IDEALI SANTI – MODE – CELESTE PRESENZA (2)
— Ortodossia-
[Lettera pastorale scritta il 23 luglio 1963; «Rivista Diocesana Genovese», 1963, pp.192-245.] – Parte Prima: Ideali santi -B-
Verso i lontani
Il provvidenziale rifiorire dell’ideale ecumenico e dell’ideale pastorale, intesi secondo le indicazioni dell’Evangelo, porta ad una importante conseguenza pratica, la quale, pur appartenendo alle considerazioni pastorali, ha più di una ragione d’essere considerata a parte. Infatti l’ideale ecumenico è generalmente inteso verso i fratelli cristiani separati e verso i non battezzati. Esso ha addotto nuova luce e circa il dovere e circa il metodo, siccome brevemente si è visto sopra. Ma si tratta di un indirizzo che è valevole per un altro soggetto: i lontani di casa nostra, ossia i battezzati nella Chiesa cattolica che hanno perduto in diversi gradi la pratica, o la stessa fede. Chi ha spirito ecumenico e pastorale – e tutti gli ecclesiastici debbono averlo – logicamente arriva a sentire impegno e amore per questi «lontani». Rischierebbe di essere ipocrita l’afflato ecumenico che si arrestasse ai separati e ai non cristiani, E dunque argomento da trattarsi per la logica forza di quanto premesso, per se stesso ed anche per difenderne il concetto da indirizzi sospetti e pericolosi. Costituisce pur esso un ideale santo. Radice dell’obbligo di occuparsi dei «lontani» è la volontà salvifica universale di Dio, di cui si è parlato sopra, la quale diventa legge per coloro ai quali Cristo ha affidato di proseguire la sua stessa missione. – Del resto esplicitamente il codice di Diritto Canonico richiama i Pastori a tale dovere (can. 1350). Altro fondamento dell’obbligo è nella natura di società e di famiglia di Dio, propria della Chiesa; tale natura non può ammettere che qualcuno sia abbandonato a se stesso. Non si può tacere, per coloro che tengono un ufficio adeguato, il corrispondente obbligo di giustizia e, per tutti, il dettame della carità. – Vale la pena di riflettere anche su notevoli ragioni di convenienza, che da sole avrebbero funzione determinante. I lontani sono molti. Questo è vero, se si parla dei «relativamente lontani». Nella nostra città di Genova in una sola notevole parrocchia il numero di coloro che ascoltano la santa Messa arriva al 60-70%. Un’altra parrocchia si avvicina a questa consolante percentuale. Le altre stanno più basse nella graduatoria. Se prendiamo la pratica della S. Messa festiva come punto di distinzione tra i praticanti e i poco o nulla praticanti, bisogna dedurne che non esiste parroco il quale abbia la facoltà di disinteressarsi dei lontani, anche nei monti dove, in qualche paese, solo tre o quattro persone talvolta non fanno Pasqua. – I «lontani» sono in vario modo dei potenziali vicini. Più o meno profondo resta in tutti qualcosa del catechismo della infanzia o d’altro. Non possiamo dimenticare che un giorno, celebrando la santa Messa nel carcere giudiziario di Genova, alla Comunione per la sezione minorenni e non solo per quelli, abbiamo visto ritornare i comportamenti e i gesti di ex chierichetti in un numero non indifferente di detenuti. Lo abbiamo voluto dire e le lacrime, che abbiamo colto su molti visi a questo accenno, ci rassicuravano che non avevamo sbagliato. Ma era vero che l’antico chierichetto riviveva anche in prigione e riviveva per spingere alla Comunione con un sentimento forse più profondo di quello della infanzia. In molti, che si giudicano lontani, resta, magari sigillato accuratamente, l’antico membro di qualche buona scuola, di qualche buon collegio. Niente va perduto. – I lontani finiscono sempre coll’avere in qualche modo «sete di Dio», magari a modo loro, agitati e scontrosi. Non vi inganni il fatto che talvolta, cari confratelli, vi guardano male. Può essere una forma di debolezza. Ma una cosa è certa: è più facile recuperare chi ci guarda male che chi non ci guarda affatto. Chi guarda male, sente qualcosa: un contrasto, un problema; e tutto questo diventa un amore a rovescio. E più difficile ricuperare chi ha o affetta la più completa indifferenza. I lontani sentono la lima degli anni che passano, della caducità ed insufficienza di tutte le cose terrene; spesso hanno consumato la capacità di godere ed hanno così toccato il limite di saturazione. Esistono delle male azioni che si possono