LE BEATITUDINI EVANGELICHE (-8B-)

LE BEATITUDINI EVANGELICHE (- 8B-)

[A. Portaluppi: Commento alle beatitudini; S.A.L.E.S. –ROMA, 1942, imprim. A. Traglia, VIII, Sept. MCMXLII]

CAPO OTTAVO

Beati qui persecutionem patiuntur propter justitiam: quoniam ipsorum est regnum cælorum.

[Beati i perseguitati]

IV

LA VITA RELIGIOSA ODIATA DAL MONDO

FAMIGLIA CRISTIANA

Le vie della salvezza sono molte. Ogni forma e grado di vocazione al servizio di Dio è strada che mena al Cielo. Dio tutti quanti arricchisce dei suoi beni coloro che gli si accostano quaggiù con l’intenzione di essere pronti al suo comando. Non è Egli il distributore della felicità e la sorgente d’ogni gaudio? Qui offre i saggi, lassù, poi, conferisce il pieno godimento dei suoi doni. Basta osservare la famiglia cristiana. È lo spettacolo più attraente e ricco di commozione. Poiché tu vi vedi l’amore nelle sue forme più varie, con le età diverse, i compiti più disparati, le delicatezze che fanno sentire a chiunque la forza della religione cristiana sulla condotta. Fedeltà, che non subisce ombra di seduzione; carità dell’uno verso l’altro; come cosa normale e piacente, più d’un servizio ottenuto, il servigio offerto; gioia scoppiarne dai volti sereni e volontari, perché sempre tesi verso il piccolo o grave dovere. Parlare improntato alla naturalezza semplice e spontanea; godere senza ansietà o foga, lavoro e diporto, sempre come dovere e diritto della vita, senza un pensiero di stanchezza per il primo o di abuso per il secondo. E poiché tutto si svolge in armonia con la divina legge, anche i corpi sono di solito sani. La salute dei grandi è assicurata dalla frugalità, quella dei piccoli dall’obbedienza; quella di tutti dal costume semplice e devoto alla legge austera del vivere a servizio del Signore. La sobrietà sostiene le energie d’ognuno, poiché chi è padrone della gola rinvigorisce la volontà e così raddoppia le forze morali. La delicatezza, che sveglia la sensualità, è cagione di molti disordini e morali e fisici. Tu sai leggere negli occhi, che irraggiano, in codeste famiglie nutrite di Dio, la intima pace nell’equilibrio dei sentimenti e nella intera soggezione al precetto divino. Ma avverti altresì, che sovente accanto a queste vivono le famiglie disordinate e senza legge. Forse che possono esse tollerare il contrasto che le umilia e le urta? Ed eccole in armi per diffamarle, per destare contro di loro il malumore, per dipingerle come singolari e ipocrite e, insomma, meritevoli dell’ostracismo. E spesso anche persone non pessime si accodano a codeste per giustificare la persecuzione contro i buoni, che sono sempre luce fastidiosa all’occhio malato.

