CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: DICEMBRE 2021

CALENDARIO LITURGICO CATTOLICO DEL MESE DI DICEMBRE 2021

Dicembre è il mese che la Chiesa Cattolica dedica all’Avvento del Salvatore, e alla Vergine Immacolata.

PRATICA DELL’AVVENTO

Vigilanza.

Se la santa Chiesa, madre nostra, passa il tempo dell’Avvento in questa solenne preparazione alla triplice Venuta di Gesù Cristo; se, sull’esempio delle vergini savie, tiene la lampada accesa per l’arrivo dello Sposo, noi che siamo le sue membra e i suoi figli, dobbiamo partecipare ai sentimenti che la animano, e prendere per noi quell’avvertimento del Salvatore: « Siano i vostri lombi precinti corre quelli dei viandanti; nelle vostre mani brillino fiaccole accese; e siate simili a servi che aspettano il loro padrone» (Lc. XII, 35). Infatti, i destini della Chiesa sono anche i nostri; ciascuna delle anime è, da parte di Dio, l’oggetto d’una misericordia e d’un’attenzione simili a quelle che egli usa nei riguardi della Chiesa stessa. Essa è il tempio di Dio perché composta di pietre vive; è la Sposa perché è formata da tutte le anime che sono chiamate all’eterna unione. Se è scritto che il Salvatore ha acquistato la Chiesa con il suo sangue (Atti XX, 28), ognuno di noi può dire parlando di se stesso, come san Paolo: Cristo mi ha amato e si è sacrificato per me (Gal. II, 20). Essendo dunque uguali i destini, dobbiamo sforzarci, durante l’Avvento, di entrare nei sentimenti di preparazione di cui abbiamo visto ripiena la Chiesa.

Preghiera.

E innanzitutto, è per noi un dovere di unirci ai Santi dell’Antica Legge per implorare il Messia, e soddisfare così quel debito di tutto il genere umano verso la divina misericordia. Onde animarci a compiere questo dovere, trasportiamoci con il pensiero nel corso di quelle migliaia di anni rappresentate dalle quattro settimane dell’Avvento, e pensiamo a quelle tenebre, a quei delitti di ogni genere in mezzo ai quali si agitava il vecchio mondo. Che il nostro cuore senta viva la riconoscenza che deve a Colui che ha salvato la sua creatura dalla morte, e che è disceso per vedere più da vicino e condividere tutte le nostre miserie, fuorché il peccato! Che esso gridi, con l’accento dell’angoscia e della fiducia, verso Colui che volle salvare l’opera delle sue mani, ma che vuole pure che l’uomo chieda ed implori la propria salvezza! Che i nostri desideri e la nostra speranza si effondano dunque in quelle ardenti suppliche degli antichi Profeti che la Chiesa ci mette sulle labbra in questi giorni di attesa. Disponiamo i nostri cuori, nella più larga misura possibile, ai sentimenti che essi esprimono.

Conversione.

Compiuto questo primo dovere, penseremo alla Venuta che il Salvatore vuol fare nel nostro cuore: Venuta, come abbiamo visto, piena di dolcezza e di mistero, e che è la conseguenza della prima, poiché il buon Pastore non viene soltanto a visitare il suo gregge in generale, ma estende la sua sollecitudine a ciascuna delle pecore, anche alla centesima che si era smarrita. Ora, per ben comprendere tutto questo ineffabile mistero, bisogna ricordare che, siccome non possiamo essere accetti al nostro Padre celeste se non in quanto egli vede in noi Gesù Cristo, suo Figlio, questo Salvatore pieno di bontà si degna di venire in ciascuno di noi, e, se noi lo vogliamo, di trasformarci in lui, di modo che non viviamo più della vita nostra, ma della sua. Il fine di tutto il Cristianesimo è appunto di divinizzare l’uomo attraverso Gesù Cristo: questo è il compito sublime imposto alla Chiesa. Essa dice ai Fedeli con san Paolo: « Voi siete i miei figlioletti; poiché io vi dò una seconda nascita, affinché si formi in voi Gesù Cristo » (Gal. IV, 19). – Ma, come nella sua apparizione in questo mondo il divino Salvatore si è dapprincipio mostrato sotto le sembianze d’un bambino, prima di giungere alla pienezza dell’età perfetta che era necessaria perché nulla mancasse al suo sacrificio, egli intende prendere in noi gli stessi sviluppi. Ora è nella festa di Natale che si compiace di nascere nelle anime, e diffonde per tutta la sua Chiesa una grazia di Nascita alla quale, purtroppo, non tutti sono fedeli. Ecco, infatti la situazione delle anime all’avvicinarsi di quella ineffabile solennità. Alcune, ed è il numero minore, vivono pienamente della vita del Signore Gesù che è in esse, ed aspirano in ogni istante all’aumento di tale vita. Altre, in numero maggiore, sono vive, sì, per la presenza del Cristo, ma sono malate e languenti, non desiderando il progresso della vita divina, perché la loro carità si è raffreddata (Apoc. II, 4). Il resto degli uomini non gode di questa vita, e si trova nella morte; poiché Cristo ha detto: Io sono la Vita (Gv. XIV, 6). – Nei giorni dell’Avvento, il Salvatore va a bussare alla porta di tutte le anime, in una maniera ora sensibile, ora nascosta. Viene a chiedere se hanno posto per Lui, affinché possa nascere in loro. Ma, benché la casa che egli chiede sia sua, poiché lui l’ha costruita e la conserva, si è lamentato che i suoi non l’hanno voluto ricevere (Gv. 1, 11), almeno il numero maggiore tra essi. «Quanto a quelli che l’hanno ricevuto, ha concesso loro di diventare figli di Dio, e non più figli della carne e del sangue » (ibid. 12, 13). Preparatevi dunque a vederlo nascere in voi più bello, più radioso, più forte di come l’avete conosciuto, o anime fedeli che lo custodite in voi stesse come un prezioso deposito, e che da lungo tempo, non avete altra vita che la sua, altro cuore che il suo, altre opere che le sue. Sappiate cogliere, nelle parole della Liturgia, quelle che fanno per il vostro amore, e che commuoveranno il cuore dello Sposo. Aprite le porte per riceverlo nella sua nuova venuta, voi che già l’avevate in voi, ma senza conoscerlo; che lo possedevate, ma senza gustarlo. Egli torna con una nuova tenerezza; ha dimenticato il vostro rifiuto; vuole rinnovare tutte le cose (Apoc. XXI, 5). Fate posto al celeste Bambino, che vuol crescere in voi. Il momento è vicino: che il vostro cuore, dunque si desti; e perché non vi abbia sorpreso il sonno quando Egli passerà, vegliate e pregate. – Le parole della Liturgia sono anche per voi; perché esse parlano di tenebre che Dio solo può dissipare, di piaghe che solo la sua bontà può risanare, di languori che cesseranno solo per sua virtù. – E voi, Cristiani, per cui la buona novella è come se non ci fosse perché i vostri cuori sono morti per il peccato, sia che questa morte vi tenga stretti nei suoi lacci da lunghi anni, sia che la ferita che l’ha causata sia stata inferta più di recente alla vostra anima, ecco venire colui che è la vita. « Perché dunque vorreste morire? Egli non vuole la morte del peccatore, ma vuole che si converta e viva » (Ez. XVIII, 31). – La grande Festa della sua Nascita sarà un giorno di misericordia universale per tutti quelli che vorranno lasciarlo entrare. Questi ricominceranno a vivere con Lui; ogni altra vita precedente sarà abolita, e sovrabbonderà la grazia là dove prima aveva abbondato l’iniquità (Rom. V, 29). – E se la tenerezza e la dolcezza di questa misteriosa Venuta non vi attraggono, perché il vostro cuore non potrebbe ancora comprendere la fiducia o perché, avendo per lungo tempo ingoiato l’iniquità come l’acqua, non sapete che cosa significhi aspirare mediante l’amore alle carezze d’un padre di cui avevate disprezzato gli inviti, pensate alla Venuta piena di terrore che seguirà quella che si compie silenziosamente nelle anime. Sentite lo scricchiolio dell’universo all’avvicinarsi del terribile Giudice; osservate i cieli che fuggono davanti a Lui, e si aprono come un libro alla sua vista (Apoc. VI, 41); sostenete, se ne siete capaci, il suo aspetto, i suoi sguardi fiammeggianti; guardate senza fremere la spada a doppio taglio che esce dalla sua bocca (ibid. 1, 16); ascoltate infine quelle grida di lamento: 0 monti cadete su di noi; rocce, copriteci, toglieteci alla sua vista terrificante (Lc. XXIII, 30)! Sono le grida che faranno risuonare invano le anime sventurate che non hanno saputo conoscere il tempo della visita (ibid. 23, 19, 44). Per aver chiuso il loro cuore a quell’Uomo-Dio che pianse su di esse – tanto le amava! – scenderanno vive nel fuoco eterno la cui fiamma è così bruciante che divora il germe della terra e le fondamenta più nascoste dei monti (Deut. XXXII, 22). Ivi si sente il verme eterno d’un rimorso che non muore mai (Mc. IX, 43). – Coloro, dunque, i quali non si sentono commossi dalla dolce notizia dell’avvicinarsi del celeste Medico, del generoso Pastore che dà la vita per le sue pecorelle, meditino durante l’Avvento sul terribile, eppure incontestabile mistero della Redenzione, resa inutile dal rifiuto che l’uomo oppone troppo spesso di associarsi alla propria salvezza. Misurino le loro forze, e se disprezzano il bambino che sta per nascere (Is. IX, 6), pensino se saranno in grado di lottare con il Dio forte, il giorno in cui verrà non più a salvare, ma a giudicare. Per conoscerlo più da vicino, questo Giudice davanti al quale tutto deve tremare, interroghino la sacra Liturgia: qui impareranno a temerlo. – Del resto, questo timore non è soltanto proprio dei peccatori; è un sentimento che ogni Cristiano deve provare. Il timore, se è da solo, rende schiavi; se compensa l’amore, conviene al figlio colpevole, che cerca il perdono del padre adirato; anche quandol’amore lo spinge fuori (Gv. IV, 18), esso ritorna talora come un subitaneo lampo, e il cuore fedele ne è felicemente scosso fin nelle fondamenta. Sente allora ridestarsi il ricordo della sua miseria e della misericordia gratuita dello Sposo. Nessuno deve dunque disperarsi, in questo sacro tempo dell’Avvento, dall’associarsi ai pii timori della Chiesa che, per quanto amata, dice spesso nei suoi Uffici: Trafiggi la mia carne, 0 Signore, con il pungolo del tuo timore! Ma questa parte della Liturgia sarà utile soprattutto a coloro che cominciano a consacrarsi al servizio di Dio. – Da tutto ciò, si deve concludere che l’Avvento è un tempo consacrato soprattutto agli esercizi della Vita Purgativa; come indicano quelle parole di san Giovanni Battista, che la Chiesa ci ripete così spesso in questo sacro periodo: Preparate le vie del Signore! Ciascuno, dunque, operi seriamente a spianare il sentiero attraverso il quale Gesù entrerà nella sua anima. I giusti, secondo la dottrina dell’Apostolo, dimentichino ciò che hanno fatto nel passato (Filip. III, 13), e attendano a nuovi impegni. I peccatori cerchino di rompere subito i legami che li tengono stretti, di lasciare le abitudini che li fanno prigionieri; castighino la carne, e diano inizio al duro lavoro di sottometterla allo spirito; preghino soprattutto con la Chiesa; e quando il Signore verrà, potranno sperare che non rimarrà sulla soglia della porta, ma entrerà, perchè egli ha detto: « Ecco che io sono alla porta e busso; se qualcuno sente la mia voce e mi apre, entrerò da lui » (Apoc. III, 20).

(Dom Guéranger: l’Anno Liturgico)

Queste sono le feste del mese di Dicembre:

2 Dicembre S. Bibianæ Virginis et Martyris    Semiduplex

3 Dicembre S. Francisci Xaverii Confessoris    Duplex majus

                        PRIMO VENERDI

4 Dicembre S. Petri Chrysologi Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

                       PRIMO SABATO

5 Dicembre Dominica II Adventus – Semiduplex II. Classis

                      S. Sabbæ Abbatis

6 Dicembre S. Nicolai Episcopi et Confessoris   – Duplex

7 Dicembre S. Ambrosii Episcopi Confessoris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

8 Dicembre In Conceptione Immaculata Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis

10 Dicembre S. Melchiadis Papæ et Martyris    Feria

11 Dicembre S. Damasi Papæ et Confessoris    Duplex

12 Dicembre Dominica III Adventus  – Semiduplex II. classis

13 Dicembre S. Luciæ Virginis et Martyris    Duplex

15 Dicembre Feria IV Quattuor Temporum Adventus    Feria privilegiata

16 Dicembre S. Eusebii Episcopi et Martyris    Semiduplex

17 Dicembre Feria VI Quattuor Temporum Adventus    Feria privilegiata

18 Dicembre Sabbato Quattuor Temporum Adventus    Feria privilegiata

19 Dicembre Dominica IV Adventus    Semiduplex II. classis

21 Dicembre S. Thomæ Apostoli – Duplex II. classis

24 Dicembre In Vigilia Nativitatis Domini  –  Duplex I. classis

25 Dicembre In Nativitate Domini – Duplex I. classis

26 Dicembre Dominica Infra Octavam Nativitatis – Semiduplex Dominica minor

                      S. Stephani Protomartyris    Duplex II. classis

27 Dicembre S. Joannis Apostoli et Evangelistæ – Duplex II. classis

28 Dicembre Ss. Innocentium  –  Duplex II. classis

29 Dicembre S. Thomæ Episcopi et Martyris – Duplex

31 Dicembre S. Silvestri Papæ et Confessoris    Duplex

Die septima post Nativitatem    Feria privilegiata

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (3)

LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (3)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE PRIMA.

LE PRIME QUATTRO ETÀ DELLA CHIESA.

CAPITOLO PRIMO.

LA PRIMA ETÀ DELLA CHIESA.

La prima età della Chiesa è rappresentata dalla prima Chiesa, il primo sigillo, la prima tromba e la prima lode. Comprende i tempi apostolici dalla nascita di Gesù Cristo fino alla prima persecuzione romana sotto l’imperatore Nerone (sec. Holzhauser, tom. I, pp. 82-105, Wüilleret-Holzhauser) .

ARTICOLO PRIMO.

La chiesa di Efeso è la prima; il suo nome e la sua storia provano che è la Chiesa della predicazione e dello stabilimento del Cristianesimo.

I. Il nome di Efeso Ἐφεσος [=Efesos] deriva dalla parola greca Ἐφεσις [= Efesis] che significa “protesta”, appello di una sentenza davanti ad un altro tribunale. Abbiamo cercato nel dizionario greco di Planche, e non abbiamo trovato in nessuna parte che questa parola possa essere tradotta in francese o in latino come consiglio, volontà, grande caduta, come dice Holzhauser (t. 1, p . 85, Wüilleret). Non vediamo neppure quale correlazione possa esistere tra questi ultimi significati e la Chiesa di Efeso, che il pio interprete considera con noi come inclusa nella prima età della Chiesa universale, mentre il significato che abbiamo trovato e dato sopra, si accorda molto bene con il carattere dei primi anni della Religione. – Infatti, cosa hanno fatto quelli che chiamiamo Apostoli nel senso proprio e rigoroso della parola? Proclamavano ovunque la dottrina, le sofferenze e la supremazia di Colui che li aveva mandati, il che era uno scandalo per i Giudei e una follia per i Gentili; proclamavano a gran voce la Sua resurrezione e divinità; protestavano contro il giudaismo, il paganesimo, tutte le false religioni, contro gli errori, la morale, i costumi, le massime, la corruzione universale, in una parola, contro il mondo intero. Li abbiamo visti, risvegliando ovunque la coscienza umana addormentata e distorta, portare davanti a questo tribunale che non era più conosciuto, la prova e le prove che stabilivano la divinità di Colui che li aveva inviati. C’è mai stata una protesta così vasta, così radicale? C’è mai stata una rivoluzione più grande e fondamentale di quella che essi operarono in pochi anni? No, non è mai successo niente di simile nel mondo! Qualsiasi uomo che conosce la storia sarà d’accordo. È perché la chiesa di Efeso è la prima in ordine di tempo che i primi inviati di Cristo sono stati chiamati Apostoli. Questo nome, in greco Aποστολος [Apostolos], designa degli inviati che partono alla conquista del mondo, come delle navi armate per la guerra, e che protestano contro una condanna ingiusta. Così il nome della Chiesa di Efeso e quello dei suoi predicatori designano i tempi apostolici o la prima età della Chiesa universale.

II. La storia di questa Chiesa, come scritta da San Giovanni, e come la conosciamo in altri modi, ci porta alla stessa conclusione. I versetti da 2 a 5 del capitolo II dell’Apocalisse descrivono in modo molto preciso il lavoro straordinario e la pazienza sovrumana degli Apostoli che, essendo così pochi, evangelizzarono contemporaneamente la Gallia, l’Italia, la Grecia, l’Asia Minore, la Spagna, la Siria, la Palestina, l’Egitto, l’Etiopia, l’Arabia, la Persia, l’India e persino la Tartaria: Scio opera tua et laborem et patientian tuum, v. 2. et patientiam tuam, et sustinuisti propter nomen meum , et non defecisti, v. 3. (Conosco le tue opere, il vostro lavoro e la vostra pazienza. Avete pazienza, avete persistito per amore del mio nome e non siete venuti meno), essi scacciavano gli spiriti infernali dai corpi che li possedevano, e non potevano sopportare i malvagi. (et non potuisti sustinere malos). Ma due passaggi notevoli denotano nella Chiesa di Efeso, la prima età della Chiesa: uno ci mostra come i dodici pescatori di Galilea, provavano e rigettavano coloro che si dicevano, come essi, Apostoli di N. S. Gesù-Cristo e che non lo erano, come Simon mago: et tentasti eos qui se dicunt apostolos esse et non sunt, et invenisti eos mendaces (avete provato quelli che si dicono apostoli ma non lo sono, e avete scoperto la loro menzogna). L’altro ce li fa vedere detestanti e condannanti le sette dei Nicolaïti, i primi che apparvero ai tempi degli Apostoli e che presero il loro nome da quello di uno dei sette primi diaconi, sebbene si ha luogo di pensare che egli non abbia condiviso i loro errori … sed hoc habes quia odisti facta Nicolaïtarum quæ et ego odi – v. 6 (ed avete questo di buono, che detestate come me le azioni dei Nicolaiti che anche Io odio). Ed è verissimo che rallentò il primitivo fervore … sed habeo adversus te quod charitatem tuam primam reliquisti v. 4 (ma ho verso di te che hai abbandonato la tua prima carità). Si vede anche s. Pietro che lascia furtivamente Roma per sottrarsi alla persecuzione e non rientrarvi se non quando incontra il suo divin Maestro andare a farsi crocifiggere una seconda volta al posto del suo Vicario che fuggiva. È dunque con ogni verità e giustizia che Dio fa questo rimprovero ai primi Cristiani e dice loro: Memor esto itaque unde excideris, et age pœnitentiam, et prima opera fac. Sin autem venio tibi, et movebo candelabrum tuam de loco suo, nisiu pœnitentiam egeris (ricorda da dove sei caduto, e fa’ penitenza, e fate le opere di prima. Altrimenti verrò da voi e cambierò posto al tuo candeliere, se non fate penitenza) (v. 5). – La ricompensa che il Salvatore dà al vincitore durante questa Chiesa è anche legata al primato assegnatogli; questa ricompensa è il nutrirsi del frutto dell’Albero della Vita: Vincenti dabo edere de ligno vitæ, quod est in paradiso Dei mei (al vincitore darò da mangiare dall’albero della vita), v. 7. Dopo 4.000 anni, l’uomo, che era stato espulso dal paradiso terrestre, non si era più nutrito del frutto dell’Albero della Vita; i rifiuti della terra erano il suo unico cibo. Il Redentore promesso viene, e il frutto di quell’albero viene immediatamente restituito alla razza di Adamo in un modo più significativo. Questo frutto non è più un prodotto della terra; è il Salvatore stesso che, dopo essersi già dato all’umanità con la sua incarnazione e morte, si dona a ciascuno di noi nel banchetto eucaristico, innalza l’uomo dalle profondità, molto più in alto di quanto fosse prima del peccato, molto più in alto del Paradiso, e lo fa ascendere alla Divinità, a Dio, che diventa suo Padre (Pater noster qui es in Cœlis). Sappiamo che questa elevazione miracolosa continua in tutta la Chiesa, ma è certo che iniziò nella prima epoca, che fu la prima Chiesa a ricevere questa grazia, che fu essa a renderla pubblica, a proclamarla e a trasmetterla alle epoche successive. – Non c’è nulla, dunque, nei testi relativi alla prima Chiesa, come nella storia, che impedisca di includerla nella prima età del Cristianesimo; al contrario, tutto concorre a farcelo pensare.

ARTICOLO II

Poiché la prima epoca del Cristianesimo è certamente quella del suo stabilimento, della sua propagazione e della sua vittoria sul diavolo, sugli errori e sulle passioni, dobbiamo naturalmente riferirle il primo sigillo, alla cui apertura appare un cavallo bianco montato da un cavaliere che ha un arco in mano, e che, già vittorioso, corre verso nuove vittorie; così da un lato, il colore Bianco rappresenta la bontà, il Cielo, Dio, come abbiamo detto nel §. 5. dell’Introduzione; e dall’altro lato questo cavaliere è ovviamente N.-S. J.-C. che, già vittorioso sulla morte e sul peccato con la sua risurrezione, va a conquistare ancora e a sottomettere il mondo alla sua legge (Et vidi quòd aperuisset Agnus unum de septem sigillis, et audivi unum de quatuor animalibus dicens tanquàm vocem tonitrui: Veni et vide. Et vidi ecce equus albus, et qui sedebat super illum habebat arcum, et data est ci corona, et exivit vincens ut vinceret – E vidi che l’Agnello apriva il primo sigillo, e udii la voce di uno dei quattro animali che diceva con il tuono della terra: “Vieni e vedi“. E vidi un cavallo bianco, e il cavaliere che vi sedeva sopra aveva un arco, e gli fu data una corona, ed egli uscì per conquistare ancora. – Apoc. cap. II, v. 1, 2). Una corona è data a colui che è montato su questo cavallo, è Gesù Cristo fu realmente costituito Re dell’universo dal suo Padre celeste (Ego autem constitutus sum Rex ab eo super Sion montem sanctum ejus, prædicans præceptum ejus. Dominus dixit ad me: Filius meus es tu, ego hodiè genui te. Postula à me, et dabo tibi gentes hæreditatem tuam et pos sessionem terminos terræ. Reges eos in virgâ ferrea, et tanquàm vos figuli confringes eos – Sono stato fatto re da lui su Sion, il monte santo, dove predico la sua legge. Il Signore mi disse: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato, chiedi a me e io ti darò le nazioni come tua eredità e tutta la terra come tuo dominio. Li distruggerai con una verga di ferro e li frantumerai come un vaso di vasaio – Ps. II. v . 6-9).

ARTICOLO III.

    Alla prima età della Chiesa conviene anche il primo Angelo che suona la tromba, e che è molto diverso da quello che versa sulla terra tutte le piaghe contenute nella prima coppa; poiché queste piaghe sono quelle degli ultimi tempi: Plagas novissimas, (Apoc. X. v. 1). Al suono di questa tromba, cadranno dal cielo grandine e fuoco mescolato a sangue. Questo fuoco scende sulla terra; consuma la terza parte della terra, la terza parte degli alberi e tutta l’erba verde (Et primus Angelus tuba cecinit, et facta est grando et ignis mixta in sanguine, et missum est in terram, et tertia pars terræ combusta est, et tertia pars arborum concremata est, et omne fœnum viride combustum est – E il primo Angelo suonò la tromba, e caddero grandine e fuoco mescolato a sangue, che furono mandati sulla terra. La terza parte della terra fu bruciata, la terza parte degli alberi fu consumata e ogni erba verde fu bruciata. – ibid. cap. VIII, v. 7). – Questa grandine, questo fuoco misto a sangue rappresentano le persecuzioni dei Giudei contro i primi Cristiani. Queste iniziarono dopo la discesa dello Spirito Santo e continuarono fino all’inizio delle persecuzioni romane che esse ebbero suscitato. Il fuoco raffigura molto bene la rabbia e l’accanimento che animavano il popolo deicida (Saulus autem spirans minarum et cædis in discipulos Domini, accessit ad Principem sacerdotum, et petiit ab eo epistolas in Damascum in synagogas, ut si quos invenisset hujus viæ viros et mulieres, vinctos perduceret in Jerusalem – Saulo, pieno di minacce e respirando solo il sangue dei discepoli del Signore, andò dal sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, così che se avesse trovato qualcuno di questa setta, maschio o femmina, avrebbe potuto portarlo prigioniero a Gerusalemme. – Act. Apost. cap. IX, v. 1. 2). La grandine è la figura delle carcerazioni, delle confische, dell’esilio, della flagellazione e tutti i vari tormenti che furono inflitti a quei discepoli di Cristo che non furono uccisi; il sangue è quello dei martiri di quel tempo, i primi dei quali furono Santo Stefano e San Giacomo il Maggiore. Questa persecuzione fu meno estesa di quelle che furono ordinate più tardi dagli imperatori romani, perché i Giudei avevano potere solo nel loro paese, e la Chiesa non aveva ancora un gran numero di figli; ma essa si estese a tutta la Palestina, che è la terra di cui parla San Giovanni; raggiunse i semplici fedeli che sono presentati da “tutto ciò che è verde” e ha la vita dell’anima; colpì gli Apostoli e i ministri che sono “gli alberi che dominano l’erba dei campi”; e consumò la terza parte della terra, delle erbe verdi e degli alberi.

ARTICOLO IV.

Alla prima età della Chiesa si riferisce la prima lode (virtutem, cap. V, v. 12). Ci voleva un grande coraggio ed una grande virtù per intraprendere e fare la conquista di un mondo così apertamente ostile alla verità e al luogo.

ARTICOLO V.

Il venerabile Holzhauser pensa, come noi, che la Chiesa di Efeso sia la prima età della Chiesa universale da N.S. J.-C. a Nerone; che il Cavaliere che appare all’apertura del primo sigillo sia il Salvatore stesso (vol. 1, p. 267, Wüilleret); ma sostiene che l’Angelo che suona la tromba sia Ario l’eresiarca (vol. 1, pp. 332-335, Wüilleret), perché vede in questi sette Angeli null’altro che l’eresia. Noi non condividiamo la sua opinione; non discuteremo qui con lui su questo argomento; lo faremo più tardi, quando cercheremo di dimostrare che Ario appare solo al suono della terza tromba, e che di conseguenza non arriva al tempo della prima.

CAPITOLO II.

LA SECONDA ETÀ DELLA CHIESA.

I. La seconda età della Chiesa è descritta nella seconda Chiesa di Smirne, nel secondo sigillo, nella seconda tromba e nella seconda lode: essa comprende il tempo delle persecuzioni romane che va dalla prima persecuzione sotto Nerone, fino al loro termine sotto Costantino il Grande (Sic Holzhauser, tom. 1, p. 108 a 118, Wüilleret).

ARTICOLO PRIMO

La seconda Chiesa, con il suo nome e la sua storia, segna questa seconda epoca.

I. Il nome Smyrne significa mirra, e la mirra è il simbolo della mortificazione, della sofferenza e del sacrificio, come espresso da Holzhauser (vol. 1, p. 109, Wüilleret). Questo nome è quindi molto appropriato per un’epoca che ha visto duecentocinquanta anni di persecuzioni.

II. La storia che San Giovanni traccia di questa Chiesa è in armonia con il tempo e la durata che le assegniamo. Gesù Cristo vi appare e parla come se fosse stato messo a morte e fosse tornato in vita (qui fuit mortuus et vixit, Apoc. cap. II, v. 8), per incoraggiare i suoi discepoli al martirio con la consolante prospettiva di una nuova vita che non avrà mai fine. E dicendo loro che Egli è il primo e l’ultimo (primus et novissimus, v. 8), annuncia la sua seconda venuta; poiché, promesso all’inizio del tempo, verrà alla fine di questo stesso tempo per giudicare il mondo; Egli fa capire loro che gli uomini, che sono peccatori – e quindi gli ultimi – devono soffrire ed essere umiliati, poiché Colui che è indiscutibilmente il primo si è annientato ed è stato trattato come l’ultimo; e infine, si pone con tutta giustizia come il Creatore al quale tutto appartiene, dal quale tutto è stato fatto, e al quale, alla fine, tutto deve giungere e tornare. Poi, venendo ai dettagli degli eventi che segneranno quest’epoca, e allo stato della Chiesa durante la sua durata, dice che conosce la sua tribolazione e la sua povertà, dal punto di vista umano, ma che essa è veramente ricca davanti a Dio, a causa del suo fervore e della sua devozione (Scio tribulationem tuam et paupertatem tuam, sed dives es, v. 9). L’avverte di non temere ciò che dovrà soffrire (Nihil horum timeas quæ passurus es, v. 10); le annuncia che il diavolo, che certamente non era stato ancora incatenato, come abbiamo detto nel § 6 della nostra Introduzione, getterà alcuni dei fedeli in prigione per tentarli. (Ecce missurus est Diabolus aliquos ex vobis in carcerem ut tentemini, v. 10); gli raccomanda di essere fedele fino alla morte, perché la tentazione giungerà fino ad allora (Esto fidelis usque ad mortem, v. 11); gli promette di dargli in premio la corona della vera vita, della vita eterna (Et dabo tibi coronam vitæ, v. 10); Egli aggiunge che colui che avrà così vinto con la morte del corpo, non sarà raggiunto dalla seconda morte, dalla dannazione del corpo e dell’anima all’ultimo giudizio (Qui vicerit non lædetur à morte secunda, v . 11); e per meglio provare che questa Chiesa sia davvero il tempo delle persecuzioni, dà il numero esatto di queste stesse persecuzioni, che furono veramente dieci, a causa dei detti Editti che le ordinarono (Et habebitis tribulationem diebus decem – ed avrete tribolazioni per dieci giorni – v. 10); e assegna al loro inizio la causa reale e storica, che fu l’odio dei Giudei che, dopo aver loro stessi perseguitato i Cristiani nella prima epoca, armarono i pagani che avevano invece messo Gesù Cristo tra i loro dei (Et blasphemaris ab eis qui se dicunt Judæos et non sunt, sed sunt synagoga Satanæ – E sarai blasfemata da coloro che si dicono Giudei, ma che non lo sono, e sono al contrario parte della sinagoga di satana, v. 9).

ARTICOLO II.

