FESTA DEI SANTI APOSTOLI PIETRO E PAOLO (2019)

FESTA DEI SANTI PIETRO E PAOLO (2019)

Introitus

Acts XII: 11
Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum: et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum. [Adesso riconosco veramente che il Signore ha mandato il suo Angelo: e mi ha liberato dalle mani di Erode e da ogni attesa dei Giudei.]

Ps CXXXVIII: 1-2
Dómine; probásti me et cognovísti me: tu cognovísti sessiónem meam et resurrectiónem meam.

[Signore, tu mi scruti e mi conosci: conosci il mio riposo e il mio cammino.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui hodiérnam diem Apostolórum tuórum Petri et Pauli martýrio consecrásti: da Ecclésiæ tuæ, eórum in ómnibus sequi præcéptum; per quos religiónis sumpsit exórdium.
[O
Dio, che consacrasti questo giorno col martirio dei tuoi Apostoli Pietro e Paolo: concedi alla tua Chiesa di seguire in ogni cosa i precetti di coloro, per mezzo dei quali ebbe principio la religione]

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.
Act XII: 1-11
In diébus illis: Misit Heródes rex manus, ut afflígeret quosdam de ecclésia. Occidit autem Jacóbum fratrem Joánnis gládio. Videns autem, quia placeret Judæis, appósuit, ut apprehénderet et Petrum. Erant autem dies azymórum. Quem cum apprehendísset, misit in cárcerem, tradens quatuor quaterniónibus mílitum custodiéndum, volens post Pascha prodúcere eum pópulo. Et Petrus quidem servabátur in cárcere. Orátio autem fiébat sine intermissióne ab ecclésia ad Deum pro eo. Cum autem productúrus eum esset Heródes, in ipsa nocte erat Petrus dórmiens inter duos mílites, vinctus caténis duábus: et custódes ante óstium custodiébant cárcerem. Et ecce, Angelus Dómini ástitit: et lumen refúlsit in habitáculo: percussóque látere Petri, excitávit eum, dicens: Surge velóciter. Et cecidérunt caténæ de mánibus ejus. Dixit autem Angelus ad eum: Præcíngere, et cálcea te cáligas tuas. Et fecit sic. Et dixit illi: Circúmda tibi vestiméntum tuum, et séquere me. Et éxiens sequebátur eum, et nesciébat quia verum est, quod fiébat per Angelum: existimábat autem se visum vidére. Transeúntes autem primam et secundam custódiam, venérunt ad portam férream, quæ ducit ad civitátem: quæ ultro apérta est eis. Et exeúntes processérunt vicum unum: et contínuo discéssit Angelus ab eo. Et Petrus ad se revérsus, dixit: Nunc scio vere, quia misit Dóminus Angelum suum, et erípuit me de manu Heródis et de omni exspectatióne plebis Judæórum.

[In quei giorni: Il re Erode mise le mani su alcuni membri della Chiesa per maltrattarli. Uccise di spada Giacomo, fratello di Giovanni. E, vedendo che ciò piaceva ai Giudei, fece arrestare anche Pietro. Erano allora i giorni degli azzimi. Arrestatolo, lo mise in prigione, dandolo in custodia a quattro squadre di quattro soldati ciascuna, volendo farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua. Pietro, dunque, era custodito nella prigione; ma la Chiesa faceva continua orazione a Dio per lui. Ora, la notte precedente al giorno che Erode aveva stabilito per farlo comparire innanzi al popolo, Pietro, legato da due catene, dormiva fra due soldati, e le sentinelle alla porta custodivano la prigione. Ed ecco apparire un Angelo del Signore e una gran luce splendere nella cella. Toccando Pietro al fianco, lo riscosse, dicendo: Alzati in fretta. E gli caddero le catene dalle mani. L’Angelo gli disse: Mettiti la cintura e infílati i sandali. Pietro obbedí. E l’Angelo: Buttati addosso il mantello e séguimi. Ed egli uscí e lo seguí, senza rendersi conto di quel che l’Angelo gli faceva fare, parendogli un sogno. Oltrepassata la prima e la seconda guardia, giunsero alla porta di ferro che mette in città, ed essa si aprí da sé davanti a loro. E usciti, si avviarono per una strada, e improvvisamente l’Angelo partí da lui. Pietro, allora, tornato in sé, disse: Adesso riconosco davvero che il Signore ha mandato il suo Angelo e mi ha liberato dalle mani di Erode, e da ogni attesa dei Giudei.]

