SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

Salmo 25: JUDICA ME, DOMINE, quoniam ego …”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

TOME PREMIER.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR RUE DELAMMIE, 13

1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

SALMO XXV

[1] In finem. Psalmus David.

   Judica me, Domine, quoniam ego

in innocentia mea ingressus sum, et in Domino sperans non infirmabor.

[2] Proba me, Domine, et tenta me; ure renes meos et cor meum.

[3] Quoniam misericordia tua ante oculos meos est, et complacui in veritate tua.

[4] Non sedi cum concilio vanitatis, et cum iniqua gerentibus non introibo.

[5] Odivi ecclesiam malignantium, et cum impiis non sedebo.

[6] Lavabo inter innocentes manus meas, et circumdabo altare tuum, Domine;

[7] ut audiam vocem laudis, et enarrem universa mirabilia tua.

[8] Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ.

[9] Ne perdas cum impiis, Deus, animam meam, et cum viris sanguinum vitam meam;

[10] in quorum manibus iniquitates sunt, dextera eorum repleta est muneribus.

[11] Ego autem in innocentia mea ingressus sum; redime me, et miserere mei.

[12] Pes meus stetit in directo; in ecclesiis benedicam te, Domine.

[Vecchio Testamento secondo la Volgata

Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO XXV.

L’argomento è il medesimo del salmo settimo: invocare Dio a testimonio della sua innocenza, e supplicarlo per la sua liberazione.

Per la fine, salmo di David.

1. Sii tu mio giudice, o Signore, perché io ho camminato nella mia innocenza; e sperando nel Signore, io non vacillerò.

2. Fa saggio di me, o Signore, e ponimi alla prova; purga col fuoco i miei affetti e il mio cuore.

3. Imperocché sta dinanzi ai miei occhi la tua misericordia, e mi compiaccio della tua Verità.

4. Non mi posi a sedere nell’adunanza di uomini vani, e non converserò con coloro che operano iniquamente.

5. Ho in odio la società dei maligni, e non mi porrò a sedere cogli empi.

6. Laverò le mani mie tra gli innocenti, e starò intorno al tuo altare, o Signore;

7. Affìn di udire le voci di laude e raccontare le tue meraviglie.

8. Signore, io ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo dove abita la tua gloria.

9. Non sperdere, o Dio, cogli empi l’anima mia, né con gli uomini sanguinarii la vita mia.

10. Nelle mani loro sta l’iniquità: la loro destra è ricolma di donativi.

11. Ma io ho camminato nella mia innocenza; salvami tu, ed abbi pietà di me.

12. I miei passi furon sempre nella diritta strada; te io benedirò, o Signore, nelle adunanze.

Sommario analitico

Davide, esposto nel suo esilio presso i Filistei alle calunnie di Saul e del suo seguito, che lo accusavano di alto tradimento e di essersi rifugiato presso gli idolatri, per abbandonare il culto del vero Dio per abbracciare il culto degli idoli, chiede a Dio di vendicarlo da queste ingiuste accuse e di richiamarlo nella sua patria, ove potrà rendere a Dio, nel suo tabernacolo, l’onore che Gli è dovuto. – In senso tropologico, è la preghiera che può fare qualunque giusto che soffre ingiustamente le persecuzioni dei malvagi. – L’uso che la Chiesa fa di questo salmo nella liturgia, mostra che esso racchiude delle importanti istruzioni per coloro che Gesù Cristo ha associato al suo sacerdozio.

I. – Egli si appella al giudizio di Dio verso Saul, come re, non avendo superiori in terra, e si appoggia:

1° su due buoni avvocati, la sua innocenza e la sua speranza in Dio (1);

2° sul modo con il quale Dio esegue il suo giudizio, in cui Egli prova, tenta, passa al crogiuolo i reni ed i cuori (2);

3° sulle qualità del suo giudizio: Egli è misericordioso, Egli è verace (3);

4° sulla bontà della sua causa, egli non si è seduto nell’assemblea della vanità e non frequenterà coloro che commettono l’iniquità (4,5).

