DOMENICA II DOPO PENTECOSTE (2019)

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE (2019)

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Ps XVII: 19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me. [Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene] Ps XVII: 2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus. [Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me. [Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis. [Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III: 13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

I Omelia

[A. Castellazzi: La scuola degli Apostoli – Sc. Tip. Vescov. Artigianelli, Pavia, 1929]

L’ODIO

“Carissimi: Non vi meravigliate se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida; e sapete che nessun omicida ha la vita eterna abitante in sé. Abbiam conosciuto l’amor di Dio da questo: che egli ha dato la sua vita per noi; e anche noi dobbiam dare la vita per i fratelli. Se uno possiede dei beni di questo mondo e, vedendo il proprio fratello nel bisogno, gli chiude le sue viscere, come mai l’amor di Dio dimora in lui? Figliuoli miei, non amiamo a parole e con la lingua, ma con fatti e con sincerità”. (1 Giov. III, 13-18).

L’Epistola è tolta dalla prima lettera di S. Giovanni. Poco prima delle parole riportate, aveva detto che Caino uccise il fratello, perché era figlio del maligno. Caino è tipo del mondo, schiavo del demonio. Non vi stupite quindi — prosegue S. Giovanni — se il mondo vi odia. Ci sia di conforto il sapere che l’amore verso i fratelli è un segno che dalla morte del peccato siamo passati alla vita della grazia. Rimane nella morte, invece, chi odia il proprio fratello, essendo egli omicida e, come tale, escluso dalla vita eterna. Dall’esempio di Gesù Cristo, che ha dato la vita per noi, abbiamo conosciuto qual è la carità vera: essere anche noi disposti a dare la vita per il proprio fratello. Tanto più dobbiamo, almeno, soccorrerlo coi nostri beni quando si trova nella necessità. Senza questo il nostro amore non è né sincero, né utile. Ci fermeremo a fare qualche osservazione sull’odio.

L’odio:

1. Non si può giustificare,

2 Specialmente dal Cristiano che teme Dio,

3 E che non è insensibile alla bontà di Lui.

1.

Chiunque odia il proprio fratello è omicida. È un’affermazione che, sulle prime, sembra esagerata; ma non esprime che la pura verità. Da che cosa proviene l’omicidio? Spesso proviene dall’odio. L’odio spinse all’omicidio Caino, e ne spinse e ne spinge ancora tanti altri dopo di lui. Non sempre colui che odia arriva a compiere l’atto materiale dell’omicidio; ma quante volte l’omicidio è nel suo cuore. Non commette il delitto esternamente perché ha paura delle conseguenze, non tanto da parte della giustizia divina, quanto da parte della giustizia umana. Se non sempre l’odio arriva a tal punto d’essere equiparato all’omicidio, è sempre cosa condannevole, è sempre una cattiva passione. E la ragione e il buon senso insegnano che il lasciarsi dominare dalla passione è un degradare la dignità di uomo, è un andar contro al fine per il quale Dio ci ha creati. Dio ci ha dato la ragione, perché di essa ci serviamo per tendere sempre al bene. Non è sempre in nostro potere di dimenticare le offese ricevute. Ma l’andar sempre rimuginandole, il parlarne sempre, a proposito e a sproposito; dir male del nostro nemico ogni volta che ci capita l’occasione; cercar di pregiudicarne gli interessi, è cosa che dipende dalla nostra volontà, e che non può avere alcuna scusa. Non è sempre in nostro potere di non provare dei sentimenti d’odio; è sempre in nostro potere di non assecondarli. Il dire: non dimenticherò mai il torto ricevuto; un giorno o l’altro quella persona me la pagherà; me la son legata a un dito, ecc. sono disposizioni d’animo poco benevolo, e che vanno energicamente combattute. – Non sarà inutile, poi, considerare che queste disposizioni d’animo fanno generalmente più male a chi odia che a chi è odiato. Questi può non curarsi dell’odio del suo nemico, che intanto è agitato, triste, senza pace. Odio e invidia intorbidano la vita. «L’uomo — dice Giobbe — ha vita corta e piena di turbamento» (XIV, l). E questa misera vita già così corta e piena di turbamento per sé, dobbiamo turbarla ancor più, aggiungendovi di nostro la tortura che porta con sé l’odio?

2.