Graduale

Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui. Dómine.
V. Pro pátribus tuis nati sunt tibi fílii: proptérea pópuli confitebúntur tibi. Allelúja, allelúja.
[Li costituirai príncipi sopra tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore.
V. Ai padri succederanno i figli; perciò i popoli Ti loderanno. Alleluia, alleluia.]
Matt XVIII: 18
Tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam. Allelúja.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Matthǽum.
Matt XVI: 13-19
In illo témpore: Venit Jesus in partes Cæsaréæ Philippi, et interrogábat discípulos suos, dicens: Quem dicunt hómines esse Fílium hóminis? At illi dixérunt: Alii Joánnem Baptístam, alii autem Elíam, álii vero Jeremíam aut unum ex Prophétis. Dicit illis Jesus: Vos autem quem me esse dícitis? Respóndens Simon Petrus, dixit: Tu es Christus, Fílius Dei vivi. Respóndens autem Jesus, dixit ei: Beátus es, Simon Bar Jona: quia caro et sanguis non revelávit tibi, sed Pater meus, qui in coelis est. Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificábo Ecclésiam meam, et portæ ínferi non prævalébunt advérsus eam. Et tibi dabo claves regni coelórum. Et quodcúmque ligáveris super terram, erit ligátum et in coelis: et quodcúmque sólveris super terram, erit solútum et in coelis.
[In quel tempo: Gesú, venuto nei dintorni di Cesarea di Filippo, cosí interrogò i suoi discepoli: Gli uomini chi dicono che sia il Figlio dell’uomo? Essi risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri ancora Geremia o qualche altro profeta. Disse loro Gesú: E voi, chi dite che io sia? Simone Pietro rispose: Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente. E Gesú: Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché non la carne o il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Io darò a te le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli.]

OMELIA

DEVOZIONE AI SS. APOSTOLI PIETRO E PAOLO

[P. Vincenzo Stocchi S. J. : DISCORSI SACRI; Tip. Befani, ROMAì -1884]

Superædificati super fundamentum Apostolorum.

[Ephes. II, 20]

Se io mi diparto questa mattina uditori dal mio costume di attingere all’Evangelio l’assunto del mio discorso, confido che non solo vi sembrerà ragionevole, ma vi tornerà anche giocondo. Imperocché me ne diparto per favellare dei santi Apostoli Pietro e Paolo; la solennità dei quali, che per otto interi giorni rallegra la santa Chiesa, è veramente solennità di tutto il mondo cattolico, ma è in modo particolarissimo solennità romana. E solennità romana la appellava quella gloria dei Pontefici S. Leone, e favellando molti secoli fa ai padri vostri dalla Cattedra vaticana, con maestà ed eloquio degno del Vicario di Gesù Cristo: di tutte le nostre solennità, diceva, tutto il mondo è partecipe, e la pietà di una fede medesima esige che venga celebrato con comune esultanza ciò che si commemora operato per la salute di tutti. Ma di tutte le feste la festa d’oggi merita che sia venerata con gaudio particolare dalla nostra città, essendo conveniente che dove dei Principi degli Apostoli fu glorificata la morte, nel di del loro martirio sia il principato della letizia. Il qual principato non senza una santa invidia vi concedono tutti i popoli della terra, e se mi fosse concesso spiegarvi in mostra sotto degli occhi tutte le genti che nel santo ovile di Gesù Cristo accoglie e regge un solo pastore, vedreste con giubilo e con orgoglio dell’animo vostro, che tutti non potendo lo sguardo, appuntano qua i desideri e gli affetti e bramano di veder quel che voi vedete, di prostrarsi dove voi vi prostrate, di stampar di baci e sparger di lacrime quelle tombe che chiudono le colonne della Chiesa, le cime dell’Apostolato, i Principi del Paradiso, le rocche del mondo, i propugnacoli della terra e del mare, Pietro e Paolo apostoli di Gesù Cristo. Dei quali favellando questa mattina non recherò in mezzo né la elezione e le prerogative di Pietro, né la vocazione e le imprese di Paolo, né la dignità e il primato di questa Chiesa Romana madre e maestra infallibile di tutte le chiese; ma a questo dirizzerò principalmente lo sforzo del mio ragionamento di accendere nel mio cuore e nel vostro un affetto tenero e sviscerato di devozione verso di essi, e una saldezza inconcussa di fiducia nel patrocinio; e confido che conseguirò quel che io bramo pigliando per assunto del mio discorso quello che S. Leone pose per esordio del suo; che Roma è tutta cosa dei santi Apostoli Pietro e Paolo e che per conseguenza tutto possono da questi Principi della terra e del Cielo promettersi i Romani seemuli della pietà e della fede dei padri loro si mostrino clienti degni di tanti Patroni.