CHIAMATE ALL’ALTO

Se poi passiamo dalla onestà familiare alla vita religiosa ed ecclesiastica, scorgiamo anche meglio l’intolleranza del maligno, che rimarrà sempre terribilmente seccato dalla virtù. Si osservi, che le vocazioni ecclesiastiche o religiose comunemente sbocciano dalle famiglie cristiane migliori. Le eccezioni ci sono, ma non sono frequenti e indicano piuttosto una sorta di prodigio che avviene nella coscienza illuminata dallo Spirito Santo. Bisogna riconoscere, che la vocazione spesso anche nelle migliori famiglie desta una preoccupazione avversa. Ma se in questa è per il timore dell’illusione e dell’errore forse irreparabile, nelle altre l’opposizione nasce da ragione d’interesse, come la volontà di guadagno, la speranza di avere nel figlio o nella ragazza un appoggio per la vecchiaia, la vanità e la ambizione, forse anche, d’un buon partito e di avanzare nella scala sociale. L’opporre qualche difficoltà è cristiana prudenza e mira a provare la sincerità della vocazione; ma l’insistenza e l’uso delle forme violenti sono sommamente riprovevoli. Tradiscono infatti la concezione mondana della vita e l’antipatia per queste schiere di anime, che nella Chiesa stanno dal principio della sua storia come strumenti insostituibili a beneficio dell’umanità. Il loro sacrificio infatti è condizione di innumerevoli vittorie dell’opera di Dio. Non si può pertanto ammettere, che un Cristiano sincero opponga resistenza insormontabile ai propri figli, chiamati a dare un così ambito contributo di attività a servizio della Chiesa. – Non il loro amore verso la famiglia s’è spento, ma è venuto ad accendersi un nuovo amore grande per Gesù e per il prossimo. E i figli e le figlie offerti a Dio rimarranno i più disinteressati, tenaci e fedeli nella loro dilezione alla famiglia abbandonata. Oltre a questo, solo essi le daranno il frutto delle loro fatiche, sovente misconosciute e negate, e rappresenteranno la più sicura benedizione. – Il celibato e la verginità, l’apostolato della intelligenza o la carità dei corpi, la dedizione a prò delle vite menomate e inferme, dei deficienti e minorati dalla nascita, sono le prove della vocazione. Ma la radice di essa non è quella che talvolta muove gli spiriti comuni: la pietà verso la miseria umana, la compassione per la disgrazia fisica o spirituale; bensì l’amore di Dio. Soltanto se vibra questo unico sentimento si ha l’energia dell’eroismo. Il quale non ha da fare nulla con quello umano, che dura un attimo e che sa talora più di disperazione che di vera forza, ma l’eroismo della vita eterna. L’eroismo d’ogni giorno d’ogni ora, d’ogni anno sino alla morte.

OLOCAUSTO

Vuoi sentire da una di codeste anime la commozione che la portò alla offerta libera della vita? Leggi santa Caterina da Genova, una patrizia, che conobbe il fasto, ma che seppe anche scoprire l’oggetto dell’amore eterno. – « O anima felice, anima beata che hai gioito di questo amore; tu non puoi più gustare né vedere altra cosa, poiché questa è veramente la tua patria per la quale fosti creata! O dolcissimo amore, sconosciuto, chiunque t’ha gustato non può vivere senza di te! O uomo! Tu, che sei creato per questo amore, come mai potrai contentarti senza questo amore? come essere in riposo, come vivere? Tu trovi in esso tutto ciò che puoi desiderare e con una soddisfazione tanto grande che è impossibile esprimerla né figurarsela. Colui che saprà esprimere bene il sentimento d’un cuore scaldato dall’amore di Dio farà sciogliersi o spezzare gli altri cuori, fossero essi più duri del diamante e più ostinati del demonio ». (Dialoghi., II, 4). È per questo, che le loro opere sono tutta fiamma di carità, tutto splendore di bellezza, e candore di semplicità trasparente e ingenua, giacché nulla hanno da nascondere né da sofisticare. Le opere sono l’espressione irrompente dell’amore più alto, più santo, dell’unico grande amore. Né stupisce allora l’odio con cui satana li perseguita. Ma non avvenga, che Cristiani fedeli si lascino travolgere da istinti umani, non illuminati dalla fede, a contrastare la vocazione. Bisogna saperla difendere, riconoscerla ed esaltarla. Se il caso lo impone, metterla in valore e farne risaltare i meriti religiosi e sociali; essa è una forma comune di incarnazione di Dio, che si ripete nei secoli cristiani a redenzione dell’umanità sempre miserabile e sviata. È il mezzo con cui Cristo riscatta via via la schiava, che misconosce la sua libertà e la vende e prostituisce per un nulla, che sono tutte le soddisfazioni del peccato. La beatitudine di questi eletti comincia subito ora, è un compenso immediato, un premio che noi constatiamo con i nostri occhi. Ma poi li vedremo coronati di gloria e colmati di felicità. Accanto al Martire della giustizia per tutti i secoli. Neque esurìent, neque sitient amplius, nec cadet super illos sol, neque ullus æstus (Apoc, VII, 16). Non proveranno più la fame, né la sete, non sentiranno più l’ardore del sole, né alcuna intemperia ».