A questa seconda epoca corrisponde il secondo sigillo alla cui apertura appare un cavallo rossiccio o rosso, cavalcato da un cavaliere al quale è dato una grande spada, e il potere di togliere la pace dalla terra e di far uccidere gli uomini tra loro (Et cùm aperuisset sigillum secundum, audivi secundum ani mal dicens: Veni et vide; et exivit alius equus rufus, et qui sedebat super illum, datum est ei ut sumeret pacem de terra, et ut invicem se interficiant, et datus est ei gladius magnus – E quando ebbe aperto il secondo sigillo, udii l’animale dire: “Venite a vedere“; ed ecco che uscì un altro cavallo rosso, e a colui che lo cavalcava fu dato il potere di togliere la pace dalla terra e di far uccidere gli uomini gli uni gli altri, e gli fu data una grande spada – Apoc. cap. VI, v. 3. 4). In verità, il periodo sanguinoso delle persecuzioni romane non potrebbe essere rappresentato meglio. Il testo non ha bisogno di essere commentato; è sufficiente da solo a giustificare la nostra affermazione. – Il venerabile Holzhauser è solo in parte della nostra opinione (t. 1, p. 270 a 273, Wüilleret). Vede la persecuzione in questo sigillo, ma non vi riconosce se non quella di Nerone, mentre noi pensiamo che esse comprendano tutte quelle che vanno da Nerone a Costantino. Noi non lo contesteremo qui, ma lo faremo più tardi quando dimostreremo che i sigilli successivi si applicano a degli avvenimenti diversi e di tutt’altra natura; noi ci limiteremo qui a chiederci come mai Holzhauser non vede nei sei ultimi sigilli che delle persecuzioni, mentre nella prima, vede Nostro Signore stesso? Se i sigilli indicano le persecuzioni, perché eccettuare la prima? Se questo primo sigillo è diverso dagli altri, perché gli altri non dovrebbero essere diversi l’uno dall’altro? La diversità dei colori e degli eventi non indica forse delle differenze fondamentali?

ARTICOLO III.

Alla stessa seconda epoca si riferisce la seconda tromba, al cui suono una grande montagna, la potenza romana, cade nel mare, cioè sui Cristiani rigenerati dalle acque battesimali, e versa il sangue sulla terza parte del loro numero, e la terza parte dei sacerdoti, che, come navi, li conducevano al porto della salvezza (Et secundus Angelus tuba cecinit, et tanquàm mons magnus igne ardens missus est in mare, et facta est tertia pars maris sanguis; et mortua est tertia pars creaturæ corum quæ habebant animas in mari, et tertia pars navium interiit – E il secondo angelo suonò la tromba, e una grande montagna ardente come fuoco fu gettata nel mare. La terza parte del mare fu trasformata in sangue; la terza parte degli esseri viventi nel mare perì e la terza parte delle navi fu distrutta – Apoc. cap. VIII, 9).  Holzhauser ha visto, nella seconda tromba (t. 1, p. 335 a 338, Wüilleret), l’eresiarca Macedonio, patriarca di Costantinopoli; egli doveva agire così poiché aveva detto che la prima tromba denotava Ario; Ma la sua opinione non ci sembra sostenibile, perché questa eresia non causò grandi massacri, ed ha un’importanza storica solo per aver posto gli elementi di base del grande scisma d’Oriente; infatti, le montagne, in senso apocalittico, designano le potenze della terra, i poteri temporali (Apoc. cap. XVII, v. 9); poi finalmente perché gli eretici che lasciano il sacerdozio sono rappresentati dalle stelle, che brillavano nel cielo e che cadono sulla terra (Holzhauser dice espressamente – tom. 1. p. 344, Wüilleret – che le stelle sono i Vescovi, i prelati e i dottori usciti dalla vera Chiesa di Cristo. Poi, a pagina 557, vede l’imperatore Valente, un ariano, nella stella che cade dal cielo, nel capitolo IX, v. 1. Tutto questo è contraddittorio. Una cosa confuta l’altra). (Ibid. capitolo VIII, v. 10, capitolo IX, v. 1).

ARTICOLO IV.

La seconda lode (divinitatem, Apoc. cap. V, v. 12) si riferisce alla seconda età. In verità, era necessario che Gesù Cristo fosse Dio e che la sua Religione fosse divina per resistere a questa carneficina e a questa furia degli imperatori romani.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (4)

IL SEGNO DELLA CROCE (20)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (20)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMANONA.

15 dicembre.

Ragione della benedizione della mensa — È un atto di libertà. — Tre tiranni; il mondo, la carne, il demonio. — Triplice vittoria del segna della croce, e della preghiera sugli alimenti. — Vittoria sul mondo: prove — Sulla carne: prove — Sul demonio: prove. — Testimonianza di Porfirio. — Fatto citato da San Gregorio. — Conclusione.

« I soli coccodrilli mangiano senza pregare. » Tale assioma, tu mi dici, caro amico, riassume le nostre due ultime lettere. Questa tua parola non sarà dimenticata: « I miei compagni, tu continuando dici, sono stati come francesamente dicesi, aplatis, dai fatti da voi rapportati, per essi tutto cosa nuova. Ma eglino sono come per il passato, non fanno il segno della croce avanti il pranzo. — La sola novità che vi ha, è il poter io eseguirlo liberamente, avendo eglino paura del mio assioma ». Non mi maravigliano punto siffatte cose! — Come tanti altri, i tuoi compagni, e quelli, che loro si assomigliano, tuttavolta parlino di libertà a gran gola, sono schiavi del tiranno il più vile, del rispetto umano. Poveri giovani! per meglio nascondere la loro schiavitù, terminano la loro obbiezione dicendo: il segno della croce sugli alimenti è una pratica inutile, e fuori moda. Nel fondo del loro intimo pensiero, questo parlare vuol dire: Tutti quelli che non mangiano come noi, cioè da bestie, appartengono alla specie de’gonzi, più o meno rispettabile. Ipreti, ed i religiosi de’ gonzi; i veri Cattolici della patria tua, gonzi; gli Ebrei, gli Egiziani, i Greci, i Romani, gonzi; il fiore della umanità, gonza; l’umanità tutta è gonza, e con essa, mio padre, mia madre, le mie sorelle: io, ed i miei simili, noi soli siamo saggi sulla terra, i soli illuminati fra tutti i mortali!  È mestieri che io strappi la maschera di che cercano coprirsi: a che fare, basterà il mostrare come la benedizione della tavola col segno della croce, sia un’atto di libertà, azione utilissima, e, ch’è fuori moda solo nelle basse regioni del cretinismo moderno. Questa ultima considerazione unita a quella dell’onore e della ragione, giustifica pienamente la nostra condotta, e nel medesimo tempo, rende ragione della pratica universale del genere umano. La libertà. — Tre tiranni si disputano la libertà dell’uomo; la mia, la tua, quella de’ tuoi compagni. Questi tiranni sono il mondo, la carne, il demonio. Per non essere schiavi di questi tiranni, noi, e con noi tutta la famiglia umana benediciamo la mensa. Lo abbiamo veduto, ed il ripeto: il non fare il segno della croce avanti il desinare, è un separarsi dal fiore della umanità; il non pregare, è un assomigliarsi alle bestie. Nell’un caso, e nell’altro è schiavitù; poiché questo è sottomettersi ad un potere dispotico, ed è tale, quel potere, che comanda senza averne il dritto, o, che comanda contro la ragione, contro il dritto, contro l’autorità. Chi è il potere, che m’inibisce fare il segno della croce, e che, se ho il coraggio di disubbedirlo, mi minaccia di farmi oggetto di beffe? Qual è il suo dritto? da chi ha ricevuto egli il mandato? dove sono i titoli che lo raccomandono alla mia docilità? le ragioni della sua difesa? Questo potere usurpatore, è il mondo attuale, mondo ignoto agli annali dei secoli cristiani, mondo da sale, da teatro, da caffè, da bettole, da traffico, da borsa; è l’uso di questo mondo, l’empietà di questo mondo, il suo marcio materialismo: la beozia dell’intelligenza. Ora, questa minorità, nata ieri e già decrepita, questa minorità in permanente insurrezione contro la ragione, contro l’onore, contro il genere umano, ha la pretensione d’impormi i suoi capricci! E sarò io sì dappoco da sottomettermi? E dopo aver fatto divorzio con la ragione, con l’onore, col fiore della umanità,avrò io il coraggio di parlare di dignità,di libertà, d’indipendenza ? Vana parola sarà questa ! Le catene della schiavitù si mostrerebbero di sotto l’orpello dell’orgoglio; la maschera bucata non nasconderebbe la figura della bestia, ed il buon senso ci seguirebbe dicendo : Mida, il re Mida ha gli orecchi di asino. Vadano pure gì’ indipendenti d’oggidì superbi di un tale complimento; noi altri gonzi, noi vogliamo a nessun prezzo. Vergognosa è la schiavitù professata al mondo, ma l ‘è più ancora quella del vizio. L’ingratitudine è.vizio; la ghiottoneria è vizio, come l’è altresì l’impurità. Contro questi tre tiranni ci difendono il segno della croce, e la preghiera della mensa. L’ingratitudine. — V’hanno al presente due religioni, quella del rispetto, e quella del disprezzo. — La prima rispetta Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, le creature.   — Per essa tutto è sacro; perchè tutto è da Dio, tutto gli appartiene, ed a lui ritorna. Dessa m’insegna usare di tutto con spirito di dipendenza, perchè nulla mi appartiene; con spirito di timore, perchè sarà mestieri rendere di tutto conto; con spirito di riconoscenza, perchè tutto è benefizio, l’aria istessa che respiro. — La seconda disprezza tutto — Dio, la Chiesa, l’autorità, la tradizione, l’anima, il corpo, e le creature: i suoi settatori usano ed abusano della vita e de’ beni di Dio, quasi ne fossero proprietari ed i responsabili. La prima ha scritto sulla sua bandiera, riconoscenza; la seconda ingratitudine. L’una e l’altra mostrano la loro presenza dal momento in cui l’uomo si assimila i doni di Dio col prendere il cibo necessario alla vita. Il fiore della umana famiglia prega e ringrazia; avendo tale coscienza della sua dignità da non soffrire che vada confusa con le bestie; ed è tale il sentimento del dovere, da non poter restare muto alla vista de’ benefizi di che è colmato. Desso trova, con ragione, mille volte più odiosa l’ingratitudine verso Dio che non lo sia quella esercitata contro gli uomini, e non può patire essere schiavo di tal vizio.— Vergogna per colui, cui la riconoscenza è peso insopportabile; il cuore ingrato non fu mai un buon cuore!  L’adepto alla religione del disprezzo si vergogna di essere riconoscente, e mangia come la bestia, o come il figlio snaturato, che non trova né nel suo cuore, né nelle sue labbra, una parola di gratitudine da indirizzare al padre, che, con bontà senza limiti, sopperisce ai bisogni e provvede ai piaceri di lui. E perchè si sottrae al dovere, si crede libero! si proclama indipendente! Indipendente da chi, e da che? Indipendente da quanto è da amare, e da rispettare: dipendente da quanto è degno di disprezzo, e bisogna odiare. L’è veramente gloriosa questa maniera d’indipendenza! — La ghiottoneria. — Altro tiranno che siede con noi al nostro desco, e che incatenando gli occhi, il gusto, l’odorato alle vivande, rende l’uomo adoratore del dio ventre. — Allora l’uomo non parla per l’abbondanza del cuore, ma dello stomaco; egli non cerca la qualità de’ cibi atti a riparare le forze, ma quella che solletica il gusto; non mangia per vivere, ma fine e scopo del suo vivere è il mangiare. Di siffatto modo l’organismo sviluppa il suo impero, e l’intelligenza si affievolisce, diventa schiava. La delizia della carne non è compatibile con la saggezza; i grandi «uomini non furono ghiottoni, tutti i santi sono stati modelli di sobrietà! (Sapientia non invenitur in terra suaviter viventium: Iob. XXVIII, 13).  Osserva bene, mio caro amico, che io parlo della ghiottoneria come ricercatezza negli alimenti, dilicatezza nella scelta, avidità e sensualità nel mangiare, il che troppo sovente è seguito dalla intemperanza. Ora l’intemperanza mena seco un tal corteggio d’infermità e malattie, che la ghiottoneria uccide più uomini che la stessa spada: Plures occidit crapula, quam gladius (Vigilia, cholera, et tortura viro infrunito. – Eccli. XXXI, 23, et XXXVI, 31). Così Nabucodònosor, Faraone, Alessandro, Cesare, Tamerlano e tutti i carnefici coronati, che hanno coperto il mondo di cadaveri, hanno fatto morire minor numero di uomini che la ghiottoneria. Dispiacevole mistero è questo, che mostra tutta la saggezza, che v’ha nell’uso del segno della croce e della preghiera innanzi e dopo il pranzo. Con essa noi chiamiamo Dio a nostro soccorso, e ci armiamo contro un nemico che attacca tutte le età, tutti i sessi e le condizioni, e che agogna incatenarci al più grossolano de’ nostri istinti. Per essa, noi apprendiamo che mangiare è una guerra, e che per non essere vinti è mestieri, secondo il detto di un gran genio, prendere gli alimenti come le medicine per bisogno, e non per piacere (Hoc docuisti me, Domine, ut quemadmodum medicamenta, sic alimenta sumpturus accedam. – S. August. Confess, lib. X, c. 311). L’impurità. — La schiavitù dell’animo cominciata per la ghiottoneria, si compisce con l’impurità. — Chi nutre dilicatamente la sua carne, tosto ne subirà la rivolta vergognosa. — Cosa lussuriosa è il vino, in esso risiede la lussuria. Il vino puro nuoce alla sanità dell’anima, ed a quella del corpo. — Nello stomaco del giovane il vino è come l’olio nel fuoco. — La ghiottoneria è la madre della lussuria, ed il carnefice della castità. — Essere ghiottone e pretendere d’essere casto, è un voler estinguere il fuoco con l’olio. — La ghiottoneria estingue l’intelligenza.— Il ghiottone è un’idolatra, adora il dio ventre. — Il tempio del dio ventre è la cucina; l’altare, la tavola; i suoi sacerdoti, i cuochi; le vittime, le vivande; l’incenso, l’odore di esse. — Questo tempio è la scuola dell’impurità. — Bacco e Venere si danno la mano. — La ghiottoneria ci fa guerra continuamente; se trionfa chiama tosto la sua sorella, la lussuria. — La ghiottoneria e la lussuria sono due demoni inseparabili. — La moltitudine delle vivande, e delle bottiglie attira quella degli spiriti immondi, di cui il peggiore è il demonio del ventre. — La sanità fisica e morale de’ popoli, è da dedurre dal numero dei cuochi ». Intendi gli oracoli della saggezza divina, ed umana? È la voce de’ secoli confermata dalla esperienza. Qual è il mezzo che ha l’uomo per conservare la sua libertà contro di un nemico, altrettanto più pericoloso, che seducendo incatena ed uccide? Il passato, ed il presente non ne conoscono che un solo; il soccorso di Dio: l’avvenire non potrà conoscerne altri da questo. Il soccorso divino si ottiene da Dio con la preghiera, ed una prece particolare è stata stabilita presso tutti i popoli per fortificarsi contro le tentazioni della mensa. Ora se quelli che la fanno, non restano sempre vittoriosi (S. August. Confess. lib. X, c. 31), come sarà possibile, che quelli che non l’hanno in uso, che la disprezzano e la beffano, possano persuadersi che eglino restino vittoriosi sul campo di battaglia. Per crederlo, è mestieri avere ben altre prove dalle loro asserzioni, bisognano de’ fatti, e questi sono i loro costumi. Ch’eglino mostrino i misteri de’ loro pensieri, de’ loro desiderii, degli sguardi, de’ secreti discorsi, della loro condotta. Ma una tal mostra non è necessaria; noi l’abbiamo di continuo nella sposizione, che di sè fa lo scandalo della pubblica immoralità. – Il demonio. — Qui si mostra pienamente la stupida ignoranza del mondo attuale. — Per fermo che il sacro dovere della riconoscenza, come la imperiosa necessità di difendersi contro la gola e la voluttà, giustificano pienamente l’uso della benedizione della tavola; ma, io oso affermare ch’esso poggia su di una ragione più forte, e profonda. — Noi lo abbiamo detto: v’ha un dogma, mai dimenticato dal genere umano, che insegna esser tutte le creature sotto l’azione del principe del male, da poi che questo trionfò del padre della specie umana: tutti i popoli hanno creduto, come alla esistenza di Dio, che le creature, penetrate dalle maligne influenze del demonio, sono gli strumenti del suo odio contro l’uomo. Da siffatta credenza traggono origine le infinite purificazioni in uso presso tutte le religioni, in tutti i climi, lungo tutto il corso de’ secoli; ma v’ha una circostanza, in cui l’uso delle purificazioni si mostra invariabile, ed è quella del desinare.  L’universalità, l’inflessibilità di questo uso nel prendere il cibo, è fondato su due fatti. — Il primo, che il demone della tavola è il più pericoloso (Clem. Alex, Pedag. lib. II, c. 1); il secondo, che l’unione operata per l’azione del mangiare tra l’uomo ed il cibo è di tutte le unioni la più intima, questa arriva fino all’assimilazione. — L’uomo può dire del cibo digerito: È l’osso delle mie ossa, la carne della mia carne, il sangue del mio sangue. — Ecco perchè, essendo le creature sì viziate, Iddio non ha fatto mai perdere di vista all’uomo il pericolo di tale azione. Che siffatto timore, sia la profonda ragione del segno della croce e delle preghiere su degli alimenti, è reso manifesto dalle formole istesse delle benedizioni e dell’azione di grazie. Cristiani e pagani, tutti, senza alcuna eccezione, dimandano, che, le tristi influenze a che le creature sono sottomesse, siano allontanate. Ecco qualche argomento, che calza meglio a’ tuoi compagni, e per essi più convincente di tutte le autorità della Chiesa. —Porfirio — il primo fra tutti i teologi del paganesimo, e l’interpetre il più dotto dei misteri, e dei riti pagani, scriveva in siffatti termini: « È da sapere che tutte le abitazioni son piene di demoni; il perchè si purificano scacciandone questi ospiti malefici col pregare gli dei. Ancor più: di essi tutte le creature sono piene, ed alcune specie di cibi particolarmente; di modo, che quando noi sediamo a mensa, non solo essi prendono posto d’allato a noi, ma si attaccano al nostro corpo. Ecco la ragione dell’uso delle purificazioni, il cui scopo principale, non è solo invocare gli dei, ma altresì scacciare i demoni. Questi si dilettano di sangue e d’impurità, ed a soddisfare tale piacere s’introducono ne’ corpi di coloro che ad essi sono soggetti. Non v’ha movimento di voluttà violento, e desiderio veementemente disordinato, che non sia eccitato della presenza di questi ospiti » (Porphyr., apud Euseb. Præp. Erang. lib. IV. c. 22). Non ti parrebbe ciò scritto da san Paolo? tanto è precisa questa rivelazione del mondo soprannaturale. – Oltre queste influenze occulte e permanenti di satana su gli alimenti, Iddio di tanto in tanto, permette de’ fatti straordinari, che rivelano la presenza del nemico, e la necessità di allontanarlo dagli alimenti, innanzi di essi si taccia uso. Leggesi in S. Gregorio il Grande: « Nel monastero dell’abate Equizio accadde che una religiosa entrando nel giardino, vide una pianta di lattuga che le solleticava l’appetito. La prese, e dimenticando di fare il segno della croce, la mangiò avidamente. All’istante medesimo fu posseduta dal demonio, cadde rovescione per terra dimenandosi per fortissime convulsioni. Tosto accorre il santo abate e prega Dio che si degnasse confortare la povera religiosa. Il demonio tormentato ancora esso per le preghiere, gridò: Che mai ho fatto? Che ho fatto io? Io era su quella lattuga; la’ religiosa non me ne ha scacciato! In nome di Gesù Cristo l’abate gli ordinò di uscire dal corpo della serva del Signore, e di non più tormentarla. Il demonio ubbidì, e la religiosa immantinente fu guarita » (S. Gregor. Dialog, lib. I, dial. IV). – I fatti parlano come le autorità, la teologia pagana come la cristiana, l’oriente come l’occidente, l’antichità come i tempi moderni, Porfirio come san Gregorio. Quali autorità possono a queste opporre i tuoi compagni? Dire che il genere umano è un gonzo, e che l’uso universale di benedire gli alimenti sia una superstizione fuori moda, è fucile cosa: ma io non so appagarmi di sole parole; però di a’ tuoi compagni, che se per legittimare l’uso di non benedire la mensa, possono apportare una ragione, che valga un soldo di Monoco, prometto loro, a seconda del gusto di ciascuno, o un merlo bianco, o un busto al Panteon. – Aspettando, resta stabilito, che pregare avanti il pranzo è una legge della umanità; e che era riserbato all’epoca nostra produrre degli spiritisì forti che vanno superbi di assomigliarsi due volte al giorno a’ cani, a’ gatti, al coccodrillo. Io ti lascio, annunziandoti per domani un nuovo punto di vista.

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: SS. PIO XII – “LÆTAMUR ADMODUM”


Il Pontefice S.S. Pio XII, con questa nuova breve Enciclica, promuove ancora una crociata di preghiere per arginare il dilagare della violenza presso il popolo ungherese e polacco minacciati dalla follia satanica dei comunisti invasori, il cui obiettivo principale era quello di abbattere, se possibile, l’impalcatura della Chiesa Cattolica e del Cristianesimo tutto nell’Europa dell’est. Queste preghiere effettivamente ottennero, anche se tra lacrime e sangue, il risultato di veder decadere il drago rosso sovietico dopo alcuni anni, riportando una pace traballante in questi popoli angariati da regimi totalitari. Ma il dragone rosso ha avuto solo un rallentamento nella sua corsa espansionistica, trasformandosi in un mondialismo fondato sul terrore e sul dominio oppressivo dell’intero pianeta sotto le mentite spoglie del filantropismo di miliardari corrotti e votati a Lucifero. È quello che vediamo anche in questi giorni e vedremo nei prossimi anni nei quali si preannunziano, più o meno provocate a bella posta, da menti deliranti, crisi di ogni tipo: sanitarie, economiche, energetiche, produttive, socio-culturali, ecologiche, etc. Mentre però all’epoca dei fatti di Ungheria c’era la Chiesa Cattolica ed il Santo Padre che si ergeva a baluardo in difesa dei popoli del mondo, oggi la totale apostasia dal Cristianesimo e l’indifferenza dei popoli neopaganizzati, l’ipocrisia infernale di chierici veri o falsi che siano, l’insediamento ai vertici della chiesa modernista – impostura blasfema della Chiesa Cattolica – di una serie di antipapi di discendenza kazara (il popolo dell’Aquilone di Magog, figlio di Iaphet), prepara il posto che a breve occuperà l’anticristo, l’uomo del peccato, il cui intento è quello di trascinare quante più anime all’inferno e strapparle al Cristo redentore. Leggiamo allora, a conforto del pusillus grex cattolico, questa breve lettera facendo nostri i salutari consigli e la dottrina del Vicario di Cristo.

LETTERA ENCICLICA

LÆTAMUR ADMODUM


DEL SOMMO PONTEFICE
PIO XII
AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,
PRIMATI,
ARCIVESCOVI,
VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI
CHE HANNO PACE
E COMUNIONE CON LA SEDE APOSTOLICA:
PREGHIERE PER LA PACE 
FRA I POPOLI

È per Noi motivo di grande letizia il sapere che non solo l’episcopato del mondo cattolico, ma anche gli altri ecclesiastici e i fedeli con spontaneo slancio hanno corrisposto al Nostro invito, rivolto loro con recente lettera enciclica, innalzando al Cielo pubbliche suppliche per renderlo propizio. Vogliamo, pertanto, con effusione e dall’intimo del cuore ringraziare Dio perché, mosso da tante preghiere, specialmente da quelle dei fanciulli e delle fanciulle innocenti, sembra finalmente spuntare per i popoli della Polonia e dell’Ungheria una nuova aurora di pace fondata sulla giustizia. Né con minore gioia abbiamo appreso che i diletti figli Nostri, i signori cardinali Stefano Wyszyński arcivescovo di Gniezno e Varsavia, e Giuseppe Mindszenty, arcivescovo di Esztergom, allontanati dalle loro rispettive sedi, sono stati rimessi nei loro posti di onore e di responsabilità, e trionfalmente accolti da una moltitudine di popolo festante, dopo essere stati riconosciuti innocenti e ingiustamente accusati. Nutriamo quindi speranza che ciò sia un buon auspicio per il riordinamento e la pacificazione di ambedue gli stati, in base a principi più sani e a una legislazione migliore, ma specialmente in base al rispetto dei diritti di Dio e della chiesa. Perciò Ci rivolgiamo di nuovo a tutti i cattolici di quelle nazioni perché, unendo concordemente le loro forze e stringendo le file intorno ai loro legittimi pastori, vogliano con ogni diligenza adoperarsi che questa santa causa abbia a progredire e a consolidarsi; ché se tale causa venisse messa in disparte o trascurata, non si potrebbe ottenere una vera pace. – Ma, mentre il Nostro animo è ancora in trepidazione, un’altra situazione paurosa Ci si presenta innanzi. Come voi sapete, venerabili fratelli, la fiaccola di una nuova azione bellica si è accesa minacciosa nel Medio Oriente, non lontano dalla Terra Santa, dove gli angeli, discesi dal Cielo e volando sopra la culla del divino Infante, annunziarono la pace agli uomini di buona volontà (cf. Lc II, 14). Che altro potremmo fare Noi, che con paterno amore abbracciamo i popoli tutti, se non innalzare suppliche al Padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione (cf. 2 Cor 1,3), ed esortare voi tutti a unire le vostre preghiere alle Nostre? Infatti, « le armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti in Dio» (2 Cor X, 4). La Nostra speranza poggia unicamente su Colui il quale con la sua luce celeste può illuminare la mente degli uomini e piegare la loro esasperata volontà a consigli più moderati, in maniera che tra le nazioni si possa stabilire il retto ordine, con maggiori vantaggi reciproci, salvi sempre i legittimi diritti di tutti coloro, che sono in causa. Tengano presente tutti, specialmente coloro nelle cui mani è posta la sorte dei popoli, che dalla guerra nessun bene durevole giammai potrà nascere, ma bensì un ingente numero di sventure e di calamità. Non con le armi, non con la strage, non con le rovine si risolvono le questioni tra gli uomini; ma con la ragione, il diritto, la prudenza, l’equità. – Quando uomini avveduti, spinti dal desiderio di una vera pace, si riuniscono per trattare di così gravi problemi, dovranno senza dubbio sentirsi portati a scegliere la via della giustizia e non ad avventurarsi sulla china scoscesa della violenza, qualora considerino i grandi pericoli di una guerra, la quale, divampando da piccola scintilla, può diventare un enorme incendio. – Su ciò vogliamo richiamare, in questo pericoloso frangente, l’attenzione dei governanti, né possiamo dubitare che essi saranno convinti che altro interesse non Ci spinge se non quello del bene comune di tutti e di quella comune prosperità che mai potrà sbocciare dallo spargimento del sangue dei fratelli. – E poiché, come abbiamo detto, poniamo la Nostra speranza particolarmente nella provvidenza e misericordia di Dio, vi esortiamo insistentemente, venerabili fratelli, a non desistere dall’incoraggiare e promuovere quella crociata di preghiere, per la quale, con l’intercessione di Maria vergine, il Signore benignamente voglia concedere che i pericoli delle guerre scompaiano, che gli interessi contrastanti delle nazioni trovino una felice soluzione, che dappertutto siano interamente salvaguardati, a profitto di tutti, i sacrosanti diritti della Chiesa, sanciti dal suo divino Fondatore, e che «la grande famiglia umana, disgregata dal peccato, si sottometta al suo dolcissimo imperio». – Intanto a Voi tutti, venerabili fratelli, e ai greggi alle vostre cure affidati, i quali certamente, come voi, saranno sensibili a queste Nostre rinnovate esortazioni, impartiamo di tutto cuore l’apostolica benedizione, apportatrice delle celesti grazie e testimonianza della nostra paterna benevolenza.

Roma, presso S. Pietro, 1° novembre, festa di tutti i Santi, l’anno 1956, XVIII del Nostro pontificato.

DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

DOMENICA I DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B.; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Maria Maggiore.

Semid. Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.

A Natale Gesù nascerà nelle nostre anime, perché allora si celebrerà l’anniversario della sua nascita e alla domanda della Chiesa sua Sposa, alla quale non rifiuta nulla, accorderà alle nostre anime le stesse grazie che ai pastori e ai re magi. Cristo tornerà cosi alla fine del mondo per « condannare i colpevoli alle fiamme e per invitare con voce amica i buoni in cielo » (Inno Matt..). Tutta la Messa di questo giorno ci prepara a questo doppio Avvento (Adventus) di misericordia e di giustizia.

Alcune parti si riferiscono indifferentemente all’uno e all’altro (Intr. Oraz. Grad. All.), altre fanno allusione alla umile nascita del nostro Divin Redentore, (Comm. Postcomm.). Altre, infine, parlano della sua venuta come Re in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà (Ep., Vang.). L’accoglienza che noi facciamo a Gesù quando viene a redimerci, sarà quella ch’Egli ci farà quando verrà a giudicarci. Prepariamoci dunque, con sante aspirazioni e col mutamento della nostra vita alle feste di Natale, per essere pronti all’ultimo tribunale, dal quale dipenderà la sorte della nostra anima per l’eternità. Abbiamo fiducia, perché « quelli che aspettano Gesù non saranno confusi » (Intr. Grad. Off.). – Nella basilica di S. Maria Maggiore tutto il popolo di Roma un tempo si intratteneva in questa 1a Domenica di Avvento, per assistere alla Messa solenne che celebrava il Papa, assistito dal suo clero. Si sceglieva questa chiesa, perché è Maria che ci ha dato Gesù e poiché in questa chiesa si conservano le Reliquie della mangiatoia nella quale la Madre benedetta adagiò il suo Figlio divino.

Incipit

In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XXIV: 1-3.
Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Ps XXIV:4
Vias tuas, Dómine, demónstra mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]

Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Oratio

Orémus.
Excita, quǽsumus, Dómine, poténtiam tuam, et veni: ut ab imminéntibus peccatórum nostrórum perículis, te mereámur protegénte éripi, te liberánte salvári:

[Súscita, o Signore, Te ne preghiamo, la tua potenza, e vieni: affinché dai pericoli che ci incombono per i nostri peccati, possiamo essere sottratti dalla tua protezione e salvati dalla tua mano liberatrice.]

Lectio


Lectio Epístolæ beati Pauli Apostoli ad Romános Rom XIII: 11-14.


“Fratres: Scientes, quia hora est jam nos de somno súrgere. Nunc enim própior est nostra salus, quam cum credídimus. Nox præcéssit, dies autem appropinquávit. Abjiciámus ergo ópera tenebrárum, et induámur arma lucis. Sicut in die honéste ambulémus: non in comessatiónibus et ebrietátibus, non in cubílibus et impudicítiis, non in contentióne et æmulatióne: sed induímini Dóminum Jesum Christum” .

 “È già ora che ci svegliamo dal sonno, perché al presente la salute è più vicina che quando credemmo. La notte è avanzata e il giorno è vicino: gettiam via le opere delle tenebre e vestiamo le armi della luce. Camminiamo con decoro, come chi cammina alla luce del giorno; non in crapule e in ubriachezze, non sotto coltri ed in lascivie, non nelle contese e nell’invidia; ma rivestite il Signore Gesù Cristo e non accarezzate la carne per concupiscenza „ (Ai Rom. XIII, 11-14).

