con una persona che il più spesso non si può né vedere né udire; diciamo meglio, essi cominciano il loro inferno in questo mondo per continuarlo per tutta l’eternità. Ah! che il numero di questi matrimoni infelici, è grande! Tuttavolta, tutto ciò proviene dalla profanazione di questo sacramento. Ah! se si ponesse mente a quello che si fa abbracciando il matrimonio, i doveri da adempire e le difficoltà che vi si incontreranno per salvarsi, o mio Dio, più savia sarebbe la loro condotta! Ma la sventura del gran numero, è che hanno già perduto la fede quando lo abbracciano. D’altra parte, il demonio nulla omette per renderli indegni delle grazie che Dio loro concederebbe se fossero ben preparati. Il demonio, non solamente spera di averli nel suo potere, ma che anche i figli che nasceranno da essi saranno le sue vittime. Oh! che coloro che Dio non chiama a questo stato sono felici! Oh! quali azioni di grazie devono rendere a Dio di preservarli da tanti pericoli di perdersi! senza contar che saranno più vicini a Dio in cielo, che tutte le loro azioni saranno più accettevoli a Dio, e che la loro vita sarà più dolce, e la loro eternità più felice. Mio Dio, chi potrà ben comprendere ciò? Ah! quasi nessuno, perché ciascuno segue, non la propria vocazione, ma la tendenza delle proprie passioni. – Tuttavia, per quanto sia difficile salvarsi nello stato del matrimonio, e che il più gran numero, senza porvi mente un sol momento, saranno dannati, coloro che Dio vi chiama possono salvarvisi, se hanno la ventura di recarvi le disposizioni che Dio domanda da essi; Egli loro concederà coi sacramenti suoi le grazie che loro sono promesse. Ciascuno deve entrare dove Dio lo chiama, e noi possiamo dire che il più gran numero dei Cristiani si perdono perché non seguono la loro vocazione, ossia non domandandola a Dio o rendendosi indegni di conoscerla colla loro cattiva vita. Per mostrarvi che si può salvarsi nel matrimonio, se è Dio che chiama, ascoltate quello che ci dice S. Francesco di Sales, il quale essendo in collegio, si intratteneva un giorno con uno dei suoi compagni intorno lo stato nel quale entrerebbero. S. Francesco gli disse: io credo che il buon Dio mi chiami ad essere prete, io vi trovo tanti mezzi di santificarmi e di guadagnare delle anime a Dio, che al solo pensarvi mi sento il cuore ripieno di gioia; quanto mi troverei felice, se potessi convertire dei peccatori a Dio! Per tutto il volgere dell’eternità, io li sentirei cantare le lodi di Dio, li vedrei in cielo. L’altro gli disse: Io credo che Dio mi chiami nello stato del matrimonio e che avrò dei figli e che ne formerò dei buoni Cristiani e che io medesimo mi santificherò. Tutti e due seguirono una vocazione diversa, perché l’uno fu prete e Vescovo, e l’altro abbracciò il matrimonio, tuttavolta tutti due sono santi. Colui che contrasse il matrimonio ebbe dei figli e delle figlie; uno dei figli fu arcivescovo, ed è stato santo; un secondo religioso; un altro, presidente in una camera, il quale fece della propria casa quasi un monastero. Si levava di letto ogni giorno alle quattro ore del mattino, a cinque ore recitava la preghiera con tutti i suoi domestici, li istruiva ogni giorno. Parecchie delle sue figlie furono religiose; di guisa che, dice S. Francesco di Sales, che tutti, in quella famiglia, furono modelli di virtù nel paese dove soggiornavano. Voi vedete che, benché sia molto difficile di salvarsi nello stato del matrimonio, coloro che vi sono chiamati da Dio, se vi recano delle buone disposizioni, possono sperare di santificarvisi. Ma trattiamo in modo più diretto quello che riguarda questo sacramento.

II — Se io domandassi ad un fanciullo che cos’è il sacramento del matrimonio, egli mi risponderebbe: è un sacramento istituito da nostro Signor Gesù Cristo e che conferisce le grazie necessarie per santificare coloro che abbracciano il matrimonio secondo le leggi della Chiesa e dello Stato. Ma quali sono le disposizioni per ricevere le grazie che Dio comunica con questo sacramento? Eccole:

1° Di essere sufficientemente istruito dei doveri del proprio stato e delle miserie che in esso si provano; 2° di essere in stato di grazia, vo’ dire di avere premessa una buona confessione di tutti i propri peccati, con un vivo desiderio di non più commetterli. Se mi domandate perché è necessario essere in istato di grazia per ricevere questo sacramento, io vi risponderò: 1° Perché è un sacramento dei vivi; è necessario adunque che l’anima nostra sia esente da peccati; 2° Non essendo in istato di grazia, si commette un sacrilegio, eccetto che non siasi sufficientemente istruito. Coloro che vogliono ricevere degnamente questo sacramento devono essere istruiti sufficientemente per conoscere i loro doveri, e per insegnare ai loro figli quello che devono fare per vivere cristianamente. Se una persona che contrae il matrimonio non sa che cos’è il sacramento che riceve, chi l’ha istituito, quali grazie ci conferisce, e quali sono le disposizioni che dobbiamo recarvi, egli è certo che commette un sacrilegio. Ah! quanti sacrilegi nel ricevere questo gran sacramento, e quanti che abbracciano questo stato senza neppure sapere i principali misteri; vo’ dire, quale delle tre Persone divine si è fatta uomo! Essi non saprebbero solamente rispondervi che è la seconda Persona che ha preso un corpo ed un’anima nel seno della Ss. Vergine per l’opera dello Spirito Santo, e che fu il 25 marzo; che il 25 dicembre questo Gesù è venuto al mondo. Quanti che non sanno che è nato come uomo e non come Dio, perché come Dio è da tutta l’eternità. Quanti che non sanno che è il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito il sacramento adorabile dell’Eucaristia, prendendo del pane, benedicendolo e cangiandolo nel suo corpo; e che poscia prese del vino e lo cangiò nel suo sangue, e che disse a’ suoi apostoli: “Tutte le volte che voi pronuncerete queste medesime parole, voi opererete lo stesso miracolo.„ Quanti che non sanno che fu il Giovedì santo che Gesù Cristo ha istituito i sacerdoti, dicendo loro queste parole: “Fate questo in memoria di me. Tutte le volte che voi pronuncerete le medesime parole, voi cangerete il pane nel mio corpo, il vino nel mio sangue.„ (I Cor. XI, 23-26). Forse alcuni ignorano il giorno che il buon Dio è morto, che è risuscitato e che è salito al cielo. Ciò vi meraviglia? Ah! ne occorrono più di due che non sanno quanto e come Dio ha sofferto, e come è morto; vo’ dire che non sanno che Dio ha sofferto ed è morto come uomo e non come Dio, perché come Dio non poteva né patire, né morire. Quanti che credono che le tre Persone della Ss. Trinità hanno sofferto e sono morte. Quanti non sanno che Gesù Cristo, come uomo, è più giovane della Ss. Vergine, e che, come Dio, è da tutta l’eternità! Quanti sarebbero stati bene impacciati, se, prima di maritarsi, si avesse loro domandato: Chi ha istituito i sacramenti, e quali sono gli effetti di ciascun sacramento in particolare, e quali sono le disposizioni che domanda ciascun sacramento? Quanti credono che è la Ss. Vergine e gli apostoli che hanno istituiti i sacramenti, e che non sanno veramente che è Gesù Cristo, e che Lui solo poteva istituirli e comunicar loro le grazie che vi riceviamo: vo’ dire, che il battesimo ci purifica dal peccato che noi rechiamo, nascendo, che è il primo sacramento che un Cristiano può ricevere, e che le acque per il battesimo sono state santificate quando S. Giovanni battezzò Gesù Cristo nel Giordano, che Gesù Cristo l’ha istituito, dicendo ai suoi apostoli: “Andate, istruite tutte le nazioni battezzandole nel nome del Padre, ecc. „ (Matth. XXVIII, 19). Quanti non sanno che sia lo Spirito Santo ch’essi ricevono nel sacramento della Confermazione, e che questo sacramento non può essere conferito che dai Vescovi, e che è necessario essere in istato di grazia per riceverlo! Quanti non sanno in qual momento essi ricevono il sacramento di Penitenza e non sanno che è quando si confessano e che loro si imparte l’assoluzione, e non tutte le volte che si confessano! Quanti non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo, il sangue e l’anima di nostro Signore Gesù Cristo, e non ricevono né gli angeli né i santi! Quanti non sanno far la differenza tra il sacramento dell’Eucaristia e gli altri, vale a dire, che non sanno che, nel sacramento dell’Eucaristia, essi ricevono il corpo adorabile e il sangue prezioso di Gesù Cristo, invece che negli altri non riceviamo che l’applicazione dei meriti del suo sangue prezioso! Quanti non sanno conoscere, quali sono i sacramenti dei vivi e i sacramenti dei morti, e perché si danno loro questi nomi; essi non sanno che il Battesimo, la Penitenza e qualche volta l’Estrema-Unzione, sono i sacramenti dei morti, perché ci restituiscono la vita della grazia che abbiamo perduta col peccato, e gli altri sono chiamati sacramenti dei vivi, perché è necessario che non abbiamo nessun peccato sopra la coscienza quando vogliamo riceverli. Quanti altri non sanno quello che ricevono quando si fanno le unzioni sopra i loro sensi, e quale grazia questo sacramento dell’Estrema Unzione conferisce agli ammalati che lo ricevono degnamente, vo’ dire che essi non sanno che questo sacramento li purifica da tutti i peccati che hanno commesso coi loro sensi. Finalmente quanti altri hanno ignorato la grazia che conferiva il sacramento del matrimonio! Quanti altri che non sanno che i sacramenti non hanno avuto il loro effetto che dopo la Pentecoste. Ah! quanti sacrilegi! ah! quante persone maritate miseramente perdute! Tuttavia se voi ignorate queste cose, voi potete essere certi che tutti i sacramenti che avete ricevuti sono, vorrei dire, dei sacrilegi. – Una seconda ragione che deve persuaderci a ben prepararsi per ricevere tutte le grazie che conferisce questo gran sacramento, è che vi sono molte miserie da sopportare. Quante povere mogli che sono costrette di passare la loro vita con dei mariti di cui gli uni sono irascibili, i quali un nulla li fa montar in collera; somiglievoli a leoni, essi sono sempre ai loro fianchi, sono sempre a contese e spesse volte le maltrattano; essi non possono vederle a mangiare. Esse muoiono di crepacuore; è ben raro che passino un giorno senza versare delle lagrime; altre hanno dei mariti che mangiano tutto quello che hanno nelle bettole, mentre che una povera moglie perisce di miseria coi suoi figli nella casa. Quello che io dico dei mariti, lo dico parimente delle mogli. Quanti mariti che hanno delle mogli che non dicono loro mai una parola con dolcezza, che li disprezzano, che trascurano tutto ciò che vi è nella casa, che non fanno che contendere da mane a sera. Voi sarete d’accordo con me che per soffrire tutto ciò senza lagnarsi, in modo da renderlo meritorio per il cielo, occorre una grazia straordinaria. Ora, se voi aveste ricevuto tutte le grazie che vi conferisce questo sacramento, voi ne avreste un tesoro infinito per il cielo; le grazie che Dio vi ha preparato per salvarvi, che ha annesso alla vostra vocazione, vi renderebbero ciò sopportabile senza mandare alcun lamento. Ma donde proviene che l’uomo non può tollerare i difetti che egli scopre nella propria moglie, e che la moglie maledice ad ogni istante il proprio marito perché è un ubbriacone? Gli è perché queste persone non hanno ricevuto le grazie del sacramento del matrimonio; esse non possono essere che infelici nel volgere della loro vita e dannate dopo la loro morte. Ma una più grave sventura è che i loro figli loro rassomigliano. Ah! chi potrà dire a virtù di parole lo stato deplorevole dei figli che nascono da tali matrimoni? Voi li vedete quasi vivere come le bestie. Dapprima, i genitori non hanno mai saputo la loro religione, quindi non possono insegnarla ai loro figli. Ah! dei figli che hanno dieci o undici anni, e non sanno non solamente la loro preghiera, né una parola della loro religione; essi non hanno che giuramenti e cattivi discorsi in bocca. Ah! quante persone maritate e quanti figli perduti! almeno se non fossero maritate, si sarebbero perdute sole! Come la profanazione di questo sacramento popola l’inferno! Ma, mi direte voi, che cosa bisogna fare per abbracciare santamente questo stato? — Eccolo. Ascoltatelo attentamente, fortunati se ne approfittate! È necessario che il vostro matrimonio non sia contratto al modo dei pagani. Ecco i matrimoni dei pagani. Quando vogliono collocarsi, gli uni prendono una donna per averne dei figli ai quali lasciare il loro nome e i loro beni; altri perché hanno bisogno di una compagna per aiutarli nelle sollecitudini della vita; questi per la bellezza e le attrattive, ma pochissimi per la virtù. Dopo ciò, si prendono le debite cautele da una parte e dall’altra, si stipula il contratto, e si celebra il matrimonio, che è accompagnato da qualche cerimonia religiosa al loro modo; si imbandisce un gran banchetto, e si lascia un libero freno ad ogni sorta di gioie e di eccessi. Ecco il modo col quale procedono i pagani, vo’ dire coloro che non hanno come noi la ventura di conoscere il vero Dio. Se i vostri matrimoni non hanno niente di meglio, state sicuri che voi avete profanato questo sacramento; e, dopo ciò, risolvetevi a passare la vostra eternità nell’inferno. Non è dunque veramente che lo spirito di pietà che forma il matrimonio cristiano: è necessario dunque farlo in nome di Gesù Cristo, nell’intendimento di piacere a Lui e di seguire la propria vocazione, proporsi il salvamento dell’anima propria e null’altro. Non è dunque né l’interesse, né il desiderio di seguire l’inclinazione del proprio cuore che deve muovere un Cristiano a contrarre il matrimonio; ma quello di seguire la voce di Dio che vi chiama in questo stato, di educare cristianamente i figliuoli che piacerà a Dio concedervi. Ma in un affare così importante, nulla si deve fare con precipitazione, né mai omettere di consultare i propri genitori, e nulla conchiudere senza il loro consentimento. I genitori, non occorre dirlo, non devono costringere i loro figli ad unirsi con persone che non amano, perché non possono essere che infelici l’uno e l’altra. È necessario sempre scegliere persone che abbiano della pietà: voi dovete preferirle, quand’anche avessero poche ricchezze, perché voi siete sicuri che Dio benedirà il vostro matrimonio; invece che per coloro che non hanno religione, i loro beni periranno in breve tempo. Non conviene fare come molte che impalmano un uomo ubbriacone e cattivo soggetto, dicendo che, quando sarà maritato si correggerà; è vero l’opposto, e non diventerà che più cattivo, e voi passerete la vostra, vita in una specie d’inferno. Ah! questi matrimoni sono numerosi È colla preghiera e colle buone opere che voi dovete domandare a Dio di farvi conoscere colui o colei che Dio vi destina. Si dice che affinché un matrimonio sia ben fatto, vo’ dire felice, è necessario sia fatto in cielo prima di esserlo sopra la terra. Dapprima i giovani che vogliono meritare le grazie del matrimonio che Dio prepara a coloro che sperano di santificarvisi, non devono parlarsi da soli né il giorno né la notte, senza la presenza dei loro genitori, e non permettersi mai la più piccola famigliarità, né la più piccola parola indecente, senza di che sono sicuri di allontanare Dio dalle loro nozze, e se Dio non vi assiste, sarà il demonio. Ah! non ne occorre uno sopra duecento che osservi ciò. Si può egualmente dire che non occorre un matrimonio sopra duecento che sia veramente tale e nel quale la pace e la religione vi regnino, in modo che si possa dire che è una casa del buon Dio. All’opposto, ne occorrono che si trascinano per tre o quattro anni nelle danze, nei balli, nelle commedie, nelle bettole, che passano i tre quarti delle loro notti soli, a permettersi tutto ciò che il demone dell’impurità può loro inspirare. Mio Dio! sono costoro cristiani che devono portare sotto il velo del sacramento un cuore puro e libero da ogni peccato? Ah! chi potrà contare il numero dei peccati dei quali è coperto il loro cuore e la loro anima imputridita? Ah! come poter sperare che il buon Dio potrà, onnipotente quale Egli è, benedire tali matrimoni di persone che vivono nella imparità più infame chi sa da quanti anni? che non recitano forse le preghiere né il mattino né la sera? che hanno abbandonato i sacramenti da parecchi anni, o, se li hanno frequentati, non l’hanno fatto che per profanarli? Ah! come pretendere che il sangue adorabile di Gesù Cristo possa discendere sopra queste nozze per santificarle, e rendere le pene del matrimonio dolci e meritorie per il cielo? Ah! quanti sacrilegi, e quante persone maritate che andranno ad ardere negli abissi! Mio Dio, come i Cristiani conoscono poco la loro sventura e la loro perdita eterna! Ah! essi non abbandoneranno i loro delitti infami dopo le loro nozze; sempre le stesse infamie, e sempre battendo la via dell’inferno, nel quale ben presto cadranno. No, non entriamo nel particolare degli orrori che si commettono nel matrimonio, tutto ciò fa morire d’orrore. Abbassiamo il velo, che non si alzerà che nel gran giorno della vendetta, nel quale vedremo tutte queste turpitudini senza temere di contaminare la nostra immaginazione. Gente maritata, non perdete mai di vista che tutto si vedrà nel giorno del giudizio; ma ciò che ecciterà la meraviglia di una infinità di persone, è che cristiani si sieno permessi infamie simili. Facciamo punto.

