UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. PIO XII – MEDIATOR DEI (4)

MEDIATOR DEI (4)

Continuano gli insegnamenti del Santo Padre circa il Santissimo Sacrificio della Messa, la partecipazione dei fedeli ad Essa, la Comunione ed il ringraziamento dovuto al termine dell’azione liturgica. Si tratta di indicazioni salutari ed obbliganti che caratterizzano la partecipazione al santo Sacrificio della Messa ed al banchetto eucaristico. Come far capire ai poveri (in)fedeli che partecipano ai falsi, spesso ridicoli ed offensivi della Maestà divina, riti sacrileghi oggi in auge nelle chiese moderniste occupate da usurpanti apostati, che il loro accorrere alla sacrilega partecipazione (fortunatamente sempre più rara per mancanza di falsi prelati e la chiusura di edifici pseudo-adibiti al culto!), nulla ha a che vedere con il Sacrosanto e divino Rito della Messa, ove si perpetua incruentemente il Sacrificio di Cristo sulla croce? Probabilmente pure la lettura di questo immutabile ed infallibile documento del Magistero pontificio non servirà a convincere tanti ciechi volontari ai quali sono stati oscurati i lumi della Fede e della ragione da uomini empi o nel migliore dei casi, colpevolmente ignoranti o, secondo il linguaggio di Isaia, “cani muti” che hanno favorito e favoriscono tuttora ignominiosamente, nonostante tutto, l’azione dei lupi rapaci e dei leoni ruggenti che divorano tantissime pecore dell’ovile di Cristo. Veramente ci sarebbe da avvilirsi mortalmente se non fossimo sostenuti dalla Fede divina in Gesù Cristo che ci ha preannunziato a tempo debito e con largo anticipo la situazione attuale, ci ha prospettato la persecuzione più violenta mai portata verso la sua Chiesa Cattolica Romana, ma nel contempo ha esortato il “pusillus grex” a non cedere, a credere contro ogni evidenza che la sua Chiesa, il suo Sacrificio dell’altare, il suo Vicario in terra, non saranno mai abbattuti, né le porte dell’inferno, oggi strabocchevoli perfino nel tempio santo (… anzi soprattutto là!), potranno mai prevalere sulla Chiesa e sulla sua Pietra fondante, cioè il Sommo Pontefice… e poi, il Signore ha già emesso un verdetto inappellabile alla vigilia della sua Passione: …

Filius quidem hominis vadit, sicut scriptum est de illo : vae autem homini illi, per quem Filius hominis tradetur! bonum erat ei, si natus non fuisset homo ille.

… GUAI ALL’UOMO CHE TRADIRA’ IL FIGLIO DELL’UOMO … MEGLIO PER LUI CHE NON FOSSE MAI NATO! (S. Matteo XXVI, 24), USURPANTI APOSTATI, QUESTE PAROLE SONO PER VOI … PENTITEVI FINCHE’ LO POTETE!!

Leggiamo con attenzione per poterci spiritualmente rinfrancare, ed essere pronti al momento in cui il Signore abbatterà, con il soffio della sua bocca, l’anticristo ed i suoi numerosissimi adepti e corifei. Che la Vergine Maria ci sostenga e schiacci il capo del serpente maledetto e dei suoi infernali sostenitori!

ENCICLICA

“MEDIATOR DEI”

DI S. S. PIO XII

“SULLA SACRA LITURGIA” (4)