S. Paolo, dopo avere spiegato in questa ammirabile lettera i principali doveri del Cristianesimo, eccita i Romani a praticar la virtù, rammentando loro la breve durata di una vita che tanti uomini passano in un triste assopimento. Gli esorta ad uscirne, perché il tempo stringe, ed il momento definitivo della nostra salute non è molto lontano. – Che cosa si intende qui per l’assopimento, per la notte ed il giorno, e per le opere delle tenebre? Per assopimento s’intende quella funesta tiepidezza che fa trascurare a tanti Cristiani ogni mezzo di salute. Ah! di quanti noi possiamo dire che la morte sarà il loro risvegliarsi! Per la notte s’intende il peccato, che immerge l’anima nelle tenebre allontanandole da Dio, che è il vero lume; per il giorno, s’intende la fede, la grazia, la riconciliazione con Dio, la scienza della salute. Le opere delle tenebre sono i peccati in generale, ed in particolare quelli che si commettono nell’oscurità della notte da chi l’aspetta per abbandonarsi al male. – Quali sono le armi della luce, delle quali dobbiamo rivestirci? Sono la fede, la speranza e la carità, e in generale tutte le buone opere. Noi combatteremo per esse il demonio, il mondo e la carne.

Che significa camminare nella decenza come durante il giorno?

Significa il non fare e non dire alla presenza di Dio. che vede e sente tutto, nulla di ciò che non si osa fare o dire in presenza delle persone che più si rispettano.

Che vuol dire rivestirsi di Gesù Cristo? Vuol dire pensare, parlare ed operare come Gesù Cristo.

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Graduale


Ps XXIV: 3; 4
Univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur, Dómine.

[Tutti quelli che Ti aspettano, o Signore, non saranno confusi.]

V. Vias tuas, Dómine, notas fac mihi: et sémitas tuas édoce me.

[Mostrami le tue vie, o Signore, e insegnami i tuoi sentieri.]


Alleluja

Allelúja, allelúja.

Ps LXXXIV: 8. V. Osténde nobis, Dómine, misericórdiam tuam: et salutáre tuum da nobis. Allelúja. [Mostraci, o Signore, la tua misericordia: e dacci la tua salvezza. Allelúia.]

Evangelium


Sequéntia ✠ sancti Evangélii secundum S. Lucam.

Luc XXI:25-33.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Erunt signa in sole et luna et stellis, et in terris pressúra géntium præ confusióne sónitus maris et flúctuum: arescéntibus homínibus præ timóre et exspectatióne, quæ supervénient univérso orbi: nam virtútes coelórum movebúntur. Et tunc vidébunt Fílium hóminis veniéntem in nube cum potestáte magna et majestáte. His autem fíeri incipiéntibus, respícite et leváte cápita vestra: quóniam appropínquat redémptio vestra. Et dixit illis similitúdinem: Vidéte ficúlneam et omnes árbores: cum prodúcunt jam ex se fructum, scitis, quóniam prope est æstas. Ita et vos, cum vidéritis hæc fíeri, scitóte, quóniam prope est regnum Dei. Amen, dico vobis, quia non præteríbit generátio hæc, donec ómnia fiant. Coelum et terra transíbunt: verba autem mea non transíbunt.

“In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Vi saranno dei prodigi nel sole, nella luna e nelle stelle, e pel mondo le nazioni in costernazione per lo sbigottimento (causato) dal fiotto del mare e dell’onde: consumandosi gli uomini per la paura e per l’aspettazione di quanto sarà per accadere a tutto l’universo: imperocché le virtù de’ cieli saranno commosse. E allora vedranno il Figliuolo dell’uomo venire sopra una nuvola con potestà grande e maestà. Quando poi queste cose principieranno ad effettuarsi, mirate in su, e alzate le vostre teste; perché la redenzione vostra è vicina. E disse loro una similitudine: Osservate il fico e tutte le piante: quando queste hanno già buttato, sapete che l’estate è vicina. Così pure voi, quando vedrete queste cose succedere, sappiate che il regno di Dio è vicino. In verità vi dico, che non passerà questa generazione, fino a tanto che tutto si adempia. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (S. Luca, XXI, 25-33).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

IL GIUDIZIO UNIVERSALE

Al di là dei secoli, Dio pose un segno a cui tutti i nodi dovranno arrivare. Questo segno è la sua Croce che apparirà alla fine del mondo nel cielo vuoto, e sfolgorerà terribilmente sul capo di tutti gli uomini rassembrati d’ogni parte e prostesi sulla terra nuda. Sarà quello il giorno più tremendo, Dies iræ dies illa! – Il mattino del 14 Settembre del 258, nel campo Sextio, molle ancora di rugiada, veniva decapitato il Vescovo di Cartagine. I nemici di Cristo l’avevano preso e tradotto al tribunale del proconsole Galerio. – Galerio: « Sei tu Tascio Cipriano? ». Cipriano: «Son proprio io ». Galerio: « Che Tascio Cipriano sia giustiziato di spada ». Cipriano: « Deo gratias ».

Ma quando i soldati s’accinsero ad eseguir la sentenza, quando i fedeli stesero pannolini da torno a raccogliere il suo sangue che sarebbe sgorgato, il santo ebbe un tremito, e coprendosi con le mani gli occhi disse: « Væ mihi cum ad iudicium venero! » (guai a me che sto per andare in giudizio) Fu un istante: poi protese la testa. Se il pensiero del giudizio di Dio faceva tremare i martiri, che sarà di noi? Che faremo noi e che diremo davanti al Giudice divino? Pensiamo che quello sarà: giorno della grande manifestazione; giorno della grande accusa. 1. Manifestazione senza veli. Rappresentiamoci la nostra anima davanti a quel tribunale supremo, circondata dagli Angeli e dagli uomini: i giusti e i peccatori, i parenti e i conoscenti, i superiori e gli inferiori, gli amici e i nemici. Gli occhi di tutti son sopra di noi. Sono sopra di noi gli occhi di Dio. – Intanto si rifarà la storia della nostra vita, dai giorni lontani e dimenticati della fanciullezza sino a quello della nostra morte. Apparirà allora tutto il male che copertamente facemmo e tutto il bene che infingardamente non volemmo. Quaggiù abbiam creduto di ingannare gli occhi dello sposo, la vigilanza dei genitori, la buona fede forse di un prete a cui strappammo l’assoluzione. Fatica al vento: là tutti sapranno tutto. – Passavamo per amico fedele, sincero, generoso: invece vedranno che eravamo sleali, interessati, senza coscienza. Passavamo come una persona giusta che s’accontenta del suo: invece si conosceranno le frodi dei nostri commerci, e tutti potranno contare il danaro e la roba arraffata agli altri. Passavamo come un uomo integro ed onesto: invece appariranno le infamie commesse nell’ombra e nel segreto. E non solo il male che facemmo fuori di noi, ma anche il male che rimase dentro di noi, nell’occulto dell’anima, verrà manifestato. Tanti desideri vergognosi che abbiamo secondato con la mente nelle ore di ozio; tanti istinti di gelosia e di rancore che abbiamo dissimulato, ma che però erano il profondo motivo delle nostre maligne vendettuzze; tanti progetti di peccati che non facemmo solo perché ci mancò l’occasione: noi vedremo queste iniquità balzate dal nostro cuore, a nostra insaputa quasi come un’imboscata. Alla storia secreta del nostro cuore sentiremo ribrezzo di noi. All’esame del male che facemmo seguirà quello del bene che, potendo, non volemmo fare. – Quaggiù è facile nascondere dietro un comodo pretesto la nostra infingardaggine nel trascurare il bene e ci illudiamo di giustificarci dicendo: « Non tocca a me » oppure « Non ci riesco, non ho i mezzi ». Ma lassù ci verranno ricordate e rinfacciate tutte le colpevoli omissioni di cui è intessuta la nostra vita. Tutte le occasioni di dare una gloria a Dio che non demmo; tutte le anime che avremmo potuto salvare con la preghiera, con il consiglio, con l’elemosina e che non salvammo; tutte le Sante Comunioni, le Messe, le prediche che abbiam trascurato per pigrizia; tutti i giorni perduti, sacrificati ai pettegolezzi e ai piaceri del mondo senza un pensiero che li consacrasse a Dio e li rendesse buoni per l’eternità. Manifestazione totale, dunque: del male fatto fuori e dentro di noi e del bene non fatto. E sarà una manifestazione senza veli. Sulla terra, quando si è stati capaci di un delitto che ci ha precipitati nell’infamia e nel disprezzo, si fugge dal proprio paese, si abbandona la patria e si cerca un luogo, in America o in Africa, dove nessuno ci conosca, dove nessuno sappia né venga a sapere, dove ci è possibile ancora respirare e redimerci. Ma nel giorno del grande giudizio in quali ignote contrade potremo rifugiarci se tutte furono distrutte, in quali popoli stranieri se ogni uomo potrà leggerci sulla fronte la piaga e il destino? Sulla terra l’uomo disonorato può nascondersi, può intrufolarsi nella folla degli indifferenti, e sperare che col tempo si plachi il rumore delle sue scelleratezze. Ma non questo sarà possibile nell’ora dell’universale giudizio: non più confusione, ma separazione. Cristo dall’alto, come un gran pastore, separerà col suo vincastro ardente gli agnelli dai capri: i buoni dai cattivi. E sarà una separazione crudele: l’amico dall’amico, il fratello dal fratello, il padre dal figlio, l’uno assunto e l’altro abbandonato. E sarà una separazione ignominiosa, perché tutti ci vedranno e disprezzeranno. – 2. Giorno della grande accusa. a) L’accusa del demonio. S. Agostino ci assicura che il primo a levarsi contro noi sarà il demonio. Proprio lui! che ora con ogni lusinga ed inganno ci sospinge nel fango. Dirà: Durante la vita quest’anima ha osservato i comandamenti, Signore, non della tua ma della mia legge. Dammela dunque, che m’appartiene. Noi oseremo balbettare: « Signore, a seguire il demonio si faceva meno fatica; troppo dura è la tua legge ». « Non è vero, non è vero! — c’insulterà il demonio — Io ti facevo lavorare anche la Domenica, mentre la soave legge di Dio ti avrebbe concesso riposo. E tu lavoravi per me, senza lamentarti. Io ti facevo bere anche quando non avevi più sete: e tu per me bevevi ancora, fino a sentirti male, a imbestialirti nell’ubriachezza. Io ti comandavo di ballare: e tu, stanco di sei giorni di lavoro, ballavi alla domenica per farmi ridere. Io ti suggerivo un appuntamento equivoco: e tu, per ascoltarmi, lasciavi la tua famiglia, e magari faceva freddo, pioveva, e sostenesti d’attendere sotto l’acqua o la neve per ore e ore quella persona. Io ti imponevo di sprecare nei vizi il sudore della tua settimana: e tu, che avevi paura di donare un soldo in elemosina, consumavi nei ritrovi e nei piaceri il sostentamento della tua famiglia. Altro che leggero il mio giogo: ma tu l’hai preferito! b) L’accusa dell’Angelo. Poi sorgerà il nostro Angelo. Sì l’Angelo custode, a cui ci aveva affidati la Pietà superna, anch’esso diverrà accusatore. «Mio Signore, — dirà — il mio dovere d’illuminarlo, custodirlo, reggerlo, governarlo l’ho compiuto: ma invano. Invano, o Signore, ho illuminato la sua mente coi buoni pensieri, la sua anima con le buone parole di sacerdoti e di amici, la sua via col buon esempio di compagni. Invano lo custodivo, ché egli si recava di sua cocciuta volontà con le persone cattive e nei luoghi pericolosi. Alle tempeste di rimorsi che suscitavo nel suo cuore, non volle arrendersi ». – c) L’accusa degli uomini. Terminata l’accusa dell’angelo maligno e dell’Angelo buono, sorgeranno gli uomini ad accusarci. Sarà la voce degli innocenti scandalizzati dalle nostre parole, dal nostro esempio, dai nostri incitamenti: « Giustizia di Dio, — grideranno, — vendica le anime nostre ». Sarà la voce dei complici dei nostri peccati: « Giustizia di Dio, — grideranno, — con lui il male, con lui l’inferno ». – Sarà la voce, o genitori, dei vostri figlioli che non custodiste, che non educaste, che forse scandalizzaste. « Signore, diranno, ho imparato in casa a non pregare, a bestemmiare, ad offenderti! ». Sarà forse, o genitori, la voce fioca dei figli che non avete voluto, o che abbandonaste prima di nascere. « Signore, gemeranno: noi pure avevamo diritto alla vita, e non l’avemmo! ». d) Accusa senza scusa. Quale scusa troveremo da opporre a tanta accusa? Forse la nostra ignoranza? Colpa nostra se non ci siamo istruiti: ogni Domenica c’era predica e dottrina. Forse la nostra debolezza? Ma tutti i santi balzeranno a dire: « Anche noi eravamo di carne e sangue come voi, e ci salvammo ». Allora sorgerà il Giudice e giudicherà. – – «Osservate il fico, e, in genere, tutte le piante. Quando — diceva Gesù — la scorza si fa più tenera e umida, quando le gemme inturgidite lasciano trasparire in punta un occhio verde, voi dite che vien primavera. Ebbene, vi darò i segni per conoscere l’arrivo della mia giustizia. Segni in terra: scoppieranno guerre di popolo contro popolo, si svilupperanno malattie contagiose di città in città, e lunghi incendi arderanno su tutta la faccia del mondo. I viventi d’allora squallidi e muti si consumeranno per la paura e per l’aspettazione. – Segni in cielo: il sole si spegnerà ruggendo come un ferro rovente nell’acqua, la luna negherà i suoi raggi pallidi, le stelle come ubriache usciranno dal loro cammino e precipiteranno; ogni potenza dell’universo si muoverà. Allora su le nubi, con potestà e maestà, si vedrà venire il Figlio di Dio ». E svelerà. E parlerà. E condannerà. 1. E svelerà:  Quando nel buio d’una stanza penetra un improvviso fascio di luce, in un colpo d’occhio tutto si vede quello che c’è nella stanza: si vede anche il granello di polvere sui mobili, e i corpuscoli che danzano nel vuoto. Così sarà nell’apparire del Figlio di Dio: tutta la nostra coscienza sarà invasa dalla sua luce sfolgorante. Non una piega rimarrà nell’ombra, non una pagina della nostra vita rimarrà oscura. Sarà quella l’ora della verità. Quelle frequenti visite, quelle passeggiate, quei ritrovi che sì è creduto di coprire col pretesto di un’amicizia innocente, di giusto sollievo, appariranno allora quali sono, motivi d’impura passione. Quella roba che si portava a casa col pretesto di ricompensarci dalla cattiva paga o di ciò che avevano tolto a noi, allora apparirà quale realmente è: un furto. È facile, quaggiù, perdere la Messa con la scusa che il tempo manca, trascurare la Dottrina cristiana col pretesto degli affari, omettere le preghiere della sera per la stanchezza; ma allora tutti sapranno che non si trovava tempo per i doveri religiosi, il tempo si trovava — e quanto! — per i divertimenti, per le chiacchiere, per il gioco, per i peccati. È facile quaggiù profanare, col lavoro, il giorno festivo e nascondere il proprio peccato con l’apparenza di una necessità o dell’urgenza; ma l’avarizia sordida che ci spinge a questo sacrilegio sarà svelata in quel giorno. Tutto sarà svelato: ma soprattutto i peccati tenuti nascosti anche nella Confessione, e trascinati dietro di giorno in giorno con una lunga catena di sacrilegi. Chi può immaginare la confusione del reprobo, scoperto agli occhi di tutti, agli occhi di Dio? –

– 2. E parlerà.  Santa Caterina da Siena, una sera che pregava ginocchioni davanti al Crocifisso, vide una luce uscire dalle piaghe del Signore, e poi udì un gemito che la rimproverava perché in quel giorno era stata distratta nell’orazione. La santa cominciò a tremare dallo spavento, e un sudore gelido le rigò le membra, e giù dagli occhi caddero amarissime lacrime. « Ho provato un dolore — manifestò poi — che altrettale non proverò mai, nemmeno se mi svergognassero davanti ai re del mondo. Preferirei camminare per mesi e mesi su di una strada intessuta di spine, ma non riudire la trafittura di quel rimbrotto ». Eppure il suo era un piccolo difetto, e forse non del tutto volontario. Eppure Gesù le parlava per amore, volendola purificare da ogni debolezza e trasportarla verso un’altissima perfezione. Che stordimento indicibile dovrà dunque essere quello dei reprobi quando Cristo nel suo furore li rimprovererà dei loro enormi peccati? Loquetur ad eos in ira sua, et in furore suo conturbabit eos (Ps., XI, 5). « Rendimi conto, — ci dirà, — della vita che ti diedi. Dov’è il bene che hai fatto in trenta, quaranta, cinquant’anni? Quante sono le tue Comunioni, le mortificazioni, le elemosine, le opere buone? ». «Rendimi conto — ci dirà — delle mie buone ispirazioni. Che hai fatto di quei pensieri di bene che di giorno in giorno ti mandavo? Che hai fatto di quei rimorsi coi quali ti pungevo il cuore quando sentivi le prediche, quanto ti trovavi nella solitudine? Li cacciasti via come mosche, li soffocasti: ora me li pagherai ». «Rendimi conto — ci dirà — della tua famiglia. I tuoi genitori ti hanno educato bene, ti hanno insegnato a rispettare la mia legge e il mio Nome, ma tu perché hai dimenticato i loro insegnamenti? I tuoi figliuoli perché non sono cresciuti buoni? E come potevano crescere tali, se non ti curavi di loro, se non li castigavi quando fuggivano dalla chiesa, se li scandalizzavi con mali esempi? ». – « Rendimi conto — ci dirà — dei sacerdoti che ho messo vicino alla tua anima. Essi ti insegnavano, e tu non andavi a sentirli. Essi predicavano e tu chiudevi le orecchie. Essi ti rimproveravano a nome mio, e tu li hai odiati ». – «Rendimi conto — ci dirà — dei miei Sacramenti. Avevi nell’anima il demonio e non andavi a confessarti: hai disprezzato il sacramento del perdono, e adesso pretendi ch’Io ti perdoni? Oh quante volte ti ho aspettato nel silenzio del Tabernacolo, e non sei venuto. Ti ho aspettato a Pasqua, ti ho aspettato alle SS. Quaranta ore, ti ho aspettato il giorno del Perdono, ti ho aspettato il giorno dei Morti… E non sei venuto ». «Ah, rendimi conto del mio sangue. Il sangue che ho versato sotto gli ulivi, il sangue della flagellazione, il sangue della coronazione di spine, il sangue delle mie mani e de’ miei piedi, il sangue del mio cuore. Tutto il sangue fu inutile per te ». – Quid sum misertum dicturus? Miseri, confusi, nudi, sotto il pungente sguardo di tutti gli uomini, che sono che furono e che saranno, chi di noi oserà rispondere qualche cosa? 3. E condannerà. Prima dell’alba S. Agostino fu risvegliato da un gemere lungo e da un singhiozzare straziante che gli veniva su dalla strada. Due uomini seminudi, dalla barba e dalla capigliatura sporca e lunga, magri e affamati, tremavano convulsamente davanti alla porta del Vescovo. Intanto tutto il popolo d’Ippona era accorso a vederli. «Come vi chiamate? » domandò S. Agostino. « Paolo e Palladio » risposero, senza cessare di piangere e di tremare. « Quietatevi, noi vi soccorreremo ». – « È impossibile quietarci. Noi veniamo da Cesarea di Cappadocia, ove eravamo sette fratelli e tre sorelle. Abbiamo offeso nostra madre vedova, ed essa ci ha maledetti, e la sua maledizione è passata nella nostra pelle, nella nostra carne, nel nostro sangue, nelle ossa nostre. E ci fa tremare, così come vedi, notte e giorno senza requie mai… Liberaci, santo di Dio, dalla maledizione di nostra madre, oppure, se non puoi altro, facci almeno la grazia di morire ». S. Agostino pregò per loro, e Dio li liberò. Riflettete, Cristiani: se tanto ha potuto in quei figli la maledizione di una madre terrena, che cosa non produrrà in noi la terribile, irrevocabile, finale maledizione di Dio, Padre nostro, offeso dai nostri peccati? Ite, maledicti, in ignem æternum. Adesso non sappiamo comprendere che cosa importi la privazione di Dio; soltanto possiamo formarcene un’idea assai lontana e confusa. Immaginate se in questa chiesa mancasse l’aria: i nostri occhi si gonfierebbero, le gote diverrebbero livide, apriremmo la bocca delirando, soffocheremmo. Un tormento che a questo assomiglia, ma infinitamente più grande, proverà l’anima che, maledetta, si sente privare di Dio, che è il suo respiro. Aver sempre sete, senza bere mai; aver sempre fame senza mangiar mai; tremare dal freddo senza una fiamma, ardere dal fuoco senza un alito che ci rinfreschi: così l’anima senza Dio. – Terribili tormenti, ma questa grama ricompensa il peccatore se la invoca lui stesso peccando. E quando la mobilitazione generale delle coscienze sarà suonata, quando su tutta la terra rintronerà il grido tremendo: — levatevi, o morti! — allora Iddio non farà che sancire quello che ciascuno ha voluto per sé. «O Cristiano! col peccato hai degradato te stesso: sia fatta la tua volontà, per sempre. Fiat voluntas tua, in æternum. «O Cristiano! col tuo peccato dal tuo cuore mi hai scacciato. Io ratifico: per sempre In æternum. « E ormai vattene, che non ti conosco più: per sempre. In æternum ». – Un piccolo re aveva dichiarato guerra a un gran Re. Ma poi si pose a tavolino e cominciò a riflettere: « Come mai posso nutrire speranze di vincerla, se conto appena diecimila soldati, quando il mio avversario ne conduce più di venti milioni? ». E da saggio, intanto che le armate erano ancora lontane, mandò una legazione chiedendo umilmente la pace e i patti di sottomissione. Legationem mittens rogat ea quæ pacis sunt (Lc., XIV, 32).Ora, il Vangelo di questa prima domenica di Avvento ci assicura che Gesù Cristo, il gran Re sul cui fianco sta scritto il segno del potere infinito Rex regum et Domus dominantium (Apoc., XIX, 16), deve venire dal cielo a giudicare la terra. Che cosa siamo noi davanti a lui? Pretendiamo forse di resistergli? Facciamola da saggio come il piccolo re della parabola: intanto che è ancora lontano, intanto che siamo ancora in tempo, domandiamogli i patti di pace, e assoggettiamoci a tutti i suoi dolci comandamenti. – Se vivessimo i nostri giorni sotto la luce che viene da questo ultimo giorno, come volentieri porteremmo la nostra croce! I Santi queste cose le capivano molto bene. S. Pietro Martire, esorcista della Chiesa di Roma nei primi tempi del Cristianesimo, quando fu cacciato in prigione per la fede, disse al carceriere che egli era pronto a liberare nel Nome di Cristo la sua figliuola dal demonio da cui era invasata da parecchi anni. Il carceriere, sorpreso a tale proposta, gli chiese perché non si serviva della onnipotenza del Nome di Gesù per liberare se stesso dalla prigione. Ed egli: «Conosco troppo bene i vantaggi delle mie catene e per nessun motivo vorrei liberarmi ». Se possiamo recare un po’ di conforto ai nostri fratelli facciamolo sempre volentieri; le nostre croci invece apprezziamole come si meritano ed anzichè domandare al Signore che ce le tolga, preghiamolo che ci dia la forza di portarle, con rassegnazione ed amore. Tanto più godremo, quando più avremo faticato, sofferto, pianto per amor di Dio. – Austera è la verità del giudizio universale. Ancora al nostro orecchio risuonano le parole paurose che leggemmo, domenica scorsa, nel Vangelo; ancora nella nostra mente ripassano le fosche immagini di un mondo in fiamme e di un cielo sfasciato. Oggi, il Vangelo ritorna al medesimo argomento, ma non più per opprimerci di spavento, bensì per elevarci a grande speranza. Il sole, la luna, le stelle daranno tristi segnali e la costernazione passerà sui popoli; il mare mugghierà, e gli uomini morranno di paura nell’aspettazione di ciò che sarà. E sarà per venire, in potenza e in gloria, il Figlio dell’uomo a giudicare dalle nubi. Quando avverranno queste cose, voi — che siete buoni — levate la fronte, che la redenzione vostra è vicina. Levate capita vestra: quoniam appropinquat redemptio vestra. (Alzate il vostro capo perché la vostra redenzione si avvicina). Gesù ci rivolge queste buone parole, proprio nella I Domenica d’Avvento. Noi ci prepariamo al Santo Natale che è il ricordo della prima venuta di Gesù nel mondo; prepariamoci bene e ci troveremo contenti nella seconda venuta di Gesù nel mondo, al giudizio universale.Il mondo si sfascerà in una fumosa rovina: ma noi non saremo del mondo e lo guarderemo scrosciare, sicuri, come se scrosciasse la casa di un altro, anzi come se scrosciasse la prigione dove abbiamo patito e lacrimato tanto. Alzeremo allora,con gioia, la nostra testa verso i cieli squarciati, attendendo la redenzione; Gesù verrà a portarcela. Il giudizio finale libera gli eletti dalle persecuzioni del mondo. Inoltre, in questa vita, i giusti sono condannati a vivere come gli iniqui, sono confusi con loro; sono chiamati ipocriti più di loro; sono perseguitati in mille modi. Nel giorno del giudizio i buoni saranno vendicati: ci sarà la separazione e si vedranno i raggiri e le ingiustizie dei cattivi. Quando Dio comandò a Giosuè di togliere di mezzo al popolo Acan, uomo scandaloso, e di farlo morire, disse: « Sorgi e santifica il popolo ». Surge et sanctifica populum (Ios., VII, 13). Quando Giuda uscì dal cenacolo, per eseguire il suo detestabile disegno, Gesù si sentì sollevato da un’ambascia mortale, ed esclamò: « Finalmente il Figliuol dell’uomo è glorificato ». Nunc clarificatus est Filius hominis (Giov., XIII, 31). Questa santificazione e questa glorificazione sarà data ai buoni nel giorno finale, quando gli Angeli separeranno i giusti dagli ingiusti. c) Il giudizio finale libera gli eletti dallo scherno del mondo.  Infine, in questa vita le persone umili sono schernite; quelle che sopportano le offese sono dette vili; quelle che non si danno ai piaceri sono dette sciocche; quelle poi che si consacrano a Dio attraverso alla vita religiosa sono chiamate pazze. Ma sarà un momento di brusca meraviglia, quando i mondani vedranno queste persone in un trono di gloria. «Eccoli là — esclameranno con rabbia, — quelli che ritenemmo come il rifiuto del mondo, quelli che deridemmo; ora sono nella luce e nella gioia dei figli di Dio. Li abbiamo creduti stupidi, e gli stupidi eravamo noi ». Nos insensati! Vitam illorum aestimabamus insaniam (Sap., V., 4). Al giudizio finale saremo redenti dalla morte. Squilleranno le trombe a risurrezione, e dovunque il nostro corpo sarà o in terra o in mare o sparso nel vento come leggera polvere, risorgerà. Cristo, che è morto per vincere la morte, ci redimerà dalla morte, restituendo ai buoni la propria carne, rifatta luminosa, impassibile, bella per la gloria del Paradiso. – È giusto. Quel corpo che ha patito tanto per resistere al demonio, è giusto che sia premiato. Quegli occhi che si sono chiusi con violenza davanti alle vanità mondane, ai libri, a figure pericolose, è giusto che s’abbiano a riaprire a veder tutta la gloria di Dio. Quelle orecchie che sono diventate sorde a certe mormorazioni, a certe parole, empie contro la fede, o luride contro la virtù, è giusto che ascoltino l’armonia degli Angeli e i cori universali dei santi. Quella gola e quella lingua che si era proibito l’abuso nel cibo, nel bere, nel parlare, è giusto che intoni un cantico eterno e beatissimo. E quelle povere ginocchia che hanno saputo com’è duro il pavimento delle chiese, o il legno delle panche, o le mattonelle della propria stanza vicino al letto, perché non avranno la loro parte di gloria? Vedete allora come i buoni non devono temere il giorno del giudizio, ma aspettarlo come il contadino aspetta la primavera. E non è forse tutto primaverile il presagio datoci dal Signore per riconoscere il tempo del giudizio finale? «Guardate la pianta del fico, anzi tutte le piante: quando voi vedete le gemme umettarsi di gomma, inturgidirsi, rompere la buccia per mettere al sole un occhio di tenerissimo verde, voi dite: è vicina la primavera. Ebbene, quando cominceranno i segni nel sole e nelle stelle, rallegratevi! ché il regno di Dio è alle porte ». Come un albero che si risveglia dall’inverno, noi ci risveglieremo dalla morte. Con questi sentimenti moriva, arso vivo, il martire S. Pionio. Mentre le fiamme, crepitando sotto, ascendevano a lambirgli le membra contratte nello spasimo atroce, mentre il rogo l’avvolgeva in una bandiera tormentosa di fuoco, egli gridava: « Muoio volentieri così; perché tutto il Popolo sappia che dopo la morte c’è la resurrezione della carne ». Poi il fumo e il fuoco gli raggiunsero la bocca, e non parlò più. Avete, qualche volta, pensato bene al Paradiso? Immaginate quell’immensa regione d’ogni bellezza, i canti e le armonie, la luce, il sorriso, la gioia: e noi saremo là. Là, col nostro corpo, proprio noi e tutti ci vorranno bene; ma più di tutti è Dio che vorrà bene. «O Signore! com’è bello star qui…» (Mt., XVII, 4) gridava S. Pietro nel colmo della gioia; eppure non vedeva il Paradiso, sul Tabor non c’era che una smunta rivelazione della infinita bellezza del Signore. Chissà, allora, noi, in Paradiso, quando vedremo tutto il Signore, chissà che cosa diremo?… Non diremo nulla: ameremo. Il più è arrivarci. – Santa Caterina da Siena, ascoltando parlare del giudizio universale mentre tutti tremavano, sorrideva beata. « Perché? » le fu chiesto. « Perché penso che Colui che verrà a giudicarmi è quel Gesù che tanto amo, per cui ho sacrificato la mia giovinezza, e tutta la mia vita». Amiamo in questa vita Gesù Cristo, e il suo giudizio non ci farà spavento. E se in questa vita noi ci facessimo amici della Croce e del Crocifisso, non sarebbe un bell’accorgimento per sfuggire all’ira ventura, e trovare misericordia in quel momento supremo? Dunque facciamoci amici della Croce. Facciamoci amici del Crocifisso. – Amate la sua croce! e l’amerete quando con fede, con pazienza porterete le tribolazioni che ogni giorno della vita incontrerete. Considerate come Gesù Cristo, il Re divino, ha fatto e poi andategli dietro: factus obœdiens usque ad mortem, ad mortem autem crucis (Phil., II, 8). E perché ribellarci quando la Provvidenza di Dio con la sua spada ci percuote nella roba, nella famiglia, nella salute?Non sappiamo che se Dio ci tocca, è per farci cavalieri suoi nel Paradiso? e noi l’imprecheremo? Amate dunque la sua guerra! la quale è guerra contro le seduzioni del mondo. Sempre e da ogni parte noi siamo circondati da pericoli spirituali: il mondo è tutto una malignità. Amate la sua guerra! la quale è guerra contro noi stessi. Ci sono in noi due parti contrastanti: l’una parte è animale e terrestre, l’altra è spirituale e celeste; la prima ci solleva al bene, la seconda ci abbassa al male. È questa parte di noi che dobbiamo soffocare e rinnegare con le sue inclinazioni perverse, con i suoi affetti velenosi. Se avremo amato la croce e la guerra contro il mondo e contro noi stessi, non proveremo spavento all’apparire del Segno del Figliuol dell’uomo, nel dì del giudizio.« Ecco la croce! » grideranno gli Angeli: altri piangeranno, ma non noi, che in quel momento la saluteremo con le parole di S. Andrea Apostolo: « Salve, o croce, a lungo portata! Salve, o croce, con gioia aspettata! Accoglimi sotto l’ombra del tuo braccio destro, perché fui discepolo di Colui che appesero su te! ». – Per farci amici del Crocifisso non c’è via migliore che farci amici dei poveri, dei malati, di tutti coloro che soffrono, di tutti coloro che in qualsiasi modo sono crocifissi nell’anima o nel corpo. In Turingia non v’era dolore che S. Elisabetta non lenisse, non vi era bisogno che non soccorresse, non v’era sventura che ella ignorasse. Accorreva alle capanne degli ammalati, assisteva i moribondi, vestiva gli ignudi, raccoglieva ed istruiva gli orfani. Ai cancelli del suo palazzo, i poveri si affollavano ogni giorno, e nessuno partiva senza qualche consolazione. Una volta lasciò entrare nelle sue stanze un ammalato schifoso, anzi ella stessa con le sue mani fini e candide cominciò a curargli le piaghe, a lavarle, a baciarle… I servi inorriditi esclamarono: «Che fate! Che fate!… ». Ma Elisabetta tranquillissima rispose: « Bacio le piaghe del Signor mio Gesù Cristo: così non mi faranno più spavento nel giorno del giudizio. È a quel giorno che io penso, e ad esso, come posso, mi preparo ». – Era veramente una regina saggia, della saggezza del Vangelo. Il Vangelo infatti dice apertamente il valore e la stima che verrà data alle opere buone nel giudizio universale. Il gran Re dirà a coloro che saranno accolti alla sua destra: « Venite, o benedetti dal Padre mio, a prender possesso del regno che fin dal principio del mondo vi tenevo preparato. Voi mi trovaste affamato e mi sfamaste; mi vedeste ignudo e mi vestiste; mi incontraste pellegrino sulla strada e mi ricoveraste; mi sapeste prigioniero e mi visitaste; e se fui malato, mi assisteste ». Ed i giusti meravigliati gli domanderanno: « Forse ti sbagli, giacché noi non ti trovammo mai affamato né ti vedemmo mai ignudo, e neppure pellegrino sulla strada, e neppure prigioniero e neppure ammalato… ». « No, no! — riprenderà il Re — non mi sbaglio: tutto quello che avete fatto al più piccolo, al più dimenticato tra gli uomini, l’avete fatto proprio a me». – S. Giovanni Crisostomo ci ammonisce di non considerare il bene fatto come una perdita, ma come un guadagno, noi doniamo del pane, ed in cambio riceveremo il paradiso; noi doniamo un abito ed in cambio riceveremo la veste nuziale per entrare al banchetto dei cieli; noi concediamo ospizio sotto il nostro tetto e avremo tutta l’eternità; noi perdoniamo poco e saremo perdonati molto; noi asciughiamo le lagrime altrui e saremo rallegrati per sempre. Vi dico che neppure un bicchier d’acqua pura offerto per amor di Dio, andrà smarrito! Anzi vi dico che nel giorno del giudizio finale noi non possederemo se non quello che avremo donato. San Filippo Benizi, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria Vergine, moriva. Oltre la malattia, oltre il dolore, da giorni lo tormentava una terribile visione. Già gli sembrava di trovarsi davanti al tribunale di Dio, e intorno a lui sorgevano i demoni a rimproverargli i peccati della vita passata, anche i più lontani, anche i più piccoli… L’agonizzante a quella vista, a quelle parole apriva gli occhi inorriditi, tremava, e più non aveva speranza. « Datemi il mio libro! Datemi il mio libro! » gridava con voce spaventata. Degli astanti alcuni corsero a prendere un libro, altri un altro libro: ma egli li rifiutava tutti senza trovare requie. Finalmente uno si accorse che gli occhi del morente s’erano fissati sopra un Crocefisso lì accanto; lo prese e glielo pose tra le mani gelide e sudate. – Appena l’ebbe, come un assetato, vi pose sopra la bocca a baciarlo bramosamente: baciò il legno della croce, baciò le piaghe di Colui che vi era appeso. 1 suoi occhi si illuminarono come al sorgere d’un alba interiore; la sua fronte si spianò in una dolce serenità; le sue labbra si atteggiarono a dolcissimo sorriso. E andò così incontro al giudizio di Dio. Aveva amato la croce, aveva amato il Crocifisso con tutte le sue forze. Di che cosa avrebbe dovuto temere? – Il padrone se n’è andato lontano. Qualche servo prudente e fedele cominciò subito ad eseguire gli ordini ricevuti, preparando senza sperpero e distribuendo con puntualità al momento opportuno il cibo ai familiari. Beato quel servo che il padrone al suo arrivo troverà a fare così! In verità vi dico lo metterà a capo di tutto quel che possiede. Invece qualche altro servo indolente e cattivo, passato qualche tempo, disse fra sè: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… forse non verrà più ». Cominciò a trascurare il suo lavoro, a litigare e venire alle mani coi compagni di servizio, a mangiare e bere con gli ubriachi, Disgraziato quel servo che il padrone troverà a fare così! Il padrone sopravvenendo in un giorno che non sarà atteso, in un’ora che il servo non sa, lo farà uccidere, lo caccerà tra gli ipocriti maligni: là dove sarà pianto e stridor di denti (Mt., XXIV, 45-51). Dunque, Cristiani, tutta la nostra vita quaggiù è un’aspettativa, è un tempo d’avvento. Ma specialmente, deve essere una aspettativa fervorosa in questa parte dell’anno liturgico che si chiama proprio « Avvento ». Nessuno s’inganni, dicendo fra sé: «Il mio padrone tarda… chissà quando verrà… ho tempo ». Nessuno osi restare in peccato mortale: mettetevi tutti in grazia di Dio; vivete sempre in grazia di Dio. «I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade accese: siate simili a quelli che aspettano il loro padrone… » (Lc., XII, 35-36). – Un altro consiglio per prevenire in bene il nostro Giudice divino è quello di non giudicare mai il prossimo. « Non giudicate, e non sarete giudicati». Ecco alcuni motivi che ci persuaderanno meglio a praticarlo. a) Non dobbiamo giudicare perché nessuno ci ha costituiti nella carica di giudice verso il nostro prossimo. Tutti siamo sullo stesso piano, tutti fratelli; Uno solo sta sopra di noi, superiore e giudice di tutti: a suo tempo verrà. Intanto nessuno usurpi quell’ufficio che solo è suo. b) Non dobbiamo giudicare perché ogni nostro prossimo è suddito e servo di Dio. Che egli cada o stia in piedi, ciò riguarda il suo padrone e non noi. (Rom., XIV, 4-10). c) Non dobbiamo giudicare perché siamo incapaci d’essere imparziali: nell’occhio del prossimo ci dà fastidio perfin la pagliuzza, e nel nostro sopportiamo anche una trave. Già fin d’ora noi sappiamo esattamente come si svolgerà il giudizio e quali parole saranno pronunciate dal Giudice. Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi Angeli, allora siederà sul trono, e dirà a quelli che saranno alla sua destra: « Venite, benedetti dal Padre mio, prendete possesso del regno, che v’è stato preparato dalla creazione del mondo. Perché io ebbi fame, e m’avete dato da mangiare; ebbi sete e m’avete dato da bere; fui straniero e m’avete accolto; nudo e m’avete vestito; malato e mi avete assistito: in prigione e siete venuti a trovarmi ». Per conchiudere, sentite come è saggio quest’altro consiglio che è nel Vangelo di S. Matteo: « Mentre sei ancora per strada, mettiti d’accordo col tuo avversario. Altrimenti all’istante in cui arrivi, ti consegna alle guardie e vieni gettato in carcere ». Mentre siamo ancora pellegrini in questo mondo, mettiamoci dunque in pace col Signore che abbiamo offeso. Non aspettiamo quando saremo arrivati alla morte. Corri tu prima a presentarti avanti a Lui col pentimento, con la confessione. Corri a presentarti a Lui, prima che Egli ti faccia comparire davanti a sé. Previeni, per non essere prevenuto.