1. E potrei pigliare le mosse di là onde per avventura meno si aspetta riferendo in qualche modo ai santi apostoli Pietro e Paolo la gloria delle conquiste, e la vastità della signoria onde andò così superba Roma pagana. Né se lo facessi potrebbe apporsi al mio dire la taccia di vanità senza insultare temerariamente ad una schiera gloriosa di personaggi insigni per dottrina e venerabili per santità; ai quali precedono un Agostino e un Leone. Imperocché, la provvidenza del Signore, che ha per costume di spianare dalla lontana le cose ai suoi intendimenti, preparando agli uomini naufraghi e ciechi la luce dell’Evangelio e il porto della santa Chiesa, preparò anche il mondo perché interponesse minori ostacoli alla diffusione di questa luce e allo stabilimento di questo porto. E di qui la felicità che coronò le escursioni, di qui le conquiste, la gloria, la possanza, la maestà e l’imperio di Roma. Ut huius inenarrabilis gratiæ per totum mundum diffìmderetur effectus, Romanum regnum divina providentìa præparavìt. Mirabil cosa! Portati da sete indomita di gloria e di signoria disserravano il mondo al volo delle vincitrici aquile gli eserciti e i condottieri di Roma, lo vincevano, 1o depredavano, lo soggiogavano, lo componevano in un corpo smisurato d’imperio, e Dio con le loro armi schiudeva il passo e ammanniva il campo ai mansueti pescatori di Galilea che verrebbero evangelizzando la pace. Roma nobilitata di tante palme e aggrandita di tanti conquisti stendeva lo scettro, adempieva del suo nome la terra, e Dio con questo splendore medesimo di gloria che irraggiava la metropoli del mondo, ordinava arender cospicua e riguardevole la sua Chiesa, della quale, stupendo miracolo di onnipotenza, si preparava nel Campidoglio quasi un faro e una rocca sulla quale già cospicua per splendore di gloria mondana collocar potesse il centro della verità, che quasi sole illuminasse col lume della fede il mondo convertito a Gesù Cristo. Così si intende cristianamente la storia, così la storia glorifica la provvidenza e la sapienza di Dio. Ma non è questa la via ascoltatori, per la quale voglio contendere di infiammare i vostri petti nell’amore dei santi Pietro e Paolo, e contento di averla con S. Leone accennata di passaggio e come dicon di volo, con S. Leone medesimo, mi volgo a più soave argomento, e Isti vi dico, Isti sunt viri, per quos tibi evangelium Christi, Roma, resplenduit et quæ eras magistra erroris, facto, es discipula veritatis. Ecco, ecco qua gli uomini, pei quali a te rifulse o Roma l’Evangelio di Gesù Cristo, e che di discepola dell’errore ti fecero maestra della verità. Isti sunt patres tui verique pastores, qui te multo melius feliciusque condiderunt, quam illi, quorum prima mœnium tuorum fundamenta locata sunt. Ecco i veri tuoi padri e pastori, che ti fabbricarono con auspici molto più lieti, che non fecer coloro che gettarono in prima le fondamenta delle tue mura. Padri e pastori son dunque i santi Apostoli Pietro e Paolo, e padri non secondo la carne ma secondo lo spirito: padri però di una paternità più soave, più tenera, più sviscerata che non è quella della carne, paternità che procede dal cuor di Gesù, e si informa al suo amore e si stempera alla sua fiamma.