La partecipazione dei fedeli

È necessario dunque, Venerabili Fratelli, che tutti i fedeli considerino loro principale dovere e somma dignità partecipare al Sacrificio Eucaristico non con un’assistenza passiva, negligente e distratta, ma con tale impegno e fervore da porsi in intimo contatto col Sommo Sacerdote, come dice l’Apostolo: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, offrendo con Lui e per Lui, santificandosi con Lui ». È ben vero che Gesù Cristo è sacerdote, ma non per se stesso, bensì per noi, presentando all’Eterno Padre i voti e i religiosi sensi di tutto il genere umano; Gesù è vittima, ma per noi, sostituendosi all’uomo peccatore; ora il detto dell’Apostolo: « abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» esige da tutti i Cristiani di riprodurre in sé, per quanto è in potere dell’uomo, lo stesso stato d’animo che aveva il Divin Redentore quando faceva il Sacrificio di sé: l’umile sottomissione dello spirito, cioè, l’adorazione, l’onore, la lode e il ringraziamento alla somma Maestà di Dio; richiede, inoltre, di riprodurre in se stessi le condizioni della vittima: l’abnegazione di sé secondo i precetti del Vangelo, il volontario e spontaneo esercizio della penitenza, il dolore e l’espiazione dei propri peccati. Esige, in una parola, la nostra mistica morte in Croce con Cristo, in modo da poter dire con San Paolo: «sono confitto con Cristo in Croce ». – È necessario, Venerabili Fratelli, spiegare chiaramente al vostro gregge come il fatto che i fedeli prendono parte al Sacrificio Eucaristico non significa tuttavia che essi godano di poteri sacerdotali. Vi sono difatti, ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati, insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’ultima cena di fare ciò che Egli aveva fatto, si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei Cristiani, e, soltanto in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico. Sostengono, perciò, che solo il popolo gode di una vera potestà sacerdotale, mentre il sacerdote agisce unicamente per ufficio concessogli dalla comunità. Essi ritengono, in conseguenza, che il Sacrificio Eucaristico è una vera e propria « concelebrazione » e che è meglio che i sacerdoti «concelebrino» insieme col popolo presente piuttosto che, nell’assenza di esso, offrano privatamente il Sacrificio. – È inutile spiegare quanto questi capziosi errori siano in contrasto con le verità più sopra dimostrate, quando abbiamo parlato del posto che compete al sacerdote nel Corpo Mistico di Gesù. Ricordiamo solamente che il Sacerdote fa le veci del popolo perché rappresenta la persona di Nostro Signore Gesù Cristo in quanto Egli è Capo di tutte le membra ed offrì se stesso per esse: perciò va all’altare come ministro di Cristo, a Lui inferiore, ma superiore al popolo. Il popolo invece, non rappresentando per nessun motivo la persona del Divin Redentore, né essendo mediatore tra sé e Dio, non può in nessun modo godere di poteri sacerdotali.

