L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (V)

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (V)

INTERPRETAZIONE DELL’APOCALISSE

Che comprende LA STORIA DELLE SETTE ETÁ DELLA CHIESA CATTOLICA.

DEL VENERABILE SERVO DI DIO BARTHÉLEMY HOLZHAUSER RESTAURATORE DELLA DISCIPLINA ECCLESIASTICA IN GERMANIA,

OPERA TRADOTTA DAL LATINO E CONTINUATA DAL CANONICO DE WUILLERET,

PARIS, LIBRAIRIE DE LOUIS VIVÈS, ÉDITEUR RUE CASSETTE, 23 – 1856

LIBRO PRIMO

SEZIONE II.

SUI TRE PRIMI CAPITOLI

Descrizione dei sette Angeli della Chiesa Cattolica da Gesù-Cristo fino alla consumazione dei secoli, figurate dalle sette Chiese dell’Asia, dalle sette Stelle e dai sette Candelabri.

§ IV.

Dalla quarta età della Chiesa militante, chiamata pacifica, dal  S. P. Leone III e l’Imperatore Carlomagno, fino Leone X e Carlo-Quinto.

CAPITOLO II. – VERSETTI 18-29.

Et angelo Thyatirœ ecclesiœ scribe: Hœc dicit Filius Dei, qui habet oculos tamquam flammam ignis, et pedes ejus similes auricalco: Novi opera tua, et fidem, et caritatem tuam, et ministerium, et patientiam tuam, et opera tua novissima plura prioribus. Sed habeo adversus te pauca: quia permittis mulierem Jezabel, quœ se dicit propheten, docere, et seducere servos meos, fornicari, et manducare de idolothytis. Et dedi illi tempus ut pænitentiam ageret: et non vult poenitere a fornicatione sua. Ecce mittam eam in lectum: et qui moechantur cum ea, in tribulatione maxima erunt, nisi pænitentiam ab operibus suis egerint. Et filios ejus interficiam in morte, et scient omnes ecclesiae, quia ego sum scrutans renes, et corda: et dabo unicuique vestrum secundum opera sua. Vobis autem dico, et ceteris qui Thyatirœ estis: quicumque non habent doctrinam hanc, et qui non cognoverunt altitudines Satanœ, quemadmodum dicunt, non mittam super vos aliud pondus: tamen id quod habetis, tenete donec veniam. Et qui vicerit, et custodierit usque in finem opera mea, dabo illi potestatem super gentes, et reget eas in virga ferrea, et tamquam vas figuli confringentur, sicut et ego accepi a Patre meo: et dabo illi stellam matutinam. Qui habet aurem, audiat quid Spiritus dicat ecclesiis.

[E all’Angelo della Chiesa di Tiatira scrivi: Queste cose dice il Figliuolo di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco ed i piedi del quale sono simili all’oricalco: So le tue opere, e la fede, e la tua carità e il ministero, e la pazienza, e le tue ultime opere più numerose che le prime. Ma ho contro di te poche cose, poiché permetti alla donna Jezabele, che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, perché cadano in fornicazione, e mangino carni immolate agli idoli. E le ho dato tempo di far penitenza: e non vuol pentirsi della sua fornicazione. Ecco che io la stenderò in un letto: e quelli che fanno con essa adulterio, saranno in grandissima tribolazione, se non faranno penitenza delle opere loro: ‘e colpirò di morte i suoi figliuoli e tutte le Chiese sapranno che io sono lo scrutatore delle reni e dei cuori: e darò a ciascuno di voi secondo le sue azioni. Ma a voi, io dico, e a tutti gli altri dì Tiatira, che non hanno questa dottrina, e non hanno conosciuto le profondità, come le chiamano, di satana, non porrò sopra dì voi altro peso: Ritenete però quello che avete, sino a tanto che io venga. E chi sarà vincitore, e praticherà sino alla fine le mie opere, gli darò potestà sopra le nazioni, e le reggerà con verga di ferro, e saranno stritolate come vasi dì terra, come anch’io ottenni dal Padre mio: e gli darò la stella del mattino. Chi ha orecchio, oda quello che lo Spirito dica alle Chiese.]

I. – Vers. 18Scrivi ancora all’Angelo della Chiesa di Tiatira: Ecco ciò che dice il Figlio di Dio.  La quarta età della Chiesa iniziò con Carlo Magno ed il santo Papa Leone III, e durò fino a Carlo V e Leone X. In quest’epoca fiorirono molti grandi santi tra re ed imperatori, ed ecclesiastici tanto dotti quanto pii; e fu incontaminata dall’eresia per più di 200 anni. È quindi giustamente chiamata l’età pacifica e illuminativa (pacificus). Ne troviamo il tipo di questo nella descrizione della Chiesa di Tiatira: perché la parola Tiatira è interpretata nel senso di illuminata e ostia vivente, come fu la quarta età della Chiesa. È a questa quarta epoca che si riferisce il quarto giorno della creazione, quando Dio fece i corpi luminosi e le stelle che pose in cielo. È anche a questa età che conviene al quarto Spirito di pietà che Dio ha poi riversato abbondantemente sulla sua Chiesa. – Allo stesso modo, possiamo anche appropriare a questa quarta età della Chiesa, la quarta epoca del mondo, che durò da Mosè fino al completamento del tempio di Salomone. Infatti, come Davide allora compose dei salmi ed implementò il culto divino; e suo figlio Salomone costruì un tempio molto grande e ordinò i vasi più preziosi per il servizio degli altari e del tempio; e stabilì un ordine ammirevole nelle cose sacre, ed elevò la maestà dei sacrifici con la buona disciplina dei ministri; ed infine, regnò pacificamente senza avere alcun nemico; così, nella quarta età, furono celebrati i Concili più utili per ricostruire la Chiesa decaduta. La religione cristiana fiorì ovunque e la Chiesa visse in pace, libera di tutti i nemici e dalle eresie. Il Le canto, i salmi, il breviario, i riti, le cerimonie e il ministero dell’altare furono riportati ad un ordine migliore, e anche ad una certa perfezione. Perciò seguono queste parole: “Scrivi ancora all’angelo della chiesa di Tiatira: Queste cose dice il Figlio di Dio, i cui occhi sono come una fiamma di fuoco, e i suoi piedi sono come ottone rilucente. Egli è qui chiamato Figlio di Dio, perché i misteri della Sua Divinità e Umanità erano già stati chiariti e purificati dagli errori di Ario e degli altri eretici. È dunque con buona ragione che, vittorioso sui suoi nemici in questa quarta epoca della Chiesa, il Cristo trionfante dice: “Questo è ciò che dice il Figlio di Dio. Con gli occhi, come una fiamma di fuoco, si intende la perfetta conoscenza della verità; e con i piedi, simili a bronzo brillante, si intende la stabilità e la fermezza del corpo di Cristo, che è la Chiesa.  Perché i tiranni del paganesimo sono stati sconfitti e le tenebre degli eretici sono scomparse, la Chiesa gode del riposo, nella perfetta conoscenza della verità della fede cattolica, più saldamente stabilita, e protetta dal potere dei principi e dei re. Ecco perché non dice più qui: come l’ottone quando è in una fornace ardente, ecc., ma semplicemente come l’ottone lucente, cioè già purificato da tante persecuzioni e messa alla prova dalla spaventosa crudeltà dei tiranni e degli eretici.  – Queste due cose sono poste in testa, come trofei e bottino della vittoria che Cristo ha ottenuto sui suoi nemici, da parte dei membri della Chiesa, la sua amata sposa, e dei suoi fedeli soldati. Aggiunge … come una fiamma di fuoco. Infatti, la fede di Cristo e la verità brillarono nella quarta epoca e si diffusero in tutto l’universo.

Vers. 19Io conosco le tue opere, la tua fede, la tua carità, il tuo ministero, la tua pazienza, e le tue ultime opere più abbondanti delle prime.  Segue la raccomandazione abituale che consiste in sei punti che sono: le opere della Chiesa, la perfezione della sua fede, la sua carità, il suo ministero, la sua pazienza e la sua perseveranza nel bene. – La prima raccomandazione si trova in queste parole: Conosco le altre tue opere di giustizia, pietà e misericordia, che sono sante e fatte con un’intenzione pura. La seconda è la tua fede. Infatti qui egli loda la Chiesa per la sua fede, come una speciale prerogativa e perfezione; poiché nella quarta epoca la fede cattolica era unanime, perfetta e diffusa, per così dire, in tutto l’universo. E la Chiesa fu libera dall’eresia per più di duecento anni, finché Berengario, al tempo dell’imperatore Enrico III, sorse in Gallia, nell’anno 1048, e insegnò che nella santa Eucaristia non sono il corpo e il sangue di Cristo. Distrutta questa eresia, la Chiesa godette di nuovo del suo riposo, fino all’anno 1117, come vediamo nella storia ecclesiastica. – La terza, la tua carità verso Dio e il tuo prossimo. La quarta, il tuo ministero dell’altare e la cura dei poveri, ministero che era florido in quel periodo. Infatti, non solo vi fu un numero considerevole di grandissimi santi ecclesiastici, ma anche di imperatori, re, principi e altre alte persone, che fondarono ospedali e si presero cura dei poveri, che essi stessi servivano. Inoltre, costruirono chiese, ripararono quelle in rovina, edificarono monasteri, chiese collegiate, vescovadi, templi, altari, e fecero tutto il possibile per promuovere il culto di Dio. Anche di notte, le sacre lodi risuonavano nelle chiese collegiate e nei chiostri. Ecco perché il ministero dell’altare e dei poveri era santo, ben ordinato e prezioso davanti al il Signore. La quinta, la tua pazienza nei digiuni, il cilicio, le veglie e gli altri rigori di penitenza che i Santi di quel tempo praticavano costantemente per amore di Gesù Cristo. Tra questi ci sono: San Vigilio, San Ruperto e i suoi dodici compagni, San Wilibaldo, San Wuniwelde, Santa Walburga, San Luigi, re; Ottone, vescovo di Bamberga; Lotario, imperatore; Ottone il Grande; Beato Nilo; Santo Stefano, primo re d’Ungheria; San Venceslao, principe di Boemia; e altri che, con il loro lavoro instancabile e la loro pazienza, convertirono i resti dei gentili alla fede cattolica. – Infine, la sesta raccomandazione: E le tue ultime opere più abbondanti delle prime. Queste parole lodano la perfezione e la santità che, nella quarta età, risplendevano costantemente nei santi: come Enrico e Cunegonda, San Wolfgango, San Bruno, San Romualdo, San Roberto, San Bernardo, San Francesco, San Domenico con le loro famiglie, San Ivo, Vescovo, e altri che, nella successione dei tempi, hanno illustrato la Chiesa: ciò che fu senza dubbio una benedizione ammirevole di Dio ed una prerogativa speciale concessa a quest’epoca. Per questo aggiunge: “E le tue opere di giustizia, fede, pietà, carità, ministero, lavoro, pazienza e santità. Le tue ultime opere sono più abbondanti delle prime.”. Questo è un modo di parlare con cui siamo abituati a lodare l’abbondanza dei frutti, la moltiplicazione dei beni, la perfezione, la fedeltà e la costanza delle virtù e delle azioni degli uomini.

II. Vers. 20. – Ma Io ho qualcosa da rimproverarti: tu permetti a Jezebel, quella donna che si dice profetessa, di insegnare e sedurre i miei servi, per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare vivande sacrificate agli idoli. Mentre la Chiesa si riposava in mezzo a ricchezze ed onori, e si credeva sicura sotto il patrocinio di imperatori, re e principi pii, essa si rilassò, poco a poco, nella disciplina ecclesiastica, e si introdusse tra i Cristiani una certa mollezza effeminata, che è qui metaforicamente designata dalla donna. Allora la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita aumentarono anche nei ministri della Chiesa. Perché questi, sicuri dell’indulgenza di un’epoca corrotta e credendosi in sicurezza, si abbandonarono alla voluttà e caddero nella presunzione, come succede in questi casi. Ora questi furono i vizi di Jezebel, la moglie di Achab, che la Scrittura chiama cortigiana. Ecco la concupiscenza della carne. In seguito questa donna si impossessò della vigna di Naboth e lo uccise: questa è la concupiscenza degli occhi. Poi si adornò il viso e gli occhi: ecco l’orgoglio della vita. Infine, vedendo che era al sicuro dei suoi peccati, divenne presuntuosa e fece uccidere i Profeti. Ella tese trappole a Elia per metterlo a morte, rifiutando di credere alla sua parola quando egli le predisse tutte le disgrazie della sua casa, disgrazie che lei stessa vide in parte avverarsi, come la carestia. Infatti, essa diceva in cuor suo: “Questi mali non cadranno su di noi“. Ora è così che noi, miserabili peccatori, immersi nelle cose di questo mondo, siamo soliti dormire nella morte del peccato, finché alla fine l’ira di Dio scoppia sulle nostre teste. Jezebel è così citata qui come esempio e paragone in questo senso: Voi permettete a poco a poco, non chiudendo accuratamente le cinque porte dei vostri sensi, attraverso le quali la morte entra in voi come attraverso le finestre. Voi permettete, non prestando alcuna attenzione alla disciplina ecclesiastica, non vigilando sui vostri subordinati, non visitandoli e prendendo poca o nessuna cura di loro. Voi permettete, non castigando debitamente. Voi permettete questo, non castigando debitamente il vizio, ma favorendolo con vile connivenza, nascondendolo con una falsa filosofia, e lasciando tutto impunito. Voi permettete, trascurando la correzione fraterna, occupandovi solo dei vostri interessi particolari, indulgenti con voi stessi, e senza preoccuparvi del bene pubblico. Voi permettete, concedendo facilmente dispense in ogni cosa, e rilassando i santi Canoni. Voi permettete, non illuminando gli altri con il buon esempio, e non istruendo i vostri inferiori nella sana parola di Dio. Voi permettete dicendo: “Queste cose sono permesse“, mentre non lo sono, e così incoraggiate la dissoluzione e i vizi. Fu così, che la convivenza delle donne, la lussuria ed il concubinaggio furono introdotti nella Chiesa. Fu anche attraverso la sovrabbondanza di ricchezze particolari che si propagò l’avarizia, che è idolatria. Inoltre, gli onori e le dignità a cui Imperatori, re e principi elevarono gli ecclesiastici, incoraggiarono l’orgoglio della vita. Infine, la libertà nel modo di vivere e nella disciplina faceva nascere l’ozio; e l’ozio rendeva la morale dissoluta. Voi permettete alla donna, cioè alla mollezza e al modo di vivere effeminato, di entrare nella vostra casa; difetto o un vizio generalmente designato dalla donna. Il testo aggiunge Jezebel, per significare dei vizi più speciali che furono gradualmente introdotti in quest’epoca della Chiesa, come la concupiscenza della carne, l’avarizia, l’orgoglio e la presunzione. Egli aggiunge anche: che si definisce una profetessa, che cioè, in mezzo a questa vita licenziosa, la Chiesa si è promessa sicurezza e ha detto: non vedrò più il rigore dei tiranni e degli eresiarchi, perché sono ricca e potente; e sono in pace: ho imperatori, re e principi pii e potenti che mi proteggono; ecco perché non vedrò più il lutto. Così profetizzò questa generazione corrotta.