definire una forma di pianto. I lontani sono nella posizione di apprezzare di più quello che non hanno. Questa è del resto legge generale. Abbiamo sempre notato che il fascino della divina liturgia produce, in coloro che vanno poco o mai in chiesa, effetti maggiori che nei fedeli abitualmente praticanti. – Riassumiamo. Nella massa dei «lontani» noi possiamo trovare chi sta attendendo gli si porga la mano ad onta del suo viso ostile; chi soffre e nascostamente prega; chi ha incredibili affinità cogli ideali santi, non appena gli vengono rivelati o rinfrescati nella memoria; chi può essere tra i maggiori collaboratori nell’apostolato. – Questa massa non deve far paura, bensì deve ispirare fiducia e amore. Essa può ispirare un coraggio teso a tentativi nei quali anche i vecchi possono trovare la primaverile passione della loro giovinezza. Chi si restringe a coloro che vanno a lui, può finire in esigua e persino meschina compagnia. – Dopo una notte di lavoro insonne ed infruttuoso, Pietro il pescatore si lamentava col Signore di non aver preso neppure un pesce. Gesù diede a lui e a tutti i secoli il grande ordine: «Duc in altum» (Lc. V,4), va al largo. Pietro, ad andare al largo, ci guadagnò l’avventura di una pesca la più fruttuosa (miracolosamente) che si potesse pensare. Ma il fatto era pure un simbolo. Noi abbiamo applicato ed applichiamo tuttavia, umilmente sempre, questo ordine del Salvatore di andare al largo e potremmo, di oltre trent’anni, scrivere volumi sulla fecondità dell’«andare al largo». – Parliamo ora della «metodologia» verso i «lontani». E qui che troviamo la giustificazione al fatto di trattare l’argomento in una lettera sulla «ortodossia». Infatti il metodo deve ispirarsi a concetti giusti e deve evitare indirizzi erronei. Abbiamo conosciuto persone che hanno svisato se stessi, seguendo, in un apostolato per i «lontani», direttive e idee sbagliate. L’argomento è del massimo interesse, anche perché pensiamo che dopo il Concilio esso entrerà in una più universale ed attenta considerazione [questo naturalmente in chiave ironica! –ndr. -]. – Riassumiamo le riflessioni che ci paiono fondamentali.
— La visione soprannaturale. Per essa si vedono cogli occhi della fede (continuamente esercitata): le anime, il sangue di Cristo versato per ognuna di esse, il Padre che attende ognuno sulla «soglia di casa» e che muove tutto colla sua grazia dentro ognuno (grazia interna) e dal di fuori di ognuno (grazia esterna), la Provvidenza che nel governo del nostro mondo tende supernamente a realizzare il Regno di Dio e si serve di tutto in tutta la Storia. Questa visione rassicura, incoraggia, arma; rende intraprendenti, suggerisce risorse, infonde perseveranze inaudite. Nessuno pensi che questa visione, necessaria alla partenza e a tutto il decorso della azione pastorale ed apostolica, possa resistere senza una adeguata vita di preghiera. Questa visione soprannaturale è l’abolizione della paura e dei complessi di inferiorità, dà il passo del legionario vincitore, libera dalla complicata e miserella casistica dei «sé» e delle ipersensibilità psicologiche; aiuta ad uscire dai difetti di temperamento, primo fra tutti la timidezza. Questa visione fa incontrare la grande parrocchia, dove è parroco Dio stesso e dove si vedono i balzi dal vizio al chiostro, dalla diffidenza alla dedizione eroica, dalla insignificanza al rilievo. Dio vi lavorò in un modo ineffabile! Insomma per questa battuta bisogna partire con la coscienza che non si è soli!
– Diffidare del piacere umano, credere solo al dovere. Il piacere o, se volete, la umana soddisfazione che si può provare facendo del bene, finisce col tenerci prigionieri; il dovere ci fa liberi. Ad ispirare apostolato dei lontani non può essere insomma la propria esibizione, la personale conquista, il fascino da offrire agli altri con la propria intuizione e scioltezza, l’esercitazione di una ginnastica d’avventura, deve essere solo il servizio di Dio. Così si dà agli altri la sensazione del distacco da un interesse terreno, ed è proprio il distacco a costituire il primo umano mezzo di convinzione per chi è lontano dalla pratica religiosa. Se c’è difficoltà a capire un ragionamento, la difficoltà è certamente e notevolmente minore per capire il distacco di un uomo da interessi terreni e una sua vera levatura morale.