IL CREDO

Offertorium


Orémus
Ps XXIV: 1-3. Ad te levávi ánimam meam: Deus meus, in te confído, non erubéscam: neque irrídeant me inimíci mei: étenim univérsi, qui te exspéctant, non confundéntur.

[A Te ho innalzato l’ànima mia: Dio mio, in Te confido, che io non abbia ad arrossire, né abbiano a deridermi i miei nemici: poiché quelli che confidano in Te non saranno confusi.]

Secreta


Hæc sacra nos, Dómine, poténti virtúte mundátos ad suum fáciant purióres veníre princípium.[Questi misteri, o Signore, purificandoci con la loro potente virtú, ci facciano pervenire piú mondi a Te che ne sei l’autore.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio


Ps LXXXIV: 13.
Dóminus dabit benignitátem: et terra nostra dabit fructum suum. [Il Signore ci sarà benigno e la nostra terra darà il suo frutto.]

Postcommunio

Orémus.
Suscipiámus, Dómine, misericórdiam tuam in médio templi tui: ut reparatiónis nostræ ventúra sollémnia cóngruis honóribus præcedámus.
[Fa, o Signore, che (per mezzo di questo divino mistero) in mezzo al tuo tempio sperimentiamo la tua misericordia, al fine di prepararci convenientemente alle prossime solennità della nostra redenzione.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

Matrimonio nella CHIESA CATTOLICA Eclissata in unione con Papa GREGORIO, secondo il MOTU PROPRIO di S.S. PIO XII, del 22 febbraio 1949 “Disciplina ,,,”

Matrimonio cattolico della CHIESA CATTOLICA Eclissata in unione con Papa GREGORIO, secondo il MOTU PROPRIO di S.S. PIO XII, del 22 febbraio 1949 “Disciplina ,,,”

27 novembre 2021

N. N.

N. N.

TESTIMONI:

N. N.

N. N.

MATRIMONIO

La Santa Madre Chiesa nella sua immensa sapienza e preveggenza ha definito dottrine che sono adatte ai tempi di prosperità e libertà di culto cattolico, e canoni e definizioni dottrinali per i tempi di persecuzione e per la Chiesa “eclissata” o delle catacombe. Al giorno attuale così, il Matrimonio Cattolico tra i pochi, ostinati fedeli Cattolici, è possibile pure nella difficoltà pratica, per i più, di reperire un sacerdote o prelato cattolico in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, capace quindi di fornire dei Sacramenti validi e leciti, e nello specifico di rendere possibile l’acquisizione della grazia santificante e particolare relativa ai fini del Sacramento stesso, in questo caso, del Matrimonio. In effetti i fedeli Cattolici che vogliono ad ogni costo evitare – giustamente – le sette acattoliche, e soprattutto la setta dei falsi profeti della sinagoga di satana [la cosiddetta setta del “Novus ordo” di istituzione massonico-kazara!] oggi usurpante il Vaticano e tutti gli edifici di culto un tempo appartenenti alla Chiesa Cattolica, con le relative false funzioni che, lungi dall’apportare grazia, assicurano la “disgrazia” personale, familiare e sociale, hanno perplessità ed indecisioni nell’approcciarsi correttamente al matrimonio senza commettere una serie di gravi sacrilegi e peccati che comprometterebbero il cammino di salvezza per sé, il coniuge, i parenti ed i partecipanti a funzioni invalide ed illecite e – soprattutto – alla futura prole che verrebbe generata in regime di peccato mortale e fuori dalla Chiesa Cattolica, complicando in tal modo tutta la loro vita di grazia, di redenzione e di salvezza.

Ma … nessun problema, la Santa Madre Chiesa, la parte militante del Corpo mistico di Cristo, guidata infallibilmente dallo Spirito Santo e che opera da “Maestra delle genti” attraverso il Magistero apostolico Ordinario e Universale e straordinario esercitato dal Sommo Pontefice Romano e della sua Gerarchia, ha pensato proprio a voi in difficoltà, in questi tempi di apostasia e di impostura dottrinale e canonica, spianandovi la strada al Matrimonio cattolico, se ci è lecito così definire … delle catacombe. – Sovvenendoci, quindi, delle esortazioni del profeta Isaia: … « Confortate le braccia infiacchite e le ginocchia vacillanti rinfrancate. Dite ai pusillanimi: Coraggio, non temete; ecco il vostro Dio… verrà… », possiamo ricorrere in tutta certezza e sicurezza al Motu Proprio: « De disciplina Sacramenti Matrimonii pro Ecclesia orientali di S. S. Pio XII » del 22 febbraio 1949 (festa della Cattedra di S. Pietro). – Ferme restando tutte le altre disposizioni (ivi dettagliatamente riportate) in materia di impedimenti, dispense e preparazione al Matrimonio cattolico (per noi la retta vera dottrina, una pratica di vita cristiana, la frequentazione di “veri” Sacramenti materiali e formali – se possibile – o almeno spirituali: severo e sincero esame di coscienza, contrizione perfetta con implicito desiderio di Confessione sacramentale appena possibile, Comunione spirituale …), un canone in particolare concerne le situazioni estreme che riguardavano allora i fedeli orientali, ma che oggi sono ubiquitarie e riguardano praticamente l’intero pianeta, in riferimento alla disponibilità di un sacerdote o prelato cattolico della “vera” Chiesa “una cum Papa nostro Gregorio”.

Il Canone rinuncia esplicitamente alla presenza di un sacerdote alla celebrazione del matrimonio in determinate circostanze straordinarie, ma non rinuncia, anche in questo caso, alla richiesta che il matrimonio sia celebrato davanti ad almeno due testimoni. Il matrimonio è validamente celebrato davanti ai soli testimoni comuni (naturalmente Cattolici), quando è impossibile per le parti avere o avvicinare un Sacerdote autorizzato, purché si verifichi una di queste condizioni:

1) una delle parti parte è in pericolo di morte,

2) si prevede che non sarà disponibile alcun sacerdote autorizzato per almeno un mese.

In situazioni estreme per il matrimonio non è richiesto il sacerdote!!!

Nota: «Sebbene i Canoni non concedano esplicitamente nessun’altra rinuncia alla celebrazione, c’è la dispensa all’obbligo della legge che richiede l’assistenza attiva di un sacerdote autorizzato e l’assistenza di testimoni, almeno nel caso di estrema difficoltà che colpisce l’intera comunità. Il Sant’Uffizio ha dichiarato che i Cattolici della Cina non sono tenuti ad osservare la legge sulla forma del matrimonio finché continuano le circostanze create dal regime rosso ». (H. BOUSCAREN, CANON LAW DIGEST, III Ed. p. 408).

(Due importanti notifiche del “Noli Timere” sono contenute in questo Canone,

– primo, che in pericolo di morte il matrimonio può essere contratto senza un sacerdote ma davanti a due testimoni, e …

– secondo, che nei luoghi dove non si può avere un sacerdote o le parti non possono recarvisi, non hanno bisogno di aspettare un mese intero, se c’è una buona ragione per giudicare che le stesse condizioni continueranno per un mese).

Riportiamo il canone succitato:

MOTU PROPRIO

DE DISCIPLINA SACRAMENTI MATRIMONII PRO ECCLESIA ORIENTALI

PIUS PP. XII

DE SACRAMENTO MATRIMONII

CAPUT VI

De forma celebrationis matrimonii

Can. 89

Se vi sia un grave incomodo per il parroco, o gerarca o sacerdote con facoltà nell’assistere al matrimonio fatto a norma dei canoni 86, 87:

1° in pericolo di morte è valido e lecito il matrimonio contratto davanti ai soli testimoni;

ed anche fuori dal pericolo di morte, quando stando le cose per cui si preveda prudentemente che si protraggano per un mese;

2 ° In entrambi i casi in cui non si possa al più presto chiamare un altro sacerdote cattolico che possa venire ed assistere al matrimonio con i testimoni, salvo la validità dei coniugi, il matrimonio è valido e lecito… [validum et licitum est matrimonium contractum …] davanti ai soli testimoni.

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Pater noster,

qui es in cælis, sanctificétur nomen tuum: advéniat regnum tuum: fiat volúntas tua, sicut in cælo et in terra. Panem nostrum quotidiánum da nobis hódie: et dimítte nobis débita nostra, sicut et nos dimíttimus debitóribus nostris: et ne nos indúcas in tentatiónem: sed líbera nos a malo. Amen.

Ave María,

grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, et benedíctus fructus ventris tui Jesus. Sancta María, Mater Dei, ora pro nobis peccatóribus, nunc et in hora mortis nostræ. Amen.

Credo

in Deum, Patrem omnipoténtem, Creatórem cæli et terræ.

Et in Jesum Christum, Fílium ejus únicum, Dóminum nostrum: qui concéptus est de Spíritu Sancto, natus ex María Vírgine, passus sub Póntio Piláto, crucifíxus, mórtuus, et sepúltus: descéndit ad ínferos; tértia die resurréxit a mórtuis; ascéndit ad cælos; sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos.
Credo in Spíritum Sanctum, sanctam Ecclésiam cathólicam, Sanctórum communiónem, remissiónem peccatórum, carnis resurrectiónem, vitam ætérnam. Amen.

V. Deus ✠ in adjutórium meum inténde.
R. Dómine, ad adjuvándum me festína.

V. Glória Patri, et Fílio, * et Spirítui Sancto.
R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, * et in sǽcula sæculórum. Amen.

Gloria

 
Glória in excélsis Deo. Et in terra pax homínibus bonæ voluntátis. Laudámus te. Benedícimus te. Adorámus te. Glorificámus te. Grátias ágimus tibi propter magnam glóriam tuam. Dómine Deus, Rex cæléstis, Deus Pater omnípotens. Dómine Fili unigénite, Jesu Christe. Dómine Deus, Agnus Dei, Fílius Patris. Qui tollis peccáta mundi, miserére nobis. Qui tollis peccáta mundi, súscipe deprecatiónem nostram. Qui sedes ad déxteram Patris, miserére nobis. Quóniam tu solus Sanctus. Tu solus Dóminus. Tu solus Altíssimus, Jesu Christe. Cum Sancto Spíritu in glória Dei Patris. Amen.

[Gloria a Dio nell’alto dei cieli. E pace in terra agli uomini di buona volontà. Noi Ti lodiamo. Ti benediciamo. Ti adoriamo. Ti glorifichiamo. Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo. Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre. Tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. Tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica. Tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. Poiché Tu solo il Santo. Tu solo il Signore. Tu solo l’Altissimo, Gesù Cristo. Con lo Spirito Santo ✠ nella gloria di Dio Padre. Amen.]

Salmo 8:

[1] In finem, pro torcularibus. Psalmus David.

[2] Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra! quoniam elevata est magnificentia tua super caelos.

[3] Ex ore infantium et lactentium perfecisti laudem propter inimicos tuos, ut destruas inimicum et ultorem.

[4] Quoniam videbo cælos tuos, opera digitorum tuorum, lunam et stellas quæ tu fundasti.

[5] Quid est homo, quod memor es ejus? aut filius hominis, quoniam visitas eum?

[6] Minuisti eum paulo minus ab angelis; gloria et honore coronasti eum;

[7] et constituisti eum super opera manuum tuarum.

[8] Omnia subjecisti sub pedibus ejus, oves et boves universas, insuper et pecora campi,

[9] volucres cæli, et pisces maris qui perambulant semitas maris.

[10] Domine, Dominus noster, quam admirabile est nomen tuum in universa terra!

[1. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terra!

Perocché la tua maestà è elevata fin sopra dei cieli.

2. E dalla bocca de’ fanciulli e dei bambini di latte tu hai ricavata perfetta laude contro de’ tuoi nemici, per distruggere il nemico e il vendicativo.

3. Or io miro i tuoi cieli, opere delle tue dita, la luna e le stelle disposte da te.

4. Che è l’uomo, che tu di lui ti ricordi? Od il figliuolo dell’uomo che tu lo visiti?

5. Lo hai fatto per alcun poco inferiore agli Angeli, lo hai coronato di gloria e di onore;

6. E lo hai costituito sopra le opere delle tue mani.

7. Tutte quante le cose hai soggettate ai piedi di lui, le pecore e i bovi tutti e le fiere della campagna.

8. Gli uccelli dell’aria, e i pesci del mare, i quali camminano le vie del mare.

9. Signore, Signor nostro, quanto ammirabile è il nome tuo per tutta quanta la terrai!]

Salmo 90:

Laus cantici David.

Qui habitat in adjutorio Altissimi, in protectione Dei cæli commorabitur.

Dicet Domino: Susceptor meus es tu et refugium meum; Deus meus, sperabo in eum.

Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium, et a verbo aspero.

Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis ejus sperabis.

Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis a timore nocturno;

a sagitta volante in die, a negotio perambulante in tenebris, ab incursu, et daemonio meridiano.

Cadent a latere tuo mille, et decem millia a dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.

Verumtamen oculis tuis considerabis et retributionem peccatorum videbis.

Quoniam tu es, Domine, spes mea; Altissimum posuisti refugium tuum.

Non accedet ad te malum, et flagellum non appropinquabit tabernaculo tuo.

Quoniam angelis suis mandavit de te, ut custodiant te in omnibus viis tuis.

In manibus portabunt te, ne forte offendas ad lapidem pedem tuum.

Super aspidem et basiliscum ambulabis, et conculcabis leonem et draconem.

Quoniam in me speravit, liberabo eum; protegam eum, quoniam cognovit nomen meum.

Clamabit ad me, et ego exaudiam eum; cum ipso sum in tribulatione; eripiam eum, et glorificabo eum.

Longitudine dierum replebo eum, et ostendam illi salutare meum.

[1. Colui che riposa nell’aiuto dell’Altissimo, viverà sotto la protezione del Dio del cielo.

2. Egli dirà al Signore: Mio difensore sei tu, e mio asilo; egli è il mio Dio, in lui spere

3. Imperocché egli dal laccio dei cacciatore e da dure cose mi ha liberato.

4. Dei suoi omeri farà ombra a te, e sotto le ali di lui avrai fidanza.

5. La sua verità ti coprirà come scudo per ogni parte: non temerai i notturni spaventi.

6. Non di giorno la saetta volante, non l’avversario che va attorno nelle tenebre, non gli assalti del demonio del mezzogiorno.

7. Mille cadranno al tuo fianco, e diecimila alla tua destra; ma nessuna (saetta) a te si accosterà.

8. Ma tu coi tuoi propri occhi osserverai; e vedrai il contraccambio renduto ai peccatori.

9. (E dirai): Tu sei, o Signore, la mia speranza; e che per tuo rifugio hai scelto l’Altissimo.

10. Non si accosterà a te il male, e alla tua casa non accosterassi il flagello.

11. Imperocché egli ha commessa di te la cura ai suoi Angeli; ed eglino in tutte le vie tue saran tuoi custodi.

12. Ti sosterranno colle lor mani, affinché sgraziatamente tu non urti col tuo piede nel sasso.

13 Camminerai sopra l’aspide e sopra il basilisco; e calpesterai il leone e il dragone.

14. Perché egli ha sperato in me, io lo libererò; lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome.

15. Alzerà a me la voce, e io lo esaudirò; con lui son io nella tribolazione, ne lo trarrò, e lo glorificherò.

16. Lo sazierò di lunghi giorni, e farogli vedere il Salvatore, che vien da me.]

Salmo 127

[1] Canticum graduum.

Beati omnes qui timent Dominum, qui ambulant in viis ejus.

[2] Labores manuum tuarum quia manducabis, beatus es, et bene tibi erit.

[3] Uxor tua sicut vitis abundans, in lateribus domus tuae; filii tui sicut novellae olivarum in circuitu mensae tuae.

[4] Ecce sic benedicetur homo qui timet Dominum.

[5] Benedicat tibi Dominus ex Sion, et videas bona Jerusalem omnibus diebus vitae tuae;

[6] et videas filios filiorum tuorum, pacem super Israel.

[1. Beati tutti coloro che temono il Signore, che camminano nelle sue vie.

2. Perché tu mangerai le fatiche delle tue mani, tu sei beato e sarai felice.

3. La tua consorte come vite feconda, nell’interior di tua casa.

4. I tuoi figliuoli come novelle piante di ulivi, intorno alla tua mensa.

5. Ecco come sarà benedetto l’uomo che teme il Signore.

6. Ti benedica da Sionne il Signore, e vegga tu i beni di Gerusalemme per tutti i giorni della tua vita.

7. E vegga tu i figliuoli dei tuoi figliuoli, e la pace in Israele.]

Confiteor

Confíteor Deo omnipoténti, beátæ Maríæ semper Vírgini, beáto Michaéli Archángelo, beáto Joánni Baptístæ, sanctis Apóstolis Petro et Paulo, ómnibus Sanctis, et tibi, pater: quia peccávi nimis cogitatióne, verbo et ópere: mea culpa, mea culpa, mea máxima culpa. Ideo precor beátam Maríam semper Vírginem, beátum Michaélem Archángelum, beátum Joánnem Baptístam, sanctos Apóstolos Petrum et Paulum, omnes Sanctos, et te, pater, oráre pro me ad Dóminum, Deum nostrum.
S. Misereátur nostri omnípotens Deus, et, dimíssis peccátis nostris, perdúcat nos ad vitam ætérnam.
R. Amen.
S. Indulgéntiam,
absolutiónem et remissiónem peccatórum nostrórum tríbuat nobis omnípotens et miséricors Dóminus.
R. Amen.

[Confesso a Dio onnipotente, alla beata sempre Vergine Maria, al beato Michele Arcangelo, al beato Giovanni Battista, ai Santi Apostoli Pietro e Paolo, a tutti i Santi e a te, o padre, di aver molto peccato, in pensieri, parole ed opere: per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. E perciò supplico la beata sempre Vergine Maria, il beato Michele Arcangelo, il beato Giovanni Battista, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, tutti i Santi, e te, o padre, di pregare per me il Signore Dio nostro.
S. Dio onnipotente abbia pietà di noi e, rimessi i nostri peccati, ci conduca alla vita eterna.
R. Amen.
S. Il Signore onnipotente e misericordioso ✠ ci accordi il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati.
R. Amen.]

Salmo 50

[1] In finem. Psalmus David,

[2] cum venit ad eum Nathan propheta, quando intravit ad Bethsabee.

[3] Miserere mei, Deus, secundum magnam misericordiam tuam; et secundum multitudinem miserationum tuarum, dele iniquitatem meam.

[4] Amplius lava me ab iniquitate mea, et a peccato meo munda me.

[5] Quoniam iniquitatem meam ego cognosco, et peccatum meum contra me est semper.

[6] Tibi soli peccavi, et malum coram te feci; ut justificeris in sermonibus tuis, et vincas cum judicaris.

[7] Ecce enim in iniquitatibus conceptus sum, et in peccatis concepit me mater mea.

[8] Ecce enim veritatem dilexisti; incerta et occulta sapientiae tuae manifestasti mihi.

[9] Asperges me hyssopo, et mundabor; lavabis me, et super nivem dealbabor.

[10] Auditui meo dabis gaudium et laetitiam, et exsultabunt ossa humiliata.

[11] Averte faciem tuam a peccatis meis, et omnes iniquitates meas dele.

[12] Cor mundum crea in me, Deus, et spiritum rectum innova in visceribus meis.

[13] Ne projicias me a facie tua, et spiritum sanctum tuum ne auferas a me.

[14] Redde mihi laetitiam salutaris tui, et spiritu principali confirma me.

[15] Docebo iniquos vias tuas, et impii ad te convertentur.

[16] Libera me de sanguinibus, Deus, Deus salutis meæ, et exsultabit lingua mea justitiam tuam.

[17] Domine, labia mea aperies, et os meum annuntiabit laudem tuam.

[18] Quoniam si voluisses sacrificium, dedissem utique; holocaustis non delecta-beris.

[19] Sacrificium Deo spiritus contribulatus; cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies.

[20] Benigne fac, Domine, in bona voluntate tua Sion, ut aedificentur muri Jerusalem.

[21] Tunc acceptabis sacrificium justitiæ, oblationes et holocausta; tunc imponent super altare tuum vitulos.

[Salmo di Davide da cantare fino alla fine del mondo, e composto da lui quando Nathan profeta entrò da lui a rimproverarlo del suo adulterio con Bethsabea, e anche dell’omicidio di Uria. Davide chiede a Dio perdono del suo peccato.

[1. Abbi misericordia di me, o Dio, secondo la grande tua misericordia.

2. E secondo le molte operazioni di tua misericordia scancella la mia iniquità.

3. Lavami ancor più dalla mia iniquità, e mondami dal mio peccato:

4. Perocché io conosco la mia iniquità, e il mio peccato mi sta sempre davanti;

5. Contro di te solo peccai, e il male feci dinanzi a te; affinché tu sii giustificato nelle

tue parole, e riporti vittoria quando sei chiamato in giudizio.

6. Imperocché ecco che io nelle iniquità fui concepito, e nei peccati mi concepì la madre.

7. Ed ecco che tu hai amato la verità! svelasti a me gl’ignoti e occulti misteri di tua sapienza.

8. Tu mi aspergerai coll’issopo, e sarò mondato; mi laverai, e diverrò bianco più che la neve.

9. Mi farai sentir parola di letizia e di gaudio, e le ossa umiliate tripudieranno.

10. Rivolgi la tua faccia dai miei peccati, e cancella le mie iniquità.

11. In me crea, o Dio, un cuor mondo, lo spirito retto rinnovella nelle mie viscere.

12. Non rigettarmi della tua faccia, e non togliere da me il tuo santo spirito.

13. Rendimi la letizia del tuo Salvatore per mezzo del benefico Spirito tu mi conforta.

14. Insegnerò le tue vie agli iniqui, e gli empi a te si convertiranno.

15. Liberami dal reato del sangue, o Dio, Dio di mia salute, e la mia lingua canterà con gaudio la tua giustizia.

16. Signore, tu aprirai le mie labbra, e la mia bocca annunzierà le tue lodi.

17. Imperocché, se un sacrifizio tu avessi voluto, lo avrei offerto; tu non ti compiacerai degli olocausti.

18. Sacrifizio a Dio lo spirito addolorato; il cuore contrito e umiliato nol disprezzerai o Dio.

19. Colla buona volontà tua sii benefico, o Signore, verso Sionne, affinché stabilite sieno le mura di Gerusalemme.

20. Tu accetterai allora il sacrifizio di giustizia, le oblazioni o gli olocausti; allora porranno dei vitelli sul tuo altare.]