2. E vaglia la verità, se i figliuoli sono dei padri che li generarono, e il pastore appella sua con ogni ragione la greggia che guarda e nutria. Roma è con tutta ragione dei santi apostoli Pietro e Paolo. Iquali generandola a Gesù Cristo acquistarono sopra di lei le ragioni congiunte di padre e di madre, né  veramente ci volle meno di un affetto materno e paterno insieme per mettersi con grande animo nell’impresa di conquistarla al Vangelo. E chi ce li inviasse non ve ne è dubbio: perciocché leggiamo negli Atti apostolici, di Paolo sostenuto prigione, che mentre i suoi nemici tramavano le insidie per ucciderlo; nocte assistens ei Dominus, ait: constans esto, sicut enìm testificatus es de me in Jerusalem, sic te oportet et Romœ testificari (Act. XXIII, 11) Gli apparve di notte tempo il nostro Signor Gesù Cristo, e Paolo gli disse, coraggio, a quel modo che mi hai renduto testimonianza in Gerusalemme, è necessario che tu me la renda anche a Roma. E chi può dubitare che Pietro ancora un comando espresso di Gesù Cristo non inviasse in Roma, Pietro che ne doveva tener la sede, Pietro che doveva alzarvi cattedra di magistero infallibile, nella quale per i suoi successori doveva risiedere fino alla consumazione dei secoli? Or che cuore dovette esser quello dei santi Apostoli quando per imperio del Figlio di Dio sobbarcarono al grande ufficio le spalle! Omiciattoli ignobili e sconosciuti, giudei per giunta, nazione sopra ogni altra del mondo esosa e spregiata, poveri e diserti d’ogni presidio umano venire in Roma! E a che fare? A portar la guerra alle opinioni della vana filosofia, ad abbattere le vanità della sapienza terrena, a confutare il culto dei demoni, a distruggere la empietà di tutti i sacrilegi. E pur vennero in questo oceano di profondità turbolentissima, e abbracciando con carità più che paterna la nuova greggia memori della virtù onnipotente di Gesù Cristo mettevano la mano al lavoro. O beati i padri vostri che ebbero la bella sorte di veder Pietro e Paolo intesi a conquistar Roma a Gesù Cristo! Che carità doveva spandersi da quei petti! Che amore spirare da quei sembianti! Quale la fiamma dello zelo, quale la sapienza del favellare, quanta la copia e lo splendore dei miracoli! O Pietro che spettacolo dovevi dare di te, quando accolto in mezzo alla intenta schiera di quei felici che bevevano dal tuo labbro per le orecchie la fede, parlavi loro della Persona e della carità di Gesù Cristo: e non doctas fabulas secuti,dicevi, notam facimus vobis Domini nostri Iesu Christì vìrtutem et præsentiam, sed speculotores facti illius magnitudinis. (II. Petr. I, 10.) No, non vengo avoi raccontatore di dotte favole : vengo a ridirvi quel che ho vedutoio proprio, io con questi occhi, io ho veduto in carne mortale il Figlio di Dio, io ho veduto Gesù: ho parlato con esso, l’ho accompagnato nei suoi viaggi, ho assistito ai suoi miracoli, ho ascoltato la sua dottrina, ho contemplato la carità, la benignità la dolcezza di quel benedetto. Ah! se lo aveste veduto, se aveste come me fissato cotesti vostri occhi in quel volto pieno di maestà e di grazia di paradiso! E qui raccontavi come accoglieva i peccatori, come consolava i poverelli, come ammaestrava le turbe, come carezzava i fanciulletti, e poi quando ti promise le chiavi del regno dei Cieli, e dell’odio dei Farisei, e del tradimento di Giuda, e della cena memorabile, e del sudor di sangue nell’orto, e volevi procedere raccontando la cattura, gli strazi, la croce, la risurrezione: ma che? Un profondo gemito del cuore ti troncava le parole sul labbro, un torrente di lacrime sgorgava dagli occhi, ti risovveniva l’atrio di Caifa, e ahimè gridavi, ahimè che io negai il mio Maestro, io giurai che non conosceva Gesù, e sopraffatto dal duolo nascondevi tra le mani la faccia e piangevi. Mache? Ho preso io forse a tessere la serie delle gesta di Pietro edi Paolo, e non piuttosto a raccogliere alcune delle ragioni che hanno alla confidenza vostra e all’ amore? Essi sono i vostri padri. L’uno e l’altro possono dire di voi: in Christo Iesu per evangelium ego vos genui, si decem millia pædagogorum habeatis in Christo sed non multos patres. (I. Cor. XIV, 15.) Noi,  per l’Evangelio vi abbiamo generato a Gesù Cristo, troverete moltiche vi vogliono far da maestri, ma che vi amino da padri siccome noi troverete pochi o nessuno. E se tanto vi amarono mentre tra voi pellegrinavano in terra, dubiterete che in Paradiso vi amino meno, e meno a cuore tengano le vostre necessità? Amateli voi come figli e onorateli come padri e non dubitate. E che? Potreste dubitarne senza far torto insigne a S. Pietro che ve ne ha lasciato la promessa in iscritto? La promessa in iscritto? Sì sì. Leggete la seconda sua lettera. Certus sum enim quod velox est depositio tabernacidi mei secundum quod Dominus Jesus Christus significava mihi. (II. Petr. I, 14) Io son certo che la mia morte è vicina, perché me lo ha detto il nostro Signor Gesù Cristo. Dunque? Dunque dabo operam frequenter habere vos post obitum meum. Non mi dimenticherò di voi mai al cospetto del Signore, ne farò memoria ad ogni momento. O questo è parlare da padre, parlare che prorompe da un petto pieno di amore, e che chiede a gran voce corrispondenza di gratitudine.