– La verità netta, la procedura intelligente e, occorrendo, graduale. Infatti è sempre negativo l’effetto di chi si presenta nascondendo, manipolando, minimizzando qualcosa. Nei rapporti d’anima, e tutti lo capiscono, la sincerità siede regina. Guai ad offenderla.
– La dimostrazione di serena fiducia, di affettuosa attesa. Si comincia col fare il bilancio del bene. Poi, se sarà necessario, si farà nello del male.
– Passare attraverso tutti gli onesti incontri e rapporti umani, senza mai arenarsi a quelli. La strumentazione di questo umano incontro va all’infinito ed è variabile sempre; quello che importa è non scambiare lo strumento con lo scopo: lo strumento è sempre e solo un passaggio. A questo fine, la amicizia è una salita, non un piano di riposo. Molte conquiste sono impedite dalla dimenticanza di questa regola fondamentale. Dunque (una volta chiaro il criterio): strumentazione larga! Attenti, che è in sede di scelta di strumenti che si corrono i rischi maggiori di dirottamenti dalla via giusta, di complessi di inferiorità, pleonasmi, inutili a tutti e dannosi a chi li inventa. Noi pensiamo ai casi, incontrati nella nostra vita, in cui il banditore rimase egli stesso fuori della porta! Tra gli strumenti ci stanno tecniche e metodologie, anche eccellenti se usate al loro posto, tenendo fermo che nessuna tecnica sostituisce i basilari elementi coi quali si fa per volontà di Cristo l’apostolato. Quegli elementi basilari possono sostituire tutte le tecniche. Dovendosi scegliere si sa a che cosa dare la preferenza. – Non occorre qui se ne faccia un esame analitico, perché ad indicarvi quello che va e quello che non va c’è l’attenzione ordinaria delle autorità. Qui occorrono i criteri limpidi. Forse, però, non è inutile esemplificare un caso concreto. Oggi le adunanze amichevoli sotto un certo aspetto private – è il caso di Rinascita, delle Domus Christianae etc. — sono un mezzo facile di incontro. Anzi riteniamo che senza mezzi di questo tipo, in una normale parrocchia di città, non si arriverà mai da parte dei parroci a compiere tutto il dovere catechistico che a loro incombe. Però sarà sempre grave la questione del sacerdote che deve fare in tali incontri la sua parte; sia perché deve essere intellettualmente ferrato, sia, soprattutto, perché, trovandosi in facile posizione di esibirsi, di essere ammirato e seguito, ne può patire danno il suo spirituale equilibrio. Bisogna lasciare il posto a Dio solo, per camminare senza inciampi. – Nel disporre la azione pastorale verso i lontani, occorre evitare taluni notevoli errori di impostazione anzitutto mentale e poi di metodo. Ripetiamo: è questo il punto che giustifica la trattazione nella presente lettera. Prima di enumerarveli, evitiamo un equivoco. In qualunque metodologia ogni uomo entra colla sua personalità tipica, col suo temperamento, colla sua capacità, colla sua arte. Deve essere così, perché nella unità la varietà è principio della stessa natura creata. Lungi da noi pertanto il lasciare anche solo supporre che si intenda annullare questa legittima libertà. Noi parliamo solo di principi generali, ben fermi e documentati.
