IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIII)

CATECHISMO POPOLARE O CATTOLICO SCRITTO SECONDO LE REGOLE DELLA PEDAGOGIA PER LE ESIGENZE DELL’ETÀ MODERNA

DI

FRANCESCO SPIRAGO

Professore presso il Seminario Imperiale e Reale di Praga.

Trad. fatta sulla quinta edizione tedesca da Don. Pio FRANCH Sacerdote trentino.

Trento, Tip. Del Comitato diocesano.

N. H. Trento, 24 ott. 1909, B. Bazzoli, cens. Eccl.

Imprimatur Trento 22 ott. 1909, Fr. Oberauzer Vic. G.le.

SECONDA PARTE DEL CATECHISMO:

MORALE (14).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca, ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; …

ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà. Lo Stato non è il proprietario sovrano della proprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale. Non i cittadini esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno. Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

1 . Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, la.estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui.

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno? – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di produrre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

VII COMANDAMENTO.

1. CON IL 7° COMANDAMENTO DIO CI PROIBISCE DI DANNEGGIARE LA PROPRIETÀ DEL NOSTRO PROSSIMO.

La proprietà è tutto ciò che un uomo ha giustamente acquisito per mantenere la propria vita: denaro, cibo, vestiti, abitazioni, campi, diritti d’uso, ecc.

I. Il diritto di proprietà.

1. Ogni uomo ha il diritto di acquisire la proprietà personale. Egli è obbligato a provvedere a se stesso in caso di vecchiaia, infortunio o morte; ai bisogni della sua famiglia. Senza la proprietà personale, la situazione dell’uomo sarebbe assolutamente intollerabile: sarebbe un regno di discordia e di pigrizia che non cercherebbe nessun nessun progresso, nessuna invenzione. Sarebbe inoltre ingiusto togliere all’uomo ciò che ha risparmiato o prodotto con il sudore della sua fronte.

Inoltre, Dio vuole che l’uomo sia in grado di possedere una proprietà, dal momento che gli ha dato il settimo comandamento per proteggerla. Già in Paradiso Dio.disse all’uomo: “Riempite la terra e soggiogatela” (Gen. I, 28). Troviamo la proprietà anche in Caino e Abele: ognuno possedeva beni diversi e ne disponeva a piacimento per il sacrificio. Tutte le tradizioni della più remota antichità menzionano il diritto di proprietà, le leggi che lo tutelano ed una procedura per i casi di controversia. Dal momento che l’uomo ha un diritto naturale all’autoconservazione, deve anche avere il diritto di acquisire e possedere i beni esterni necessari alla sua esistenza. E se questo diritto fosse limitato in ogni momento, particolare, l’uomo cadrebbe in estrema povertà in caso di malattia o di incidente. Il diritto naturale lo spinge a provvedere a questi casi. L’uomo è anche obbligato a provvedere alla sua famiglia; e questo sarebbe assolutamente impossibile se il diritto di acquistare e disporre della proprietà fosse solo transitorio. La stessa salvezza eterna sarebbe impossibile se l’uomo fosse obbligato ad occuparsi in ogni momento della sua esistenza terrena. – Dopo la caduta, il diritto di proprietà divenne ancora più necessario a causa delle passioni umane, che avrebbero completamente distrutto l’armonia della razza umana. Ancora oggi vediamo fratelli con fratelli litigare per la divisione della proprietà, o i vicini per l’uso di un pozzo, cosa sarebbe se, essendo tutte le proprietà in comune, ci fosse ogni momento bisogno di rivendicarle? (Mons. Ketteler). Senza proprietà, non c’è alcun incentivo al lavoro. La proprietà è quindi una questione di diritto naturale tanto quanto il matrimonio e l’autorità. Non si può dire, però, che tuttavia, Dio abbia voluto la divisione della proprietà così come esiste in una determinata epoca ad esempio la nostra: Dio non può volere che una parte dell’umanità viva in uno stato di scandalosa opulenza, mentre la maggior parte dei suoi figli soffre l’estrema povertà. Questa eccessiva disuguaglianza può derivare solo da un principio malvagio, il peccato.

