LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-8B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (- 8B-)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO OTTAVO

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam: quoniam ipsorum est regnum cælorum.

[Beati i perseguitati]

IV

LA VITA RELIGIOSA ODIATA DAL MONDO

FAMIGLIA CRISTIANA

Le vie della salvezza sono molte. Ogni forma e grado di vocazione al servizio di Dio è strada che mena al Cielo. Dio tutti quanti arricchisce dei suoi beni coloro che gli si accostano quaggiù con l’intenzione di essere pronti al suo comando. Non è Egli il distributore della felicità e la sorgente d’ogni gaudio? Qui offre i saggi, lassù, poi, conferisce il pieno godimento dei suoi doni. Basta osservare la famiglia cristiana. È lo spettacolo più attraente e ricco di commozione. Poiché tu vi vedi l’amore nelle sue forme più varie, con le età diverse, i compiti più disparati, le delicatezze che fanno sentire a chiunque la forza della religione cristiana sulla condotta. Fedeltà, che non subisce ombra di seduzione; carità dell’uno verso l’altro; come cosa normale e piacente, più d’un servizio ottenuto, il servigio offerto; gioia scoppiarne dai volti sereni e volontari, perché sempre tesi verso il piccolo o grave dovere. Parlare improntato alla naturalezza semplice e spontanea; godere senza ansietà o foga, lavoro e diporto, sempre come dovere e diritto della vita, senza un pensiero di stanchezza per il primo o di abuso per il secondo. E poiché tutto si svolge in armonia con la divina legge, anche i corpi sono di solito sani. La salute dei grandi è assicurata dalla frugalità, quella dei piccoli dall’obbedienza; quella di tutti dal costume semplice e devoto alla legge austera del vivere a servizio del Signore. La sobrietà sostiene le energie d’ognuno, poiché chi è padrone della gola rinvigorisce la volontà e così raddoppia le forze morali. La delicatezza, che sveglia la sensualità, è cagione di molti disordini e morali e fisici. Tu sai leggere negli occhi, che irraggiano, in codeste famiglie nutrite di Dio, la intima pace nell’equilibrio dei sentimenti e nella intera soggezione al precetto divino. Ma avverti altresì, che sovente accanto a queste vivono le famiglie disordinate e senza legge. Forse che possono esse tollerare il contrasto che le umilia e le urta? Ed eccole in armi per diffamarle, per destare contro di loro il malumore, per dipingerle come singolari e ipocrite e, insomma, meritevoli dell’ostracismo. E spesso anche persone non pessime si accodano a codeste per giustificare la persecuzione contro i buoni, che sono sempre luce fastidiosa all’occhio malato.

CHIAMATE ALL’ALTO

Se poi passiamo dalla onestà familiare alla vita religiosa ed ecclesiastica, scorgiamo anche meglio l’intolleranza del maligno, che rimarrà sempre terribilmente seccato dalla virtù. Si osservi, che le vocazioni ecclesiastiche o religiose comunemente sbocciano dalle famiglie cristiane migliori. Le eccezioni ci sono, ma non sono frequenti e indicano piuttosto una sorta di prodigio che avviene nella coscienza illuminata dallo Spirito Santo. Bisogna riconoscere, che la vocazione spesso anche nelle migliori famiglie desta una preoccupazione avversa. Ma se in questa è per il timore dell’illusione e dell’errore forse irreparabile, nelle altre l’opposizione nasce da ragione d’interesse, come la volontà di guadagno, la speranza di avere nel figlio o nella ragazza un appoggio per la vecchiaia, la vanità e la ambizione, forse anche, d’un buon partito e di avanzare nella scala sociale. L’opporre qualche difficoltà è cristiana prudenza e mira a provare la sincerità della vocazione; ma l’insistenza e l’uso delle forme violenti sono sommamente riprovevoli. Tradiscono infatti la concezione mondana della vita e l’antipatia per queste schiere di anime, che nella Chiesa stanno dal principio della sua storia come strumenti insostituibili a beneficio dell’umanità. Il loro sacrificio infatti è condizione di innumerevoli vittorie dell’opera di Dio. Non si può pertanto ammettere, che un Cristiano sincero opponga resistenza insormontabile ai propri figli, chiamati a dare un così ambito contributo di attività a servizio della Chiesa. – Non il loro amore verso la famiglia s’è spento, ma è venuto ad accendersi un nuovo amore grande per Gesù e per il prossimo. E i figli e le figlie offerti a Dio rimarranno i più disinteressati, tenaci e fedeli nella loro dilezione alla famiglia abbandonata. Oltre a questo, solo essi le daranno il frutto delle loro fatiche, sovente misconosciute e negate, e rappresenteranno la più sicura benedizione. – Il celibato e la verginità, l’apostolato della intelligenza o la carità dei corpi, la dedizione a prò delle vite menomate e inferme, dei deficienti e minorati dalla nascita, sono le prove della vocazione. Ma la radice di essa non è quella che talvolta muove gli spiriti comuni: la pietà verso la miseria umana, la compassione per la disgrazia fisica o spirituale; bensì l’amore di Dio. Soltanto se vibra questo unico sentimento si ha l’energia dell’eroismo. Il quale non ha da fare nulla con quello umano, che dura un attimo e che sa talora più di disperazione che di vera forza, ma l’eroismo della vita eterna. L’eroismo d’ogni giorno d’ogni ora, d’ogni anno sino alla morte.

