DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me.
[O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine.
[Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]

Oratio

Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre.
[Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.

Omelia I

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,

IL TIMOR DI DIO

“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà eh siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).

Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:

1 Ci fa evitare il peccato,

2 Ci rende diffidenti di noi,

3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.

1.

Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti, e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).«Chi teme Dio rientra in se stesso» ((4) Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Grisos. Serm,. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.

2.

Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente, certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori, che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).

3.

Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda.Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).

Graduale 

Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra!
[Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja
[Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]

Alleluja

Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja

Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja.  [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntiasancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXXVII.

 “In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincera, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te, e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano, e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio” (Luc., XIX, 41-46).

Sei giorni prima della sua morte il nostro divin Redentore entrava in Gerusalemme quale re in trionfo, accompagnato da’ suoi discepoli e da una moltitudine immensa di gente, che pur vi accorreva per la vicina solennità della Pasqua. Gli uni stendevano le proprie vesti sul passaggio di Lui, altri tagliavano rami dagli alberi e ne coprivano la strada, e l’aria risuonava di lietissimi cantici ad onore di Gesù, poiché tutta quella turba, ricordando i prodigi, ch’Egli aveva operato, ad alta voce andava ripetendo: Benedetto il Re, che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli. Ora, in vista di quel trasporto di gioia, in vista di quelle acclamazioni che cosa faceva Gesù? Ce lo dice il Vangelo di questa mattina. Ascoltate.