V.

PREPARARE I GIOVANI

A BATTERE LA LORO STRADA

Non educate i figli ad alcuna forma di viltà. Questa « beatitudine » dice come si debba essere beati quando s’è presi di mira da una ingiusta persecuzione. L’amore delle giustizia prepara anche codeste sorprese, che poi si risolvono in benefici preziosi e augurabili.

L E STRADE OVATTATE E SICURE

È forse raro il caso di genitori i quali hanno troppa cura di preparare ai loro figlioli tutte le strade ovattate e scevre da fatiche e da inciampi? E notisi, non perché occorra cercarli o provocarli, dato che ve n’ha molti, e vengono da sé; ma per la estrema paura d’ogni disagio e delle più piccole privazioni o rinunce. Devono, secondo il loro modo di concepire la vita, passarla liscia liscia, senza scosse; e a qualunque costo. Ma per garantirsi questa immunità, i buoni genitori non si peritano di acconsentire a compromessi e di indurre i figli ad accettarli sempre che si possa, senza altre compromissioni maggiori. Una tale educazione è errata alla partenza, come già sopra s’è varie volte prospettato. È l’educazione alla paura, alla viltà. Il giovane formato a siffatto metodo di vita, per cui debba calcolare il danno o il vantaggio per giudicare la moralità d’un’azione, sarà uno schiavo, uno spregevole servitore del violento. Anche se farà la posizione agognata, non potrà godere la stima di alcuno (neppure dei suoi padroni), né avrà la coscienza in pace, poiché la vergogna della sua condizione morale lo farà abbietto a se medesimo. – La teoria della soggezione al più forte non è stata insegnata da Cristo. L’evitare i fastidi, le « grane » a tutti i costi, non avvia un giovine sulla strada dell’onore. Ma non devesi mai credere sulla parola colui, che non vi è coerente nell’azione. Mille volte un pane guadagnato a frusto a frusto, che una propina lauta e fastosa, a prezzo della dignità. Se non che il mondo ragiona diversamente; e noi non abbiamo che a tenerne conto, non per compatirlo o seguirlo, ma per giudicare con criteri opposti.