OLOCAUSTO

Vuoi sentire da una di codeste anime la commozione che la portò alla offerta libera della vita? Leggi santa Caterina da Genova, una patrizia, che conobbe il fasto, ma che seppe anche scoprire l’oggetto dell’amore eterno. – « O anima felice, anima beata che hai gioito di questo amore; tu non puoi più gustare né vedere altra cosa, poiché questa è veramente la tua patria per la quale fosti creata! O dolcissimo amore, sconosciuto, chiunque t’ha gustato non può vivere senza di te! O uomo! Tu, che sei creato per questo amore, come mai potrai contentarti senza questo amore? come essere in riposo, come vivere? Tu trovi in esso tutto ciò che puoi desiderare e con una soddisfazione tanto grande che è impossibile esprimerla né figurarsela. Colui che saprà esprimere bene il sentimento d’un cuore scaldato dall’amore di Dio farà sciogliersi o spezzare gli altri cuori, fossero essi più duri del diamante e più ostinati del demonio ». (Dialoghi., II, 4). È per questo, che le loro opere sono tutta fiamma di carità, tutto splendore di bellezza, e candore di semplicità trasparente e ingenua, giacché nulla hanno da nascondere né da sofisticare. Le opere sono l’espressione irrompente dell’amore più alto, più santo, dell’unico grande amore. Né stupisce allora l’odio con cui satana li perseguita. Ma non avvenga, che Cristiani fedeli si lascino travolgere da istinti umani, non illuminati dalla fede, a contrastare la vocazione. Bisogna saperla difendere, riconoscerla ed esaltarla. Se il caso lo impone, metterla in valore e farne risaltare i meriti religiosi e sociali; essa è una forma comune di incarnazione di Dio, che si ripete nei secoli cristiani a redenzione dell’umanità sempre miserabile e sviata. È il mezzo con cui Cristo riscatta via via la schiava, che misconosce la sua libertà e la vende e prostituisce per un nulla, che sono tutte le soddisfazioni del peccato. La beatitudine di questi eletti comincia subito ora, è un compenso immediato, un premio che noi constatiamo con i nostri occhi. Ma poi li vedremo coronati di gloria e colmati di felicità. Accanto al Martire della giustizia per tutti i secoli. Neque esurìent, neque sitient amplius, nec cadet super illos sol, neque ullus æstus (Apoc, VII, 16). Non proveranno più la fame, né la sete, non sentiranno più l’ardore del sole, né alcuna intemperia ».

V.

PREPARARE I GIOVANI

A BATTERE LA LORO STRADA

Non educate i figli ad alcuna forma di viltà. Questa « beatitudine » dice come si debba essere beati quando s’è presi di mira da una ingiusta persecuzione. L’amore delle giustizia prepara anche codeste sorprese, che poi si risolvono in benefici preziosi e augurabili.

L E STRADE OVATTATE E SICURE

È forse raro il caso di genitori i quali hanno troppa cura di preparare ai loro figlioli tutte le strade ovattate e scevre da fatiche e da inciampi? E notisi, non perché occorra cercarli o provocarli, dato che ve n’ha molti, e vengono da sé; ma per la estrema paura d’ogni disagio e delle più piccole privazioni o rinunce. Devono, secondo il loro modo di concepire la vita, passarla liscia liscia, senza scosse; e a qualunque costo. Ma per garantirsi questa immunità, i buoni genitori non si peritano di acconsentire a compromessi e di indurre i figli ad accettarli sempre che si possa, senza altre compromissioni maggiori. Una tale educazione è errata alla partenza, come già sopra s’è varie volte prospettato. È l’educazione alla paura, alla viltà. Il giovane formato a siffatto metodo di vita, per cui debba calcolare il danno o il vantaggio per giudicare la moralità d’un’azione, sarà uno schiavo, uno spregevole servitore del violento. Anche se farà la posizione agognata, non potrà godere la stima di alcuno (neppure dei suoi padroni), né avrà la coscienza in pace, poiché la vergogna della sua condizione morale lo farà abbietto a se medesimo. – La teoria della soggezione al più forte non è stata insegnata da Cristo. L’evitare i fastidi, le « grane » a tutti i costi, non avvia un giovine sulla strada dell’onore. Ma non devesi mai credere sulla parola colui, che non vi è coerente nell’azione. Mille volte un pane guadagnato a frusto a frusto, che una propina lauta e fastosa, a prezzo della dignità. Se non che il mondo ragiona diversamente; e noi non abbiamo che a tenerne conto, non per compatirlo o seguirlo, ma per giudicare con criteri opposti.

ABITUDINI DI VILTÀ

Una delle forme di soggezione ispirate dalla viltà, consiste nell’adattamento al gergo e alle abitudini di servilismo, che fanno strada nel mondo. Il sacrificio della naturalezza, della spontaneità è un segno evidente di rinuncia e di servilità. Il giovine non ama questi atteggiamenti artificiosi. Egli sente piuttosto piacere ad affermare le sue qualità peculiari, che a farne sacrificio per ottenere protezione o benevolenza. Preferisce la manifestazione spontanea del tipo suo e del suo criterio di vita conforme alla educazione del Vangelo. « Sì, sì, no, no ». Tutto quello che non è in questi termini è per il giovane almeno sospetto d’inganno. Ed egli, poco esperto delle abitudini della vita mondana, ne nutre schietta ripugnanza. Bisogna preparare i giovani alla naturalezza, tanto simpatica; alla chiarezza di espressione e all’affermazione, modesta e misurata fin che si vuole, ma aperta e senza doppiezze. Né questo è singolarità. La legge dell’ordine e della dignità appare presente di continuo nella storia umana, e con Cristo è diventata il patrimonio di tutti i suoi veri seguaci. La persecuzione non ha peso nel conflitto fra la giustizia e l’interesse materiale. Vorrei dire, che colui il quale ama la giustizia ha gusto di trovare malagevole la strada che ve lo conduce. È il piacere dell’amore difeso e onorato; è la soddisfazione di vedersi la meta agognata; e il premio antecedente la stessa vittoria. I giovani sani entrano facilmente in questo criterio e giudicano secondo una vena di moderato eroismo e di ragionata ostentazione. Nutrono un chiaro disprezzo della persecuzione, come mezzo di sopraffazione della giustizia. Ed è testimonianza della rettitudine di quelli i quali non sono ancora compromessi con il male. I giovani appaiono il documento vivo delle tendenze della natura ed essi ci si presentano piuttosto con carattere di indipendenza e di una spiccata personalità. Poi le circostanze vengono ad attenuare e tanto spesso anche a soffocare l’impulso alla spontanea affermazione di essa. Occorre pertanto, che i genitori e gli educatori si guardino dell’insegnare ai giovani la strada delle timidezze e dei compromessi. Che cosa può essere per loro di maggiore soddisfazione, che degli allievi capaci di guardare la vita in faccia e di affrontarne le difficoltà con animo generoso? Naturalmente per questo necessita la disposizione di sopportare sovente anche il danno. O forse una tale prospettiva deve intimidire un animo cristiano? Non posso vincere la tentazione che mi prende di citare una pagina biografica di Newman, per dimostrare come fosse la sua linea spirituale. Essa portava in sé tanto fermento di quelle novità, le quali ebbero benefico influsso nella sua patria e fuori. La cito per mostrare quanta fosse la semplicità di questa grande anima. Essa fu ben lontana dall’equilibrarsi e dalle decisioni diplomatiche proprie degli spiriti angusti e divorati dall’ambizione. Osservate attentamente dove si appiatti la sollecitudine di far bella figura e di adattarsi, di proporzionarsi, e di conquistarsi il buon nome e le riverenze. « Chiunque — scrisse l’indomani della morte del cardinale uno dei suoi amici più intimi — chiunque ha seguito con attenzione la carriera del Newman, ha dovuto sentirsi colpito da questo tratto del suo carattere, la naturalezza, la viva e libera semplicità con la quale egli parlava ad un amico o esprimeva la sua opinione, l’assenza di ogni sorta d’affettazione e di formalismo. Doveva talvolta, per necessità, portare le insegne della sua dignità (negli anni della sua maturità era cardinale); si poteva scorgere insieme la piena obbedienza all’autorità che gli imponeva la porpora, ma anche la sua impazienza sorridente, per vedersi vestito di tanta maestà. Non accoglieva come amici particolari se non coloro con i quali potesse (come si dice) parlare in manica di camicia; e giudicava con severità un amico troppo cerimonioso e formalista. Tutto ciò che avesse un sapore di unreality, ogni pomposità, solennità di portamento, affettazione, lo impazientava. Ma più che tutto lo disgustava quando lo si faceva oggetto d’una ammirazione beata. Lui, un eroe, un profeta; la sola idea lo faceva andar fuori dai gangheri ».