2. I modi giusti di acquisire la proprietà sono il lavoro, l’acquisto, il dono e l’eredità.

Per legge naturale, nessun uomo ha diritto a determinati beni, egli deve prima acquisirli. Il primo modo per acquisire la proprietà è il lavoro. Dio ha disposto le cose in modo tale che la terra produca i beni necessari per l’esistenza solo se viene lavorata. Togliere alla persona che lavora la terra ciò che ha fatto produrre alla terra con il sudore della fronte, sarebbe contro ogni giustizia. (Leone Xlll). Se la terra ed i suoi abitanti sono chiamati proprietà di Dio (Sal. XXIII, 1), perché sono il frutto delle sue mani, anche il lavoro dell’uomo deve essere di sua proprietà. “Il frutto del lavoro è proprietà legittima di chi l’ha fatto” (Leone XIII); esso è quindi generalmente solo il risultato di un duro lavoro. – La proprietà può anche essere acquisita per dono. Così Dio diede ad Abramo ed ai suoi discendenti la terra di Canaan (Gen. XII, 7), che i Patriarchi passarono in proprietà al figlio maggiore con una solenne benedizione. L’usanza di fare donazioni e di fare testamento è sopravvissuta da tempo immemorabile. Chiunque abbia una fortuna deve fare testamento in tempo, per evitare controversie in caso di morte improvvisa. Chi trascura questa precauzione la espierà nella vita futura. – In passato si acquisivano proprietà anche con la semplice occupazione di un bene che non apparteneva ancora a nessuno; è così anche oggi. Chiunque trovi pietre preziose, perle, ecc. su cui nessuno ha diritto, ne diventa proprietario, così come i posti a sedere in un teatro, in una carrozza o in un ristorante appartengono al primo occupante. – Chiunque acquisisca una proprietà ingiustamente con furto o frode è obbligato a restituirla.

3. Lo Stato stesso non ha il diritto di interferire con la proprietà privata; ha però il diritto, per ragioni di interesse generale, di emanare leggi che regolino l’acquisto e l’uso della proprietà.

Lo Stato non è il proprietario sovranodellaproprietà. Ha solo un diritto di supervisione, ma non il diritto di disporre della proprietà personale.

Non i cittadini non esistono per lo Stato, ma lo Stato per i cittadini. Non deve perciò ledere i soggetti, ma al contrario procurare il vantaggio per ognuno.

Quando lo Stato costringe i cittadini a consegnargli i loro beni, cioè quando li espropria nell’interesse pubblico, è obbligato a risarcirli. Lo Stato ha altrettanto poco diritto di confiscare e secolarizzare i beni della Chiesa; sarebbe un’ingiustizia clamorosa. Derubare un uomo è un furto, derubare la Chiesa è un sacrilegio. (S. Ger.). La Chiesa colpisce con la scomunica tutti coloro che attaccano i beni ecclesiastici, e il Papa li solleva solo quando li hanno restituiti (Conc. Tr. 22, 11). – Ma come lo Stato, gli organi della società sono istituiti da Dio per il bene comune, ed hanno il diritto di fare leggi che favoriscano una più equa distribuzione della ricchezza per l’avvenire. Nella nostra epoca la ricchezza si concentra sempre di più nelle mani di pochi, mentre la massa di proletari aumenta di giorno in giorno. Nel Parlamento inglese si constatò nel 1895 che quasi 4 milioni di persone appartenenti alla classe operaia erano indigenti, senza contare i miserabili tra i domestici, gli impiegati, artigiani, ecc. Altri Paesi si trovano nella stessa situazione deplorevole, e non si può negare allo Stato il diritto o il dovere di porvi rimedio. – Lo Stato può anche imporre ai suoi sudditi, nella misura in cui possono, i contributi necessari per il bene comune; può anche aumentare le tasse sul capitale superfluo per provvedere alla miseria pubblica, e questo è giusto, perché la protezione di questo capitale richiede anche maggiori sacrifici. Ma c’è anche un’altra ragione. I beni temporali hanno come destinazione la preservazione della vita umana, e la loro destinazione non cambia col fatto che siano già stati condivisi, ed è per questo che ognuno è obbligato a usare il suo suprrfluo per aiutare chi è nel bisogno. (S. Th. Aq.). Il superfluo dei ricchi è la riserva dei poveri; e conservare il superfluo, dice Sant’Agostino, è conservare il bene degli altri. Lo Stato, che ha il diritto di sovranità sulla proprietà, può dunque obbligare i suoi sudditi ad un giusto uso del loro superfluo.

II. Peccati contro il 7° Comandamento.

Il 7° COMANDAMENTO PROIBISCE IN PARTICOLARE:

.1. IL FURTO, LA RAPINA, LA FRODE, L’USURA, IL DANNEGGIAMENTO DELLA PROPRIETÀ ALTRUI, TRATTENERE BENI TROVATI O DEPOSITATI. IL TRASCURARE DI PAGARE I PROPRI DEBITI.