ABITUDINI DI VILTÀ

Una delle forme di soggezione ispirate dalla viltà, consiste nell’adattamento al gergo e alle abitudini di servilismo, che fanno strada nel mondo. Il sacrificio della naturalezza, della spontaneità è un segno evidente di rinuncia e di servilità. Il giovine non ama questi atteggiamenti artificiosi. Egli sente piuttosto piacere ad affermare le sue qualità peculiari, che a farne sacrificio per ottenere protezione o benevolenza. Preferisce la manifestazione spontanea del tipo suo e del suo criterio di vita conforme alla educazione del Vangelo. « Sì, sì, no, no ». Tutto quello che non è in questi termini è per il giovane almeno sospetto d’inganno. Ed egli, poco esperto delle abitudini della vita mondana, ne nutre schietta ripugnanza. Bisogna preparare i giovani alla naturalezza, tanto simpatica; alla chiarezza di espressione e all’affermazione, modesta e misurata fin che si vuole, ma aperta e senza doppiezze. Né questo è singolarità. La legge dell’ordine e della dignità appare presente di continuo nella storia umana, e con Cristo è diventata il patrimonio di tutti i suoi veri seguaci. La persecuzione non ha peso nel conflitto fra la giustizia e l’interesse materiale. Vorrei dire, che colui il quale ama la giustizia ha gusto di trovare malagevole la strada che ve lo conduce. È il piacere dell’amore difeso e onorato; è la soddisfazione di vedersi la meta agognata; e il premio antecedente la stessa vittoria. I giovani sani entrano facilmente in questo criterio e giudicano secondo una vena di moderato eroismo e di ragionata ostentazione. Nutrono un chiaro disprezzo della persecuzione, come mezzo di sopraffazione della giustizia. Ed è testimonianza della rettitudine di quelli i quali non sono ancora compromessi con il male. I giovani appaiono il documento vivo delle tendenze della natura ed essi ci si presentano piuttosto con carattere di indipendenza e di una spiccata personalità. Poi le circostanze vengono ad attenuare e tanto spesso anche a soffocare l’impulso alla spontanea affermazione di essa. Occorre pertanto, che i genitori e gli educatori si guardino dell’insegnare ai giovani la strada delle timidezze e dei compromessi. Che cosa può essere per loro di maggiore soddisfazione, che degli allievi capaci di guardare la vita in faccia e di affrontarne le difficoltà con animo generoso? Naturalmente per questo necessita la disposizione di sopportare sovente anche il danno. O forse una tale prospettiva deve intimidire un animo cristiano? Non posso vincere la tentazione che mi prende di citare una pagina biografica di Newman, per dimostrare come fosse la sua linea spirituale. Essa portava in sé tanto fermento di quelle novità, le quali ebbero benefico influsso nella sua patria e fuori. La cito per mostrare quanta fosse la semplicità di questa grande anima. Essa fu ben lontana dall’equilibrarsi e dalle decisioni diplomatiche proprie degli spiriti angusti e divorati dall’ambizione. Osservate attentamente dove si appiatti la sollecitudine di far bella figura e di adattarsi, di proporzionarsi, e di conquistarsi il buon nome e le riverenze. « Chiunque — scrisse l’indomani della morte del cardinale uno dei suoi amici più intimi — chiunque ha seguito con attenzione la carriera del Newman, ha dovuto sentirsi colpito da questo tratto del suo carattere, la naturalezza, la viva e libera semplicità con la quale egli parlava ad un amico o esprimeva la sua opinione, l’assenza di ogni sorta d’affettazione e di formalismo. Doveva talvolta, per necessità, portare le insegne della sua dignità (negli anni della sua maturità era cardinale); si poteva scorgere insieme la piena obbedienza all’autorità che gli imponeva la porpora, ma anche la sua impazienza sorridente, per vedersi vestito di tanta maestà. Non accoglieva come amici particolari se non coloro con i quali potesse (come si dice) parlare in manica di camicia; e giudicava con severità un amico troppo cerimonioso e formalista. Tutto ciò che avesse un sapore di unreality, ogni pomposità, solennità di portamento, affettazione, lo impazientava. Ma più che tutto lo disgustava quando lo si faceva oggetto d’una ammirazione beata. Lui, un eroe, un profeta; la sola idea lo faceva andar fuori dai gangheri ».