III. — Se voi ora mi domandate quali sono le condizioni richieste perché un matrimonio sia buono davanti a Dio e davanti agli uomini, ecco, due cose: che il matrimonio sia contratto secondo le leggi della Chiesa, senza di che il matrimonio sarebbe nullo, vo’ dire che le persone vivrebbero nel peccato; come due persone che convivono insieme senza maritarsi davanti alla Chiesa. La Chiesa ha promulgato le sue leggi, assistita, diretta dallo Spirito Santo. Se voi mi domandate che cosa sono gli sponsali: è la promessa che si fanno due persone d’impalmarsi. Dal momento che due persone si sono fidanzate, esse non devono restare nella stessa casa, senza commettere un grave peccato, per causa dei pericoli e delle tentazioni alle quali saranno esposte; perché il demonio tutto mette in opera per renderle indegne della benedizione del buon Dio che loro è promessa nel sacramento del matrimonio. – Per questo la Chiesa proibisce loro di abitare sotto il medesimo tetto nel tempo degli sponsali. Vi ho detto che non occorre sacramento per il quale si prendano tante precauzioni esterne, che si riceva con tanto apparato come quello del matrimonio. Dopo che il contratto è stipulato, per tre domeniche di seguito si pubblicano le persone che vogliono maritarsi, e ciò per due ragioni: la prima, per invitare i fedeli a pregare per loro, affinché Dio conceda loro le grazie che sono loro necessarie per abbracciare santamente questo stato. La seconda ragione, per scoprire gli impedimenti che potrebbero mettere ostacolo a questo matrimonio. I oasi nei quali la Chiesa proibisce il matrimonio si chiamano impedimenti; di questi impedimenti ve ne sono che rendono le nozze nulle, di guisa che persone che si fossero maritate con alcuno di questi impedimenti, e vedremo quali, non sarebbero maritate, la loro vita non sarebbe che una fornicazione continua. Ah! occorrono di questi infelici matrimoni, che fanno cadere le maledizioni del cielo con delle pene dovunque si trovano! Non occorre dire che la profanazione di questo sacramento e le colpe che si commettono nel matrimonio, non sieno la causa dei grandi mali coi quali Dio ci colpisce, e noi lo riconosceremo nel giorno del giudizio! – Noi diciamo dunque che vi sono degli impedimenti che si chiamano dirimenti; ecco quelli che si incontrano il più spesso. Il primo è la parentela, detta consanguineità, fino al quarto grado inclusivamente, vo’ dire che comprende il quarto grado e non il quinto; ciò si intende agevolmente. Quando si annuncia il matrimonio, se voi pensate che colui che lo pubblica non sappia ciò che i fidanzati gli nascondono, voi siete obbligati di manifestarlo a colui che l’ha pubblicato, altrimenti commettereste un grave peccato mortale, perché  ne occorrono molti che lo nascondono per quanto lo possono, per timore di domandare la dispensa e che costi loro qualche cosa. Il secondo, è l’affinità, cioè che un vedovo non può sposare i parenti della defunta sino al quarto grado, né la vedova i parenti del defunto. Il terzo è la parentela spirituale, cioè che non si può contrarre matrimonio col figlio che si è levato al fonte battesimale, né col padre, né colla madre di questo figlio. Il quarto è l’onestà pubblica, vale a dire che, quando una persona è stata fidanzata con una persona, ella non può maritarsi né colla madre, né colla figlia, né colla sorella della persona colla quale era stata fidanzata. Ecco gli impedimenti che i fedeli possono conoscere facilmente, e quando si pubblica un matrimonio che si conoscesse essere in alcuno di questi casi, si è obbligati di manifestarlo, per non commettere un peccato mortale, e si mette nel caso di essere scomunicato, cioè rimosso dal seno della Chiesa. Ne occorrono alcuni altri che sono meno comuni, alcuni che sono segreti e infamanti, come l’adulterio e l’omicidio; coloro che ne sono colpevoli devono avvertire il loro confessore. Le leggi della Chiesa che proibiscono questi matrimoni sono sapientissime, sono tutte state dettate dallo Spirito Santo. Vi è ancora il voto semplice di castità, di sei mesi, di un anno, che sono impedimenti impedienti. Tuttavolta la Chiesa concede delle dispense imponendo qualche limosina a coloro che le domandano, ma non dimenticate mai che tutte le dispense che si domandano, e nelle quali non si espongono le cose quali sono, nulla valgono. Il Santo Padre non concede che alla condizione che ciò che si espone sia vero; di guisa che se ciò che noi esponiamo non è vero, cioè se voi recate delle ragioni che non sussistono o le amplificate, le vostre dispense nulla valgono, quindi il vostro matrimonio è nullo; vale a dire che non siete maritati e che avete commesso un sacrilegio ricevendo il sacramento del matrimonio, come tutti i sacramenti che poscia ricevete. Ah! quanto è grande il numero di questi infelici, e che dormono tranquilli, mentre il demonio loro scava un inferno eterno! Voi non dovete dunque mai recare delle ragioni che non sussistono, e se i vostri pastori non le trovano di peso guardatevi dal pressarli, dicendo che voi egualmente vivrete insieme. Ah! quante persone maritate miseramente perdute. Ma, mi direte voi, in qual modo si deve passare il tempo degli sponsali? — Ecco: Questo tempo è un tempo sacro che si deve passare nel ritiro, nella preghiera e nel praticare ogni sorta di buone opere per meritare che Gesù Cristo vi conceda, come agli sposi di Cana in Galilea, la grazia di assistere alle vostre nozze per benedirvi, concedendovi i soccorsi necessari per potervi santificare. È cosa buona e spesse volte necessaria il premettere una confessione generale, sia per riparare le cattive che fossero state fatte nel corso della vita, sia per rendersi maggiormente degni di ricevere questo sacramento, perché le grazie vi sono copiose, in proporzione delle disposizioni che vi si recano. Ditemi, M. F., è codesto il modo col quale si passa un tempo così prezioso come quello degli sponsali? Ah! non prendete per modello i pagani, i quali neppur fanno tutto ciò che il più gran numero dei Cristiani dei giorni nostri si permettono! Questi infelici Cristiani non sono contenti di aver trascinato quasi tutta la loro vita o almeno una parte notevole nel delitto e nell’infamia più nera! Sembra che non siasi fatto abbastanza il primo giorno dei loro sponsali: le danze, i balli, le bettole o la carne, se è giorno di magro. Non contenti di commettere il male soli, quasi temessero di non irritare abbastanza la giusta collera di Dio sopra di essi, affinché invece di benedirli li maledica, saranno tre o cinque persone; vale a dire secondo i loro mezzi: coloro che hanno da spendere ne invitano un numero maggiore, e coloro che ne hanno meno ne invitano un numero minore; ma sempre in proporzione di quanto hanno. Ne occorrono forse che perderanno le loro anime, contrarranno dei debiti passando i tre quarti della notte, senza contare il giorno, nelle bettole, ad abbandonarsi ad ogni sorta di eccessi; una parte trascinandosi per le vie, e fors’anco la sposa. — Ma, mi direte voi, ciò non vi riguarda, non è il vostro denaro che noi spendiamo; di nulla vi siamo tenuti. — No, certamente il vostro denaro non mi riguarda, ma mi riguardano le anime vostre delle quali Dio mi ha dato l’incarico. Or bene, ecco il principio del santo ritiro dei giovani che si sono fidanzati; ecco la loro preparazione per ricevere il sacramento del matrimonio. Non è tutto; il demonio non è ancora contento. Dopo di aver trascorsi alcuni giorni nello stravizzo essi passeranno tutto il resto del tempo a correre le case per annunciare gli sponsali. In ciascuna casa, essi, commetteranno, forse, tre o quattro gravi peccati per gli abbracciamenti che fanno o che permettono. — Ma, mi direte voi, è il costume. — Ah! i vostri costumi sono quelli dei pagani; come avete seguito fino a quest’ora l’andazzo dei pagani, è necessario continuare! Non ostante quello che voi direte, ciò non impedirà che, quando comparirete al tribunale di Dio per rendervi conto della vostra sciagurata vita, tutti gli abbracciamenti che avrete dati e ricevuti in questo tempo degli sponsali, non sieno peccati e la maggior parte, peccati mortali. — Oh! io non ne credo nulla. — Voi non ne credete nulla? È perché i vostri occhi sono un po’ turbati; ma non vi inquietate, il grande giudice li illuminerà! Il tempo degli sponsali si passa in questa dissipazione o piuttosto in questa catena di peccati, senza contare di ciò che avviene tra le donne. Mio Dio, sono costoro Cristiani o pagani? Ah! io non ne so nulla; solo io so che sono delle povere anime che il demonio trascina e divora fino a che le precipiti nelle fiamme. Arriva il tempo del matrimonio, non mancano più che tre o quattro giorni; si presentano al tribunale della penitenza senza pentimento e senza neppure il desiderio di condursi meglio. La prova ne è ben chiara: essi corrono ai piaceri, alle stesse danze, agli eccessi nel mangiare e nel bere; essi fondano le famiglie abbandonandosi a tutto ciò che il demonio può loro inspirare il giorno delle loro nozze, e ancor peggio se lo possono. Essi hanno ricevuto questo gran sacramento; ah! io m’inganno, essi hanno commesso un orribile sacrilegio, e mettono il suggello alla loro riprovazione passando, forse, un giorno o due in stravizzi. – Mio Dio, qual cosa pensare di questi poveri Cristiani? Che sarà di loro? Ah! voi li avete già abbandonati, perché nulla hanno omesso per costringervi a maledirli e a riprovarli. Ma, mi direte voi, non è permesso lo stare allegri in quel giorno? — Sì, certamente, ma rallegrarsi nel Signore. Voi direte quello che vorrete, non lascerete di render conto fino dell’ultimo soldo speso inutilmente; voi potete ridervene, ma la cosa è quale ve la dico. Un giorno noi lo vedremo, badate che non sia troppo tardi per voi. — Tutto ciò è molto difficile da credere, perché se noi operassimo male, il buon Dio ci punirebbe; tuttavolta noi vediamo molti i quali si divertono e gli affari dei quali prosperano. — Tutto ciò, invece di essere un buon segno, è la più grande di tutte le sventure. Sapete voi perché il buon Dio si conduce in tal modo? È perché Egli è giusto. Egli vi ricompensa di tutto il bene che avete operato, affinché dopo la vostra morte, non abbia che a gettarvi nell’inferno. Ecco la ragione per la quale sembra che vi benedica nonostante tutti gli orrori che avete commesso nei vostri sponsali e nelle vostre nozze, senza contare che tutti i peccati che coloro che avete invitati hanno commessi saranno a voi imputati, senza che essi medesimi sieno innocenti. Ah! la morte farà scoprire dei peccati là dove molti credevano non esistessero punto. Che cosa dovrebbe fare un Cristiano per ricevere degnamente questo sacramento? Sarebbe di prepararvisi con tutto il suo cuore, d’avere premessa una buona confessione, e di aver passato santamente il giorno dei suoi sponsali; e, quello che avrebbe potuto spendere, distribuirlo ai poveri, per attrarre sopra di lui le divine benedizioni. Il giorno delle loro nozze, che si rechino di buon mattino alla chiesa per implorare il soccorso e i lumi dello Spirito Santo, ricevendo la benedizione nuziale. Che il sangue di Gesù Cristo fluisca sopra le loro anime. Il giorno nel quale si saranno impalmati lo passino nella presenza di Dio, pensando quale sciagura sarebbe se profanassero questo giorno così santo. Dopo il loro matrimonio, essi devono recarsi da un confessore per farsi istruire, per non perdersi senza saperlo, o piuttosto affinché possano condursi come veri figli di Dio. Ah! dove sono i Cristiani che si conducano in questo modo? Ah! dove sono i coniugi che saranno salvi? Quanti che andranno perduti! Di coloro che vi rechino buone disposizioni, è esiguo il numero. Che cosa inferire da ciò? Che la maggior parte dei Cristiani abbracciano il matrimonio senza domandare a Dio le grazie che sono loro necessarie, vi recano un cuore ed un’anima contaminata di mille e mille peccati, e profanano questo sacramento; ciò che è la sorgente di sventure in questo mondo e nell’altro. Avventurati i Cristiani i quali entrano in queste buone disposizioni e vi perseverano fino alla fine! È quello che io vi desidero…

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

Salmo 25: JUDICA ME, DOMINE, quoniam ego …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXV

[1] In finem. Psalmus David.