Noi Cristiani non dobbiamo dimenticare che l’odio è contro il nostro bene spirituale. Chi cova nel cuore un odio grave contro il fratello, non ha la vita eterna abitante in sé; cioè non ha la vita della grazia, e senza questa non può aver diritto alla vita eterna. Chi odia va contro a un comando espresso da Dio: «Non odierai il tuo fratello nel tuo cuore» (Lev. XIX, 17). Gesù Cristo aggiunge: «Amate i vostri nemici: fate del bene a coloro che vi odiano: e pregate per coloro che vi perseguitano o calunniano» (Matt. V, 44). «Se — dice Tertulliano — siamo obbligati ad amare i nostri nemici, chi ci resta da odiare? Così pure, se ci è proibito di rendere il ricambio quando siamo offesi, per non diventare nel fatto pari ai nostri offensori, chi possiamo noi offendere?» (Apol.) Non possiamo né odiare, né offendere nessuno, se non vogliamo perdere la grazia di Dio, e procurarci i castighi di lui. E che Dio castigherà severamente quelli che nel loro odio non vogliono perdonare ai fratelli, è pur scritto nel Vangelo. Il servo spietato della parabola del Vangelo, che non volle perdonare il debito al suo conservo, fu dal padrone consegnato nelle mani dei manigoldi, che lo mettessero in carcere. E Gesù chiude la parabola con questa osservazione: «Così farà con voi il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdonerà di cuore al proprio fratello » (Matt. XVIII, 35). Un giorno il Signore chiamerà il Cristiano ostinato nel suo odio. Sarà una chiamata perentoria. Nessuna dilazione sarà ammessa. Non titoli, non cariche, non grandezza, non scienza, non oro, potranno impedirvi l’andata. E all’andata seguirà un rimprovero da togliere ogni illusione: «Servo malvagio… non dovevi aver pietà del tuo compagno, come io n’ho avuta per te?» (Matt. XVIII, 33) E dopo un rimprovero e un confronto così schiacciante verrà una condanna ben dura: essere dato in mano ai ministri della giustizia divina. – Un giovane indiano di Spokane, nelle Montagne Rocciose, era stato ferito mortalmente da un bianco. Il padre di lui avvisa i missionari, i quale avevano raccolto il moribondo, che se il figlio moriva, egli avrebbe ucciso quanti bianchi poteva. Il padre Cataldo, gesuita, s’incaricò di disporre alla morte l’indiano ferito, e l’avvisò che doveva fare una buona confessione e prepararsi a comparire al tribunale di Dio. Dopo una breve esortazione l’indiano si dichiarò pronto a fare tutto quanto era necessario per salvare la sua anima. Prima della confessione il Padre Cataldo gli domanda, se perdona ai suoi nemici. E il giovane risponde: « Non mi hai detto forse di prepararmi a morir bene e di fare una buona confessione? Come oserei domandar perdono a Dio, se io non perdonassi prima al nemico? » (Celestino Testore, Memorie di un Vestenera, P. Giuseppe M. Cataldo S. J. in: Le Missioni, della Compagnia di Gesù. 1928. p. 442-43). Questo giovane Pellerossa, aveva tratto profitto a meraviglia dal Vangelo, che ci impone di perdonare a tutti, e di non odiar nessuno.

3.

Più che dal timore dei castighi, l’uomo dovrebbe esser spinto ad amare i suoi nemici, anziché odiarli, dalla grande bontà di Dio che ha dato la sua vita per noi, che eravamo peccatori, che non eravamo meritevoli che dei suoi castighi. La sua bontà arriva al punto da ricevere il bacio da Giuda e da chiamarlo col nome di amico, quando questi sta per tradirlo. Sulla croce prega in modo particolare per i suoi carnefici: « Padre, perdona loro, perché non sanno quel che si fanno » (Luc. XXIII, 34). Se è vero che gli esempi muovono più che le parole, nessun Cristiano può rimanere indifferente a quanto ha fatto Dio per i suoi nemici. Nessuno può dire: è impossibile amarli. Dio ci aiuta con la sua grazia a vincere i sentimenti di avversione, di odio che sorgono nel nostro cuore verso dei nostri nemici. « Temete il Signore Dio vostro, ed gli vi libererà dalle mani di tutti i vostri nemici » (4 Re XVII, 39), dice il Signore a Israele. Nessun dubbio che l’odio è un nemico spirituale molto difficile da vincere, se ci appoggiamo sulle sole nostre forze. Non è più invincibile, se con noi c’è l’aiuto di Dio. E Dio che ci comanda di vincer l’odio, ci dà anche l’aiuto necessario a liberarcene. Chi teme di offendere il Signore ricorre a Lui fiducioso, e il Signore lo aiuterà certamente. Ce l’assicura il discepolo prediletto. «Carissimi, se il nostro cuore non ci condanna, abbiamo fiducia dinanzi a Dio: e qualunque cosa domanderemo, la riceveremo da lui» (1 Giov. III, 2-22). Anzi, nella sua bontà ci darà oltre quello che domandiamo. – L’eloquenza del suo esempio, la promessa del suo aiuto ci lasciano indifferenti? Ecco, che si interpone fra noi e il nostro offensore. E’ questo l’ultimo tentativo cui si ricorre quando si vuol mettere la pace tra due persone. Se non si vuole perdonare all’offensore, perché indegno, si perdoni per rispetto alla persona che interpone i suoi buoni uffici. Filemone, ricco benefattore dei Cristiani, ha uno schiavo che fugge, portandogli via del danaro. S. Paolo si interpone e scrive a Filemone: «Se tu mi tieni per tuo intrinseco, accoglilo come me stesso; e se ti ha fatto torto o ti deve ancora qualche cosa, metti ciò a mio conto» (Filem. 17-18). Così fa Dio con noi. Se ti ha fatto torto. — dice al Cristiano che cova l’odio contro il proprio fratello — se ha dei debiti da scontare, questi mettili a mio conto, ecco che io rimetto tutto a posto. Le tue offese contro di me sono innumerevoli, sono gravi. Ebbene, io voglio essere con te tanto buono da perdonarti i tuoi gravi ed innumerevoli peccati se tu perdoni di cuore le poche e leggere offese che ti ha fatto il tuo fratello: «Perdonate e vi sarà perdonato. Date e vi sarà dato: vi sarà versato in grembo una misura buona, piena, scossa e traboccante, perché con la medesima misura con la quale avrete misurato, sarà rimisurato anche a voi» (Luc. VI, 37-38). Hai capito? Dio, tuo giudice, da te offeso, è tanto buono da metterti la sentenza in mano. Sta a te scegliere la sentenza che desideri. Può mai l’odio accecarti tanto da ricusare una condizione favorevole al punto «da mettere in potere del giudicando la sentenza di chi deve giudicare!» (S. Leone M. Serm. 17, 1). Se ancora non sei deciso a cedere sappi che «non potrai trovare nessuna scusa nel giorno del giudizio, quando sarai giudicato secondo la norma da te usata, e tu stesso subirai ciò che hai fatto subire agli altri» (S. Cipriano: De Dom. Oratione, 23). Ma voi non siate di questi. «Con voi sia la grazia, la misericordia e la pace da Dio Padre, e da Cristo Gesù Figliolo del Padre, nella verità e nella carità» (2 Giov. 1, 3).