– È errore credere che per avvicinare i lontani si debba assumere una patina mondana o comunque scanzonata e spregiudicata. Su tutto il nostro agire pendono sempre due chiare direttive date da Gesù Cristo: «Vos estis in mundo… sed non estis de mundo»
(Gv. XIV,17). «Videant opera vestra bona et glorifìcent Patrem vestrum…» (Mt. V,16). Dunque: niente di comune col mondo e «da esibire», scegliamo le opere buone in se stesse, quelle che Gesù Cristo giudicherebbe buone; non le opere inutili, incoerenti col proprio sacro carattere, pantomimiche, sciocche, svenevoli. Non si nega che tutte queste cose possano fare degli amministratori e dare soddisfazioni a chi usa strumenti mondani. Ma questi lavorerebbero per se stessi e non per Dio. Avrebbero i seguaci, la ammirazione, la cosiddetta opinione pubblica favorevole, prenderebbero persino il ruolo di «divi» (ne abbiamo conosciuti), ma non sarebbero né apostoli, né veri sacerdoti. Molta gente ha in un primo momento il piacere di aver contatti con ecclesiastici che si avvicinino più ai loro difetti e che, parteggiandoli, in fin dei conti li scusino, emulandoli li piaggino. Certo! Ma questa gente rientra pure in se stessa e finisce sempre col provare una gioia amara ed una disillusione: il prete lo vogliono prete. La esperienza ormai lunga ci dice che quanto più sono lontani, tanto più il prete lo vogliono prete. Ci sono molti vicini che, ben provveduti spiritualmente (se pur è sempre così!), sono disposti a concedere largheggiando col contegno dei propri sacerdoti. Costoro non fanno un buon servizio. Sarà bene che chi si trova nella situazione di cui trattiamo, pensi sempre non a quello che gli concedono i vicini, ma a quello che con sacrosanto diritto esigono da lui i lontani. Non diciamo la mondanità, ma le sue stesse più innocenti lustre esterne diventano ripugnanti per i moltissimi che dal «non uso» hanno tratto in fin dei conti un alto concetto del sacerdozio (anche se questo pare un controsenso, e non lo è perché è regola generale si stimi di più quello che non si ha, sull’altro!) allo stesso modo che onesti, ma incongrui segni di affetto possono sembrare addirittura sacrileghi. – Leggete dunque bene il Vangelo ed osservate se Cristo ha fatto qualcosa per mettersi al livello della mondanità del suo tempo!
– E errore credere che per avvicinare i lontani si debba accettare un confronto ed un contegno che annulli, anche solo formalmente, la sacra ed indistruttibile differenza tra chi è consacrato con l’Ordine e chi non lo è. Il sacramento dell’Ordine è il segreto di tutto nei pastori, è di esso che tutti hanno la profonda anche se spesso incosciente percezione e l’istintivo rispetto. Non si commetta l’errore di laicizzarci di fronte a gente che non ha bisogno di noi altro che per il sacramento scolpito in noi e per la missione avuta da Cristo. Di compagnoni, di divertenti, di interessanti, di bellimbusti ne hanno di meglio altrove. E non illudiamoci quando i meno provveduti fanno le mostre di ammirarci per cose che non sono né il sacramento dell’Ordine, né il mandato evangelico. È il caso di mettersi all’erta. A fare il Diogene, il grossolano, l’imitatore, il rinunciatario, il proletario (prendendo il termine nel senso deteriore e relativo alla educazione), ci si guadagna nulla e tanto meno ci si guadagna in estimazione produttiva ai fini dell’apostolato. Si dà spettacolo, e forse si dà spettacolo di visibile ingenuità. Ciascuno rimanga se stesso.
– E errore credere che per avvicinare i lontani si debba modificare qualcosa nella nostra fede e si debba dare a taluni punti altra interpretazione e dimensione. In tal caso saremmo addirittura su una strada ereticale. Ma l’errore ci sarebbe anche a dare versioni edulcorate e infiacchite di quello che nostro Signore ha lasciato alla sua Chiesa. Qualunque lontano sa che per avvicinarsi a Cristo bisogna fare dei sacrifici coraggiosi ed arrivare ad accettazioni energiche. Ci diceva il capo di una comunità protestante: «il disagio dei nostri è nel non avere punti fermi ed un magistero indiscutibile. I migliori, quelli che si pongono seriamente il loro problema religioso, cercano quello. Guai a toccarlo». Il degno uomo che ci diceva questo fa il suo esperimento religioso ogni anno su non meno di diecimila suoi correligionari. Nella nostra lunga esperienza in proposito abbiamo sempre constatato che la stessa angolosità apparente delle verità serve. Insomma: chi si muove, non si muove per poco.