.1. Il furto o latrocinio è la sottrazione segreta di un oggetto contro la ragionevole volontà del suo proprietario.

La gazza, che ruba e poi nasconde tutti gli oggetti luccicanti, è l’immagine del ladro.

Giuda era un ladro; portava la borsa e ne prendeva il denaro (S. Giovanni XII, 6). Nessun peccato è così comune come il furto, da un lato perché gli uomini sono molto avidi e invidiosi, dall’altro perché l’occasione è eccessivamente frequente (S. Giov. Cris.), e l’occasione fa il ladro. Tuttavia, l’estrema necessità, cioè quella che mette in pericolo di morte, libera dal peccato la persona che ruba per salvare la propria vita, e che è pronto a restituire quando ha i mezzi per farlo (Prov. VI, 30); l’opposizione del proprietario in tal caso non sarebbe ragionevole. È per questo che Cristo ha scusato i suoi Apostoli, che per placare la loro fame, presero alcune spighe di segale da un campo (S. Matth. XII, 1). La stessa ragione spiega perché non sarebbe un peccato sottrarre l’arma a qualcuno che vuole suicidarsi, a meno che non si intenda tenerla. – È un furto anche chiedere l’elemosina senza necessità. – Lo stesso vale per l’acquisto e la ricettazione di beni rubati. Chi riceve vale quanto il ladro.

2. La rapina è la sottrazione violenta di beni altrui..

La rapina è molto spesso accompagnata da omicidio o lesioni. Questo fu il crimine commesso contro il viaggiatore della parabola che andava da Gerusalemme a Gerico. (Luca X, 30). Il ricatto è un tipo di rapina.

3. La frode consiste nell’utilizzare uno stratagemma per ingannare il prossimo nei contratti.

Questo peccato si commette utilizzando misure o pesi falsi, falsificando derrate alimentari (peccato contro il 5° Comandamento), documenti, emettendo denaro falso, cambiando i punti di riferimento, contrabbandando, incendiando la propria casa per riscuotere l’assicurazione, ecc. Ma è volontà di Dio che nessuno inganni il proprio fratello nel commercio. (1 Tess. IV, 6).

4. L’usura consiste nell’approfittare delle necessità del prossimo. (Es. XXII, 25).

L’usura è la pratica di far pagare interessi illegali su un prestito di denaro. L’usura si chiama accaparramento quando si comprano beni per creare un’artificiale carenza e rivenderli quando i prezzi sono aumentati (Prov. XI, 26). Con una mano l’usuraio tira fuori dai guai il suo prossimo, e con l’altra lo fa sprofondare nella miseria; sotto l’ipocrita vestita di un servizio, accresce la disgrazia del suo prossimo (San Giovanni Crisostomo). Un falso medico invece di curare il malato, gli toglie le forze che gli sono rimaste (S. Bas.); è un ragno che avvolge e succhia la mosca presa nella sua tela. L’usuraio è l'”assassino dei poveri”; sottraendo loro tutto ciò di cui hanno bisogno per vivere, toglie loro la vita stessa (S. Bernardino).

5. È un peccato danneggiare i beni altrui, trattenere gli oggetti trovati, presi in prestito o affidati, non pagare i propri debiti.

