LO SCUDO DELLA FEDE (92)

Paolo SEGNERI S. J.:

L’INCREDULO SENZA SCUSA –

Tipogr. e libr. Salesiana, TORINO, 1884.

CAPO III.

Dal consentimento di tutte le nazioni dimostrasi che v’è Dio (1).

(1) Questa guisa di dimostrazione dall’esistenza di Dio, fondata sull’autorità del genere umano, suole denominarsi dimostrazione morale, perché l’umanità, riguardata nella dignità della sua ragione universale, ha un valore morale, e quindi un diritto ad essere creduta.

1.

I. Il maggior numero di testimoni che dalla legge richieggasi, sono sette: e questi bastano ne’ testamenti ad autenticare le disposizioni di un uomo, quantunque morto, presso chi neppur mai lo vide. Come però non basteranno tutte le nazioni del mondo a render credibile l’esistenza di un Dio vivente? Exceptis paucis, in quibus natura nimium depravata est dice S. Agostino – (In Io. tr. 106) universum genus humanum, Deum mundi hujus fatetur auctorem. Se girerete il mondo, pellegrinando, almen sulle carte, troverete popoli fra loro tanto diversi d’inclinazioni, che appena due vi saranno che si conformino nel modo di governarsi. Eppure in tale contrarietà di statuti voi non vedrete, non dirò regno, ma città, ma casale, che tolga unitamente qualunque divinità. Anzi non ha parte alcuna, ove non incontrinsi e templi, e vittime, e voti, e ministri ordinati al culto divino: tanto che vi sarà più facile abbattervi in un paese ove manchi il sole, che ove manchi ogni rito di religione: Potius conspiciendam sine sole urbem, quam sine Deo, ac religione, dicea Plutarco. Che seppure negli ultimi confini del mondo ritruovinsi mai persone così bestiali, che vivano senza leggi, non però quivi si troverà chi fra sé non vergognisi del mal fare, o non se ne vergogni al cospetto altrui: e molto meno si troverà chi non sentasi ad ora ad ora agitare dagli stimoli interni della coscienza rampognatrice, sicché operando contra il dettame di essa non si accorga tosto di offendere con quell’atto un Signor sovrano, di cui riconosce, quale ambasciata, la voce della sinderesi. – Come può essere adunque, che questo consentimento sì universale di tutti i popoli non valga presso di voi per un testimonio maggiore di ogni eccezione? Quello che sembra verisimile a tutti, dice Aristotile (L. 10. Eth.), non può stare, che non sia vero: Quod universis videtur verum est. Mai non annottasi in tutto il mondo ad un’ora, ma solamente in alcuna parte di esso. E la menzogna non può offuscar tutto insieme il genere umano, sicché sia tutto o ingannatore, o ingannato: Nemo omnes, omnes neminein, singuli singulos fallunt(Sen.). E la ragione si è perché il giudizio di tutti è giudizio della natura, la quale non può mentire: e se fece l’uomo alla scienza, non può dunque ella farsegli guida all’errore. Se però tutti, e romani e greci e giudei e assiriani ed etiopi ed egiziani e caldei e germani e galli e sarmati e iberi e indi e persiani e tartari e turchi, e cinesi, e quanti mai sono, in tante lingue differenti vi dicono, che v’è Dio; qual temerità, voler voi solo far argine a tanta piena col parer vostro? Potrete forse allegare veruna età in cui si credesse altrimenti? Anzi, più che vi applicherete con lezione attenta a riandare le antiche storie, più troverete, che la cognizione della divinità fu libera da ogni fallo. Ond’è, che innanzi al diluvio non si legge mai che regnasse l’idolatria; la cui origine riferiscono altri a Nembrotte, altri a Nino, ed altri a Prometeo, nati al pari dopo il diluvio; mercecchè innanzi di esso la notizia del Creatore fra’ popoli era vivissima, e posto ciò, come poteva allor sorgere tanto inganno di adorare una creatura? (S. Th. 2. 2. q. 50. art. 4 ad 2). Può la cometa avere adito ancora in cielo, ma non può avervelo, se non che lontana dal sole (Tutta quest’argomentazione può venir compendiata nel seguente epicherema: È vero ciò, che viene concordemente ammesso da tutto il genere umano, perché  è voce infallibile di natura; ma sempre e dovunque l’uman genere fu ed è concorde nell’ammettere l’esistenza di Dio, come ne porge irrefragabile testimonianza la storia: dunque è vero, che Dio esiste).

II.

II. Che se non vi ha memoria di verun secolo, in cui nel mondo non si credesse, esser Dio, chi non vede, quanto fuor di ragione sia l’asserire con gli ateisti, che però gli uomini sono inclinati a ciò faro, perché con tal credenza furono allevati dai loro progenitori fin dalle fasce?