Graduale

Ps CXIX: 1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me. [Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja [O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja. [Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc. XIV: 16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit coenam meam”.

Omelia II

[A. Carmignola, Spiegazione dei Vangeli domenicali, S. E. I. Ed. Torino,  1921]

SPIEGAZIONE XXX

 “In quel tempo disse Gesù ad uno di quelli che sederono con lui a mensa in casa di uno dei principali Farisei: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. E all’ora della cena mandò un suo servo a dire ai convitati, che andassero, perché tutto era pronto. E principiarono tutti d’accordo a scusarsi. Il primo dissegli: Ho comprato un podere, e bisogna che vada a vederlo; di grazia compatiscimi. E un altro disse: Ho comprato cinque gioghi di buoi, o vo a provarli; di grazia compatiscimi. E l’altro disse: Ho preso moglie, e perciò non posso venire. E tornato il servo, riferì queste cose al suo padrone. Allora sdegnato il padre di famiglia, disse al servo: Va tosto per le piazze, e per le contrade della città, e mena qua dentro i mendici, gli stroppiati, i ciechi, e gli zoppi. E disse il servo: Signore, si è fatto come hai comandato, ed evvi ancora luogo. E disse il padrone al servo: Va per le strade e lungo le siepi, e sforzali a venire, affinché si riempia la mia casa. Imperocché vi dico, che nessuno di coloro che erano stati invitati assaggerà la mia cena” (Luc. XIV, 16-24).

Il Divin Redentore venuto in sulla terra per salvare le anime e guadagnarle a quella felicità eterna, dove, secondo il detto della Sacra Scrittura: i giusti banchetteranno al cospetto di Dio, rivolse anzi tutto i suoi inviti ai Giudei, mercé la predicazione del Vangelo, che fece tra di essi. Ma tra i Giudei solamente alcuni poveri pescatori, alcuni pubblicani e qualche donna accettarono gli inviti di Gesù Cristo, tutti gli altri del resto ricusarono di ricevere la grazia del Vangelo, escludendosi così da per se stessi dall’eterna beatitudine. Perciò affine di mettere altri al loro posto il divin Redentore mandò per ogni dove i suoi predicatori per annunziare il Vangelo ai Gentili e mettere essi sulla via della salute, facendo anche agli stessi una dolce violenza a forza di preghiere e di istanze. Or bene tutti questi fatti sono indicati dal senso letterale della parabola degli inviti respinti, che ci narra il Vangelo di oggi. Ma nel senso spirituale e figurato, questa medesima parabola ci pone innanzi la generale indifferenza, in cui si trovano gran parte di Cristiani per il banchetto Eucaristico. E poiché ci troviamo nell’ottava del Corpus Domini, non potremmo fare una riflessione più a proposito di questa suggeritaci da un tal senso spirituale e figurato.

1. Gesù si trovava in giorno di sabbato a desinare presso uno tra i principali Farisei, che gliene aveva fatto invito. E rivolgendo la parola ad uno di quelli che sedevano con Lui a mensa disse: Un uomo fece una gran cena, e invitò molta gente. Et reliqua…