   Judica me, Domine, quoniam ego

in innocentia mea ingressus sum, et in Domino sperans non infirmabor.

[2] Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum.

[3] Quoniam misericordia tua ante oculos meos est, et complacui in veritate tua.

[4] Non sedi cum concilio vanitatis, et cum iniqua gerentibus non introibo.

[5] Odivi ecclesiam malignantium, et cum impiis non sedebo.

[6] Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine;

[7] ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua.

[8] Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ.

[9] Ne perdas cum impiis, Deus, animam meam, et cum viris sanguinum vitam meam;

[10] in quorum manibus iniquitates sunt, dextera eorum repleta est muneribus.

[11] Ego autem in innocentia mea ingressus sum; redime me, et miserere mei.

[12] Pes meus stetit in directo; in ecclesiis benedicam te, Domine.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXV.

L’argomento è il medesimo del salmo settimo: invocare Dio a testimonio della sua innocenza, e supplicarlo per la sua liberazione.

Per la fine, salmo di David.

1. Sii tu mio giudice, o Signore, perché io ho camminato nella mia innocenza; e sperando nel Signore, io non vacillerò.

2. Fa saggio di me, o Signore, e ponimi alla prova; purga col fuoco i miei affetti e il mio cuore.

3. Imperocché sta dinanzi ai miei occhi la tua misericordia, e mi compiaccio della tua Verità.

4. Non mi posi a sedere nell’adunanza di uomini vani, e non converserò con coloro che operano iniquamente.

5. Ho in odio la società dei maligni, e non mi porrò a sedere cogli empi.

6. Laverò le mani mie tra gli innocenti, e starò intorno al tuo altare, o Signore;

7. Affìn di udire le voci di laude e raccontare le tue meraviglie.

8. Signore, io ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo dove abita la tua gloria.

9. Non sperdere, o Dio, cogli empi l’anima mia, né con gli uomini sanguinarii la vita mia.

10. Nelle mani loro sta l’iniquità: la loro destra è ricolma di donativi.

11. Ma io ho camminato nella mia innocenza; salvami tu, ed abbi pietà di me.

12. I miei passi furon sempre nella diritta strada; te io benedirò, o Signore, nelle adunanze.

Sommario analitico

Davide, esposto nel suo esilio presso i Filistei alle calunnie di Saul e del suo seguito, che lo accusavano di alto tradimento e di essersi rifugiato presso gli idolatri, per abbandonare il culto del vero Dio per abbracciare il culto degli idoli, chiede a Dio di vendicarlo da queste ingiuste accuse e di richiamarlo nella sua patria, ove potrà rendere a Dio, nel suo tabernacolo, l’onore che Gli è dovuto. – In senso tropologico, è la preghiera che può fare qualunque giusto che soffre ingiustamente le persecuzioni dei malvagi. – L’uso che la Chiesa fa di questo salmo nella liturgia, mostra che esso racchiude delle importanti istruzioni per coloro che Gesù Cristo ha associato al suo sacerdozio.

I. – Egli si appella al giudizio di Dio verso Saul, come re, non avendo superiori in terra, e si appoggia:

1° su due buoni avvocati, la sua innocenza e la sua speranza in Dio (1);

2° sul modo con il quale Dio esegue il suo giudizio, in cui Egli prova, tenta, passa al crogiuolo i reni ed i cuori (2);

3° sulle qualità del suo giudizio: Egli è misericordioso, Egli è verace (3);

4° sulla bontà della sua causa, egli non si è seduto nell’assemblea della vanità e non frequenterà coloro che commettono l’iniquità (4,5).

II. – Egli promette a Dio la più grande riconoscenza e si offre interamente a Dio, suo liberatore, se fa trionfare la sua causa; egli offre il suo essere:

1° le sue mani, i suoi piedi (6);

2° le sue orecchie per ascoltare le sue lodi, la sua bocca per lodarlo (7),

3° i suoi occhi per contemplare lo splendore del suo tabernacolo, il suo cuore per amare la bellezza della casa di Dio, e tutte le sue membra per riposare nel luogo ove abita Dio (8).

III. – Egli scongiura Dio di liberarlo dalle persecuzioni di Saul (9) e ne riporta una duplice ragione:

1° la perversità dei suoi nemici (9, 10);

2° la sua virtù che consiste in – a) un’intenzione pura in tutte le azioni (11), – b) un grande zelo nel seguire il retto cammino, – c) una grande riconoscenza per i benefici che ha ricevuto da Dio (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1, 2. –  Colui che cammina nell’innocenza e nella semplicità di un cuore retto, si richiama volentieri a Dio, Giudice della sua condotta, quando si vede attaccato dalle calunnie degli uomini. – La testimonianza favorevole della coscienza, è un potente bastione contro tutti gli attacchi (Dug.). – Se metto la mia speranza in un uomo, forse lo vedrò un giorno condurre una via cattiva, allontanarsi dalle vie del bene che ha appreso o insegna nella Chiesa, e seguire un cammino che lo spirito del male gli avrà insegnato, e perché avrò messo la mia speranza in un uomo, venendo quest’uomo a cancellarsi, la mia speranza si cancellerà con lui, e venendo a cadere quest’uomo, la mia speranza cadrà con lui; ma poiché ho messo la mia speranza in Dio solo, io non sarò deluso (S. Agost.). – Nulla di più proprio nel far conoscere all’uomo il fondo del suo cuore, quando è nella prova, nella tribolazione, nella violenza e nella persecuzione. « Bruciate i miei reni ed il mio cuore, bruciate le mie potenze, bruciate i miei pensieri, per paura che io non pensi a qualcosa di male. Ma come brucerete i miei reni ed il mio cuore? Con il fuoco della tribolazione, con il fuoco della vostra carità, con il fuoco del vostro spirito » (S. Agost.).

ff. 3. –  « La vostra misericordia è davanti ai miei occhi, etc. ». Io non ho messo le mie compiacenze in un uomo, ma in Voi, dentro di me, ove penetrano i vostri sguardi. Io non mi inquieto se vado al di là ove penetrano gli sguardi degli uomini (S. Agost.). – Non si appoggia la nostra innocenza sui nostri sforzi, ma sulla misericordia divina, che deve essere sempre presente al nostro spirito. Non c’è che la verità di Dio nella quale noi possiamo riporre con sicurezza le nostre compiacenze; quel che si chiama verità nel mondo è troppo soggetta all’errore e all’incostanza. – Occorre amare la verità di Dio anche quando essa ci condanna.

ff. 4, 5. –  Quattro sono i caratteri che presentano la maggior parte di queste riunioni che la Scrittura chiama « mondo »: la vanità, l’iniquità, la malignità, l’empietà. È una peste, un’influenza, un’atmosfera, una pompa esteriore, una moda, un gusto, un incanto, un sistema insaziabile. Il suo potere sull’uomo è terribile, la sua presenza universale, le sue seduzioni incredibili. Noi viviamo in mezzo ad esso, lo respiriamo, agiamo sotto la sua influenza, siamo ingannati dalle sue apparenze, e senza accorgercene, adottiamo i suoi principi. – I dottori dell’iniquità danno lezioni pubbliche di libertinaggio, ed attaccano apertamente i grandi princìpi della Religione. Altri più sottili, tengono lezione senza dogmatizzare, non provano mai le loro massime, ma le imprimono senza che vi si pensi. Si deve aver paura in questa scuola, in queste riunioni, di tutto, dice Tertulliano, finanche dell’aria che è infettata dai cattivi discorsi, dalle massime anticristiane e corrotte (De Spect. XXVII). – Sedersi in queste assemblee di vanità, di iniquità, di malignità, di empietà, è prender parte ai sentimenti di coloro che vi sono seduti. Se voi non partecipate, benché presenti col corpo, voi non siete affatto seduti con essi; se voi partecipate, benché assenti col corpo, voi siete realmente seduti in queste assemblee. (S. Agost.). – Bisogna quindi separarsi interamente dal mondo? « Vi è permesso, dice ancora Tertulliano, vivere con il mondo, ma non di morire con esso. » – « Una cosa è la vita di società, altra cosa è la corruzione e la disciplina. Allietatevi con i vostri simili per società di natura, e potendo con quella di religione; ma che il peccato non stabilisca legami, che la dannazione non entri nei vostri rapporti. La natura deve essere comune ma non il crimine, la vita e non la morte; noi dobbiamo partecipare agli stessi beni, e non associarci agli stessi mali » (De idolatr. n. 14).

II. – 6-8.

ff. 6-8. – Tanto la compagina degli empi e dei malvagi è piena di cose dannose, tanto quella delle persone di virtù e di pieta è invece vantaggiosa. Niente è più potente nel portare al bene, che la frequentazione di persone virtuose (Dug.). – Voi lavate le vostre mani quando pensate alle vostre azioni con pietà ed innocenza sotto lo sguardo di Dio, perché sotto lo sguardo di Dio è posto l’altare dove è venuto il sacerdote che per primo si è offerto per noi. È l’altare del cielo; non c’è nessuno che abbracci questo altare che non abbia lavato le mani in compagnia degli innocenti. Quanto a questo altare visibile, ci sono molti che lo toccano, benché indegni, e Dio soffre per un tempo che i suoi misteri ricevano questo oltraggio (S. Agost.). – Tutte le volte che entriamo nel tempio materiale, nell’assemblea visibile dei fedeli, figura della loro invisibile unione con Dio nell’eternità, ci uniamo in spirito alla santa ed eterna Gerusalemme, ove è il tempio di Dio, dove sono riuniti i Santi purificati e glorificati che attendono pertanto nell’ultima resurrezione la loro perfetta glorificazione, e la venuta ultimato dei loro fratelli che mancano ancora nella loro santa società, e che Dio non cessa di radunare tutti i giorni (Bossuet, Elév. XVIII: VII Elév.). – Volete ornare qualcosa che sia degna delle vostre cure, ornate il tempio di Dio e dite con Davide: « Signore, io ho amato la bellezza e il decoro della vostra casa, e la gloria del luogo ove Voi abitate ». E come conclude? « Non perdete la vostra anima con gli empi », perché io ho amato i veri ornamenti e non mi sono lasciato sedurre da un vano splendore (Bossuet, Trait. de la Conc.). – Il fine di intendere i canti di lode, è il comprenderli: si tratta in effetti di intendere davanti a Dio, e non udire solo dei suoni che molti sentono e pochi comprendono. Quanti ci sono che ascoltano e sono sordi nei riguardi di Dio? Quanti hanno orecchie, ma non quelle di cui Gesù ha detto. « Chi ha orecchie per intendere, intenda »? (S. Agost.). – Ma cosa ci si deve proporre venendo in Chiesa: ascoltare e cantare le lodi di Dio; comprendere la parola di Dio, metterla in pratica e raccontare a se stessi le meraviglie di Dio (Dug.). – Il mondo canta le gioie del mondo, e noi cosa cantiamo dopo aver ricevuto il Dono celeste, se non le gioie eterne? Il mondo canta i suoi folli e criminali amori, e noi cosa cantiamo, se non ciò che amiamo? (Bossuet, Médit. LXV journ.). – La Chiesa è la casa di Dio, essa annovera ancora dei malvagi, ma la bellezza della casa di Dio è nei buoni, è nei santi; è la bellezza stessa della casa di Dio che io ho amato! Per sospirare poi la bellezza della vera casa di Dio, che è il cielo. Si ama attendendo allo splendore ed al bagliore delle case della terra, che sono le nostre Chiese, contribuendo con la propria persona o i propri beni a preparare gli altari, a decorare i luoghi santi (Dog.). – Quando si è donato a Dio tutta la propria anima con il bene, perché Egli l’accresca, ed il male perché lo distrugga, non è ancor troppo offrire ai templi, ove Egli si degna abitare realmente con noi fino alla consumazione dei secoli, e alla rappresentazioni materiali che noi ci facciamo di Lui e dei suoi Santi, tutto ciò che il genio delle arti può nobiliare, e tutto ciò che il seno inesauribile della terra produce di più raro e prezioso (L. Veuvill. Rome e Lor. I, 276.).

