IL SEGNO DELLA CROCE (15)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (15)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA DECIMAQUARTA.

9 dicembre.

Il segno della croce preservativo contro quanto può ledere la sanità e la vita. — Abbonaccia le tempeste. — Estingue il fuoco. — Protegge contro gli accidenti. — Arresta i flutti. — Fa rientrare le acque nel loro letto. — Allontana le bestie feroci. — La folgore. — Fa delle creature strumento di prodigi.

Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treveri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella. – S. Greg. Turon. De glor. confes. c. XVII.). – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero delia gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno (Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. sæpissime…. ortas tem-pestates crucis signo compescuit. – Vit. lib. III).  Come l’aria, così il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso a’ falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » (Atti di S. Sebast.). – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera (Ep. 1 ad Euseb. Præsbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X). Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, avea abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, chel’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ ha quasi alcuno che non dimandi il Battesimo! (Ubi supra). – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino a’ giorni nostri (S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1).  – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il tremuoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono sui monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano sui monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse ((Vit. S. Hilarión, vers. fin.).  – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le piogge del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le inondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e, come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto (Ist. di Francia, tom. II, p. 135). – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto?  Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto (Theodoret. Relig. hist., c. 2). Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurarsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna (Ibid. c. 3).  Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero sui serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore : Decideranno i serpenti, serpentes tollent (S. Greg. Dialog., lib. III, c. 35). 1). – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato , non ne avranno nocumento alcuno, Et si mortiferum quid biberint, non eis noeebit ». Qualche pruova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea avea a Vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del Vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A si strano spettacolo gl’inimici gli caddero a’ piedi implorando perdono (Sophron, in Prat. Spirit.). – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzi! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e l’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3). Per questi esempi e per mille altri di simil fatta è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. In Francia, nella Spagna e nell’Italia, e credo nelle altre regioni, i Cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri Cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i Cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » ( S. Ephrem. Serm. de Cruc.). S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (Aug., lib. 50 homel. XXI.).  S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i Cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova (S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45). Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che?scacci le mosche? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto (Tilman.. Collez, de’ Santi, lib. VII, c 58). Avviso agli spiriti forti!  – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, sui i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ».II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed èconsiderato come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni (Stukius Àntiq convivial, lib. II,  C. 36, p. 430)- Queste creature liberate, mercè il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita (s. Greg. Turon., lib. III Miracul. S. Martin, c. XVIII). Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve. –  Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. « Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fuggiranno per la tua presenza. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta (Fortunati, In vita S. Germani). L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.