1. In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di essa. Sì, o miei cari, ben diversamente da quello che avrebbe fatto un qualche gran capitano, che avesse dovuta far l’entrata trionfale in qualche città, Gesù in tale circostanza piangeva. Alla pubblica gioia, che stava per manifestarsi, Gesù mandava innanzi i suoi sospiri e le sue lagrime. Ma perché questo pianto? – Il Signore aveva fatto al popolo ebreo un numero immenso di segnalatissimi benefizi. La liberazione dalla schiavitù di Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di nube che gli servì di guida all’uscire dal deserto, la manna che per quarant’anni cadeva per lui abbondante e feconda, le acque che scaturirono dalle viscere della rupe, il Giordano passato a piede asciutto da un’armata innumerevole, le mura di Gerico cadute al suono delle trombe, la vittoria su tutti i popoli del paese di Canaan, il sole che si arrestò alla voce del capitano che voleva compiere il suo trionfo, il pieno possesso di quella terra che scorreva latte e miele, e poi tutti que’ profeti che lo istruirono nelle vie del bene e lo richiamarono più volte da quelle del male, e finalmente poi quel re dei profeti, quel Gesù ch’era stato segnalato come il Principe della pace, quel Figliuolo di Dio disceso dal cielo per recare coll’adorabile sua presenza i doni più preziosi dell’amor suo, furono altrettanti prodigi di bontà divina operati in favore di quel popolo privilegiato fra tutti gli altri. Gesù inoltre amava di special amore gli abitanti di Gerusalemme, come la prima porzione del gregge, che il divin Padre gli aveva affidata. Egli desiderava di farsi da essi riconoscere pel loro Messia, pel loro Pastore; bramava che eglino abbracciassero la sua Religione, e così abbandonando il peccato riavessero la vita dell’anima, formassero la sua Chiesa, continuassero ad essere dal Cielo benedetti, ed infine acquistassero l’eterna salute. Ma, per quanto Egli dicesse e facesse, non aveva potuto riuscire nell’amoroso intento, e l’infelice città nella sua gran maggioranza rimaneva ostinata nei vizi. Anzi Ei già vedeva come tra pochi giorni quei figli ingrati, mettendo il colmo ai propri misfatti, avrebbero commesso il più grande dei delitti, dandogli la morte. Ora peccati così enormi gridavano vendetta al cospetto di Dio, e l’ultimo delitto avrebbe costretta la divina Giustizia a versare su quei deicidi il calice dei più spaventevoli castighi. Epperò Gesù in quel giorno del suo trionfo, nell’entrare in Gerusalemme si vide schierare innanzi agli occhi della sua mente divina, da una parte tutti gli immensi benefizi fatti da Dio a quella città e le sue gravissime infedeltà ed orribili ingratitudini, e dall’altra tutte le sciagure, che per conseguenza sarebbero tra poco piombate sopra di lei. Vide come quella, che era la regina delle città, sarebbe tra non molto diventata un mucchio di rovine e il sepolcro de’ suoi abitanti. E alla vista di tanti mali il buon Gesù fu intenerito sino alle lagrime, ed esclamò: « Oh! Gerusalemme, Gerusalemme, se almeno in questo giorno, che è tuttavia per te giorno di grazia, tu sapessi conoscere le cose, che ti potrebbero dare la salute e la pace! Ma ohimè! tutto questo è nascosto agli occhi tuoi. Ed ecco che giorno verrà, in cui i tuoi nemici ti circonderanno d’assedio, ti chiuderanno d’intorno e stringeranno da tutte le parti. Essi ti rovesceranno a terra, non lasceranno più in te pietra sopra pietra, e sotto le tue rovine periranno i tuoi abitatori, perché non hai voluto conoscere la visita, che il Signore ti ha fatta.»  Ecco adunque il perché delle lagrime di Gesù in quella circostanza; perché  sul popolo ebreo pesava la maledizione divina e la più spaventevole delle sciagure a cagione delle sue ingratitudini verso Dio. Ma qui, o miei cari, anziché adirarci contro l’ingrata Gerusalemme, che costrinse Gesù a piangere sopra di lei e a profetare contro di lei i più terribili castighi, rivoltiamo pure il nostro sdegno contro di noi, perciocché non saremo già stati ancor noi tante volte cagione di lagrime a Gesù? Anche noi siamo stati colmati de’ suoi benefizi nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia; ma vi abbiamo noi corrisposto meglio del popolo ebreo? Anche noi siamo stati visitati da Dio tante volte, ora con le prosperità, ora eziandio con le disgrazie; ma noi abbiamo riconosciuto meglio di Gerusalemme il tempo della visita del Signore? Ma se pur troppo dobbiamo confessare che per il passato non ci siamo diportati diversamente da quella città, risolviamo senz’altro di por fine a sì ingrata condotta. Da questo punto mettiamoci a corrispondere col massimo impegno alle grazie ed alle ispirazioni di Dio; perché se non lo facessimo, dovremmo temere che Iddio, sdegnato giustamente contra di noi, pronunzi anche per noi la sentenza terribilissima del suo abbandono. Ed allora che avverrebbe di noi? Vedete quel giovane, quell’uomo che non mette più piede in chiesa, che non vuole più sentire a parlar di Dio, di Religione, che bestemmia con un accanimento infernale? Egli aveva pur ricevuto il Battesimo, era pur stato allevato cristianamente, aveva pur fatto più volte la Comunione… sì, egli aveva ricevuto tutte queste grazie; ma egli le disprezzò villanamente, e Dio lo abbandonò. Il suo intelletto si è oscurato, la sua fede è morta, egli cammina nelle tenebre, i demoni già circondano l’anima sua per impadronirsene, non appena Iddio reciderà a questo infelice il filo della sua vita. Ecco la tremenda sciagura che accade a tanti Cristiani, i quali disprezzano i benefizi del Signore, le sue visite di misericordia. Che Iddio ne scampi! Ma intanto per scamparne davvero non lasciamo di fare noi la parte nostra.