Da questa parabola, interpretata in relazione alla SS. Eucaristia, è facile di comprendere tosto qual desiderio vivissimo abbia Gesù Cristo, che noi di qualsiasi sesso, di qualsiasi età, di qualsiasi condizione, ci accostiamo frequentemente al banchetto Eucaristico. Imperciocché la gran cena, di cui qui si parla, raffigura appunto la SS. Comunione, e l’uomo che preparò quella gran cena rappresenta Gesù Cristo stesso, come il servo rappresenta la Chiesa, i Sacri Dottori, i Santi, i Pontefici, i Vescovi, i sacerdoti, che a nome di Gesù invitano e insistono, perché si vada, e frequentemente, alla Comunione. Che tale sia realmente il desiderio di Gesù Cristo, nonché da questa parabola, lo possiamo ancor capire benissimo dalle parole, con cui Egli promise questo gran dono e dal modo, con cui lo istituì. – Siccome questo dono di tutto me stesso, questa meraviglia delle meraviglie, Gesù la faceva con trasporto di gioia, così Egli vi pensò di continuo nella sua vita mortale, e prima di operarla volle prometterla. Aveva Egli con uno stupendo miracolo saziate un giorno più di cinquemila persone, quando tornato in Carfanao, vedendosi circondato da gran folla di quella gente, prese occasione di sollevare i loro animi ad un alimento migliore, e loro parlò di quel pane divino, che prima di morire avrebbe dato in cibo alle anime. Disse pertanto: « Io sono il Pane di vita; Io sono il Pane vivo disceso dal Cielo. I Padri vostri mangiarono la manna nel deserto, eppure morirono; ma chi mangerà di questo Pane vivrà in eterno. Il pane che Io darò, esso è la mia Carne, questo Corpo istesso, che Io esporrò alla morte per la salute del mondo ». . Queste parole significano chiaramente che Gesù voleva dare in cibo il suo Corpo vero e reale, e non già una immagine o figura di esso. I suoi uditori medesimi intesero queste sue parole come suonavano, cioè nel loro senso naturale, e non figurato; ma grossi di mente come erano, non sapevano immaginarsi come Egli avrebbe potuto dare in cibo il suo Corpo, senza farlo tagliare a pezzi, come si usa in un macello. Quindi invece di riflettere che quel Gesù, il quale aveva già date in loro presenza tante e sì luminose prove di sua onnipotenza, avrebbe pur saputo e potuto trovar modo di compiere la sua promessa senza spargimento di sangue, si mostrarono increduli alle sue parole e dissero: Come mai può Egli darci a mangiare la sua Carne? Al vedere le difficoltà ed obiezioni che coloro facevano, Gesù non corresse, né punto moderò le sue parole; anzi premendogli che si ritenesse per verità inconcussa, che nella divina Eucarestia Egli avrebbe lasciato il suo vero Corpo, e che si riconoscesse il desiderio vivo che noi ce ne avessimo a cibare, continuò il suo discorso dicendo: « In verità, in verità vi dico, che se non mangerete la mia Carne e non berrete il mio Sangue non avrete in voi la vita: chi degnamente mangia la mia Carne, e beve il mio Sangue, ha la vita eterna, e Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Imperocché la mia Carne è un vero cibo, e il Sangue mio una vera bevanda, che, a diversità di ogni altro alimento, nutriscono l’anima, e sono per lo stesso corpo quale un germe di risurrezione e di vita immortale. Chi mangia la mia Carne, prosegue Gesù, e beve il mio Sangue, sta in me ed Io in lui. Siccome il Padre, che mi ha mandato, è il primo fonte della vita ed Io stesso vivo della vita ricevuta da Lui, così ancora chi mangia la mia Carne vivrà della vita ricevuta da me ». Poteva Egli, Gesù, parlare più chiaro per significare il gran dono, che voleva farci, e per esprimere la sua brama vivissima che noi ci accostassimo sovente a riceverlo? No, le sue parole non lasciano dubbio veruno sulla sua intenzione. Ma non meno chiaramente ci fece intendere questa sua brama nel modo con cui, assecondando la sua promessa, istituì poscia questa mensa di vita eterna. Eccolo pertanto nel Cenacolo in quella sera memoranda, in cui sarebbe stato tradito. In quell’istante Gesù brilla d’insolita gioia, e i sacri raggi del fuoco, che gli arde in petto, gli rifulgono in fronte più vividi che mai. Egli pare in un’estasi d’amore. Egli prende pertanto del pane, e tenendolo nelle sue mani adorabili, alza gli occhi al Cielo, quasi per domandare licenza al Padre di operare quel grande portento, e lo ringrazia di avergliela concessa. Abbassati gli occhi, benedice quel pane, lo spezza e distribuisce ai discepoli dicendo: – Prendete e mangiate; questo è il mio corpo: quel Corpo, che sarà dato a morte per voi. » Parole adorabili, parole onnipotenti! In virtù di esse quel pane, non conservando che le sue apparenze, cangiossi sull’istante nel vero Corpo di Gesù. Quindi preso un calice, vi versa del vino, rende grazie a Dio, lo benedice, e lo dà ai discepoli dicendo: « Bevetene tutti: questo è il mio Sangue, il Sangue della nuova alleanza, quel Sangue, che sarà versato per voi e per molti altri in remissione dei peccati. « Detto, fatto: a queste divine parole il vino mutò sostanza, e rimanendone le sole specie, divenne sul momento Sangue di Gesù, divenne anzi Gesù medesimo, facendosi Egli tutto intero, tanto sotto l’una, quanto sotto l’altra specie. Oh! nessuno certamente porrebbe dire la consolazione che godettero gli Apostoli in quella prima comunione. L’amore, l’attaccamento, che già avevano a Gesù, si accrebbe loro nel cuore mirabilmente. Ma per Gesù non basta il darsi agli Apostoli soltanto. Egli in quella sera di tanto amore ha in mente, e sente nel Cuore tutti coloro, che avrebbero creduto in Lui ed abbracciata la sua Religione sino alla fine del mondo. Perciò a tutti Egli vuole donare se stesso, con tutti Egli brama di starsi unito in dolce amplesso, come un padre, come una madre coi figli suoi. Che fa pertanto? In quella sera medesima crea Sacerdoti i suoi Apostoli, dà loro la facoltà di formarne degli altri, e a questi degli altri ancora sino alla fine del mondo. Poscia a tutti e ai presenti e ai futuri Egli comunica la potestà e il comando di operare quello che operò Ei medesimo, e cangiare il pane e il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, e dice: « Fate questo in memoria di me ». E dove e fino a quando? Dappertutto ove siavi un Sacerdote, e finché Egli torni visibilmente su questa terra, risponde San Paolo. Vedete adunque la bontà grande di Gesù ed il suo amore immenso! Noi non eravamo ancora, eppure Egli già ci vedeva, ci amava, e disponeva di venire a noi, unirsi a noi, stringersi in dolcissimi amplessi con le anime nostre, prima ancora di abbracciarle eternamente in Cielo! Ma così disponendo Egli dimostrava appunto la sua brama ardentissima, che noi andassimo a riceverlo, ed a riceverlo sovente, perché altrimenti come potrebbe in questo Eucaristico banchetto farsi il nostro cibo ed unirsi a noi nel modo più intimo?