III. Primieramente, come si sarebbono sempre tra sé indettati i nostri antenati, e sempre s’indetterebbono in una tal forma stessa di educazione, se questa fosse, non da ispirazion di natura, comune a tutti, ma da elezion di arbitrio? (L’educazione non crea nulla, bensì è tutta nello svolgere i germi insiti da natura nell’animo umano. Essa pertanto non varrebbe mai a destare nella mente dell’uomo l’idea di un Dio, se questa non si avesse un natural fondamento. Tant’è, che sebbene l’essenza di Dio trascenda per infinito eccesso ogni creata apprensiva, nondimeno il sentimento ed il concetto della Divinità penetrano con facilità meravigliosa nella mente del fanciullo egualmente che nell’anima di qualunque idiota ed analfabeta.). Chi ha mai veduta nelle risoluzioni arbitrarie sì grande uniformità, in tempi cosi diversi ed in terre così divise? Sicuramente, se in vece di discorrere noi ci vorremo anzi mettere a delirare, potremo affermare, con la medesima fronte, che gli uomini anticamente tutti filavano, come Sardanapalo, e che le donne andavano alla testa degli eserciti come Semiramide; ma che poi venuto al mondo un personaggio di sonno straordinario, ordinò le cose, e per bene delle famiglie obbligò le donne al fuso, e gli uomini all’aste. Eppure una fola tale sarebbe meno incredibile di quest’altra, con la quale Crizia argomentavasi di persuadere al mondo, che non v’è Dio, ma che un tal uomo, avveduto più de’ preteriti, avea per pro dei mortali introdotta il primo fra loro questa opinione giovevole, che vi fosse. E qual uomo fu questo sì fortunato, che pose in sesto tutto il genere umano con l’oppio poderoso di un tale inganno? Ove ebbe il suo nascimento? ove la stanza? ove la scuola? ove il seguito più solenne? qual fu il primiero fra’ popoli ad ascoltare la sua voce beata? su quali ali egli volò dentro tempo brevissimo in tanti lati a disseminare una menzogna sì bella, che vincea di pregio ogni vero? e ciò che è più da notarsi, ove son le statue erette poscia da’ posteri ad un eroe il qual era sì benemerito delle genti ? ove gli archi? ove gli altari? Ove i templi a lui consacrati, giacché altro bene era questo, che l’inventare, come diceasi di Bacco, la coltivazion delle viti, o come di Cerere, la seminazione del frumento; ed altro ciò, che smorbar dal mondo quei mostri i quali più vero albergo non vi ebber mai, che la fantasia de’ poeti devoti ad Ercole?

IV. Di poi domando: come avrebbe quell’uomo potuto mai propagare tanto felicemente per l’universo opinion sì nuova? Con ragione appagante, o senza ragione? Se senza ragione, dunque ritorna la difficoltà, che un inganno possa essere universale. Se con ragione, dunque non fu inganno ciò che tutti lasciaronsi persuadere uniformemente, fu verità.

III.

V. Che se puro taluno vuole talora opporsi a tal verità colla pervicacia del suo libero arbitrio, non vedete voi, che né anche può conseguirlo in qualunque stato? Basta che, come si usa co’ testimoni falsi, egli ritruovisi, quando men se lo aspetta, posto al tormento di qualche dolore insolito, o di fianchi, o di podagra, o di pietra, o di taglio acerbo; vedrete subito, come il contumace si volgerà per aiuto ad invocare il braccio di qualche nume abile a liberarlo; o almeno arrabbiato si volgerà a bestemmiarlo insolentemente, mostrando al pari con la sua lingua, o supplicatrice, o sacrilega, che egli errò, quando dubitò so v’è Dio. Certo almen è, che ne’ casi più repentini così interviene. Onde, ad un risico di naufragio imminente veggiam che tutti nella nave si uniscono ad alzare d’accordo le mani al cielo, chiedendo scampo. E pure i casi repentini sono quegli in cui secondo il filosofo, opera in noi la natura più che il consiglio. Ma se la natura ci spinge con sì grande impeto nei pericoli a confessare quel Dio cui facciam ricorso, non accade, che voi fuori de’ pericoli a forza d’arte vi affatichiate a negarlo. Questo vi rende tanto più inescusabile, mentre volete fare, che muoia in voi di morte violenta quella persuasione in voi nata con esso voi, che non vi può mai morire di naturale. Così avveniva in Caligola, il quale, all’udire dei tuoni, tremava tutto, riconoscendo uno più possente di lui, che lo poteva dall’alto mandare in cenere: e pure, acquetate le nuvole, s’ingegnava di porre sé nella stima di nume sommo.

IV.

VI. Io pertanto nel numero di coloro i quali rendono chiara testimonianza della divinità includo fin quei medesimi che la negano. Perché si scorge, che quantunque, collocando talora questi la gloria nell’empietà, si arroghino di saper tanto più degli altri, quanto ne credono meno: non è però, che mai davvero pervengano all’empietà da loro vantata, cioè al non credere nulla: e dove pur vi pervengano, è per breve ora; succedendo loro come ad un notatore, il quale può ben cacciarsi a forza sott’acqua, ma non può starvi. Se egli vuol vivere, conviene che suo malgrado dopo alcun tempo di respiro soppresso ritorni a galla.