III. Perciò seguono queste parole: “Tu hai permetti che Jezebel, ecc., insegni e seduca i miei servi con il cattivo esempio della lussuria, dell’avarizia e dell’orgoglio. Insegna e seduce, promettendo la sicurezza della pace e della felicità; non annunciando al popolo l’ira di Dio e il castigo che lo minaccia da lontano, a causa dei peccati della carne, dell’avidità, dell’irreligione e della dimenticanza di Dio: castigo imminente tuttavia che la Chiesa e noi tutti, miserabili come siamo, continuiamo a subire in questa quinta era, ed i cui i nostri denti sono allegati (Una sorta di proverbio che indica che i figli sono puniti per i peccati dei loro padri – Enciclopedia Teologica dell’Abbé Migne). Per indurli alla fornicazione e per far loro mangiare le vivande immolate agli idoli. La fornicazione fu portata ad un tale eccesso nella Chiesa greca, che essa giunse al punto di insegnare che essa è lecita. E questa funesta dottrina dei greci fu messa in pratica da molti membri della Chiesa latina, che non si vergognavano del commercio illecito che purtroppo si fa ancora ai nostri giorni con le concubine. E per far loro mangiare le vivande sacrificate agli idoli. Questo passaggio è da intendersi anche come quando San Paolo chiama idolatria l’avarizia. Infatti, i guadagni e i profitti vergognosi, le esazioni dei poveri, la simonia, i doni interessati e i servizi ingiustamente ricompensati, sono tutti abusi di cui sono colpevoli gli impiegati indegni delle loro cariche e gli uomini avidi; e tutti questi abusi sono metaforicamente designati da queste parole: E per far loro mangiare carni sacrificate agli idoli.

IV. Vers. 21. – Gli ho dato del tempo per fare penitenza. Queste parole designano la longanimità della misericordia di Dio, che ha aspettato la penitenza della Chiesa greca per secoli, finché finalmente, questa Chiesa, rifiutando di obbedire al Signore e non volendo tornare all’unità, perì sotto Maometto II, che uccise Costantino Paleologo e prese Costantinopoli, la capitale dell’Impero d’Oriente. È con la stessa pazienza che Dio ha anche aspettato pazientemente la penitenza della Chiesa latina nella quarta epoca, da Carlo Magno fino a Berengario il Sacramentario, che fu il prodromo del prossimo flagello di Dio. Dopo di lui, la Chiesa fu di nuovo tranquilla e libera dall’eresia, fino all’imperatore Enrico V, sotto il quale apparve Durando Vuldoch, di Marsiglia, nell’anno 1117. Poi le eresie si susseguirono l’una all’altra, come precursori del flagello di Dio. Queste eresie furono tuttavia distrutte per la bontà dei principi e la provvidenza di Dio; fin quando finalmente, sotto Carlo V e Leone X, nell’anno 1517, Lutero, quell’orribile eresiarca, il flagello della Chiesa latina, convocò tutte le eresie dell’inferno e le vomitò dalla sua bocca impura quasi sull’Europa intera, Gesù-Cristo infine dice: Io gli ho dato del tempo per fare penitenza, ed essa non vuole pentirsi della sua prostituzione. Queste parole annunciavano che la Chiesa latina avrebbe perseverato nei vizi indicati sopra, e che non avrebbe fatto alcun passo verso la penitenza anche di fronte alle sue calamità. Ed è per questo che anche il suo castigo le viene predetto al futuro assoluto; mentre nelle epoche precedenti, questo castigo era solo predetto in modo comminatorio. Infatti, l’Apostolo continua con queste parole:

V. Vers. 22. La colpirò con la malattia sul suo letto; cioè, la colpirò con la tribolazione sul suo letto di dolore e di lutto; sul suo letto di lebbra e di malattie spirituali, che sono le eresie; sul suo letto di pestilenza, di carestia e di guerre; sul suo letto di tenebre, di angoscia e di povertà; sul suo letto di lacrime e di desolazione; sul suo letto di oppressione, di amarezza e di cattività, da cui non potrà alzarsi; e sul suo letto di dannazione eterna. E quelli che commettono adulterio con lei, cooperando alle sue azioni malvagie, imitandola, consigliandola, tollerandola o non impedendola quando lo possono e lo devono. Tutti questi saranno nella più grande afflizione, nell’afflizione temporale, come abbiamo appena detto, e nell’afflizione eterna, oltre la quale non c’è niente di più grande. Ma Gesù Cristo, tuttavia, aggiunge: Se non fanno penitenza per le opere a cui partecipano personalmente. Perché spesso una punizione temporale qualunque ed una rovina che è assegnata ai regni ed alle epoche della Chiesa in modo generale e assoluto, come nel letto menzionato sopra, può essere evitato, almeno per quanto riguarda la condanna e la punizione del fuoco dell’inferno, se i membri della Chiesa, presi singolarmente, fanno una salutare e degna penitenza.

Vers. 23. – Colpirò a morte i suoi figli. Con queste parole, Gesù Cristo ci minaccia di guerre, sedizioni, carestie e pestilenze, castighi che la giustizia divina ha l’abitudine di mandare nella sua vendetta, colpendo la posterità ed i figli dei figli impenitenti. Questo è ciò che noi sfortunati sperimentiamo fin troppo bene in questa quinta età, nel vedere su tutta la superficie del pianeta, solo guerre, sedizioni e disgrazie, come vedremo più avanti. E tutte le chiese sapranno che io sono colui che sonda i reni e i cuori: i reni, cioè, Io sono colui che conosce gli effetti della concupiscenza e delle opere carnali. E i cuori; perché tutti i pensieri malvagi sono davanti ai miei occhi. Quanti uomini, in questa quarta epoca della Chiesa, hanno abusato della longanimità di Dio, che li aspettava alla penitenza, per riguardo ai meriti ed alle preghiere dei Santi loro contemporanei? E questi peccatori incalliti caddero profondamente nei loro peccati, dimenticando Dio, il loro Creatore, e si diedero sfrenatamente al libertinaggio, come se non ci fosse un Dio capace di sondare l’iniquità dei malvagi. Il Signore permise che nella quinta epoca della Chiesa sorgessero anche uomini carnali che, non contenti di portare alla luce una schiera di nuove sette, riprodussero e richiamarono dall’inferno tutte quelle che erano apparse prima. Ed è a queste malefiche sette che siamo debitori delle più terribili tribolazioni: guerre, sedizioni, massacri, carestie, pestilenze ed altri mali incalcolabili che hanno riversato sulla Chiesa. E Dio ha permesso che queste disgrazie costringessero i fedeli ad aprire finalmente gli occhi e a riconoscere che non ci sono mali in Israele che il Signore non abbia inflitto nella sua vendetta. Perciò è detto: “E tutte le chiese sapranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori“. Cioè, Io sono colui che esamina e punisce la concupiscenza ed i pensieri perversi. E renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere. La prima cosa che è stata detta sulla punizione temporale è che i giusti soffriranno insieme con i malvagi; cosa che Dio permette per far loro acquisire più meriti. E anche a volte i giusti sono più afflitti dalle tribolazioni degli empi, come dimostra l’esperienza quotidiana. – Ma Gesù Cristo parla in secondo luogo della pena eterna che attende solo gli empi e gli impenitenti; e questa è una differenza che deve essere la più grande consolazione per i giusti, ed un immenso terrore per i malvagi. Perciò aggiunge: E io renderò a ciascuno di voi secondo le sue opere e senza distinzione di persone. Egli infliggerà una punizione eterna a coloro che servono il mondo, la carne ed il diavolo; e darà la gloria eterna a coloro che vivono in Dio, osservando i suoi comandamenti.

VI. Vers. 24. Ma io dico a voi e agli altri che sono a Tiatira: A tutti quelli che non seguono questa dottrina e non conoscono le profondità di satana secondo il loro linguaggio, non imporrò altri pesi su di voi. Qui Cristo consola i suoi amici per il male che ha dovuto permettere per il bene della sua Chiesa. E i suoi amici erano molti, come abbiamo detto dei Santi di Dio, in questa quarta epoca. Ma io dico a voi, amici miei, e agli altri che sono a Tiatira; cioè dico a tutti coloro che si mostreranno ostia vivente del Padre mio, e che vivranno la vita spirituale, in questa quarta età della Chiesa; a tutti questi che non seguono questa dottrina, cioè a tutti coloro che temono il Signore e non si sono lasciati persuadere dalla presunzione del peccato. Questa presunzione o sicurezza è chiamata dottrina a causa della falsa credenza dei malvagi, che si persuadono volentieri nei loro peccati che non verrà loro alcun male. che nessun danno li colpirà, guardando solo alla felicità e alla durata dei tempi prosperi concessi agli empi dalla longanimità e dalla bontà di Dio. E chi …… non conosce le profondità di satana. La profondità di satana può essere considerata sotto tre aspetti, e cioè la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e l’orgoglio della vita; perché è in questo che il demonio da osato tentare Cristo, l’eterna saggezza del Padre. Queste tentazioni sono chiamate profondità, a causa dell’elevazione e della difficoltà degli oggetti con cui satana tenta gli uomini; oggetti che egli presenta ai nostri deboli occhi, come se fossero gli unici beni possibili, facendoci dimenticare gli unici veri beni a venire. La parola sapere è presa qui metaforicamente per aderire, amare, essere legato, come si dice di per un uomo nella Scrittura, il conoscere sua moglie (cognoscere uxorem, ecc.). Ecco perché Gesù Cristo dice: E chi ….. non conosce le profondità di Satana; cioè, chi non ha commesso fornicazione con questi tre idoli di satana che Jezebel predica o insegna. Non metterò nessun altro peso su di te. Gesù Cristo parla qui, di sfuggita, della presunzione degli eretici e dei cattivi Cristiani, che sono soliti profetizzare e sedurre il popolo con le loro falsità, dicendo, per esempio: La chiesa non durerà per sempre; essa diventerà sterile, perirà e sarà distrutta. Ora, contrariamente a questa falsa credenza dei malvagi, una credenza che di solito fa sprofondare i buoni nella desolazione, a causa delle tante e lunghe calamità che li affliggono, Cristo conforta qui la sua Chiesa dicendo: Non ti darò un peso maggiore di quello che sta scritto nel libro dei Salmi, (LXXXVIII, 31 e segg.): Che se i suoi figli ripudiano la mia legge, ecc….. con una verga visiterò le loro iniquità, etc ….. Ma non ritirerò mai da lui la mia misericordia, etc. …

Vers. 25. – Ciononostante, conserva fedelmente ciò che hai finché io venga. Gesù Cristo qui esorta i buoni affinché, superando il male mescolato al bene, e disprezzando le calamità dei tempi, possano conservare la loro innocenza e perseverare nell’essere il buon seme che il Padre celeste ha sempre riservato per sé, anche in mezzo alla zizzania. L’innocenza dei costumi è soprattutto necessaria per i prelati della Chiesa; e quando le disgrazie temporali ci minacciano, e la prevaricazione è al suo colmo, essi devono prudentemente superare il male introdotto nel bene, e sforzarsi di mantenere la loro coscienza e quella del loro gregge nella massima purezza. Possiamo anche collegare perfettamente a questo passaggio la parabola della zizzania, che si deve lasciar sussistere fino alla mietitura. (Matth. XII). Infatti, è detto: Tuttavia conservate fedelmente ciò che voi avete, fino a che Io venga; vale a dire: aspettate fino a che Io venga a distruggere gli empi, a punire i malvagi e a scatenare la mia ira nei flagelli che ho preparato a suo tempo per il rinnovamento e l’emendamento della mia Chiesa. Allo stesso modo, … finché non verrò, nel giudizio universale, a rendere a ciascuno secondo le sue opere. Finché non verrò a restaurare la Chiesa con una morale santa e pura.

