DOMENICA IX DOPO PENTECOSTE (2019)
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps LIII: 6-7.
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Ps LIII: 3
Deus, in nómine tuo salvum me fac: et in virtúte tua libera me. [O Dio, salvami nel tuo nome: e líberami per la tua potenza.]
Ecce, Deus adjuvat me, et Dóminus suscéptor est ánimæ meæ: avérte mala inimícis meis, et in veritáte tua dispérde illos, protéctor meus, Dómine. [Ecco, Iddio mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’ànima mia: ritorci il male contro i miei nemici, e disperdili nella tua verità, o Signore, mio protettore.]
Oratio
Orémus.
Páteant aures misericórdiæ tuæ, Dómine, précibus supplicántium: et, ut peténtibus desideráta concédas; fac eos quæ tibi sunt plácita, postuláre. [Porgi pietoso orecchio, o Signore, alle preghiere di chi Ti supplica, e, al fine di poter concedere loro quanto desiderano, fa che Ti chiedano quanto Ti piace.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corinthios.
1 Cor X: 6-13
Fatres: Non simus concupiscéntes malórum, sicut et illi concupiérunt. Neque idolólatræ efficiámini, sicut quidam ex ipsis: quemádmodum scriptum est: Sedit pópulus manducáre et bíbere, et surrexérunt lúdere. Neque fornicémur, sicut quidam ex ipsis fornicáti sunt, et cecidérunt una die vigínti tria mília. Neque tentémus Christum, sicut quidam eórum tentavérunt, et a serpéntibus periérunt. Neque murmuravéritis, sicut quidam eórum murmuravérunt, et periérunt ab exterminatóre. Hæc autem ómnia in figúra contingébant illis: scripta sunt autem ad correptiónem nostram, in quos fines sæculórum devenérunt. Itaque qui se exístimat stare, vídeat ne cadat. Tentátio vos non apprehéndat, nisi humána: fidélis autem Deus est, qui non patiétur vos tentári supra id, quod potéstis, sed fáciet étiam cum tentatióne provéntum, ut póssitis sustinére.
Omelia I
[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia,
IL TIMOR DI DIO
“Fratelli: Non desideriamo cose cattive, come le desiderarono quelli. Non diventate idolatri, come furono alcuni di loro, secondo sta scritto: «Il popolo si sedette a mangiare e bere; poi si alzarono a tripudiare. Né fornichiamo, come fornicarono alcuni di loro, e caddero in un giorno 23 mila. Né tentiamo Cristo come lo tentarono alcuni di loro, e furono uccisi dai serpenti. Né mormorate come mormorarono alcuni di loro, ed ebbero morte dallo sterminatore. Or tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi, che viviamo alla fine dei tempi. Colui, pertanto che si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Nessuna tentazione vi ha sorpreso se non umana. Dio, poi, che è fedele, non permetterà eh siate tentati sopra le vostre forze: ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla”. (I Cor. X, 6-13).
Essere Cristiani non vuol dire essere esenti dalla vigilanza, e da una attenta vigilanza. Nell’Epistola della Domenica di Settuagesima abbiam visto come l’Apostolo per incoraggiare i Corinti alla perseveranza, oltre il proprio esempio, portò l’esempio dei Giudei, i quali, quantunque usciti in gran numero dall’Egitto, dopo aver ricevuto grandi benefici dal Signore, solamente in numero di due poterono entrare nella terra promessa. L’Epistola di quest’oggi continua quel brano. Vi sono enumerate alcune prevaricazioni degli Ebrei e i castighi, che ne seguirono, e si esortano i Corinti a non imitarne l’esempio; poiché quanto avvenne agli Israeliti sarà figura di quanto avverrà a noi Cristiani, se abuseremo delle grazie del Signore. – E noi non abuseremo certamente delle grazie del Signore, se avremo il timor di Dio, il quale:
1 Ci fa evitare il peccato,
2 Ci rende diffidenti di noi,
3 Ci lascia calmi e fiduciosi in Dio, durante le prove.
1.