La Chiesa è una comunione di Santi. A questo rito assistono i Santi, gli Angeli e le anime purganti: invochiamoli a protezione e patrocinio di questa nuova famiglia:

Litania dei santi

LITANIE DEI SANTI

Kyrie eleison,

Christe eleison,

Kyrie eleison.

Christe, audi nos;

Christe, exaudi nos;

Pater de cœlis Deus, Miserere nobis,

Fili redentor mundi Deus, Miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, Miserere nobis.

Sancta Trinitas unus Deus, Miserere…

Sancta Maria, ora pro nobis.

Sancta Dei Genitrix, ora

Sancta Virgo virginum, ora

Sancte Michael, ora

Sancte Gabriel, ora

Sancte Raphael, ora

Omnes sancti Angeli et Archangeli, orate

Omnes sancti beatorum Spirituum Ordines, orate

Sancte Joannes Baptista, ora

Sancte Joseph, ora…

Omnes sancti Patriarchæ et Prophetæ, orate…

Sancte Petre, ora…

Sancte Paule, ora…

Sancte Andrea, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Joannes, ora…

Sancte Thoma, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Philippe, ora…

Sancte Bartholomæe, ora…

Sancte Matthæe, ora…

Sancte Simon, ora…

Sancte Thaddæe, ora …

Sancte Mathia, ora …

Sancte Barnaba, ora…

Sancte Luca, ora…

Sancte Marce, ora…

Omnes sancti Apostoli et Evangelistas, orate…

Omnes sancti Discipuli Domini, orate…

Omnes sancti Innocentes, orate…

Sancte Stephane, ora…

Sancte Laurenti, ora…

Sancte Vincenti, ora…

Sancti Fabiane et Sebastiane, orate…

Sancti Joannes et Paule, orate…

Sancti Cosma et Damiane, orate…

Sancti Gervasi et Protasi, orate …

Omnes sancti Martyres, orate…

Sancte Silvester, ora…

Sancte Gregori, ora…

Sancte Ambrosi, ora…

Sancte Augustine, ora…

Sancte Hieronyme, ora…

Sancte Martine, ora…

Sancte Nicoláe, ora…

Omnes sancti Pontifices et Confessores, orate …

Omnes sancti Doctores, orate …

Sancte Antoni, ora

Sancte Benedicte, ora…

Sancte Bernarde, ora

Sancte Dominice, ora

Sancte Francisce, ora

Omnes sancti Sacerdotes et Levitæ, orate …

Omnes sancti Monachi et Eremitæ, orate …

Sancta Maria Magdalena, ora…

Sancta Agatha, ora …

Sancta Lucia, ora …

Sancta Agnes, ora …

Sancta Cæcilia, ora…

Sancta Catharina, ora

Sancta Anastasia, ora

Omnes sanctæ Vìrgines Viduæ, orate…

Omnes Sancti et Sanctæ Dei, intercedite pro nobis.

Propitius esto, parce nobis, Domine.

Propitius esto, exaudi nos, Domine.

Ab omni malo, libera nos Domine.

Ab omni peccato libera nos,…

Ab ira tua, libera…

A subitanea et improvisa morte, libera …

Ab insidiis diaboli, libera nos …

Ab ira, et odio et omni mala voluntate, libera nos…

A spiritu fornicationis, libera …

A fulgure et tempestate, libera …

A flagello terræmotus, libera …

A peste, fame et bello, libera …

A morte perpetua, libera …

Per misterium sanctæ incarnationis tuæ, libera …

Per adventum tuum, libera …

Per nativitatem tuam, libera …

Per baptismum et sanctum jejunium tuum, libera …

Per crucem et passionem tuam, libera …

Per mortem et sepolturam tuam, libera …

Per sanctam resurrectionem tuam, libera …

Per admirabilem ascensionem tuam, libera …

Per adventum Spiritus Sancti Paracliti, libera …

In die judicii, libera …

Peccatores, te rogamus, audi nos.

Ut nobis parcas, te rogamus …

Ut nobis indulgeas, te rogamus

Ut ad veram pœnitentiam nos perducere digneris, te rogamus …

Ut Ecclesiam tuam sanctam regere et conservare digneris, te rogamus …

Ut [domnum apostolicum] et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris, te rogamus…

Ut inimicos sanctæ Ecclesiaæ humiliare digneris, te rogamus…

Ut regibus et principibus christianis pacem et veram concordiam donare digneris, te rogamus …

Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus …

Ut nosmetipsos in tuo sancto servitio confortare et conservare digneris, te rogamus:

Ut mentes nostras ad cœlestia desideria erigas, te rogamus …

Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas, te rogamus…

Ut animas nostras, fratrum, propinquorum, et benefactorum nostrorum ab æterna damnatione eripias, te rogamus …

Ut fructus terræ dare et conservare digneris, te rogamus …

Ut omnibus fidelibus defunctis requiem æternam donare digneris, te rogamus …

Ut nos exaudire digneris, te rogamus …

Fili Dei, te rogamus …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Kyrie eleison.

Christe eleison.

Kyrie eleison.

Pater noster, (secreto)

… et ne nos inducas in tentationem,

Sed libera nos a malo.

Salmo 69

Deus, in adjutórium meum intènde; * Domine ad adjuvàndum me festina. Confundàntur, et revereàntur,* qui quærunt animam meam: Avertàntur retrórsum, et erubéscant, * qui volunt mihi mala: Avertàntur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, éuge. Exùltent et læténtur in te omnes qui quærunt te, * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui diligunt salutare tuum. Ego vero egénus, et pàuper sum: * Deus, àdjuva me. Adjùtor meus, et liberator meus es tu: * Domine ne moréris. – Glòria Patri, etc.

V. Salvos fac servos tuos,

R. Deus meus speràntes in te.

V. Esto nobis, Dòmine, turris fortitùdinis,

R. A facie inimici.

V. Nihil proficiat inimicus in nobis.

R. Et filius iniquitàtis non appónat nocére:

V. Dòmine, non secundum peccata nostra fàcias nobis.

R. Neque secundum iniquitàtes nostras retribuas nobis.

V. Oremus prò Pontifice nostro Gregorio,

R. Dominus consérvet eum, et vivificet eum et beàtum faciat eum in terra, et non tradat eum in anima inimicórum éjus.

R. Oremus prò benefactóribus nostris.

R. Ritribùere dignàre, Dòmine, òmnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum vitam ætérnam. Amen.

V. Oremus prò fidélibus defùnctis.

R. Requiem ætérnam dona eis, Dòmine, et lux perpétua luceat eis.

V. Requiescant in pace.

R. Amen.

V. Pro fratribus nostris abséntibus.

R. Salvos fac servos tuos, Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Dòmine, auxilium de sancto:

R. Et de Sion tuére eos.

V. Domine, exaudi oratiónem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

V. Exàudiat nos omnipotens et miséricors Dominus.

R. Amen.

V. Et fidélium ànimæ per misericórdiam Dei requiescant in pace.

R. Amen

Epistola

(Ephes. V., 22-33)

Mulieres viris suis subditæ sint, sicut Domino: quoniam vir caput est mulieris, sicut Christus caput est Ecclesiæ: ipse, salvator corporis ejus. Sed sicut Ecclesia subjecta est Christo, ita et mulieres viris suis in omnibus. Viri, diligite uxores vestras, sicut et Christus dilexit Ecclesiam, et seipsum tradidit pro ea, ut illam sanctificaret, mundans lavacro aquæ in verbo vitæ, ut exhiberet ipse sibi gloriosam Ecclesiam, non habentem maculam, aut rugam, aut aliquid hujusmodi, sed ut sit sancta et immaculata. Ita et viri debent diligere uxores suas ut corpora sua. Qui suam uxorem diligit, seipsum diligit. Nemo enim umquam carnem suam odio habuit: sed nutrit et fovet eam, sicut et Christus Ecclesiam: quia membra sumus corporis ejus, de carne ejus et de ossibus ejus. Propter hoc relinquet homo patrem et matrem suam, et adhærebit uxori suæ, et erunt duo in carne una. Sacramentum hoc magnum est, ego autem dico in Christo et in Ecclesia. Verumtamen et vos singuli, unusquisque uxorem suam sicut seipsum diligat: uxor autem timeat virum suum.

[Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto. E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell’acqua accompagnato dalla parola, al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno mai, infatti, ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo. Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola.Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa! Quindi anche voi, ciascuno daparte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.]

Vangelo

(S. Matteo, XIX, 3-6]

Et accesserunt ad eum pharisæi tentantes eum, et dicentes: Si licet homini dimittere uxorem suam, quacumque ex causa? Qui respondens, ait eis: Non legistis, quia qui fecit hominem ab initio, masculum et feminam fecit eos? Et dixit: Propter hoc dimittet homo patrem, et matrem, et adhaerebit uxori suæ, et erunt duo in carne una. Itaque jam non sunt duo, sed una caro. Quod ergo Deus conjunxit, homo non separet.

[Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo? Ed egli rispose: Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello, dunque, che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi.]

Enciclica casti connubi

…. Mediante il connubio, dunque, si congiungono e si stringono intimamente gli animi, e questi prima e più fortemente che non i corpi, né già per un passeggero affetto dei sensi o dell’animo, ma per un decreto fermo e deliberato di volontà; e da questa fusione di anime, così avendo Dio stabilito, sorge un vincolo sacro ed inviolabile. – Tale natura, affatto propria e speciale di questo contratto, lo rende totalmente diverso, non solo dagli accoppiamenti fatti per cieco istinto naturale fra gli animali, in cui non può esservi ragione o volontà deliberata, ma altresì da quegli instabili connubii umani, che sono disgiunti da qualsivoglia vero ed onesto vincolo di volontà e destituiti di qualsiasi diritto di domestica convivenza. – Da qui già appare manifesto che la legittima autorità ha diritto e dovere di frenare, impedire e punire questi turpi connubii, contrari a ragione e a natura; ma trattandosi qui di cosa che consegue alla stessa natura umana, non è meno certo quello che apertamente ammoniva il Nostro predecessore di f. m. «Nella scelta del genere di vita, non è dubbio che è in potere ed arbitrio dei singoli il preferire l’una delle due: o seguire il consiglio di Gesù Cristo intorno alla verginità, oppure obbligarsi col vincolo matrimoniale. Nessuna legge umana può togliere all’uomo il diritto naturale e primitivo del coniugio; o in qualsivoglia modo circoscrivere la cagione principale delle nozze, stabilita da principio per autorità di Dio: Crescete e moltiplicatevi ». (Leone XIII). …. «Tutti questi — dice Sant’Agostino — sono i beni per i quali le nozze sono buone: la prole, la fede, il sacramento ». Che poi a buon diritto si possa dire che questi tre punti contengono uno splendido compendio di tutta la dottrina sul matrimonio cristiano, ci viene eloquentemente dichiarato dallo stesso Santo quando dice: «Nella fede si provvede che fuor del vincolo coniugale non ci sia unione con un altro o con un’altra; nella prole che questa si accolga amorevolmente, si nutra benignamente, si educhi religiosamente; nel sacramento poi che non si sciolga il coniugio, e che il rimandato o la rimandata nemmeno per ragione di prole si congiunga con altri. Questa è come la regola delle nozze, dalla quale ed è nobilitata la fecondità della natura ed è regolata la pravità dell’incontinenza ». […..]. – Tutto ciò pienamente s’accorda con le severe parole del Vescovo d’Ippona, il quale inveisce contro quei coniugi depravati che s’industriano di evitare la prole; ed ove non ottengano l’intento, non temono di ucciderla. «Talvolta — dice — questa crudeltà impura o impurità crudele giunge fino al punto di ricorrere ai veleni atti a procurare la sterilità e, se non vi riesce, a estinguere con qualche mezzo il frutto concepito e a liberarsene, bramando che la propria prole muoia prima di vivere, o se già viveva nel materno seno, sia uccisa prima di nascere. Per certo, se ambedue sono tali, non sono coniugi: e se tali furono fin da principio, non si congiunsero per connubio, ma piuttosto per turpitudine; se tali non sono tutti e due, oso dire: o che ella, in qualche modo, si prostituisce al marito, o che egli si rende adultero verso di lei ». […..] – Ma inoltre sono da annoverare partitamente altrettanti capi di errori e di corruttele contro la fede coniugale, quante sono le virtù domestiche che questa fede abbraccia: la casta fedeltà dell’uno e dell’altro coniuge; l’onesta soggezione della moglie al marito, e infine il saldo e sincero amore tra i due. … L’animo nobile dei casti coniugi, anche solo per lume naturale respinge e disprezza certamente simili errori, come vanità e brutture; e siffatta voce della natura è approvata e confermata dal comandamento di Dio «Non fornicare », e da quello di Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con lei ». E nessuna consuetudine o pravo esempio e nessuna parvenza di progresso umano potranno mai indebolire la forza di questo divino precetto. Perché come è sempre il medesimo «Gesù Cristo ieri e oggi e nei secoli », così è sempre identica la dottrina di Cristo, della quale non cadrà un punto solo, sino a tanto che tutto sia adempito. I citati maestri di errori che offuscano il candore della fede e della castità coniugale, facilmente scalzano altresì la fedele ed onesta soggezione della moglie al marito … E anche più audacemente molti di essi affermano con leggerezza essere quella una indegna servitù di un coniuge all’altro; i diritti tra i coniugi devono essere tutti uguali, ed essendo essi violati con la servitù di una parte, tali maestri bandiscono superbamente come già fatta o da procurarsi una certa « emancipazione » della donna. Questa emancipazione dicono dovere essere triplice: nella direzione della società domestica, nell’amministrazione del patrimonio, nell’esclusione e soppressione della prole. La chiamano emancipazione sociale, economica, fisiologica; fisiologica in quanto vogliono che la donna, a seconda della sua libera volontà, sia o debba essere sciolta dai pesi coniugali, sia di moglie, sia di madre (e che questa, più che emancipazione, debba dirsi nefanda scelleratezza, già abbiamo sufficientemente dichiarato); emancipazione economica, in forza della quale la moglie, all’insaputa e contro il volere del marito, possa liberamente avere, trattare e amministrare affari suoi privati, trascurando figli, marito e famiglia; emancipazione sociale, in quanto si rimuovono dalla moglie le cure domestiche sia dei figli come della famiglia, perché, mettendo queste da parte, possa assecondare il proprio genio e dedicarsi agli affari e agli uffici anche pubblici. – Ma neppure questa è vera emancipazione della donna, né la ragionevole e dignitosa libertà che si deve al cristiano e nobile ufficio di donna e di moglie; ma piuttosto è corruzione dell’indole muliebre e della dignità materna, e perversione di tutta la famiglia, in quanto il marito resta privo della moglie, i figli della madre, la casa e tutta la famiglia della sempre vigile custode. Anzi, questa falsa libertà e innaturale eguaglianza con l’uomo tornano a danno della stessa donna; giacché se la donna scende dalla sede veramente regale, a cui, tra le domestiche pareti, fu dal Vangelo innalzata, presto ricadrà nella vecchia servitù (se non di apparenza, certo di fatto) e ridiventerà, come nel paganesimo, un mero strumento dell’uomo. … Senonché, contro tutte queste demenze, (dovorziste – ndr.-) sta immobile, Venerabili Fratelli, la legge di Dio, da Cristo amplissimamente confermata, e che non può venire smossa da nessun decreto degli uomini, opinione di popoli o volontà di legislatori: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non separi » . E se l’uomo ingiuriosamente tenta separarlo, il suo atto sarà del tutto nullo, e resta immutabile quanto Cristo apertamente affermò: « Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero; e chi sposa la rimandata dal suo marito, è adultero ». E queste parole di Cristo riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo, giacché ad ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, all’arbitrio delle parti e ad ogni potestà laicale. – E qui deve pur essere ricordato il solenne giudizio con il quale il Concilio Tridentino condannò tali insanie di anatema: « Chiunque dice che il vincolo del matrimonio può essere sciolto dal coniuge, a causa di eresia o di molesta coabitazione o di pretesa assenza, sia anatema ». ; e inoltre « Chiunque dice che la Chiesa erra quando ha insegnato e insegna che, secondo la dottrina evangelica ed apostolica, non può essere disciolto il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che nessuno dei due, neanche l’innocente che non diede motivo all’adulterio, può contrarre altro matrimonio, vivente l’altro coniuge, e che commette adulterio tanto colui il quale, ripudiata l’adultera, sposa un’altra, quanto colei che, abbandonato il marito, ne sposa un altro, sia anatema » . Se la Chiesa non errò né erra in questa sua dottrina, e perciò è del tutto certo che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto neppure per l’adulterio, ne segue con evidenza che molto minor valore hanno tutti gli altri motivi di divorzio, di molto più deboli, che sogliono o possono allegarsi, e quindi non è da farne alcun conto…..

Rito nunziale

L’officiante, alla presenza di due testimoni, si porta davanti agli sposi e domanda del consenso, dicendo:

Allo Sposo:

 D: Francisce, vis accipere Mariam hic præséntem in tuam legitimam uxérem iuxta ritum sanctæ matris Ecclésiæ? Lo sposo risponde:

R. Volo.

[D. Francesco: Sei contento di prendere Maria, quì presente, come tua legittima sposa, secondo il rito della Santa Madre Chiesa? – Lo sposo risponde: Lo voglio; oppure: sì].

Poi alla sposa:

D. Maria, vis accipere Franciscum hic præséntem in tuum legitimum maritum iuxta ritum sanctæ matris Ecclésiæ? La Sposa risponde:

R. Volo.

[D.  Maria, sei contenta di prendere Francesco, qui presente, come tuo legittimo marito, secondo il rito della Santa Madre Chiesa? La sposa risponde: Lo voglio; oppure: sì]

L’officiante comanda agli sposi di darsi la destra e dice:

Ego coniungo vos in matrimonium in nomine Patris et Fili, et Spiritus Sancti. Amen.

[Io vi congiungo in matrimonio; nel nome del Padre e del Figliuolo, e dello Spirito Santo. Così sia].

Tosto li asperge con l’acqua benedetta. Quindi benedice l’anello dicendo:

V. Adiutorium nostrum in nomine Domini. [Il nostro aiuto è nel nome del Signore.] R. Qui fecit cælum et terram.  [Il quale ha fatto il cielo e la terra].

V. Domine, exaudi orationem meam [Signore, esaudisci la mia preghiera.]

R. Et clamor meus ad te veniat [E il mio grido giunga a Te].

Orazioni

Orémus.

Benedic Domine, annulum hunc, quem nos in tuo nomine benedicimus; ut, quæ eum gestaverit, fidelitàtem integram suo sponso tenens, in pace et voluntàte tua permaneat, atque in mutua caritàte semper vivat. Per Christum Dominum nostrum.

B. Amen.

[Preghiamo. — Benedici, o Signore, questo anello che noi benediciamo nel tuo nome, affinché colei che lo porterà, mantenendosi sempre fedele al suo sposo, stia nella pace e nella tua volontà e viva sempre nella mutua carità. Per Cristo nostro Signore.

R. Così sia].

Quindi consegna l’anello alla sposa dicendo:

In nomine Patris et Filii, et Spiritus Sancti. Amen 

[Nel nome del Padre, e del Figliuolo e dello Spirito. Così sia.]

E soggiunge:

V. Confirma hoc, Deus, quod operatus es in nobis.

R. A templo sancto tuo, quod est in Jerusalem.

Kyrie, eléison.

Christe, eléison.

Kyrie eléison

Pater noster, secréto usque ad:

V. Et ne nos inducas in tentationem.

R. Sed libera nos a malo.

V. Salvos fac servos tuos.

R. Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Domine, auxilium de sancto.

R. Et de Sion tuére eos.

V. Esto eis, Domine, turris fortitudinis,

R. A facie inimici.

V. Domine, exaudi orationem meam.

R. Et clamor meus ad Te veniat.

[V. Conferma, o Dio, quello che hai operato in noi.

V. Dal tuo tempio santo che è in Gerusalemme]

Signore, abbi pietà di noi.

Cristo, abbi pietà di noi.

Signore, abbi pietà di noi.

Padre nostro (in segreto fino a):

V. E non ci indurre in tentazione

R. Ma liberaci dal male

V. Salva i tuoi servi.

R. Che sperano in te, o mio Dio.

V. Manda loro, o Signore, dal santuario, l’aiuto

R. E da Sion difendili.

V. Sii ad essi, o Signore, una torre di fortezza.

R. Di fronte al nemico.

V. Signore ascolta la mia preghiera.

R. Ed il mio grido giunga a te].

Oremus.

Respice, quæsumus, Domine, super nos famulos tuos: et institùtis tuis, quibus Propagationem humani géneris ordinàsti, benignus assiste; ut, qui te auctore iuguntur, te auxiliante servéntur. Per Christum Dominum nostrum.

R. Amen.

[Preghiamo: — Guarda, te ne preghiamo, o Signore questi tuoi servi, e, benigno assisti coloro che hai istituito per la propagazione del genere umano, affinché quelli che sono uniti per opera tua col tuo aiuto ti servano fedelmente. Per Cristo nostro Signore]

Comunione spirituale:

.a) Atto di dolore

Deus meus, ex toto corde, pœnitet me omnium peccatorum meorum eaque detestor, quia peccando, non solum a te justu statuto pœnas promeritus sum, sed præsertim quia offendi te, summum bonum ac qui super omnia diligaris. Ideo fermiter propono, adiuvante gratia tua, me de cœtero non peccaturum, peccandique occasiones proximas fugiturum. Parce, Domine, miserere nostri.

[Dio mio, con tutto il cuore mi pento dei miei peccati e li detesto, perché peccando non solo ho meritato le giuste pene, ma soprattutto perché ho offeso Te, sommo Bene, amato sopra ogni cosa. Pertanto, mi propongo fermamente di non peccare più, e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Perdono, Signore, pietà di me.]

.b) ACTUS COMMUNIONIS SPIRITUALIS

164

Gesù mio, credo che Voi state nel santissimo Sacramento. Vi amo sopra ogni cosa e vi desidero nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi sacramentalmente, venite almeno spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi abbraccio e tutto mi unisco a voi; non permettete che io mi abbia a separare da voi (S. Alfonso M. de’ Liguori).

Fidelibus, qui spiritualis Communionis actum, quavis adhibita formula, elicuerint, conceditur:

Indulgenza trium annorum;

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem actus perfectus fuerit.

(S. Pæn. Ap., 7 mart. 1927 et 25 febr. 1933).

Deus Abraham, Deus Isaac, et Deus Jacob sit vobiscum et ipse adimpleat benedictionem suam vobis: ut videbitis filios filiorum vestrérum usque ad tértiam et quartam generationem, et postea vitam ætérnam habeatis sine fine: adjuvante Domino nostro Jesu Christo, qui cum Patre et Spiritu Sancto vivit

R. Amen.

[Il Dio d’ Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe sia con voi, egli compia in voi la sua benedizione, affinché vediate i figli dei vostri figli sino alla terza e alla quarta generazione, e poi abbiate per sempre la vita eterna: coll’aiuto di nostro Signor Gesù Cristo il quale col Padre e collo Spirito Santo vive e regna Dio per tutti i secoli dei secoli.

R. Così sia].

O. Salve Regína,

Mater misericórdiæ, vita, dulcédo, et spes nostra, salve. Ad te clamámus, éxsules fílii Evæ. Ad te suspirámus geméntes et flentes in hac lacrymárum valle. Eia ergo, Advocáta nostra, illos tuos misericórdes óculos ad nos convérte. Et Jesum, benedíctum fructum ventris tui, nobis, post hoc exílium, osténde. O clemens, o pia, o dulcis Virgo Mária.

S. Ora pro nobis, sancta Dei Génitrix.

O. Ut digni efficiámur promissiónibus Christi.

S. Orémus.

Deus, refúgium nostrum et virtus, pópulum ad te clamántem propítius réspice; et intercedénte gloriósa, et immaculáta Vírgine Dei Genitríce María, cum beáto Joseph, ejus Sponso, ac beatis Apóstolis tuis Petro et Paulo, et ómnibus Sanctis, quas pro conversióne peccatórum, pro libertáte et exaltatióne sanctæ Matris Ecclésiæ, preces effúndimus, miséricors et benígnus exáudi. Per eúndem Christum Dóminum nostrum. Amen.

O. Sancte Míchaël Archángele,

defénde nos in prǽlio; contra nequítiam et insídias diáboli esto præsídium. Imperet illi Deus, súpplices deprecámur: tuque, Princeps milítiæ Cæléstis, sátanam aliósque spíritus malígnos, qui ad perditiónem animárum pervagántur in mundo, divína virtúte in inférnum detrúde. Amen.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

S. Cor Jesu sacratíssimum.

O. Miserére nobis.

Consacrazione della famiglia

Formula,

O Gesù Redentore nostro amabilissimo, che, venuto ad illuminare il mondo colla dottrina e coll’esempio, la maggior parte della vostra Vita mortale, voleste passare umile e soggetto a Maria ed a Giuseppe nella povera casa di Nazaret, santificando quella Famiglia che doveva essere l’esemplare di tutte le famiglie cristiane, accogli

la nostra che ora a Voi si consacra. Voi proteggetela, Voi custoditela, e stabilite in essa il santo timor vostro, la pace e la concordia della cristiana carità, affinché, uniformandosi al divino modello della vostra Famiglia, possa conseguire tutta intera, nessuno escluso, l’eterna beatitudine.

Maria, Madre amorosa di Gesù e Madre nostra, colla vostra pietosa intercessione rendete accetta a Gesù questa umile offerta, ed otteneteci le sue grazie e benedizioni.

O Giuseppe, custode di Gesù e di Maria, sovveniteci colle vostre preghiere in ogni spirituale e temporale necessità; sicché possiamo con Maria e con Voi eternamente benedire il divino nostre Redentore Gesù.

Te Deum

Te Deum
Te Deum laudámus: * te Dóminum confitémur.
Te ætérnum Patrem * omnis terra venerátur.
Tibi omnes Ángeli, * tibi Cæli, et univérsæ Potestátes:
Tibi Chérubim et Séraphim * incessábili voce proclámant:

(Fit reverentia) Sanctus, Sanctus, Sanctus * Dóminus Deus Sábaoth.

Pleni sunt cæli et terra * majestátis glóriæ tuæ.
Te gloriósus * Apostolórum chorus,
Te Prophetárum * laudábilis númerus,
Te Mártyrum candidátus * laudat exércitus.
Te per orbem terrárum * sancta confitétur Ecclésia,
Patrem * imménsæ majestátis;
Venerándum tuum verum * et únicum Fílium;
Sanctum quoque * Paráclitum Spíritum.
Tu Rex glóriæ, * Christe.
Tu Patris * sempitérnus es Fílius.

Fit reverentia
Tu, ad liberándum susceptúrus hóminem: * non horruísti Vírginis úterum.

Tu, devícto mortis acúleo, * aperuísti credéntibus regna cælórum.
Tu ad déxteram Dei sedes, * in glória Patris.
Judex créderis * esse ventúrus.

Sequens versus dicitur flexis genibus
Te ergo quǽsumus, tuis fámulis súbveni, * quos pretióso sánguine redemísti.

Ætérna fac cum Sanctis tuis * in glória numerári.
Salvum fac pópulum tuum, Dómine, * et bénedic hereditáti tuæ.
Et rege eos, * et extólle illos usque in ætérnum.
Per síngulos dies * benedícimus te.

Fit reverentia, secundum consuetudinem
Et laudámus nomen tuum in sǽculum, * et in sǽculum sǽculi.

Dignáre, Dómine, die isto * sine peccáto nos custodíre.
Miserére nostri, Dómine, * miserére nostri.
Fiat misericórdia tua, Dómine, super nos, * quemádmodum sperávimus in te.
In te, Dómine, sperávi: * non confúndar in ætérnum.

[Ti lodiamo, o Dio: * ti confessiamo, o Signore.
Te, eterno Padre, * venera tutta la terra.
A te gli Angeli tutti, * a te i Cieli e tutte quante le Potestà:
A te i Cherubini e i Serafini * con incessante voce acclamano:

(chiniamo il capo) Santo, Santo, Santo * è il Signore Dio degli eserciti.

I cieli e la terra sono pieni * della maestà della tua gloria.
Te degli Apostoli * il glorioso coro,
Te dei Profeti * il lodevole numero,
Te dei Martiri * il candido esercito esalta.
Te per tutta la terra * la santa Chiesa proclama,
Padre * d’immensa maestà;
L’adorabile tuo vero * ed unico Figlio;
E anche il Santo * Spirito Paraclito.
Tu, o Cristo, * sei il Re della gloria.
Tu, del Padre * sei l’eterno Figlio.

Chiniamo il capo:
Tu incarnandoti per salvare l’uomo, * non disdegnasti il seno di una Vergine.

Tu, spezzando il pungolo della morte, * hai aperto ai credenti il regno dei cieli.
Tu sei assiso alla destra di Dio, * nella gloria del Padre.
Noi crediamo che ritornerai * qual Giudice.

Il seguente Versetto si dice in ginocchio.
Te quindi supplichiamo, soccorri i tuoi servi, * che hai redento col prezioso tuo sangue.

Fa’ che siamo annoverati coi tuoi Santi * nell’eterna gloria.
Fa’ salvo il tuo popolo, o Signore, * e benedici la tua eredità.
E reggili * e innalzali fino alla vita eterna.
Ogni giorno * ti benediciamo;
Chiniamo il capo, se è la consuetudine del luogo.
E lodiamo il tuo nome nei secoli, * e nei secoli dei secoli.

Degnati, o Signore, di preservarci * in questo giorno dal peccato.
Abbi pietà di noi, o Signore, * abbi pietà di noi.
Scenda sopra di noi la tua misericordia, * come abbiamo sperato in te.
Ho sperato in te, o Signore: * non sarò confuso in eterno.]

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IL GIORNO XX …… SI E’ CELEBRATO il:

MATRIMONIO

 CONTRATTO secondo il rito di Santa Madre Chiesa Cattolica Romana (Motu Proprio S. S. Pio XII, 22. 2. 1949: Disciplina Sacramenti matrimoni pro ecclesia orientali. Tra:

N. N. e N. N.

TESTIMONI:

Sig. N. N. e

Sig, N. N.

FIRME:

………………………………………                                    …………………………………………..

                                                                   TESTIMONI:

……………….…………………………….                               …………………………………………………….

Luogo e data.

LO SCUDO DELLA FEDE (183)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XX)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO TERZO

LA CHIESA

III. L’ORGANIZZAZIONE DELLA CHIESA

b) ll Papa.

D. Qual è, esattamente, quel potere centrale che tu attribuisci al Papa?

R. È un potere plenario, perché è quello stesso di Cristo.

D. Uno stesso potere plenario può appartenere così a due persone?

R. È il caso di ogni potere esercitato da un vicario, È proprio dell’essenza di un vicariato di non costituire alcun grado gerarchico nuovo. Un ambasciatore, nei limiti de’ suoi poteri, non è un’autorità posta al di sotto del suo principe: egli esercita l’autorità dello stesso principe. Così il Papa esercita nella Chiesa l’autorità di Cristo; governa nel nome di Cristo, non formando con Lui, come Vicario, se non un solo ed unico potere, e facendo la stessa parte di fondamento, riguardo all’edificio spirituale, congiuntamente a Colui che lo chiamò Pietra, o Roccia, e che ha detto se stesso pietra angolare.