III. – 9-12.

ff. 9-12. –  Il rapporto con gli empi è così pericoloso che anche senza partecipare alle loro empietà, ci si può trovare coinvolti nei castighi che Dio commina loro (Dug.). –  È ugual crimine l’offrire o il ricevere dei regali per invogliare a commettere ingiustizie. – I regali non sono solo l’oro o l’argento o cose simili, ma anche mediante una lode si riceve un presente, e in quest’ultimo caso, il più vano di tutti; perché si è tesa la mano per ricevere l’attestato di una lingua estranea, e si è persa l’attestato della propria coscienza (S. Agost.). – Si può intendere l’innocenza in due maniere diverse. Noi diamo il nome di innocenza a questo allontanamento da ogni peccato che si fa con un atto razionale, con una vigilanza perseverante, con una meditazione profonda delle verità cristiane, che tagliano il vizio alla sua radice. Noi chiamiamo così innocente, lo stato di un’anima che non ha fatto ancora l’esperienza del male: felice stato che è privilegio dell’infanzia o delle cure più vigilanti. Così, per esempio, un bambino non conosce l’orgoglio, è estraneo ad ogni astuzia, ad ogni artificio. Ugualmente avviene per gli abitanti della campagna che, nella loro semplicità, ignorano le astuzie delle pratiche delle città e le frodi del negozio. Noi li chiamiamo innocenti, non perché si sono allontanati dal male con un atto di lor buona volontà, ma perché essi non hanno ancora né la conoscenza né l’esperienza del male. L’innocenza propriamente detta è quella che Davide protesta a Dio in questo salmo: « Quanto me, io ho camminato nell’innocenza » perché aveva allontanato dalla sua anima ogni peccato con una lunga pratica di virtù alla quale Dio promette in eredità la beatitudine (Ps. LXXXIII, 13): « Dio non priverà di beni coloro che camminano nell’innocenza » (S. Basilio, Hom. in Pr. Prov.). – Camminare nell’innocenza è un effetto grandissimo della Redenzione, ed una grazia della quale dobbiamo essere riconoscenti al Salvatore, più che dell’essere stati allontanati dal peccato. – Tutte le volte che ci siamo liberati da qualche afflizione, possiamo dare a questa grazia il nome di redenzione, perché l’abbiamo ottenuta, in effetti, a prezzo del sangue di Gesù Cristo, nostro Redentore. – Il piede della ragione si è tenuto nella via retta della verità senza deviare verso l’errore; il piede dell’affezione si è tenuto nella via retta della carità senza cadere nella vanità; il piede dell’azione si è tenuto nelle via retta della giustizia, senza deviare nelle vie dell’iniquità (Hug.). – Davide qui non fa menzione che di un solo piede, perché colui che ha spento nel suo cuore ogni desiderio dei godimenti del secolo, tiene già sospeso dalla terra il piede che poggiava quando amava ancora il mondo (S. Greg.). – Quale soggetto serio di riflessione per un Sacerdote che recita ogni giorno i sette ultimi versetti di questo salmo, durante il santo Sacrificio! Quale non debba essere l’innocenza di colui che sale tutti i giorni all’altare del Signore! Quale zelo non debba egli avere per la casa di Dio, quale non debba essere il suo allontanarsi dalla condotta dei peccatori! Quanto deve vegliare su se stesso per perseverare, con la grazia di Dio, nella giustizia; quanto deve temere di essere coinvolto nella sventura che minaccia gli empi!

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI-APOSTATI DI TORNO: S.S. PIO XI – “RERUM OMNIUM PERTUBATIONEM”

La lettera Enciclica che segue, è un breve panegirico di un grande santo dell’epoca moderna, S. Francesco di Sales, un santo che, lottando strenuamente contro gli eretici calvinisti, avrebbe gettato le basi per una riscossa religiosa di una Francia uscita dalle rovine materiali e morali e ferita mortalmente dalla rivoluzione massonica anticattolica del 1789. La sua profonda e viva spiritualità sarebbe poi maturata in una scuola spirituale con il de Berulle, l’Olier, l’Oratorio francese del 700, che annoverera’ Santi del calibro di S. Giovanni M. Vianney, S. Giovanni Eudes, S. Luigi Grignion de Montfort, S. Giovanni Bosco e tanti teologi, moralisti e mistici “partoriti” dal seminario parigino di S. Sulpizio. Il santo Padre Ratti, Pio XI, ne tesse qui le giuste lodi, additandolo a modello di vita spirituale per i sacerdoti ed i fedeli. In particolare sottolinea il dovere che il Santo Vescovo proponeva ai suoi seguaci nella fede e a tutti i Cattolici, di tendere alla perfezione della vita cristiana ed alla Santità, a tutti accessibile, che essa procura. Il Santo Padre vuol così lasciare intendere che lo studio e la pratica della teologia ascetica e mistica, come esposta da S. Francesco di Sales nelle sue opere più conosciute e giustamente da tutti lodate, si impone come mezzo di santità per tutti – ognuno nel suo stato di vita – e di salvezza eterna. Tendere alla perfezione cristiana è santità a tutti possibile, anzi indispensabile per ottenere l’eterna salvezza, e chi non aspira ad essa non ama né la propria anima, né Dio né il proprio simile, ed in eterno perirà. Qui non c’è spazio per il libertinaggio modernista ed il paganesimo imposto dalle logge massoniche attraverso la falsa chiesa del “novus ordo” e i satelliti finto-tradizionalisti, sempre più svelata e che mostra la sua vera identità di sinagoga di satana, infiltrata com’è da apostati, truffaldini prelati di ogni risma, usurpanti indegnamente cattedre e cariche ecclesiali e che sbandierano ipocritamente la misericordia per tutti i peccatori incalliti, senza pentimento e senza proposito di emendarsi e convertirsi, in realtà idea gnostica di “scintilla divina” che ritorna nell’Ensof, nel nulla universale (o se preferite “cabalistico”) dal quale proviene, senza che sia implicata la redenzione,  la vita illibata e non peccaminosa, ed escludendo per questo inferno o paradiso, la pena eterna per gli empi o la beatitudine senza fine per i buoni Cristiani. La gnosi soppianta la Dottrina cristiana, ecco il senso della misericordia satanica del “Novus Ordo”, contrapposta all’idea di vita nella santità, quindi vissuta in vista della salvezza, raggiungibile solo nella Chiesa Cattolica, quella “vera”, fondata e sostenuta da Gesù Cristo e contro la quale le immondezze del Novus Ordo e della kazaro-massoneria mondiale … non prævalebunt. Solo di passaggio segnaliamo la tremenda stoccata, che non ha bisogno di commento, per i “cani sciolti” sedevacantisti ed per i disobbedienti fallibilisti della loggia di Sion-Ecône, “ … che nella Chiesa di Cristo non si può neppure pensare un’autorità data senza legittimo mandato”. Infine l’idea a noi particolarmente cara e che abbiamo adottato per le nostre pubblicazioni: « … ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze precipuo vantaggio ritraessero tutti quei Cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. … Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità … », per cui San Francesco di Sales viene proclamato Dottore della Chiesa e Patrono degli scrittori cattolici; e noi altri, modestissimi difensori della dottrina e della Chiesa di Cristo, a lui guardiamo ed a lui ci ispiriamo, come modello di “martello degli eretici” e di perfezione cristiana e santità.

LETTERA ENCICLICA
RERUM OMNIUM PERTURBATIONEM
DI SUA SANTITA’
PIO XI
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI
ED AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE E COMUNIONE
CON LA SEDE APOSTOLICA


SU SAN FRANCESCO DI SALES



Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

Esaminando nella Nostra recente Enciclica lo scompiglio in cui si dibatte oggi il mondo, al fine di adottare l’opportuno rimedio a tanto male, ne scorgemmo la radice nell’anima stessa degli uomini, e ne vedemmo l’unica speranza di guarigione nel ricorso all’opera del divino Medico nostro Gesù Cristo per mezzo della santa Chiesa. Si tratta infatti d’imporre un freno alla smoderatezza delle cupidigie, prima origine delle guerre e delle contese, dissolvitrice non meno dei vincoli sociali che delle relazioni internazionali; di stornare dai beni transitori di quaggiù le mire degli individui per rivolgerle ai beni imperituri troppo trascurati dalla maggior parte degli uomini. Che se ognuno si proporrà di attenersi fedelmente al proprio dovere, subito si verificherà il miglioramento della società. E a questo tende appunto la Chiesa col suo Magistero e ministero: cioè ad istruire gli uomini con la predicazione delle verità divinamente rivelate e a santificarli con la copiosa infusione della grazia divina; argomentandosi in tal guisa di richiamare alla primitiva prosperità questa stessa società civile da lei un giorno plasmata secondo lo spirito cristiano, ogni qual volta la vede allontanarsi dal retto cammino. – E ad una tale opera di comune santificazione la Chiesa attende con la maggiore efficacia, quando, per benigno dono del Signore, può proporre all’imitazione dei fedeli or questo or quello dei suoi figli più cari, che riuscirono insigni nell’esercizio di tutte le virtù. E ciò fa secondo l’indole tutta sua propria, costituita com’è da Cristo suo Fondatore, santa in se stessa e sorgente di santità; mentre quanti si affidano alla guida del suo magistero debbono per volere di Dio tendere vigorosamente alla santità della vita. «Questa è la volontà di Dio», dice San Paolo, « la vostra santificazione» (1); e quale debba essere questa santificazione dichiarò lo stesso Signore: « Siate dunque perfetti com’è perfetto il Padre vostro celeste» (2). Né si creda già che l’invito sia rivolto solo ad alcune poche anime privilegiate, e che gli altri possano rimanersene contenti di un grado inferiore di virtù. Al contrario, come appare dal tenore delle parole, la legge è universale e non ammette eccezione; d’altra parte, quella moltitudine di anime di ogni condizione ed età, le quali come attesta la storia, toccarono l’apice della perfezione cristiana, sortirono le medesime debolezze della nostra natura e dovettero superare i medesimi pericoli. Tant’è vero, come dice ottimamente Sant’Agostino, che « Dio non comanda l’impossibile; ma quando comanda, avverte di fare ciò che si può e di domandare ciò che non si può » (3). – Orbene, Venerabili Fratelli, la solenne commemorazione, celebratasi l’anno passato, del terzo centenario dalla canonizzazione dei cinque grandi santi Ignazio di Loyola, Francesco Saverio, Filippo Neri, Teresa di Gesù ed Isidoro Agricoltore, giovò non poco a rinfervorare nei fedeli l’amore alla vita cristiana. Ed ora, ecco ricorrere con felice augurio il terzo centenario della nascita al cielo di un altro grande Santo, il quale rifulse non solo per l’eccellenza delle virtù da lui stesso esercitate, ma anche per la perizia nel guidare le anime nella scuola della santità. Intendiamo parlare di San Francesco di Sales, Vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa; il quale, come già quei luminari di perfezione e sapienza cristiana poc’anzi ricordati, parve inviato da Dio, per opporsi all’eresia della Riforma, origine di quell’apostasia della società dalla Chiesa i cui dolorosi e funesti effetti ogni animo onesto oggi deplora. Oltre a ciò, sembra che il Sales sia stato donato da Dio alla Chiesa per un intento particolare: per smentire cioè il pregiudizio, fin d’allora già in molti radicato e oggi non ancora estirpato, che la vera santità, quale viene proposta dalla Chiesa, o non si possa conseguire, o almeno sia così difficile raggiungerla da sorpassare la maggioranza dei fedeli ed essere riservata unicamente ad alcuni pochi magnanimi; che per di più sia impastoiata di tante noie e fastidi da non potersi affatto adattare a chi vive fuori del chiostro.  – Pertanto il venerato Nostro antecessore Benedetto XV, parlando di quei cinque Santi ed accennando alla prossima commemorazione della morte beata di San Francesco di Sales, manifestò il desiderio di parlarne di proposito in un’Enciclica al mondo intero. E Noi ben volentieri adempiamo a questo desiderio come ad una cara eredità ricevuta dal Nostro antecessore; spinti inoltre dalla speranza che i frutti delle feste poc’anzi celebrate vengano compiuti e coronati dai frutti di questa nuova commemorazione. – Chi studia attentamente la vita del Sales, troverà che, fin dai primi anni, egli fu modello da una santità non austera e cupa, ma amabile e accessibile a tutti, potendosi con tutta verità dire di lui: « La sua conversazione non ha nulla di amarezza, né il convivere con lui dà tedio, ma letizia e gioia» (4). Adorno di ogni virtù, brillava tuttavia per una dolcezza di animo così propria da poterla rettamente dire la sua virtù caratteristica; dolcezza però ben diversa da quell’amabilità artefatta che consiste tutta nella ricercatezza dei modi e nello sfoggio di un’affabilità cerimoniosa, e affatto aliena sia dall’apatìa, che di nulla si commuove, sia dalla timidità che non ardisce, anche quando bisogna, indignarsi. Tale virtù, germogliata nel cuore del Sales come frutto soavissimo della carità, nutrita in lui dallo spirito di compassione e di accondiscendenza, ne temprava con la sua dolcezza la gravità dell’aspetto e ne illeggiadriva la voce ed il gesto in modo da conciliargli presso tutti la più affettuosa riverenza. – Sono note la sua facilità nell’ammettere e l’amabilità nel ricevere ognuno, ma particolarmente i peccatori e gli apostati che gli affluivano in casa per riconciliarsi con Dio ed emendare la vita; le sue predilezioni per i poveri carcerati, che cercava di consolare con mille iniziative caritatevoli nelle frequenti sue visite; la grande indulgenza con la quale soleva trattare con i propri domestici, tollerandone con eroica loganimità le lentezze e le sbadataggini. La qual dolcezza d’animo non gli venne mai meno per variare o di persone o di tempi o di circostanze, ora prospere ora avverse; né mai gli eretici stessi, per quanto lo molestassero, ebbero a sperimentarlo meno affabile o meno accessibile. Quando, sacerdote da un anno appena, senza badare alle opposizioni del padre, si offerse spontaneamente per procurare la riconciliazione del Chiablese con la Chiesa e ben volentieri venne esaudito dal Granier, Vescovo di Ginevra, grande fu certo lo zelo che dimostrò, niuna fatica ricusando, niun pericolo fuggendo, nemmeno di morte; ma ad ottenere la conversione di tante migliaia di persone, meglio della sua grande dottrina e della sua vigorosa eloquenza, gli valse l’inalterata sua dolcezza nel compimento degli svariati uffici del sacro ministero. Solito ripetere quella sentenza memorabile, che « gli Apostoli non combattono se non con i patimenti, non trionfano se non con la morte», è difficile dire con qual vigore e costanza promuovesse la causa di Gesù Cristo nel Chiablese. Fu visto allora correre per valli profonde e arrampicarsi per gole scoscese allo scopo di portare a quei popoli il lume della fede ed il conforto della speranza cristiana; sfuggito, correr loro dietro chiamandoli a gran voce; respinto brutalmente, non darsi per vinto; minacciato, ritentare l’impresa; cacciato spesso dagli alberghi, passare le notti tra le nevi e a cielo scoperto; celebrare anche quando nessuno volesse intervenire; continuare la predica, anche quando gli uditori l’uno dopo l’altro se ne andavano quasi tutti, senza perdere mai nulla della sua serenità d’animo, dell’amabile sua carità verso gli ingrati; e con ciò finalmente espugnare la resistenza degli avversari più ostinati. – Errerebbe però chi si desse a credere che nel Sales fosse questo piuttosto privilegio di una natura prevenuta dalla grazia di Dio « con le benedizioni della dolcezza » come si legge di altre anime fortunate. Che anzi, Francesco, per la stessa sua complessione, fu di carattere vivo e pronto all’ira. Ma, propostosi come modello da imitare quel Gesù che aveva detto: « Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»(5), mediante la vigilanza continua e la violenza fatta a se stesso, seppe reprimere e frenare i moti dell’animo in modo tale da riuscire un vivo ritratto del Dio della pace e della dolcezza. E ciò viene confermato dalla testimonianza dei medici, i quali, come si legge, nel trattarne la salma per imbalsamarla, ne ritrovarono il fiele come impietrito e ridotto in minutissimi calcoli; dal quale portento giudicarono quanto violenti sforzi gli fosse dovuto costare il trattenere per cinquant’anni la sua naturale iracondia. Tanta dolcezza fu dunque nel Sales frutto di una grande forza d’animo, nutrita continuamente dal vigore della fede e dal fuoco della divina carità; sicché a lui si può applicare il motto della Sacra Scrittura: «Dal forte è uscita la dolcezza»(6).