2. Tuttavia perché siamo sempre più persuasi di quella sua brama, facendo propriamente come il ricco Signore della Parabola, nel quale si degnò di raffigurarsi, Gesù Cristo manda a manifestarcela il suo servo, anzi la sua Sposa medesima, la Chiesa, la quale è assai più fedele interprete dei desideri del suo sposo, che non lo sia un servo di quelli del suo padrone. – Ed ecco appunto la Chiesa farcisi innanzi, ed a grandi e a piccoli, a ricchi e a poveri, a giovani e a vecchi, a lieti ed a tribolati, agli uomini di ogni condizione, raffigurati nei mendici, negli storpi, nei ciechi, negli zoppi della parabola raccomandare insistentemente che andiamo spesso, e se è possibile anche ogni giorno al banchetto Eucaristico. Di fatti ecco anzitutto gli Apostoli, i quali, immediatamente ammaestrati alla scuola di Gesù Cristo, insegnarono ai primi Cristiani di comunicarsi tutti i giorni, come si legge negli atti Apostolici; pia usanza che durò parecchi secoli, poiché S. Girolamo asserisce che ai suoi tempi perseverava lo stesso pio costume in Roma e nella Spagna. Quando poi i Cristiani si intiepidirono nella pratica della Comunione quotidiana, la Santa Chiesa ordinò che essi si comunicassero almeno tutte le domeniche. E l’uso di comunicarsi ciascuna domenica sussisteva ancora nell’ottavo e nel nono secolo, come si scorge nelle costituzioni dei Vescovi adottate da Carlo Magno. Avendo in seguito i fedeli trascurata anche la Comunione di ciascuna Domenica, la Chiesa ingiunse di comunicarsi almeno tre volte all’anno, a Natale, Pasqua e Pentecoste; quindi per la negligenza dei fedeli nel comunicarsi tre volte all’anno, decise di non fare stretti precetti che per la Comunione Pasquale. Ma nel prescrivere di comunicarsi almeno a Pasqua, mostra chiaramente con quella parola “almeno”, il desiderio che Essa ha di vedere i suoi figli comunicarsi più frequentemente. E il sapientissimo Pontefice Benedetto XIV, insistendo su queste medesime parole, dice: Conviene che i Vescovi e i pastori esortino i popoli a ricevere il più spesso possibile i santi Misteri, e soprattutto nelle principali feste dell’anno. – La Chiesa adunque ha tanto a cuore la Comunione frequente dei fedeli, che si induce sino a pregarli, a supplicarli per le viscere della misericordia divina, di rendersene degni con la fermezza e costanza della loro fede, con la loro pietà, devozione e rispetto verso questo angusto Sacramento. Essa desidererebbe ardentemente che i fedeli si accostassero alla S. Comunione ogni volta che assistono al santo Sacrificio della Messa, che è quanto dire ogni giorno. Ecco come la Chiesa, ch’è la stessa in tutti i tempi, invita tutti i suoi figli alla Comunione frequente. – Il Catechismo del Concilio di Trento, spiegando i voti e i desideri di questo santo Concilio intorno alla Comunione, insegna che i Pastori devono esortare spesso le loro pecorelle non solo alla Comunione frequente, ma anche giornaliera, facendo ben capire che, siccome è necessario alla vita del corpo prendere cibo con frequenza e abitualmente, così è necessario per la vita cristiana dell’anima accostarsi abitualmente alla Mensa eucaristica. Poscia soggiunge: Gioverà inoltre assai richiamare qui alla memoria quella figura che abbiamo della Manna, con la quale era necessario rifocillare le forze corporali tutti i giorni: così pure le autorità dei santi Padri, le quali raccomandano caldamente la frequente Comunione, imperocché non fu solamente di San Agostino quella sentenza: “Ogni giorno pecchi; ogni giorno comunicati”: ma se si studia con diligenza, facilmente si vedrà che di questo avviso furono pure tutti i santi Padri che scrissero di questo argomento. Ed invero per citarne qualcuno, perché, dice S. Giovanni Grisostomo, voi che siete nel numero di quelli che possono comunicarsi, non volete curarvene? Rifletteteci bene, io ve ne scongiuro. Ditemi, di grazia, che pensereste voi di colui che, essendo stato invitato a pranzo, si mettesse a tavola e non mangiasse punto? Gesù Cristo c’invita al banchetto della Comunione. Noi assistiamo alla S. Messa: e perché non ci comunichiamo noi anche ogni giorno? Non è questo, in qualche maniera, disprezzare gl’inviti e il banchetto del nostro divin Maestro Gesù? S. Cipriano diceva: Quando noi nell’orazione domenicale chiediamo a Dio il nostro pane quotidiano, noi chiediamo Gesù Cristo nella Eucaristia, perché in questo Sacramento Gesù Cristo è pane di vita, pane non comune a tutti ma solamente nostro, cioè di noi Cristiani; e chiediamo che ci si dia ogni giorno questo Pane divino; perchè una volta che abbiamo ricuperata la vita della grazia, ed abbiamo cominciato a vivere in Gesù Cristo, la frequente Comunione è il mezzo più efficace onde mantenere in noi la sua santificazione e il suo amore. San Basilio il Grande, S. Ilario, San Girolamo, S. Gregorio Magno dicono replicatamente che questo è ciò che tanto desidera Dio, di abitare proprio ogni giorno in noi per mezzo della S. Comunione. S. Ambrogio scrisse: Se l’Eucaristia è il vero pane quotidiano, per quale stolidezza, o uomo, non ti accosti a riceverlo se non una sola volta all’anno? E S. Tommaso c’insegna che essendo la virtù del Sacramento dell’Eucaristia quella di dare all’uomo la salute, così sarebbe utile parteciparne anche tutti i giorni, affine di riceverne tutti i giorni i frutti salutari. E dopo d’aver uditi alcuni Santi Padri, osservate ancora, o miei cari, gli esempi di quei grandi Santi, che Dio suscitò nel secolo XVI in opposizione ai mostri di eresia, che il demonio aveva istigati per distruggere il Cristianesimo. S. Gaetano, S. Ignazio, S. Filippo Neri, S. Carlo Borromeo, S. Francesco di Sales, S. Andrea, San Giovanni della Croce, S. Teresa, posero tutto il loro zelo nell’attirare i fedeli alla Comunione frequente: e con questa pratica salutare, che promossero ardentemente con la voce e con gli scritti, riuscirono a riformare il rilassato costume dei popoli, a rianimarvi la pietà mezzo estinta, a farvi rifiorire tutte le virtù del Vangelo!