3. Ma che? È forse sola questa città, o furono soli i padri vostri i generati a Gesù Cristo da Pietro e da Paolo? Non avevano forse l’uno e l’altro fatto il giro del mondo prima di venirsene a voi e convertito genti infinite? Sì ascoltatori: ma nei viaggi, nelle escursioni, in mezzo ai popoli colti, fra le nazioni selvagge, tra le consolazioni dei popoli convertiti alla fede, e gli affanni delle persecuzioni e la stretta dei patimenti sempre qua tenevano fisso il guardo, e Roma si proponevano come termine desiderato della carriera apostolica. Aprite la lettera di S. Paolo ai Romani e leggete. Paulus servus Iesu Christi omnibus qui sunt Romæ, gratia vobis et pax a Deo Patre nostro et Domino Jesu Christo. (Rom. I, 7) Paolo servo di Gesù Cristo a tutti i Romani: sia con voi la grazia e la pace da Dio Padre nostro e dal nostro Signor Gesù Cristo. Testis est mihi Deus, cui Servio in Spiritu meo, quod sine intermissione memoriam vestri facto semper in orationibus meis, si quo modo prosperum iter habeam in voluntate Dei venìendi ad vos. (1. Tim. I , 3.) Mi è testimonio il Signore, che non passa giorno che io non mi ricordi di voi nelle mie orazioni, scongiurandolo che gli piaccia concedermi che io venga a Voi. Desidero enim videre vos; idest simulconsolari in vobis per eam, quæ invicem est, fidem vestram atque meam. (Rom. I, 12.) Desidero di vedervi, desidero di consolarmiin mezzo di voi per quella fede che voi e io possediamoquasi tesoro comune. E sappiate fratelli miei che sæpe propositi venire ad vos et prohibitus sum usque adhuc(Rom. I, 13.) sappiateche più volte ho proposto di venire a voi, ma non mi è finoravenuto fatto, così Paolo: del quale ci raccontano i fatti apostolici,che mentre dimorava in Corinto, e apparecchiava le spedizionidell’Acaia e della Macedonia e dopo di esse il viaggio aGerusalemme non finiva mai di ripetere. Postquam ibi fuero oportet me Romam videre. (Act. XIX, 21.) Dopo che avrò pellegrinatoper questi luoghi è necessario che io vegga Roma, oportet me Romam videre. Questi affetti fervevano nel cuor di Paolo per voi, e credete che fossero diversi gli affetti di Pietro? Erano i cuori di questi Apostoli, dice il Crisostomo, lavorati sul modello medesimo del cuore di Gesù Cristo e però non solo come gemelli si somigliavano, ma battevano dei medesimi palpiti e ardevano della medesima fiamma: che se una differenza di affetto si voglia porre, ardisco di dire che più veemente dovette per voi essere l’amor di Pietro: e che? Non era Pietro designato da Gesù Cristo Vescovo e pastore di Roma? Non doveva fermar qui la sua sede? Qui stabilir la sua cattedra? Esso nel suo petto doveva far luogo alle Chiese di tutto il mondo, fra tutte le Chiese del mondo non doveva dare i primi affetti e le prime cure alla sposa sua, alla Chiesa della sua Roma? Andavano dunque questi condottieri magnanimi della squadra apostolica per tutto il mondo dove li portava lo Spirito del Signore, e sudori e fatiche profondevano largamente dovunque o negli ampi tratti della terra, o nei riposti seni del mare e dove son popoli da guadagnare al regno di Cristo. Ma come un padre o una madre che pellegrinando in regioni remote, e percorrendo regni longinqui sempre tiene il cuore alla casa dove i dolci figli la aspettano, in mezzo ai quali spera di riposare negli anni della stanca vecchiaia e di chiuder gli occhi alla luce di questo sole; così Pietro così Paolo, sempre voi avevano nel cuore, e anelavano di fermare il piede nel mezzo a voi per non dipartirsene se non allora che carichi di corone sarebbero volati a deporre i loro trofei a pie’ di Gesù Cristo e a ricevere dalla sua mano la corona della giustizia.