Non è dunque a stupire se la dolcezza pastorale onde andava ornato e della quale, al dire del Crisostomo, « nulla è più violento » (7), godesse, nell’attirare i cuori, di quell’efficacia che Gesù Cristo promise ai mansueti: «Beati i mansueti perché essi possederanno la terra»(8). D’altra parte, quale fosse anche la fortezza d’animo in questo esemplare di mansuetudine, apparve chiaramente allorché gli toccò opporsi ai potenti per tutelare gli interessi della gloria di Dio, della dignità della Chiesa e della salute delle anime. Così quando dovette difendere l’immunità della giurisdizione ecclesiastica contro il Senato di Chambéry. Avendo ricevuto da esso una lettera con cui lo si minacciava di togliergli una parte delle rendite, non solo egli rispose conforme alla propria dignità all’inviato, ma non desistette dal chiedere riparazione all’ingiuria fattagli se non quando ebbe dal Senato piena soddisfazione. Con uguale fermezza d’animo sostenne lo sdegno del sovrano, presso il quale era stato accusato coi fratelli a torto; né meno vigorosamente resistette alle ingerenze degli ottimati quando si trattava di conferire benefizi ecclesiastici; parimenti, riuscito inutile ogni altro mezzo, condannò i contumaci che avevano ricusato di pagare le decime al Capitolo di Ginevra. – E così fu solito riprovare con evangelica libertà i vizi pubblici e smascherare l’ipocrisia, simulatrice di virtù e di pietà; e, benché rispettoso, quanto altri mai, verso i sovrani, giammai si piegò a lusingarne le passioni o ad accondiscendere alle loro smodate pretese. – Ed ora, Venerabili Fratelli, passiamo a dare uno sguardo al modo con il quale il Sales, per se stesso modello amabile di santità, mostrò agli altri, nei suoi scritti, la via sicura ed agevole alla perfezione cristiana, anche in questo imitatore di Gesù Cristo, il quale « cominciò ad operare e ad insegnare» (9). – Molte sono le opere che egli pubblicò con questo medesimo intento; ma tra esse vanno segnalati i due suoi libri più conosciuti: la Filoteae il Trattato dell’amor di Dio. Nel primo, il Sales, dopo aver messo in chiaro quanto la durezza, che atterrisce e scoraggia nell’esercizio delle virtù, sia aliena dalla pietà genuina, benché egli non privi questa della severità conveniente alla morigeratezza cristiana, si mette di proposito a dimostrare come la santità sia perfettamente conciliabile con ogni sorta di ufficio e di condizione della vita civile, e come in mezzo al mondo ciascuno possa comportarsi in modo confacente alla salvezza dell’anima, purché si mantenga immune dallo spirito mondano. – Pertanto da lui apprendiamo a fare quello che tutti comunemente fanno — eccettuata beninteso, la colpa — ma insieme a farlo — il che non tutti fanno — santamente e con l’intenzione appunto di piacere a Dio. Inoltre egli c’insegna ad osservare le convenienze, da lui chiamate leggiadro ornamento delle virtù; non a distruggere la natura, ma a vincerla, e a poco a poco levarci con agevole sforzo al cielo, a guisa delle colombe, se non ci è dato il volo dell’aquila; cioè a conseguire la santità della vita per la via comune, quando non siamo chiamati ad una perfezione straordinaria. – Sempre con stile dignitoso e scorrevole, ma altresì vario per ingegnosa acutezza di pensiero e grazia di dettato, onde più accetti e di più piacevole lettura riescono i suoi insegnamenti, dopo avere esposto come dobbiamo tenerci lontani dalla colpa, combattere le cattive inclinazioni e scansare le cose inutili e le nocive, passa a spiegare quali siano gli esercizi che nutrono lo spirito e quale il modo di tenere unita l’anima con Dio. Dopo di che indica la scelta di una particolare virtù da coltivare di proposito e costantemente, sino ad averla acquisita.  – Indi tratta delle singole virtù, della decenza, dei discorsi onesti e degli scorretti, dei divertimenti leciti e dei pericolosi, della fedeltà a Dio, dei doveri dei coniugati, delle vedove e delle vergini. Infine ci ammaestra a conoscere non meno che a vincere i pericoli, le tentazioni e le attrattive dei piaceri; e come ogni anno si abbia a rinnovare e a riaccendere il fervore dello spirito con i santi propositi. – Dio volesse che questo libro, il più perfetto nel suo genere, a giudizio dei suoi contemporanei, come fu una volta nelle mani di tutti, così ora fosse da tutti letto; allora sì che la pietà cristiana rifiorirebbe dappertutto e la Chiesa di Dio si rallegrerebbe nel vedere farsi comune tra i suoi figli la santità. – Di maggiore rilievo ed importanza è il Trattato dell’amor di Dio, nel quale il santo Dottore tratta quasi la storia dell’amore di Dio, esponendone le origini e i progressi, nonché le ragioni per cui comincia a raffreddarsi ed a languire, ed insegnando poi il modo di esercitare e progredire in esso. E quando se ne presenta l’occasione, egli spiega con chiarezza le questioni più difficili, quali intorno alla grazia efficace, alla predestinazione, alla vocazione alla fede; e non aridamente, ma, conforme al suo ingegno fecondo e pronto, adornando la trattazione con tanta piacevolezza ed insieme soavità di unzione, e illustrandola con tanta varietà di similitudini, di esempi e di citazioni, tolte per lo più dalla Sacra Scrittura, da sembrare che quanto egli scrive fiorisca, non meno che dalla sua mente, dal suo cuore e dalle sue più intime fibre. – I medesimi princìpi della vita spirituale, contenuti in questi due volumi, egli li volse a profitto delle anime e nella quotidiana cura e direzione spirituale e nelle sue mirabili Lettere. Gli stessi princìpi egli applicò nel governo delle Religiose della Visitazione, l’istituto da lui fondato che conserva ancora fedelmente il suo spirito. Infatti tutto, per così dire, spira moderazione e soavità in questa religiosa famiglia, la quale è destinata ad accogliere le vergini, le vedove e le donne deboli o inferme, o innanzi nell’età, nelle quali le forze del corpo non sono pari al fervore dello spirito. E così non è ivi costume di lunghe vigilie o salmodie, non asprezza di penitenze e di mortificazioni, ma soltanto la osservanza di regole tanto miti ed agevoli, che tutte le religiose, anche quelle di poca salute, possono facilmente osservarle. – Senonché tali agevolazioni e soavità di osservanza devono essere animate da tanto fuoco di amor di Dio, che le religiose, le quali si gloriano di essere figlie del Sales, vanno segnalate nella perfetta abnegazione di sé e nella più umile obbedienza, mettendo ogni studio non per apparenti ma per solide virtù, ed a morire a se stesse per vivere in Dio. – E in ciò chi non riconosce quella singolare unione di forza e di soavità, quale si ammira nel Santo Fondatore? – Pur tacendo di molti scritti del Sales, dai quali pure « la sua celeste dottrina, quasi fiume d’acqua viva, irrigando il campo della Chiesa… corse utilmente a salute del popolo di Dio » (10), non possiamo non citare il libro delle Controversie, nel quale, senza dubbio, si contiene « una piena dimostrazione della fede cattolica » (11). È noto, Venerabili Fratelli, in quali circostanze Francesco intraprese la missione nel Chiablese. Quando, come narra la storia, il Duca di Savoia concluse una tregua con i Bernesi e i Ginevrini sul finire dell’anno 1593, parve proprio che nulla avrebbe giovato a riconciliare con la Chiesa i popoli del Chiablese come lo spedire colà zelanti e dotti predicatori, perché con la persuasione li attirassero a poco a poco alla fede. E poiché colui che per primo si era recato in quella contrada aveva disertato il campo, o perché disperasse dell’emendazione degli eretici o perché li temesse, il Sales che, come si disse, si era offerto missionario al Vescovo di Ginevra, nel settembre del 1594 si mise in cammino, e a piedi, senza viveri e senza provvisioni, con la sola compagnia di suo cugino, dopo ripetuti digiuni e preghiere a Dio, da cui soltanto si riprometteva il felice esito dell’impresa, fece il suo ingresso nella terra degli eretici. Ma poiché questi schivavano le sue prediche, deliberò di confutare i loro errori con fogli volanti, da lui scritti fra una predica e l’altra, e disseminati in tante copie, che, passando di mano in mano, finissero con l’insinuarsi anche tra gli eretici. Questo lavoro di fogli volanti andò diminuendo e cessò del tutto quando gli abitanti cominciarono a frequentare in gran numero le prediche; i fogli che erano stati scritti di mano del santo Dottore, e che dopo la sua morte erano andati dispersi, vennero molto tempo dopo raccolti in volume ed offerti al nostro Predecessore Alessandro VII, il quale ebbe la sorte di ascrivere il Sales, fatti i debiti processi, prima fra i beati, poi tra i santi. Ora in queste Controversie, benché il santo Dottore si serva, con ogni larghezza del corredo polemico, diciamo così, dei secoli precedenti, tuttavia nel disputare ha un modo tutto suo proprio; e prima d’ogni altra cosa stabilisce che nella Chiesa di Cristo non si può neppure pensare un’autorità data senza legittimo mandato, del quale mancano totalmente i ministri del culto eretici; quindi, mostrati i loro errori intorno alla natura della Chiesa, definisce le note proprie della vera Chiesa e fa vedere che esse si riscontrano nella Chiesa Cattolica, ma non nella « riformata ». Poi spiega accuratamente le Regole della fede, e dimostra che esse sono violate dagli eretici, mentre presso di noi esse sono rigorosamente osservate; aggiunge infine speciali trattati, dei quali però ci rimangono solo le questioni sui Sacramenti e sul Purgatorio. E sono veramente ammirabili il copioso apparato di dottrina e gli argomenti sapientemente schierati come in falange, con cui egli investe gli avversari e svela le loro menzogne e le loro falsità, servendosi anche, assai garbatamente, di una coperta ironia. – Che se talvolta le sue parole sembrano alquanto forti, da esse però spira sempre, come gli stessi avversari ammettevano, quel soffio di carità, che era la virtù regolatrice di ogni sua disputa; giacché anche quando ai figli erranti rinfaccia la loro defezione dalla fede cattolica, si vede chiaramente come egli non ha altra mira che di aprirsi la strada per scongiurare più caldamente di ritornare alla stessa fede. E anche nel libro delle Controversie è facile riscontrare la stessa espansione dell’animo e quel medesimo spirito, del quale abbondano le opere che egli compose per aumentare la pietà. Lo stile poi è così elegante, così garbato, così efficace, che gli stessi ministri dell’eresia solevano mettere in guardia i loro seguaci perché non si lasciassero allettare e vincere dalle lusinghe del Vescovo di Ginevra. – Pertanto, Venerabili Fratelli, dopo questo saggio che abbiamo dato delle imprese e degli scritti di Francesco di Sales, non ci rimane che esortarvi a celebrare salutarmente la centenaria memoria di lui nelle vostre diocesi. Infatti, non vorremmo che tale solenne ricorrenza si riducesse ad una sterile commemorazione di cose passate o si restringesse a pochi giorni, ma desideriamo che nel corso di quest’anno sino al 28 dicembre, giorno in cui egli dalla terra volò al cielo, con la maggior cura possibile cerchiate di fare istruire i fedeli intorno alle virtù e agli insegnamenti del santo Dottore. – Sarà dunque, innanzi tutto, vostra cura di far conoscere al clero e al popolo a voi affidato, le cose che Noi vi abbiamo esposte e di spiegarle loro con ogni diligenza.  – Poiché il Nostro più vivo desiderio è che voi richiamiate i fedeli al dovere di praticare la santità propria dello stato di ciascuno, essendo purtroppo grande il numero di coloro che o non pensano mai all’eternità o trascurano del tutto quanto riguarda la salute dell’anima loro. Vi sono, infatti, taluni che, tutti immersi negli affari, d’altro non si curano che di accumular danaro, mentre lo spirito resta miseramente vuoto; altri, invece, tutti dediti a soddisfare le proprie passioni, cadono così in basso, da rendersi incapaci di gustare quanto trascende i sensi; altri, infine, si danno alla vita politica, ma così presi dal governo della cosa pubblica, dimenticano se stessi. Pertanto, Venerabili Fratelli, sull’esempio del Sales, adoperatevi a far bene intendere ai fedeli che la santità della vita non è un privilegio di pochi, a esclusione degli altri, ma che ad essa tutti sono chiamati, e che a tutti ne incombe l’obbligo; che l’acquisto delle virtù poi, sebbene non sia senza fatica — la quale trova, nondimeno, anche un meritato compenso nella consolazione dell’anima e nei conforti d’ogni genere che l’accompagnano — pure è reso a tutti possibile con l’aiuto della grazia divina, a nessuno negata. E in una maniera tutta speciale proponete all’imitazione dei fedeli la mansuetudine di Francesco; giacché questa virtù, che così bene ricorda ed esprime la benignità di Gesù Cristo, e ha tanta forza da legare gli animi, non condurrà facilmente, ove si diffonda fra gli uomini, a comporre tutte le differenze, pubbliche e private? – E non è forse da ripromettersi, dalla pratica di questa virtù, che a ragione può dirsi l’esterno ornamento della divina carità, perfetta pace e concordia nella famiglia e nella società stessa? E al cosiddetto apostolato, sia dei sacerdoti, come dei laici, non sarà forse aggiunta una forza potente per il miglioramento della società ove sia condotto con cristiana dolcezza? Vedete, dunque, quanto importi che il popolo cristiano volga la mente agli esempi santissimi di Francesco, se ne edifichi, e prenda gli insegnamenti di lui come regola di vita. A tal fine, appena può immaginarsi di quanto giovamento debbano riuscire i libri e gli opuscoli già ricordati, se saranno il più largamente possibile diffusi fra il popolo; giacché tali scritti, facili come sono ad intendersi e di gradita lettura, ecciteranno negli animi dei fedeli l’amore alla vera e solida pietà, amore che i sacerdoti riusciranno a coltivare con ottimo esito, ove essi sappiano convertire in succo e sangue la dottrina del Sales ed imitarne il soavissimo eloquio. Al qual proposito, Venerabili Fratelli, si narra che il nostro precedessore Clemente VIII già allora avesse preannunciato quanto mirabile giovamento avrebbero recato al popolo cristiano le parole e gli scritti di Francesco. Avendo, infatti, il Pontefice, circondato da Cardinali e altri dottissimi personaggi, esaminata la perizia nelle scienze sacre del Sales, eletto alla dignità episcopale, ne fu preso da tanta ammirazione, che, abbracciandolo con grande affetto, gli rivolse queste parole: «Va, o figlio, e bevi dell’acqua della tua cisterna e della sovrabbondanza del tuo pozzo; al di fuori si spandano le tue sorgenti e distribuisci per le piazze le tue acque » (12). E in verità, tale era la maniera tenuta da Francesco nei suoi sermoni, che tutta la sua predicazione era « nella dimostrazione dello spirito interiore e della virtù », come quella che, derivata dalla Sacra Scrittura e dai Padri, non solamente si alimentava del solido nutrimento d’una sana dottrina teologica, ma dalla dolcezza della carità era resa anche più gradita e soave. Così non è da meravigliarsi se, per opera sua, sia tornato alla Chiesa un numero così grande di eretici, e se, dietro il suo magistero e la sua guida, tanti fedeli, in questi ultimi tre secoli, siano pervenuti ad un alto grado di perfezione. – Ma vorremmo che da queste solenni ricorrenze precipuo vantaggio ritraessero tutti quei Cattolici, che con la pubblicazione o di giornali o di altri scritti illustrano, promuovono e difendono la cristiana dottrina. Ad essi è necessario, nelle discussioni, imitare e mantenere quel vigore, congiunto con moderazione e carità, tutto proprio di Francesco. Egli, infatti, con il suo esempio, insegna loro chiaramente la condotta da tenere. Innanzi tutto studino con somma diligenza e giungano, per quanto possono, a possedere la dottrina cattolica; si guardino dal venir meno alla verità, né, con il pretesto di evitare l’offesa degli avversari, la attenuino o la dissimulino; abbiano cura della stessa forma ed eleganza del dire, e si studino di esprimere i pensieri con la perspicuità e l’ornamento delle parole, in maniera che i lettori si dilettino della verità. Se si presenta il caso di combattere gli avversari, sappiano, sì, confutare gli errori e resistere alla improbità dei perversi, ma in modo da dare a conoscere di essere animati da rettitudine e soprattutto mossi dalla carità. E poiché non consta che il Sales sia stato dato a Patrono dei ricordati scrittori cattolici con pubblico e solenne documento di questa Apostolica Sede, Noi, cogliendo questa fausta occasione, di certa scienza e con matura deliberazione, con la Nostra apostolica autorità diamo o confermiamo, e dichiariamo, mediante questa Lettera Enciclica, San Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e Dottore della Chiesa, celeste Patrono di essi tutti, nonostante qualsiasi cosa in contrario. – Ora, Venerabili Fratelli, affinché queste solennità centenarie riescano più splendide e più fruttuose, conviene che ai vostri fedeli non manchi nessuna specie di pii impulsi perché onorino con la debita venerazione questo gran luminare della Chiesa, e con la sua intercessione, purificate le anime dai resti della colpa e corroborate alla mensa divina, s’indirizzino con forza e dolcezza insieme ad acquistare in breve tempo la santità. Procurate, quindi, che nelle vostre città vescovili e in ogni parrocchia delle vostre diocesi, nel corso di quest’anno fino al 28 dicembre, si celebri un triduo o una novena di sacre funzioni, con predicazione della divina parola, giacché importa soprattutto che il popolo sia bene istruito di tutte quelle verità che, con la guida del Sales, lo sollevino a più alta vita dello spirito. E sarà del pari vostro impegno far commemorare, negli altri nodi che vi sembreranno più opportuni, le imprese del Santo Vescovo. – Intanto, per aprire a bene delle anime il tesoro delle sante indulgenze a Noi affidato da Dio, concediamo, a quanti interverranno piamente alle funzioni suddette, l’indulgenza di sette anni e sette quarantene ogni giorno, e nel giorno ultimo o in qualsiasi altro che a ciascuno piacerà scegliere, l’indulgenza plenaria da lucrarsi alle solite condizioni. Ma, non volendo che restino senza qualche particolare dimostrazione del Nostro affetto né il monastero della Visitazione di Annecy, dove il Sales riposa — innanzi alle cui spoglie Noi avemmo già occasione di celebrare con immenso gaudio spirituale — né quello di Treviso dove si conserva il suo cuore, né le altre case delle religiose della Visitazione, concediamo che durante le funzioni mensili che esse celebreranno quest’anno in rendimento di grazie, e di più, ma parimenti per quest’anno solo, il giorno 28 del mese di dicembre, tutti coloro che visiteranno al modo solito le loro chiese, e, premessa la santa confessione e la comunione eucaristica, pregheranno secondo l’intenzione Nostra, guadagnino del pari l’indulgenza plenaria. – E voi, Venerabili Fratelli, esortate vivamente i fedeli che avete in cura, affinché preghino per Noi il santo Dottore: piaccia a Dio, poiché ha voluto che Noi prendessimo a reggere la sua Chiesa in tempi così difficili, che, con l’auspicio del Sales, il quale ebbe per la Sede Apostolica un amore ed una riverenza insigne, e difese anche mirabilmente i suoi diritti e la sua autorità nelle Controversie, felicemente avvenga che, quanti sono lontani dalla legge e dalla carità di Cristo, tutti tornando ai pascoli di vita eterna, Ci sia dato di abbracciarli nella comunione e nel bacio di pace. Intanto vi giunga, come pegno dei doni celesti e della Nostra paterna benevolenza, l’Apostolica Benedizione, che a voi, Venerabili Fratelli, e a tutto il clero e popolo vostro con ogni affetto impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 26 gennaio 1923, anno primo del Nostro Pontificato.