3. Ma se la Chiesa per mezzo degli Apostoli, dei Pontefici, dei Santi, de’ suoi ministri raffigura così al vivo il servo della parabola, che ossequente al volere del suo padrone, tornò tante volte a fare l’invito alla gran cena, vi hanno pur troppo tra i Cristiani un gran numero di coloro, i quali sgraziatamente si incaricano di raffigurare quegli invitati, che villanamente respinsero l’invito. Ed in vero quanti Cristiani passano le settimane, i mesi, e persino gli anni interi senza venire alla sacra mensa! Si sa, ancor essi come i convitati del Vangelo arrecano di questa condotta le loro scuse. Taluno, come il primo convitato, adduce il pretesto dell’imbarazzo, in cui si trova per le cose temporali: Villam emi bisogna che si occupi dei suoi lavori, delle faccende del suo stato, della coltura della sua mente, dell’apprendimento delle sue lezioni. Insensato! il quale dimentica, che l’affare più importante, l’unico affare è quello della salute. Un altro, raffigurato da quello che aveva da andare a provare i buoi, mette innanzi la difficoltà di domare le sue passioni. Egli dice che impetuose tendenze lo travagliano e lo trascinano al male, e che ei non può vincersi… Che più tardi, quando i ghiacci dell’età avranno raffreddato e i suoi sensi e il suo cuore, approfitterà della calma dei vecchi suoi anni, per far la pace con Dio e ricevere poi allora, anche frequentemente, la divina Eucaristia. Or questo non è un dire: O mio Gesù, quando la vita sarà logorata, quando non vi sarà più nulla pel piacere, quando non mi resterà altro che un cuore macchiato dalle turpitudini della vita, questo allora sarà per voi…? E non è questa una sanguinosa ingiuria per Gesù nel suo SS. Sacramento? Senza dubbio fa bisogno d’esser padrone delle proprie passioni per ricevere con frequenza la SS. Comunione; ma se non le signoreggiate, di chi è la colpa? Un terzo poi dirà: Io so che non faccio delle buone Comunioni; mi trovo in condizione difficile, ho contratto una certa amicizia; sono vincolato da’ suoi legami, epperò di andare alla Comunione non mi sento affatto: Uxorem duxi, et ideo non possum venire. A tutte queste scuse, aggiungete il rispetto umano, che spadroneggia tanti poveri Cristiani e specialmente tanti poveri giovani, i quali pure andrebbero ben volentieri a comunicarsi spesso, se non temessero gli altrui sguardi e le altrui derisioni, ed avrete così un’idea della stoltezza dei pretesti, che da tanti si adducono per scusare la loro lontananza dalla SS. Comunione. – E noi, o miei cari, vorremo restare nel numero di questi insensati? Quando non valesse altro, ci spinga a non appartenervi la terribile sentenza, con cui Gesù Cristo chiudendo la sua parabola ci fa intendere, che chi si rifiuta di accostarsi alla mensa Eucaristica, sarà sbandito eternamente dalla mensa celeste. Ma più ancora di questa minaccia ci sproni alla frequenza della Comunione l’amore di nostro Signor Gesù Cristo. Oh sì! Che la sua carità immensa trovi un po’ di ricambio nei nostri cuori e ci unisca spesso a quel Dio, che tanto ha fatto per unirsi a noi!