La partecipazione all’oblazione

Tutto ciò consta di fede certa; ma si deve inoltre affermare che anche i fedeli offrono la Vittima divina, sotto un diverso aspetto. Lo dichiararono apertamente già alcuni Nostri Predecessori e Dottori della Chiesa. «Non soltanto – così Innocenzo III di immortale memoria – offrono i sacerdoti, ma anche tutti i fedeli: poiché ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per voto dei fedeli». E Ci piace citare almeno uno dei molti testi di San Roberto Bellarmino a questo proposito: «il Sacrificio – egli dice – è offerto principalmente in Persona di Cristo. Perciò l’oblazione che segue alla consacrazione attesta che tutta la Chiesa consente nella oblazione fatta da Cristo e offre insieme con Lui ». – Con non minore chiarezza i riti e le preghiere del Sacrificio Eucaristico significano e dimostrano che l’oblazione della vittima è fatta dai sacerdoti in unione con il popolo. Infatti, non soltanto il sacro ministro, dopo l’offerta del pane e del vino, rivolto al popolo, dice esplicitamente: « Pregate, o fratelli, perché il mio e il vostro sacrificio sia accetto presso Dio Padre Onnipotente », ma le preghiere con le quali viene offerta la vittima divina vengono, per lo più, dette al plurale, e in esse spesso si indica che anche il popolo prende parte come offerente a questo augusto Sacrificio. Si dice, per esempio: « per i quali noi ti offriamo e ti offrono anch’essi […] perciò ti preghiamo, o Signore, di accettare placato questa offerta dei tuoi servi di tutta la tua famiglia. […] Noi tuoi servi, come anche il tuo popolo santo, offriamo alla eccelsa tua Maestà le cose che Tu stesso ci hai donato e date, l’Ostia pura, l’Ostia santa, l’Ostia immacolata ». – Né fa meraviglia che i fedeli siano elevati a una simile dignità. Col lavacro del Battesimo, difatti, i Cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo sacerdote, e, per mezzo del « carattere » che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo. – Nella Chiesa cattolica, la ragione umana illuminata dalla fede si è sempre sforzata di avere una maggiore conoscenza possibile delle cose divine; perciò è naturale che anche il popolo cristiano domandi piamente in che senso venga detto nel Canone del Sacrificio Eucaristico che lo offre anch’esso. Per soddisfare a questo pio desiderio, Ci piace trattare qui l’argomento con concisione e chiarezza. – Ci sono, innanzi tutto, ragioni piuttosto remote: spesso, cioè, avviene che i fedeli, assistendo ai sacri riti, uniscono alternativamente le loro preghiere alle preghiere del sacerdote; qualche volta, poi, accade parimenti – in antico ciò si verificava con maggiore frequenza – che offrano al ministro dell’altare il pane e il vino perché divengano corpo e sangue di Cristo; e, infine, perché, con le elemosine, fanno in modo che il sacerdote offra per essi la vittima divina. Ma c’è anche una ragione più profonda perché si possa dire che tutti i Cristiani, e specialmente quelli che assistono all’altare, compiono l’offerta. Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine « offerta ». L’immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull’altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però, sull’altare la Vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l’offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico. Che i fedeli offrano il Sacrificio per mezzo del sacerdote è chiaro dal fatto che il ministro dell’altare agisce in persona di Cristo in quanto Capo, che offre a nome di tutte le membra; per cui a buon diritto si dice che tutta la Chiesa, per mezzo di Cristo, compie l’oblazione della vittima. Quando, poi, si dice che il popolo offre insieme col sacerdote, non si afferma che le membra della Chiesa, non altrimenti che il sacerdote stesso, compiono il rito liturgico visibile – il che appartiene al solo ministro da Dio a ciò deputato – ma che unisce i suoi voti di lode, di impetrazione, di espiazione e il suo ringraziamento alla intenzione del sacerdote, anzi dello stesso Sommo Sacerdote, acciocché vengano presentate a Dio Padre nella stessa oblazione della vittima, anche col rito esterno del sacerdote. È necessario, difatti, che il rito esterno del Sacrificio manifesti per natura sua il culto interno: ora, il Sacrificio della Nuova Legge significa quell’ossequio sapremo col quale lo stesso principale offerente, che è Cristo, e con Lui e per Lui tutte le sue mistiche membra, onorano debitamente Dio. Con grande gioia dell’anima siamo stati informati che questa dottrina, specialmente negli ultimi tempi, per l’intenso studio della disciplina liturgica da parte di molti, è stata posta nella sua luce: ma non possiamo fare a meno di deplorare vivamente le esagerazioni e i travisamenti della verità che non concordano con i genuini precetti della Chiesa. Alcuni, difatti, riprovano del tutto le Messe che si celebrano in privato e senza l’assistenza del popolo, quasi che deviino dalla forma primitiva del Sacrificio; né manca chi afferma che i sacerdoti non possono offrire la Vittima divina nello stesso tempo su parecchi altari, perché in questo modo dissociano la comunità e ne mettono in pericolo l’unità: così non mancano di quelli che arrivano fino al punto di credere necessaria la conferma e la ratifica del Sacrificio da parte del popolo perché possa avere la sua forza ed efficacia. Erroneamente in questo caso si fa appello alla indole sociale del Sacrificio Eucaristico. Ogni volta, difatti, che il sacerdote ripete ciò che fece il Divin Redentore nell’ultima cena, il sacrificio è realmente consumato, ed esso ha sempre e dovunque, necessariamente e per la sua intrinseca natura, una funzione pubblica e sociale, in quanto l’offerente agisce a nome di Cristo e dei Cristiani, dei quali il Divin Redentore è Capo, e l’offre a Dio per la Santa Chiesa Cattolica e per i vivi e i defunti. E ciò si verifica certamente sia che vi assistano i fedeli – che Noi desideriamo e raccomandiamo che siano presenti numerosissimi e ferventissimi – sia che non vi assistano, non essendo in nessun modo richiesto che il popolo ratifichi ciò che fa il sacro ministro. – Sebbene, dunque, da quel che è stato detto risulti chiaramente che il santo Sacrificio della Messa è offerto validamente a nome di Cristo e della Chiesa, né è privo dei suoi frutti sociali, anche se è celebrato senza l’assistenza di alcun inserviente, tuttavia, per la dignità di questo mistero, vogliamo e insistiamo – come sempre volle la Madre Chiesa – che nessun Sacerdote si accosti all’altare se non c’è chi gli serva e gli risponda, come prescrive il can. 813.