2. Prosegue il Vangelo di questa mattina a dirci che il Redentore dopo di aver pianto sopra la città di Gerusalemme entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro, che in esso vendevano e compravano. Per ben intendere questo fatto del divin Redentore dovete sapere che nell’antica legge si facevano a Dio dei sacrifici per mezzo di animali, di farina, di olio, di incenso e simili, e che tutto ciò, che era necessario a questi sacrifici, a Gerusalemme dapprima vendevasi sul mercato della città. Ma poscia i sacerdoti ebrei, sotto pretesto della comodità del popolo, in realtà però per soddisfare la loro avarizia, trasportarono il mercato nel recinto esterno del tempio. Quel recinto era chiamato l’atrio dei Gentili, perché tutte le nazioni profane potevano entrarvi, e vi si erano stabiliti gli stessi mercatanti, i quali pagavano un enorme prezzo pel posto che occupavano, ed intervenivano tutti i giorni per attendere al loro commercio. Ora, essendo vicina la festa di Pasqua, eravi colà una gran moltitudine d’uomini e di animali, ed una tumultuosa agitazione turbava la calma, che conviene alla casa del Signore. Gesù, indignato di questa profanazione, pigliò delle funi, ne fece un flagello, e con forza scacciò e venditori e compratori; e tutti innanzi a Lui fuggirono senza opporre la più lieve resistenza, perciocché, come ci fa sapere S. Girolamo, dagli occhi di Gesù usciva un fuoco brillante e terribile, e lo splendore della sua maestà divina rifletteva sul suo volto. Gesù adunque con questa manifestazione di zelo e con questa severità di correzione ci ha fatto chiaramente intendere che per coloro, che sono costituiti in autorità, è un dovere assoluto il correggere chi non fa bene, e che in certe occasioni bisogna pur correggere con severità. Dal che, o cari giovani che mi ascoltate, dovete comprendere che i vostri genitori e i vostri superiori correggendovi non operano di loro capriccio, ma compiono un dovere gravissimo, che hanno dinnanzi a Dio, e che Iddio ripetutamente e persino con minacciò ha loro imposto. Epperò sappiate che chi vi rimprovera e vi correggo dei vostri difetti, o errori, o vizi, è un angelo inviato dal cielo, un ministro santo che a nome di Dio vi annunzia la sua volontà e stacca l’anima vostra dalla terra. Sappiate che quanto egli fa è d’un prezzo infinito per voi, e per conseguenza a voi corro obbligo di riceverlo con rispetto, con amore, con riconoscenza. A quel modo che un infermo in pericolo della salute ascolta e osserva tutto quel che ordina il medico, per quanto duro e penoso gli paia il metodo della cura; così dice S. Basilio, chi è umile e desidera veracemente la salvezza dell’anima propria, ascolta e pratica, non pur senza difficoltà, ma con gioia, la correzione ancorché acerba e tagliente. Quanto è buona cosa pentirsi, allorché si riceve una riprensione! esclama l’Ecclesiastico, poiché s’evita per ciò il peccato volontario. Quelli che accolgono le correzioni, i rimproveri, i consigli con umiltà, pazienza, riconoscenza e amore, compariranno al tribunale di Dio, in faccia all’universo, risplendenti di luce simile a quella dei martiri, dicendo Sant’Agostino che un certo qual genere, e non inglorioso, di martirio, è sopportar lieti chi ci rimprovera. Ricevete adunque le riprensioni con riconoscenza e gioia, perché così facendo voi onorerete in perfetto modo Iddio, e gli offrirete un accettevolissimo sacrifizio; perché umiliandovi profondamente e sopportando pazientemente, riuscirete vittoriosi di voi medesimi, che è la più bella, la più gloriosa ed importante delle vittorie; perché la correzione è grazia segnalata di Dio, con la quale accerterete la vostra salute e vi riscatterete dalle pene dell’inferno; e finalmente perché porgerete altrui l’esempio ed il modello d’una grande virtù. Al contrario chi soffre di mal animo d’essere ripreso e corretto, costui offende Dio, è un orgoglioso, una copia del demonio, va di male in peggio, perde quanto aveva di virtuoso, dà grave scandalo, e si prepara orribili tormenti nell’inferno. Chi vuole operare affidato ai soli suoi lumi, opera da empio, dice la Sacra Scrittura.