4. Di qui procede che se togliamo Gerusalemme, della quale erano le promesse che perfida rifiutò, e sconsigliata cedette a Roma; memorie o scarse o malcerte ci rimangono di quei luoghi pei quali i santi Apostoli o si tragittarono trapassando o fecero dimora annunziando il regno di Dio. Dicano Damasco, dicano Atene, Corinto, Tessalonica, Efeso, Colossi, Antiochia, dicano dove sono le chiese ch’Essi fondarono, dove le case che santificarono, dove i santuari cha eressero, dove gli altari che consacrarono, dicano se non altro dov’è la fede che seminarono. Ahimè che se in quelle regioni vi conducete dove si sfogarono le prime vampe di quei petti pieni di Spirito Santo, e si sparsero i primi sudori, altro non vedrete se non rovine o deserto, o casolari squallidi ed ermi in cui si accovaccia o la libidine musulmana o la perfidia scismatica, e se vi fate a gridare dove son le tracce che stamparono sì gloriose i piedi di Pietro e Paolo, non udirete altra risposta che quella della solinga eco della rupe o della spiaggia che per quell’aria intronata già dallo squillo delle trombe apostoliche vi ripeterà: dove sono. Ma tra voi, tanto vi predilessero i santi Apostoli, tra voi non così. Si professa ancora fra voi la stessa fede ch’essi annunziarono, è in piedi la stessa cattedra ch’essi eressero, l’aria medesima e il suolo e per cosi dire pregno della dottrina che promulgarono. Quindi se tu dalla tomba che in Vaticano ti accoglie ti levassi dritto o santo petto di Giovanni Crisostomo, me già dal trono pontificale della tua Costantinopoli domandassi a Pietro ed a Paolo: quot carceres sanctificastis, quot catenas decorastis, quomodo Christum portasti, quomodo prædicatione Ecclesias ædificastis: quante sono le carceri che santificaste, quante le catene che decoraste, quanti i figliuoli che generaste, quante le Chiese che edificaste; potrebbero questi miei ascoltatori far contento il vostro desìo. Qua alle radici del Campidoglio è il carcere che chiuse nello squallido seno le due colonne della Chiesa: e figli delle catene apostoliche qui rinacquero a Gesù Cristo, Martiniano e Processo: e questo è il fonte che zampillò al comando apostolico. Qua sull’Esquilino son le catene che avvinsero non lo spirito no, né la lingua, ma le braccia e i piedi di Pietro. Qui dal primo ingresso nella città dei Cesari ebbe Pietro il primo ricetto, e questa è la sede ove assise, e questo l’altare che consacrò, e se cercate i figliuoli che edificò in corpo e Chiesa di Gesù Cristo, questi figliuoli siam noi.

5. Questo potrebbe dire ciascun di voi che mi udite, ma potrebbe dir questo solo? No, che potrebbe passare avanti, e additare i luoghi dove dettero per Gesù Cristo la vita e sparsero il sangue, e massimo di tutti i tesori le tombe che ne accolgono i corpi e li serbano alla gloria della risurrezione e al trionfo. Imperocché in qual modo generarono voi a Gesù Cristo Pietro e Paolo Apostoli vostri? Forse con la parola predicata senza posa di giorno e di notte? Con questa ancora ma non solamente con questa. Forse coi pericoli corsi senza ritegno per anni ed anni? Con questi ancora ma non solamente con questi. Coi travagli dunque, con la povertà, con gli stenti, con le prigioni, coi vincoli, coi tormenti. Patirono prigioni e percosse, sostennero stenti, sostennero povertà, ma questo prezzo fu al pari che per voi sborsato per altri popoli ai quali portaron la fede. Ma voi figliuoli prediletti, figliuoli privilegiati generarono con qualche cosa di più, generarono con la morte e col sangue. O pensiero che a chi calca col piede questo santo suolo di Roma, a chi respira quest’aere, a chi beve la luce di questo sole fa balzare in petto il cuore per giubilo e inarcare per meraviglia il ciglio! A me par di vedere Pietro e Paolo quel giorno, che quella belva incoronata di Nerone, dal dorato antro del Palatino scaricò la folgore che li dannava di morte per Gesù Cristo, mi par di vederli là sulla porta Trigemina quando col santo amplesso di pace si dividevano, Pietro per ascendere sulla croce, Paolo per offrire il capo alla spada. Che fiamma lampeggiava in quegli occhi! che giubilo scintillava in quei volti! Mi par di vederti o Paolo, quando piegate le ginocchia aterra, e levati gli occhi a Gesù Cristo col cuore intrepido porgesti il collo alla mannaia che scese e spiccò quella veneranda testa vaso di tanta sapienza, che dove percosse, ivi dischiuse un fonte di tepida vena. Mi par di vederti ò Pietro quando salito il ripido clivo del Gianicolo salutasti prima con gli occhi e con il cuore la croce che ti attendeva, poi da quell’alto ti rivolgesti a dare alla tua Roma l’ultimo addio. Quali furono le ultime tue parole? Quali gli ultimi voti? Di che pregasti Gesù Cristo che presente e visibile, come già a Stefano, dalla destra del Padre ti confortava? Ah! di te, come di Paolo le ultime preghiere, gli ultimi voti furon per Roma, e levato sulla croce non come il tuo maestro inalberato ed eretto, ma coi piedi in aria confitti e il capo volto alla terra, che in Roma non venisse mai meno la fede che tu innaffiavi col sangue, fu l’ultima prece che formasti col labbro, fu l’ultimo voto che con l’ultimo palpito cotesto cuore formò prima che ti morisse nel petto.