Vers.. 26. – Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie Opere fino alla fine. Con queste parole Egli esorta alla costanza e alla longanimità; virtù che sono essenzialmente necessarie per la Chiesa Cattolica in ogni tempo. Ma queste due virtù saranno particolarmente necessarie nella quinta età, a causa della durata dei mali che sopporterà e a causa del potere, della malizia e dell’insolenza degli eretici e degli altri falsi Cristiani che la affliggeranno. Da qui queste parole: Colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine. È per disegno che aggiunge le mie opere, perché, come in ogni epoca, certi misteri erano di più particolarmente combattuti; così, nella quinta epoca, le sue opere sulla libertà umana, la grazia e la predestinazione saranno attaccate in modo particolare. Le mie opere, il concorso della volontà umana, i sacramenti dell’Eucaristia e della penitenza, i precetti del decalogo, il celibato e tutto ciò che è onesto, ecc. Le mie opere; cioè i miracoli, la canonizzazione dei Santi, ecc. ecc. che sono tutte opere di Cristo; opere che Egli indica a tutte le persone buone che vivranno nella quinta età della Chiesa, per proteggerle e per esortarle a conservare queste opere.

Vers. 27. – A colui che sarà vittorioso e conserverà le mie opere fino alla fine, gli darò potere sulle nazioni. Egli le governerà con uno scettro di ferro, ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla.

Vers. 28. – Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. A queste parole, per confermare i suoi servi nella pazienza e a sostegno delle calamità che ci predice in anticipo, segue una grandissima consolazione spirituale ed una ricca ricompensa nella conversione dei Gentili e degli eretici alla vera fede. Questa conversione avrà luogo nella sesta età della Chiesa. Perché la quinta è un’epoca di afflizione, di punizione e defezione, come vedremo più avanti. Per questo dice: gli darò potere sulle nazioni; potere spirituale ai prelati nell’unità della fede, e potere temporale ai re nella monarchia e nell’unità dei popoli. Ed esse saranno frantumate come un vaso d’argilla; dalla durezza dei loro cuori si convertiranno al pastore delle loro anime. E anche le repubbliche che hanno disertato saranno dissolte, e i ribelli mancherà la potenza. Questo potere sarà infranto dal mio potentissimo Unto, che manderò, etc. Tutto questo è è spiegato nel seguito in modo lungo e dettagliato. Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Gesù Cristo aggiunge queste parole per la consolazione dei suoi servi; la più grande consolazione che ci possa essere. (Filippo, II, 8): « Gesù Cristo ha umiliato se stesso, facendosi obbediente fino alla morte, fino alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e negli inferi, ed ogni lingua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria del Padre suo. » Secondo quello che ho ricevuto dal Padre mio. Perché con la sua pazienza Gesù Cristo ha vinto tutte le cose; ha sottomesso tutte le creature; e con le gloriose battaglie dei martiri, ha frantumato tutte le nazioni come un vile e spregevole vaso d’argilla, etc. E Io gli darò la stella del mattino. Qui promette alla Chiesa Cattolica una nuova luce, che apparirà nella sesta epoca, e che è designata dalla stella del mattino. Perché la stella del mattino significa che la notte è passata ed il giorno è arrivato. E Io gli darò la stella del mattino, cioè la luce della vera fede, la fede cattolica, che brillerà con tutto il suo splendore, deve iniziare nella sesta età della Chiesa, dopo che le tenebre di tutte le eresie saranno state consegnate all’inferno. E Io gli darò la stella del mattino, cioè, dopo le tenebre di questa vita, darò a ciascuno, in particolare, la luce celeste, nella quale contemplerà la verità eterna senza fine.

Vers. 29. Chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Questo passaggio è spiegato come sopra.

L’APOCALISSE INTERPRETATA DAL BEATO B. HOLZHAUSER (VI)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

FESTA DEL PREZIOSISSIMO SANGUE DI N. S. GESÙ CRISTO (2021)

Doppio di 1^ classe. • Paramenti rossi.

La liturgia, ammirabile riassunto della storia della Chiesa, ci ricorda ogni anno che in questo giorno fu vinta, nel 1849, la Rivoluzione che aveva cacciato il Papa da  Roma. A perpetuare il ricordo di questo trionfo e mostrare che era dovuto ai meriti del Salvatore, Pio IX, allora rifugiato a Gaeta, istituì la festa del Preziosissimo Sangue. Essa ci ricorda tutte le circostanze in cui fu versato. Questo sangue adorabile il Cuore di Gesù lo ha fatto circolare nelle sue membra; perciò, come nella festa del Sacro Cuore, anche oggi Vangelo ci fa assistere al colpo di lancia che trafisse il costato del divino Crocifisso e ne fece colare sangue e acqua. Circondiamo di omaggi il Sangue prezioso del nostro Redentore, che il sacerdote offre a Dio sull’altare. – Il gran Sacerdote, attraversando il Tempio, entrava una volta all’anno nel Santo dei Santi col sangue delle incoscienti e forzate vittime, immolate sull’altare degli olocausti. Questo sangue dava soltanto una purezza legale ed esteriore. Il Cristo è salito fino al vero Santo dei Santi, che è il cielo ed ha presentato al Padre il suo sangue, spontaneamente e liberamente versato sulla croce. Gesù è dunque il mediatore del Nuovo Testamento, e il suo sangue espia i peccati dapprima degli Israeliti, e poi di tutti gli uomini.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Apoc V:9-10
Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Ps LXXXVIII :2
Misericórdias Dómini in ætérnum cantábo: in generatiónem et generatiónem annuntiábo veritátem tuam in ore meo.

[L’amore del Signore per sempre io canterò con la mia bocca: la tua fedeltà io voglio mostrare di generazione in generazione.]


Redemísti nos,Dómine, in sánguine tuo, ex omni tribu et lingua et pópulo et natióne: et fecísti nos Deo nostro regnum.

[Ci hai redento, Signore, col tuo sangue, da ogni tribù e lingua e popolo e nazione: hai fatto di noi il regno per il nostro Dio.]

Oratio

Orémus.
Omnípotens sempitérne Deus, qui unigénitum Fílium tuum mundi Redemptórem constituísti, ac ejus Sánguine placári voluísti: concéde, quǽsumus, salútis nostræ prétium sollémni cultu ita venerári, atque a præséntis vitæ malis ejus virtúte deféndi in terris; ut fructu perpétuo lætémur in cœlis.

[O Dio onnipotente ed eterno, che hai costituito redentore del mondo il tuo unico Figlio, e hai voluto essere placato dal suo sangue, concedi a noi che veneriamo con solenne culto il prezzo della nostra salvezza, di essere liberati per la sua potenza dai mali della vita presente, per godere in cielo del suo premio eterno.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Hebrǽos.
Hebr IX: 11-15
Fratres: Christus assístens Póntifex futurórum bonórum, per ámplius et perféctius tabernáculum non manufáctum, id est, non hujus creatiónis: neque per sánguinem hircórum aut vitulórum, sed per próprium sánguinem introívit semel in Sancta, ætérna redemptióne invénta. Si enim sanguis hircórum et taurórum et cinis vítulæ aspérsus inquinátos sanctíficat ad emundatiónem carnis: quanto magis sanguis Christi, qui per Spíritum Sanctum semetípsum óbtulit immaculátum Deo, emundábit consciéntiam nostram ab opéribus mórtuis, ad serviéndum Deo vivénti? Et ídeo novi Testaménti mediátor est: ut, morte intercedénte, in redemptiónem earum prævaricatiónum, quæ erant sub prióri Testaménto, repromissiónem accípiant, qui vocáti sunt ætérnæ hereditátis, in Christo Jesu, Dómino nostro.

(Fratelli, quando Cristo è venuto come sommo sacerdote dei beni futuri, attraversando una tenda più grande e più perfetta, che non è opera d’uomo – cioè non di questo mondo creato – è entrato una volta per sempre nel santuario: non con il sangue di capri e di vitelli. ma con il proprio sangue, avendoci acquistato una redenzione eterna. Se infatti il sangue di capri e tori, e le ceneri di una giovenca, sparse sopra coloro che sono immondi, li santifica, procurando loro una purificazione della carne; quanto più il sangue di Cristo, che per mezzo di Spirito Santo si offrì senza macchia a Dio, purificherà la nostra coscienza dalle opere morte, per servire al Dio vivente? Ed è per questo che egli è mediatore di una nuova alleanza: affinché, essendo intervenuta la sua morte a riscatto delle trasgressioni commesse sotto l’antica alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna, oggetto della promessa, in Cristo Gesù nostro Signore.]

Graduale

1 Joann 5:6; 5:7-8
Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine.

[Questo è colui che è venuto con acqua e con sangue: Cristo Gesù; non con acqua soltanto, ma con acqua e con sangue.]

1 Joann 5: 9
V. Tres sunt, qui testimónium dant in cœlo: Pater, Verbum et Spíritus Sanctus; et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, aqua et sanguis: et hi tres unum sunt. Allelúja, allelúja.

[V. In cielo, tre sono i testimoni: il Padre, il Verbo, lo Spirito Santo; e i tre sono uno. In terra, tre sono i testimoni: lo Spirito, l’acqua, il sangue; e i tre sono uno. Alleluia, alleluia]

1 Joann V: 9
V. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est. Allelúja

[V. Se accettiamo i testimoni umani, Dio è testimonio più grande. Alleluia.]

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann XIX: 30-35
In illo témpore: Cum accepísset Jesus acétum, dixit: Consummátum est. Et inclináto cápite trádidit spíritum. Judæi ergo – quóniam Parascéve erat -, ut non remanérent in cruce córpora sábbato – erat enim magnus dies ille sábbati -, rogavérunt Pilátum, ut frangeréntur eórum crura et tolleréntur. Venérunt ergo mílites: et primi quidem fregérunt crura et altérius, qui crucifíxus est cum eo. Ad Jesum autem cum venissent, ut vidérunt eum jam mórtuum, non fregérunt ejus crura, sed unus mílitum láncea latus ejus apéruit, et contínuo exívit sanguis et aqua. Et qui vidit, testimónium perhíbuit; et verum est testimónium ejus.

[In quel tempo, quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». Poi, chinato il capo, rese lo spirito. Allora i Giudei, essendo la Parascève, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era, infatti, un gran giorno quel sabato – chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e portati via. Andarono, dunque, i soldati e spezzarono le gambe al primo, e anche all’altro che era stato crocifisso con lui. Quando vennero a Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe: ma uno dei soldati gli trafisse con la lancia il costato, e subito ne uscì sangue ed acqua. Colui che ha visto ne rende testimonianza, e la sua testimonianza è veritiera.]

OMELIA

[A. Rey: Il preziosissimo Sangue – Pia Unione del Prez. Sangue, Roma, 1949]

Discorso II

L’uomo deve tutto a Dio: principio, essere, doni, corpo, anima, vita naturale, elevazione allo stato soprannaturale. Questa gratuita erogazione di generosi doni non ha che uno scopo per Dio: far vivere l’uomo del suo amore, sempre. Fatalmente interviene la colpa e chi era stato creato ad immagine e somiglianza del Signore, n’è allontanato per sempre, condannato in eterno alla maledizione. Ma il Verbo, spinto da quello stesso amore che mosse da prima queste cose belle, scende ad incarnarsi, ad effondere il suo sangue per la redenzione umana, e l’uomo è riportato in grembo al suo Dio: eratis longe; facti estis prope în Sanguine Agni (Eph. II, 13). Quel sangue fu detto prezioso da S. Pietro: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis…, sed pretioso Sanguine tamquam Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!Non è pileggio da picciola barca (parad, 23; 67) addentrarci in questa verità confortante che rappresenta l’abisso insondabile della misericordia divina. La mente s’arresta di fronte a tanto sole; il cuore trasalisce per la gioia, ma non è capace da solo ad intender l’arcano: incomprehensibilia judicia… eius, et investigabiles viæ eius (Rom XI, 33)! Pure, l’incomprensibile. ci è reso chiaro dalla divina Scrittura, e le vie di Dio ci appaiono piane: per correre alla scoperta del vero. Poiché due luci la investono, contenute in queste semplici parole: Sangue prezioso.

I. – Breve preludio sul sangue.

 Cos’è il sangue? Fisiologicamente è un umore, costituito da un tessuto di sostanza liquida intercellulare o di cellule bianche, rosse e di piastrine; partendo dal cuore, con una doppia circolazione, attraverso arterie e vene, al cuore ritorna e tien salda la vita. Se il sangue si arresta il cuor più non pulsa. È la morte. Il Sangue è vita, forza, vigore, nerbo, salute, e tien legato al corpo lo spirito immortale. Donare il sangue è dare la vita. – Preziosa diciamo quella cosa che è di molto prezzo, di grande valore: una pietra Fara, una gemma, l’oro, l’argento, il platino; che ci è cara per la sua bellezza e rarità: un’opera d’arte, un poema, un palazzo. Preziosa la diciamo ancora pel vantaggio che ne deriva, per l’utile che ci dà: una eredità, un donativo regale. Or, qual cosa di maggior prezzo è il valore del sangue che è vita? Qual cosa più rara di un sangue che aderisce profondamente all’anima, creatura bella di Dio, sì da farlo commuovere? Qual cosa  più bella del sangue che rivela quella mirabile opera d’arte che è il carattere dell’uomo? E quali stupendi vantaggi non derivano da un sangue offerto, donato, sborsato dall’uomo spinto dall’amore? Quale utile per quelli pei quali il sangue si effonde? Ed ecco al di sopra del misero sangue umano il Sangue di un Uomo-Dio, che ha prezzo e valore incalcolabile, perché Sangue divino; che è caro per la sua rarità e bellezza, essendo Sangue di grazia; che reca all’uomo il supremo dei vantaggi, quello di farlo consanguineo, partecipe della sua vitalità supernaturale, della sua gloria: Sangue da adorarsi, quindi: da apprezzarsi, da amarsi.