Le prevaricazioni degli Ebrei, dopo la loro uscita dall’Egitto, ebbero da parte di Dio la meritata punizione. La storia di questa punizione e dei conseguenti castighi, deve servire di esperienza, perché tutte queste cose accadevano loro in figura, e sono state scritte per ammaestramento di noi. Dunque, le punizioni di Dio, prefigurate in ciò che accadde agli Ebrei, devono attendere anche i Cristiani che, invece di mostrarsi grati a Dio per i benefici ricevuti, e che ricevono quotidianamente, lo offendono con i peccati. – E lo offendono, perché non temono il Signore. «Il timor di Dio fa odiare il male» (Prov. VIII, 13). L’uomo che ha tanto paura di commettere cosa che possa offendere il suo simile, mortale come lui, ludibrio degli eventi; oggi forte, domani debole; oggi stimato, domani disprezzato, abbandonato; come potrebbe indursi a commettere il male sotto gli occhi di Dio, se pensasse che quel Dio che lo vede, lo giudicherà? Non si pensa a Dio, e si opera come se Dio non esistesse. E da questo errore ne consegue un altro: si fa il male senza badare alle sue conseguenze. Si pecca, ma non si tien conto che «Agli empi e ai peccatori Dio renderà il loro castigo» (Eccli. XII, 4). I servi non osano commettere mancanze alla presenza del loro padrone. Se avvengono degli alterchi, avvengono quando e dove il padrone non li sente: «Noi invece — dice il Crisostomo — tutto osiamo in faccia a Dio, che vede e che sente. Essi hanno sempre davanti agli occhi il timor del padrone; noi, il timor di Dio non l’abbiamo mai» (In 1. Epist. ad Thim. Hom. 16, 2).«Chi teme Dio rientra in se stesso» ((4) Eccli XXI, 7). Può egli continuare a vivere in peccato, se da un momento all’altro può capitare nelle mani del suo giudice? Il peccatore può mettersi a letto pieno di sanità e di vita, e prima dello spuntar del giorno trovarsi davanti al tribunale di Dio. Può alzarsi la mattina, e prima di sera esser già giudicato. Ma il pericolo di ricevere una condanna egli può evitarlo. Se teme il castigo ne tolga la causa. Faccia penitenza dei suoi peccati, e cominci una vita nuova. Chi teme Dio non dice: Dio è buono, dunque non mi punirà. Se Dio è buono devi amarlo, invece di offenderlo. Tu offendi Dio perché è buono. «Questa è dunque la retribuzione che rendi al Signore?… Non è Egli il tuo Padre, che ti ha posseduto, che ti ha fatto, che ti ha creato?» (Deut. XXXII, 6). – Egli è buono, immensamente buono, ma è anche giusto; la sua bontà non può andar scompagnata dalla sua giustizia. «Presso Dio non vi è pietà senza giustizia, né giustizia senza pietà» (S. Pier Grisos. Serm,. 145). – Se tutti gli uomini avessero il timore di Dio e non solo il timore delle leggi umane, nessuno commetterebbe il male, neppur per breve tempo.
2.