6. Bene a ragione pertanto o Roma si canta di te dall’uno all’altro confine del mondo quel celestiale preconio. O Roma felix, quæ duorum principum es consecrata glorioso sanguine. Felice Roma cui consacra il sangue glorioso dei due principi del Paradiso, horum cruore purpurata, cæteras excellis orbis una pulcritudines. Imporporata di cotal sangue tu sola sopravanzi tutte le bellezze del mondo. Né solo il sangue di Pietro e di Paolo ti imporpora e ti fa bella e gloriosa, imperocché memoriale perpetuo e pegno di patrocinio e di amore sorgono in questo suolo le tombe e giacciono le ossa calde tuttavia della carità di Gesù Cristo e della fiamma dello Spirito Santo: di sorte che se di tutte le chiese del mondo è vero che sono edificate sopra il fondamento degli Apostoli, di questa Chiesa Romana è verissimo, quando posa non solo sulla dottrina apostolica ma ancor sulle ossa e le ceneri. Ceneri ed ossa che qui e non altrove hanno voluto i santi Apostoli e Dio che si riposassero, e lo hanno testificato i portenti. Dei quali non vano testimonio ci rimane il Magno Gregorio; imperocché, aveva Costanza Augusta edificato in Costantinopoli un tempio a Paolo Apostolo delle genti sedente Pontefice in Roma Gregorio. Al quale spedì sua lettera l’imperatrice domandandogli con imperio che le inviasse il capo del santo Apostolo, o almeno alcuna insigne parte del corpo. Ma le tolse ogni speranza di conseguire il suo desiderio il venerando Pontefice, con queste parole. Illa præcipitis quæ facere nec possum nec audeo. Cosiffatta è la vostra domanda o Imperatrice, che né posso contentarla, né dove potessi mi attenterei. Ma perché? Perché son tanti i miracoli onde hanno manifestato e manifestano tuttavia che non sostengono che i loro corpi si manomettano, che non si troverebbe petto sì saldo che si attentasse di recar la mano ai sacrosanti depositi. I quali in Roma e non altrove saranno fino alla fine dei secoli, come per chiaro evento fu manifesto. Imperocché poco dopo i santi Apostoli ebber patito, vennero dall’Oriente certuni, i quali ne ripeterono i corpi come di propri concittadini, e avutili, fuori di Roma li si condussero fino al luogo che appellasi Catacombe. Ma che? Allora quando tentarono di muoverli di là, ecco repentino miracolo, una tempesta di baleni e di folgori con tal terrore che fuggirono spaventati quanti avevano mano a quell’opera. Allora i Romani esultarono, e conoscendo a sì chiaro segno la predilezione degli Apostoli vennero in bella schiera, e fra i cantici e gli inni condussero i santi corpi nei luoghi dove ora sono. Così Gregorio (Greg. M. ep. 30, Ubr. IV. ad Constant. Aug.). E forse che non ripagarono e non ripagano a Roma con larga usura gli Apostoli generosi l’ospizio egli onori onde fu ed è larga alle spoglie loro mortali? E a chi deve se non a queste tombe il primato che ha nel mondo, risorta per Pietro e per Paolo dalle sue ceneri più gloriosa e più bella?Queste tombe furono e sono i baluardi e le rocche che la difesero, questi sono come i due occhi pei quali a maniera di corpo robusto e vegeto risplende questa città. Qui s’infranse il furore delle barbariche falangi che mentre precipitando con l’impeto di un torrente disarginato mettevan tutto a sterminio quasi contenute e respinte dagli avelli apostolici davano addietro. Qui si ruppe la baldanza e l’orgoglio della empietà, e formidabile vincitrice del mondo, urtando in questi sepolcri si sciolse in polvere. Qui cadde conquiso il fasto dei potenti del secolo, qui la frenesia dell’errore si raumiliò, qui il dente stesso dei secoli cui tutto cede fu rintuzzato. Quante volte le malattie alla vista di queste tombe esterrefatte fuggirono! Quante volte le pestilenze che con confusa strage inferocivano si dispersero! Quante volte la morte stessa al fremito che da questi sepolcri usciva impaurita lasciò la preda che aveva ghermito, e spezzò le ritorte e la falce. Domandate a quelle turbe pie cui scalda la vasta fiamma della fede qual pensiero qual desiderio qua le conduce. Vi diranno che vogliono venerare le tombe di Pietro e di Paolo. Guardate quale è la prima delle tante memorie che riveriscono. Sono i sepolcri di Pietro e di Paolo. I re medesimi e le regine vanno al sepolcro del Pescatore e del lavoratore di tende e stimano gloria curvar la fronte su quella polvere che chiude tanto tesoro. O io amo Roma, gridava il Crisostomo, fin là dalle frementi sponde del Bosforo, amo Roma e so che ne potrei celebrare la grandezza, la magnificenza,la bellezza, le dovizie, l’antichità, la frequenza, le gesta insigne di pace e di guerra. Ma io ciò non curo e lasciando tutto la dico beata, perché e vide e si beò nei volti di Pietro e di Paolo viventi, e dopo morti ne possiede le tombe. Di qui le viene il verace primato di gloria, né così splende il cielo quando il sole lo irraggia, come Roma posseditrice di quei due luminari che rischiarano l’universo. Quinci oh meraviglia! quinci sarà rapito Pietro, quindi Paolo. Pensate ed inorridite quale spettacolo vedrà Roma: Pietro e Paolo prorompere dalle rovesciate lor tombe, e proromper risorti, e tutti sfolgoreggianti levarsi in aria e muovere incontro a Cristo Gesù. O santi Apostoli, o gloria di questa città, o baluardi, o rocche, o falangi, o gloria di Roma! Esultano i nostri cuori riandando queste memorie e un dolce palpito li commuove e li batte: siate quali foste sempre, guardate la città nostra e la fede, e fra tanto fremito e furore di tempesta che irrompe aggiungete un trofeo novello agli antichi.