II.

Il Sangue dei martiri

1. – Per apprezzare in tutta l’ampiezza, il valore del Sangue di Gesù è necessario porlo a fianco del sangue dei martiri. Qualche anno fa un cattolico fervente, sul piazzale di S. Marta, prima di accompagnare i giovani delle Associazioni Cattoliche in visita al Papa, avvicinava giustamente il sangue dei martiri del Circo di Nerone al Sangue prezioso, giacché era questo che rendeva l’altro potente e glorioso. Il martire è un testimonio che per la verità giunge fino a farsi sgozzare. Il suo sangue sigilla tutta una vita di bene e fa splendere con più evidenza la causa per cui è versato. La scienza ha i suoi martiri: medici che per lenire gli strazi dell’umanità studiano l’applicazione dei raggi ultravioletti e ne restano uccisi; aeronauti che per togliere i veli misteriosi dei Poli, soccombono… L’amor patrio ha un martirologio che è patrimonio sacro per tutti i popoli: Colletta, Pellico, Filzi e Battisti… son nomi cari ad ogni cuore italiano! Ma è la Fede soprattutto che fa del martirio la più fulgida, significativa, gloriosa testimonianza, perché all’infinito si distanzia, per dignità, da ogni altra idea, da ogni altra potente passione. Essa è al disopra della scienza e della patria!

2.) Il valore del sangue si desume dalla persona che lo versa.

Percorrete i cuniculi, gli ambulacri delle Catacombe. Sui loculi contrassegnati da simboli cristiani, c’è dei nomi, semplici nomi: Agape, Acilio Giabrione, Agnese, Cecilia. Accanto al loculo che racchiude i resti mortali di un senatore, di una donna aristocratica c’è quello di un oscuro bottaio, di un fabbricante di balocchi. La morte tutti ha uguagliato: in ciò il sangue di Couvier non si distingue da quello di Luigi XVI e di Maria Antonietta. Ma quei nomi contrassegnano una vita, quei corpi rappresentano tesori non tanto perché di Cristiani, ma perché di martiri. Già quei corpi son santi, unti un giorno del crisma del Cristo nel battesimo, incorporati a Cristo nella comunione del suo corpo, del suo sangue, templi dello Spirito Santo. Non per altro Paolo chiamò Santi i fratelli nel Cristo; vedeva in essi la grazia santificante. E Damaso nella epigrafe della celeberrima martire romana Agnese, dice santi i suoi genitori: sanctos… retulisse parentes. E S. Pietro giustifica l’orgoglio gens sancta, regale sacerdotium (1 Piet. II, 9)! Ma un alone di gloria circonda quelle ossa che pullulant de loco suo (Eccl. XLVI, 14), per la morte che la Scrittura chiama appunto preziosa: pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum éjus (Ps. CXV, 15), per la morte non nobilitata solo dal Cristo con l’elargizione della suprema grazia, la perseveranza finale, ma resa gloriosa per l’effusione del sangue, degna risposta al Cristo che per tutti ha effuso il suo, in supremo amore! Egli dinanzi ai presidi li rese gagliardi e diede alla loro lingua le parole per confondere i sofismi, le minacce, le blandizie. Egli rese potente la loro volontà sino a farli esclamare; frangar, non flectar! Egli col suo sangue, col valore del suo sacrificio, ha impreziosito il sangue dei martiri. « Che bisogno ha Egli di carne, rifatta ora senza macchia. Che bisogno ha Egli di un cuore che deve sanguinare e soffrire, scegliendo la parte migliore? » domandava a se stessa l’esule poetessa italiana. La risposta è data dai martiri: prese umana carne, umano cuore perché dal suo sangue, dal suo cuore e dalle sue sofferenze gli uomini potessero avere la forza divina di patire e dare per lui il glorioso sangue! Eccoli salgono al cielo agitando corone e palme, seguendo «i fiori dei martiri e le prime gemme della Chiesa nascente in mezzo al verno dell’incredulità e consumate dal gelo della persecuzione »: i Santi Innocenti, dei quali sì bellamente canta Prudenzio:  Il Redentor sue vittime/ prima i scelse: voi/della sua nuova legge/e de’ martiri suoi/ siete tenera gregge; – e in olacausto offerti/sull’are insanguinate/colle palme scherzate/e con i serti! (Prudenzio: 32 e 88 strofa dell’inno famoso: Salvete fiores martyrum (Cfr. Fest. SS. Innoc.) Trad. di L. Venturi — Cfr. Apoc. VI; 9). – Gli angeli si chiedono: Qui sunt hi et unde venerunt? Ed il Padre afferma deciso: Hi venerunt de magna tribulatione et laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Apoc. VII; 14). In quel loro martirio c’è il martirio stesso del Cristo; in quel Sangue lo stesso Sangue del Cristo ch’è il Rex gloriosus martyrum (Br. Rom. Comm. pl. Mart. Hymn. ad Laud.). E l’uomo è sublimato sino al soglio di Dio, dopo la vittoria conseguita sul dragone pel Sangue dell’Agnello: hi vicerunt draconem propter sanguinem Agni! Laverunt stolas suas in Sanguine Agni (Ap. XII, 11)! Ideo, coronati, triumphant (Cfr. Sap. 4; 2.)! Ma il valore del Sangue si desume ancora dalla causa per cui il martire lo sparge. Il sangue del martire cristiano acquista un valore più alto d’ogni martire, in quanto è sparso per una idealità suprema: la Fede: confessi sunt Christum! È l’apoteosi della virilità cristiana quel sangue. Quel sangue è sparso per un amore supremo, quello per Dio. L’olacausto del martire è il riconoscimento pieno dei diritti di Dio sulle creature, la distruzione di tutto l’essere per l’atto sublime del sacrificio; sicchè Ireneo poteva dir con ragione che il martire diventa altare e sacrificio insieme. Ecco perché sotto la pietra sacra dell’altare ci sono le ossa dei martiri, ed i Greci nei Dittici ne esaltano la memoria che in benectione est (Cfr. Eccl. IV; 7)! I malvagi che li percuotono non sanno immaginare in essi che insania, vano furore, fanatismo; ma debbon poi confessare che s’allontanarono dalla via della verità: locuti sunt falsa (Ps. LVII, 4)! La Scrittura raccoglie il loro straziante lamento: Nos insensati! vitam illorum æstimabamus insaniam et exitum illorum sine honore! Ecce quomodo computati sunt inter filios Dei, et inter sanctos: sors illorum est (Sap. V., 4)!Si spiega così il culto dei martiri nelle Catacombe. Pie mani ne raccolgono i resti, li ravvolgono in preziose stoffe, li adagiano nei loculi; accanto ad essi pongono l’ampolla del sangue; li chiudono con una lapide che, dopo il loro nome porta l’invocazione, la preghiera: Vivas in Deo… Ora pro nobis (Man. Arch. Marucchi, Armellini ete., passim.)! Negli arcosoli, dominati dalla ieratica figura di una orante con le braccia stese e gli occhi grandi ripieni di Dio, son deposti sotto l’altare dell’Agnello i martiri che, come nella visione apocalittica, gridano al sommo Martire: Usquequo, Domine, non iudicas et… non vindicas sanguinem nostrum (Ap. VI, 10)! L’ultimo atto della loro vita non è segnato colla macabra parola che rattrista; fine, morte. La Chiesa lo definisce dies nataliîs, natalicium martyris (Cfr. Martyrol. Roman.). Presso quelle membra anche Damaso Papa vorrebbe sua condere membra, ma teme di vexare con la sua indegnità le loro ossa gloriose (Cfr. Lessico Ecclesiastico, vol. II, pag. 952 seg. Milano, Vallardi, 1902 Iscrizioni Damasiane). Ecco perché i Cristiani, come il gran Papa, cantore delle gesta dei martiri, amano, desiderano ardentemente seguirli nella morte cruenta, per amor di Cristo, come la piccola Agnese che si slaccia dal grembo della nutrice per presentarsi al tiranno, sfidandone la rabbia e dichiarandosi pronta alla morte pel suo Sposo; esser sepolti ov’essi son sepolti; e – pegno di protezione altissima – conservano gelosamente sul petto, vicino al Vangelo, i lini inzuppati nel sangue spicciato dalle loro membra percosse, colato sulla terra santificata! – Pieghiamoci, in riverenza, di fronte a quei nomi, a quelle vite, a queste ossa, a questo sangue! Baciamo quelle tombe che sono are, quelle lapidi tepide ancora del sangue versato per Cristo! Veneriamo quei santi dalla purpurea aureola; preghiamo di esser degni del loro sacrificio, della loro testimonianza!

III.

Il Sangue di Gesù

Ma cos’è questo venerando sangue di fronte a quello versato da Gesù? Chi è Gesù? La poesia ne ha esaltato sembiante e nome. « Un agnello è innocente e mite sulla morbida erbosa zolla; e Gesù Cristo, l’Immacolato, è l’Agnello di Dio. Egli solo è immacolato sulle ginocchia di sua Madre, bianco e rosso, ahimè !.. presto sarà sacrificato per voi e per me! Eppure agnello non è parola abbastanza soave, né  è giglio nome abbastanza puro, e un altro nome ha scosso i nostri cuori, avvivandone la fiamma: Gesù! Questo nome è musica e melodia; il cuore col cuore in armonia, cantiamo ed adoriamo »! Qual è il tuo nome? – gli chiede il Thompson – Oh! Mostramelo ». E Gesù risponde: « Il mio nome non potete saperlo: È un avanzarsi di bandiere, uno sfolgorare di spade; ma i miei titoli che son grandi non sono essi nel mio costato? – Re dei Re – son le parole – Signore dei Signori (Francis Thompson, in Poems: The veteran of heaven, I. pag. 149) »! Storicamente è il più saggio dei sapienti; L’aquila di Stagira non ha ali sufficienti per raggiungerlo nel volo: la Sua sapienza è infinita, in Lui sunt omnes thesauri sapientiæ et scientiæ (Lit. del S. Cuore. – Coloss. II; 8) – Il più eccelso dei filosofi, Socrate impallidisce dinanzi a Colui che investe della sua luce tutti i problemi dello spirito, scoprendone le meraviglie: Dante te illis, omnia implebuntur bonitate (Ps, CIII, 28) – I più grandi dei legislatori, Numa Pompilio, Licurgo, Solone paion pigmei nelle loro leggi che sovente giustificano anche il delitto, come la servitù, l’uccisione dei vecchi e dei bimbi malati, il divorzio! Egli stesso è la legge immacolata che india le anime: Lex tua immaculata, convertens animas (Ps, XVIII, 8)! Poeti, oratori, guerrieri non gli stanno a petto. Il Vangelo offusca Omero e l’accieca con la sua grandiosa semplicità. Demostene e Cicerone diventan pedestri dinanzi al Sermone della montagna. Cesare ed Alessandro si arrestano nelle loro inutili stragi di fronte ad una forza che pretende solo il suo sangue per salvare l’umanità: l’amore che ogni cosa vince, Omnia vincit amor (Virgilio, Eglog. 10; 69)! Ma Gesù, vivo e vero nella sua incompresa grandezza, balza dal Vangelo. – Io ed il Padre siamo una cosa sola (Jo. X, 30)! Io sono nel Padre, Egli è in me! Chi vede me, vede mio Padre (ibi XIV, 9)! dice a Filippo. Io son la via, la verità, la vita (ibi, XIV, 6). Son l’alfa e l’omega (Apoc. 1; 8.). Io son la luce del mondo (Joan VIII, 12). Io la fonte che disseta perché contiene le acque che risalgono alla sorgente della eterna vita (ibi, IV, 14).- Io sono il pane di vita disceso dal cielo (ivi VI. 35). Ecco le sue affermazioni apodittiche. Questi è il mio Figlio diletto nel quale ho poste le mie compiacenze!dice Dio Padre sul Giordano e sul Tabor ( Marc.1; 11 — Lc. III. 22). Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt. XVI, 16)! testimonia San Pietro. – Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo (Joan. I, 29)! – proclama Giovanni dinanzi alle turbe. – Avete crocifisso il Re della gloria; voi avete ucciso Dio! dichiarano Pietro e Paolo a Giudei indurati. Gli angeli stessi, vedendolo salire, possente, col segno della gloria incoronato si chiedono: Quis est iste qui venit de Edom, tinctis vestibus de Bosra iste formosus în stola sua (Is. LXIII, 1)? E si senton rispondere: – Egli è il Re della gloria che sale con le vesti bagnate di sangue (Is.)! – E Cristo entra nella gloria del Padre! In Lui – sappiamo dalla Fede – la divina natura è uguale a quella del Padre e dello Spirito Santo, ma la sua Persona, quella del Verbo, è distinta da quelle del Padre e del Paraclito. QuestoVerbum, genitum non factum (Credo), consustanziale al Padre, Dio vero da Dio vero, eterno, ante omnia sæcula genitus (Symb. Atan.), prende, nel tempo, la umana natura nel seno immacolato di Maria; l’assume nella sua Persona e diviene uomo senza lasciare di essere Dio; verus homo ex substantia matris in sæcula natus (c. s.). Questa incarnazione non è una conversione della divinità nella carne, ma assunzione della umanità in Dio: non conversione divinitatis in carnem, sed assumptionehumanitatis in Deùm (Can. Miss. Praef, Nativ. – Symb. Athan ). È il Verbum caro factum (Joan, I, 14).In Cristo. due nature dunque: la divina e l’umana, ma unica la Persona. Or le azioni, non son della natura ma del supposito,della Persona: actiones sunt suppositorum (S. Th. III, q 19, ad 1). E poiché in Cristo la Persona è divina, divine sono le sue azioni. Sicchè quel Sangue purissimo natus ex Maria virgine (Sym. Ap.), è divino, perciò preziosissimo. Quando si effonde sul Calvario ha un valore divino, perciò preziosissimo.Quando si riversa sull’umanità per riscattarla e purificarla, la sua azione, la sua efficacia son divine, perciò Sangue preziosissimo!Sono adunque preziosissime anche le ragioni per cui Egli lo versa.