D. Che cosa importa questa autorità?

E. Essa comprende nella loro pienezza e centralizzandoli i tre poteri che ho già menzionato attribuendoli a tutto il gruppo apostolico, cioè il magistero dottrinale, il governo, e il ministero, o potere sacramentale.

D. Riguardo ai Sacramenti stessi, il Papa avrebbe un potere speciale?

R. Relativamente all’azione sacramentale, no; quindi egli non è che un sacerdote e un Vescovo come gli altri; ma in quanto all’uso che se ne fa e in quanto ai riti che lo accompagnano, egli è il primo così come in tutto il resto. È il maestro della liturgia, dispone l’insieme e i particolari del culto divino, a fine di dare alla misticità della Chiesa dei mezzi in rapporto coi tempi, coi luoghi e con le persone.

D. Che cosa intendi per il suo governo?

E. Egli ha un’autorità legislativa plenaria e immediata sopra la Chiesa intera; vale a dire che nel suo dominio, che è quello del soprannaturale, egli può dare ordini a ciascuno e a tutti, individui e gruppi, fedeli, pastori, chiese particolari o Chiesa universale. Con ciò è giudice supremo, e il suo giudizio è naturalmente inappellabile, salvoché, essendo egli uscito dal suo ufficio, non meriti che si dica, come a torto fece Pascal nel momento de’ suoi oblii giansenisti: Ad tuum, Domine Jesu, tribunal appello. Finalmente il potere legislativo e giudiziario del Sommo Pontefice suppone come conseguenza il potere di applicare delle sanzioni; ben inteso, conforme alla natura della sua giurisdizione: donde le pene canoniche, delle quali egli è il supremo dispensatore.

D. Ma che cosa è, principalmente, questo potere dottrinale, questo «magistero » che tu presti al tuo Pontefice? Cristo non ha forse detto parlando di se stesso: Voi non avete che un solo Maestro?

R. Ho spiegato or ora che il magistero del Papa è quello stesso di Cristo. Il Papa non pretende d’insegnare qualsiasi cosa dopo Cristo; ma egli è il capo tra quelli a cui fu detto: Andate e ammaestrate tutte le nazioni, insegnando loro quello che vi ho detto.

D. Il Papa non è dunque altro che un ripetitore?

E. Se così ti piace. Egli è il capo ripetitore della divina lezione data agli uomini. Egli conferma i suoi fratelli nella fede; organizza il simbolo, lo interpreta, lo difende, dirime da sovrano le questioni che esso suscita, serve di ultimo ricorso nelle dispute che tali questioni non possono mancar di far nascere tra gli uomini.

D. Tu pretendi che, in tutto questo, il Papa è infallibile?

R. Egli è infallibile in condizioni definite, cioè quando parla appunto come giudice della dottrina, nei limiti dell’oggetto assegnato a questa dottrina, e quando, rivolgendosi alla Chiesa universale, intende di obbligarla tutta.

D. Perché l’infallibilità?

R. Un illustre protestante (Augusto Sabatier) ha stabilito

questa proposizione: « Un dogma indiscutibile suppone una Chiesa infallibile ». Egli conclude, da parte sua, col respingere ogni dogma fisso: ma la sua dimostrazione resta.

D. In che consiste essa?

R. Nel dimostrare psicologicamente, socialmente, e nel fatto, quello che diventa un insegnamento, fuori della salvaguardia di un’autorità vivente e indiscutibile. Quest’insegnamento fa capo, salvo illogismi fortunatamente frequenti, a ciò che Andrea Gide chiama «la più grande liberazione », cioè il nulla dottrinale e l’immoralismo.

D. Questo, dici tu, si vede nel fatto?

R. Le sette che presero il loro contegno di riserva sono arrivate a uno sbriciolamento tanto più accentuato, quanto più vivevano; il ristagno di alcune prova semplicemente la loro morte. A questo punto, tra i dissidenti, si scrivono libri sopra libri, per dilucidare questo problema primordiale: qual è l’essenza del Cristianesimo? Durante questo tempo, la Chiesa vive e fa vivere.

D. Anche gli altri vivono

R. È un vivere il dissociarsi? Ogni dissociazione è una cadaverizzazione. La Chiesa vive per la sua unità, e vive potentemente per la sua certezza. L’infallibilità è la forza della Chiesa, perché le dà la piena sicurezza di se stessa di fronte al divino.

D. Si permetterebbe alla Chiesa di affermare se stessa, se non fosse così pronta a condannare tutto.

R. «Una delle condizioni essenziali dell’affermazione è la negazione e la distruzione » (NIETZSCHE).

D. Una tale correlazione ha i suoi limiti. Se la Chiesa facesse delle concessioni, ci si potrebbe intendere con essa; ma si resta offesi della sua intransigenza.

R. L’intransigenza della Chiesa è una conseguenza della sua certezza e dell’urgenza del suo insegnamento. Fare delle concessioni sarebbe per lei un abbandonare ciò che non le appartiene, abbandonare il bene divino, abbandonare il mezzo di salute degli uomini; sarebbe dunque tradire.

D. Per mantenere una verità, la tua Chiesa ne può distruggere altre.

R. Considera quello che la Chiesa distrugge. Che cosa colpiscono i suoi anatemi? Forse idee positive, forse affermazioni che si possono credere feconde? No; ma sempre negazioni, esclusioni, punti di vista parziali che, per la loro parzialità, squilibrano il vero e l’annullano. Nel modernismo, per esempio, ultima delle sue grandi vittime, quello che la Chiesa ha condannato, non è l’immanentismo in ciò che esso ha di positivo, ma un immanentismo opposto alla trascendenza del soprannaturale e a una rivelazione esteriore; non è neppure l’asserzione che la religione fosse un sentimento, ma che essa non fosse che un sentimento, ad esclusione di una dottrina netta e fissa. E così del resto. Ho già detto che il Cattolicismo aduna tutto ciò che vi è di positivo e di sano nelle religioni e nelle filosofie che si dividono il mondo. Dunque i suoi anatemi sono invero degli allargamenti, non degli impedimenti; sono degli inviti a conservare la grande via e ad evitare tutti i sentieri pantanosi.

D. Perché questa brutta parola: anatema?

R. Essere anatema significa essere collocato fuori. Quando fulmina l’anatema, la Chiesa dichiara che questi o quegli non è più suo, e ripeto che non è affatto perché egli affermi qualche cosa, ma perché nega o riduce qualche cosa. – Ciò che si assicura è che l’errore non cade mai sul proprio oggetto della Chiesa, e della Chiesa che pronunzia la sua propria legge, in condizioni che impegnano la sua divina autorità, condizioni che essa stessa definisce nel modo più preciso. Su questo punto si dovrebbe portare la contesa; ma sarebbe invano.

D. Quello che urta ancora è quell’immutabilità, quella rigida fissità, in un mondo dove tutto cambia, e dove è necessario che tutto cambi.

R. Su questo noi ci siamo spiegati. La Chiesa cambia, poiché glielo rimproverano dicendo che ella non fu fedele alle sue origini. Le rimproverano tanto i suoi cambiamenti quanto la sua immutabilità. Bisognerebbe tuttavia scegliere, o piuttosto comprendere. I cambiamenti della Chiesa sono le evoluzioni e gli adattamenti della vita; l’immutabilità della Chiesa è la fissità del tipo e dei caratteri generali della vita. Dato quello che è la Chiesa, organizzazione del soprannaturale, l’immutabilità è in lei di prima necessità; è « la fissità dell’istante in cui l’eterno è entrato nel tempo » (ERIK PETERSON).

D. Lasciamo la Chiesa: sì trattava del Papa; assicurare che egli è infallibile, non è forse un fare di un uomo un Dio?

R. No; come di un flauto, anche se suonato benissimo, non si fa un virtuoso.

D. Il flauto non ha pensiero musicale; il Papa ha un pensiero dogmatico.

R. Il pensiero dogmatico del Papa, secondo che è a lui proprio, non c’impegna in nessun modo; anche certo, esso non appoggia la nostra fede. Certi Papi hanno scritto dei volumi di teologia che si discutono come gli altri, e che hanno molto minore autorità nella Chiesa di quelli del semplice monaco Tommaso d’Aquino.

D. Su che cosa dunque ti appoggi tu qui?

R. Sull’esercizio d’un ufficio garantito da Cristo, che dice: Pietro, io ho pregato. per te, affinché la tua fede non venga meno, e tu conferma i tuoi fratelli.

D. Tu non vedi dunque nel Papa un uomo miracoloso?

R. È un uomo come gli altri; ma il suo compito non è come gli altri.

D. Ad ogni modo tu fai di questo compito qualcosa fuori dell’umanità.

R. Se esso fosse dell’umanità e non la oltrepassasse in qualche modo, come aiuterebbe secolarmente l’umanità stessa ad oltrepassarsi? Si tratta del soprannaturale, in cui l’uomo non ha da se stesso alcuna competenza. Cristo ci ha dato il soprannaturale; ma non è forse noto che una cosa non si conserva se non con gli stessi mezzi che servirono ad acquistarla?

D. Insomma, il tuo Papa fa la parte di un superuomo, dunque è un superuomo.

R. Bisogna lasciare questa interpretazione all’ignoranza, alla mala fede semicosciente o all’imperdonabile leggerezza di alcuni dissidenti. Il nostro Papa non è un superuomo; ma un debole mortale assistito. Egli non trae benefizio da nessun miracolo psicologico. Prima delle sue definizioni, egli non ne è più sicuro di noi; dopo, è tenuto come noi ad aderirvi, come una cosa che lo supera e di cui non è stato che l’organo. Solamente, Cristo ha pregato per lui, e ciò basta. Colui che il Padre esaudisce sempre ha inteso, con questo mezzo, di mantenere nella sua umanità religiosa il minimo di verità indispensabile e i considerandi essenziali delle sue leggi. Noi crediamo quello che Egli disse; noi, poste tutte le condizioni, abbiamo fede nella onnipotente salvaguardia.

D. Come si può esercitare questa salvaguardia?

R. La Provvidenza ha dei mezzi infiniti; questi mezzi si precisano in ciascun caso secondo le circostanze e secondo le esigenze di questo caso. Quello che bisogna ritenere si è che egli non agisce per miracolo; noi non attribuiamo al Papa nessuna rivelazione particolare; egli s’informa come noi; si decide secondo le stesse regole nostre; il suo verdetto è soltanto l’oggetto d’una speciale provvidenza, che rassicura la nostra fede.

D. Il privilegio dell’infallibilità appartiene al Papa esclusivamente?

R. Esso appartiene alla Chiesa; appartiene, in vista della Chiesa, al gruppo apostolico anzitutto, e solo come capo del gruppo apostolico se ne trova investito il Papa personalmente.

D. Dunque i Concilii godono dell’infallibilità.

R. Sì, ma nella loro unità, che non è loro procurata se non dal capo, sotto la dipendenza dal capo. Di modo che un Concilio non presieduto o non confermato dal Papa è senza autorità dottrinale.

D. Qual è il rapporto preciso di queste due infallibilità?

R. L’infallibilità del gruppo apostolico e del corpo episcopale suo successore è un’infallibilità confermata; quella di Pietro e del Papa suo successore è un’infallibilità che conferma. Quello che dice il Concilio senza il Papa, o tanto più contro il Papa, è nullo; quello che dice il Papa senza il Concilio è sufficiente da solo.

D. Da che dipende quest’ultima prerogativa?

R. È una questione di costituzione. Si tratta di sapere se il Papa da se solo, rappresenti sufficientemente la Chiesa, rappresenti sufficientemente il gruppo apostolico organo della Chiesa; ora, appoggiati sulle parole di Cristo e sulla tradizione secolare, confermate tutt’e due e proclamate nel concilio Vaticano, noi diciamo di sì. Non è questa un’esaltazione del Papa come persona: « Considerando la Chiesa come unità, il Papa che ne è il capo, è come tutto. Considerandola come moltitudine, il Papa non ne è che una parte » (PASCAL).

D. Se l’infallibilità è essenziale alla Chiesa, perché è stata definita così tardi?

R. Essa esisteva e si esercitava prima di essere definita, e ciò che era essenziale alla Chiesa era la sua esistenza, era il suo esercizio e non la sua definizione.

D. Ma si esercitava veramente nella sua pienezza?

R. Niente si esercita subito nella sua pienezza, in seno a un organismo vivente. La Chiesa è un vivente, ancora una volta; da principio, tutto si trova in stato embrionale, poi nello stato progressivo, finalmente nello stato compiuto, e il sentimento che se ne ha segue le stesse tappe, perché la vita riconosce se stessa vivendo.

D. Prima del concilio Vaticano, il Papa non sapeva dunque di essere infallibile?

R. Non lo sapeva con la stessa certezza, con una piena certezza di fede.

D. È strano.

E. È invece affatto naturale, se tu ti riferisci alle leggi della vita, aggiungendo che qui si tratta di una vita soprannaturale. L’infallibilità della Chiesa non è altro che la sua vitalità dottrinale conservata e manifestata alla sua ora dallo Spirito che risiede in lei, come il vigore del germe è conservato e manifestato dal « genio della specie » in una discendenza vivente.

D. E che cosa è che decise, finalmente, della definizione?

F. Sembrò venuto il momento, per la Chiesa, di poggiare pienamente in sé; di darsi quella forza di esistere e di operare col suo organismo al completo, in piena luce; di allontanare le contraddizioni, di fissare le esitazioni, che indefinitamente sarebbero possibili, anche nei più fedeli finché la questione di fiducia, se si può parlare così — qui di fiducia divina — non fosse stata posta risolutamente; di vincere anche delle illusioni che, sotto pretesto di « comporsi con la civiltà moderna », tendevano ad assimilare il governo divino della Chiesa alle costituzioni democratiche sparse dovunque, ecc., ecc…. io non pretendo d’immischiarmi in tutte le intenzioni della Chiesa.

D. Come mai questa opportunità non sì produsse se non dopo duemila anni?

R. Perché un uomo non ha la sua piena costituzione se non in un’età avanzata, relativamente al tempo che egli deve passare sopra la terra? I destini della Chiesa coincidono con quelli della nostra stirpe; pensando a una tale vita, universale e onnitemporale, si ha ben il diritto di dire con S. Pietro; Mille anni sono come un giorno, e un giorno come mille anni. L’assestamento definitivo del Papato nel suo compito storico è un fatto parallelo all’assestamento della vera Religione sopra la terra. Qui e là, ci fu un ritardo considerevole, diversamente motivato, ma normale relativamente alle durate d’insieme.

D. Questo fatto nuovo costituisce dunque per te un vero punto di partenza?

R. È un punto di partenza, perché è il Cristo pienamente manifestato e riconosciuto nella sua rappresentanza temporale. Perciò a quei che pretendono che la Chiesa muore io risponderò: la Chiesa incomincia. La coesione interiore e lo splendore delle funzioni centrali è un segno di vita quale non fu mai, poiché è il contrario della cadaverizzazione anarchica. Ogni popolo in procinto di perire lacera se stesso in convulsioni: è la legge universale. Ogni popolo uno, in un ambiente in cui la sua esistenza conserva una ragione di essere, è sicuro dell’avvenire.

D. Vi sarà dunque sempre una Chiesa, e alla sua testa vi sarà sempre un Papa?

R. Vi sarà sempre una Chiesa, perché Cristo ha chiuso per lei le porte della morte. Vi sarà sempre un Papa, se almeno si può chiamare sempre la durata d’un piccolo pianeta e la vita di una umanità alla sua superficie. Nella sua apoteosi ultima, che consisterà nel raggiungere il suo Cristo veniente « sopra le nubi del cielo », il Papato morirà finalmente, ma come muoiono, nel crepuscolo mattutino, nel grande irradiamento che incomincia, le tarde stelle.

27 NOVEMBRE: SUPPLICA DELLA MEDAGLIA

Supplica della Medaglia Miracolosa

Da farsi verso le 5,30 di sera del 27 novembre, del 27 di ogni mese ed in ogni urgente necessità.

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque siete disposta ad esaudire le preghiere dei vostri figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi i sono giorni ed ore, in cui vi compiacete di spargere più abbondantemente i tesori delle vostre grazie. Ebbene o Maria, eccoci qui prostrati davanti a Voi, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da Voi prescelti per la manifestazione della vostra medaglia. – Noi veniamo a Voi ripieni di immensa gratitudine e di illimitata fiducia, in quest’ora a Voi sì cara, per ringraziarvi del gran dono che ci avete fatto dandoci la vostra immagine, affinché fosse per noi attestato di affetto e pegno di protezione  . Noi adunque vi promettiamo che, secondo il vostro desiderio, la santa Medaglia sarà la nostra compagna indivisibile; sarà il segno della vostra presenza presso di noi; sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere quanto ci avete amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici vostri e del vostro divin Figlio. Sì, il vostro Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all’unisono col vostro. Lo accenderà d’amore per Gesù e lo fortificherà a portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui. – Questa è l’ora vostra, o Maria, l’ora della vostra bontà inesauribile, della vostra misericordia trionfante, l’ora in cui faceste sgorgare per mezzo della vostra Medaglia, quel torrente di grazia e di prodigi che inondò la terra. Fate, o Madre, che quest’ora, che vi ricorda la dolce commozione del vostro Cuore, la quale vi spinse a venirci a visitare ed a portarci il rimedio di tanti mali, fate che quest’ora sia anche l’ora nostra: l’ora della nostra sincera conversione, e l’ora del pieno esaudimento dei nostri voti. – Voi che avete promesso proprio în quest’ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia, volgete benigna i vostri sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le vostre grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a Voi, che siete la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbiate dunque pietà di noi. Ve lo domandiamo per la vostra Immacolata Concezione e per l’amore che vi spinse a darci la vostra preziosa Medaglia. O Consolatrice degli afflitti che già vi inteneriste sulle nostre miserie, guardate ai mali da cui siamo oppressi. Fate che la vostra Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i suoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la vostra Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti. Ma specialmente permettete, o Maria, che in quest’ora solenne domandiamo al vostro Cuore Immacolato la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli che sono a noi più cari. Ricordatevi che anch’essi sono vostri figli, che per essi avete sofferto, pregato e pianto. Salvateli, o Rifugio dei peccatori, affinché, dopo di avervi tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirvi a ringraziare e a lodare eternamente in Cielo. Così sia.

Salve Regina e tre volte: O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi.

IL SEGNO DELLA CROCE (19)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (19)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMAOTTAVA.

15 dicembre.

L’onore comanda si preghi prima e dopo il pranzo. — La preghiera sugli alimenti è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. — Prove BENEDICITE e GRATIAS di tutti i popoli. — Trasandarle è un assomigliarsi agli esseri che non appartengono alla specie umano. — Benedire la mensa è una legge della umanità.

Mio caro Amico, L’onore è la seconda ragione, che ci obbliga a restar fedeli all’antico uso del segno della croce aranti e dopo il pranzo. I tuoi compagni al contrario ostentano credere essere onorevole cosa lo astenersene, ed eglino dicono: Non voglio che altri mi rimarchi, e che si burli di me. Facciamo l’autopsia di questo nuovo pretesto. – Innanzitutto la ragione, ed il vedemmo, condanna quelli che disprezzano la croce, epperò l’onore non saprebbe essere per loro, poiché non lo si trova con lo sragionare. Aggiungono, non voler essere notati. Impossibile! che che eglino facciano, saranno sempre notati, e rimarcati. Io non li credo sì infelici da non trovarsi mai con veri Cattolici allo stesso desco, ed allora, per fermo, saranno necessariamente e ben tristamente osservati. È vero che ciò per essi, come dicono, è indifferente; ma questo disprezzo è poi fondato? Qui ritorna la quistione degli uni e degli altri che abbiamo già risoluta. Lo scherno, di che tanto s’impaurano, segue sempre l’osservazione, solo presso il vero Cattolico, questa si rimuta in un sentimento di compassione verso di loro. – Contentandomi d’esporre i tuoi compagni, e quelli che ad essi si assomigliano alle osservazioni de’ Cattolici, uso indulgenza con esso loro; avvegnaché eglino, come vedrai, astenendosi dal pregare innanzi e dopo il pranzo, pel pretesto di non farsi notare, si disonorano al cospetto di tutta la umanità: sieguimi nel mio ragionare. – Quegli si disonora agli occhi di tutta l’umanità che volontariamente si pone nel rango delle bestie. Ora sino a’ dì nostri non si conosceva in natura che una sola specie di esseri che mangiasse senza pregare, ma di presente due: le bestie e quelli che loro si assomigliano. Dico che loro si assomigliano, perchè tra un uomo che mangia senza pregare ed un cane, quale differenza vi trovi tu? Per me io non ve ne trovo alcuna, e l’Accademia è con me. Bipede o quadrupede, seduto o coricato, gracidando, ciarlando o grugnando, essi sono gli uni come gli altri; poiché con le mani, o con le branche, gli occhi, il cuore, i denti immersi nella materia, divorano stupidamente il loro pasto senza elevare la testa verso la mano che lo dona. L’uomo che agisce di siffatto modo si degrada; egli da bestia mettesi a tavola, bestialmente vi dimora, e come bestia ne sorte. – La mia proposizione ti sembra troppo assoluta, e tu esclami: È poi vero, mi dici, che per lo innanzi non si conoscesse che le sole bestie, i buoi, gli asini, i muli, i porci, le ostriche, mangiassero senza pregare? Nulla v’ha di più vero. La preghiera sugli alimenti è antica quanto il mondo, estesa quanto il genere umano. Dai primordi dell’antichità la si trova presso gli Ebrei. « Quando tu avrai mangiato e sarai satollo, dice la legge di Mosè, benedici il Signore » (Cum comederis et satiatus fueris, dicas Domino. – Deuter. VIII. 10). Ecco la preghiera sugli alimenti. Fedeli a tale comando gli Ebrei usavano tali cerimonie nel benedire la mensa, che il padre circondato dai figli, diceva: Benedetto sia il Signore Dio nostro, la cui bontà concede il cibo ad ogni creatura. Quindi presa una coppa di vino nella destra la benediceva, dicendo: Benedetto il Signore nostro Dio, che ha creato il frutto della vite. Egli lo gustava il primo, e poi passavala a’ convitati. In seguito, preso il pane con ambe le mani, continuava dicendo: Lodato e benedetto sia il Signore Dio nostro, che ha creato il pane dalla terra. Lo spezzava, ed imboccatone un pezzo, lo passava agli altri. Dopo tutto questo cominciava la mensa. E se accadesse cangiar di vino, o, che nuova vivanda si apprestasse, si facevano nuove benedizioni, perchè ogni alimento venisse purificato e consacrato. Il pranzo era seguito da un cantico di ringraziamento (Ex his homnibus apparet, veteres illos Iudaeos, null os cibos absque benedictione et gratiarum actions sumere fuisse solitos. (Stukius, Antiq. convivial, lib. II, c. 36). Tutti questi riti diventano a dismisura più venerandi da che sono stati consacrati dallo stesso Figlio di Dio, e nulla potrebbe meglio mostrare la importanza di essi. In effetti, che fa l’adorabile Maestro del genere umano nell’ultima sua cena, quando unito a’ cari discepoli mangia l’agnello pasquale (Et aceepto calice, gratias egit et dixit: accipite et dividite inter vos. (Luc. XXII, 17)? Qual cosa fa egli quando dopo la cena canta con i suoi discepoli il cantico di ringraziamento? Et hymno dicta exierunt in montem Oliveti (Marc XIV). Egli si conforma religiosamente agli usi della santa nazione. V’hanno altresì ben altre circostanze, in cui vediamo il modello eterno dell’uomo pregare innanzi prendesse il cibo, o che ad altri il desse! Egli rompe i pani, e fatti in pezzi i pesci li distribuisce al popolo; ma, prima eleva al cielo gli occhi e benedice quel cibo (Marc. VIII. — Math. XIV). Tutte queste espressioni, secondo i padri, mostrano la benedizione degli alimenti, e che il Verbo incarnato l’ha fatto per insegnarci di non prendere cibo alcuno senza benedirlo, e rendere a Dio le grazie (Consecrat sive benedicit panes … , ut me doceret, ut mensam attingentes gratias prius agamus, et deinceps cibum capiamus etc. (Theophylact. in Math. XIV). – Non v’ha da meravigliare se troviamo in uso presso i primi Cristiani la benedizione della mensa; poiché le azioni dell’Uomo-Dio erano la regola della loro condotta, e gli Apostoli le ricordavano loro di continuo. « Presso di noi, dice Polidoro Virgilio, v’ha il costume di benedire la mensa innanzi il pranzo; e ciò per imitare il Signor Nostro. L’Evangelio ci ricorda ch’Egli di essa usò si nel deserto, benedicendo i pani, che in Emmaus, alla mensa de’ discepoli » (Apud Stukium, p. 428).). E Tertulliano aggiunge: « Con la preghiera comincia e finisce il pranzo » (Oratio auspicatur et claudit cibum. – Tertull. Apologet). – Potrei a queste autorità aggiunger quelle del Grisostomo, di S. Girolamo, di Origene, de’ Padri latini e greci, ma non è mestieri citarli, avvegnaché il fatto non è messo in dubbio. Dirò solo, che abbiamo il Benedicite ed il Gratias in magnifici versi di Prudenzio: Christi prius Genitore pofens. Siffatti cantici provano a filo ed a segno, quanta coscienza si facessero i nostri avi di conformarsi agli esempi di Nostro Signore, come questi erasi conformato all’uso degli antichi Israeliti, che ubbidivano in ciò al comando di Dio. Noi abbiamo altresì in prosa queste formole di benedizioni, e noi riporteremo questi monumenti della veneranda nostra antichità. Innanzi il pranzo: « O voi che apprestate il nutrimento a quanti respirano, benedite gli alimenti che prendiamo. Voi avete detto, cha se accadesse bere qualche cosa avvelenata, questo non ci apporterebbe nocumento alcuno, se invocassimo il vostro nome, avvegnaché voi siete onnipotente. Togliete da questi alimenti quanto può esservi di nocevole, e male per noi » (Mamachi: Costumi de’primitivi Cristiani, t. 2, p. 47. Origen, in Joan., p. 36). E dopo il pranzo: « Benedetto mille volte siate, o Signore, che ci avete nudrito sin dalla infanzia nostra, e con noi tutto, che respira. Colmate i nostri cuori di gioia, perchè facile ci torni compiere ogni maniera di buone opere per Gesù Cristo Signor nostro, cui, con voi, e con lo Spirito Santo sia gloria, onore e potenza. Cosi sia » (Stukius, ubi supra, p. 129). – Queste formole profondamente filosofiche, come tosto vedremo, hanno attraversato i secoli, e, o nella loro primitiva integrità, o con qualche modificazione, sono in uso fra Cattolici fino ad oggidì. I protestanti, malgrado la loro avversione agli usi cattolici, l’hanno conservate , e buon numero di famiglie in Alemagna ed Inghilterra, non tralasciano la preghiera innanzi il pranzo. Ma quello che potrà sembrare più strano, è la benedizione della mensa in uso presso i pagani. Si, mio caro Federico, questi modelli di obbligo per la gioventù da collegio, usavano religiosamente di quanto i tuoi compagni, discepoli ed ammiratori di essi, si vergognano. « Mai, dice Ateneo, gli antichi prendevano il cibo, senza prima invocare gli dei » (Veteres nunquam cibum cepisse, nisi prius Deos placassent – Athaen. Dipnosophis. lib. IV).E parlando degli Egiziani, aggiunge: « Dopo aver preso posto sul letto da mensa, si alzavano, e postisi in ginocchio, il capo della festa, od il prete, recitava le consuete preghiere, che gli altri dicevano con lui: dopo ciò cominciava il pranzo » (Ibid. lib. IV). Nè altrimenti era in uso presso i Romani. Tito Livio a proposito della morte di un uomo ordinata da Quinto Flaminio, per piacere ad una cortigiana, si esprime con siffatti termini. « Questo atto mostruoso fu commesso nel mezzo delle coppe, lungo il pranzo, quando è costume, pregare gli dei, ed offrir loro delle libazioni » (Liv. Decad. IV, lib. IX). – Tu sai che le libazioni erano una specie di preghiera quanto usitatissima, altrettanto nota. I Romani, a mo’ di esempio, ne facevano quasi in tutte le ore: il mattino alzandosi, la sera andando a letto, quando facevano qualche viaggio, ne’ sacrifici, in occasione de’ matrimoni, al cominciamenio e fine del pranzo. Questi antichi maestri del mondo non assaporavano il cibo, senza averne prima consacrata una parte alla divinità. La parte prelevata era posta su di un altare, o su di una tavoletta, Patella, che ne faceva le veci. Era questo il loro Benedicite ed il loro Gratias. Perpetuità della tradizione degna di osservazione! Abbiamo veduto presso gli Giudei delle nuove benedizioni al mutarsi del vino, ed alle nuove portate, e lo stesso uso era presso i Romani. Al secondo servito, aveano luogo delle libazioni particolari in onore degli dei, che si credeva assistessero alla mensa, e ciascun convitato spargeva un po’ di vino sulla tavola, o sulla terra, accompagnando tale spargimento di alcune preghiere in onore degli dei. – I Greci avevano servito da modello a’ Romani. Presso di loro, istessa era la frequenza, ed istesso l’uso delle libazioni sul cominciar del pranzo ed in fine di esso, nè diverse le preghiere al mutar del vino. « Quando, dice Diodoro di Sicilia, si mesceva a’ convitati del vino puro, era antico costume dire: Dono del buon genio; e quando lo si apprestava con l’acqua, dicevasi: Dono di Giove Salvatore; perchè il vino puro è contrario sì alla salute del corpo, che a quello dello spirito » – Diod. Sicul. lib. III -). Ma non era questa la sola forma di rendimento di grazie, ve n’era un’altra generale usata alla fine del pranzo, che s’indirizzava al padre degli dei (Ibid. lib. II).L’uso di benedire il cibo presso i pagani era sì comune da dar luogo a questo proverbio: non prendere dalla caldaia il cibo innanzi sia santificato. Ne a chytropode cibum nondum santificatimi rapias. Questo proverbio, secondo Erasmo, volea dire: Non vi gettate da bestia sugli alimenti; mangiateli dopo averne offerte le primizie agli dei. Ed in effetti, presso gli antichi, secondo che Plutarco dice, il giornaliero pranzo istesso era classato fra le cose sacre; il perchè i convitati consacrandone le primizie agli dei, testimoniavano con ciò, che, secondo loro, prendere il cibo, era reputata cosa santa (Apud Stukium, p. 131).Quindi, Giuliano l’apostata, nel celebre banchetto del sobborgo di Antiochia, per riconoscere pubblicamente, e tener salda la tradizione pagana, fece benedire la mensa dai sacerdoti di Apollo (Sozomen: Hist., ülib. III, c. IX). I barbari stessi imitavano in ciò i popoli inciviliti. I Vandali ne’ loro pranzi facevano circolare una coppa consacrata a’ loro dei con stabilite formole (Crantz, lib. III. Vandal, c. 37).). Presso gli Indiani il re non gustava alcuna vivanda se non fosse stata consacrata a’ demoni. – Malgrado la differenza de’ costumi, de’ gradi d’incivilimento e di clima, gli abitanti della Zona glaciale aveano le medesime pratiche di quelli della Zona torrida. Gli antichi Lituani, quelli della Samogizia, e gli altri barbari del nord invocavano i demoni per santificare le loro mense. Nel fondo delle loro capanne aveano de’ serpenti addomesticati, che, in dati giorni, per lo mezzo di lini bianchi, lasciavano salire sulla tavola, perchè gustassero le vivande allestite, e queste allora venivano considerate come sacre, ed i barbari allora solo le mangiavano senza alcuna paura. – La benedizione della tavola trovasi egualmente presso i Turchi, e presso gli Ebrei moderni. Questi ultimi, fedeli alle paterne tradizioni conservano ancora l’uso di ripetutamente pregare lungo il pranzo. Così alle frutta dicono: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato le frutta degli alberi. All’ultimo servito: Benedetto sia il Signore nostro Dio, che ha creato vari alimenti (Stukius, ubi supra et c. XXXVIII, De libationibus ante et post epulas.).  Per quanto materialisti sieno, i popoli contemporanei dell’Indo-China, della Cina, e del Thibet non fanno eccezione a questa legge, la quale, porto opinione, che si trovi presso i popoli i più degradati dell’Affrica. – Come ho detto, tu il vedi, caro amico, la preghiera, innanzi e dopo il pranzo, è antica quanto il mondo, estesa come il genere umano. Ora, se l’esistenza di una legge si conosce dalla permanenza degli effetti; se a cagion d’esempio, vedendo che il sole levasi ad un determinato punto dell’orizzonte, ogni uomo ha ragione di affermare che una legge dirige i suoi movimenti, io non ho minor ragione di affermare che benedire la mensa è una legge della umanità. Osservarla adunque, è un agire come tutto il genere umano; il non osservarla, è operare come gli esseri che non appartengono alla umana famiglia; è, alla lettera, assomigliarsi alle bestie (Homo cum in honore esset non intellexit, comparatus est iumentis insipientibus et similis factus est illis. Psal. XLVIII, 13).Tu puoi dimandare a’ tuoi compagni se l’onore vi trova il suo conto. Fra breve esplicherò la legge, che comanda la benedizione della mensa.