È peccato danneggiare la proprietà altrui, ad esempio incendiando, devastando un campo seminato o coperto di frutti, scarabocchiando sui muri o sulle panchine, sporcando i vestiti, lanciando pietre contro gli alberi, pescare o cacciare in un’area riservata, ecc., ecc. – È un’ingiustizia trattenere oggetti trovati o presi in prestito; essi devono essere restituiti al proprietario, come fecero i fratelli di Giuseppe quando restituirono il denaro trovato nelle loro borse. “Ciò che avete trovato senza restituirlo è un furto” (S. Aug.). L’obbligo di restituzione è proporzionale al valore dell’oggetto ritrovato; se il proprietario non è noto, è necessario usare la dovuta diligenza per trovarlo, ad esempio facendo una dichiarazione alle autorità. Se non è possibile trovare il proprietario, l’oggetto può essere conservato. Va da sé che non siete obbligati a consegnare l’oggetto alla prima persona che dichiara di possederlo, e che si agisca con prudenza nell’esaminare i propri diritti, sia per non essere ingannati, ma anche per non arrecare danno al vero proprietario. Chi trova qualcosa ha diritto ad una ricompensa. – Molte persone trovano libri, attrezzi e simili, e non li restituiscono mai; alcuni sono addirittura impertinenti quando la loro proprietà viene reclamata: sono dei veri e propri ladri. Siate prudenti nel prestare e nel restituire ciò che avete preso in prestito. Trascurare di pagare i propri debiti è colpevole; è “persino un peccato” farlo con leggerezza. Una persona che deve del denaro è come un uomo che non si regge più sulle proprie gambe, ma si trascina con le stampelle. La maggior parte degli uomini contraggono debiti per amore del piacere, del lusso, per soddisfare le proprie passioni, e non se ne preoccupano nemmeno. È un peccato grave per gli uomini d’affari dichiarare bancarotta per arricchirsi; ma è un peccato ancora più grave, un peccato che grida a Dio vendetta, rifiutare il salario agli artigiani o ai servi che sono obbligati a guadagnarsi il pane con il lavoro. È un furto e un omicidio trattenere pochi centesimi ad un artigiano, che fa affidamento su di esso per procurarsi il necessario per vivere. “Il salario dell’operaio non deve rimanere in casa tua fino al mattino” (Lev. XIX, 13); deve essere dato a lui prima del tramonto.” (Deut. XXIV, 15) e “non essere in debito con nessuno se non con la carità.”(Rom. XIII,8 ).

2. L’ATTENTATO ALLA PROPRIETÀ ALTRUI È UN GRAVE PECCATO

quando si priva il prossimo di un valore pari a quello di cui ha bisogno per il suo mantenimento quotidiano, tenendo conto della sua situazione sociale.

La gravità del peccato dipende sempre dal danno causato al prossimo. (S. Th. Aq. ). Rubare qualche centesimo a un mendicante o ad un artigiano, qualche franco ad un ricco, è un peccato grave. Il furto consecutivo di piccole somme diventa grave non appena la somma totale diventa considerevole, a meno che non ci sia un notevole intervallo tra i furti.

Noi dobbiamo rispettare la proprietà altrui, anche se piccola, perché dobbiamo essere fedeli anche nelle cose più piccole, perché Dio punisce severamente ipeccati più lievi, e le colpe lievi portano a poco a poco alla dannazione eterna. Si comincia con i piccoli furti e si finisce con il grande furto; più di un criminale è finito sul patibolo perché ha iniziato con un piccolo furto.

III. Restituzione.

1. UNA PERSONA CHE HA RUBATO LA PROPRIETÀ DI UN’ALTRA O CHE LE HA FATTO UN TORTO, È OBBLIGATO A RESTITUIRE IL MAL TOLTO OD A RIPARARE IL DANNO CAUSATO (Lev. VI, 1-5).

Questa restituzione non deve necessariamente avvenire tramite un approccio personale alla parte lesa. La restituzione può essere fatta, ad esempio, da un Sacerdote che è tenuto al segreto e fornirà una ricevuta del pagamento effettuato. Il Sacerdote insisterà anche affinché la parte lesa accetti la restituzione. – Il B. Clemente Hofbauer, apostolo di Vienna, si rifiutò di accettare: “Attenzione – rispose – non si devono dare il bene rubato al peccatore pentito, altrimenti finirà per immaginare che non si trattasse di un peccato così grave, e ci ricadrà”.

Ecco i principi relativi alla restituzione:

1. Se il proprietario non è più in vita, la restituzione deve essere fatta ai suoi eredi.; se non ci sono, i guadagni illeciti devono essere utilizzati per l’elemosina o per altre opere buone.

2. Se non non può restituire tutto, deve restituire almeno in parte.

3. Una persona che, a causa della povertà o di qualche altro impedimento non sia in grado di effettuare la restituzione immediatamente, deve almeno essere disposto a restituire quando sarà in grado di farlo, ed è obbligato a mettersi in condizione di farlo.

4. Una persona che non sia in grado di restituire affatto è obbligata almeno a pregare per la persona a cui ha fatto un torto.

2. ANCHE IL DETENTORE DI BENI IN BUONA FEDE È OBBLIGATO A RESTITUIRE I BENI ALTRUI, NON APPENA ABBIA RICONOSCIUTO IL PROPRIO ERRORE.