a) Ripara infatti l’onore del Padre offeso dall’uomo, con l’onore a Lui reso con l’effusione del sangue: obtulit semetipsum Deo (Heb. IX, 14), e pacifica l’uomo con Dio: pacificans per sanguinem crucis ejus sive quæ in cœlis sive quæ in terris sunt (Coloss. 1, 20). Ma una tale riparazione, una tal pacificazione sono di valore infinito.

b) Redime l’uomo peccatore..- Il Sangue ha una sua peculiare virtù redentrice. Quello di Virginia libera Roma dai Tarquini, quello di Lucrezia l’affranca dai Decemviri, quello delle rivoluzioni dà un nuovo orientamento alla storia. Ma il Sangue di Cristo ha dato l’assetto definitivo all’uomo, sciogliendolo dai vincoli del servaggio, liberandolo dalla pena eterna: redemit de domo servitutis (Deut. 13,5- Galat. 3, 13 – Tit. 2, 14)! Quel Sangue è sborsato per testimoniare la verità: ad hoc veni in mundum ut perhibeam testimonium veritati (Joan XVIII, 37). E la verità è questa: il mondo deve riconoscere Iddio per suo Padre, ed amare il Figlio che l’ha redento: hæc est vita æterna ut cognoscat mundus Patrem et quem misit, Jesum Christum (1 Joan, 5, 6.). L’Agnello di Dio s’immola per affermar questa verità che ha bandito solennemente dinanzi al popolo, al sinedrio, ai tribunali; ed il sangue e l’acqua che escono dal suo cuore, sulla croce, ne sigillano l’infinito amore: hic est qui venit per aquam et sanguinem; non in aqua solum sed în aqua et sanguine (ibi, 18, 3).

Ecco il Sangue preziossimo!

Or, se a Dio si deve l’adorazione ed a tutto ciò che a Dio appartiene come sua essenza e natura, il Sangue preziosissimo, che al Verbo fatto carne appartiene come sua essenza e natura, è degno della nostra adorazione: Dignus est Agnus accipere honorem, gloriam et benedictionem, quia occisus est et redemit nos in Sanguine suo ( Apoc. V, 12)!E noi dobbiamo, tremanti, piegare i ginocchi dinanzi al prezzo di tanto valore, e cantar con la Chiesa al Re dei Martiri: Christum Dei Filium, qui suo nos redemit sanguine, venite, adoremus (Brev. Rom.)!

Esempio:

L’illustre storico Cesare Baronio dell’Oratorio, discepolo insigne di San Filippo Neri, nei suoi Annali, all’anno 446 riporta questo mirabile fatto. In Costantinopoli, un giudeo, di notte, preso un Crocifisso ch’era avanti la casa di un Cristiano l’immagine sfregiò sul volto, e da questa spiccò tepido sangue. Atterrito il sacrilego corse a gittarla entro un pozzo vicino, tornandosene poi in fretta, a casa, ove raccontò tutto alla moglie. Il giorno dopo, la gente che andava ad attingere l’acqua vide con grande sorpresa che essa era tutta rosseggiante di sangue. Giunta la inusitata novella all’orecchio del Prefetto della città, e sospettando questi giustamente che entro il pozzo vi fossero uomini trucidati, ordinò che fosse vuotato. E vuotato che fu, ecco ritrovato il Crocifisso, che ancor versava sangue dalla ferita infertagli. L’imperatore, pur di conoscere la verità dell’accaduto; promise il condono d’ogni pena al reo, purché da se stesso si costituisse. Prima la moglie, poi il giudeo si presentarono lagrimanti, e confessarono schiettamente il delitto. Ma quel sangue gridò misericordia, non vendetta. Compunti a tanto miracolo, chiesero il battesimo ed abbracciarono la fede di Gesù Cristo, divenendo così, da nemici, suoi consanguinei! Il pozzo, essendo poco distante da Santa Sofia, vi fu raccolto con l’erezione di una nuova Cappella che si chiamò del Pozzo santo. Su questo fu posto un coperchio d’oro, sormontato dal prodigioso Crocifisso. Ancora una volta Gesù aveva mostrato di qual valore infinito fosse il suo Sangue! E come Egli è disposto, anche dopo il Calvario, a versarne, per nostro amore, dell’altro ancora! Anima mia, vedi quanto tu vali? Pretium sanguinis es (Mat. XXVII, 6)! Fedeli, non con oro od argento corruttibili voi siete stati redenti, ma col Sangue del Figlio di Dio, col suo Sangue preziosissimo: non corruptibilibus auro vel argento redempti estis, sed pretioso sanguine quasi Agni immaculati Christi (1 Piet. I, 18)!

Preghiera

O sangue che i martiri esaltano nel Cielo perché il loro prezioso divenne per la tua preziosità, pel tuo valore; o Sangue che fosti per essi forza e resistenza, gaudio gloria, Sangue di un Dio, perché unito alla Persona santissima del Verbo, Sangue che fosti versato per amore supremo onde placare il Padre, redimere il peccatore, render testimonianza alla verità, sii tu benedetto ed adorato! Ai tuoi piedi non Giuda, che lo sprezza, ma Giovanni che se ne abbevera, nei figli che riconoscono la preziosità che ogni anima ha reso preziosa, per gridarti: – Misericordia, perdono, amore! – Con tutti i santi del Cielo, coi martiri, con gli Angeli ti lodiamo ed adoriamo; e se indegna è ancora pel peccato la nostra anima, mondala, o prezioso Sangue. È tua! Mondala col tuo bagno salutare che ci renda cherubini innanzi al tuo trono. Ognuno di noi ti prega, o Agnello santo, con la strofe mirabile di Tommaso: Pie pellicane, Jesu Domine, / me immundum munda tuo Sanguine (Adoro Te …)! e tutti, con la voce della Chiesa, nell’inno del ringraziamento: Te ergo quæsumus, tutis famulis subveni, quos pretioso Sanguine redemisti (Te Deum.) – Amen!

Risoluzione

In riparazione della crudele indifferenza di tante anime verso il Redentore, cercate di parlare ogni giorno di questa devozione ed inculcarne la pratica.

(B. Gaspare del Bufalo)

Fiorellino spirituale

O Sangue, medicina delle nostre anime, guariteci!

(S. Caterina da Siena)

Giaculatoria

Factus est Sangue, ineffabile prezzo di vita, a l’alma debole tu porgi aîta!

IL CREDO

Offertorium

Orémus
1 Cor X:16
Calix benedictiónis, cui benedícimus, nonne communicátio sánguinis Christi est? et panis, quem frángimus, nonne participátio córporis Dómini est?

[Il calice dell’eucarestia che noi benediciamo non è forse comunione del sangue di Cristo? Il pane che noi spezziamo non è forse comunione col corpo di Cristo?]

Secreta

Per hæc divína mystéria, ad novi, quǽsumus, Testaménti mediatórem Jesum accedámus: et super altária tua, Dómine virtútum, aspersiónem sánguinis mélius loquéntem, quam Abel, innovémus.

[O Dio onnipotente, concedi a noi, per questi divini misteri, di accostarci a Gesù, mediatore della nuova alleanza, e di rinnovare sopra il tuo altare l’effusione del suo sangue, che ha voce più benigna del sangue di Abele.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Hebr IX: 28
Christus semel oblítus est ad multórum exhauriénda peccáta: secúndo sine peccáto apparébit exspectántibus se in salútem.

[Il Cristo è stato offerto una volta per sempre: fu quando ha tolto i peccati di lutti. Egli apparirà, senza peccato, per la seconda volta: e allora darà la salvezza ad ognuno che lo attende.]

Postcommunio
Orémus.
Ad sacram, Dómine, mensam admíssi, háusimus aquas in gáudio de fóntibus Salvatóris: sanguis ejus fiat nobis, quǽsumus, fons aquæ in vitam ætérnam saliéntis:

[Ammessi, Signore, alla santa mensa abbiamo attinto con gioia le acque dalle sorgenti del Salvatore: il suo sangue sia per noi sorgente di acqua viva per la vita eterna].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA.

LE SETTE EFFUSIONI DEL PREZIOSO SANGUE DI GESÙ CRISTO

Le sette Effusioni Del Prezioso Sangue di G. C. Nel di della Festa. (*)

[D. Massimiliano M. Mesini, Missionario del preziosissimo Sague – Rimini, Tipog. Maolvolti, 1884]

INTRODUZIONE

Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat.

Joan. VII.

(*) Incominciato il devoto Esercizio del Mese il primo Venerdì di Giugno, si termina la prima Domenica di Luglio, Festa del Preziosissimo Sangue. Esposto con solenne pompa il Sacramento, si fa il discorso d’introduzione. Un sacerdote annunzia al popolo ciascuna Effusione, e dopo terminato ogni breve discorso recita cinque Pater, e un Gloria col Te ergo quæsumus etc. Strofette in musica, commoventi, ed acconce si cantano negl’intermedi.

Quanto mai Gesù Cristo ama gli uomini! l’Evangelista Giovanni ci descrive questo innamorato Redentore, quando l’ultimo giorno delle feste sen venne in Gerusalemme, dove trattenevasi tra il popolo deliziandosi di far dimora con esso, benché già i suoi nemici pensassero di ucciderlo. Ben egli vedeva l’interno loro, ben conosceva i segreti e scellerati divisamenti, che alimentavano nella lor mente; non gli era occulto l’odio accanito, che covavano in cuore, e ben lo chiarì, tutto mitezza così interrogandoli: Perché cercate voi di uccidermi? Quid me quæritis interficere? Nondimeno stando Gesù ancora in mezzo al popolo, seguita Giovanni a farcelo vedere in aria dolce e compassionevole, che apre la benedetta sua bocca e grida: Se alcuno havvi, che sia arso di sete, venga da me e beva … si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Ma di qual umore Egli qui parla? Secondo l’interpretazione di molti dotti e pii scrittori, egli allude a quel fiume di Sangue, ch’Egli stava per versare a compimento. della redenzione degli uomini. E di qual sete poi Egli favella? A qual sete vuol Egli recare rimedio? Versando Cristo il suo Sangue per mondarci da ogni peccato vuol Egli refrigerare quella sete ardente, che in noi accendono le smodate passioni, che sono, come febbri cocentissime, al dir d’Ambrogio: Vanis criminum febribus caro nostra languebat, et diversarum cupiditatum immodicis estuabat illecebris. Ah! sì pur troppo è nostra febbre l’avarizia, nostra febbre la libidine, nostra febbre la lussuria. Febris nostra avaritia est; febris nostra libido est, febris nostra luxuria est. Ah! pur troppo è nostra febbre l’ambizione; nostra febbre l’iracondia. A refrigerio adunque di quest’ardente sete, prodotta dalle cocenti febbri delle smodate passioni, ecco che Gesù Cristo con quelle parole tutti invita a partecipare del Sangue da lui sparso; ed a godere dei dolci frutti del gran Prezzo di nostra Redenzione: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Per questo venne già il Divin Sangue fin da remoti tempi figurato in quell’acqua, che sgorgò in larga vena dalla rupe presso l’Oreb per dissetare gli Ebrei, che camminavano per l’arenoso deserto, giacché niente havvi, che meglio refrigeri, quanto le freschissime acque di una fonte: Illis aqua de petra fluxit, tibi Sanguis Christi… Illud in umbra, hoc in veritate. Così S. Ambrogio. Ma il Sangue, che versò Cristo non farà poi altro che refrigerare la sete delle disordinate passioni? Ah! no; sarebbe questo troppo poco per un Sangue di un infinito valore qual è il Sangue d’un Uomo-Dio. Esso donerà ancora ristoro di grazia e di novella forza per l’acquisto delle più belle virtù, e della più elevata perfezione. E ve n’era certamente bisogno; ché troppo fiacche sono le forze dell’uomo dopo la caduta di Adamo, e non valevoli a far cosa, che loro compri l’eterna gloria: troppo è da faticare nel battere la via, che conduce alla perfezione, ed al cielo. Però quel Gesù medesimo, ch’altra volta avea detto: Venite omnes, qui laboratis, et onerati estis, et ego reficiam vos; oratutto pieno di pietà, di misericordia, e d’amore invita aricever questo conforto con quelle parole: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat; chè bevendo non si sente sol refrigerioall’arsura, ma ristoro, e rinfrancamento dal languoreche provavasi. Con questo preambolo adunque entriamo,o carissimi ascoltatori, nel pio Esercizio dello Sette Effusionidel Sangue Prezioso, e dalle diverse circostanze, chele accompagnarono, troveremo nelle prime quattro conche smorzare la sete ardente, che la febbre di smodatalibertà, di onori, di piaceri, di ricchezze cagiona: troveremonelle ultime tre il ristoro di forza, e di vigore, chebisogna per seguir Cristo portando la croce, ed arrivarealla perfezione. Ma lungi di qua, o profani. Lungi diqua, voglio dir voi, che abbeverandovi continuamente alleacque putride e fangose di Babilonia, di queste solo vicompiacete, a queste volete ostinatamente restar attacati, Lungi di qua voi, o increduli, che fate di Cristo una favola, od al più solo un uomo, togliendogli dal capo l’aureola della divinità; voi, che non avete di questo Sangue la fede, che vi bisogna, e senza di cui è impossibile piacere a Dio. Che potrebb’esso fare per voi, se voi lo disprezzate? Potrebb’esso a voi essere viva fonte di benedizioni, se voi lo maledite? Ah! che con voi non ha Gesù, che ripetere: Quæ utilitas in Sanguine meo? Ma che dissi io mai? Ah! vengano, vengano tutti avvivando un pò la lor fede, e con animo ben disposto; ed allora tutt’intenderanno bene, e sentiranno scendersi al core quell’invito di Cristo: Sì quis sitit, veniat ad me, et bibat; e dissetandosi col suo Sangue ne ricaveranno certo abbondante profitto per l’anima.