CONGETTURE SULLE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (2)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (2)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

J. B. Pèlagaud et Cie. Imprim. Libraires De N. S. P. le Pape – Lyon, grande rue Mercière, n. 50 – Paris, rue les Sainte-Pères, 57. 1858.

INTRODUZIONE

Il nostro intento principale, scrivendo questo libro, è quello di caratterizzare l’epoca in cui ci troviamo e gli anni che ne seguiranno, fino alla fine del mondo. Avremmo potuto conservare come titolo: « Dove siamo? Dove andiamo? » – Noi pensiamo di essere negli ultimi tempi e non negli ultimi giorni. Per questo motivo, avremmo potuto, forse, limitarci ad interpretare le Sacre Scritture nelle parti che concernono il grande avvenimento e gli anni che lo precederanno e che ad esso condurranno. Ma noi abbiamo considerato che le diverse età che compongono la durata del Cristianesimo sulla terra abbiano tra loro una interconnessione necessaria, come spiegazione dei testi che si riportano all’influsso dell’una sull’altra; e per questo, noi siamo stati condotti ad esporre i diversi tempi della Chiesa. È innanzitutto tutta l’Apocalisse che cercheremo di commentare in maniera generale e succinta. In una prima parte ci occuperemo delle prime quattro età. Nella seconda, che sarà più lunga e corposa, faremo la storia delle ultime tre, seguendo in questo la divisione adottata dall’Apostolo san Giovanni, il quale ha racchiuso le prime quattro Chiese nel capitolo secondo dell’Apocalisse, e le altre tre nel capitolo terzo. La prima parte sarà dunque come un’introduzione della seconda. – Prima di entrare nel dettaglio della materia, andiamo a fissare diversi punti che sono necessari per la comprensione di questo lavoro. – Il primo di questi punti è il tempo e la durata del mondo. Molte delle nostre considerazioni dovrebbero essere scartate se questa durata dovesse oltrepassare notevolmente i seimila anni. – Il secondo punto concerne ciò che si debba intendere con le sette Chiese. Noi diciamo che esse sono le sette età successive della Chiese di N.-S. J.-C. sulla terra, dopo la nascita del divin Maestro fino alla fine dei tempi. Se non fosse così, ogni nostro scritto crollerebbe per difetto di base. – Il terzo punto è relativo al carattere che presenta la transizione da un’età all’altra. Due età successive si intrecciano necessariamente; esse cioè coesistono. – Il quarto punto è la maniera in cui si debba dividere l’Apocalisse ed i diversi capitoli che la compongono. Senza questa divisione sarebbe impossibile congetturare alcunché di verosimile e di fondato su questo libro divino. Il quinto si riferisce ai diversi colori in questione nella presente rivelazione e che hanno, ciascuno, un significato che chiarisce i testi. – Il sesto, infine, è lo sviluppo del capitolo ventesimo della profezia di San Giovanni capitolo che getta una gran luce su tutti gli altri capitoli. – Questi sei punti ci forniranno sei paragrafi.

§. I. IL MONDO DEVE DURARE SEIMILA ANNI

.I Quale deve essere la durata del mondo, nelle condizioni in cui si trova dopo la creazione del primo uomo, e specialmente dopo la sua caduta? Quando deve finire il pellegrinaggio dell’umanità sulla terra? Ecco delle domande di una grande gravità, che meritano di occupare degli spiriti seri, e alla quali cercheremo di rispondere, nello stato in cui sono poste, lasciando forzatamente nel mistero sia i giorni della creazione sui quali non abbiamo alcun dato certo e che ci sembrano essere delle epoche piuttosto che dei giorni simili a quelli che conosciamo, sia il tempo durante il quale i nostri progenitori restarono fedeli a Dio, e le condizioni nuove nella quali potrà trovarsi la terra dopo la morte di tutti gli uomini e l’ultimo Giudizio. – Per determinare questa durata, noi potremmo, come ben altri, usare l’interpretazione di diverse parabole, di certi atti e miracoli di N.-S.; noi ne concluderemo come essi, con qualche probabilità, che il mondo debba durare circa 6000 anni, e che di conseguenza noi siamo alla fine della sesta ed ultima parte del tempo; ma noi preferiamo appoggiarci sui testi più chiari e più precisi, sul senso dei quali è difficile equivocare, perché, soprattutto in questa materia, la qualità vale, a nostro avviso, più che la quantità.  – San Paolo e San Giovanni, nelle loro Epistole, ci forniscono dei dati generali che ci indicano una durata di circa sei mila anni. L’Apostolo delle nazioni circa nell’anno 4050 del mondo, secondo il computo ordinario, diceva ai Corinti (I Ep. Cor., X, 11): « Nos ad quæ fines temporum devenerunt » [noi che ci troviamo alla fine dei tempi]. L’Apostolo dell’amore, nella sua prima Epistola (II, 18) si esprimeva così: « Filioli, novissima hora est, et sicut audistis quia antechristus venit, et nunc antichristi multi facti sunt: unde discimus quia novissima hora est » [figliolini miei, eccoci all’ultima ora, e come avete udito che deve venire l’anticristo, e già vi sono molti anticristi; da questo conosciamo che questa è l’ultima ora]. E aggiungeva: al cap. IV, 3: « Et omnis spiritus qui solvit Jesum, ex Deo non est, et hic est antichristus de quo audistis quoniam venit, et nunc jam in mondo est » [… ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo]. – Le parole di San Paolo sono puramente affermative; quelle di S, Giovanni sono più motivate … è l’ultima – egli dice – perché l’anticristo che deve venire alla fine è già venuto. – Cosa dire? Non c’è una contraddizione flagrante tra le due parti di questa frase? Come può l’anticristo venire alla fine dei tempi, e trovarsi anche nel mondo fin dall’inizio del Cristianesimo? La cosa, tuttavia, è semplice da concepirsi; San Giovanni ce lo spiega quando dice che è anticristo chiunque neghi la divinità di Gesù-Cristo, che lo scinda, lo divida e non veda in Lui che la natura umana (qui solvit Jesum). Ora, siccome dopo i tempi apostolici si sono trovati uomini che hanno fatto questa divisione e questa negazione, essi sono stati certamente degli anticristi, degli avversari, dei nemici del Cristo e su questo punto sono simili al figlio della perdizione che verrà alla fine del mondo. – Questi anticristi, precursori di colui che farà l’abominio della desolazione (Matt. XXIV, 15), non sono venuti prima dello stabilirsi della Religione cristiana, poiché prima della nascita e la predicazione del Signore, il mondo intero, malgrado le sue devianze e la sua corruzione, sospirava la venuta del Messia. I pagani, gli idolatri, i settari di Zoroastro, di Confucio, lo aspettavano come i Giudei; un immenso desiderio saliva dalla terra verso il Cielo, affinché facesse piovere il Giusto (Isaia, XLV, 8); non si trovava nessun uomo che protestasse contro di Lui, perché ognuno se lo rappresentava secondo le proprie idee e le sue particolari convenienze; di modo tale che è certo che la razza degli anticristi non è cominciata se non all’apparizione del nostro divin Maestro, che ha potuto soddisfare nello stesso tempo le speranze che tra loro si contraddicevano e da allora è stato posto come un segno di contraddizione … et in signum cui contradicetur (S. Luca II, 34), secondo la profezia del santo vegliardo Simeone. – Se dunque l’esistenza di questi nemici del Messia non è iniziata che nell’ultima ora, novissima hora, è perché il Messia stesso non è venuto se non in questa stessa ultima ora. – Se il Cristianesimo è apparso nell’ultima ora, secondo S. Giovanni, se l’ultima parte della durata del mondo si trovava già iniziata dai tempi degli Apostoli, a dire di San Paolo, noi possiamo, alla luce di un semplice ragionamento, determinare pressappoco l’epoca della fine dei tempi.  I secoli che restavano da trascorrere dopo la nascita del Salvatore fino alla fine, non potevano formare la metà della vita terrestre dell’umanità; perché se così fosse stato, Gesù-Cristo sarebbe nato nella metà dei tempi, ed i due Apostoli, contemporanei del divin Maestro, non avrebbero potuto scrivere che l’ultima parte dei secoli, e soprattutto l’ultima ora, fosse arrivata. – Se i secoli che dovevano susseguirsi dopo la stessa epoca non fossero contati che come il quarto della durata dei tempi, come i 4004 anni già trascorsi, il quarto rimanente per l’avvenire sarebbe stato di 1334 anni, ed il mondo sarebbe finito dopo l’anno 1334 dell’era cristiana, cosa che non si è realizzata. – Ma se è certo che la durata del Cristianesimo comprende meno della metà di tutti i tempi, è evidente che questa debba essere circa un terzo della totalità di questo tempo poiché tra la metà ed un quarto non c’è come intermedio che un terzo. Secondo questo calcolo, se i 4004 anni che hanno preceduto la venuta del Salvatore formano i due terzi della durata del mondo, due mila anni, tempo della Chiesa cristiana, sono il terzo ed ultimo terzo, e l’umanità quindi, deve abitare la terra per circa sei mila anni.

II. A questo calcolo approssimativo possiamo aggiungere l’affermazione profetica di S. Pietro, nella sua seconda Epistola (III, 3-10): « Hoc primum scientes, quod venient in novissimis diebus in deceptione illusores, juxta proprias concupiscentias ambulantes, dicentes: Ubi est promissio, aut adventus ejus? ex quo enim patres dormierunt, omnia sic perseverant ab initio creaturæ. Latet enim eos hoc volentes, quod cæli erant prius, et terra de aqua, et per aquam consistens Dei verbo: per quæ, ille tunc mundus aqua inundatus, periit. Cæli autem, qui nunc sunt, et terra eodem verbo repositi sunt, igni reservati in diem judicii, et perditionis impiorum hominum. Unum vero hoc non lateat vos, carissimi, quia unus dies apud Dominum sicut mille anni, et mille anni sicut dies unus. Non tardat Dominus promissionem suam, sicut quidam existimant: sed patienter agit propter vos, nolens aliquos perire, sed omnes ad poenitentiam reverti. Adveniet autem dies Domini ut fur: in quo cæli magno impetu transient, elementa vero calore solventur, terra autem et quae in ipsa sunt opera, exurentur. » [Questo anzitutto dovete sapere, che verranno negli ultimi giorni schernitori beffardi, i quali si comporteranno secondo le proprie passioni e diranno: “Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione”. Ma costoro dimenticano volontariamente che i cieli esistevano già da lungo tempo e che la terra, uscita dall’acqua e in mezzo all’acqua, ricevette la sua forma grazie al Verbo di Dio; e che per queste stesse cause il mondo di allora, sommerso dall’acqua, perì. Ora, i cieli e la terra attuali sono conservati dal medesimo Verbo e riservati al fuoco per il giorno del giudizio e della rovina degli empi. Una cosa però non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro; allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal calore si dissolveranno e la terra con quanto c’è in essa sarà bruciata.]. – Come si può vedere, leggendo questo passaggio, il Vicario di N. S. G.-C. vuol premunire i fedeli che vivranno alla fine dei secoli, in novissimis diebus, contro i mendaci ed ingannatori che verranno allora, dei quali gli uni considereranno la fine del mondo come ancora molto lontana, e gli altri negheranno la possibilità di questa fine e dell’ultimo avvento di Gesù-Cristo. Circa questo soggetto, l’Apostolo ricorda che i cieli e la terra non esistono di per se stessi, ma sono stati creati dal Verbo di Dio, e di conseguenza questo stesso Verbo può distruggerli per cambiarli. Egli afferma loro che il divin Maestro che ha dichiarato che verrà alla fine, non tarderà a mantenere la sua promessa quando il tempo indicato dal suo Padre celeste giungerà. E aggiunge che a causa delle illusioni nelle quali si culleranno gli uomini ciechi che non lo attenderanno allora, Egli li sorprenderà e verrà, per essi, come un ladro; che nello stesso tempo i tempi passeranno, che gli elementi saranno dissolti dal calore, che la terra sarà consumata o purificata dal fuoco. Poi dopo aver parlato così della creazione del mondo e della certezza della sua fine, fa una raccomandazione che dice loro essere estremamente importante: « A tal proposito – egli dice – sia ben fissato questo solo punto nel vostro spirito: un solo giorno davanti a Dio è come mille anni, e mille anni sono come un giorno solo. » Questo testo significa, a vostro parere: « Un giorno della creazione rappresenta mille anni della durata del mondo; mille anni della durata del mondo corrispondono ad un giorno della creazione; per cui nasce questa corrispondenza forzata, che il mondo cioè durerà sei volte mille anni, poiché esso è stato creato in sei giorni: questa deve essere ammessa, o almeno rispettata se non vi si possa opporre niente di verosimile o di plausibile. Si obietterà che l’Apostolo con queste parole: et mille anni sicut dies unus, abbia voluto mostrare quanto il tempo fosse breve davanti a Dio e la sua eternità? Certamente, questo passaggio isolato, separato dal resto della frase, da ciò che la precede e da ciò che segue, può avere moralmente ed in realtà ha questo significato. Ma se la si collega, come fa l’Apostolo, con le altre parti del testo che abbiamo trascritto, e specialmente con la prima frase del v. 8: Unus dies apud Dominum sicut mille anni, ci si convincerà che il senso che si dà ai termini in questione non può essere ragionevolmente ammesso; perché è evidente che, se San Pietro avesse voluto dire solamente che il tempo fosse breve davanti a Dio, a tal punto che mille anni non sono che come un giorno, non avrebbe cominciato con l’enunciare il contrario, e sostenere cioè che il tempo era lungo davanti allo stesso Dio, a tal punto che un solo giorno era come mille anni. È certamente l’epoca della fine del mondo e dell’ultimo Avvento di Gesù-Cristo che l’Apostolo ha voluto marcare e fissare al versetto 8, perché saranno precisamente questa fine e questo avvento, che gli empi contraddiranno o ritarderanno oltre misura. Per il bene dei fedeli occorreva non solo affermare che queste cose annunciate dal Salvatore arriveranno, ma ancora determinarne approssimativamente l’epoca, al fine di rafforzarli da un lato, e premunirli dall’altro contro i timori esagerati che avrebbero potuto concepire prima dei tempi segnati e che, come si sa, sono stati così forti nell’anno 1000 della nostra era. Se la durata del mondo è di sei mila anni, il tempo si trova diviso in tre parte eguali con le tre Leggi. La prima parte comprende i due mila anni della legge naturale; la seconda comprende i due mila anni della legge della circoncisione o giudaica, e la terza racchiude i due mila anni della legge della Grazia, del Cristianesimo; queste tre Leggi ne formano tuttavia una sola che si riassume nel Messia promesso, il Messia annunziato, ed il Messia venuto, non facendo che svilupparsi attraverso i secoli, secondo le esigenze e le necessità di questi tre avvenimenti.  L’opinione che abbiamo qui esposto è quella di Holzhauser; egli non l’ha enunciata e dimostrata in modo speciale; ma questa risulta da tutto l’insieme del suo Commentario, e particolarmente dal fatto che pone la nascita dell’anticristo nel nostro secolo e la sua persecuzione contro la Chiesa nel secolo che segue immediatamente.

III. Qualcuno troverà forse che il nostro modo di vedere debba essere rigettato come contrario a queste parole del Salvatore: De die autem illa nemo scit, neque Angeli coelorum, nisi solus Pater (Matth. XXIV, 36). Ideo estate parati, quia, qua nescitis hora. Filius hominis venturus est (ibid. v. 44) [… quanto a quel giorno nessuno lo conosce né gli uomini né gli Angeli, solo il Padre lo conosce …. Perciò voi state pronti, perché non sapete quando il Figlio dell’uomo verrà.]. Ma così si ragionerà in modo falso ed inesatto, perché se il giorno preciso, l’ora di questo giorno, non la conoscono né gli uomini né gli Angeli, e Nostro Signore stesso non la conosce se non in quanto Dio e facendo uno con il Padre suo, non per questo ne è nascosta all’umanità l’epoca approssimativa. La Chiesa di Gesù-Cristo, che ha con essa il suo divin Fondatore fino alla consumazione dei secoli, e che è sempre assistita dallo Spirito Santo, non si ingannerà certamente sui segni, sugli uomini e le cose che devono arrivare e comparire poco prima della fine dei tempi; essa riconoscerà molto bene Elia, Henoch, l’anticristo; essa li farà conoscere a tutti i fedeli, a tutta la terra, all’universo intero, e agendo così, per questi stessi fatti, dirà al mondo intero: « Il mondo è sul punto di finire; l’ultimo avvento del Figlio dell’uomo si avvicina; tocchiamo l’eternità. » – Una causa particolare potrà mettere gli uomini che vivranno negli ultimi anni in dubbio sull’epoca fissa della fine. Si dice generalmente che Nostro Signore sia nato nell’anno 4004 della creazione del primo uomo; ma su questo soggetto non c’è certezza; si trova una diversa supposizione nel Martirologio. Questa mancanza di fissità che Dio ha permesso, sarà sufficiente da sola perché quelli che vivranno alla fine dei secoli, anche i fedeli, ignorino se essi saranno o meno testimoni dell’ultimo cataclisma, o che pensino che non lo vedranno, perché l’uomo è portato per natura propria ad allontanare quanto più possibile tutto ciò che lo sconvolge.

[**Estratto della suor della Natività.

Tomo I,  (Ediz. in 4 volumi, 1819). La Suor della Natività (nata nel 1734 e deceduta nel 1803; ella era Suora conversa nel convento degli Urbanisti della città di Fongères, diocesi di Rennes) si esprime così su questo soggetto della durata del mondo: « G.-C. mi ha detto con aria triste: le figura del mondo passa, e si avvicina il giorno del mio ultimo avvento. Quando il solo è al tramonto, si dice che il giorno se ne va e viene la notte …. Tutti i secoli sono un giorno davanti a me, giudica quindi della durata che deve avere il mondo dallo spazio che resta ancora al sole da percorrere. Io considerai attentamente e giudicai che restavano non più di due ore di altezza del sole. Osservai così che il cerchio che descriveva aveva un certo mezzo tra i giorni lunghi e i giorni corti dell’anno… non dimenticate, aggiunse, che non bisogna più parlare di mille anni per il mondo, non c’è più che qualche secolo e un piccolo spazio di durata … » –

t. IV, p. 125 « Guai all’ultimo secolo, io cominciai a guardare il secolo che doveva cominciare nel 1800, vidi che non c’era giudizio, considerai il secolo 1900 verso la fine; N. S. mi fece conoscere e nel tempo stesso mi mise in dubbio se questo avverrà alla fine del 1900 o in quello del 2000; ma ciò che ho visto è che, se il giudizio avverrà nel secolo 1900, non verrà che verso la fine e che se passa questo secolo quello del 2000 non passerà prima che arrivi.*]

§. II. LE SETTE CHIESE D’ASIA SONO LE SETTE ETÁ SUCCESSIVE DELLA CHIESA UNIVERSALE DOPO L’INIZIO DEL CRISTIAMESIMO FINO ALLA FINE DEI TEMPI.

Quando abbiamo cercato le radici delle parole e dei nomi propri contenuti nell’Apocalisse, abbiamo notato che la parola Asia, in greco Ασια [= Asia] (poiché questo libro è stato scritto in greco) era derivato dalla parola ασις [= asis] che significa limo, fango. Siamo rimasti sorpresi da questa piccola scoperta; noi abbiamo pensato che la Sapienza divina avesse voluto ricordarci che, se la nostra anima è stata fatta ad immagine e somiglianza di Dio, i nostri corpi sono stati formati con il fango che sarebbe, da questo rapporto, nostra madre; si potrebbe così dedurre che l’Asia di cui parla l’Apostolo è la Chiesa madre, la Chiesa universale; e siamo così stati condotti a considerare le sette Chiese d’Asia come le sette parti successive della durata del Cristianesimo sulla terra. – Allo stesso risultato si arriva leggendo la storia delle sette Chiese, così come tracciata da San Giovanni; infatti, esse presentano delle differenze così profonde, che non si possa dire che esse esistano contemporaneamente, prendendo il testo nel suo senso naturale, e fornendo dei punti di repere che servono a distinguere i tempi. È infatti ragionevolmente impossibile il confondere l’epoca del martire Antipa, avvenuta nel IV secolo nel tempo degli Ariani, sotto la Chiesa di Pergamo, con la Chiesa di questo nome, che esisteva trecento anni prima, durante la vita di San Giovanni. È irragionevole volere che la grande Chiesa di Tiatira, che domina il mondo, fosse quella stessa che esisteva nei primi anni della Religione e che, come tutte le sue sorelle, aveva tante pene e tribolazioni. Se si riflette solo un poco, non si potrà collocare la deplorevole Chiesa di Sardi, sì rilassata e deviata, in un’epoca in cui i Cristiani erano così ferventi e devoti al loro Maestro, al punto da correre senza indugi al martirio per la sua causa. Per di più, questo sentimento è condiviso da tutti gli interpreti delle profezie di San Giovanni, ed in particolare da Holzhauser, che ha improntato la sua opera su questa divisione. Per questo motivo, noi non ci dedicheremo a dimostrare una opinione che è diventata salda e generale, quasi come un assioma.

§. III. DUE ETÁ SUCCESSIVE SI INTRECCIANO E COESISTONO PER UNA PARTE DELLA LORO DURATA.

Dacché si è ammesso che le sette Chiese di cui si è parlato nei capitoli II e III dell’Apocalisse sono le sette età successive della Chiesa universale, si deve riconoscere la verità della proposizione che forma il titolo di questo paragrafo. Nell’ordine fisico, una cosa materiale può finire ad un dato punto, e quella che immediatamente la segue può cominciare subito ed nel momento preciso della fine della prima. Ma non è lo stesso nell’ordine morale: là, perché un cambiamento abbia luogo, bisogna che il germe depositato negli spiriti o in alcuni di essi, cresca, si sviluppi, lotti contro le disposizioni che fino ad allora avevano dominato, finisca per vincerle e farle completamente sparire; ma questo germe spinge, si ingrandisce e lotta durante l’esistenza dell’età precedente alla quale non appartiene; di modo tale che le due età procedono nel contempo durante una porzione delle loro durata, e che la fine dell’una coesista con l’inizio dell’altra. – È importante non perdere di vista questa osservazione alla quale il venerabile Holzhauser si è attenuto nel suo Commentario (T. I, pag. 82 della traduzione francese di M. de Wüilleret) e che è riportata in quasi tutte le opere scritte su questa materia; essa faciliterà la comprensione di molteplici passaggi della rivelazione di San Giovanni, ed in particolare di quelli che sono relativi alla fine della quinta età ed all’inizio della sesta.

§. IV. DIVISIONE DELL’APOCALISSE

I. Il libro di San Giovanni è una profezia che presenta la storia della Religione e del mondo dopo N. S. Gesù-Cristo fino alla fine. Il suo senso è profondo, ma non è incomprensibile e chiuso per tutti ad ogni intelligenza; più si avanzerà verso gli ultimi tempi, più gli avvenimenti predetti si svilupperanno, più si potrà sondarlo e conoscerlo. L’insegnamento dei fatti sarà infine così forte che non lo si potrà disconoscere, e questo libro, misterioso fino al presente, sarà universalmente compreso: plurimi pertransibunt, et multiplex erit scientia (Daniele c. XII, v. 4). – Il modo migliore per farsi un’idea esatta e completa di un libro oscuro è quello di sezionarlo. Seguiremo questa procedura per quanto riguarda l’Apocalisse, cercando di farlo in modo razionale, in relazione ai testi sacri. Abbiamo notato che i primi undici capitoli vanno dall’inizio del Cristianesimo fino alla fine del mondo e all’ultimo Giudizio, e abbiamo concluso, con qualche ragione, che questi capitoli costituiscano la storia completa della Religione da vari punti di vista. Lasciando da parte i capitoli XXI e XXII, che trattano del Cielo e della Gerusalemme celeste dopo il Giudizio universale, abbiamo notato che il capitolo XX trattava solo dell’incatenamento e dello scioglimento di satana, della sua azione sulla terra e della sua inazione, e abbiamo dedotto logicamente che presentasse la storia di tutta la Chiesa, sotto l’aspetto delle seduzioni di satana e dei tempi in cui non gli sarebbe più stato permesso di ingannare gli abitanti della terra. Fatto questo, ci restano i capitoli dal XII al XIX compreso. Abbiamo notato che il primo di questi, il capitolo XII, si è aperto con un’azione molto forte del grande Drago, il diavolo e satana, e abbiamo creduto di riconoscere lo scatenamento del diavolo alla fine dei mille anni che seguirono la sua prima seduzione e l’inizio della seconda seduzione, come sono succintamente spiegati nel capitolo XX. Sia il capitolo XII che i capitoli successivi ci sembravano contenere la storia più dettagliata dell’impero di Maometto, degli ultimi tempi e degli sconvolgimenti che precederanno la fine del mondo, storia riassunta brevemente nei primi undici capitoli; e la lettura attenta dei capitoli dal XIII al XIX non ha fatto che confermarci in questa sensazione. In questo siamo d’accordo con il venerabile Holzhauser, che, nel vol. I, p. 517 della traduzione francese di M. de Wüilleret, insegna che questi stessi capitoli (dal XII al XIX) descrivono più nei particolari i regni di Maometto, dell’anticristo e delle ultime piaghe, perché, secondo lui, San Giovanni ha parlato, nei primi undici capitoli, solo in modo indicativo e generale riguardo agli ultimi secoli.

II. Esaminando i primi undici capitoli: abbiamo visto che nei capitoli II e III c’erano le sette Chiese; nei capitoli VI, VII e VIII, i sette sigilli; nei capitoli VIII, IX e XI, i sette angeli che suonavano la tromba, e volevamo sapere cosa potesse significare tutto questo. Una lettura attenta dei testi ci ha portato a pensare che le sette Chiese fossero la storia spirituale dei fedeli in termini di fervore o di rilassamento; che le sette trombe fossero la storia del mondo in termini di condotta dei malvagi; e che i sette sigilli fossero quella stessa storia in termini di eventi pubblici che cambiano il volto esterno delle cose, a seconda che prevalga il bene o il male. Perché abbiamo caratterizzato le Chiese, le Trombe e i Sigilli in questo modo? Perché il testo stesso, nei capitoli II e III, parla delle Chiese, e la Chiesa è il raduno dei fedeli sotto la direzione dei loro legittimi capi; le trombe annunziano solo atti malvagi e disgrazie; infine i sette sigilli, che presentano sia il bene che il male, non possono designare né il bene né il male, e in questo stato possono essere considerati solo come gli effetti della lotta che esiste tra il bene ed il male e gli eventi pubblici che ne derivano.

III. Quanto alle sette piaghe che sono versate dai sette Angeli che hanno le sette coppe, ci sembrano le ultime piaghe che Dio manderà sulla terra negli ultimi giorni (novissimas plagas, cap. XV, v. 1), sebbene possano essere applicate, con qualche fondamento, alle sette età della Chiesa.

IV. Il venerabile Holzhauser non è dello stesso nostro avviso quanto agli ultimi sei sigilli e alle sette trombe; avendo visto, come noi, il trionfo di Gesù Cristo sul paganesimo nel primo sigillo, vede negli altri sei solo le persecuzioni, e nelle sette trombe solo gli eresiarchi e gli errori che essi hanno prodotto. Dimostreremo, nel seguito di questo libro, che questo modo di vedere, che ci sembra vero solo parzialmente, è sistematico e falso per tutto il resto, che spesso non è sostenuto da nessun testo o che a volte fa loro violenza.

V. Le sette chiese sono incluse in due capitoli di San Giovanni, le prime quattro sono nel capitolo II e le altre tre nel capitolo III. Lo stesso vale per le sette trombe: quattro di esse sono menzionate nel capitolo VIII, e le ultime tre sono separate da esse e risuonano nei capitoli IX e XI. Le ultime tre trombe non assomigliano a quelle che le hanno precedute; esse rappresentano tre tempi molto infelici (Et vidi et audivi vocem unius aquilo voLantem per medium cæli dicentis voce magna: Væ, væ, væ habitantibus in terrå, de cæteris vocibus trium angelorum qui erant tuba canturi – Allora guardai e sentii la voce di un’aquila che volava in mezzo al cielo e diceva a gran voce: Guai, guai, guai agli abitanti della terra a causa del suono delle trombe con cui i tre Angeli devono suonare – cap. VIII, v. 13). – Questa diversità nella divisione delle Chiese e delle trombe ci ha fatto congetturare che ognuna di queste trombe possa essere legata alla Chiesa del suo stesso rango; e dal fatto che le ultime tre trombe siano tre guai (), abbiamo dedotto che si riferissero alle ultime tre Chiese, e gli sviluppi che daremo nella seconda parte cambieranno probabilmente questa congettura in una quasi – certezza.