II. – Egli promette a Dio la più grande riconoscenza e si offre interamente a Dio, suo liberatore, se fa trionfare la sua causa; egli offre il suo essere:

1° le sue mani, i suoi piedi (6);

2° le sue orecchie per ascoltare le sue lodi, la sua bocca per lodarlo (7),

3° i suoi occhi per contemplare lo splendore del suo tabernacolo, il suo cuore per amare la bellezza della casa di Dio, e tutte le sue membra per riposare nel luogo ove abita Dio (8).

III. – Egli scongiura Dio di liberarlo dalle persecuzioni di Saul (9) e ne riporta una duplice ragione:

1° la perversità dei suoi nemici (9, 10);

2° la sua virtù che consiste in – a) un’intenzione pura in tutte le azioni (11), – b) un grande zelo nel seguire il retto cammino, – c) una grande riconoscenza per i benefici che ha ricevuto da Dio (12).

Spiegazioni e Considerazioni

I. – 1-5.

ff. 1, 2. –  Colui che cammina nell’innocenza e nella semplicità di un cuore retto, si richiama volentieri a Dio, Giudice della sua condotta, quando si vede attaccato dalle calunnie degli uomini. – La testimonianza favorevole della coscienza, è un potente bastione contro tutti gli attacchi (Dug.). – Se metto la mia speranza in un uomo, forse lo vedrò un giorno condurre una via cattiva, allontanarsi dalle vie del bene che ha appreso o insegna nella Chiesa, e seguire un cammino che lo spirito del male gli avrà insegnato, e perché avrò messo la mia speranza in un uomo, venendo quest’uomo a cancellarsi, la mia speranza si cancellerà con lui, e venendo a cadere quest’uomo, la mia speranza cadrà con lui; ma poiché ho messo la mia speranza in Dio solo, io non sarò deluso (S. Agost.). – Nulla di più proprio nel far conoscere all’uomo il fondo del suo cuore, quando è nella prova, nella tribolazione, nella violenza e nella persecuzione. « Bruciate i miei reni ed il mio cuore, bruciate le mie potenze, bruciate i miei pensieri, per paura che io non pensi a qualcosa di male. Ma come brucerete i miei reni ed il mio cuore? Con il fuoco della tribolazione, con il fuoco della vostra carità, con il fuoco del vostro spirito » (S. Agost.).

ff. 3. –  « La vostra misericordia è davanti ai miei occhi, etc. ». Io non ho messo le mie compiacenze in un uomo, ma in Voi, dentro di me, ove penetrano i vostri sguardi. Io non mi inquieto se vado al di là ove penetrano gli sguardi degli uomini (S. Agost.). – Non si appoggia la nostra innocenza sui nostri sforzi, ma sulla misericordia divina, che deve essere sempre presente al nostro spirito. Non c’è che la verità di Dio nella quale noi possiamo riporre con sicurezza le nostre compiacenze; quel che si chiama verità nel mondo è troppo soggetta all’errore e all’incostanza. – Occorre amare la verità di Dio anche quando essa ci condanna.

ff. 4, 5. –  Quattro sono i caratteri che presentano la maggior parte di queste riunioni che la Scrittura chiama « mondo »: la vanità, l’iniquità, la malignità, l’empietà. È una peste, un’influenza, un’atmosfera, una pompa esteriore, una moda, un gusto, un incanto, un sistema insaziabile. Il suo potere sull’uomo è terribile, la sua presenza universale, le sue seduzioni incredibili. Noi viviamo in mezzo ad esso, lo respiriamo, agiamo sotto la sua influenza, siamo ingannati dalle sue apparenze, e senza accorgercene, adottiamo i suoi principi. – I dottori dell’iniquità danno lezioni pubbliche di libertinaggio, ed attaccano apertamente i grandi princìpi della Religione. Altri più sottili, tengono lezione senza dogmatizzare, non provano mai le loro massime, ma le imprimono senza che vi si pensi. Si deve aver paura in questa scuola, in queste riunioni, di tutto, dice Tertulliano, finanche dell’aria che è infettata dai cattivi discorsi, dalle massime anticristiane e corrotte (De Spect. XXVII). – Sedersi in queste assemblee di vanità, di iniquità, di malignità, di empietà, è prender parte ai sentimenti di coloro che vi sono seduti. Se voi non partecipate, benché presenti col corpo, voi non siete affatto seduti con essi; se voi partecipate, benché assenti col corpo, voi siete realmente seduti in queste assemblee. (S. Agost.). – Bisogna quindi separarsi interamente dal mondo? « Vi è permesso, dice ancora Tertulliano, vivere con il mondo, ma non di morire con esso. » – « Una cosa è la vita di società, altra cosa è la corruzione e la disciplina. Allietatevi con i vostri simili per società di natura, e potendo con quella di religione; ma che il peccato non stabilisca legami, che la dannazione non entri nei vostri rapporti. La natura deve essere comune ma non il crimine, la vita e non la morte; noi dobbiamo partecipare agli stessi beni, e non associarci agli stessi mali » (De idolatr. n. 14).