Nessuno può tenersi sicuro di poter perseverare sino alla fine nello stato di grazia e di tenersi conseguentemente, certo della propria salvezza. Nessuno può esser sicuro di questo, senza una speciale rivelazione. Pertanto, chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Caddero gli Angeli che si trovavano in cielo; caddero i nostri progenitori che si trovavano nel paradiso terrestre; noi soli vogliam presumere di andar esenti da cadute? La Sacra Scrittura ci pone davanti agli occhi abbondante materia di seria riflessione su questo punto. Essa ci fa passare innanzi re, giudici, sapienti, sacerdoti, profeti, Apostoli, che precipitarono dalla loro altezza nell’abisso del peccato. Dopo simili esempi, nessuno troverà esagerata l’ammonizione dell’Apostolo: Pertanto chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere. Quando la nebbia è fitta, il viandante cammina con la più grande precauzione. Le nostre passioni sono come una nebbia fitta, che non ci lascia ben distinguere ove mette fine il nostro cammino. Abbiamo bisogno di essere illuminati, guidati. Il santo timor di Dio è il lume che ci guida. «Non voler essere saggio ai tuoi propri occhi; — dice Salomone — temi Dio e allontanati dal male» (Prov. III, 7). – Il timor di Dio ci insegna ad allontanarci dal male. Ci dice ove è il pericolo; ove bisogna far sacrificio d’una nostra tendenza; ove c’è una passione incipiente da estirpare, ove c’è un’occasione da evitare. Chi disprezza la voce del timor di Dio, un momento o l’altro si trova trascinato là ove non avrebbe né creduto né voluto. Chi non teme, non si guarda; chi non si guarda, si perde. – Non contano le battaglie spirituali vinte altre volte. Il cavaliere che ha vinto cento corse, che ha saltato migliaia di ostacoli, sempre saldo in sella, in un momento di distrazione o di troppo fiducia è sbalzato a terra. Il navigante che ha passato e ripassato i mari, superando furiose tempeste, affonda con la nave per un imprevisto incidente qualsiasi. L’aviatore che ha valicato catene di monti e attraversato mari tra le bufere, e sempre felicemente, precipita col velivolo quando, sicuro di sé, non vede davanti agli occhi che gli onori, che coroneranno le sue imprese. A questo mondo non si è mai al sicuro dalle sorprese; e il Cristiano non è mai al sicuro dalle sorprese delle passioni, del demonio, del mondo. Nulla trascuri per mettersi al riparo contro di esse: «Chi teme Dio non trascura cosa veruna» (Eccle. VII, 19).
3.
Dio, poi, che è fedele non permetterà che siate tentati sopra le vostre forze; ma con la tentazione preparerà anche lo scampo, dandovi il potere di sostenerla. Diffidare di noi stessi, temere la nostra debolezza, non vuol dire avvilirsi e perdersi di coraggio nelle umiliazioni, nelle tentazioni, nelle prove della vita. Noi siamo fragili, ma Dio è potente. Lasciarsi abbattere, mormorare nelle difficoltà, è un dubitare della bontà, sapienza e potenza di Dio. Egli non comanda mai cose impossibili, e non nega mai la sua grazia a quelli che a Lui ricorrono fiduciosi. Con la sua grazia potremo resistere a tutte le tentazioni e superar tutte le prove, uscendone vittoriosi, ornati di meriti, rassodati nel bene. Chi teme Dio accetta, calmo e fiducioso nell’aiuto di Lui, tutte le prove che Egli gli manda. – Il timor di Dio non consiste nel prostrarsi innanzi a Lui tremanti, nell’esser presi dallo sgomento. « Il timor del Signore — dice lo Spirito Santo — ha corona di sapienza e di piena pace e di frutti di salute» (Eccli. I, 22). Il timor di Dio consiste nel non far nulla di quanto a Dio dispiace, nel chiedergli la grazia di fare ciò che Egli comanda, nel non ribellarci quando la sua mano ci sottopone alle prove. Il timor di Dio non turba la pace, anzi ne è la salvaguardia. Chi teme Dio è da Lui protetto e difeso. Egli può ripetere con tutta verità le parole del Salmista: «Ecco, Dio è colui che mi aiuta, e il Signore è il sostegno dell’anima mia» (Salm. LIII; 6. – Introito). – « I suoi precetti sono più dolci del miele e di ciò che stilla dai favi» (Salm. XVIII, 11 – Offertorio). Perciò li osserva, e nell’osservarli ha grande ricompensa; arricchisce la sua corona di frutti di salute. Il timore e l’amore sono gli sproni della vita: non solamente della vita materiale, ma anche, e più, della vita spirituale. Il timore e l’amore spingono l’uomo a risorgere dal peccato, e a ritornare al più amante dei padri. Se il peccatore dovesse guardare solamente ai propri demeriti, come potrebbe innalzare la fronte a Dio, e dirgli: «Perdona?» Ma egli sa con chi ha da fare; egli può rivolgersi a Lui e ricordargli con tutta fiducia: «So che tu sei un Dio clemente, e misericordioso e paziente, e molto compassionevole e che perdoni il mal fare» (Gion. IV, 2). – Chi ben si guarda, scudo si rende. Questa norma fu dimenticata da Sansone, il forte d’Israele, che, fidando troppo in sé stesso, si prese gioco del pericolo, e finì con perdere la libertà, la vista, la forza prodigiosa; finì col perdere Dio, che si allontanò da lui. Ma nel misero stato in cui è ridotto non si dimentica che Dio è clemente, misericordioso, paziente, molto compassionevole, e si rivolge a Lui con umiltà, fede e fiducia : «Signore Iddio, ricordati di me» (Giud. XVI, 28). E Dio ascolta l’umile e fiduciosa preghiera del pentito Giudice d’Israele. Chissà quante volte abbiamo imitato Sansone nello scherzare con le occasioni, con la conseguenza di rimanerne vittima! Imitiamolo anche nel ricorrere con fiducia a Dio per rialzarci dalle nostre cadute. Il timor di Dio, senza la fiducia nella sua misericordia non è un timore buono. «Tu lo placherai, se speri nella sua misericordia» (En. In Ps. CXLVI), dice S. Agostino. Sperando nella sua misericordia, risorgiamo, dunque, e subito. «Risorgiamo, o cari, sebben tardi, e stiamo saldamente in piedi» (S. Giov. Cris. In Epist. I ad Cor. Hom. 23, 4).