INCOMPRENSIONE NEI FELICI

Come accadde, tale atteggiamento gli procurò fastidì e incomprensioni. Ma non è anche questo affrontare in qualche senso la persecuzione per amore di giustizia? Davanti agli esempi, che poi nella vita appaiono ripugnanti, di ricerca della simpatia, dell’ossequio e della popolarità a qualunque prezzo, questo criterio di condotta è veramente evangelico ed anche perciò sommamente imitabile. Una dama, con la quale egli aveva scambiato qualche lettera, venne a visitarlo a Oxford, mentre era ancoa anglicano. Ne fu delusa e ne scrisse in tono modesto a Newman, come « per raggiustare i lembi del suo sogno », dice Bremond nella meravigliosa biografia psicologica del grande uomo. Ecco la risposta. « Quanto a me. siate sicura che, se voi tornerete a vedermi, tutto sarà esattamente come l’altro giorno. Io non sono affatto, ma niente affatto venerabile e nulla mi può rendere tale. Io sono come sono. Somiglio a chiunque altro, e, dove non ci sia male, non ho ragione per astenermi da pensieri e da sentimenti uguali a quelli di chiunque. Io non posso parlare come un libro, ciò che qualcuno fa senza sforzo. Non fatevi delle idee e sbagliate sul conto mio. Chiunque mi conosce, non sogna neppure di soffocarmi con segni di ossequio e di deferenza. È il mio desiderio più caro e la mia supplica, che nessuno mi tratti così. Non fui mai su un piedistallo, né ho mai ricevuto inchini. Non li potrei tollerare. Per dire tutto, io ho la debolezza di ricevere duramente coloro che a me vengono con un atteggiamento di deferenza ». E questo, se sa un poco dell’orso, quanto insegna ad un mondo che affoga, non dico nelle dichiarazioni di quel rispetto che è d’uomini consapevoli dei rapporti sociali, ma nelle esaltazioni, ipocrite e nelle corrispondenti dimostrazioni di soggezione, che dicono spesso perfettamente il contrario di ciò che è dentro l’animo. Sicché « beati i perseguitati per amore di giustizia » e di verità. Beati quelli i quali sopportano volontariamente il peso della loro sincerità e della semplicità del loro costume; quelli che dicono ciò che hanno dentro, che fanno ciò che il dovere e come il dovere impone; ma che insieme sono soddisfatti del frutto della fatica, senza enfasi, smorfie e viltà. E non sarà dunque lecito ripetere: « Beati i perseguitati » anziché i fortunati? Con questi è il mondo in tutte le sue forme basse e piccine, con quelli è il Vangelo di Cristo Signore, che fu il vessillifero d’ogni schiettezza, il nemico d’ogni ipocrisia. Che egli salvi i suoi dall’inganno del formalismo. Nei rapporti sociali essi siano maestri di semplicità e di sarà  verità a servizio della carità.

VI.

SARÀ IN CIELO LA PIENA BEATITUDINE

GRAZIE AL MEDICO DIVINO

Tutte le considerazioni venute su dal cuore e distese in queste rapide pagine, sincere fino all’evidenza, hanno un valore relativo. Che cosa miriamo con esse, se non a temperare un’arsura, ma senza l’illusione di soddisfare la nostra sete? – È pertanto una sorta di ricerca di calmanti, che sappiamo essere effimeri, questo nostro sforzo. Non rimane tuttavia senza effetti promettenti. Il dolore attenuato non affatica troppo, non stanca, non arresta la salita della vita. E il calmante consente di arrivare alla meta. Ciò che importa è la natura della medicina. Non deve essere per altre vie nociva. Ma se davvero sana è, se è fatta di ingredienti utili e combinati abilmente, così da conservare le proprietà iniziali e da concordare ciascuna al comune scopo, siano benedetti la medicina e il chimico, che l’ha spremuta dal suo ingegno. Non possiamo noi pertanto ringraziare il Signore Gesù? – Le « Beatitudini », riferite da Matteo nella forma compiuta e che io ho preso a meditare, sono il calmante e la medicina prodigiosa, che il Cuore di un Dio fatto nostro fratello, ci ha ammannito come mezzo di energia e di saggezza, nella vicenda di questa nostra esistenza, dove si incontrano fattori di bontà, di bellezza, di gioia e di incoraggianti promesse, insieme ad elementi purtroppo deprimenti, sconfortanti e talora disperanti. Queste otto parole del Signore ci furon date a tale fine, di renderci il peso leggero e la soddisfazione sufficiente, di svelare il pericolo per farci atti a superarlo felicemente, di rafforzare la nostra resistenza per andare incontro a tutte le forme del dovere senza sbandare dalla paura, dall’incertezza o dal panico fatale. L’averle meditate e studiate lungamente, sotto i diversi aspetti, che la vita nostra di questa epoca singolare ci offre, ne ha certo rivelato un succo di salute, di forza e di costanza. Sentiamo, spero, che non siamo esseri sperduti su questo pianeta, per la crudeltà d’un Creatore insensibile alle nostre difficoltà c alle debolezze della natura. Avvertiamo, al contrario, di essere vigilati assistiti carezzati da un occhio attento benevolo e amoroso. Sappiamo chiaramente e sicuri, che quest’occhio è guidato da un cuore sommamente buono e caritatevole, da una volontà potente e decisa di plasmare gli stessi esterni avvenimenti secondo un piano di benevolenza paterna.