PIO XI

1 I Thess., IV, 3.

2 Matth., V, 48.

3 S. Aug., 1. De natura et gratia, c. 43, n. 50.

4 Sap., VIII, 16.

5 Matth., XI, 29.

6 Iudic., XIV, 14.

7 Hom. 58 in Gen.

8 Matth., V, 4.

9 Act., I, 1.

10 Litt. Ap. Pii IX d. 16 Nov. 1877.

11 Ibidem.

12 Proverb., V, 15, 16.

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA XI DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LXVII: 6-7; 36
Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ.
[Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]
Ps LXVII: 2
Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus.
[Sorga Iddio, e siano dispersi i suoi nemici: fuggano dal suo cospetto quanti lo odiano.]
Deus in loco sancto suo: Deus qui inhabitáre facit unánimes in domo: ipse dabit virtútem et fortitúdinem plebi suæ. [Dio abita nel luogo santo: Dio che fa abitare nella sua casa coloro che hanno lo stesso spirito: Egli darà al suo popolo virtú e potenza.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui, abundántia pietátis tuæ, et merita súpplicum excédis et vota: effúnde super nos misericórdiam tuam; ut dimíttas quæ consciéntia metuit, et adjícias quod orátio non præsúmit.
[O Dio onnipotente ed eterno che, per l’abbondanza della tua pietà, sopravanzi i meriti e i desideri di coloro che Ti invocano, effondi su di noi la tua misericordia, perdonando ciò che la coscienza teme e concedendo quanto la preghiera non osa sperare.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.
1 Cor XV: 1-10
“Fratres: Notum vobis fácio Evangélium, quod prædicávi vobis, quod et accepístis, in quo et statis, per quod et salvámini: qua ratione prædicáverim vobis, si tenétis, nisi frustra credidístis. Trádidi enim vobis in primis, quod et accépi: quóniam Christus mortuus est pro peccátis nostris secúndum Scriptúras: et quia sepúltus est, et quia resurréxit tértia die secúndum Scriptúras: et quia visus est Cephæ, et post hoc úndecim. Deinde visus est plus quam quingéntis frátribus simul, ex quibus multi manent usque adhuc, quidam autem dormiérunt. Deinde visus est Jacóbo, deinde Apóstolis ómnibus: novíssime autem ómnium tamquam abortívo, visus est et mihi. Ego enim sum mínimus Apostolórum, qui non sum dignus vocári Apóstolus, quóniam persecútus sum Ecclésiam Dei. Grátia autem Dei sum id quod sum, et grátia ejus in me vácua non fuit.”

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

LA RISURREZIONE DELLA CARNE

“Fratelli: Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti, e mediante il quale sarete salvi, se lo ritenete tal quale io ve l’ho annunciato, tranne che non abbiate creduto invano. Poiché in primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito, e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture; che apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta, dei quali molti vivono ancora, e alcuni sono morti. Più tardi appare a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. Finalmente, dopo tutti, come a un aborto, appare anche a me. Invero io sono l’ultimo degli Apostoli, indegno di portare il nome d’Apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per la grazia di Dio, però sono quel che sono; e la sua grazia in me non è rimasta infruttuosa.” (1 Cor. XV, 1,10).

L’ultima questione di grande importanza a cui risponde S. Paolo nella prima lettera ai Corinti è quella della risurrezione dei morti. Questo domma, stimato assurdo dai pagani, ripugnava a molti cristiani di Corinto, i quali avevano difficoltà ad ammetterlo. S. Paolo prova la risurrezione dei morti argomentando dalla risurrezione di Gesù Cristo, e dimostrando le assurde conseguenze che verrebbero dalla negazione di questa verità. L’epistola di quest’oggi contiene la prova della risurrezione di Gesù Cristo. Parliamo anche noi della risurrezione dei morti, la quale:.

1. È un punto fondamentale della dottrina cattolica,

2.  È basata sulla risurrezione di Gesù Cristo,

3. Avrà conseguenze diverse pei giusti e per i reprobi.

I.