Graduale
Ps VIII: 2
Dómine, Dóminus noster, quam admirábile est nomen tuum in universa terra! [Signore, Signore nostro, quanto ammirabile è il tuo nome su tutta la terra!]
V. Quóniam eleváta est magnificéntia tua super cœlos. Allelúja, allelúja [Poiché la tua magnificenza sorpassa i cieli. Allelúia, allelúia]
Alleluja
Ps LVIII: 2
Alleluja, Alleluja
Eripe me de inimícis meis, Deus meus: et ab insurgéntibus in me líbera me. Allelúja. [Allontànami dai miei nemici, o mio Dio: e líberami da coloro che insorgono contro di me. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc XIX: 41-47
“In illo témpore: Cum appropinquáret Jesus Jerúsalem, videns civitátem, flevit super illam, dicens: Quia si cognovísses et tu, et quidem in hac die tua, quæ ad pacem tibi, nunc autem abscóndita sunt ab óculis tuis. Quia vénient dies in te: et circúmdabunt te inimíci tui vallo, et circúmdabunt te: et coangustábunt te úndique: et ad terram prostérnent te, et fílios tuos, qui in te sunt, et non relínquent in te lápidem super lápidem: eo quod non cognóveris tempus visitatiónis tuæ. Et ingréssus in templum, coepit ejícere vendéntes in illo et eméntes, dicens illis: Scriptum est: Quia domus mea domus oratiónis est. Vos autem fecístis illam speluncam latrónum. Et erat docens cotídie in templo”.
Omelia II
[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino, 1921]
SPIEGAZIONE XXXVII.
“In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di lei, e disse: Oh? se conoscessi anche tu, e in questo tuo giorno, quello che importa al tuo bene! ma ora questo è a’ tuoi occhi celato. Conciossiachè verrà per te il tempo, quando i tuoi nemici ti circonderanno di trincera, e ti serreranno all’intorno, e ti stringeranno per ogni parte. E ti cacceranno per terra te, e i tuoi figliuoli con te, e non lasceranno in te pietra sopra pietra; perché non hai conosciuto il tempo della visita a te fatta. Ed entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro che in esso vendevano, e comperavano, dicendo loro: Sta scritto: La casa mia è casa di orazione; e voi l’avete cangiata in spelonca di ladri. E insegnava ogni giorno nel tempio” (Luc., XIX, 41-46).
Sei giorni prima della sua morte il nostro divin Redentore entrava in Gerusalemme quale re in trionfo, accompagnato da’ suoi discepoli e da una moltitudine immensa di gente, che pur vi accorreva per la vicina solennità della Pasqua. Gli uni stendevano le proprie vesti sul passaggio di Lui, altri tagliavano rami dagli alberi e ne coprivano la strada, e l’aria risuonava di lietissimi cantici ad onore di Gesù, poiché tutta quella turba, ricordando i prodigi, ch’Egli aveva operato, ad alta voce andava ripetendo: Benedetto il Re, che viene nel nome del Signore; pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli. Ora, in vista di quel trasporto di gioia, in vista di quelle acclamazioni che cosa faceva Gesù? Ce lo dice il Vangelo di questa mattina. Ascoltate.