ALLE EDUCATRICI

Non posso nascondere un’altra circostanza riguardante la nascita di questo libretto. Esso fu scritto per invito della Presidenza dell’Unione Donne di Azione Cattolica. Benché lo svolgimento non abbia rispettato i limiti intesi da essa, il mio intento di somministrare alle Donne della nostra amata Patria un sussidio, pur tenue, per aiutarle nel compimento della loro missione mi pare in certa misura raggiunto. Ho avuto sempre davanti agli occhi questa donna italiana. Essa ha il merito di conservare nel mondo il primato della religiosità familiare e della morale cristiana. Di essa possiamo concepire le speranze migliori per l’avvenire, poiché nella sua grande maggioranza si mantiene salda e compatta intorno ai principii di vita emananti dal Vangelo e che ci vengono inculcati dalla nostra Madre Chiesa. L’essere la nostra la famiglia più prossima alla Sede del Vicario di Cristo, ne fa quasi un vessillo e un emblema che Egli possa talvolta mostrare al mondo. Voglia Iddio, che essa perseveri e migliori su questa sicura strada, collaudata dai secoli e benedetta da Dio. La tradizione cattolica della famiglia, checché se ne dica, all’eco di certi pregiudizi, che traversano i tempi ma non intaccano la verità, è la più aderente al pensiero di Cristo, dalla Chiesa conservato puro e intatto. L’unica Nazione al mondo, forse, nella quale il divorzio non ebbe il più modesto successo, fa onore alle sue donne e queste la onorano. [Purtroppo questo primato è stato perduto vergognosamente per l’opera ed il contributo dei cani muti, delle jene vestite da agnelli, i falsi prelati massoni della quinta colonna infiltranti la Chiesa ed usurpanti cattedre e istituti religiosi, che hanno minato dalle fondamenta il tempio cattolico morale e dottrinale italiano e mondiale, travolgendo donne e famiglie in primis … alberi marci dai frutti bacati e corrotti, servi dell’anticristo insediati nei sacri palazzi dell’urbe …- ndr. -]. Esse sono eccellenti per la robustezza del buon senso, che respinge, nel suo insieme, la procacità di mode straniere; per la serietà dell’amore alla casa, curata nel casto solco dei più austeri principii; per il culto della Religione, nella quale essa trova il sostegno massiccio e lo stimolo acuto per ogni dovere; per la sodezza del metodo educativo, sicché i figli loro, nonostante tutte le deficienze, crescono in un ambiente di sano amore, di rispetto scrupoloso, di austerità serena e parca ad un grado unico. A codeste donne, spose e madri o educatrici che siano, questo libretto sulle « Beatitudini » è dedicato. È scritto per esse. Venne steso con l’occhio di continuo fisso su di loro, come per scoprire i rapporti, i richiami, gli echi che dalla mirabile pagina del Vangelo passano alle guide della nostra gioventù. Talvolta l’argomento ha costretto lo scrittore a indugiare su temi particolarmente vasti e implicanti fenomeni più sociali, che familiari; tuttavia anche queste pagine offriranno all’occhio attento e allo spirito accorto della lettrice, posata e lenta, lo spunto personale atto a svegliare in cuore una sollecitudine rilevante e opportuna. Il cuore sovrattutto avrà modo di trasalire talvolta e di sentirsi tutto preso, in talune considerazioni, dove la responsabilità della educatrice risulta maggiormente impegnata. Anche i punti scabrosi e delicati verranno tuttavia osservati con occhio sereno e comprensivo e daranno il frutto inteso. Ma sappiamo bene che tutto questo non si limita a quaggiù. Che cosa sarebbe la nostra appassionata sete di felicità, se dovessimo contentarci di una misura così ristretta e che non esclude il sospiro insaziato?

LA META SOVRANA

Noi guardiamo assai più lontano e più alto. Teniamo l’occhio volto al Cielo dove le ansie si placano e i desideri vengono appagati infinitamente. Al Paradiso mirano le nostre aspirazioni senza limiti e senza rinunce. Al Paradiso volano dì per dì i nostri pensieri, dove sappiamo quante anime, a noi ben note, sono giunte e ci aspettano con l’affetto diventato più retto, più disinteressato, più intero. A quelle miriadi di spiriti, che a Dio offersero il frutto della loro fatica di quaggiù, noi pensiamo e sospiriamo, umili e fidenti. Beatitudine piena è soltanto in essi. Donde l’asprezza della nostra è scomparsa, rimanendo soltanto gli elementi positivi di soavità gaudiosa… Lassù i poveri sono diventati i ricchi effettivamente e con assoluta interezza; perché il Signore ha consegnato loro tutto il suo patrimonio di felicità. I miti sono riconosciuti per tali e amati e onorati. Posseggono tutto e tutti nel gesto della loro benignità compiacente e longanime. Dio li onora. Lassù, i dolenti sono consolati, così da ringraziare il ricordo del male sofferto e da benedirlo. Lassù i famelici e gli assetati di giustizia vedono effettuato il loro sogno siffattamente da sentirsene colmi e ripagati in misura pigiata, scossa e strabocchevole. Oh! i mondi di cuore sentono quanto bene si sono opposti al sudiciume di questa terra, dove la mondezza era guardata come angustia di cuore e inettitudine al godere. Ora vedono capovolti i criteri e avvertono da lontano i gemiti dei pentimenti tardivi e delle impossibili resipiscenze. L’Agnello è fissato dai loro occhi ed essi lo seguono per sempre in una dovizia di appagamenti ineffabili, e cantano l’Inno che solo dice alfine la loro trionfale vittoria. Dio lassù chiama suoi « figli » i pacifici. L’aver lottato per mettere pace nel mondo li fa sovrani e centro di ammirazione. La loro pace interiore li rende luminosi di una luce che tutto vede giusto e dolcemente in Dio. E tutti gli spiriti celesti gridano ai perseguitati della terra: « Orsù, possedete e godete il Regno dei Cieli; è vostro per diritto di conquista e Dio ve lo dona in tutta la sua vastità… Avete ben combattuto e siete coronati ». – Qui, pertanto, abbiamo un piccolo e sufficiente saggio della ricchezza e lautezza di Dio; lassù il possesso pieno. Al Cielo teniamo dunque levato l’occhio. Il Cielo è fatto per tutti. Gesù ha detto che « è in noi », per farci intendere questa nostra destinazione superiore e definitiva. Esso è lo sviluppo del bene, da questa vita sino ai confini dell’altra, dove ha compimento. Il suo segno è la felicità. « Io vi dissi queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta ». Il più miserabile degli uomini non disperi della sua fortuna, egli « ha ancora un regno intero ». – Nel Cielo il bene sarà soddisfazione, ma non senza nuova speranza. Dal suo interno il bene posseduto ha uno sviluppo continuo e proporzionato al merito di ciascuna anima beata. Ora tutto questo è difficile e oscuro. L’unione con Dio stabilitasi quaggiù, si farà più «sensibile» e goduta, più totale. «Ci sono tante dimore nella casa del Padre mio », ha detto il Signore. Ciascuno di noi troverà la « beatitudine » alla quale si è andato preparando in questa vita di prova.