INCOMPRENSIONE NEI FELICI

Come accadde, tale atteggiamento gli procurò fastidì e incomprensioni. Ma non è anche questo affrontare in qualche senso la persecuzione per amore di giustizia? Davanti agli esempi, che poi nella vita appaiono ripugnanti, di ricerca della simpatia, dell’ossequio e della popolarità a qualunque prezzo, questo criterio di condotta è veramente evangelico ed anche perciò sommamente imitabile. Una dama, con la quale egli aveva scambiato qualche lettera, venne a visitarlo a Oxford, mentre era ancoa anglicano. Ne fu delusa e ne scrisse in tono modesto a Newman, come « per raggiustare i lembi del suo sogno », dice Bremond nella meravigliosa biografia psicologica del grande uomo. Ecco la risposta. « Quanto a me. siate sicura che, se voi tornerete a vedermi, tutto sarà esattamente come l’altro giorno. Io non sono affatto, ma niente affatto venerabile e nulla mi può rendere tale. Io sono come sono. Somiglio a chiunque altro, e, dove non ci sia male, non ho ragione per astenermi da pensieri e da sentimenti uguali a quelli di chiunque. Io non posso parlare come un libro, ciò che qualcuno fa senza sforzo. Non fatevi delle idee e sbagliate sul conto mio. Chiunque mi conosce, non sogna neppure di soffocarmi con segni di ossequio e di deferenza. È il mio desiderio più caro e la mia supplica, che nessuno mi tratti così. Non fui mai su un piedistallo, né ho mai ricevuto inchini. Non li potrei tollerare. Per dire tutto, io ho la debolezza di ricevere duramente coloro che a me vengono con un atteggiamento di deferenza ». E questo, se sa un poco dell’orso, quanto insegna ad un mondo che affoga, non dico nelle dichiarazioni di quel rispetto che è d’uomini consapevoli dei rapporti sociali, ma nelle esaltazioni, ipocrite e nelle corrispondenti dimostrazioni di soggezione, che dicono spesso perfettamente il contrario di ciò che è dentro l’animo. Sicché « beati i perseguitati per amore di giustizia » e di verità. Beati quelli i quali sopportano volontariamente il peso della loro sincerità e della semplicità del loro costume; quelli che dicono ciò che hanno dentro, che fanno ciò che il dovere e come il dovere impone; ma che insieme sono soddisfatti del frutto della fatica, senza enfasi, smorfie e viltà. E non sarà dunque lecito ripetere: « Beati i perseguitati » anziché i fortunati? Con questi è il mondo in tutte le sue forme basse e piccine, con quelli è il Vangelo di Cristo Signore, che fu il vessillifero d’ogni schiettezza, il nemico d’ogni ipocrisia. Che egli salvi i suoi dall’inganno del formalismo. Nei rapporti sociali essi siano maestri di semplicità e di sarà  verità a servizio della carità.

VI.

SARÀ IN CIELO LA PIENA BEATITUDINE

GRAZIE AL MEDICO DIVINO

Tutte le considerazioni venute su dal cuore e distese in queste rapide pagine, sincere fino all’evidenza, hanno un valore relativo. Che cosa miriamo con esse, se non a temperare un’arsura, ma senza l’illusione di soddisfare la nostra sete? – È pertanto una sorta di ricerca di calmanti, che sappiamo essere effimeri, questo nostro sforzo. Non rimane tuttavia senza effetti promettenti. Il dolore attenuato non affatica troppo, non stanca, non arresta la salita della vita. E il calmante consente di arrivare alla meta. Ciò che importa è la natura della medicina. Non deve essere per altre vie nociva. Ma se davvero sana è, se è fatta di ingredienti utili e combinati abilmente, così da conservare le proprietà iniziali e da concordare ciascuna al comune scopo, siano benedetti la medicina e il chimico, che l’ha spremuta dal suo ingegno. Non possiamo noi pertanto ringraziare il Signore Gesù? – Le « Beatitudini », riferite da Matteo nella forma compiuta e che io ho preso a meditare, sono il calmante e la medicina prodigiosa, che il Cuore di un Dio fatto nostro fratello, ci ha ammannito come mezzo di energia e di saggezza, nella vicenda di questa nostra esistenza, dove si incontrano fattori di bontà, di bellezza, di gioia e di incoraggianti promesse, insieme ad elementi purtroppo deprimenti, sconfortanti e talora disperanti. Queste otto parole del Signore ci furon date a tale fine, di renderci il peso leggero e la soddisfazione sufficiente, di svelare il pericolo per farci atti a superarlo felicemente, di rafforzare la nostra resistenza per andare incontro a tutte le forme del dovere senza sbandare dalla paura, dall’incertezza o dal panico fatale. L’averle meditate e studiate lungamente, sotto i diversi aspetti, che la vita nostra di questa epoca singolare ci offre, ne ha certo rivelato un succo di salute, di forza e di costanza. Sentiamo, spero, che non siamo esseri sperduti su questo pianeta, per la crudeltà d’un Creatore insensibile alle nostre difficoltà c alle debolezze della natura. Avvertiamo, al contrario, di essere vigilati assistiti carezzati da un occhio attento benevolo e amoroso. Sappiamo chiaramente e sicuri, che quest’occhio è guidato da un cuore sommamente buono e caritatevole, da una volontà potente e decisa di plasmare gli stessi esterni avvenimenti secondo un piano di benevolenza paterna.