1. In quel tempo avvicinandosi Gesù a Gerusalemme, rimirandola, pianse sopra di essa. Sì, o miei cari, ben diversamente da quello che avrebbe fatto un qualche gran capitano, che avesse dovuta far l’entrata trionfale in qualche città, Gesù in tale circostanza piangeva. Alla pubblica gioia, che stava per manifestarsi, Gesù mandava innanzi i suoi sospiri e le sue lagrime. Ma perché questo pianto? – Il Signore aveva fatto al popolo ebreo un numero immenso di segnalatissimi benefizi. La liberazione dalla schiavitù di Egitto, il passaggio del Mar Rosso, la colonna di nube che gli servì di guida all’uscire dal deserto, la manna che per quarant’anni cadeva per lui abbondante e feconda, le acque che scaturirono dalle viscere della rupe, il Giordano passato a piede asciutto da un’armata innumerevole, le mura di Gerico cadute al suono delle trombe, la vittoria su tutti i popoli del paese di Canaan, il sole che si arrestò alla voce del capitano che voleva compiere il suo trionfo, il pieno possesso di quella terra che scorreva latte e miele, e poi tutti que’ profeti che lo istruirono nelle vie del bene e lo richiamarono più volte da quelle del male, e finalmente poi quel re dei profeti, quel Gesù ch’era stato segnalato come il Principe della pace, quel Figliuolo di Dio disceso dal cielo per recare coll’adorabile sua presenza i doni più preziosi dell’amor suo, furono altrettanti prodigi di bontà divina operati in favore di quel popolo privilegiato fra tutti gli altri. Gesù inoltre amava di special amore gli abitanti di Gerusalemme, come la prima porzione del gregge, che il divin Padre gli aveva affidata. Egli desiderava di farsi da essi riconoscere pel loro Messia, pel loro Pastore; bramava che eglino abbracciassero la sua Religione, e così abbandonando il peccato riavessero la vita dell’anima, formassero la sua Chiesa, continuassero ad essere dal Cielo benedetti, ed infine acquistassero l’eterna salute. Ma, per quanto Egli dicesse e facesse, non aveva potuto riuscire nell’amoroso intento, e l’infelice città nella sua gran maggioranza rimaneva ostinata nei vizi. Anzi Ei già vedeva come tra pochi giorni quei figli ingrati, mettendo il colmo ai propri misfatti, avrebbero commesso il più grande dei delitti, dandogli la morte. Ora peccati così enormi gridavano vendetta al cospetto di Dio, e l’ultimo delitto avrebbe costretta la divina Giustizia a versare su quei deicidi il calice dei più spaventevoli castighi. Epperò Gesù in quel giorno del suo trionfo, nell’entrare in Gerusalemme si vide schierare innanzi agli occhi della sua mente divina, da una parte tutti gli immensi benefizi fatti da Dio a quella città e le sue gravissime infedeltà ed orribili ingratitudini, e dall’altra tutte le sciagure, che per conseguenza sarebbero tra poco piombate sopra di lei. Vide come quella, che era la regina delle città, sarebbe tra non molto diventata un mucchio di rovine e il sepolcro de’ suoi abitanti. E alla vista di tanti mali il buon Gesù fu intenerito sino alle lagrime, ed esclamò: « Oh! Gerusalemme, Gerusalemme, se almeno in questo giorno, che è tuttavia per te giorno di grazia, tu sapessi conoscere le cose, che ti potrebbero dare la salute e la pace! Ma ohimè! tutto questo è nascosto agli occhi tuoi. Ed ecco che giorno verrà, in cui i tuoi nemici ti circonderanno d’assedio, ti chiuderanno d’intorno e stringeranno da tutte le parti. Essi ti rovesceranno a terra, non lasceranno più in te pietra sopra pietra, e sotto le tue rovine periranno i tuoi abitatori, perché non hai voluto conoscere la visita, che il Signore ti ha fatta.» Ecco adunque il perché delle lagrime di Gesù in quella circostanza; perché sul popolo ebreo pesava la maledizione divina e la più spaventevole delle sciagure a cagione delle sue ingratitudini verso Dio. Ma qui, o