« E la carità rimane ».

[Fine]

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-8A-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (- 8A-)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO OTTAVO

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam: quoniam ipsorum est regnum cælorum.

[Beati i perseguitati]

I.

LA PROVA DI FEDELTÀ

Ma sapeva il Signore, che i suoi seguaci in tutti i secoli sarebbero stati colpiti dalla calunnia, dalle malvagie accuse, dalla persecuzione in vasta misura? Egli lo leggeva nell’avvenire con il suo occhio infallibile e anche nella sua personale esperienza. Poteva perciò ammonire con senso paterno i pochi intimi. La folla anche se avesse ascoltato una simile profezia non l’avrebbe saputo intendere nel suo giusto senso, e si sarebbe scandalizzata. Agli intimi darà spiegazioni. Tuttavia anche la folla ascolti, e tutti, perché in seguito non si ritengano ingannati o illusi. – Desiderano essi vivere quaggiù come la turba? Beati non saranno mai; qualunque sia per essere la loro accortezza. Intendono essi di assicurarsi un avvenire sicuramente felice? Siano capaci di affrontare anche la persecuzione. Malevolenza, calunnia, tormenti morali e anche fisici, come darà lui medesimo esempio tra breve, Su codesta strada, siano certi, troveranno la beatitudine, che non soffre diminuzioni.Saranno beati, non soltanto perché Dio nell’altra vita ha modo di premiare ogni sacrificio compiuto per Lui, ma proprio qui, come inizio visibile della eternità felice. – Non è proprio vero, che soltanto dopo questa esistenza tormentata, assente da ogni agio, spesa totalmente e austeramente per il bene, arida, fredda, oscura, malmenata e appesantita dal malvolere di molti, possa riceversi da Dio la prova del suo compiacimento. Anche ora il giusto è sovente scoperto, riconosciuto, premiato. Egli non sempre ne sarà consapevole; ma qui gli uomini sanno indovinare la bontà, anche se non sappiano essere buoni sempre.

UN’ANIMA

Leggo il titolo di alcuni capitoli della mirabile vita di santa Elisabetta d’Ungheria, langravia di Turingia. « Come la cara santa Elisabetta fosse cacciata dal suo castello coi suoi teneri figli e ridotta all’estrema miseria; e della ingratitudine grande e crudeltà degli uomini inverso di lei ». « Come il misericordiosissimo Gesù consolasse la cara santa Elisabetta nella sua miseria e nel suo abbandono, e come la dolcissima e misericordiosissima e clementissima Vergine Maria venisse a istruirla e fortificarla ». « Come i cavalieri di Turingia facessero pentirsi il langravio Enrico della sua fellonia e rendere giustizia alla cara santa Elisabetta ». – Tutta la storia della santa si può intuire da questi argomenti. Perduta la potenza con la morte del marito durante la crociata, essa cade vittima del cognato. È ammirabile la sua condotta in questo frangente. Cacciata di notte dalla sua casa, insieme ai figli, essa si reca alla chiesa dei cappuccini, che era aperta mentre si cantava mattutino e fa intonare per carità il Te Deum di ringraziamento al Signore per la sorte toccatale. – Ma il Signore non l’abbandona e presto viene la rivincita. Se poi questa non fosse venuta, la sua vittoria era piena e nella coscienza di tutti i buoni, dei quali il giudizio morale soprattutto conta, e nella propria coscienza, la quale conta anche maggiormente. Non occorre di più in questa misera esistenza terrena. La nostra posizione è necessariamente incomoda. Il mondo essendo posto « totus » nel maligno, che cosa possono pretendere coloro che aspirano invece a servire Dio? – Lo spirito del mondo è l’antitesi dello spirito di Dio. Anche prima di Cristo era così. Chi aspirava a giustizia, era considerato come nemico. Non lo si legge di Aristide? Fu bandito da Atene perché i suoi concittadini erano stanchi ed annoiati di sentirsi ripetere, che egli era « giusto ». E di Socrate pure si legge, che fu condannato a bere la cicuta, perché aveva insegnato troppo assiduamente di amare la virtù. – Il mondo è un campo di battaglia nel quale la luce combatte contro le tenebre, il bene contro il male; chiunque si sforza di propagare la luce e di fare il bene, lavora a vantaggio di Colui che fu detto Sole di giustizia. Come il mondo potrà tollerarli? Se volessimo recare esempi, quanti mai ne avremmo nella storia dell’umanità! Abele fu perciò ucciso da Caino; Abramo fu visto di malo occhio dai Cananei, perché fu il primo ad onorare il vero Dio; Isacco perseguitato da Ismaele; Giacobbe da Esaù; Giuseppe dai suoi fratelli, che lo vendettero, simulando che fosse stato divorato dalle fiere, ma le fiere erano essi. – E Gesù Signore fu soppresso dai Giudei, fratelli di sangue. Sicché san Gerolamo commenta: « Un giorno non mi basterebbe se volessi enumerare in quanti modi gli empi prevalgono quaggiù sui giusti e li opprimono ». (Com., in Habacuc). C’è anche la storia della Chiesa, ci sono le vite dei Santi, per somministrarci esempi. Ma chi non ne ha esperienza personale? Non perché ciascuno si possa sentire Santo; ma perché ogni volta che uno fa sinceramente bene, incontra ostacoli, che invece non incontra allorché seconda lo spirito del demonio. « Ho amato la giustizia, ed ho odiato l’iniquità, diceva sul letto di morte il Papa Gregorio VII, propterea morior in exilio ». E la persecuzione può venire da ogni parte, anche dalle meno pensabili.