— E errore ritenere che per avvicinare i lontani si debbano rilassare le briglie della morale. Non diremo che si debbano stringere più di quello che le ha strette sempre la sana accettata dottrina. Un metodo che coltivasse una simile illusione oltre l’inganno otterrebbe un successo minore, perché la vera sete interiore delle anime, la grande attrattiva è in loro verso ideali seri e più alti di loro. Il mimetismo viene bene nelle azioni tattiche di guerra, ma nel caso nostro non serve che a raccogliere sfiducia, disistima e persino disprezzo, da parte di quelli che, dopo un giudizio di inadeguatezza delle cose umane, domandano assistenza per ritrovare una solida piattaforma al piano divino. Per andare verso i lontani non bisogna partire da una disistima degli uomini, quasi che essi non possano essere capaci d’altro che di sopportare pietose bugie. Non è sull’attenuazione della legge che occorre puntare, ma su una emancipazione da linguaggi triti e formalistici, da atteggiamenti e risorse pietistiche, insincere ed artificiali, da manifestazioni interessate, da stile untuoso, da inscenature prive di convinzione, da spettacoli di debolezza propri di uomini troppo comuni. – Si osservi come molti diventano «lontani». Alle prime grandi tentazioni non hanno chi li sorregga. Quelli che sono stati avviati da una seria direzione spirituale hanno chi li sorregge. Altri ascoltano discorsi, leggono smontature e falsità e non hanno chi li riporti ad un senso critico, a risposte chiarificatrici e sufficienti. Altri sono presi nel gorgo di passioni divoratrici, di seduzioni. Altri, forse i più, mancano semplicemente di cibo spirituale e a forza di anemia sono portati alla deriva, anche non avendone una precisa coscienza. La «lontananza» comincia da qualcosa in cui noi ministri di Dio abbiamo spesso la nostra parte di negligenza colpevole. Ad ogni modo l’argomento sul come nascono le «lontananze» è tale che dovrà essere da noi ripreso. – Il ricupero dei lontani è il problema di fondo di tutta la pastorale, se si avverte che lo stato di fatto nei rapporti col mondo è di lotta accanita. Esso ha messo in opera tutto per spegnere la fede, perché gli uomini non pensino e siano suoi facili e docili strumenti, perché la materializzazione meccanica della vita arrivi a costituire od a sostituire una sorta di determinismo meccanico. Infatti il protestantesimo del XVI secolo indusse il determinismo teologico; a tappe la cosiddetta Riforma, sfuggita di mano agli stessi Protestanti, è arrivata a dare il determinismo meccanico: «gli uomini guidati dalla macchina loro creatura». In questo stato di cose – autorizzata la amoralità, quando non è oggetto di codice penale, con palese contraddizione – la battaglia è su tutto il fronte. O c’è una pastorale vitale sul modello di Cristo o le file dei lontani sono destinate ad ingrossarsi paurosamente. Ed è quello che bisogna evitare in ogni modo.
L’ideale della Chiesa
Il Concilio Vaticano II ha fatto di taluni punti pertinenti alla dottrina della Chiesa un oggetto fondamentale [ma invertendoli completamente! … questo Gregorio XVII non lo poteva scrivere! –ndr. -]. Poiché questo è derivato e dalla logica del Vaticano I e da un afflato dei Vescovi, se ne deve dedurre che la considerazione della Chiesa è impegno ed ideale sentito. – Il mondo, a modo suo, porta alla stessa conclusione; perché presta attenzione alla Chiesa; perché è sensibilissimo – cristiano e non cristiano, cattolico e non cattolico — alla presenza e funzione della Chiesa Romana. Negli ultimi tempi è significativo che tale attenzione sia rilevata, soprattutto e senza confronti per fatti similari, in occasione della morte di Papi e di elezione di Papi. Il che riguarda la Chiesa perché Romana. Si direbbe che esso, il mondo, più che in posizione di antitesi, ad onta delle sue colpe (delle quali si è parlato sopra), sia in verità in una segreta posizione di attesa. I segni non mancano. E infatti, portato ormai a considerazioni abituali sul piano mondiale, di organizzazione che si levi con unitaria imponenza spirituale, convinzione, realtà e fiamma interiore, non trova che la Chiesa cattolica apostolica romana. Forse, da questa attenzione prestata dall’esterno, noi siamo portati a considerare la Chiesa in se stessa e per se stessa un ideale. Quelli tra noi che sono, si può dire, nati colla loro vocazione, che sono