miei cari, anziché adirarci contro l’ingrata Gerusalemme, che costrinse Gesù a piangere sopra di lei e a profetare contro di lei i più terribili castighi, rivoltiamo pure il nostro sdegno contro di noi, perciocché non saremo già stati ancor noi tante volte cagione di lagrime a Gesù? Anche noi siamo stati colmati de’ suoi benefizi nell’ordine della natura e nell’ordine della grazia; ma vi abbiamo noi corrisposto meglio del popolo ebreo? Anche noi siamo stati visitati da Dio tante volte, ora con le prosperità, ora eziandio con le disgrazie; ma noi abbiamo riconosciuto meglio di Gerusalemme il tempo della visita del Signore? Ma se pur troppo dobbiamo confessare che per il passato non ci siamo diportati diversamente da quella città, risolviamo senz’altro di por fine a sì ingrata condotta. Da questo punto mettiamoci a corrispondere col massimo impegno alle grazie ed alle ispirazioni di Dio; perché se non lo facessimo, dovremmo temere che Iddio, sdegnato giustamente contra di noi, pronunzi anche per noi la sentenza terribilissima del suo abbandono. Ed allora che avverrebbe di noi? Vedete quel giovane, quell’uomo che non mette più piede in chiesa, che non vuole più sentire a parlar di Dio, di Religione, che bestemmia con un accanimento infernale? Egli aveva pur ricevuto il Battesimo, era pur stato allevato cristianamente, aveva pur fatto più volte la Comunione… sì, egli aveva ricevuto tutte queste grazie; ma egli le disprezzò villanamente, e Dio lo abbandonò. Il suo intelletto si è oscurato, la sua fede è morta, egli cammina nelle tenebre, i demoni già circondano l’anima sua per impadronirsene, non appena Iddio reciderà a questo infelice il filo della sua vita. Ecco la tremenda sciagura che accade a tanti Cristiani, i quali disprezzano i benefizi del Signore, le sue visite di misericordia. Che Iddio ne scampi! Ma intanto per scamparne davvero non lasciamo di fare noi la parte nostra.
2. Prosegue il Vangelo di questa mattina a dirci che il Redentore dopo di aver pianto sopra la città di Gerusalemme entrato nel tempio, cominciò a scacciare coloro, che in esso vendevano e compravano. Per ben intendere questo fatto del divin Redentore dovete sapere che nell’antica legge si facevano a Dio dei sacrifici per mezzo di animali, di farina, di olio, di incenso e simili, e che tutto ciò, che era necessario a questi sacrifici, a Gerusalemme dapprima vendevasi sul mercato della città. Ma poscia i sacerdoti ebrei, sotto pretesto della comodità del popolo, in realtà però per soddisfare la loro avarizia, trasportarono il mercato nel recinto esterno del tempio. Quel recinto era chiamato l’atrio dei Gentili, perché tutte le nazioni profane potevano entrarvi, e vi si erano stabiliti gli stessi mercatanti, i quali pagavano un enorme prezzo pel posto che occupavano, ed intervenivano tutti i giorni per attendere al loro commercio. Ora, essendo vicina la festa di Pasqua, eravi colà una gran moltitudine d’uomini e di animali, ed una tumultuosa agitazione turbava la calma, che conviene alla casa del Signore. Gesù, indignato di questa profanazione, pigliò delle funi, ne fece un flagello, e con forza scacciò e venditori e compratori; e tutti innanzi a Lui fuggirono senza opporre la più lieve resistenza, perciocché, come ci fa sapere S. Girolamo, dagli occhi di Gesù usciva un fuoco brillante e terribile, e lo splendore della sua maestà divina rifletteva sul suo volto. Gesù adunque con questa manifestazione di zelo e con questa severità di correzione ci ha fatto chiaramente intendere che per coloro, che sono costituiti in autorità, è un dovere assoluto il correggere chi non fa bene, e che in certe occasioni bisogna pur correggere con severità. Dal che, o cari giovani che mi ascoltate, dovete comprendere che i vostri genitori e i vostri superiori