3. Aggiunge da ultimo il Vangelo che percuotendo i mercatanti e rovesciando i loro banchi, il Salvatore diceva: Sta scritto: La mia casa è casa di orazione, e voi ne fate una spelonca di ladroni. E ben a ragione, perché quel tempio eretto in onore di Dio, comandava la venerazione ed il raccoglimento. Ivi il Signore rendeva i suoi oracoli ed il popolo doveva presentarvisi per adempiere al debito della preghiera. Ma che direm noi delle nostre chiese? Non sono esse per eccellenza la casa di Dio? Senza dubbio, giacché in esse più che l’arca dell’alleanza, più che le tavole della legge, più che la manna miracolosamente conservata, più che i sacrifici dell’antica legge, sacrifici che non erano altro che ombre e figure, voi trovate l’eucaristico Sacrificio, la immolazione quotidiana di Colui, che per noi è morto su della croce; trovate la reale presenza di Gesù Cristo nel suo SS. Sacramento; trovate tutti i soccorsi che può richiedere l’anima vostra per compiere la sua salute. E che ci vuole di più per ispirarci profondo rispetto e religiosa venerazione verso di esse? Entrando in questi sacri luoghi, non dovremmo esser presi da un sacro timore, ed esclamare come un antico Patriarca: Terribile è questo luogo! è la vera casa di Dio, la porta del cielo? Sì, i templi sono un nuovo cielo, ove Iddio abita cogli uomini, poiché chi dimora nell’augusto tabernacolo è lo stesso Iddio che i Santi adorano in cielo. Di modo che noi dovremmo al pari di loro annientarci colla mente e col cuore innanzi alla divina maestà. Nelle chiese essa, è vero, rimane velata; ma non è meno degna delle profonde nostre adorazioni. Come dunque si osa entrare nelle chiese senza rispetto? come starvi senza modestia e raccoglimento, e spesso anche con uno scandaloso dissipamento? Per di più nel tempio ogni cosa ci parla dei benefizi di Dio; il sacro fonte, ove insieme con la vita della grazia abbiamo ricevuto l’inestimabile diritto alla celeste eredità; i tribunali di penitenza, ove spesso ci siamo mondati delle nostre colpe, e abbiamo guarite le nostre piaghe; la croce, sulla quale per noi moriva Gesù Cristo; e finalmente l’altare, su cui ogni giorno si sacrifica l’Uomo-Dio per applicarci il frutto de’ suoi patimenti, ed ai cui piedi ricevemmo lo Spirito Santo nella Cresima, e riceviamo Gesù Cristo nel santissimo Sacramento. Tutte queste cose dovrebbero riempire la nostra mente di bei pensieri, e il nostro cuore di pii sentimenti, e farci caro il soggiorno in questo luogo santo! E come avviene che vi si va talora con ripugnanza, che vi si sta con disgusto, e occupati di pensieri vani, per non dire anche colpevoli? Tanti monumenti della bontà divina non dicono nulla al nostro cuore? Quale ingiuria è mai corrispondere con una sì colpevole indifferenza a bontà sì grande! I Turchi hanno tale rispetto ed amore per le loro moschee, che non vi passano mai dinnanzi senza darne un esteriore contrassegno: un cavaliere che passando davanti ad esse non scendesse da cavallo sarebbe punito rigorosamente. Essi vi entrano scalzi, ovvero con pianelle a ciò solo destinate: e vi stanno col più profondo raccoglimento: il loro contegno e la loro modestia sono tali da farli sembrare piuttosto religiosi di un convento che uomini infedeli. Molte volte chinano la fronte al suolo per umiliarsi alla presenza di Dio: e quando pregano, nessuno vi ha che giri intorno lo sguardo. Il volgere la parola ad un altro in quell’atto, è giudicato un delitto; onde non mai avviene di vedere durante la preghiera un turco parlare con un altro. E se qualche cosa a lui si dice, non risponde: se anche lo si ingiuriasse, non guarderebbe chi è che l’ingiuria. Or questi infedeli non saranno un dì la confusione di coloro i quali vanno tanto di rado in chiesa, e quando vi vanno, pregano con sì poca attenzione e con tanta irriverenza? D’ora innanzi, o miei cari, procuriamo di essere sempre ben compresi del rispetto che si deve alla casa di Dio. Veniamo in essa volentieri a pregare il Signore, essendo essa la casa dell’orazione; e Iddio non mancherà di ascoltare le nostre suppliche e ci farà uscire dalla sua casa, come dice la Chiesa, lieti di avere impetrato quanto a Dio abbiamo nella sua casa richiesto.

Credo …

Offertorium

Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea.
[La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]

Secreta

Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur. [Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]

Communio

Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo, dicit Dóminus.
[Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]

Postcommunio

Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem.
[O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]

LO SCUDO DELLA FEDE (72)

LO SCUDO DELLA FEDE (72)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

PARTE SECONDA.