fioriti sempre e solo all’ombra nella Chiesa e non hanno vissuto che pensando e volendo nei suoi termini [come il Cardinal Siri, poi dal 26 ottobre 1958 Gregorio XVII – ndr. -], non trovano nulla di strano in questo, essendo diventato per ero una seconda natura. Tuttavia l’ideale della Chiesa in un mondo che si sente monco per il suo unilaterale materialismo è cosa da considerarsi; non certo per trovare novità, ma per apprezzare e vivere il mistero del più singolare avvenimento nella vita associata umana. Noi scriviamo di questo, sia per rispondere ad una esigenza che è nei fatti; sia perché questo senso della Chiesa è potente e risolutivo fondamento della disciplina ecclesiastica e dello spirito di obbedienza; sia perché è opportuno assicurare alle formulazioni una piena esattezza dottrinale. – Intenzionalmente, invece di parlare di «piano costituzionale della Chiesa», noi parliamo di «mistero» della Chiesa ed usiamo questo termine perché il «mistero» ci porta non solo a vedere delle proposizioni di teologia come solitamente si enunciano, ma accusa delle proporzioni, delle rispondenze, dei ritmi i quali avviano ad intuire la realtà posta «oltre», e cioè il «mistero». Ecco una serie di enunciati che permettono o facilitano la percezione di tali proporzioni, ritmi, rispondenze. – Dio è vicino per presenza, essenza, potenza alle sue creature; la Provvidenza è un aspetto di questa sublime realtà. Questo è il dato fondamentale di tutto: la vicinanza di Dio alla creatura, all’uomo ed a quello che lo riguarda. Il dato (anche se non ci fosse rivelato espressamente), se si tien conto della necessità che ha la creatura del Creatore e della nessuna necessità che il Creatore ha della creatura, finisce coll’essere espressivo di un amore eterno sotto il cui calore si dipana la storia di tutte le cose. La elevazione all’ordine soprannaturale dilaterà oltre ogni misura da noi concepibile il dato di questa «vicinanza»; ma resterà nella linea di essa. La stessa elevazione non può capirsi che nella luce della verità ora enunciata. La cosa ha tale importanza che l’intelligenza degli illuministi ha cominciato di lì a demolire (in vano tentativo) il prestigio di Dio, confinandolo nella dignità di un sovrano, ma sovrano costituzionale, lontano dagli uomini e troppo grande per occuparsi minutamente delle sue creature. Tutto va posto sullo sfondo di quella «comunità divina». La «vicinanza o presenza» di Dio alle sue creature è indipendente in se stessa dal loro modo di essere, ossia dalla loro natura. Questo è ovvio; perché diversamente Dio non sarebbe più Dio. Ma l’effetto di essa nelle creature avviene secondo la loro natura anche quando la eleva. Ciò perché la «natura» delle cose rappresenta anzitutto un «ordine» di eterna sapienza e perché stabilisce la loro possibilità recettiva anche solo potenziale. E così che nel ritmo si incontra questa grande parola fondamentale e la corrispondente realtà: «Natura». – Tutte le cose che seguono correranno sempre su questi due parametri con stupendi sviluppi: vicinanza intima di Dio, natura delle cose e dell’uomo. Ma l’una e l’altra realtà non possono separarsi. – Con l’elevazione all’ordine soprannaturale, la presenza di Dio alla sua creatura acquista qualcosa di ineffabilmente nuovo. Dovunque, a studiarlo bene si troverà nell’uomo il riflesso del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Taluni elementi nel piano naturale appaiono predisposti, perché l’uomo abbia ad intendere qualcosa della superiore realtà in cui viene immesso dalla Rivelazione. Questo accade, ad esempio, coll’ordine del «relativo» nel creato, che serve da chiave per poter entrare umilmente nella analogica conoscenza del dogma trinitario. – Ma, accanto ai riflessi di una realtà soprannaturale, o superiore alla natura, perseverano le modanature richieste, in questa nuova intima vicinanza, dalla natura dell’uomo. Si comincia a vedere una «dualità» della quale troveremo tra poco una impressionante conferma. Infatti la natura umana è composta di anima e di corpo. Si capisce perché, di questa unione sostanziale, si sia occupato con fervore il Concilio ecumenico di Vienne: creature superiori spirituali creature inferiori materiali, mondo celeste e mondo terrestre si uniscono nell’uomo che acquista la caratteristica del «ponte». I ponti avvicinano e, per il fatto del corpo materiale, l’uomo non