DIO È MEDICO

La persecuzione prende anche le forme meno solenni e visibili e agisce sullo spirito sottilmente, copertamente, con gli effetti del fiele da cui una vita può essere disfatta senza apparire. Dai prossimi più intimi, nella stessa tua famiglia, nel tuo gruppo sociale, con il quale dividi gli ideali e la sorte dell’apostolato e del sacrificio, nel respiro della medesima fede. E forse questa è la più acre e avvelenante. La più difficile da concepire e da tollerare. Nondimeno il Signore soccorre, medica, consola, sostenendo sino all’estremo. E gli effetti per l’anima sono veramente sostanziosi. Una purificazione senza pari, un consolidamento della fiducia in Dio solo, una più chiara visione dell’intervento di Lui, una più massiccia decisione della volontà d’aderire con pienezza a Dio. Gaudio dell’anima ringiovanita e fatta più castamente ardente per la virtù. « Dio è medico, dice sant’Agostino, è tu hai ancora qualche infezione. Tu gridi, ma egli ha ancora qualcosa da potare. Ed egli non leva la mano sin che non ci sia qualche cosa, secondo il suo giudizio, da togliere. È medico crudele quegli che si lascia commuovere dai lamenti del paziente e perdona alla ferita e all’infezione. Osserva le madri: con quale energia esse trattano i loro piccoli nel bagno, per la loro salute!… Difettano forse di tenerezza? Tuttavia i loro bimbi gridano, ed esse non li ascoltano. Così il nostro Dio è pieno di carità, ma pure non sembra che ci ascolti, per guarirci e risparmiarci nell’eternità ». (Enarr. in Ps., XXXIII, 16). – Tutto questo non scusa i persecutori. È Dio mirabile nella sua arte di prodigioso utilizzatore del male a beneficio dei suoi. Ad essi Egli dà così, per via solo a lui praticabile, la beatitudine, che è un bene senza confine e senza pari. Piuttosto che lagnarci, facciamo d’essere fra i perseguitati anziché fra quelli che perseguitano, fra le vittime piuttosto che fra i carnefici. Siamo, sì, strumenti in mano al Signore, ma a servizio della virtù e non del vizio. Qui è meglio ricevere che dare. Poiché dare è frutto di cattiveria, ricevere è atto di adesione al Signore, che apprezza l’accorta virtù di chi si piega senza colpa a sopportarne il peso e il castigo.

II

NON DIAMO PRETESTO AI PERSECUTORI

Ci sono Cristiani i quali porgono ai maligni il fianco alle critiche e alle persecuzioni? Ci sono. È una delle conseguenze della umana fragilità. Si aderisce ad un grande ideale di vita, e si rimane indietro alla retroguardia di tutte le infermità morali, onde è tempestata la nostra esistenza quaggiù. Aneliti sinceri ma facili, cedimenti incresciosi e d’ogni dì.

I PRETESTI CI SONO

È vero, che talora passano, come aderenti a Cristo, anime dannate e che a Cristo offrono il segno della loro considerazione, calpestandone la legge e negandone i principi di vita. Disertori dall’esercito pacifico dei suoi veri seguaci, si fanno belli del suo nome e dei meriti dei fedeli per accaparrare profitti. Negatori delle sue verità, si adornano, data occasione, della fragranza delle parole del divino Maestro e della sua Chiesa. Usano della conoscenza, che ne hanno, attraverso la buona educazione, per coprirla di ingiurie e perseguitarla con la calunnia. Traditori come Giuda, ve n’ha ancora e quanti… Son questi i più pericolosi fra i persecutori, perché sono informati delle fragilità umane, che anche i migliori debbono portare con sé giorno per giorno. – I loro metodi di persecuzione hanno del diabolico. Con la negazione delle fondamentali verità della Fede, accoppiano il disprezzo e il ridicolo. Sicché sovente presso il pubblico ignaro giungono ad ottenere l’effetto di uno stupore e di un disagio umiliante e deprimente. Vi sono poi i trascurati. A questi guardano i primi, per dire a colpo sicuro, che la Fede è da cercare fra le donnette, ma che non esiste neppure più in troppi membri della Cristianità. Poiché le loro povertà di opere li fa insignificanti parti della società; soprattutto la deficienza della carità verso i bisognosi, li fa oggetto di facile critica ed esposti alla demolizione della loro sincerità di fedeli. La carità in vero, è la prova della convinzione d’appartenere al Corpo mistico di Cristo. Lo si può affermare ed insegnare, ma se le opere non corrispondono, e il bisognoso dell’elemosina e della indulgenza e comprensione morale fa difetto, a che serve la stessa Fede? Sicché costoro sono una autentica zavorra della comunità della Chiesa e forniscono il pretesto di polemiche e di persecuzioni.