FRODI PER CUI S’INTRODUCE IL PROTESTANTISMO

CAPITOLO VII

SETTIMA FRODE:

IMMAGINI E RELIQUIE FONTE DI IDOLATRIA

Un altra ragione per cui i Protestanti ci chiamano idolatri, è perché onoriamo le immagini dei Santi, e veneriamo le loro reliquie. Che anzi sopra ciò fanno uno strepito che mai il maggiore, citano a diritto e a rovescio testi della S. Scrittura, giurano che siamo peggiori dei Gentili, e giungono fino a dire che per mantenere queste nostre superstizioni, abbiamo anche falsificati i comandamenti di Dio. Ora, miei cari, state in guardia, perché questa è una frode loro, niente inferiore alla precedente. Ed in primo luogo ricordatevi di quello che vi hanno spiegato i vostri Sacerdoti nel Catechismo intorno alle Sante Immagini e Reliquie. Forse vi hanno detto mai che nel legno, nella carta, nelle tele, nel metallo di cui sono composte le immagini o le statue si contenga qualche virtù? Niente affatto. Anzi la S. Chiesa ci proibisce assolutamente di credere che in esse esista alcuna virtù o potenza, ci proibisce di porre la nostra confidenza in quelle statue ed immagini materiali, e vuole che tutto l’onore che noi rendiamo loro, tutto si riferisca all’originale, cioè ai Santi, alla Madonna, allo stesso Gesù che vivono e regnano in Cielo; tantoché quando baciamo le immagini o ci inginocchiamo davanti ad esse, noi non adoriamo né onoriamo quelle, ma il nostro onore si rapporti ai Santi, alla Madonna, la nostra adorazione si riferisca a Gesù. Questa è la dottrina di S. Chiesa, siccome è noto da tutti i Catechismi e dal S. Concilio di Trento. – Ora non basta ciò solo a dimostrare che non v’ha, e non vi può essere Idolatria? Se noi non riconosciamo nelle Immagini niuna potenza, niuna virtù dunque non le riconosciamo come divinità, se non le riconosciamo come divinità dov’è l’Idolatria? All’istesso modo se in esse non facciamo altro che onorare gli originali, dunque non v’è culto prestato al legno, al metallo, alla tela come essi dicono, e chiediamo di nuovo dove sta 1’Idolatria? – Ma allora perché servirci di Immagini? Veramente non avremmo bisogno di dare tanti perché, mentre potremmo rispondere perché ha sempre fatto così la S. Chiesa illuminata e diretta dallo Spirito Santo, e questa ragione sarebbe più che bastante: tutta volta per compassione alla loro ignoranza diremo anche loro che le ragioni sono