Credo …

Offertorium

Orémus Ps VI: 5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam. [O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem. [Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

Communio

Ps XII: 6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi. [Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus. [Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza].

LO SCUDO DELLA FEDE (65)

LO SCUDO DELLA FEDE (65)

[S. Franco: ERRORI DEL PROTESTANTISMO, Tip. Delle Murate, FIRENZE, 1858]

CAPITOLO XVII.

IL PROTESTANTISMO È FALSO PERCHÉ SI DEPONE NELL’ULTIMA ORA.

L’ uomo fintantoché è sano, è vegeto, è in istato fiorente suol avere un modo di pensare, che spesse volte poi cambia quando le calamità, l’infortunio gli piombano addosso. Le mutazioni più meravigliose però succedono nell’ora della morte. Quale sarà la ragione di ciò? É che l’uomo nell’esaltamento che gli cagionano le passioni e le pazze allegrezze del mondo, dimentica se stesso, i suoi doveri, la giustizia, la verità: e quando la mano di Dio lo percuote, allora fa come Antioco, rientra in se stesso e dice: Ah ora mi rammento dei mali che ho fatto e dei peccati che ho commesso (I. Mac. VI. 12)! Si, la candela che si accende al letto di morte, dissipa molte tenebre e spande una luce sì viva, che vedonsi le cose al tutto diversamente da quello che si erano vedute in vita. Ed il giudizio che dà la morte sopra di esse, lo Spirito Santo afferma che è molto buono (Eccli. XLI, 3). Sentite dunque vari giudizi, che la morte pronunzia al nostro proposito. Si è mai trovato alcuno che all’ora della morte si sia pentito di essere stato Cattolico, o di non avere abbracciato il Protestantismo? Su dite, vi è stato mai qualche Cattolico che si sia pentito di avere obbedito in tutto e per tutto alla Chiesa Cattolica, di essere stato sottomesso al Papa, di avere ricevuti spesso i Santi Sacramenti, di avere pregato nelle Chiese, riverita la S. Vergine, onorati i Santi, di aver digiunato, fatta penitenza e di essersi esercitato in tutte le pratiche della Religione Cattolica? Su, ne avete mai trovato alcuno, che abbia fatto tutto ciò? che in quell’ora proprio si sia ritrattato, che vi abbia rinunziato, che per