II. – 6-8.

ff. 6-8. – Tanto la compagina degli empi e dei malvagi è piena di cose dannose, tanto quella delle persone di virtù e di pieta è invece vantaggiosa. Niente è più potente nel portare al bene, che la frequentazione di persone virtuose (Dug.). – Voi lavate le vostre mani quando pensate alle vostre azioni con pietà ed innocenza sotto lo sguardo di Dio, perché sotto lo sguardo di Dio è posto l’altare dove è venuto il sacerdote che per primo si è offerto per noi. È l’altare del cielo; non c’è nessuno che abbracci questo altare che non abbia lavato le mani in compagnia degli innocenti. Quanto a questo altare visibile, ci sono molti che lo toccano, benché indegni, e Dio soffre per un tempo che i suoi misteri ricevano questo oltraggio (S. Agost.). – Tutte le volte che entriamo nel tempio materiale, nell’assemblea visibile dei fedeli, figura della loro invisibile unione con Dio nell’eternità, ci uniamo in spirito alla santa ed eterna Gerusalemme, ove è il tempio di Dio, dove sono riuniti i Santi purificati e glorificati che attendono pertanto nell’ultima resurrezione la loro perfetta glorificazione, e la venuta ultimato dei loro fratelli che mancano ancora nella loro santa società, e che Dio non cessa di radunare tutti i giorni (Bossuet, Elév. XVIII: VII Elév.). – Volete ornare qualcosa che sia degna delle vostre cure, ornate il tempio di Dio e dite con Davide: « Signore, io ho amato la bellezza e il decoro della vostra casa, e la gloria del luogo ove Voi abitate ». E come conclude? « Non perdete la vostra anima con gli empi », perché io ho amato i veri ornamenti e non mi sono lasciato sedurre da un vano splendore (Bossuet, Trait. de la Conc.). – Il fine di intendere i canti di lode, è il comprenderli: si tratta in effetti di intendere davanti a Dio, e non udire solo dei suoni che molti sentono e pochi comprendono. Quanti ci sono che ascoltano e sono sordi nei riguardi di Dio? Quanti hanno orecchie, ma non quelle di cui Gesù ha detto. « Chi ha orecchie per intendere, intenda »? (S. Agost.). – Ma cosa ci si deve proporre venendo in Chiesa: ascoltare e cantare le lodi di Dio; comprendere la parola di Dio, metterla in pratica e raccontare a se stessi le meraviglie di Dio (Dug.). – Il mondo canta le gioie del mondo, e noi cosa cantiamo dopo aver ricevuto il Dono celeste, se non le gioie eterne? Il mondo canta i suoi folli e criminali amori, e noi cosa cantiamo, se non ciò che amiamo? (Bossuet, Médit. LXV journ.). – La Chiesa è la casa di Dio, essa annovera ancora dei malvagi, ma la bellezza della casa di Dio è nei buoni, è nei santi; è la bellezza stessa della casa di Dio che io ho amato! Per sospirare poi la bellezza della vera casa di Dio, che è il cielo. Si ama attendendo allo splendore ed al bagliore delle case della terra, che sono le nostre Chiese, contribuendo con la propria persona o i propri beni a preparare gli altari, a decorare i luoghi santi (Dog.). – Quando si è donato a Dio tutta la propria anima con il bene, perché Egli l’accresca, ed il male perché lo distrugga, non è ancor troppo offrire ai templi, ove Egli si degna abitare realmente con noi fino alla consumazione dei secoli, e alla rappresentazioni materiali che noi ci facciamo di Lui e dei suoi Santi, tutto ciò che il genio delle arti può nobiliare, e tutto ciò che il seno inesauribile della terra produce di più raro e prezioso (L. Veuvill. Rome e Lor. I, 276.).