7. E a chi deve uditori la città vostra questi gloriosi sepolcri che la fanno così nobile, così potente, così gloriosa e così formidabile? La deve al beneplacito di Gesù Cristo che si compiacque di elegger Roma per sede del suo Vicario e capo e centro della sua Chiesa. Imperocché avendo a Pietro conferito quella potestà che lo fa arbitro della terra e del Cielo, e lo costituisce quella rupe contro cui non devono prevalere le porte d’inferno, qualunque fosse la sede nella quale avesse Pietro chiuso la sua mortale carriera, il successore di Pietro in quella sede medesima sarebbe stato l’erede delle prerogative di esso, il depositario della fede, il Vicario di Gesù Cristo e il maestro del mondo. La qual sede fu Roma, e qui con quel della fede apostolica volle Gesù Cristo depositate le mortali spoglie di Pietro e di Paolo, testimonio che come le ossa così non se ne è mai dipartita la fede, e che qui deve intendere l’occhio chi vuol vedere puro e incontaminato quel raggio che accese lo Spirito Santo nel Cenacolo di Gerosolima. Quindi ha Roma la prerogativa di essere la maestra del mondo: quindi il conservarsi qui la regola della fede, e tanto riputarsi sincero quanto si conforma alla fede di Roma, e tutto adultero e reprobo quanto se ne disforma; quindi il Vaticano fatto come una specola e una vedetta nella quale Pietro per mezzo dei suoi successori stende il vigile occhio per tutto il mondo, e grida e corregge, e loda e percote, e governa il timone di quella gran nave, che una accoglie in se tutte le genti della terra. Quindi la dominazione di Roma cristiana più vasta e più nobile senza misura di quella che schiava di satanasso esercitava sulle conquistate nazioni. Più vasta perché tutto comprende l’ambito della terra, più nobile perché imperia non sui corpi ma sugli intelletti e non per violenza d’armi e di ferro, ma per volontaria soggezione di amore. Le quali cose essendo così qual testimonio potremo dare ai santi Apostoli Pietro e Paolo che sia al loro cuore più caro, che più sia efficace a meritarne il patrocinio, quanto amare con tutto il cuor nostro questa Chiesa ch’Essi fondarono, e che come è nella cima del cuore e delle cure di Dio, così siede in cima ai pensieri e agli affetti dei santi Apostoli? Chiesa che battuta da tante tempeste grida al suo Sposo, che non sembra che l’oda mentre le porte d’inferno imperversano. Ma confidiamo, sorgerà quando meno si aspetta, e di Pietro sarà il trionfo; perché di questo ci affida il santo deposito delle apostoliche salme, che Roma come da S. Pietro finora, così da ora fino alla fine dei secoli, fremendo, ripugnando, scatenandosi quanto vuole l’inferno, sarà la sede del Vicario di Gesù Cristo.

Credo…

Offertorium

Orémus
Ps XLIV: 17-18
Constítues eos príncipes super omnem terram: mémores erunt nóminis tui, Dómine, in omni progénie et generatióne. [Li costituirai príncipi su tutta la terra: essi ricorderanno il tuo nome, o Signore, di generazione in generazione.]


Secreta

Hóstias, Dómine, quas nómini tuo sacrándas offérimus, apostólica prosequátur orátio: per quam nos expiári tríbuas et deféndi. [Le offerte, o Signore, che Ti presentiamo, affinché siano consacrate al tuo nome, vengano accompagnate dalla preghiera degli Apostoli, mediante la quale Tu ci conceda perdono e protezione.]

Communio

Matt XVI: 18
Tu es Petrus, ei super hanc petram ædificabo Ecclésiam meam.

[Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa]

Postcommunio

Orémus.
Quos coelésti, Dómine, alimento satiásti: apostólicis intercessiónibus ab omni adversitáte custódi. [Quelli, o Signore, che Tu saziasti di un alimento celeste, per intercessione degli Apostoli, proteggili contro ogni avversità.]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.