Una cosa rubata, acquistata o ricevuta in dono, deve essere restituita. Una persona che non sa che sia rubata è detto possessore o detentore in buona fede; colui che lo sa è detto possessore in malafede. Il possessore in buona fede è obbligato a restituire tutto ciò con cui si è arricchito grazie a questo stesso possesso. – Il possessore in malafede è anche obbligato a restituire tutto ciò per cui il proprietario è stato impoverito. – Il possessore in buona fede può conservare la cosa solo quando il proprietario e i suoi eredi siano morti. Nella maggior parte dei casi, la cosa più semplice da fare è consultare il confessore, cheè il rappresentante di Dio.

3. COLUI CHE NON È SINCERAMENTE DISPOSTO A RIPRISTINARE O RIPARARE IL DANNO, NON PUÒ RICEVERE IL PERDONO DI DIO, NÉ DI CONSEGUENZA L’ASSOLUZIONE DEL SACERDOTE.

Chi non è disposto a fare la restituzione sarà dannato (Ezechiele, XXXIII, 15); Gesù Cristo ha concesso a Zaccheo la qualità di figlio di Abramo solo quando ha manifestato il desiderio di restituire (S. Luc. XIX, 8). Né le preghiere, né le torri d’armi, né gli anni digiuno austero riuscirebbero ad ottenere la remissione del peccato prima della sincera volontà di restituzione. Senza di essa, dice Sant’Agostino, non si fa penitenza, la si finge, cioè si recita una specie di commedia, e così aggiunge: il peccato non è perdonato finché non si restituisca la cosa rubata. – S. Alfonso racconta la seguente storia: “Un uomo ricco, affetto da cancrena al braccio ed in procinto di morire, rifiutava di restituire: “Se io restituisco – diceva – rovinerò i miei figli”. Il Sacerdote ricorse allora al seguente metodo: tornò dal malato per dirgli che conosceva un rimedio efficace, ma che non era riuscito a trovarlo perché sarebbe costato diverse migliaia di scudi. Il paziente si dichiarò pronto a spenderne 5000. Il Sacerdote gli assicurò che, per guarire, qualcuno avrebbe dovuto bruciare la carne viva della mano in modo che qualche goccia di grasso cadesse sulla mano. Poi vennero portati i tre figli del malato, nessuno dei quali voleva sottoporsi a. questo trattamento. “Vedete – disse il sacerdote – i vostri figli non vogliono soffrire per voi nemmeno per un quarto d’ora, e voi, per loro, vorreste gettarvi a capofitto nel fuoco eterno?” – “Mi avete aperto gli occhi – rispose il malato – mi confesserò e farò ammenda”.

IV. Le ragioni per non trasgredire il 7° comandamento.

I pagani stessi consideravano il furto un reato grave e lo punivano severamente (La legge anglosassone del VI secolo puniva il furto con la mutilazione delle mani o dei piedi; tra gli Ungari, anche sotto Stefano il Santo, il ladro veniva venduto come schiavo). A Anche gli Ebrei hanno annunciato punizioni molto severe contro di esso: alla presa di Gerico, Giosuè aveva proibito di fare bottino. Un uomo che aveva preso dei vestiti vecchi e li aveva nascosti, fu scoperto e lapidato per ordine del Signore. (Giosuè VII). Anche la Chiesa primitiva ha emanato punizioni rigorose contro i ladri; il minimo furto, anche dopo la restituzione, doveva essere espiato con un anno di digiuno a pane ed acqua. Ma è soprattutto Dio a punire severamente l’ingiustizia, indipendentemente dalla scusa che i guadagni illeciti siano di poco valore, perché si presta più attenzione alla volontà ingiusta che all’oggetto dell’ingiustizia. (S. Ger.).

Chi commette ingiustizia perde la propria reputazione, i propri beni, spesso muore di una morte miserabile ed è in perenne pericolo di dannazione.