molte e gravissime. Noi ci serviamo delle Immagini sacre perché esse risvegliano in noi la memoria di Gesù, della Madonna, dei Santi, e così ci invitano soavemente ad invocarli. Perché anche i Protestanti fanno fare i ritratti del loro padre, della loro madre, dei loro parenti e delle persone che loro sono care? A che servono essi? Vi risponderanno, che per mantenere viva la memoria di loro che forse sono già morti o sono lontani, e per tenerli così sempre quasi presenti. Ebbene noi desideriamo di ricordarci spesso di Gesù nostro padre, di Maria nostra madre, dei Santi nostri fratelli ed amici, e mentre siamo ancora lontani da loro, li vogliamo vagheggiare almeno nei loro ritratti. Che cosa hanno a ridire? – Servono poi le Immagini sacre, inoltre perché fanno una impressione molto giovevole sui nostri cuori, perché ci mettono quasi sott’occhio i Misteri della vita di Gesù, e le opere dei Santi che tanto lo amarono. Non è forse vero, che il vedere un bel Gesù bambino, ci rappresenta in un attimo tutte le tenerezze della sua divina Infanzia? S. Francesco di Assisi, ad una tal vista s’inteneriva sino a piangere dirottamente. Non è forse vero che un bel Crocifisso ci mette sott’occhio tutte in un punto le pene di Gesù, le sue agonie, i suoi spasimi, la sua morte, e ci commuove fortemente? Tutti i Santi si sentivano struggere il cuore nel contemplarlo. E così dite di un bel cuore di Gesù che colle sue fiamme ci fa risovvenire l’immensità dell’amore che Egli ci ha portato? Così dite delle immagini di Maria che ci ricordano che abbiamo in Cielo una Madre amorosa che prega per noi. Cosi dite di quelle dei Santi che ci rammentano quello che essi hanno fatto e patito per Gesù e ci animano a fare altrettanto? Gli è perciò che i buoni fedeli tanto amano le immagini sacre, e godono di vederle nelle Chiese dove si raccolgono a pregare, perché queste aiutano l’immaginazione a star raccolta, amano di vedersele nelle case, perché siano loro di eccitamento di buoni e santi pensieri, amano di vedersele soprattutto intorno al letto per ricordarsi di Gesù e di Maria quando si levano, e quando vanno al riposo, e le tengono carissime perfino nell’ora estrema, e le baciano e le stringono al cuore con grande affetto, quasi già si stringessero con Gesù e con Maria. Infelici pur troppo coloro che non capiscono cose sì chiare! Quelli soltanto possono non amare le sante immagini che non amano gli originali: perché non è possibile odiare il ritratto quando si ama la persona da esso rappresentata. Servono inoltre le sante immagini alle persone rozze che non sanno leggere come d’un istruzione. Imperocché vedendo in esse rappresentati i misteri della vita, della passione, della morte di Gesù, se ne fissano in mente tutti gli atti e le circostanze più belle e più non le dimenticano. E lo stesso avviene con proporzione delle vite dei Santi e della Vergine che servono a nostra edificazione, a nostro esempio, ed a stimolo del bene operare. Ai nostri tempi per insegnare alla gioventù mille inezie che non importano nulla, s’impiegano rami e pitture di gran lusso, ed i Protestanti medesimi ne fanno un uso continuo, e non capiscono poi che la S. Chiesa, la quale ha una sapienza celeste, abbia potuto prima di loro far servire questo mezzo alla istruzione dei suoi fedeli? Finalmente le S. immagini servono talvolta ad un eccitamento di pietà più straordinario. Imperocché compiacendosi Iddio frequentemente di essere glorificato per occasione di esse in modo più speciale in qualche Chiesa, in qualche Santuario, e spandendo ivi grazie più copiose per allettare i fedeli a concorrervi, questi vi si conducono con più sollecitudine, pregano con più fervore, si sentono accrescere la fiducia e riconoscendo con maggior fede qualche mistero della vita di Gesù, ed onorando con maggior pietà qualche servo di Lui, oppure la sua gran Madre, riportano favori e grazie più segnalate. Di che resta come rinnovata la pietà cristiana la quale per nostra debolezza va pur troppo soggetta ad illanguidire e venir meno. – Oltre il culto delle S. immagini, condannano anche quello delle S. Reliquie, ma è chiaro che ei s’ingannano e vogliono ingannare anche qui: perocché le ragioni che valgono in favor di quelle, non valgono meno in riguardo di queste. Noi ci serviamo delle Reliquie, come delle immagini per ricordarci delle persone di cui sono reliquie, e per muoverci ad amarle e ad imitarle senza attribuir loro nessuna materiale virtù. Il perché tutto quello che essi dicono contro di noi in questo proposito è mera calunnia. Del resto ini pare che i Protestanti non sappiano al tutto quello che siano le Reliquie da noi venerate. Imperocché se lo sapessero potrebbero parlare come ne parlano? Le Reliquie principali che si venerano nella S. Chiesa, sono