VI. I sette sigilli non sono stati divisi nello stesso modo. I primi sei si trovano nel capitolo VI, e il settimo apre il capitolo VIII. Se si considera che all’apertura di quest’ultimo sigillo, ci sia un brevissimo silenzio in Cielo di mezz’ora, che il Cielo taccia e sembri non parlare più (Et cùm aperuisset sigillum septimum factum, est silentium in Cœlum quasi media hora, – e all’apertura del settimo sigillo, fu silenzio in cielo per quasi mezz’ora – cap. VIII, v. 1) si potrà concludere ragionevolmente che questo sigillo sia stato così separato dagli altri sigilli. – Il silenzio dell’ultimo sigillo è molto speciale perché rappresenta la quasi scomparsa della Chiesa, che si nasconde dalla persecuzione dell’anticristo, mentre durante i primi sei sigilli era sempre stata esteriormente e pubblicamente presente, nonostante l’accanimento dei suoi persecutori e gli attacchi ai quali era sottoposta. – Se si esamina l’interno dei sigilli e le parole che li descrivono, si troverà la stessa divisione e separazione che esiste tra le prime quattro Chiese e le ultime tre, tra le prime quattro trombe e le tre che le seguono. – È generalmente accettato che le quattro bestie di cui si parla nei capitoli IV e V dell’Apocalisse siano i quattro Evangelisti. La prima bestia parla all’apertura del primo sigillo, e mostra il cavallo bianco (N.S. Gesù-Cristo) che va a conquistare il mondo. – Il secondo animale parla all’apertura del secondo sigillo, e indica il cavallo rosso delle persecuzioni romane. – Il terzo animale parla all’apertura del terzo sigillo, e mostra il cavallo nero delle eresie – Il quarto animale parla all’apertura del quarto sigillo, e mostra il cavallo pallido cavalcato dalla morte che è l’infedeltà e l’anticristianesimo di Maometto (1 – 2 – 3 – 4: cap. VI, 1-8). – Ma negli ultimi tre sigilli (Cap. VI, 9-17; VIII, 1), nessuno di essi parla più per indicare ciò che sta per accadere, cosa che mostra una differenza significativa tra i primi quattro sigilli da un lato e gli ultimi tre dall’altro. Quale sarebbe il significato di questa differenza? I quattro angeli, dicendo ai primi quattro sigilli: “Venite e vedete” (veni et vide), non implicano sufficientemente che tutto ciò che accade in questi tempi sia nuovo e non sia mai stato visto sulla terra? La loro inazione e il loro silenzio agli ultimi tre sigilli non sembrano implicare che non c’è e non ci sarà nulla di nuovo, ma che questi ultimi tre sigilli vedranno l’applicazione più esplicita e lo sviluppo più completo dei principi malvagi stabiliti nei primi quattro?

VII. Holzhauser non ha detto nulla sulla divisione delle Chiese, dei sigilli e delle trombe, ciò che può essere chiamata la geografia dell’Apocalisse; non è d’accordo con noi sul silenzio che segna l’apertura del settimo sigillo; ma pensa, come noi, che esso rappresenti il dominio dell’empietà, poiché lo identifica con il regno di Giuliano l’Apostata: differisce dunque con noi solo sotto l’aspetto cronologico. Spetta al pubblico giudicare tra la sua opinione e la nostra.

VIII. Secondo l’esposizione che abbiamo appena fatto, le Chiese, i sigilli e le trombe rappresentano le sette età successive della Chiesa universale. La prima Chiesa, il primo sigillo e la prima tromba compongono la storia della prima epoca, sotto tre aspetti distinti, come abbiamo detto. Quella della seconda età si trova nella seconda Chiesa, nel secondo sigillo e nella seconda tromba, e così via fino alla settima età che è esposta nella settima Chiesa, nel settimo sigillo e nella settima tromba, salvo una leggera modifica che poi indicheremo. – Quanto alle sette lodi che si trovano nel capitolo V, v. 12: Dicentium voce magna: Dignus est Agnus qui occisus est accipere virtutem, et divinitatem, et sapientiam, et fortitudinem, et honorem, et gloriam, et benedictionem – dicendo a voce alta: degno è l’Agnello che è stato ucciso, di ricevere la virtù, la divinità, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la benedizione), sono i sette tributi che gli abitanti del Cielo ed i giusti della terra rendono all’Agnello, in ogni epoca della sua Chiesa, o per onorarlo, o per compensarlo degli oltraggi ricevuti; in modo che ogni lode corrisponda all’età che ha lo stesso grado, ed è legata alla Chiesa, al sigillo e alla tromba, che hanno, con essa, lo stesso numero d’ordine.

§ V. DEI VARI COLORI USATI NELL’APOCALISSE.

Se guardiamo il libro di San Giovanni, notiamo come egli abbia usato diversi colori, ognuno dei quali deve avere un significato, perché in una profezia, tutto ha un significato e nulla deve essere trascurato. Questi colori sono quattro: Bianco, Rosso, Nero e il colore Pallido o Cadaverico. Il colore Rosso si divide in due tonalità: il Rossastro e il Rosso propriamente detto. – Il colore Bianco rappresenta la verità, la bontà, il cielo. Si trova anche sulla persona di Nostro Signore Gesù Cristo o del suo Angelo (Caput autem ejus et capilla erant candi di tanquàm lana alba, et tanquàm nix (La sua testa e i suoi capelli erano candidi come la lana bianca e come la neve – Apoc. cap. I, v. 14); sulla pietra che Gesù Cristo dona come premio al vincitore, nella terza Chiesa (Et dabo illi calculum candidum (e gli darò la pietra bianca, – ibid . cap. II, v . 17 ); sulle vesti dei pochi fedeli della quinta Chiesa (Et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt. Qui vicerit, sic vestietur vestimentis albis – cammineranno con me in bianco perché ne sono degni – ibid. cap. III, v. 4, 5); su quelli dei Cristiani della settima Chiesa (Suadeo tibi … ut … et vestimentis albis induaris – vi consiglio di indossare aviti bianchi – ibid. cap. III, v. 18); sugli abiti dei ventiquattro vegliardi nel Cielo (Circumamicti vestimentis albis – vestiti con vesti bianche – ibid. cap. IV, v. 4); su quelli dei santi nel cap. VI, v . 11 (Et datæ sunt illis singulæ stolæ albee – e saranno date loro vesti bianche), e su quelli degli eletti (Hi qui amicti sunt stolis albis qui sunt et undè venerunt? Hi sunt qui venerunt de tribulatione magna et laverunt stolas suas, et dealbaverunt stolas suas in sanguine Agni (Chi sono questi vestiti con una stola bianca e donde vengono? Essi sono coloro che vengono dalla grande tribolazione, e lavarono le loro stole nel sangue dell’Agnello – ibid. cap. VII, v. 13, 14). Il colore bianco si trova in tutto ciò che viene da Dio (Et vidi et ecce nubem candidam – guardai ed ecco una nube candida – ibid. XIV, v. 14. Et exierunt septem angeli vestiti lino mundo et candido – ed uscirono sette Angeli vestiti di lino puro e candido – ibid. cap. XV, v. 6. Et datum est illi ut cooperiat se byssino splendenti et candido – e fu loro dato del bisso splendido e candido – ibid. cap. XIX, v. 8. 19, v. 8. Et vidi cælum apertum, et ecce equus albus  – … e vidi il cielo aperto ed ecco un cavallo bianco – ibid. cap. XIX , v . 11. Et exercitus qui sunt in cœlo sequebantur eum in equis albis, vistiti byssino albo et mundo – e l’esercito che è in cielo lo seguiva su cavalli bianchi, vestiti di bisso mondo e candido – cap. XIX, 14. Così possiamo concludere senza temerarietà e con ragione che il cavallo bianco che appare nel primo sigillo non è un persecutore, ma al contrario è il Bene, la Verità, Gesù Cristo stesso (Ibid. cap. VI, v. 1, 2). Holzhauser la pensa come noi sul colore bianco. (T. 1. p. 268. Wüilleret). –

Il colore Rosso comprende la sfumatura Rossastra, che è il colore del fuoco, e la sfumatura propriamente detta Rossa che rappresenta il sangue. Il Drago di cui parla San Giovanni nel capitolo XII, v. 3, 4: (Et ecce Draco magnus rufus … et Draco stetit ante mulierem quæ erat paritura, ul, cum peperisset, filium ejus devoraret – E apparve un grande drago rosso. Egli stava davanti alla donna che stava per partorire per divorare il suo figlio appena nato), è senza dubbio satana, il capo degli angeli ribelli. Appare con il colore del fuoco dell’inferno, il colore rossastro, perché questo luogo di punizioni eterne è stato creato per lui ed i compagni della sua rivolta. Quanto all’empietà, all’anticristianesimo, alla grande Babilonia e alla bestia su cui siede, che perseguitano i buoni e li fanno morire, hanno il colore rosso propriamente detto, quello del sangue (Et vidi mulierem sedentem super bestiam coccineam, et mu lier erat circumdata purpura et coccino – E vidi una donna seduta su una bestia di colore scarlatto… e la donna stessa era vestita di porpora e di scarlatto), Apoc. cap. XVII, v. 3, 4). – Quindi possiamo e dobbiamo pensare che il cavallo rosso che appare nel secondo sigillo è la persecuzione portata avanti dai malvagi e ispirata da satana. –

Il colore Nero non indica la morte, ma la devianza, lo stato di un uomo che non sappia dove si trova, dove stia andando, che non abbia luce per orientarsi, che è nella notte e nelle tenebre dell’errore (Et vidi, cùm aperuisset sigillum sextum. Et sol factus niger tanquàm saccus cilicinus – E vidi, quando fu aperto il sesto sigillo il sole divenne nero come un sacco di crine – Apoc . cap. VI, v . 12). Si deve dunque pensare che il cavallo nero che appare nel terzo sigillo indichi l’eresia (Apoc. cap. VI, v. 5, 6). –

Quanto al colore Pallido e cadaverico, non è la notte dell’errore che conserva un residuo di vita nelle poche verità conservate, ma è la figura della morte, della morte vera e completa; perciò, il cavallo pallido che appare nel quarto sigillo è l’infedeltà, l’anticristianesimo; ecco perché questo animale è cavalcato da uno scheletro, dalla morte stessa (Ap. VI, v. 7, 8). – Per mezzo di questi dati che sembrano plausibili, perché nascono dagli stessi testi sacri, si possono apprezzare le opinioni che Holzhauser ha espresso riguardo ai sette sigilli, e pensare che le congetture che presentiamo siano più razionali e meglio in armonia con l’Apocalisse.

§ VI. SPIEGAZIONE DEL VENTESIMO CAPITOLO DELL’APOCALISSE.

I. Abbiamo detto che il capitolo XX dell’Apocalisse riporta la storia della Chiesa e del mondo è stata fatta in relazione all’azione e all’inazione di satana. Dobbiamo provare questo, e così facendo saremo portati a dare la spiegazione del regno dei mille anni e della seconda morte. Dai termini del ventesimo capitolo risulta che il diavolo eserciti una prima seduzione, che sia poi incatenato per mille anni, e che, slegato di nuovo, eserciti una seconda e più forte seduzione che porta agli ultimi giorni. La prima seduzione non è così chiaramente stabilita come la seconda, ed infatti l’inizio del capitolo ci mostra l’incatenamento di satana; ma esiste nondimeno, è reale e attestata dal motivo che l’Angelo dà, quando getta Lucifero nell’abisso. Questo motivo è che satana non seduca le nazioni più estesamente, cioè non più a lungo, né in modo più forte di quanto abbia fatto finora (ut non seducat ampliùs gentes, Apoc. XX, v. 3). Con questo l’Angelo dimostra che li ha sedotti fino a questo momento; constata la realtà della prima seduzione, e lo sviluppo che dà alla seconda; e mentre non ha detto che poche parole su quella che ha preceduto il regno millenario, sembra significare che la seconda sarà di gran lunga la più grande. Non si dica che l’incatenamento di satana sia iniziato con la comparsa del Cristianesimo, e che la prima seduzione sarebbe stata il regno dell’idolatria e del paganesimo che ha preceduto la venuta di Nostro Signore Gesù Cristo! Nei primi tempi della Chiesa, Lucifero era veramente libero e sguinzagliato sulla terra per rendere più brillante il trionfo del Figlio dell’Uomo. Fu lui che spinse i principi dei sacerdoti a crocifiggere il Salvatore, che ispirò ai Giudei il massacro dei primi Cristiani, che, per 250 anni, armò questi Romani, che erano così poco ostili tanto che fecero di Gesù Cristo uno dei loro dei. L’Apocalisse dimostra questa libertà, nella seconda epoca, con queste parole così chiare del capitolo II, v. 10: Ecce missurus est diabolus aliquos ex vobis in carcerem (sappiate che il diavolo metterà in carcere alcuni di voi). Quando le persecuzioni finirono, satana ricorse ad altri mezzi; sollevò le eresie di Ario, Macedonio, Pelagio, Nestorio, Eutyche, i Donatisti, i Monoteliti, gli Iconoclasti. San Giovanni attesta la sua azione infernale libera e diretta nella terza età, dicendo nel capitolo II, v. 13: Scio ubi habitas, ubi sedes est Satanæ. In diebus illis Antipas testis meus fidelis qui occisus est apud vos ubi Satanas habitat (So dove abiti, là dove satana ha la sua sede. In quei giorni …  Antipa fu mio fedele testimone, e che soffrì la morte in mezzo a voi dove abita satana). E tutte queste persecuzioni ed eresie furano cessate e scomparvero al tempo di Carlo Magno, quando questo grande re di Francia, imperatore d’Occidente, che diede alla Chiesa gli Stati che ancora possiede (ora non più, perché usurpati dai massoni sabaudi, – ndr. -). Quale fu dunque il momento di questa prima seduzione? Ci sembra che sia iniziata alla nascita di Nostro Signore Gesù Cristo nell’anno 4004, e che sia finita quando Carlo Magno, alla fine del VI secolo, costituì il regno e persino l’indipendenza anche temporale della Chiesa; poiché l’eresia degli Iconoclasti, l’ultima di tutte, scomparve nello stesso periodo.

II. Essendo satana allora incatenato, il regno della triplice corona per mille anni sarebbe iniziato un po’ prima dell’anno 800 della nostra era, per finire negli ultimi anni del XVIII secolo; e la seconda seduzione sarebbe iniziata nello stesso momento. Molto è stato scritto, discusso e argomentato su questo regno millenario, ma secondo noi è stato tutto ipotetico e vago, perché la storia ed il testo sacro non sono stati studiati a fondo.  – Fino a Carlo Magno, la Chiesa fu esposta alle devastazioni e alla tirannia dei principi della terra; alcuni la proteggevano, la maggioranza la perseguitava o cercava di renderla schiava. Nello stesso tempo, apparve l’eresia degli Iconoclasti, che proibivano le immagini di Nostro Signore Gesù Cristo, la sua Croce, il suo Nome e la sua denominazione, la sua santa Madre, il culto delle reliquie e dei Santi. Due rimedi erano necessari per questi due grandi mali; due trionfi erano necessari per questi due abbassamenti, l’indipendenza della Chiesa ed il culto delle reliquie e dei Santi; e questo è ciò che il regno di mille anni ci mostrerà. L’indipendenza e la sovranità della Chiesa sono ben rappresentate da San Giovanni. Egli vede prima dei seggi e delle persone che vi siedono e ricevono il potere di giudicare (Et vidi sedes, et sederunt super eas, et judicium datum est illis, Apoc. cap. XX, v. 4). Con questo caratterizza molto bene il regno temporale della Religione, iniziato alla fine del secolo VIII, e l’alta supremazia esercitata nel Medioevo dai Sovrani Pontefici su tutti i re ed i popoli civilizzati. Il culto delle reliquie e dei Santi è ben espresso nel resto del v. 4. L’Apostolo vede allora le anime di coloro che sono stati messi a morte come testimoni di Cristo e della parola di Dio, che non hanno adorato la bestia o la sua immagine, che non hanno ricevuto il suo segno sulla loro fronte o nelle loro mani (essendo la Bestia l’anticristianesimo che, secondo San Giovanni, esiste dalla venuta di N.S. J.-C., non si può obiettare che il culto della Bestia o della sua immagine riguardi solo gli ultimi tempi), e che vivono e regnano con Gesù Cristo durante i mille anni. Egli aggiunge che coloro che sono morti per il Signore, in questo modo, hanno avuto una parte nella prima risurrezione (che è la parte dei Santi prima della risurrezione dei corpi); che non temono nulla della seconda morte; che gli altri morti non sono vissuti come loro, dopo la morte terrestre, e non sono stati compresi nella prima resurrezione (Et animas decollatorum propter testimonium Jesu, et propter verbum Dei, et qui non adoraverunt bestiam neque imaginem ejus, nec acceperunt characterem ejus in frontibus aut in manibus suis , et vixe runt et regnaverunt cum Christo mille annis, v. 4. Cæteri mortuorum non vixerunt donec consummentur mille anni. Hæc est resurrectio prima, v. 5). Questa seconda parola di San Giovanni si riferisce, come possiamo vedere, al regno dei Santi, e ci sembra rappresentare il culto indiscusso che fu dato loro sulla terra durante i mille anni che seguirono la scomparsa dell’eresia dei distruttori di immagini (Iconoclasti significa appunto rompitori di immagini), un culto che si applicava tanto ai martiri (animas decollatorum), quanto ai semplici confessori (et qui non adoraverunt bestiam neque imaginem ejus). La nostra interpretazione può essere contraddetta solo se si opina che questo regno di mille anni sia quello del Cielo; ma non sarebbe giusto porci una tale difficoltà, perché i Santi che sono in cielo vivono e regnano per tutta l’eternità, e non solo per mille anni, e così diventa evidente che questo regno è quello che ottengono sulla terra con l’onore ed il culto che sono resi loro.

III. Queste parole del v. 5: Cæteri mortuorum non vixerunt donec consummentur mille anni, presentano qualcosa di ambiguo che deve essere chiarito. Prendendo la parola donec nel senso ordinario (fino a), si dedurrebbe che gli altri morti che non vissero per i mille anni entrarono in vita dopo quello stesso tempo; ma si sbaglierebbe a pensarlo, perché la parola donec non ha questo senso nella parola biblica e apocalittica. Ecco alcuni esempi che ne saranno una prova. Si dice, nel capitolo VIII della Genesi, che il corvo che Noè fece uscire dall’arca non ritornò finché (donec) le acque non fossero evaporate o ritirate (dando a questa parola il suo significato ordinario); sappiamo però che non ritornò più: così la parola donec ha un significato definitivo, e non sospensivo o risolutivo. Nel secondo libro dei Re (capitolo VI, v. 23), è riportato che Michol, figlia di Saul e moglie di Davide, non ebbe figli fino alla sua morte (usque in diem mortis suæ); ora, poiché una donna non può vedere e partorire dopo la sua morte, è certo che Michol non ebbe mai un figlio, e che la parola usque, ancora più sospensiva nella lingua ordinaria di donec, ha un significato definitivo nei libri sacri. San Matteo, nel capitolo 1, v. 5, dice che Giuseppe non conobbe Maria, sua moglie, finché ella non diede alla luce il suo primogenito (donec peperit filium suum primogenitum); ora, Giuseppe rimase sempre vergine, così come Maria: quindi, ancora una volta, la parola donec ha un significato definitivo, e non sospensivo o risolutivo (Holzauzer – t. 1. p. 306. Wüilleret – interpreta in questo modo la parola quoadusque del capitolo VII. v. 3. dell’Apocalisse, che è equivalente alla parola donec).  In questo stato, il v. 5 del capitolo XX di San Giovanni arriva a questa proposizione: “Gli altri morti non vissero e non regnarono con Cristo, né durante questi mille anni, né dopo, perché, raggiunti dalla prima morte, la morte dell’anima, non avrebbero potuto prendere parte alla prima risurrezione.

IV. Secondo questi dati, la morte ordinaria, quella che conosciamo, sarebbe la prima morte per i malvagi e la prima risurrezione per i buoni, soprattutto per quelli tra loro che, non avendo nulla da espiare, entrano subito in possesso della beata eternità. Il giudizio che segue la risurrezione generale dei corpi sarebbe la seconda morte per i reprobi e la seconda risurrezione per gli eletti. Questa spiegazione risulta dal v. 6 e da queste parole: “Beatus et sanctus qui habet partem in resurrectione prima; nella sua secunda mors non habet potestatem; sed erunt sacerdotes Dei et Christi, et regnabunt cum illo mille anni – Beati e santi coloro che parteciperanno alla prima risurrezione! La seconda morte non avrà potere su di loro, ma saranno sacerdoti di Dio e di Cristo, e regneranno con lui per mille anni). È fornita pure dal v. 14 che, dopo la risurrezione dei corpi e il giudizio, dichiara espressamente che la dannazione eterna che sarà poi pronunciata è la seconda morte (hæc est mors secunda). La segue anche dal capitolo II, v. 11, quando dice ai martiri della Chiesa di Smirne: Qui vicerit non lædetur à morte secunda (Chi vincerà non avrà nulla da temere dalla seconda morte. Holzhauser (t. 1. p . 117. Wuilleret) pensa come noi alla seconda morte), e dal capitolo XXI, v. 8, che afferma che l’inferno, la parte dei reprobi, è la seconda morte (Pars illorum erit in stagno ardenti igne et sulphure, quod est mors secunda (la loro parte sarò nello stagno di fuoco ardente e zolfo, che è la seconda morte). Questa seconda parola di San Giovanni si riferisce, come possiamo vedere, al regno dei Santi.

V. Essendo finito il regno dei mille anni, satana è di nuovo slegato; egli esercita la seconda e più ampia seduzione (amplius, v. 3), esce dall’abisso; seduce le nazioni, Gog e Magog, e le raduna per la lotta contro Dio, in un numero così grande come i granelli di sabbia del mare (Et cum consummati fuerint mille anni, solvetur satanas de carcere suo, et exibit et seducet gentes quce sunt su per qualuor angulos terræ, Gog e Magog, et congregabit eas in prælium, quorum numerus est sicut arena maris, Apoc . cap. XX , v. 7). – Cosa sono Gog e Magog di cui parla San Giovanni? Sappiamo dalla storia che Magog è uno dei figli di Japhet, il ceppo dei turchi e dei tartari. Quanto a Gog, ci sembra essere l’anticristo stesso, colui che verrà negli ultimi giorni del mondo, e per mezzo del quale il diavolo eserciterà la più grande seduzione di sempre, la più grande che gli sia possibile. Gog è l’anticristo, perché, non potendo, come Magog, rappresentare un popolo, un’aggregazione di persone, egli è e deve essere un individuo privato, attraverso il quale satana agisce, dopo averlo sedotto (Seducet gentes … Gog e Magog). Gog di San Giovanni è l’anticristo, il Gog di Ezechiele è lo stesso personaggio; perché l’identità dei nomi indica l’identità delle persone e personaggi, se nulla vi si oppone. Se leggiamo Ezechiele (cap. XXXVIII e XXXIX), è impossibile dubitare che Gog di cui si parla non sia l’anticristo; perché tutte le azioni che gli attribuisce sono ovviamente quelle del figlio della perdizione, e nel v. 17, cap. XXXVIII, il Profeta lo denuncia come tale in modo affermativo dicendo: Tu ergo ille es de quo locutus sum in diebus antiquis, in manu servorum prophetarum Israel, qui prophetaverunt in diebus illorum temporum ut adducerem to super eos (Tu sei dunque colui di cui parlai nei tempi antichi, per mezzo dei miei servi, i profeti d’Israele, i quali annunciarono per questi tempi che ti avrei portato su di loro.)

VI. Tutte le probabilità, tutte le verosimiglianze si riuniscono dunque per identificare l’uomo del peccato in Gog dell’Apocalisse, per fissare il significato generale del capitolo XX della profezia di San Giovanni, e per tracciare la sequenza degli eventi nel seguente ordine: 1° Seduzione ed azione di satana stesso dalla nascita di N.S. J.-C. fino agli ultimi anni del XX secolo; 2°. Regno temporale della Chiesa e del culto dei Santi per mille anni, da quest’ultimo periodo fino alla fine del XVII secolo; 3°. Scatenamento e inizio della seconda seduzione del diavolo stesso negli ultimi anni del secolo terminato nel 1800, e regno dell’anticristo, preceduto da quello dei suoi precursori. Questa seconda seduzione, più estesa della prima, anche se non altrettanto lunga, è legata, per il suo inizio, al capitolo XII dell’Apocalisse che ci mostra, al v. 3, un grande drago rosso, il vecchio serpente, il diavolo e satana (cap. XII , v. 9) che si pone davanti alla Chiesa per perseguitarla e divorarne il figlio: Et Draco stetit ante mulierem quæ erat paritura, ut cùm peperisset, filium ejus devoraret; e a queste parole di Nostro Signore in San Matteo, cap. XXIV, v. 4, 6: Videte ne quis vos seducat. Multi enim venient in nomine meo dicentes: Ego sum Christus: et multos seducent (Badate che nessuno vi inganni, perché molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e inganneranno molti). Queste parole si applicano, come tutti concordano, agli ultimi tempi del mondo, e sono così ben realizzate dagli ultimi anni del XVIII secolo fino ad oggi (L’Apocalisse capitolo XII, con le due persecuzioni del diavolo contro la Chiesa, e il tempo di calma tra di esse, può ben rappresentare le due seduzioni di satana, che sono una all’inizio della Chiesa, l’altra alla fine, e che sono divise dal regno di mille anni).

*La Suora della Natività dice, come noi, che satana è stato scatenato alla fine del secolo scorso (il XVIII), che da allora ha esercitato la sua seconda e più grande seduzione, e di conseguenza pone, come noi, questo regno millenario che precede questa seduzione. Ecco cosa dice su questo argomento:

T. II, p. 260: « Dio mi mostra la malizia dell’inferno e l’intenzione diabolica e perversa  dei suoi sostenitori contro la santa Chiesa di Gesù Cristo. Su ordine del loro capo, questi uomini malvagi sono andati in giro per la terra come dei folli, con l’intenzione di preparare le strade e i sentieri per l’anticristo, il cui regno è vicino. Con il soffio corruttore di questo superbo spirito, hanno avvelenato gli uomini, come se molti appestati avessero comunicato il loro male gli uni agli altri, e il contagio diventato generale. Che sconvolgimento, che scandalo! »

« Questo è ciò che ho visto davanti ai miei occhi: è stato satana stesso a distribuire la malattia ai suoi satelliti. “Fu satana stesso che diede ai suoi satelliti una certa materia che toccò sulle loro fronti, o su qualche parte della loro pelle, per imprimere loro un carattere di devozione alla sua opera.” Questi satelliti così toccati mi sembravano immediatamente coperti da una lebbra con cui avrebbero infettato le persone che si lasciavano toccare da loro… Ecco alcune parole che ho sentito molto distintamente: Le sentinelle si addormentarono (Questo sembra riferirsi al v. 16, cap. XIII dell’Apocalisse); i nemici sfondarono le sbarre ed entrarono nella cittadella, dove la assediarono. (Questi termini si riferiscono alla parabola della zizzania e del buon grano, di cui parliamo nella seconda parte (Cùm enim dormirent bomines), e in generale alla quinta età. »

« Il potere delle tenebre ha esteso il suo impero, si è fatto una sinagoga. Ha eretto altari per se stessa, dove ha posto idoli per farli adorare. satana è appena entrato nella sua sinagoga (satana si è così scatenato alla fine del XVIII secolo.). » *

Se i mille anni del capitolo XX dell’Apocalisse sono anteriori alla venuta di Gog, l’anticristo, essi non possono essere posteriori a questo, e quindi le opinioni di certi millennaristi sono da rigettare.

VIII. Alcune menti potrebbero trovare che stiamo mettendo troppa distanza tra lo scatenamento di satana alla fine del regno dei mille anni e l’inizio della seconda seduzione. Cercheranno di ribaltare le nostre congetture e di dire che questi eventi hanno avuto luogo proprio all’inizio del protestantesimo nella prima parte del XVI secolo, e non negli ultimi anni del XVIII. A questa obiezione daremo due risposte: Poiché il numero di mille anni, ripetuto sei volte nel capitolo XX, deve essere preso in seria considerazione, sarebbe necessario che questo regno, comprendente mille anni effettivi, fosse iniziato nella prima parte del secolo, cioè nel tempo in cui la Chiesa era desolata da numerose e spaventose invasioni di barbari ariani, e lottava contro una fonte quasi inesauribile di eresie, una più perniciosa dell’altra. Ora, la ragione non può vedere il regno della Chiesa e il culto delle reliquie e dei Santi in questo secolo, così infelice e così pervertito; quindi, il regno dei mille anni non può iniziare in un momento precedente a quello che gli abbiamo assegnato (La comparsa degli Iconoclasti nei secoli VII e VIII ha impedito l’inizio del regno dei mille anni, durante il quale sussiste il culto delle reliquie dei Santi). D’altra parte, anche se la natura viziata ha approfittato del protestantesimo per arrivare, nel corso delle idee, al razionalismo, cioè alla deificazione della ragione umana, non è arrivata a questo punto fino al XVIII secolo attraverso il filosofismo, e c’è una differenza enorme tra i due tempi. – L’anno 1789 fu seguito, in Francia, dalla Costituzione Civile del Clero, dall’apostasia di una parte notevole dei sacerdoti e dei Vescovi, dalla distruzione degli ordini religiosi, dall’abolizione del culto pubblico e del sacrificio perpetuo (Daniele, cap. XII, v. 11), dalla proscrizione del Cattolicesimo, dall’abominio della desolazione nel luogo santo, con il culto di una prostituta che aveva sostituito Dio sui nostri altari profanati. Questi crimini non si limitarono al nostro Paese [la Francia – ndr.]; si estesero a tutte le regioni sottomesse dalle nostre armi o devastate da esse; essi hanno rovesciato il trono di San Pietro e condotto in cattività due Sovrani Pontefici. È dunque facile riconoscere in questa deplorevole storia contemporanea l’azione di una rabbia più grande e più potente di quella umana, della rabbia satanica portata all’apice, usando tutta la sua potenza, di quella cioè che animerà l’anticristo negli ultimi giorni. Il protestantesimo non è andato così lontano: razionalista per principio attraverso il libero esame, non si è lasciato trasportare nella prima metà della sua durata da tutte le conseguenze che stava generando; ha conservato le Sacre Scritture, pur alterandone il senso in più parti, e scartando certe porzioni un po’ troppo fastidiose; ha racchiuso tra le loro mura la libertà che dava ai suoi seguaci. Con l’eccezione di alcuni figli perduti, come i sociniani, non ha negato o attaccato la divinità di Gesù Cristo. Per fermare la china che avvertiva e che l’avrebbe condotto al razionalismo, continuò a predicare la fede; alzò le barricate delle confessioni, dei sinodi e dei poteri temporali ai quali diede il governo delle anime; e riuscì solo, come religione, a liberarsi delle dottrine che trovava troppo austere, dei doveri che giudicava troppo difficili da compiere, e ad emancipare la carne e tutte le concupiscenze. Fu dunque l’uomo vizioso, ispirato però e guidato dal diavolo, a produrre, propagare e conservare la Riforma, e non satana stesso ad agire direttamente. Le molte sette che ha fatto nascere, gli errori che ha introdotto nelle menti degli uomini, la corruzione che ha portato nei tribunali, sono la zizzania che l’uomo nemico ha seminato tra il buon grano e che, senza distruggerlo, lo ha soffocato e impedito di crescere quanto avrebbe potuto.

FINE DELL’INTRODUZIONE

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CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (3)