La partecipazione dell’immolazione

Perché poi l’oblazione, con la quale in questo Sacrificio i fedeli offrono la vittima divina al Padre Celeste, abbia il suo pieno effetto, ci vuole ancora un’altra cosa; è necessario, cioè, che essi immolino se stessi come vittima. Questa immolazione non si limita al sacrificio liturgico soltanto. Vuole, difatti, il Principe degli Apostoli che per il fatto stesso che siamo edificati come pietre vive su Cristo, possiamo come « sacerdozio santo, offrire vittime spirituali gradite a Dio per Gesù Cristo »; e Paolo Apostolo, poi, senza nessuna distinzione di tempo, esorta i Cristiani con le seguenti parole: « Io vi scongiuro, adunque, o fratelli […] che offriate i vostri corpi come vittima viva, santa, a Dio gradita, come razionale vostro culto ». Ma quando soprattutto i fedeli partecipano all’azione liturgica con tanta pietà ed attenzione da potersi veramente dire di essi: « dei quali ti è conosciuta la fede e nota la devozione », non possono fare a meno che la fede di ognuno di essi operi più alacremente per mezzo della carità, si rinvigorisca e fiammeggi la pietà, e si consacrino tutti quanti alla ricerca della gloria divina, desiderando con ardore di divenire intimamente simili a Gesù Cristo che patì acerbi dolori, offrendosi col Sommo Sacerdote e per mezzo di Lui come ostia spirituale. Ciò insegnano anche le esortazioni che il Vescovo rivolge a nome della Chiesa ai sacri ministri nel giorno della loro Consacrazione: «Rendetevi conto di quello che fate, imitate ciò che trattate, in quanto, celebrando il mistero della morte del Signore, procuriate sotto ogni rispetto di mortificare le vostre membra dai vizi e dalle concupiscenze ». E quasi allo stesso modo nei Libri liturgici vengono esortati i Cristiani che si accostano all’altare, perché partecipino ai sacri misteri: «Sia su […] questo altare il culto dell’innocenza, vi si immoli la superbia, si annienti l’ira, si ferisca la lussuria ed ogni libidine, si offra, invece delle tortore, il sacrificio della castità, e invece dei piccioni il sacrificio dell’innocenza ». Assistendo dunque all’altare, dobbiamo trasformare la nostra anima in modo che si estingua radicalmente ogni peccato che è in essa, sia, con ogni diligenza, ristorato e rafforzato tutto ciò che per Cristo dà la vita soprannaturale: e così diventiamo, insieme con l’Ostia immacolata, una vittima a Dio Padre gradita. – La Chiesa si sforza, con i precetti della sacra Liturgia, di portare ad effetto nella maniera più adatta questo santissimo proposito. A questo mirano non soltanto le letture, le omelie e le altre esortazioni dei ministri sacri e tutto il ciclo dei misteri che ci vengono ricordati durante l’anno, ma anche le vesti, i riti sacri e il loro esteriore apparato, che hanno il compito di «far pensare alla maestà di tanto Sacrificio, eccitare le menti dei fedeli, per mezzo dei segni visibili di pietà e di religione, alla contemplazione delle altissime cose nascoste in questo Sacrificio». – Tutti gli elementi della Liturgia mirano dunque a riprodurre nell’anima nostra l’immagine del Divin Redentore attraverso il mistero della Croce, secondo il detto dell’Apostolo delle Genti: «Sono confitto con Cristo in Croce, e vivo non già più io, ma è Cristo che vive in me». Per la qual cosa diventiamo ostia insieme con Cristo per la maggior gloria del Padre. In questo dunque devono volgere ed elevare la loro anima i fedeli che offrono la vittima divina nel Sacrificio Eucaristico. Se, difatti, come scrive S. Agostino, sulla mensa del Signore è posto il nostro mistero, cioè lo stesso Cristo Signore, in quanto è Capo e simbolo di quella unione in virtù della quale noi siamo il corpo di Cristo e membra del suo Corpo; se San Roberto Bellarmino insegna, secondo il pensiero del Dottore di Ippona, che nel Sacrificio dell’altare è significato il generale sacrificio col quale tutto il Corpo Mistico di Cristo, cioè tutta la città redenta, viene offerta a Dio per mezzo di Cristo Gran Sacerdote, nulla si può trovare di più retto e di più giusto, che immolarci noi tutti, col nostro Capo che ha sofferto per noi, all’Eterno Padre. Nel Sacramento dell’altare, secondo lo stesso Agostino, si dimostra alla Chiesa che nel sacrificio che offre è offerta anch’essa. Considerino, dunque, i fedeli a quale dignità li innalza il sacro lavacro del Battesimo; né si contentino di partecipare al Sacrificio Eucaristico con l’intenzione generale che conviene alle membra di Cristo e ai figli della Chiesa, ma liberamente e intimamente uniti al Sommo Sacerdote e al suo ministro in terra secondo lo spirito della sacra Liturgia, si uniscano a lui in modo particolare al momento della consacrazione dell’Ostia divina, e la offrano insieme con lui quando vengono pronunziate quelle solenni parole: «Per Lui, con Lui, in Lui, è a te, Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli »; alle quali parole il popolo risponde: «Amen». Né si dimentichino i Cristiani di offrire col divin Capo Crocifisso se stessi e le loro preoccupazioni, dolori, angustie, miserie e necessità.