VII. Se non che, quando ancora volessimo noi concedere, che alcuni pochi arrivino a scancellarsi affatto dall’animo ogni credenza di Dio, che rivelerebbe? (Lo scancellare presuppone la preesistenza dell’oggetto che si imprende a distruggere. Epperò i miserabili tentativi dell’ ateo e dell’empio sono nuova conferma e rincalzo dell’esistenza divina). Non possono alcuni pochi dare eccezione al sentimento di tutto il genere umano. Sono essi mostri. E però, siccome il nascere un uomo con due capi non può far prova, che non sia proprio degli uomini il nascere con un solo; così il ritrovarsi talora un cuore di concetti sì storti, che neghi qualunque divinità, non può far prova. che non sia proprio di tutto l’uman genere l’asserirla. Tanto più, che siccome i mostri. per provvidenza della natura amorevole, sono sterili, né han virtù di generare altri mostri, così costoro, rimanendosi soli nella loro opinione, non fanno popolo, né possono mai vantare di avere indotta una intera comunità a professare, come eglino, l’ateismo.

V.

VIII. Scorgo ben io ciò che voi mi potreste opporre, e non lo dissimulo: tanto son pronto anche a mettervi l’armi in mano. Se il consentimento di tutte le genti è una testimonianza della natura, alienissima da ogni frode, come dunque, direte voi, non si accordano tutte a riconoscere una stessa divinità, ed a venerarla con un medesimo culto di religione? Certo è, che in un caso la natura fallisce, mentre ella non ci determina verun culto particolare; dunque così può fallire ancora nell’altro ad inclinarci all’ universale. Ma no: l’illazione è falsa; ed eccone la riprova. Vediamo, che non tutti si accordano a cercar la felicità dove ella è riposta, ma chi la cerca nelle ricchezze, chi ne’ cibi, chi nelle carnalità, chi nella gloria, chi nella dominazione, chi nella dottrina, chi nello operazioni di gran virtù. Dunque non è la natura quella che ha inserito nel cuore di ciascun uomo all’istesso modo il cercar la felicità? Non tiene la conseguenza. E la ragione è, perché la natura ha inclinati gli uomini tutti generalmente a cercare il bene, ma non ha loro dato intuitivamente a vedere dove egli sia. Vuole, che da sé lo rintraccino col discorso, di cui dotolli a tal fine. Gli uomini però, seguendo la libertà del loro talento, si applicano variamente a pregiare più questo bene che quello, scambiando per goffaggine non di rado la copia con l’originale, il corpo con l’ombra, il reale con l’apparente. Tanto dite nel caso nostro. La natura ha inclinati gli uomini tutti a riconoscere una divinità dominante. Ma né l’ha data loro a mirare in sé, né poteva darla, mentre a ciò non sono abili gl’intelletti immersi nei sensi (Come nell’ordine religioso ogni animo umano è da natura portato alla credenza ed al sentimento di una Divinità in generale, astrazione fatta dai suoi attributi particolari e determinati, cosi nell’ordine del sapere ogni mente umana è da natura portata alla verità in generale, astrazione fatta dalle molteplici verità particolari). Vuole, che la discoprano dagli effetti. Gli uomini però, valendosi variamente di tale istinto, hanno riconosciuta questa divinità dov’ella non era, ed han fatto come i bambini, che, per la imperfezione del loro discernimento, chiamano madre la balia da cui sono allattati, e volgono le spalle alla madre dalla qual nacquero. Hanno gli sciocchi chiamato Dio il sole, Dio le stelle, Dio gli elementi che loro davano il sostentamento immediato; ed hanno rivoltato le spalle a quel sommo Bene che li cavò fin dal nulla. Pertanto la medesima idolatria che sì lungamente ha regnato per l’universo può confermare le prove della divinità, non può invalidarle: errando gl’idolatri, non nella tesi, ma nella ipotesi: cioè a dire, errando nel persuadersi in particolare, che quell’oggetto, cui supplicano, sia divino, non errando nel giudicare, che qualche nume vi sia presidente a tutto: che è ciò che sì bene intese Cicerone medesimo, dove disse: De hominibus, nulla gens est tam immansueta, quæ non, etiamsi ignoret, qualem Deum habere doceat, tamen habendum sciat (De legib.).

IX. Se però voi, girando a piacer vostro l’Europa, l’Africa, l’Asia, e fin l’America stessa, che è la più barbara parte, non troverete popolo il quale, o in un modo o in un altro, non asseriscavi, che Dio v’è; qual contrasto è mai questo che dovete voi fare al vostro intelletto, perché stia duro a non crederlo, con opporsi lui solo a tanti? Gliene dovreste forse voi fare altrettanto perché lo creda? L’autorità in ogni genere ha sì gran peso, che alfin ci opprime, quando non abbiamo qualche evidenza in contrario che ci sostenga. Ma qual evidenza potete voi mai vantare a favore dell’ateismo? L’evidenza non è dalla banda vostra, è dalla banda contro di cui militate. – Perché quantunque ad un puro apprender di termini non sia noto a ciascuno, che Dio vi sia; è nondimeno notissimo a chi gl’intendo.

X. Ma perché ciò altro non è, che un chiamarvi dal tribunale dell’autorità a quello della ragione, voi seguitemi, ed io vi precederò.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.