in primo luogo quelle della S. Croce, delle sacre spine, della lancia, della sindone e di altri strumenti della Passione del Salvatore. Ma essi che fanno tanto fracasso contro i Cattolici, perché non pensano abbastanza a Gesù Cristo, possono poi riprendere che noi per amore a Gesù portiamo riverenza perfino agli strumenti che toccarono le sue carni sacrosante? Vengono dopo le Reliquie dei Santi o Martiri o Confessori che consacrarono i loro corpi o col martirio o colla penitenza offrendolo in ossequio a Gesù? E quei corpi che furono tempio vivo dello Spirito Santo, che furono strumento di tante penitenze, che furono consacrati da tanti Sacramenti, che sono destinati a risplendere gloriosi per tutta l’eternità, quei corpi non meritano una riverenza tutta speciale? Risogna avere una gran voglia di malignare per trovare a riprendere in tutto ciò: oppur bisogna credere che i corpi dei Cristiani non che dei Santi, siano come quei delle bestie. Eppure sapete poi chi sono costoro che condannano il culto delle Sante Reliquie? Sono poi quelli che vanno frenetici pei possedere reliquie di ben altra stampa. Son quelli che conservano come una grande reliquia il calamaio di quel sudicio apostata che fu Martin Lutero. Son quelli che guardano come una reliquia la penna di uno scostumataccio qual fu il Byron; son quelli che comprano a qualunque costo una ciabatta, perché servì a Napoleone, son quelli (diciamolo pur chiaro a loro confusione) che si strappano di mano una stringa, un fiore, un’ inezia perché servì ad una ballerina, ad una cantatrice, ad una baldracca. Gli è proprio in bocca loro che sta bene la riprensione del culto purissimo della Cattolica Chiesa. – Ma non siamo noi che riprendiamo tutto ciò, replicano essi, non siamo noi, è la Santa Scrittura che lo condanna. Davvero? É proprio la S. Scrittura? E non sapete che nell’Esodo si dice chiaro che non ti farai scultura di sorta? e che i Profeti, e soprattutto nei Salmi si grida sempre contro quelli che si fabbricano degli idoli e delle statue? Abbiamo dunque ragione di chiamare i Cattolici idolatri. Veramente io non mi sarei aspettato ad un’uscita così nuova, e ci vuole davvero un ingegno superlativo per fare questo discorso. Il Signore ha vietato che si credano Dei le statue di creta, di metallo etc., dunque non si possono adoperare le statue, le immagini in usi innocenti anzi santi, cioè per aiuto a ricordarsi di Dio, ed apprender meglio i misteri della S. Fede. Eppure è questo il discorso che essi fanno. Imperocché (per ispiegare una volta la loro difficoltà a chi sono dirette quelle proibizioni di fare statue ed imagini? sono dilette ai Giudei i quali cresciuti in mezzo all’Idolatria dell’Egitto erano molto inclinali ad essa naturalmente, come si vide nel deserto medesimo dove si fabbricarono il vitello d’oro, e poi dopo in cento occasioni nelle quali adoravano gli Dei delle nazioni che confinavano con loro. Che cosa credevano i Giudei che fossero quelle statue ed immagini? Credevano che fossero vere divinità, e perciò si prostravano dinanzi a loro, le adoravano, facevano loro dei sacrifizi, e per cagione di esse abbandonavano il vero Dio. E perciò che cosa prescrive loro in proposito il Signore? Proibisce loro di formare statue o rappresentazioni di oggetti esistenti sia in cielo, sia in terra: perché non vuole che li adorino siccome Dei: mentre Egli solo è l’unico e vero Dio che deve essere adorato. E quello che è proibito dal Signore, è proibito di nuovo in nome suo dai Santi Profeti, e per allontanare sempre più il popolo dall’adorazione di queste false divinità, il Santo Re David le mette in derisione dicendo che hanno occhi e non veggono, orecchi e non odono, mani e non toccano, piedi e non camminano, bocca e non parlano, in una parola che sono pezzi di legno, o di metallo inanimati. Ecco il senso di quelle parole che costoro sempre citano contro i Cattolici senza capirle. – Ora osservate di grazia che cosa abbiano esse da fare col nostro culto. Noi ci serviamo delle statue e delle immagini sì, ma diciamo forse che siano Dei? Abbiamo noi insegnato che l’immagine di Gesù, sia veramente Gesù, che l’immagine di Maria, sia veramente la Madonna? Tutto all’opposto diciamo che non sono altro che legno, creta ometallo: tantoché quando sono vecchie, e più non ci servono senza alcuno scrupolo le riponiamo. Ma almeno attribuiamo loro qualche virtù divina, qualche potenza materiale come facevano gli Idolatri alle loro statue? Tutto il contrario, insegniamo chiaramente che in esse non si contiene nessuna potenza, nessuna virtù. Finalmente lasciamo noi in grazia delle immagini e delle statue di adorare il vero Dio come facevano gli Idolatri? eh nullameno. Insegniamo anzi che nelle immagini bisogna venerare unicamente quello che da