Vi richiamo il Vangelo che vi ho annunziato, e che voi avete accolto, e nel quale siete perseveranti. Parole solenni con le quali S. Paolo si introduce a parlare della resurrezione dei morti. Per mezzo della fede nel Vangelo i Corinti perverranno all’eterna salvezza, se saranno costanti sino alla fine, e se crederanno nel Vangelo tal quale l’Apostolo l’ha predicato, senza togliere o travisare alcuna verità. Quei Corinti che non credono alla verità della risurrezione dei morti, credono invano. Al conseguimento dell’eterna salute a nulla giova credere le altre verità, se negano questa. La fede nella risurrezione dei morti è di grande efficacia nel sostenere il Cristiano in questa vita « Fiducia dei Cristiani è la risurrezione dei morti» (Tertull. De Resurr. carnis). Nella speranza della futura risurrezione i martiri trovano la forza di andar contro ai tormenti e alla morte. Se essi perdono, tanto volentieri la vita presente, è per la speranza di entrare nella vita futura. S. Ignazio martire che scongiura i Romani a non impedirgli il martirio, esclama: « È bello tramontare al mondo diretti a Dio per risorgere in Lui!» (ad Rom. 2). Senza l’immortalità dell’anima e la conseguente risurrezione del corpo, sarebbe irragionevole esporsi alla perdita della vita; bisognerebbe anzi cercar di prolungarla il più possibile. Le malattie, le privazioni, le fatiche, logorano questo nostro corpo continuamente; gli anni gli tolgono ogni vigore; la morte lo riduce in polvere. Chi può sottrarsi a un senso di grande tristezza e di noia della vita? Chi pensa alla risurrezione. Chi pensa che un giorno Gesù Cristo «trasformerà il nostro miserabile corpo, rendendolo conforme al suo corpo glorioso» (Filipp. III, 21). Chi pensa che questo stesso nostro corpo risorgerà immortale, e non sarà più soggetto alle debolezze e ai dolori. – Una delle più amare circostanze per l’uomo quaggiù, è la perdita dei suoi cari. Il dolore in quel momento è troppo giusto e legittimo. È impossibile sottrarsi alle lagrime. S. Ambrogio, parlando delle lagrime che aveva versato per la morte del fratello Satiro, osserva: «Ho pianto anch’io, si, è vero; ma pianse anche il Signore. Egli sopra un estraneo; io sopra un fratello» (De excessu. frat. sui. Sat. Lab. 1, 10). Ma al momentaneo tributo di lagrime, che pagano tutti, succede nei Cristiani un pensiero consolante: I nostri cari, partendosi da questo mondo, non ci lasciano, ma ci precedono. «Non vogliamo — scriveva l’Apostolo ai Tessalonicesi — che siate nell’ignoranza intorno a quelli che si sono addormentati, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza» (1 Tess. IV, 13). Se si sono addormentati, un giorno si sveglieranno. Quando Gesù, entrato nella casa di Giairo, vide gente che piangeva e ululava per la morte della figlia di questi, disse: «Perché v’affannate e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marc. V, 39). E, dette queste parole, la sveglia da quel breve sonno di morte. Quando s’apre la tomba per qualche persona amata la fede dice a ciascuno di noi: quella persona a te cara non è morta, ma dorme. I nostri parenti, i nostri amici, i nostri benefattori, dovunque abbiano avuto una sepoltura, non sono morti, ma dormono. Catene di monti, distese di mari divideranno i sepolcri d’una stessa famiglia; ma verrà il giorno in cui questi sepolcri si apriranno; i cadaveri riprenderanno nuova vita; e i beati riprenderanno in Dio quell’unione che la morte non ha potuto troncare che temporaneamente. –

II.

Che cosa aveva insegnato San Paolo ai Corinti? Udiamolo da lui: In primo luogo vi ho insegnato quello che anch’io appresi: che Cristo è morto per i nostri peccati, conforme alle Scritture; che fu seppellito e che risuscitò il terzo giorno, conforme alle Scritture. Il racconto della Resurrezione di Gesù Cristo, fatto dai Vangeli, contiene quanto è necessario per ottenere fede indiscussa sulla realtà della risurrezione di Lui. Lo stupore e il dolore delle pie donne che trovano vuoto il sepolcro. Il timore là cui erano state prese, tanto da mettersi a fuggire e da non aver parola, sulle prime, per narrare quanto avevano veduto; l’Angelo che mostra il luogo preciso ove giaceva Gesù, il quale non va più cercato tra i morti, perché è risuscitato; l’apparizione a Maria Maddalena, dicono abbastanza perché uno che non sia dominato da preconcetti debba credere alla verità della risurrezione di Gesù Cristo. Ma v’ha di più. Dopo che alla Maddalena Gesù apparve a Cefa, e poi agli undici. Dopo apparve a più di cinquecento fratelli in una sol volta… Più tardi apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli Apostoli. – È da notare che quando le pie donne annunciano agli Apostoli la risurrezione di Gesù Cristo, sono trattate da deliranti. Pietro entra nel sepolcro, vede i lenzuoli per terra, non trova più il corpo del Maestro, ne è meravigliato, ma non si decide ancora a credere alla risurrezione. La Maddalena annunzia agli Apostoli d’averlo visto risuscitato, d’aver parlato con Lui, « ed essi, avendo udito com’egli era vivo, e com’ella l’aveva visto, non credettero » (Marc. XVI, 11). È necessario che Gesù appaia a Pietro, appaia agli Apostoli e ai discepoli radunati insieme, e mostri loro le mani e il costato con le cicatrici gloriose, perché ogni dubbio sia tolto da loro. Davanti a prove così numerose e così palmari, anch’essi sono costretti a credere la risurrezione del divin Maestro, che predicheranno poi con una fermezza incrollabile. – Gli Apostoli danno principio alla predicazione insistendo sul fatto della risurrezione di Gesù Cristo. San Pietro rinfaccia ai Giudei: «Gesù di Nazaret… voi lo avete trafitto per mano d’empi, e ucciso… Dio l’ha risuscitato, avendo infranto i legami della morte» (Att. XXII-24) E questo si rinfacciava ai figli d’Israele pochi giorni dopo l’avvenimento; quando era facilissimo interrogare, controllare, vivendo ancora tutti o quasi tutti coloro a cui Gesù Cristo era apparso. E vediamo che i Giudei invece di fare obiezione alle parole di Pietro si compungono nei loro cuori, e gli domandano quel che han da fare. Non sappiamo se si possono desiderare prove più concludenti. Ne consegue che se risuscitò Gesù Cristo, risusciteranno anche i fedeli. Questi formano un sol corpo mistico con Lui. Gesù è il capo; e se il capo è risuscitato, non si spiega perché le membra debbano rimanere nel sepolcro. La risurrezione di Gesù Cristo ha introdotto un nuovo ordine di cose. Con Adamo era entrato nel mondo il dominio della morte. Con la risurrezione di Gesù Cristo questo dominio fu vinto. Egli lo ha vinto per sé e lo ha vinto per noi. E così «la morte del Figlio di Dio, che egli subì nella carne, distrusse in noi la duplice morte, quella dell’anima e quella del corpo, e la risurrezione della sua carne ci apportò la grazia della risurrezione spirituale e corporale » (S. Fulgonio Episcop. 17,16).

III

S. Paolo aggiunge che Gesù Cristo apparve anche a lui l’ultimo degli Apostoli. Tanto egli poi, l’ultimo degli Apostoli, già persecutore della Chiesa, a cui Gesù apparve sulla via di Damasco, quanto gli altri Apostoli, ai quali Gesù risorto apparve prima di salire al cielo, hanno sempre predicato la stessa cosa: la risurrezione di Gesù Cristo. «Cristo è risuscitato, primizia dei dormienti !» esclama più innanzi S. Paolo, con un grido come di vittoria (I. Cor. XV, 20). – Non si può parlar di primizia senza supporre il seguito della messe. Quando compare la primizia, la messe è garantita. Gesù Cristo risorge pel primo a vita immortale: primo per ordine di tempo, di dignità, di merito. Dopo di Lui, a suo tempo, quando Egli comparirà di nuovo su questa terra. resusciteranno tutti i giusti. – Anche i reprobi resusciteranno? La parola di Gesù Cristo non lascia dubbio alcuno. «Verrà un tempo — dice il Redentore — in cui tutti quelli che sono nei sepolcri udiranno la voce del Figliuolo di Dio, e usciranno fuori quelli che hanno fatto opere buone risorgendo per vivere: quelli poi che avranno fatto opere malvage, risorgendo per essere condannati» (Giov.V, 28-29). « La maniera della resurrezione sarà duplice. La prima è quella dei santi i quali, radunati con distintivo reale, al primo suono della tromba ricevono, con grande trionfo, il regno della beatitudine sotto Cristo, re eterno: la seconda è quella che assegna alla pena eterna gli empi assieme con i peccatori e con tutti gli increduli» (S. Zenone, L. 1, Tract. 16, 11). Il corpo dei giusti fu unito all’anima nel fare il bene; riceva, dunque, con essa il premio eterno. Il corpo dei cattivi cooperò con l’anima a fare il male: riceva con essa il meritato castigo. A ciascuno il suo. La società non è composta né esclusivamente di buoni, né esclusivamente di cattivi. Come in un campo frammischiata al buon grano si trova la zizzania, così, nella società, frammisti ai buoni si trovano i cattivi. E come al tempo della raccolta si lega la zizzania in fastelli per essere bruciata e il grano vien radunato nei granai, così succederà alla fine del mondo. Verranno gli Angeli e separeranno i cattivi dai giusti, «e getteranno quelli nella fornace di fuoco: ivi sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del loro Padre» (Matt. XIII, 42-43). È chiaro che un tal giorno infonda coraggio ai buoni che l’attendono come il giorno del trionfo finale, e rechi sgomento ai peccatori, che lo temono come il giorno della finale rovina. Questo timore sarebbe salutare, se servisse a trattenerli dal peccato, o meglio a farli uscire dallo stato di peccato. S. Agostino narra di sé stesso: « Né altro mi richiamava dal profondo abisso dei piaceri carnali, che il timor della morte e del giudizio avvenire: il qual timore,… non si partì mai dal mio petto » (Conf. L. 6, 16,). Se non ci dimenticheremo del giorno della risurrezione della carne, e del giudizio che vi avrà luogo, sarà facile la riforma di noi stessi. Chi teme quel giorno comincia a vegliare sulle proprie passioni, a guardarsi dall’avarizia, dall’impurità, dall’odio. Per vincer gli assalti del demonio comincia a mortificar se stesso con la custodia dei sensi. Le buone opere che prima gli erano pesanti diventeranno una necessità. I doveri del proprio stato gli saranno molto leggeri da compiere, e finirà per desiderare ciò che prima temeva: la seconda venuta di Cristo, nella speranza, di risalire con Lui in cielo a godere nel regno della gloria.

Graduale

Ps XXVII: 7 – 1
In Deo sperávit cor meum, et adjútus sum: et reflóruit caro mea, et ex voluntáte mea confitébor illi.
[Il mio cuore confidò in Dio e fui soccorso: e anche il mio corpo lo loda, cosí come ne esulta l’ànima mia.]

Alleluja

V. Ad te, Dómine, clamávi: Deus meus, ne síleas, ne discédas a me. Allelúja, allelúja [A Te, o Signore, io grido: Dio mio, non rimanere muto: non allontanarti da me.]

Ps LXXX: 2-3
Exsultáte Deo, adjutóri nostro, jubiláte Deo Jacob: súmite psalmum jucúndum cum cíthara. Allelúja.

[Esultate in Dio, nostro aiuto, innalzate lodi al Dio di Giacobbe: intonate il salmo festoso con la cetra. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Marcum.
R. Gloria tibi, Domine!
Marc VII:31-37
In illo témpore: Exiens Jesus de fínibus Tyri, venitper Sidónem ad mare Galilaeæ, inter médios fines Decapóleos. Et addúcunt ei surdum et mutum, et deprecabántur eum, ut impónat illi manum. Et apprehéndens eum de turba seórsum, misit dígitos suos in aurículas ejus: et éxspuens, tétigit linguam ejus: et suspíciens in coelum, ingémuit, et ait illi: Ephphetha, quod est adaperíre. Et statim apértæ sunt aures ejus, et solútum est vínculum linguæ ejus, et loquebátur recte. Et præcépit illis, ne cui dícerent. Quanto autem eis præcipiébat, tanto magis plus prædicábant: et eo ámplius admirabántur, dicéntes: Bene ómnia fecit: et surdos fecit audíre et mutos loqui.


Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXIX.

“In quel tempo Gesù, tornato dai confini di Tiro, andò por Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. E gli fu presentato un uomo sordo e mutolo, e lo supplicarono a imporgli la mano. Ed Egli, trattolo in disparte della folla, gli mise le sua dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi verso del cielo, sospirò e dissegli: Effeta, che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Ed Egli ordinò loro di non dir ciò a nessuno. Ma per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte lo cose: ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino!”

(Marc. VII, 31-37)

Il divin Salvatore, al principio del terzo anno della sua predicazione, aveva lasciato la Giudea per andarsene ai confini di Tiro e di Sidone; e colà, dietro l’umile e confidente preghiera d’una povera donna pagana, chiamata Cananea dal Vangelo, perché era discendente dalla stirpe dei Cananei, ne aveva guarita la figlia posseduta dal demonio. Il Salvatore avrebbe potuto prolungare il suo soggiorno in quel paese idolatra, ma i Giudei erano facili a scandalizzarsi: epperò se il Salvatore avesse più a lungo avuto commercio coi gentili, i Giudei si sarebbero levati contro di Lui, l’avrebbero accusato di mancare alla legge mosaica e l’avrebbero trattato come un prevaricatore. Gesù pertanto ritornò in Galilea E fu nel suo ritorno a quella regione, che operò il miracolo narratoci dal Vangelo di questa domenica, quello cioè della guarigione di un sordomuto.