Effusione 1° di Sanque

Nella Circoncisione

Rimedio alla smodata sete di libertà.

Creato l’uomo ad immagine di Dio usciva egli dalle sue mani per tornare a lui, il quale com’era suo principio, così doveva essere suo ultimo beato fine. Intanto, mentre vive sopra la terra, a conseguire quel fine supremo. Iddio col lume stesso del suo volto, con cui l’ha segnato, ed accende la sua ragione, gli scopre quel fa il bene, fac bonum; quell’ordinem serva, osserva quell’ordine, ch’è il principio d’ogni moralità. A questo ha aggiunto la sua legge positiva, incisa sulla pietra, e tra lampi e tuoni là sulla cima del Sinai, che si scuoteva e fumava, pubblicata al tremebondo popolo d’Israello. Legge, che Cristo stesso venendo sulla terra ebbe di sua bocca confermata. A questa legge divina adunque. e naturale, e positiva deve sottostar l’uomo; a questa deve informar tutta sua vita. S’ei fu da Dio arricchito del nobile dono della libertà, chi vi ha che non vegga, che di questa non deve abusarsi a mal fare, ma deve ognora volgerla al bene, all’osservanza di questa legge, per istare sottomesso, com’è ben giusto, al Legislatore? Nondimeno cominciò Adamo a rompere il freno di questa legge; e la sua progenie avendo in sé trasfusi con quel primo peccato tutti i tristissimi effetti di quello, si sentì bruciar le vene da una febbre d’indipendenza, provò una sete cocentissima di libertà smodata. E per verità, come già Faraone a Mosè, che intimavagli a nome di Dio di lasciar în libertà il popolo Ebreo, ogni peccatore se non con le parole, certo coi fatti dice pieno d’orgoglio: Chi è questo Dio, che vuol signoreggiar su di me, e dettarmi legge, e farmi precetti? Che precetti, che legge, che Dio! Io non lo conosco: Nescio Dominum. (Es. V) Sono libero, e voglio viver libero. E così poi scosso il giogo, pronuncia inoltre quel non voglio servire, di cui a buon diritto si lamenta il Signore: Confregisti jugum, dirupisti vincula, dixisti: Non serviam. (Ger. II) Con orgoglio poi ben più matto frenetici di febbre di libertà oh! quanti ai giorni nostri professandosi per gente del progresso, cioè senza fede, non ammettono Dio, e per conseguenza non ne accettan la legge. Libero pensatore, se mai qui m’ascolti, tu, che non vuoi freno di sorta in fede ed in morale, e ammetti solo quel che ti detta il tuo capriccio, sai tu a chi Giobbe te proprio, più, che altri, assomiglia? Ad uno stolido puledro di giumento selvatico, che non avendo freno, né riconoscendo padrone con erto il collo va vagando per la foresta: Vir vanus in superbiam erigitur, et tamquam, pullum onagri se liberum natum putat. (Job. XI) Ma buon per noi, che quest’ardore di libertà sfrenata è venuto Gesù a refrigerare, e guarir col suo Sangue. Venite qua tutti ed avvivando un pò la vostra fede con cuor ben disposto considerate il Salvator vostro in pargolette membra umane. Guardate; egli è il Figliuol di Dio e però Dio egli stesso, il Re dei re. Nondimeno vestendosi di carne mortale si esinanisce, e piglia la forma di servo: Exinanivit semetipsum, formam servi accipiens. (Filip. II) E questaforma di servo vuol far meglio apparire vagendo bambino Egli, ch’era la stessa Sapienza; ridotto alla debolezza di tenero corpicciuolo Egli ch’era la stessa Onnipotenza. Di più vuole assoggettarsi alla legge della circoncisione, a cui non era certamente tenuto. Dovean circoncidersi i figli prevaricatori di Adamo prevaricatore. Ma a che la circoncisione in Gesù, in cui non era verun neo di colpa, ch’era anzi la stessa Santità? Assoggettandosi poi a questa legale cerimonia veniva ad obbligarsi, come Uomo, all’osservanza perfetta di tutta la legge, giusta quel di S. Paolo: Testificor… omni homini circumcidenti se quoniam debitor est universæ legis faciendæ. (Galat. V) Etutto questo perché mai Egli compie se non per nostra istruzione, ed esempio? Per nostra istruzione, ed esempio sottomette il suo tenero corpicciuolo a quel vaglio doloroso.N’è anzi bramosissimo. Quanto gli tarda, che venga alfine il momento! Quante volte in quei primi otto giorni di sua vita mortale va ripetendo quelle parole, che furono a lui riferite dall’Apostolo Paolo: Corpus… aptasti mihi… tunc dixi: Ecce venio. (Hebr. X) Tu mi hai dato, o Padre celeste, un corpo perch’Io patisca: eccomi pronto, eccomi pronto a versare anche il Sangue: Tunc dixi: Ecce venio. Su via, cali dunque l’affilato coltello,e Gesù grondi Sangue. O prime stille preziose, preludio. di quel molto Sangue, che in avvenire sarebbe poi sparso,  io umilmente vi adoro! In vedervi sparse con tanta umiliazione chi non si sentirà dar giù ogni ardore di libertàsfrenata? Chi non imparerà la soggezione, e l’osservanzadella legge da tanto esempio? Sì, o Gesù, vogliamo viverea voi soggetti, ed il vostro Sangue ci donerà ancorala grazia a ciò necessaria. Così noi avremo la vera libertà dei figliuoli di Dio, franchi dalla schiavitù dell’inferno, liberi di quella libertà, che voi ci donaste: Qua libertate Christus nos liberavit. (Gal. IV).

Efusione II°. di Sangue

Nell’Orto del Getsemani

Rimedio alla smodata sete di grandezze.

All’Orto del Getsemani, uditori, andiamo all’Orto del Getsemani, dove Gesù recasi dopo terminata l’ultima cena. Già è arrivata quella notte funesta, in cui Egli deve darsi in balìa de’ suoi nemici; già è arrivato il tempo di quel battesimo di Sangue, di cui favellava sì spesso con grande commozione del suo cuore, ed a cui anelava ardentemente: Baptismo habeo baptizari, et quomodo coarctor usque dum perficiatur? Siccome la colpa incominciò nell’Eden tra le piante amene di quell’amenissimo luogo, così Gesù volendo riparar tutto con la redenzione, anche nelle più tenui circostanze, incomincia la sua passione nell’Orto del Getsemani avanzandosi tra il più folto delle piante degli ulivi. Là nell’Eden avea l’uomo peccato per superbia volendo farsi simile a Dio col prestar fede alle false promesse del Serpente: eritis sicut Dii. Qui nel Getsemani Gesù si umilia, si abbassa, quanto mai può abbassarsi un Uom-Dio, facendo la figura di peccatore. Maladetta superbia! Te vedeva il Redentore attecchire nei cuori di tutta la schiatta del primo Parente prevaricatore. Quanta vanagloria di ciò che non era infine che dono di Dio! Quanta jattanza ed arroganza nelle parole! Quant’orgoglio nel tratto! Che ambizione d’onori e dignità, tanto più grande, quant’era più piccolo il merito! Maledetta superbia, te vedeva nei filosofi sprezzar la stessa rivelazione, e te. udiva pronunciare quelle ardite parole: La ragione basta a sé stessa. Vedea quinci germogliare, qual malefica pianta, quella scienza, che tanto va più tronfia, e si accatta plauso, quanto più fa pompa di ateismo, ed esclude Iddio, e Cristo. Sì, tutto questo vedea il Redentore; ed ecco che si accinge a portare il rimedio, opponendo a tanta alterigia la più profonda umiltà. Caricatosi di tutti i peccati degli uomini per offrirsi egli vittima per tutti al Padre, non disdegna di apparire l’ultimo dei mortali, novissimum virorum; non dubita di divenir Egli la stessa maledizione: Factus pro nobis maledictum. Ma, oh Dio! quanto di pene gli costa questo abbassamento! Coperto della più gran confusione, tutto acceso di rossore nel volto, trema a verga a verga in tutto il corpo, e si prostra con la faccia per terra, ché più non osa di levarla al cielo. Si sente occupar l’anima da una tristezza mortale: Tristis est anima mea usque ad mortem; chè innalzato ha la Giustizia di Dio come un muro di divisione tra la parte superiore, ed inferiore dell’anima, per cui non più il gaudio ha questa della visione beatifica, che quella gode. Parla col Padre, ma non più con quella confidenza, ch’avea altre volte. Altre volte, quando volea operare anche i più stupendi prodigi, dicea: Padre lo voglio: Pater volo. Ora: Padre, se è possibile, passi da me questo calice. E poi ben tosto con uno sforzo generoso l’accetta, sottomettendosi alla volontà di Lui. Ma che stretta ei prova in suo cuore! Agonizza, cade bocconi al suolo; e per la piena dei tempestosi affetti, che intorno si serrano al suo cuore, e gli fan groppo; tanto questo si ristringe, che non potendo aprire per i suoi seni il varco al Sangue, da sè lo respinge; ed il Sangue rigurgitando, impedita la libera circolazione, per non usate vie trasuda da tutto il corpo: Factus est sudor ejus sicut guttæ Sanquinis decurrentis in terram. (Luc. XXII) Uditori, mirate di quel Sangue imporporate l’erbose zolle, inzuppato tutto il terreno.Ah! se voi pure una febbrile sete accende di grandezze, di onori, d’un vano sapere, di fasto immoderato, a cui la vostra superbia aspira, qua venite a sedarla nel Sangue da Gesù sparso fra tante umiliazioni. Sentite le voci di Gesù, che v’invita: Si quis sitit, veniat ad me; et bibat. Venite; ché quel Sangue è pieno di divina virtù.Ed accogliendo nel vostro cuore sensi di verace umiltà,su accorrete a confortare Gesù, ed a sollevarlo di terra,dove in tant’agonia fu prostrato, perché umiliatosi pernoi, perché fattosi per noi la stessa maledizione: factus pro nobis maledictum. (Gal. III).

Effusione III° di Sangue

nella Flagellazione

Rimedio alla sete smodata di piaceri.