solo è legato fisicamente a tutti gli uomini (la generazione vi provvede), porta in sé una materia che perennemente ruota, che appartiene a innumerevoli esseri successivi, che ritornerà certamente ad essere solo la sua, quella da cui si distaccherà morendo e colla quale, identica, risorgerà. Anche lui è presente a questo modo a tutti i tempi della creazione, come sta documentando la scienza genetica. Ecco come l’uomo entra nel cosmo, senza alcun bisogno, come qualcuno ha fatto, di alterare la fisionomia della verità di Cristo. Alla materia è unita l’anima, la quale è in qualche modo condizionata dalla materia. Questo condizionamento ha sempre urtato le gnosi di tutti i tempi, e le gnosi sono andate per questo fuori della realtà: la spiritualità deve accettarlo e farlo sorgente di merito, non deve rinnegarlo, o pretendere non esista. L’uomo, costituito di anima e di corpo, è per natura sociale e tende alla famiglia, e la famiglia tende alla comunità maggiore. – Quando, realizzando la Redenzione per riportare la famiglia umana alla perduta dignità e speranza, Dio volle attuare una presenza più intima tra gli uomini passò – ecco la unità del coerente disegno – attraverso il tratteggio della umana natura. Per la Incarnazione, il Figlio di Dio prese una natura umana come la nostra, ebbe un corpo ed un’anima, ebbe natura umana e natura divina. Non restò così tra gli uomini, ma dando a tutto la impronta del divino ed umano in perfetto ritmo, passò attraverso gli altri divenendo sociale: costituì la Chiesa! La Chiesa o Regno di Dio abbraccia il cielo e la terra. In terra coincide colla Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica può essere raggiunta anche col martirio e col votum baptismi. Il disegno soprannaturale di Dio ha camminato su linee segnate dalla natura. – La Incarnazione del Verbo diventa tipo di tutto. Le due nature sono il testo sul quale si stende il fatto divino, mantenendo di questo una analogia impressionante nel ritmo. La Chiesa ha un elemento divino ed un elemento umano. Come in Cristo la natura divina non altera la natura umana e la natura umana non condiziona quella divina, così nella Chiesa. L’umanità vi è piena e può arrivare nei singoli al peccato, nei molti al difetto, all’avventura ed alla sofferenza. Ma nulla è toccato della istituzione divina. La libertà resta intatta agli individui ed alla storia. L’umanità porta con sé tutto il suo patrimonio e la sua possibile zavorra: nessuno può scandalizzarsene. Nel suo elemento di costituzione divina la Chiesa è disegnata con elementi anche noti all’esperienza umana, per quanto arricchiti di soprannaturale realtà, capacità, garanzia nonché di soprannaturali collegamenti. La costruzione della società, l’autorità, gli strumenti della autorità sono analogici a realtà terrene. Si noti bene che diciamo «analogici». La società terrena ha una comunità, una autorità centrale, ed ha società minori che sono derivanti non da diritto positivo, bensì da quello naturale: come è la famiglia che. vivendo di suo diritto inalienabile, è tuttavia subordinata alla comunità. Nella Chiesa noi abbiamo qualcosa di analogo. Le singole famiglie, le Chiese particolari poggiano sul diritto divino, e tuttavia i Vescovi loro capi, non meno delle stesse Chiese particolari, sono soggetti alla Chiesa Romana, che è quanto dire al Romano Pontefice. – Il disegno continua con lo stesso ritmo. Il Sacrificio e i sacramenti sono costituiti sempre intervenendo un elemento sensibile ed un elemento divino. La «dualità» è la misteriosa articolazione per cui tutto resta intatto alla dignità divina, tutto resta intatto alla funzione umana. La stessa Chiesa ha un’operazione ed una realtà esterna e giuridica (è società necessaria alla salvezza); ma oltre all’espressione esterna ne ha una interna: si parla infatti di appartenenza al corpo e all’anima della Chiesa. Su questa articolazione si allarga la porta del Regno di Dio, che ha una vita visibile e ne ha una invisibile, sotterranea, mirabile. – Qui occorre ritornare per un istante al punto di partenza: la presenza e la intima relazione che c’è tra le cose create e l’Increato. Nell’articolazione della «dualità» di cui si è parlato sopra, si ha la comunicazione della vita divina, la filiazione adottiva a Dio. La vita divina si dilata a tutti coloro che ne hanno i l principio e ne rispettano la legge. Ma coloro