NON LE RAGIONI

È pur vero, che Gesù nostro Signore ha insegnato che fossimo « perfetti » come lo è il Padre. Ed è questo l’ideale splendente che irraggia su ogni novella anima, dall’istante che viene irrorata dalle onde battesimali. La giovinezza di molti poi si svolge nell’atmosfera di purezza c di ardore, che li fa aderenti ad esso e li cresce nel dolce clima dell’amore delle cose alte. Ma in seguito viene la prova delle tentazioni, delle seduzioni mondane, le insidie di cui si incaricano con il Demonio anche la carne e il mondo. Parecchi cedono presto all’assalto, non proprio interamente; ma si fanno tiepidi, fiacchi, esitanti al sacrificio, che la battaglia impone. Che cosa volete dire contro la condotta della guerra se il soldato, anziché entusiasmarsi del coraggio del capitano, si intimidisce e abbandona il posto? E Gesù è il capitano in questa resistenza al male, e son degni di lui tanti suoi rappresentanti, da lasciare nell’insieme dei militi la più schietta ammirazione. Ma i deboli non difettano e la loro condotta offre motivi di critica e di maldicenza. Sono anime non affatto indegne della divisa che vogliono portare, ma c’è della zavorra nella loro condotta e, se occorre riconoscerla, bisogna altresì dare aiuto e protendere loro la mano, invece di gravarla sulle accuse ed esporli alla irrisione dei malevoli. Stimolarli, spingerli avanti con l’esempio più schietto di calore, di fervore, di santa letizia. Anche da queste constatazioni, che talvolta affiorano nella cronaca quotidiana ed entrano nell’ambito della conversazione di famiglia, la mamma accorta sa trovare argomento per sollecitare le volontà alla interezza della fede consapevole e vissuta. Le mezze misure del tiepido Cristiano sono tradimento della verità e di Cristo stesso, sono frode alla buona fede e tranelli contro il prossimo e illusione nociva a chi le va perpetrando. Le debolezze della vita morale devono essere battute in breccia con chiarezza di portamento consapevole e non scusate o velate al proprio occhio. La pietà ipocrita non serve e danneggia sempre. Si faccia tuttavia ben rilevare la bassa astuzia del persecutore, che abusa di ombre, incolpabili ai singoli, per oscurare lo splendore della veste, che orna il corpo mistico di Cristo. La Chiesa soffre di codeste cattiverie, ma il suo dolore è vivo soprattutto per il danno che colpisce gli ignari scandalizzati e le anime stesse dei colpevoli. Ogni Cristiano senta la maternità della Chiesa e se ne serva nei frangenti più difficili quando il tiepido scivola nella ingratitudine. – Il Cristianesimo si presenta al mondo come una potenza di elevazione spirituale. Non soltanto il suo Fondatore ha giustificato un tale concetto, ma tutta la sua storia ne è una dimostrazione. Gli effetti del suo lavoro nei secoli sono troppo evidenti; e, benché il peso delle fragilità umane venga ogni momento a gravare sui settori secondari della sua attività, sono palesi le elevate mète raggiunte, la nobiltà di schiere di anime, la distinzione di tanti suoi membri, l’efficacia stimolante per le folle che ne vissero. Oggi si tende a sopravalutare le deficienze della media e la esiguità del suo successo complessivo sulla vita sociale.

LA PIÙ GIUSTA REAZIONE

Questa tendenza antistorica, è il massimo argomento in mano ai negatori e agli illusi fondatori di una certa nuova religione mitica e psicologica. In ogni tempo ci furono fuggiaschi dalla Fede di Cristo. Non ci furono tra gli Apostoli stessi? Eresie, che travolsero intere regioni, vigoreggiarono per secoli. Scismi durano ancora e di proporzioni formidabili. Ma che cosa valgono nei riguardi della essenza del Cristianesimo? Non prevarranno « le porte dell’Inferno ». Le vicende particolari non contano. E pare, che due mila anni possano bastare a provare la consistenza intima e la divina protezione su di esso. I frantumi che lo circondano servono a dargli rilievo. A noi si impone di non servire codeste deviazioni dei giudizi degli uomini. Spetta ad ogni fedele di Cristo il dovere di compiere le opere della virtù con tutta quella perfezione, che esige il servigio di Dio. In tal modo offriremo al mondo l’esempio di cui ancora ha bisogno per ravvedersi e migliorare. Come sarà grande la nostra gioia lassù, allorché il Signore ci riceverà coronati dalle spine della persecuzione, che se non gli altri, noi a noi medesimi avremo confitto intorno alla nostra fronte, per amor suo e dei suoi fratelli! Ci sentiremo invitati ad accostarlo, a sedere a Lui vicino, a godere della sua intimità, poiché l’avremo in qualche senso meritata, vivendo quaggiù nella sua sequela più umile e disagiata. – Ma intanto intorno ai servi buoni si sviluppa un alone di vera simpatia, che attira al Signore e alla Chiesa gli sviati, gli ignari, quelli che soltanto per errore si erano allontanati dalla strada del bene. La virtù così praticata porta alla beatitudine di un efficace apostolato. Conferisce alla somiglianza viva con Gesù. Non sarà consolante di poter esclamare come alcune anime sante hanno fatto quaggiù: «Signore, se sono piccolo e fiacco, la mia energia l’ho spesa tutta per te! ». – Che cosa peseranno allora le calunnie, le ingiurie, le persecuzioni, quando tutto sarà messo a chiaro e ognuno si renderà conto del premio offerto da Dio alla nostra piccolezza? Santa Giovanna d’Arco, in un dramma letterario, a un certo punto chiede: « Signore, tu, che hai preparato questa contrada, dimmi quando essa sarà alfine pronta per ricevere i tuoi santi? Quanto tempo dovrà ancora passare, o Signore, quanto tempo? ». Sappiamo, ormai, che tocca a noi di essere questi santi. Quando ci decideremo a farci tali?

III

COME I SANTI AFFRONTANO LA PERSECUZIONE

CONCEZIONE AGONISTICA

Parliamo di cose irreali? Dove sono i segni d’una prova, che Iddio sia per chiedere ai suoi seguaci? Non occorre essere informati in misura particolare, per conoscere quanti popoli siano nel crogiolo della durissima prova della loro fedeltà al Cristo Signore. Le persecuzioni sono permanenti qua e là contro la Chiesa Cattolica. Ora è una nazione ora è l’altra; mentre essa benefica tutte le nazioni e consola tutti i popoli guidandoli alla salvezza, per la via della civiltà. Le sue vittorie son queste. Fin che essa è in grado di sostenere la fiducia nel bene, che è il dovere verso Dio e verso il proprio Paese, la Chiesa si dichiara soddisfatta e contenta di soffrire su quella strada feconda. Ma ciascuno è pure impegnato personalmente a sostenersi in faccia alle prove, che sono le opposizioni dello spirito del male e le seduzioni che esso esercita contro di noi. Non è una prova permanente questa? Non siamo noi così senza respiro nella persecuzione? Chi non rimane quasi permanentemente in stato di allarme, domani sarà con probabilità uno sconfitto. La battaglia è ingaggiata dal principio del mondo. La prova è d’ogni istante. La resistenza deve essere costante e vigile. Salda la convinzione della verità e delle sue basi storiche. Chiari i fondamenti razionali e le prove comuni, per sostenere le piccole obbiezioni quotidiane. Crescente l’impegno e l’accortezza per conoscere le ragioni della condotta della Chiesa e le difficoltà, che essa incontra qua e là. Soldato consapevole dei suoi doveri e delle difficoltà da superare, deve oggi insomma essere il fedele di Cristo. Se non che combattere è atto dello spirito e questo ha da essere nutrito e sostenuto con cura. Indichiamo tre atteggiamenti necessari allo scopo di sostenere la parte d’un saggio milite di Cristo. Innanzi ogni altra cosa un vivo senso d’umiltà.