Povera natura umana! Dopo che fosti caduta dallo stato d’integrità e d’innocenza primitiva, come ti sei fatta inferma, e ferita rispetto a ciò, che eri prima, per la ribellione della parte inferiore alla superiore, per lo scompiglio di tutte le passioni. Un’altra febbre in fatti, la febbre della concupiscenza della carne tutti gli uomini assale ricercandone ogni vena; e penetrando talora fin nell’ossa non dà lor tregua, e pace giammai; e sfiorate, lor dice, sfiorate pure i più vaghi prati della lussuria, assaporate ogni dolcezza della voluttà. E tanti, e tanti a tali voci prepotenti non sono tardi. a gustar ogni diletto, e tutto vuotare sino all’ultima feccia il calice degl’immondi piaceri. Così avviene pur troppo, o ascoltanti, per la infermità della nostra natura. Che sarà poi, se tolgasi ogni freno di mortificare la carne, se le si diano a pascolo e fomento mille incentivi di soverchie morbidezze, di cibi deliziosi, di spiritose bevande, d’un vestir ricercato ed immodesto, di vezzi i più passionati? Ai nostri giorni poi, che si fa di tutto per condurre i cristiani a vivere alla pagana, si vien fuori col dire, che macerazioni, astinenze, digiuni non si confanno più a questi tempi di luce e di progresso, i quali domandano la riabilitazione della carne. Riabilitazione della carne? E che intendete voi con questa parola, se non accarezzare la carne, e contentarla in ogni sua turpe voglia? Riabilitazione della carne? E non sapete voi, che Gesù Cristo col suo patire volle la santificazion vostra, come dice Paolo ai Tessalonicesi, e che voi vi asteniate da ogni opera immonda, affinché ognun di voi possieda il suo corpo, come vaso di santificazione e di onore? E non sapete voi, che Gesù Cristo venne a riformar questa carne, che vuolsi ora riabilitare, e di sordida e sensuale ch’era, a renderla santa, ed immacolata, ed irreprensibile al suo cospetto, come dice il medesimo Apostolo ai Colossesi? Che se Gesù venuto a riformar la vostra carne, non vuole poi preservarvi dalle tentazioni del senso, ciò fa perché abbiate ancor voi la vostra parte in questo solenne trionfo sopra la carne medesima, tenendola in freno, e mortificandola. E voi questo ricuserete? Forseché Cristo non ha fatto abbastanza, e non ha anche troppo sofferto per parte sua? Per riformare la vostra carne, e per darvi forza a tenerla in freno Egli si è assoggettato nientemeno, che alla crudele flagellazione, a cui condannollo Pilato; e voi ben potete ciò rilevar dalle circostanze. Si tratta qui di rimedio ai rei diletti sensuali del corpo. E Gesù il corpo suo, non formato da seno macchiato di colpa, come ogni altro corpo umano, ma dal seno di Madre vergine per opera solo dello Spirito Santo; il suo corpo dotato d’una purezza infinita, come corredo dell’unione ipostatica, senza riserva alcuna tutto intero consegna ai colpi dei flagelli. Si tratta qui di rimediare ad abusi di nudità scandolose; e Gesù soffre d’essere spogliato delle sue vesti, né fa calare gli Angeli dal cielo a coprire con le loro ali una nudità così sacrosanta. Anche qui ei versa Sangue una terza volta, Sangue vergine, immacolato, come la sua carne, acciocché i sensuali ammorzino l’ardore della concupiscenza, che li asseta fino al peccato, e non pongano le loro delizie in immondezze: Si quis sitit veniat ad me, et bibat. Ed oh! in quanta copia ei lo versa!Già legato alla colonna, una furia di colpi spessi e pesanti si rovescia sulle delicate membra, qual fitta gragnuola cade rovinosa a battere le mature e biondeggianti spighe di un campo. Si ripetono a centinaja i colpi,e la carne avvizza, si pesta, rompesi la pelle, e le belle membra di Gesù s’impiagano. Anzi dalla pianta dei piedi sino alla cima del capo non vi è alcuna parte più sana, a planta pedis usque ad verticem capitis non est in eo sanitas, (Isa. I) e nondimeno si batte ancora. Già alle piaghe si aggiungon le piaghe, ché non più a centinaja, ma a migliaja si ripetono i colpi, super dolorem vulnerum meorum addiderunt, (Ps. LXVIII) ed ancora si batte. Si spargono minuzzoli di carne per l’aria; di Sangue sono inzuppati i flagelli; di Sangue è tinta la colonna; diSangue è tutto bagnato il terreno; di Sangue sono aspersii carnefici stessi. Oh! basta, basta, o mio Gesù. Sì,voi avete fatto anche troppo per rimedio della nostra concupiscenza.A noi stanno meglio quei flagelli per punire questa carne, che si ribellò allo spirito, e per tenerlanell’avvenire in freno. Su, è tempo di mutar vita, e di. far buoni propositi. Dite adunque, ascoltanti così: O Gesù,noi vogliamo far parte di quella eletta schiera, che vive in continenza, e castità. Prima che voi veniste a compiere la redenzione, pochi furono i Giuseppi, poche le Susanne; ma dopo è ben grande la schiera non solo di casti, ma di vergini ancora, che vengon dietro a Voi attratti dal soave olezzo, che manda il vostro Sangue purissimo. Anche noi, se non tutti vergini, certo almen casti nel nostro stato di vita vogliamo essere, casti nel matrimonio elevato a sacramento, ché anche in questo non è lecito abbandonarsi a certe turpitudini. Lo promettiamo, o Gesù: Gesù, lo vogliamo. Confortateci con quella grazia, che ci meritò il vostro Sangue sparso sotto i flagelli.

Effusione IV.° di Sangue

Nella Coronazione di Spine.

Rimedio alla sete smodata di Ricchezze.

Sazi non sono i carnefici d’incrudelire contro di Gesù, che, qual mansueto agnello sotto le forbici del tosatore, non manda un lagno; ma neppur sazio è Gesù di patire, e di versar Sangue. Era Egli stato calunniato di aspirare ad uno scettro, e ad una corona, e di volersi fare re. E quella insolente soldatesca preparagli perciò un nuovo tormento tra i più amari scherni, ed i motti più frizzanti. Messolo a sedere sopra di un sasso, gli mettono indosso un cencio vilissimo di porpora, in mano una fragile canna per iscettro. Manca la corona. Di che la formeranno essi? Prendono un manipolo di spine lunghe ed acute, e ne fanno un diadema, che pongono sulla testa di Gesù: Milites plectentes coronam de spinis, imposuèrunt capiti ejus. (Joann. XIX) E càlcanlo con bastoni, perché quelle spine ben addentro s’infiggano nel capo, ed alcune anche nel cervello. Oh Dio! Che spasimo atroce in questa parte più delicata dell’uman corpo, dove tutti i nervi per la spina dorsale si rannodano! Se una spina sola confitta nella parte più callosa d’ un piede d’una belva la fa fuggire ruggendo dal dolore per la foresta, che tormento crudelissimo non avrà poi provato Gesù con tante spine nel capo? Qual terra mai incolta, all’aratro restìa, e solamente ingombra di triboli e spine porse un sì lugubre dono al Redentore? Quale spietata mano ebbe quelle spine seminate? Ahi! che così ispida corona rosseggiando del Sangue di Cristo muta le acute punte quasi in rose: Christi rubescens Sanguine aculeos mutat rosis. Ahi! che cangia di colore il bel volto di luî, e impallidendo vede già avvicinarsi la morte. Ed intanto il Sangue fila giù per la fronte, e tutte ne tinge le guance in maniera che ben avveransi le parole del Profeta: Non est species ei, neque decor, et vidimus eum, et non erat aspectus. (Isa. LIII) Ma perché questo novello tormento? Perché ancora questo Sangue? Anche qui un’altra volta grida Cristo: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat, perché vuol porgere un refrigerio ad un altr’ardentissima sete, ch’è nel mondo, alla sete delle ricchezze.Questa sete, più si fanno acquisti, più si tesoreggia, e più cresce, come avviene all’idropico, che più beve l’acqua, a cui tanto anela, e più resta arso ed assetato: Plus bibuntur, plus sitiuntur aqua. E per acquistare, e per arricchire quante ingiustizie si commettono,quante frodi s’intessono! Che sordide usure! Che rapacità coperte, cercando di abbellirle con uno specioso titolodi compenso, di annessione, o di altro! Troppo era dunque necessario, che col suo Sangue, da cui esce una Virtù divina, anche a questo recasse rimedio il Salvatore. Vedete qui, come in fatti tutto spira distacco dai beni del mondo, come tutto spira amore alla povertà. Trattato è Cristo da re di scherno solamente, mentr’Egli è vero Re del cielo, e della terra. Quindi non tesori, non splendido trono, non ricca veste, non preziosa corona, non aureo scettro: ma un sasso è il soglio; ma un cencio dicolor rosso è la porpora, che mal lo ricopre; ma lo scettro: è una fragile canna; ma la corona è d’irte e pungentissime spine. Sì, di quelle spine ha cinto il capo, a cui Egli stesso assomigliò le ricchezze nella parabola della semente evangelica, ed il reo abuso qui ne sta pagando, e la immoderata sete spegnendo col Sangue, che da tante trafitture si spreme. O voi adunque, che abbondate di ricchezze, non vogliate con la virtù, che da questo Sangue si diffonde, attaccare il cuore ad esse: Divitia sì affluant, nolite cor apponere: (Ps LXI) Non vogliate esser tutti in arricchire, niente curandovi poi dell’anima vostra, ch’è il vostro meglio. O voi, che poveri di beni di fortuna invidiate i ricchi, e ne agognate gli averi, pigliandovela spesso con la Provvidenza Divina, che non abbia egualmente spartito i beni della terra, e questa egual partizione sognate, che il socialismo sogna e falsamente promette, guardate qua Cristo, che in mezzo a tanta povertà: d’ogni cosa versa Sangue con una povera corona di spine sul capo, e sanate le illusioni della vostra mente, cui la passione delle ricchezze fomenta. O voi finalmente, se qui siete, che non dubitate sacrileghi di stender la mano: rapace su ciò, che appartiene alla Chiesa, comprandone a’ mostri giorni i poderi e gli arredi preziosi, ah! rammentatevi, che voi riducete Gesù Cristo altra volta ad un cencio di porpora, ad uno scettro di canna, ad una corona di spine. Voi, quanto è da voi, altra volta gli spremete Sangue. Ah! badate, che con quel Sangue, col quale dovevate recar rimedio alla vostra passione delle ricchezze, non si scriva l’eterna vostra condanna. Tremate, che quella corona d’ignominia, che si muterà un giorno in corona di gloria, cagione ai Santi di gaudio perpetuo, per voi non si tramuti in corona di terribil giustizia. Ahi! di questa corona vedranno un giorno gli empi cinto Gesù Cristo, vedranno, e periranno: Videbunt eum impiù in corona justitia, et peribunt. (Bernar. Serm. 50).

Effusione V° di Sangue nel viaggio

al Calvario

Conforto nella via della Perfezione.

Poco era a Gesù sanare con lo spargimento del suo Sangue tante infermità della misera natura umana: poco eragli refrigerare la sete ardentissima di peccato, che mettono le febbri delle passioni: volea di più recare col suo Sangue un ristoro, rinfrancando lo forze dell’anima, perchè coll’adornarsi d’ogni virtù giungesse ad alta perfezione. Ma considerate sapienza, e misericordia del Salvatore. Non si addicono agl’infermi le sublimi altezze: In excelsis infirmi esse non possunt. (Ambros. Lib. 5 in Luc.) E però quando trattasi di sanare refrigerando la sete febbrile delle passioni, ei versa Sangue in basso loco prima di salire il Calvario: Quemque in inferioribus sanat. Ma allorchè vuol donare un conforto ad acquistare la virtù e la perfezione si mette Egli stesso a salire, e segna del suo Sangue la via, acciocché ciascuno, che fu risanato, a poco a poco progredendo di virtù in virtù possa giungere alla vetta del monte della perfezione: Ut paullatim virtutibus procedentibus, ascendere possit ad montem. Eccolo infatti con la croce sulle spalle già per l’erta del Calvario. Trema sotto il peso del grave legno, e debole per mancanza di nutrimento, e tanto Sangue versato, più volte trabocca al suolo, e di nuovo Sangue, che da tante piaghe, e tante trafitture va ancora spargendo, bagna e tinge la strada. Pur non sì dà mai per vinto. È alla cima del doloroso monte, ch’Egli anela; è là, ch’Egli fa tendere i suoi passi, e perciò prosegue la via, benché abbia a patire indicibili pene. Ed intanto ci grida a ciascuno: Veni, sequere me. Vieni, mi segui. Lo so, o Gesù, che seguendo Voi arriverò anch’io sul monte, vale a dire conformandomi al mio esemplare mi adornerò d’ogni più bella virtù, e raggiungerò la perfezione, che Voi volete nei vostri seguaci. Lo so, che diverrò puro, come i gigli, umile e mansueto di cuore, distaccato da ogni affetto terreno, tutto inteso alle cose del cielo. Ma oh! Dio, quanti travagli mi si affacciano! Mi si affaccia l’erta salita, che mi toccherà fare: mi si presenta la croce, che, come Voi la portaste, Voi pur volete, che porti chiunque vi vien dietro: mi si offre quel dover agonizzare fino per l’anima, se decorata la voglio di perfetta virtù. Ma a che t’attristi anima mia, perchè ti conturbi? Quare tristis es anima mea, et quare conturbas me? Quel Gesù, che grida portando la croce: Veni, sequere me, non è lo stesso che invita: Chi hasete di mansuetudine, d’umiltà, di pazienza, di purezza,venga a me, e beva? Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Sì sì, ecco il mio ristoro, ecco il mio conforto nelSangue di virtù divina, cui Egli sparge nel camminodel Calvario. Anderò dunque, calcherò quelle vestige rosseggianti.Anderò dunque tenendo l’invito di Cristo,salirò il monte della perfezione, benché sia monte dimirra, o di amarezza, perché poi si trasmuti un giorno in monte di delizie sempiterne: Vadam, vadam ad montem myrrhæ. E voi, o ascoltanti, che fate? Anche da voi tutti vuole Cristo 1° esercizio delle più belle virtù, e v’invita alla perfezione in quello stato a cui ciascuno è chiamato dal cielo, e con quei mezzi che al proprio stato convengono: Estate perfecti, Egli avea altra volta detto, estote perfecti, vi ripete ora, invitandovi a montare con lui il Calvario; ed è pronto il conforto nel suo Sangue anche per voi. Oh! questo sì, ch’è il vero progresso: avanzarsi di virtù in virtù, e andar ognora perfezionando lo spirito. Altro progresso or non si vuole, che nelle scoperte, nelle macchine, nelle arti. Progresso, ch’io certo non condannerei, se non fosse tutto e solo materiale, senza curare punto lo spirito, e non andasse congiunto ad un progresso spaventoso di malizia e d’irreligione. Oh! si capisca bene una volta, quell’invito, che fa ognora Gesù, e vi si risponda. Allora sì, che si coltiveranno le virtù: allora sì, che splenderà la luce del vero progresso, e fiorirà quella vera civiltà nei popoli, che, vogliasi, o no, consiste appunto nel complesso di quelle.