assicurare la sua salute abbia chiesto in grazia di morire Protestante? Cercate tutti i libri, leggete tutte le storie, questo caso non vi si presenta mai. Tutto al contrario, chi ha praticato bene la S. Fede Cattolica in quel punto vi si attiene strettamente e continua a raccomandarsi a Gesù, alla Vergine, ai Santi, chiede tutti i Sacramenti, tutte le benedizioni della Chiesa, e trova in esse quegli aiuti che la sua buona Madre gli somministra, un salutare conforto, una dolce rassegnazione, una vena perfino di santa allegrezza, e muore benedicendo Iddio d’essere vissuto Cattolico e desidera di morire come è vissuto. Se qualcuno vi è che soffra rimorsi, è appunto per non avere osservate abbastanza tutte quelle prescrizioni che la S. Chiesa gli aveva inculcate. Questo è un fatto sicuro, continuo, costante, di cui voi stessi ne siete stati mille volte testimoni. Ora che vuol dir ciò? In quel momento più non si burla e non si ride: vuol dire adunque che al letto di morte si giudica che la Religione Cattolica è la sola che apre la strada della salute. Il savio Ulrico Duca di Rrunswich mosso principalmente da questa ragione lasciò il Protestantismo, e si fece Cattolico. Tenetevi dunque stretti a quella Religione che a quel punto vi darà tanta fiducia. Che se al letto di morte mai nessun Cattolico si è pentito di avere osservata scrupolosamente la sua Religione, e mai si è voluto far Protestante per assicurare viepiù la sua salute, è forse accaduto lo stesso anche ai Protestanti? Oh quanti di loro hanno desiderato invece di rendersi Cattolici in quel gran punto non tenendosi sicuri di lor religione! Perfin quella peste che fu Arrigo VIII seminatore di tante discordie nella Chiesa di Dio, in quelle ore per acquetare i rimorsi della coscienza volle rifarsi Cattolico sebbene non si sa troppo con qual esito. Negli ospedali Cristiani è frequentissimo il caso di poveri Protestanti, che in quelli estremi tocchi dalla grazia di Dio ed in faccia all’eternità vogliono essere dei nostri. Perfino neh’ ultima guerra di Sebastopoli si diedero molti casi di poveri soldati che chiesero in grazia ed ottennero di poter morire Cattolici: e tutto ciò mentre neppur uno dei nostri Cattolici sognò mai di farsi Protestante in quell’ora. Che vuol dire tutto ciò? Ah la candela mortuaria getta pure la gran luce! Ma di quelli poi che essendo Cattolici, si fecero Protestanti, che cosa avvenne in punto di morte? Non pochi di loro morirono lasciando segni aperti di lor dannazione, altri si pentirono e si ritrattarono dei loro errori, confessando pubblicamente che avevano prevaricato e chiedendo perdono dei loro scandali. Lutero stesso morì dopo certi disordini ed eccessi nel bere; quasi subitamente al pari di una bestia e poco dopo mandò tal fetore, che anche chiuso in una cassa di piombo, non poteva sopportarsi. Calvino morì menando tanti vermini e tanta puzza ed in mezzo a grida e bestemmie così disperate, che per testimonio dei suoi medesimi Protestanti metteva orrore. Di Zuinglio, diceva Lutero, che il demonio l’aveva strozzato per le sue bestemmie. La perfida Regina Elisabetta chiamava se stessa una miserabile ed esclamava: han messo un giogo intorno al mio collo; e morì in una malinconia e disperazione desolante. Lo Spalatino amico intimo di Lutero finì la vita in preda ai rimorsi ed alla disperazione che gli tolse il senno. Giusto Giona morì disperando della misericordia di Dio. Mattezio passò l’ultimo anno di sua vita in mezzo a rimorsi e terrori continui e in preda alla disperazione. Il celebre Ridembah non cessava di ripetere che aveva incorsa la dannazione sostenendo una falsa dottrina, ed in un momento di furore si gettò da una finestra. Sei anni dopo morì disperato il suo fratello imbrattato degli stessi errori. I1 famoso Kenniz passò l’ultimo anno di sua vita piangendo e singhiozzando sempre. Altri molti morirono impazzati. Se io dovessi raccontarvi tutte le morti orribili di questi fabbricatori di eresie, vi metterei raccapriccio ed orrore (V. Perrone, Regola di Fedo P. III. c. 6). E certo quando si troverà uno di questi infelici apostati a quel tremendo passo, gli torneranno in mente tutti gli insegnamenti della S. Chiesa Cattolica, la prima Comunione fatta nello stato d’innocenza, le Confessioni, le Messe, e tutti gli aiuti che aveva sempre trovati pressò di noi, ed oh allora che rimorsi, che strazi, che terrori non proverà! Ci vorrà altro a consolarlo, che la lettura del Diodati, del De Sanctis, del Borella e di altri simili infami libercoli. Allora vedrà chiaro che tutto fu un inganno volontario delle sue passioni, e che se poté ingannare gli uomini, non ingannò né Dio, né la propria coscienza. Quelli poi che nell’ultima ora ebbero dal Signore tanta grazia di ravvedersi, patirono tuttavia tanti rimorsi e spaventi che mai non finivano di acquetarsi, e di chiedere perdono a Dio ed agli uomini dell’orrendo peccato, che avevan commesso abbandonando la S. Fede. Ora che cosa vuol dire tutto ciò? Vuol dire quel che il Protestante Melantone significò alla sua madre. Questa buona donna richiese al suo figliuolo che spacciandosi Dottore della nuova Religione, menava tanto strepito con le sue fallaci predicazioni, che le volesse significare sinceramente se era meglio esser Cattolico o Protestante. Egli allora rispose, che si rimanesse Cattolica, perché (notate bene la ragione) il Protestantismo era buono per vivere, ma per morire era meglio il Cattolicismo. Avete capito? Per contentare il senso, per sfogare tutte le passioni, per vivere secondo il capriccio è buono il Protestantismo, che non ha l’impaccio della Confessione, della Comunione, della Chiesa, della Messa, dei digiuni etc. etc: ma per quel momento terribile in cui uno si ha da presentare al divin Giudice, in cui ha da entrare neh’ eternità, in cui si ha da render conto di tutte le proprie azioni, in cui si ha da subire la sentenza di eterno premio o di eterno supplizio, per quel momento è meglio il Cattolicismo. Ora non siamo noi forse sulla terra per altro che per fare acquisto della beata eternità? Quale sarà dunque la Religione che abbracceremo? Quella sola che dà consolazione in morte, che rassicura nelle agonie, che provvede all’eternità.