ALCUNI CONSIGLI

È tanto facile convincersene, quando uno osservi le proprie insufficienze in cento aspetti della giornata intima e del lavoro. L’umiltà è un giudizio veritiero della propria condizione. I doni di Dio, le buone opportunità in cui siamo venuti a trovarci, la riuscita di questo o di quest’altro affare, sono in gran parte da attribuirsi ad altri che a noi. Chi se ne esalta dimostra di non averne rilevata l’origine. Splendori effimeri sono certi modi di intendere la propria consistenza morale e intellettuale. Fuochi fatui sono certi sogni fioriti soltanto nella fantasia. Quando io sono sincero con me medesimo e non tengo conto delle lusinghe o delle facili adulazioni, sento la mia povertà e mi stupisco della considerazione che presso taluni posso forse godere. Riflettiamo, che l’orgoglio allontana le simpatie e l’umiltà ci concilia quella degli Angeli e Dio ci ama. Riconosciamo il suo potere e la sua volontà; siamo soggetti ai suoi comandi senza inani proteste; siamo pronti ad accettare i doveri, i posti, le responsabilità che Egli ci affida ed egualmente disposti a rinunciarvi. Docili così, non può che rallegrarsi con noi e compensarci in proporzione. Come l’orgoglio che è il principio d’ogni peccato » (Eccli., X, 15), così l’umiltà è il piano su cui tutte le virtù si possono erigere. Cara virtù, che attira altresì la benevolenza degli uomini. Essi non sono mai minacciati nei loro possessi o materiali o spirituali dall’umile, e da questi ricevono esempi di remissività, di indulgenza, di bontà. L’umile non si appropria nulla da alcuno e riconosce a ciascuno il suo. E questa è la condizione prima di godere buona pace col prossimo. La seconda condizione per sostenere efficacemente la persecuzione è la piena confidenza in Dio, per cui si rimette a Lui la difesa della sua causa e non si reagisce con alcuna delle forme usate dagli uomini del mondo. Come fece il Signore. Si legge nel salmo XXXVII: « Sono diventato come un uomo che non ode e che non ha parole di risposta nella sua bocca. Poiché in te, Signore, ho poste le mie speranze; e tu ascoltami, Signore Dio mio ». – « Il Signore, scrive sant’Agostino, ti mostra ciò che devi fare, se la persecuzione si abbatte su di te. Tu cerchi di difenderti e nessuno ti presta ascolto. Eccoti colmo di turbamento, come se avessi perduta la tua causa: nessuno ti difende, nessuno reca testimonianza in tuo favore. Ma se l’accusa ha prevalso contro di te, ciò è soltanto davanti gli uomini: pensi tu che così avverrà anche al tribunale di Dio, dove la tua causa deve essere trattata in appello? Quando avrai Dio per giudice, tu non avrai altro teste che la tua coscienza. Tra essa e questo giusto Giudice, non temere nulla, se non la tua causa. Che questa non sia cattiva e tu non avrai né accusatori da temere, né difensori da sollecitare ». (Enarr., in Ps. XXXVII, 16). – Questo richiamo alla sovrana giustizia di Dio, capace di correggere qualunque umano errore, è sommamente consolante. Esso ci porta a concepire un assoluto abbandono in Lui, anche fra le laceranti angustie e le delusioni dalle quali l’umana accortezza sia incapace di liberarci.

METODI GLORIOSI

Non dico neppure, che la fiducia in Dio miri ad ottenere questo intervento risolutivo a nostro vantaggio. La fiducia deve avere un altro oggetto. La santa Chiesa non intende ottenere, pregando, la immediata fine della persecuzione; sebbene che la intenzione del Signore, il quale è sempre Padre, sia raggiunta nel miglior modo per la sua gloria e per la salute dei suoi figli. Altrettanto dobbiamo fare noi. Fiducia nella bontà di Dio. In Lui ci riferiamo in ogni tribolazione con la speranza della salute dell’anima, raggiunta con quelle forme e con quei mezzi, che siano di suo gradimento. Sicuri, come rimaniamo in qualunque frangente, della sua saggezza e del suo paterno amore. Lasciamo fare a Lui, che conosce i nostri bisogni. – È per questo atteggiamento del tutto superiore alle capacità dell’uomo, privo di grazia, che le persecuzioni contro la Chiesa, furono di costante profitto persino a molti dei persecutori. Questi strumenti della rabbia di satana e, in diverso senso della divina giustizia, furono sempre così vivamente colpiti dalla sovrumana serenità dei veri Cristiani, dalla loro accettazione del male senza reazioni violenti e ribelli, che sovente ne trassero l’unica conclusione naturale: essere la Chiesa alimentata da un succo divino, i suoi fedeli nutriti da una forza superiore, e la sua missione condotta a termine a dispetto di tutte le più disperate risoluzioni, dalla mano stessa del Signore. È la gloria dei Cristiani nel mondo: d’essere sovente oggetto di odio e di non mai odiare. Anzi di insegnare, con una assiduità e una fermezza che in certi frangenti della sua storia stupisce, che occorre amare gli stessi nemici. « Diligite inimicos vestros, benefacite his qui oderunt vos et orate prò persequentibus et calumniantibus vos » (Mt., V,. 44). – Lo stupore del mondo rimane sempre questa generosità senza uguale nel suo dominio. Si legge di san Francesco di Sales, il quale ebbe a dichiarare a chi lo offendeva atrocemente, che se gli avesse pur cavato un occhio, non avrebbe potuto impedirgli di guardarlo dolcemente con l’altro. Questo stato d’animo è innanzi tutto ispirato dall’amor di Dio, che sa e vede e protegge i suoi, poi dall’amore del prossimo e dall’istinto dell’apostolato, che alberga in ogni cuore di Cristiano. Per questo ognuno si considera « pescatore d’uomini ». Orbene il pescatore con l’amo non attira pesci se lancia sassi. Sappiamo dunque aspettare che si accostino e siano così presi senza violenza.

[Continua …]