ALLE EDUCATRICI

Non posso nascondere un’altra circostanza riguardante la nascita di questo libretto. Esso fu scritto per invito della Presidenza dell’Unione Donne di Azione Cattolica. Benché lo svolgimento non abbia rispettato i limiti intesi da essa, il mio intento di somministrare alle Donne della nostra amata Patria un sussidio, pur tenue, per aiutarle nel compimento della loro missione mi pare in certa misura raggiunto. Ho avuto sempre davanti agli occhi questa donna italiana. Essa ha il merito di conservare nel mondo il primato della religiosità familiare e della morale cristiana. Di essa possiamo concepire le speranze migliori per l’avvenire, poiché nella sua grande maggioranza si mantiene salda e compatta intorno ai principii di vita emananti dal Vangelo e che ci vengono inculcati dalla nostra Madre Chiesa. L’essere la nostra la famiglia più prossima alla Sede del Vicario di Cristo, ne fa quasi un vessillo e un emblema che Egli possa talvolta mostrare al mondo. Voglia Iddio, che essa perseveri e migliori su questa sicura strada, collaudata dai secoli e benedetta da Dio. La tradizione cattolica della famiglia, checché se ne dica, all’eco di certi pregiudizi, che traversano i tempi ma non intaccano la verità, è la più aderente al pensiero di Cristo, dalla Chiesa conservato puro e intatto. L’unica Nazione al mondo, forse, nella quale il divorzio non ebbe il più modesto successo, fa onore alle sue donne e queste la onorano. [Purtroppo questo primato è stato perduto vergognosamente per l’opera ed il contributo dei cani muti, delle jene vestite da agnelli, i falsi prelati massoni della quinta colonna infiltranti la Chiesa ed usurpanti cattedre e istituti religiosi, che hanno minato dalle fondamenta il tempio cattolico morale e dottrinale italiano e mondiale, travolgendo donne e famiglie in primis … alberi marci dai frutti bacati e corrotti, servi dell’anticristo insediati nei sacri palazzi dell’urbe …- ndr. -]. Esse sono eccellenti per la robustezza del buon senso, che respinge, nel suo insieme, la procacità di mode straniere; per la serietà dell’amore alla casa, curata nel casto solco dei più austeri principii; per il culto della Religione, nella quale essa trova il sostegno massiccio e lo stimolo acuto per ogni dovere; per la sodezza del metodo educativo, sicché i figli loro, nonostante tutte le deficienze, crescono in un ambiente di sano amore, di rispetto scrupoloso, di austerità serena e parca ad un grado unico. A codeste donne, spose e madri o educatrici che siano, questo libretto sulle « Beatitudini » è dedicato. È scritto per esse. Venne steso con l’occhio di continuo fisso su di loro, come per scoprire i rapporti, i richiami, gli echi che dalla mirabile pagina del Vangelo passano alle guide della nostra gioventù. Talvolta l’argomento ha costretto lo scrittore a indugiare su temi particolarmente vasti e implicanti fenomeni più sociali, che familiari; tuttavia anche queste pagine offriranno all’occhio attento e allo spirito accorto della lettrice, posata e lenta, lo spunto personale atto a svegliare in cuore una sollecitudine rilevante e opportuna. Il cuore sovrattutto avrà modo di trasalire talvolta e di sentirsi tutto preso, in talune considerazioni, dove la responsabilità della educatrice risulta maggiormente impegnata. Anche i punti scabrosi e delicati verranno tuttavia osservati con occhio sereno e comprensivo e daranno il frutto inteso. Ma sappiamo bene che tutto questo non si limita a quaggiù. Che cosa sarebbe la nostra appassionata sete di felicità, se dovessimo contentarci di una misura così ristretta e che non esclude il sospiro insaziato?