Il disonore è la sorte del ladro (Ecclesiastico V, 17), perché il furto è la via della prigione e non quella dell’onore. È così raro che un ladro non venga catturato prima o poi come un topo in una trappola per topi; e tanto va la brocca all’acqua che alla fine si rompe, perché non c’è un filo abbastanza sottile da essere invisibile. – La storia che segue mostrerà quali conseguenze disastrose può avere il nascondere una cosa trovata. Un muratore che stava riparando una casa trovò una cassetta contenente anelli d’oro ed un orologio prezioso. Invece di restituirla, la tenne; ma qualche tempo dopo si recò in una città lontana per vendere il suo tesoro, e il gioielliere lo fece arrestare, perché questi oggetti erano stati rubati ad un operaio che era stato assassinato e derubato. Fu egli condannato come colpevole di questo omicidio a diversi anni di lavori forzati. È quindi nello stesso interesse proprio restituire gli oggetti ritrovati. – Il furto spesso porta alla povertà. I beni illeciti non sono redditizi, perché il ladro spesso perde i suoi stessi beni, come il fuoco non si accontenta di ptodurre fumo, ma divora tutto ciò che raggiunge. (S. Greg. di Naz.). Chi ha mangiato cibo indigesto è obbligato a restituire anche il cibo sano, allo stesso modo in cui i guadagni illeciti portano alla rovina dei beni legittimi. Una mela marcia può rovinare tutte le altre, allo stesso modo un guadagno illecito può lanciare una maledizione su mille altri acquisiti legittimamente. (S. Vinc. Fer.). – Conosco due vie per la povertà, diceva il Curato d’Ars, il lavoro domenicale e l’ingiustizia. Quando gli Ebrei tornarono dalla cattività babilonese, ci fu una grande carestia di cui molti approfittarono per arricchirsi. Neemia, al suo ritorno, criticò molto duramente questo sfruttamento, prese le sue vesti e le scosse violentemente davanti al popolo dicendo che Dio avrebbe scosso la fortuna degli usurai e che sarebbe stata spazzata via come polvere (II. Esd. V, 1-13). Chi semina ingiustizia raccoglierà disgrazie. (Prov. XXII, 8); i beni dell’uomo ingiusto scorrono come l’acqua del torrente (Eccli. XL, 13); guai a colui che accumula ciò che non sia suo (Hab. II, 6). L’ingiustizia causa persino la rovina dei popoli. (Eccli. X, 8). Gli antichi imperi, così potenti, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Romani e dei Greci sono tutti scomparsi, perché si erano espansi a spese della giustizia. – Gli uomini ingiusti molto spesso muoiono di una morte miserabile. Un giorno, un contadino spostò la pietra di confine del suo campo per ingrandirlo. Di poi salì su di un melo, raccolse dei frutti, cadde e si ruppe il cranio sulla pietra di confine: se l’avesse lasciata al suo posto, gli sarebbe stata risparmiata questa disgrazia. Quale orribile rimorso precedette la morte ancora più orribile di Giuda! È molto raro, anche sul letto di morte, che chi detenga beni altrui si converta, a causa della restituzione da fare. – Se un giudizio senza misericordia attende colui che non si è preoccupato del suo prossimo nel bisogno, quanto più severo sarà per colui che gli ha la sua proprietà! (S. Aug.). Gli ingiusti ed i ladri non avranno il regno di Dio. (1. Cor, VI, 10). Anche i maomettani insegnano che il furto di un solo chicco di grano in un campo è una cosa vergognosa e porterà il ladro all’inferno. – Il pensiero dell’inferno è molto efficace per allontanare le persone dell’ingiustizia. – Un uomo ricco ed avaro aveva derubato una povera vedova del suo campo. Lei tornò e chiese al suo nemico il favore di portare con sé un cesto di terra; egli lo accordò con un sorriso ironico. Ma il cesto era troppo pesante e la vedova pregò l’avaro di aiutarla a sollevarlo; poiché non poteva sollevare il peso, la vedova gli disse: “Vedete, un solo cesto di questa terra è troppo pesante per voi da portare; cosa sarà nell’eternità quando dovrete portare il peso dell’intero campo? – Che follia sacrificare il cielo per un bene temporaneo; perché … “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la sua anima?” (Matteo XVI, 26). Ciò che si guadagna con la frode è metallo vile, ciò che si perde con l’ingiustizia, è Dio; pensate al guadagno, pensate anche alla perdita. (S. Aug.).

L’onestà è spesso premiata in questa vita. (Sal. XXXVI, 25).

Tobia era un modello di onestà: benché cieco e povero, aveva alcuni scrupoli nel tenere in casa sua un agnellino che una volta aveva sentito belare: “Fate attenzione – disse alla gente di casa – che non sia rubato; riportatelo al suo padrone, perché non dobbiamo né tenere né mangiare la proprietà altrui”. (Tob. II, 21), Dio gli restituì la vista e lo lasciò vivere per altri 42 anni (Tob. XIV). L’uomo onesto non soffrirà mai la fame (Prov. X, 3) e le sue preghiere saranno prontamente esaudite. (Sal. XXXIII, 16). Anche la giustizia porta felicità ai popoli (Prov. XIV, 34).

IL CATECHISMO DI F. SPIRAGO (XXIV)