1. Dice adunque il Vangelo di oggi: In quel tempo Gesù tornato dai confini di Tiro, andò per Sidone verso il mare di Galilea, traversando il territorio della Decapoli. Quivi gli fu presentato un uomo sordo e muto, e lo supplicarono di imporgli la mano. Le malattie che affliggono il corpo, o miei cari, sono come i segni delle malattie spirituali, che assai più gravemente travagliato le anime. E quell’infelice sordo-muto, che non può né udir la voce dei suoi simili, né esprimere i pensieri della sua mente e i sentimenti del suo cuore, è l’immagine di coloro, che sono sordi alla voce di Dio e muti quando trattasi di parlare a gloria di Dio e a bene delle anime. Ed oh quanto sono brutte e gravi queste malattie della sordità e del mutismo spirituale. Ed in vero la sordità del corpo è una infermità certamente penosa, poiché il farsi ripetere cento volte una cosa, esser di peso agli altri, esser privo della parola di Dio, dei canti della Chiesa, del suon delle musiche, dei concerti degli uccelli, e vivere come straniero alla società degli uomini, è senza dubbio una vita ben triste. Ma finalmente uno si avvezza, e l’abitudine di un male fa rassegnati a patirlo. E poi mentre la sordità nulla toglie al ben essere corporale, può essere molto utile alla salute dell’anima; imperocché il sordo non sente le bestemmie contro la Religione, le calunnie e le maldicenze contro il prossimo, e tutte quelle facezie non sempre buone, che alimentano le conversazioni mondane. Ma invece quanto più deplorevole è la sordità dell’anima! Per essa il peccatore, smarrito per i sentieri dell’iniquità, non ascolta più le ispirazioni di Dio, né i consigli di chi lo ama e lo vuole strappar dall’abisso; non sente più nulla; i giudizi di Dio non lo spaventano più, e se nell’ultima ora non viene un colpo inaspettato della grazia a destarlo da quel fatale assopimento, sen muore nell’impenitenza finale. Il furore dei traviati, dice il Santo re Davide, è simile a quello dell’aspide e del serpente che si rende sordo col turarsi le orecchie, e non vuol più sentire la voce del magico incantatore, che usa astuzia per incantarlo (Ps. LVII, 5, 6). E non è adunque una grave disgrazia l’essere colpiti dalla sordità spirituale? E non ci sarebbe qui tra di noi qualcuno già affetto da tale infermità! Che chiude le orecchie alla voce di Dio, a quella dei sacerdoti, dei genitori, de’ suoi superiori? Ah! per carità, mentre è ancor in tempo apra le sue orecchie ed obbedisca alla voce di chi vuole soltanto il suo bene; del resto gli potrebbe capitare la disgrazia di non intenderla più.Ma se è tanto grave la malattia della sordità spirituale, non lo è meno quella del mutismo. Ed in vero quando vedete un tale che è privo della favella, non ne sentite pietà? Senza dubbio, perché il muto è privo dell’organo più essenziale all’uomo, animale socievole, quello col quale esprime il suo pensiero e lo comunica ai suoi simili, e se col linguaggio convenzionale, che s’è inventato, si fa intendere da qualcuno, non è men vero che vive isolato in mezzo al mondo. Cosa ben triste anche questa! Eppure per essa quante colpe si schivano! Le calunnie, le maldicenze, le parole disoneste, le delazioni, le bugie, i motteggi, i discorsi contro la carità, per non dire di tanti altri, sono tutti peccati, che fa commettere la lingua.Ma per altra parte non sono minori quelli che produce il mutismo spirituale, per cui si compromette la propria coscienza in più modi. Per esempio: è un peccato il tacere del continuo le lodi del Signore e il non invocare di tanto intanto il suo aiuto col lasciare la recita delle preghiere del buon Cristiano. È un peccato il tacere, quando vedendo altri a commettere un’azione cattiva e noi avendo sopra di loro autorità non ci facciamo colle nostre riprensioni a giustamente sgridarli. È un peccato il tacere, quando potendo con la nostra parola difendere chi è attaccato dalla calunnia e dalla maldicenza, e salvare un innocente, rimuovere alcuno da un grave pericolo, preservarlo da una disgrazia, non lo facciamo. È un peccato il tacere, quando avendo la capacità di dare altrui un consiglio, che lo libera da un dubbio, che lo induce ad un’opera buona, noi lasciamo di dirglielo. È un peccato il tacere quando potendo insegnare qualche cosa buona ed utile a chi la ignora, non ci diamo pensiero di farlo. È un peccato tacere quando richiesti da qualche nostro offensore di perdono noi ci ostiniamo a negarlo, come è un peccato il non voler aprir bocca per riconciliarci con chi abbiamo offeso. Così quando taluno tacendo rifiuta di mostrarsi apertamente Cristiano in faccia a quelli, che si vantano di non essere tali, ei pecca, perché allora appunto bisognerebbe manifestare i sentimenti che si han nel cuore, avendo detto Gesù Cristo: Guai a chi arrossirà di confessarmi al cospetto degli uomini! E finalmente vi è ancora una specie di mutismo spirituale, più colpevole e pericoloso di tutti, ed è quello che si tiene in confessione, tacendo qualche colpa grave per un ingiusto timore, per una malintesa vergogna. Tacere volontariamente le colpe nel tribunale di penitenza è silenzio sacrilego. Si, in tutti questi casi, ed in altri ancora, il tacere è peccato, perché in tutti questi casi noi siamo obbligati dalla legge del Signore di parlare. Epperò quel Dio, che nel dì del giudizio ci giudicherà su ogni parola oziosa da noi profferita, ci giudicherà altresì del silenzio, che abbiamo tenuto allora che dovevamo parlare.Ecco adunque il nostro stretto dovere: tacere e parlare secondo che la carità verso Dio e verso il prossimo ci impone o di tacere o di parlare.Epperò studiamoci per una parte di amare e praticare anche più perfettamente il silenzio, stando più che possiamo ritirati dai convegni e dalle conversazioni, e non solamente da quelle colpevoli, in cui si tengono discorsi osceni, irreligiosi, di maldicenza, e si cantano canzoni sconce, ma anche da quelle che non servono ad altro che a dissipare il nostro spirito e ad allontanarlo dal pensiero di Dio. La ritiratezza, il raccoglimento ed il silenzio sono ornamenti vaghissimi per un Cristiano e a tutti riescono di utilità immensa per fuggire il peccato e farsi santi, giacché è nella tranquillità e nel silenzio che il Signore parla più intimamente ed efficacemente al Cristiano e più amorosamente lo trae a gustar le delizie del suo amore. Per altra parte poi, presentandosi l’occasione, pieni di santo zelo per la gloria di Dio e per il bene delle anime, non tralasciamo di parlare, anche allora che non abbiamo stretto obbligo, e così noi praticheremo con grande nostro vantaggio il precetto incluso in quelle parole dell’Arcangelo Raffaele a Tobia: È ben fatto di tener nascosti i segreti dei re, ossia tacere quando si deve; ma è cosa lodevole di rivelare ed annunziare le opere di Dio: Sacramentum regis nascondere honum est; opera autem Dei revelare et confiteri honorificum est (Tob. XII, 7).

2. Ci dice in seguito il Vangelo che Gesù tratto in disparte dalla folla quel sordo-muto, gli mise le sue dita nelle orecchie, e collo sputo toccò la sua lingua: e alzati gli occhi al cielo, sospirò, e dissegli: Ephpheta, parola che vuol dire: apritevi. E immediatamente se gli aprirono le orecchie, e si sciolse il nodo della sua lingua, e parlava distintamente. Or bene tutte queste particolarità, con cui Gesù Cristo accompagnò il miracolo della guarigione di questo sordo-muto, sono di tale importanza, che meritano di essere considerate ad una ad una.Gesù comincia dal trarre l’infelice in disparte fuori della turba. E qui impariamo subito che quando siamo per praticare delle opere buone, dobbiamo come nasconderci ed evitare gli sguardi altrui, fuorché in certe circostanze, in cui siamo in obbligo di edificare i nostri fratelli. Per certo nei doveri che sono imposti a tutti, sarebbe da biasimare chi si nascondesse per adempierli: ad esempio chi pe’ suoi natali, per il suo stato, per le sue doti o per la sua condizione potesse esercitare una salutare influenza sugli altri, e cercasse la solitudine per fare la sua Pasqua, ed anche per frequentare i sacramenti, sotto pretesto dell’umiltà e della modestia, questi intenderebbe male le sue obbligazioni; egli più di ogni altro deve dare buon esempio, poiché con la sua fedeltà al dovere cristiano può incoraggiare i deboli, e servire anche a ricondurre sul buon sentiero quei che sono sviati. Ma fuori di queste occasioni non cerchiamo mai la piena luce per compiere le buone opere. Avremmo a temere, che la nostra intenzione non avesse tutta la purezza, che domanda Iddio. Quando poi Gesù Cristo ebbe condotto in disparte il sordo-muto, gli mise dapprima le sue dita nelle orecchie: e a questo proposito il venerabil Beda dice: Le dita di Dio poste nelle orecchie di quel sordo sono i doni dello Spirito Santo, per mezzo dei quali Egli dispone i cuori, che sono nell’ignoranza d’ogni verità, a conoscere la scienza della salute. Quindi allorché vediamo un uomo finora impenitente ed indurato, divenir ad un tratto penitente e fedele, diciamo: « Qui v’ha il dito di Dio! » Ed il Salvatore in altro luogo dice, che pel dito di Dio vengono cacciati i demoni. Ma se è vero che per l’azione dello Spirito Santo il Salvatore sanò la sordità esteriore di quell’uomo, è altresì vero che vi ha aggiunto un’azione esteriore e sensibile; pose le dita nelle orecchie di quel sordo quasi per farci intendere, che se il peccatore non può esser guarito che per l’efficacia della grazia, Iddio non lascia però di servirsi sovente dell’opera degli uomini, e soprattutto di quella dei sacerdoti per compiere i prodigi di sua misericordia: epperò fortunati coloro, che ne ascoltano la predicazione ed i consigli con un cuor docile. – Mise poi il Salvatore della sua saliva sulla lingua del mutolo. E secondo l’insegnamento dello stesso venerabile Beda, la saliva figura la sapienza che deve slegare la lingua del peccatore ed inspirargli l’umile e salutare confessione delle sue colpe, ed insegnargli a pregare e cantare le lodi del Signore. Poscia Gesù, levando gli occhi al cielo, diede un sospiro, e disse: Ephpheta, che significa: Apritevi. Ed eccolo qui agire propriamente da Dio ed usare della suprema sua potenza. Apritevi: questo è il comando espresso dal suo sovrano potere. A questa parola nulla resiste, perciocché è la parola istessa, con la quale nella creazione del mondo diceva: Si faccia la luce, e la luce fu fatta. Epperò quando ebbe fatto quel comando le orecchie del sordo-muto si aprirono e si snodò la sua lingua per modo, che parlava distintamente. Così quando Iddio tocca con la sua grazia un povero peccatore, subito si aprono le orecchie del suo spirito ad intendere la voce di Lui, della coscienza, della Chiesa, anzi delle creature stesse, che lo invitano ad amare il Signore; e la sua lingua si snoda per lodare, ringraziare, e benedire in mille guise Colui, che con la sua destra onnipotente ha operato in lui quel grande mutamento. Voi vedete adunque come tutte le particolarità di questo miracolo non erano a caso, ma per dare a noi importanti ammaestramenti, e farci conoscere sopra tutto quanto sia difficile uscir dallo stato di peccato, e che per sottrarsi alla sua trista e lamentevole servitù vi vogliono molti sforzi, penitenti sospiri e fervorose preghiere.

3. Finalmente ci dice il Vangelo, che, operato il miracolo, Gesù, dandoci una grande lezione di umiltà, insegnandoci cioè a fuggire gli applausi e le lodi degli uomini, ordinò a tutti quelli che gli erano d’intorno a non dir nulla a nessuno.Ma quella gente nel comando di Gesù Cristo non vedendo altro che l’ammirabile modestia del benefattore, per quanto loro lo comandasse, tanto più lo celebravano, e tanto più ne restavano ammirati, e dicevano: Ha fatto bene tutte le cose, ha fatto che odano i sordi, e i muti favellino. Ecco, o miei cari, l’elogio più eloquente: Bene omnia fecit; ha fatto bene ogni cosa. Ora, perché Gesù fece bene ogni cosa? Perché lo scopo di tutte le azioni, dal principiar di sua vita sino al Calvario, fu la gloria di Dio e la santificazione degli uomini. Non cerco la mia gloria, Egli diceva, ma quella di Colui, che mi ha mandato (Ioan. V. 3.). Così noi faremo bene ogni cosa, quando agiremo in tutto per la gloria di Dio e per la santificazione dell’anima nostra ed altrui. Adempiamo adunque i nostri doveri, qualunque siano, con l’intenzione di piacere a Dio e di salvarci. Ma osserviamo infine che quel bene omnia fecit, che di Gesù Cristo ci dice il Vangelo, significa ancora che tutte le opere, cui Egli pose mano, furono da Lui compiute con tutta proprietà ed esattezza. E ciò Egli fece altresì per dare a noi un grande ammaestramento intorno al modo di compiere le nostre azioni. Intendiamolo bene adunque, o miei cari; non è necessario di fare cose strepitose, che chiamino l’altrui attenzione e attraggano gli altrui sguardi; quello che massimamente importa è applicarsi a far bene le cose più ordinarie. Quando perciò ci dedichiamo al santo esercizio dell’orazione, preghiamo con tutta l’anima nostra, sotto lo sguardo di Dio e col desiderio d’esser intesi; quando siamo al lavoro, adempiamo il nostro compito con coraggio ed energia, come se Dio in persona ce lo avesse affidato; quando pigliamo il nostro nutrimento, portiamo con ogni semplicità alle labbra il pane quotidiano, pensando a Dio che ce lo dà; quando gustiamo le dolcezze del sonno, ristoriamo le nostre forze sotto lo sguardo di Colui, che su di noi veglia notte e giorno. Insomma, qualunque sia la cosa che ci occupa, facciamola con purità d’intenzione e con esattezza di modo. E così anche noi avremo fatto bene ogni cosa.

 Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XXIX: 2-3
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me, nec delectásti inimícos meos super me: Dómine, clamávi ad te, et sanásti me.
[O Signore, Ti esalterò perché mi hai accolto e non hai permesso che i miei nemici ridessero di me: Ti ho invocato, o Signore, e Tu mi hai guarito.]

Secreta

Réspice, Dómine, quǽsumus, nostram propítius servitútem: ut, quod offérimus, sit tibi munus accéptum, et sit nostræ fragilitátis subsidium. [O Signore, Te ne preghiamo, guarda benigno al nostro servizio, affinché ciò che offriamo a Te sia gradito, e a noi sia di aiuto nella nostra fragilità.]

Communio

Prov III: 9-10
Hónora Dóminum de tua substántia, et de prímitus frugum tuárum: et implebúntur hórrea tua saturitáte, et vino torculária redundábunt.
[Onora il Signore con i tuoi beni e con l’offerta delle primizie dei tuoi frutti, allora i tuoi granai si riempiranno abbondantemente e gli strettoi ridonderanno di vino.]

Postcommunio  

 Orémus.
Sentiámus, quǽsumus, Dómine, tui perceptióne sacraménti, subsídium mentis et córporis: ut, in utróque salváti, cæléstis remédii plenitúdine gloriémur.
[Fa, o Signore, Te ne preghiamo, che, mediante la partecipazione al tuo sacramento, noi sperimentiamo l’aiuto per l’ànima e per il corpo, affinché, salvi nell’una e nell’altro, ci gloriamo della pienezza del celeste rimedio.]

Per l’odinario vedi:

https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/