LA META SOVRANA

Noi guardiamo assai più lontano e più alto. Teniamo l’occhio volto al Cielo dove le ansie si placano e i desideri vengono appagati infinitamente. Al Paradiso mirano le nostre aspirazioni senza limiti e senza rinunce. Al Paradiso volano dì per dì i nostri pensieri, dove sappiamo quante anime, a noi ben note, sono giunte e ci aspettano con l’affetto diventato più retto, più disinteressato, più intero. A quelle miriadi di spiriti, che a Dio offersero il frutto della loro fatica di quaggiù, noi pensiamo e sospiriamo, umili e fidenti. Beatitudine piena è soltanto in essi. Donde l’asprezza della nostra è scomparsa, rimanendo soltanto gli elementi positivi di soavità gaudiosa… Lassù i poveri sono diventati i ricchi effettivamente e con assoluta interezza; perché il Signore ha consegnato loro tutto il suo patrimonio di felicità. I miti sono riconosciuti per tali e amati e onorati. Posseggono tutto e tutti nel gesto della loro benignità compiacente e longanime. Dio li onora. Lassù, i dolenti sono consolati, così da ringraziare il ricordo del male sofferto e da benedirlo. Lassù i famelici e gli assetati di giustizia vedono effettuato il loro sogno siffattamente da sentirsene colmi e ripagati in misura pigiata, scossa e strabocchevole. Oh! i mondi di cuore sentono quanto bene si sono opposti al sudiciume di questa terra, dove la mondezza era guardata come angustia di cuore e inettitudine al godere. Ora vedono capovolti i criteri e avvertono da lontano i gemiti dei pentimenti tardivi e delle impossibili resipiscenze. L’Agnello è fissato dai loro occhi ed essi lo seguono per sempre in una dovizia di appagamenti ineffabili, e cantano l’Inno che solo dice alfine la loro trionfale vittoria. Dio lassù chiama suoi « figli » i pacifici. L’aver lottato per mettere pace nel mondo li fa sovrani e centro di ammirazione. La loro pace interiore li rende luminosi di una luce che tutto vede giusto e dolcemente in Dio. E tutti gli spiriti celesti gridano ai perseguitati della terra: « Orsù, possedete e godete il Regno dei Cieli; è vostro per diritto di conquista e Dio ve lo dona in tutta la sua vastità… Avete ben combattuto e siete coronati ». – Qui, pertanto, abbiamo un piccolo e sufficiente saggio della ricchezza e lautezza di Dio; lassù il possesso pieno. Al Cielo teniamo dunque levato l’occhio. Il Cielo è fatto per tutti. Gesù ha detto che « è in noi », per farci intendere questa nostra destinazione superiore e definitiva. Esso è lo sviluppo del bene, da questa vita sino ai confini dell’altra, dove ha compimento. Il suo segno è la felicità. « Io vi dissi queste cose, affinché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia perfetta ». Il più miserabile degli uomini non disperi della sua fortuna, egli « ha ancora un regno intero ». – Nel Cielo il bene sarà soddisfazione, ma non senza nuova speranza. Dal suo interno il bene posseduto ha uno sviluppo continuo e proporzionato al merito di ciascuna anima beata. Ora tutto questo è difficile e oscuro. L’unione con Dio stabilitasi quaggiù, si farà più «sensibile» e goduta, più totale. «Ci sono tante dimore nella casa del Padre mio », ha detto il Signore. Ciascuno di noi troverà la « beatitudine » alla quale si è andato preparando in questa vita di prova.

« E la carità rimane ».

[Fine]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.