correggendovi non operano di loro capriccio, ma compiono un dovere gravissimo, che hanno dinnanzi a Dio, e che Iddio ripetutamente e persino con minacciò ha loro imposto. Epperò sappiate che chi vi rimprovera e vi correggo dei vostri difetti, o errori, o vizi, è un angelo inviato dal cielo, un ministro santo che a nome di Dio vi annunzia la sua volontà e stacca l’anima vostra dalla terra. Sappiate che quanto egli fa è d’un prezzo infinito per voi, e per conseguenza a voi corro obbligo di riceverlo con rispetto, con amore, con riconoscenza. A quel modo che un infermo in pericolo della salute ascolta e osserva tutto quel che ordina il medico, per quanto duro e penoso gli paia il metodo della cura; così dice S. Basilio, chi è umile e desidera veracemente la salvezza dell’anima propria, ascolta e pratica, non pur senza difficoltà, ma con gioia, la correzione ancorché acerba e tagliente. Quanto è buona cosa pentirsi, allorché si riceve una riprensione! esclama l’Ecclesiastico, poiché s’evita per ciò il peccato volontario. Quelli che accolgono le correzioni, i rimproveri, i consigli con umiltà, pazienza, riconoscenza e amore, compariranno al tribunale di Dio, in faccia all’universo, risplendenti di luce simile a quella dei martiri, dicendo Sant’Agostino che un certo qual genere, e non inglorioso, di martirio, è sopportar lieti chi ci rimprovera. Ricevete adunque le riprensioni con riconoscenza e gioia, perché così facendo voi onorerete in perfetto modo Iddio, e gli offrirete un accettevolissimo sacrifizio; perché umiliandovi profondamente e sopportando pazientemente, riuscirete vittoriosi di voi medesimi, che è la più bella, la più gloriosa ed importante delle vittorie; perché la correzione è grazia segnalata di Dio, con la quale accerterete la vostra salute e vi riscatterete dalle pene dell’inferno; e finalmente perché porgerete altrui l’esempio ed il modello d’una grande virtù. Al contrario chi soffre di mal animo d’essere ripreso e corretto, costui offende Dio, è un orgoglioso, una copia del demonio, va di male in peggio, perde quanto aveva di virtuoso, dà grave scandalo, e si prepara orribili tormenti nell’inferno. Chi vuole operare affidato ai soli suoi lumi, opera da empio, dice la Sacra Scrittura.
3. Aggiunge da ultimo il Vangelo che percuotendo i mercatanti e rovesciando i loro banchi, il Salvatore diceva: Sta scritto: La mia casa è casa di orazione, e voi ne fate una spelonca di ladroni. E ben a ragione, perché quel tempio eretto in onore di Dio, comandava la venerazione ed il raccoglimento. Ivi il Signore rendeva i suoi oracoli ed il popolo doveva presentarvisi per adempiere al debito della preghiera. Ma che direm noi delle nostre chiese? Non sono esse per eccellenza la casa di Dio? Senza dubbio, giacché in esse più che l’arca dell’alleanza, più che le tavole della legge, più che la manna miracolosamente conservata, più che i sacrifici dell’antica legge, sacrifici che non erano altro che ombre e figure, voi trovate l’eucaristico Sacrificio, la immolazione quotidiana di Colui, che per noi è morto su della croce; trovate la reale presenza di Gesù Cristo nel suo SS. Sacramento; trovate tutti i soccorsi che può richiedere l’anima vostra per compiere la sua salute. E che ci vuole di più per ispirarci profondo rispetto e religiosa venerazione verso di esse? Entrando in questi sacri luoghi, non dovremmo esser presi da un sacro timore, ed esclamare come un antico Patriarca: Terribile è questo luogo! è la vera casa di Dio, la porta del cielo? Sì, i templi sono un nuovo cielo, ove Iddio abita cogli uomini, poiché chi dimora nell’augusto tabernacolo è lo stesso Iddio che i Santi adorano in cielo. Di modo che noi dovremmo al pari di loro annientarci colla mente e col cuore innanzi alla divina maestà. Nelle chiese