III. – 9-12.

ff. 9-12. –  Il rapporto con gli empi è così pericoloso che anche senza partecipare alle loro empietà, ci si può trovare coinvolti nei castighi che Dio commina loro (Dug.). –  È ugual crimine l’offrire o il ricevere dei regali per invogliare a commettere ingiustizie. – I regali non sono solo l’oro o l’argento o cose simili, ma anche mediante una lode si riceve un presente, e in quest’ultimo caso, il più vano di tutti; perché si è tesa la mano per ricevere l’attestato di una lingua estranea, e si è persa l’attestato della propria coscienza (S. Agost.). – Si può intendere l’innocenza in due maniere diverse. Noi diamo il nome di innocenza a questo allontanamento da ogni peccato che si fa con un atto razionale, con una vigilanza perseverante, con una meditazione profonda delle verità cristiane, che tagliano il vizio alla sua radice. Noi chiamiamo così innocente, lo stato di un’anima che non ha fatto ancora l’esperienza del male: felice stato che è privilegio dell’infanzia o delle cure più vigilanti. Così, per esempio, un bambino non conosce l’orgoglio, è estraneo ad ogni astuzia, ad ogni artificio. Ugualmente avviene per gli abitanti della campagna che, nella loro semplicità, ignorano le astuzie delle pratiche delle città e le frodi del negozio. Noi li chiamiamo innocenti, non perché si sono allontanati dal male con un atto di lor buona volontà, ma perché essi non hanno ancora né la conoscenza né l’esperienza del male. L’innocenza propriamente detta è quella che Davide protesta a Dio in questo salmo: « Quanto me, io ho camminato nell’innocenza » perché aveva allontanato dalla sua anima ogni peccato con una lunga pratica di virtù alla quale Dio promette in eredità la beatitudine (Ps. LXXXIII, 13): « Dio non priverà di beni coloro che camminano nell’innocenza » (S. Basilio, Hom. in Pr. Prov.). – Camminare nell’innocenza è un effetto grandissimo della Redenzione, ed una grazia della quale dobbiamo essere riconoscenti al Salvatore, più che dell’essere stati allontanati dal peccato. – Tutte le volte che ci siamo liberati da qualche afflizione, possiamo dare a questa grazia il nome di redenzione, perché l’abbiamo ottenuta, in effetti, a prezzo del sangue di Gesù Cristo, nostro Redentore. – Il piede della ragione si è tenuto nella via retta della verità senza deviare verso l’errore; il piede dell’affezione si è tenuto nella via retta della carità senza cadere nella vanità; il piede dell’azione si è tenuto nelle via retta della giustizia, senza deviare nelle vie dell’iniquità (Hug.). – Davide qui non fa menzione che di un solo piede, perché colui che ha spento nel suo cuore ogni desiderio dei godimenti del secolo, tiene già sospeso dalla terra il piede che poggiava quando amava ancora il mondo (S. Greg.). – Quale soggetto serio di riflessione per un Sacerdote che recita ogni giorno i sette ultimi versetti di questo salmo, durante il santo Sacrificio! Quale non debba essere l’innocenza di colui che sale tutti i giorni all’altare del Signore! Quale zelo non debba egli avere per la casa di Dio, quale non debba essere il suo allontanarsi dalla condotta dei peccatori! Quanto deve vegliare su se stesso per perseverare, con la grazia di Dio, nella giustizia; quanto deve temere di essere coinvolto nella sventura che minaccia gli empi!