Effusione VI°. di Sangue

Nella Crocifissione

Conforto ad amare Gesù, ed il Prossimo.

Regina di tutte le virtù è la carità, che dall’ Apostolo venne chiamata la pienezza della legge: Plenitudo… legis est dilectio. (Rom. XIII) E S. Agostino domanda qui giustamente: Dov’è la carità, qual cosa mai può mancare? Dove non è, qual mai cosa può recar giovamento? Ubicaritas est, quid est , quod possit deesse? Ubi autem non est, quid est, quod possit prodesse? E però, se Gesù Cristo, o ascoltanti, volle spargendo il Sangue nellasalita del Calvario darvi un conforto all’esercizio dellevirtù; immaginate voi, se giuntone sulla cima, vorràquesto conforto negarvi, perché l’amiate, ora che laredenzione ha il suo compimento. Ah! questo cuor vostro,ch’è portato naturalmente ad amar Dio, perché fatto perlui, n’avea pur bisogno, acciocché gli facesse batterin alto a meta così sublime le ali, senza mai volgerle in basso. Ed ecco Gesù, che inchiodato sul durolegno della croce versa Sangue dalle ferite delle mani,e dei piedi in tanta copia, che quattro rivi quasi parche scorrano. Ben ora Egli può mostrar in sé avveratequelle parole del Salmista: Sicut aqua effusussum. Ben copiosa è la sua redenzione, se non unasola goccia, che pur era a ciò sufficiente, ma tantoSangue Egli sparge. Ma perché sì copiosa? Data estcopia, risponde S. Bonaventura, ut virtus dilectionis inbeneficii redundatione claresceret. (Bonav. In Euchar. Serm. 27) Perchè in unbeneficio così ridondante la sua immensa carità versodi noi chiaramente si palesi. S. Bernardo ci dà a vederela passione e la carità a contesa tra loro, quella pernostro amore, oh! come a riamar ci conforta il nostroGesù, il, nostro Salvatore, il nostro Dio. Chi non amadunque Cristo, io griderò a tutti con S. Paolo, sia danoi separato: Si quis non amat Dominum nostrum Iesum Christum sit anathema: (1 Cor. XVI) E qual è quel cuorecosì ristretto, che non si senta dilatare in veder Gesù, che sparge Sangue, tenendo stese le braccia verso tutti, anche verso un popolo, che non gli crede, e lo contradice? Qual è quel cuore anche di ghiaccio, che non si sciolga, e si accenda ad amare udendo Gesù, che già esangue in sul morire grida: Tutto è compiuto? Espressione che ben vale l’altra: E che dovea Io fare di più, che fatto non l’abbia? Già prenunciato Egli l’avea: Si exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum. (Joan. XII). Ed ecco, ch’Egli donando a tutti nel suo Sangue un vero conforto ad amarlo, tutti al suo seno dolcemente attrae. Ma l’amor divino non va disgiunto dall’amor del prossimo, e però in questa effusione di Sangue ci dona ancora il conforto alla fraterna carità. Fratellanza, fratellanza universale è il grido favorito dei giorni nostri; ma fratellanza sul labbro, e non nel cuore; fratellanza nelle parole, e non nei fatti. Fu solo Gesù, che spargendo in croce il suo Sangue, e riscattandoci dalla schiavitù dell’inferno ci fece tutti liberi figliuoli di Dio, e quindi tutti fratelli, di cui Egli è il Primogenito: Primogenitus in multis fratribus. (Rom. VIII). Ed ecco perché la sua tenerissima Madre lasciò in Giovanni a noi tutti per madre. Ecco come tutti ci legava in uno con nodo dolcissimo di carità, facendo di tutti un cuor solo. Anche qui, ma con molto maggior efficacia ripete: Hoc est præceptum meum, ut diligatis invicem, sicut dilegi vos. (Joan. XV) E siccome egli amò non a sole parole, ma con l’opera dando il Sangue e la vita, per tutti pregando perdono a chi crocifisso l’avea, donando un paradiso per poche lagrime al ladro pentito, ci conforta col suo Sangue a mostrare questa vera fratellanza con far bene d’ogni sorta al prossimo, anche ai nostri nemici, e ad osservare quel precetto non solo in quanto alla sostanza, ma sino alla perfezione. Oh! sì, o Gesù, noi vogliamo amarti; ché troppo ad amarti ci eccita il Sangue per noi da te sparso: ed in virtù del tuo Sangue medesimo vogliamo amarci tra noi di vero amore, e dare il bello e dolce spettacolo di quella vera cristiana fratellanza, che si predica tant’alto da molti, e molti, e poi si sogna, e si cerca dove non è, e dove non può essere. O Gesù, è il tuo Sangue, che ci grida amore, ed amore accende. Il tuo Sangue è quello, che grida fratellanza, e fratellanza apporta.

Effusione VII° di Sangue

Nella lanciata Conforto all’Unione con Gesù Cristo.

Vuotate le vene di Sangue, Gesù già stremato di forze, dopo tre ore di penosissima agonìa, ha mandato al fine l’ultimo respiro, ed è morto. Or che gli resta più a fare per noi? Ah! dilettissimi ascoltanti, soffermatevi un poco ancora col vostro pensiero appiè dell’albero della croce, e voi vedrete, che non è già morta per noi la sua carità, e dormendo Egli il sonno ferale della morte, il suo cuore però vigila per noi: Ego dormio, et cor meum vigilat. (Cant. V) Già sen viene Longino brandendo una lunga lancia; e mentre ai due ladri, che gli pendono ai fianchi, son rotte le gambe con bastoni, perch’erano ancor vivi, a Gesù è aperto da quella lancia il costato, e lo stesso cuore è trafitto, e da quella larga apertura n’esce Sangue misto ad acqua: Unus militum lancea latus ejus aperuit, et continuo exivit Sanguis et aqua. (Jaon. XIX). Non le strette dell’agonie mortali nell’orto del Getsemani, non i flagelli, non le spine, non i chiodi, che gli fecero spargere Sangue in tant’abbondanza aveano potuto trargli questo piccolo avanzo dai più interni penetrali del suo petto. Ma Gesù di se stesso immemore, di noi solo ricordevole, si fa stringere come sotto un torchio per versarne le ultime stille, e niente di esso si riserva, come canta la Chiesa: Sub torculari stringitur, suique Jesus immemor sibi nil reservat Sanguinis. (Hymn. In Festa Prez, Sang.) E questo Sangue sgorgato dal suo cuore esce qual contrassegno a noi della sua più grande carità, iuvitandoci e confortandoci non solo ad amarlo, ma ad unirci intimamente a lui, giacché effetto di vero amore è l’unione. Per questo stando ancora confitto al legno, se non con la voce, parla però con le braccia distese verso di tutti: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. E mostrando aperto il costato, e ferito il suo cuore, invita tutti ad entrarvi, ed a stringersi fortemente con esso. Chi non vorrà a sì dolce invito, confortato dalla grazia, ch’esce da quel Prezioso Sangue, là correre, qual colombella vola alla sua torre, ed al suo nido, e là starsene unito a cuor sì amabile? Chi di là non griderà con Paolo: Quis me separabit a charitate Christi? Non le vanità del mondo, non i piaceri del senso, non l’amor delle ricchezze, non qualunque tribolazione, e tormento potranno più svellermi da questa dimora di pace, di contentezza, di gaudio, di amore. E se alcuno avesse sete di unirsi più perfettamente a Gesù, nascondendosi affatto entro al suo cuore per non sapere, per non sentir più nulla di questa misera terra, oh! entri, entri pure nei più secreti recessi di quel Cuore ferito, ché quel Sangue, che n’uscì, a tanta perfezione è pur ajuto e conforto. Che dolcezze sono là dentro, tutte di Paradiso! Se un po’ avrà a penare nel distaccarsi affatto da ciò che sa di terra, e nel perdere affatto di vista ciò ch’offre il mondo, inebbriato. da quelle delizie dovrà poi esclamare: Bonum, bonum.. est nos hic esse. Ma col Sangue uscìa dal fianco aperto di Gesù formata Sposa di lui la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato uscìa formata Eva la sua consorte.Quindi è la Chiesa in qualche modo parte delcuor di Gesù. E che vuol dir questo, se non che voi non potete avere intima unione con Gesù, se non istate strettamente uniti alla vera Chiesa; se non ne credete quanto essa propone da credere, se non rispettate la sua autorità, se non osservate i suoi precetti? Ma la Chiesa, vera Sposa di Gesù Cristo è là, dov’è il Successor di S. Pietro, ch’Egli stesso a lei prepose e Capo, cioè il Papa: Ubi Petrus, ibi Ecclesia. E che vuol dir questo, se non che voi non potete essere stretti alla Chiesa, ed uniti al cuor di Gesù, se non istate ancor uniti col Papa, onorandolo come il capo di questa Chiesa, come Pastore, universale, come Maestro infallibile di verità in religione? Questa riverenza, ed unione al Papa in questi giorni, in cui tanto viene bistrattato, quasi fosse un’inutile anticaglia, da riporre tra le ciarpe, è divenuta la pietra di paragone per conoscere chi veramente è seguace di Gesù Cristo, e vero Cattolico. Procuriam dunque d’essere uniti alla Chiesa senza umani rispetti, uniti al Papa coraggiosamente, ed allora star potremo: davvero entro al costato di Gesù accanto al cuor suo in intima unione con esso: anzi chiudendoci entro la ferita del suo cuore grideremo esultando: Bonum, bonum est nos hic esse.

CONCLUSIONE

Eccoci finalmente a chiudere il nostro pio, e devoto Esercizio delle sette Effusioni del Sangue Prezioso. Certamente,  se voi a queste avete assistito con le dovute disposizioni, com’io fin dal principio vi ammoniva, e vi esortava, ne avrete provato fin d’ora i benefici effetti. Avrete sentito appressandovi a bere a questa fontana salutare di Sangue Divino, refrigerio all’ardore delle vostre passioni, conforto a salire il monte della perfezione, ornandovi delle più belle virtù; conforto ad amare Gesù ed il prossimo vostro, e ad unirvi intimamente al Divino Sposo dell’anime vostre. Oh qual desideri di far il bene, già sono spuntati nel vostro cuore! Ma deh! non cessi con questo Mese, e con questa sacra e tenera funzione la divozion vostra. Ah? le febbri delle passioni, sapete, torneranno tante volte ad accendere in voi quella maligna sete; e per salire in alto alla virtù avete bisogno ognora d’ajuto, avete bisogno d’essere confortati. E però vi ripete Gesù non solo adesso, ma dopo ancora: Si quis sitit, veniat ad me, et bibat. Quindi per godere di quel prezioso umore,convien andar a Lui, intendete? andar a Lui: Veniat, e bibat. Vale a dire è necessario, che facciate anche voila parte vostra, se volete che il suo Sangue sia applicatoparticolarmente all’anima. Continuate adunque ad onorareil Sangue di Gesù Cristo con ogni sorta di ossequi,con spesse giaculatorie, con la quotidiana Coroncina, chesul primo mattino si recita in questa Chiesa, con l’intervenirepuntualmente alle sacre funzioni, che si praticano a rendergli quel culto divino, che ben si merita,Ascrivetevi, se non siete ascritti, alla Pia Unione perlucrare anche le sante indulgenze. Contemplate spessocon Bernardo la vaga rosa della sanguinosa Passionedel Redentore, come rosseggi ad indicare l’ardentissimacarità: Rosam passionis sanguinæ, quomodo rubet in indicium ardentissima charitatis. (Bernard. Lib. de Pass. c. 4l.) Entrate, entratespesso nel giardino della divozione, o Cristiani, a coglierviquesta rosa, e portatela sul petto, portatela sul cuore,e vi sentirete refrigerar sempre le passioni, ed ardere dicarità. È il Sangue di Gesù Cristo specialmente nella santaEucaristia qual vino, che inebria i perfetti; come latte,che i deboli pargoletti nutrisce. Su, accostatevi spesso aquella mensa. Su, io vi dirò con Bernardo, affrettatevimeco, o voi tutti, che amate il Signore, a comprarvi conbuone disposizioni quel Preziosissimo Sangue: Properate mecum, qui diligitis Dominum, emite Sanguinem illum Pretiosissimum; e ne godrete, di continuo i frutti salutari.Di quel Sangue imporporati vi vedrà il Demonio, ed atterritofuggirà lontano. Di quel Sangue adorne le anime vostreavranno nella morte incontro gli Angeli, che verrannoper riceverle, e presentarle al cospetto dell’Altissimo.Di quel Sangue adorne entreranno nel cielo a godere lavisione di quell’Agnello immacolato, che vide il rapito di Patmos, ed a cantare insieme a tutti gli eletti quel cantico d’ineffabil letizia, ed a ripetere in eterno: Sia sempre benedetto, e ringraziato Gesù, che col suo Sangue ci ha salvato.