essa, è vero, rimane velata; ma non è meno degna delle profonde nostre adorazioni. Come dunque si osa entrare nelle chiese senza rispetto? come starvi senza modestia e raccoglimento, e spesso anche con uno scandaloso dissipamento? Per di più nel tempio ogni cosa ci parla dei benefizi di Dio; il sacro fonte, ove insieme con la vita della grazia abbiamo ricevuto l’inestimabile diritto alla celeste eredità; i tribunali di penitenza, ove spesso ci siamo mondati delle nostre colpe, e abbiamo guarite le nostre piaghe; la croce, sulla quale per noi moriva Gesù Cristo; e finalmente l’altare, su cui ogni giorno si sacrifica l’Uomo-Dio per applicarci il frutto de’ suoi patimenti, ed ai cui piedi ricevemmo lo Spirito Santo nella Cresima, e riceviamo Gesù Cristo nel santissimo Sacramento. Tutte queste cose dovrebbero riempire la nostra mente di bei pensieri, e il nostro cuore di pii sentimenti, e farci caro il soggiorno in questo luogo santo! E come avviene che vi si va talora con ripugnanza, che vi si sta con disgusto, e occupati di pensieri vani, per non dire anche colpevoli? Tanti monumenti della bontà divina non dicono nulla al nostro cuore? Quale ingiuria è mai corrispondere con una sì colpevole indifferenza a bontà sì grande! I Turchi hanno tale rispetto ed amore per le loro moschee, che non vi passano mai dinnanzi senza darne un esteriore contrassegno: un cavaliere che passando davanti ad esse non scendesse da cavallo sarebbe punito rigorosamente. Essi vi entrano scalzi, ovvero con pianelle a ciò solo destinate: e vi stanno col più profondo raccoglimento: il loro contegno e la loro modestia sono tali da farli sembrare piuttosto religiosi di un convento che uomini infedeli. Molte volte chinano la fronte al suolo per umiliarsi alla presenza di Dio: e quando pregano, nessuno vi ha che giri intorno lo sguardo. Il volgere la parola ad un altro in quell’atto, è giudicato un delitto; onde non mai avviene di vedere durante la preghiera un turco parlare con un altro. E se qualche cosa a lui si dice, non risponde: se anche lo si ingiuriasse, non guarderebbe chi è che l’ingiuria. Or questi infedeli non saranno un dì la confusione di coloro i quali vanno tanto di rado in chiesa, e quando vi vanno, pregano con sì poca attenzione e con tanta irriverenza? D’ora innanzi, o miei cari, procuriamo di essere sempre ben compresi del rispetto che si deve alla casa di Dio. Veniamo in essa volentieri a pregare il Signore, essendo essa la casa dell’orazione; e Iddio non mancherà di ascoltare le nostre suppliche e ci farà uscire dalla sua casa, come dice la Chiesa, lieti di avere impetrato quanto a Dio abbiamo nella sua casa richiesto.
Credo …
Offertorium
Orémus
Ps XVIII: 9-12
Justítiæ Dómini rectæ, lætificántes corda, et judícia ejus dulcióra super mel et favum: nam et servus tuus custódit ea. [La legge del Signore è retta e rallegra i cuori, i suoi giudizii sono piú dolci del miele e del favo: e il servo li custodisce.]
Secreta
Concéde nobis, quǽsumus, Dómine, hæc digne frequentáre mystéria: quia, quóties hujus hóstiæ commemorátio celebrátur, opus nostræ redemptiónis exercétur. [Concedici, o Signore, Te ne preghiamo, di frequentare degnamente questi misteri, perché quante volte si celebra la commemorazione di questo sacrificio, altrettante si compie l’opera della nostra redenzione.]
Communio
Joann VI: 57
Qui mandúcat meam carnem et bibit meum sánguinem, in me manet et ego in eo,
dicit Dóminus. [Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
rimane in me, ed io in lui, dice il Signore.]
Postcommunio
Orémus.
Tui nobis, quǽsumus, Dómine, commúnio sacraménti, et purificatiónem cónferat, et tríbuat unitátem. [O Signore, Te ne preghiamo, la partecipazione del tuo sacramento serva a purificarci e a creare in noi un’unione perfetta.]