che stanno nella Chiesa acquistano una fecondità da tutti gli altri attraverso la riversibilità dei meriti. Nella comunità divina, nella grazia, nella comunicazione dei meriti per connessione a Cristo, Dio e uomo, dal cielo e dalla terra si realizza la comunione dei Santi, il Corpo Mistico di Cristo stesso. – Il Corpo Mistico sta di fronte al mondo, che corre sulla sua grande traiettoria del tempo, dello spazio, delle mutazioni. Il mondo è non solo il piccolo sfondo del grande dramma ma, constando e delle cose e degli uomini, e avendo con sé scritta la tavola della legge naturale divina, è il terreno di radicazione dello stesso dramma, il quale di quella legge ha rispettato ed impiegato le linee. Questa e non altra è la funzione cosmica rispetto a Cristo e la funzione di Cristo rispetto al cosmo, che non può andare oltre perché il cosmo è sempre ristretto nei limiti quantitativi della sua struttura. – Nel mondo e nel cosmo, la parte principale non si chiama storia delle variazioni, ma storia delle azioni degli uomini. Sì, la storia del genere umano è più grande del cosmo, e non è il caso di mettere in vergogna questa dinnanzi a quello; perché quello è solo l’ambiente ed il terreno di radicazione di questa. Anche qui il ritmo continua: la vita del cosmo non inibisce la storia del Regno di Dio che, almeno in questo ordine, ne è causa finale. Il Regno di Dio non inibisce nulla del ritmo e della libertà della storia. Influisce, certo, per amplificare i poteri di quella libertà e di quella ricchezza. – Tutte le parole che abbiamo detto, che si collegano l’una all’altra, che si riprendono in ritmo perfetto attraverso tutti gli sviluppi, hanno dietro di sé verità e realtà che si perdono all’infinito. I miracoli, la santità, l’esperienza mistica, la temerarietà delle esperienze, dalle quali solo la Chiesa esce viva, sono, come sul Tabor, piccoli sprazzi di luce rivelatrice di ben più alta grandezza. Si intravvede qualcosa oltre il disegno, si ha la certezza che esso radica all’infinito, se ne mutua lo stupore per la unità e l’articolazione, per la inalterata coerenza del ritmo; ma, ad un certo momento, si sa che la realtà continua e l’intelligenza si arresta. E il punto ove si incontra veramente il mistero. – Il mistero della Chiesa deve apparire e nella sua completezza e nell’inserzione dalla quale supera le nostre prospettive. I concetti meramente giuridici sono veri e necessari, ma solo particolari di un tutto. Dio, che solo causa senza restringere il potenziale dell’effetto creato, ha messo «dualità anche nel nostro ordine». Mondo e corpo mistico procedono di pari passo senza che sia diminuito nulla di nessuno. Come quando il Verbo entrando nel mondo lasciò vergine la Madre sua e come quando entrando nel cenacolo il giorno della Resurrezione non ebbe bisogno di aprire le porte. Così si dispiega lo stile di Dio dagli infiniti richiami in esattezza ritmica su tutti i punti della Rivelazione divina. Niente di nuovo. Ma la Chiesa bisogna abituarsi a vederla così. Se il mondo oggi ha orizzonti più ampi è anche perché noi siamo spinti dai limiti dilatati del suo paesaggio a meglio abbracciare la solennità divina del fatto che ospita. Ecco come la Chiesa diventa ideale; senza aver paura di nulla, senza mutare nulla, dando alle azioni degli uomini umili e grandi una aumentabile dimensione. Essa porta con sé il vero, unico, grande ideale della avventura umana. E per questo che sono fortunati i chiamati all’altare. Ecco perché diventano singolarmente venerabili i portatori di Cristo nel sacramento dell’Ordine, circonfusi di spirituale decoro i vescovi, di unica maestà il romano Pontefice. – Ecco perché l’arte ed il gusto non sono mai menzogneri quando, alle cose e persone di venerando decoro, di spirituale autorità, di rappresentativa maestà, prestano la loro grazia, il loro potere espressivo, il loro dignitoso commento, aiuto per la comprensione dei pellegrini in terra, modulazione d’un canto a cui solo l’eternità risponde. La Chiesa si staglia sul cosmo e non è serva del cosmo. Gli uomini, redenti da Cristo e liberi per Cristo, non hanno alcun motivo di lasciarsi impressionare dalla grandezza quantitativa del cosmo. Il mistero della Chiesa è anche il mistero della sua indipendenza dal cosmo: della sua superiorità rispetto ai confini di quello.
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