esse viene rappresentato, e per questo ce ne serviamo perché ci giovano a venerarlo meglio. Dove sono adunque tutte le proibizioni che costoro sognano? Che hanno che fare tutti quei testi della S. Scrittura che allegano a sproposito? Se non conoscono la dottrina Cattolica, perché l’impugnano? Se la conoscono, perché perfidiano a confonderla con quella degli Idolatri? Eppure credereste? Sono così incaponiti di questa loro follia, che io ho sentito qualcuno di loro arrivar fino a dire che noi Cattolici per potere idolatrare con libertà abbiamo falsati anche i divini comandamenti, ed un Apostata infelice ha perduto colla S. Fede anche il senso comune fino al punto di stampare questa scempiaggine in un di quei Iibricciuoli che tanto si studiano di farvi capitare tra mano. Ma e come possono dar colore a questa calunnia? Ecco, hanno trovato che nei nostri Catechismi, i divini Comandamenti non sono stati copiati alla lettera come sono nel libro dell’Esodo, e che sono state tralasciate quelle parole: non ti farai scultura, etc. e sopra di ciò gridano alla falsificazione, al tradimento fatto ai fedeli della Cattolica Chiesa. Osservate dunque e comprendete sempre più la buona fede di questi apostati. I Comandamenti non sono stati copiati alla lettera nel Catechismo, dicono. Ebbene qual meraviglia? Già si sa che non sono stati copiati alla lettera. O che? Nel Catechismo si deve trascrivere tutta la S. Scrittura? Il Catechismo non è altro che un piccolo compendio delle verità più necessarie a sapersi, e però tutte le altre benché preziose, benché divine, pure si ommettono. Quindi è che dei divini Comandamenti si lascia tutto quello che riguarda principalmente i Giudei. Così nel primo Comandamento si ommette che Dio ci ha tolto dalla schiavitù di Faraone perché riguarda loro: si ommettono pure le benedizioni ed i castighi che Dio darà a chi lo osserva, ed a chi lo trasgredisce perché le pene ed i premi temporali erano più propri dell’antica legge che della nuova. Nel terzo si lascia quello che nella santificazione delle feste riguardava l’uso di quel popolo speciale. Nell’ultimo si compendia in poche parole quello che ivi è sposto a lungo. Ora nella stessa maniera nel primo si omette quello che riguarda l’Idolatria, poiché nel popolo Cristiano, grazie al Signore, non vi è più questo pericolo, e non si riconosce più che il solo vivo e vero Iddio. Che cosa ha dunque nascosto la S. Chiesa ai suoi fedeli? Quello che non era necessario a sapersi, se già non vengono i Protestanti ad insegnarci che fra di noi vi sia proprio il pericolo di idolatrare. Del resto neppur questo l’ha nascosto, poiché in tutti i Catechismi alquanto estesi (e gli Apostati lo debbono sapere) si parla anche a lungo della Idolatria, e si espongono tutte le parole, come stanno nell’Esodo: e poi dalla S. Scrittura non ha levate quelle parole ed ognuno che voglia leggerle, lo può molto facilmente. Che malizia v’è dunque qui? Quella sola che v’apportano gli iniqui che calunniano la S. Chiesa Cattolica. Ed ecco finalmente dove vanno a parare tutte le ragioni che apportano per dimostrare che nella Chiesa Cattolica v’è l’Idolatria. Frattanto però che veggono l’Idolatria dove non è, non veggono poi la pietà cristiana dove realmente si trova. Non veggono come il Signore adorato nelle sue immagini, e la Vergine, ed i Santi invocati in esse ci fanno grazie d’ogni maniera. Non veggono che Gesù rappresentato ora Bambino, ora penante, ora Crocifisso risveglia i sentimenti più belli di fede, di compassione, di amore, di speranza, di contrizione in tanti cuori cristiani, non veggono che la Madonna invocata in tanti santuari ottiene da Gesù le grazie più preziose, non veggono che i Santi onorati alle loro tombe, o nelle loro Reliquie hanno impetrato spesse volte da Dio la sanità agli infermi, la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, e perfino ai peccatori la grazia della conversione. Non veggono che in tutti i secoli della Chiesa fu sempre in uso la invocazione dei Santi ed il culto delle Reliquie trovandosi praticato fin nelle Catacombe. Non veggono che i più gran Santi lo raccomandano e ne contano gli effetti anche di miracoli strepitosi. Non veggono che la ragione lo approva, la fede il consiglia, e perfino il buon senso lo persuade. E non vedendo tutto ciò che è sì chiaro, veggono invece i sogni del loro cervello farneticante, e lor danno credito e li spacciano con tal burbanza che fa tutto insieme stomaco e compassione. – Gesù li illumini per intercessione di Maria e di quei Santi che essi sventuratamente non vogliono conoscere, e voi, rigettate le loro bestemmie, guardatevi care le sacre immagini consolandovi frattanto a vagheggiar nel ritratto quelli con cui sperate di conversare domesticamente per tutta l’eternità