Mezzi per promuovere questa partecipazione

Sono, dunque, degni di lode coloro i quali, allo scopo di rendere più agevole e fruttuosa al popolo cristiano la partecipazione al Sacrificio Eucaristico, si sforzano di porre opportunamente tra le mani del popolo il «Messale Romano », di modo che i fedeli, uniti insieme col sacerdote, preghino con lui con le sue stesse parole e con gli stessi sentimenti della Chiesa; e quelli che mirano a fare della Liturgia, anche esternamente, una azione sacra, alla quale comunichino di fatto tutti gli astanti. Ciò può avvenire in vari modi: quando, cioè, tutto il popolo, secondo le norme rituali, o risponde disciplinatamente alle parole del sacerdote, o esegue canti corrispondenti alle varie parti del Sacrificio, o fa l’una e l’altra cosa: o infine, quando, nella Messa solenne, risponde alternativamente alle preghiere dei ministri di Gesù Cristo e insieme si associa al canto liturgico. Tuttavia, queste maniere di partecipare al Sacrificio sono da lodare e da consigliare quando obbediscono scrupolosamente ai precetti della Chiesa e alle norme dei sacri riti. Esse sono ordinate soprattutto ad alimentare e fomentare la pietà dei Cristiani e la loro intima unione con Cristo e col suo ministro visibile, ed a stimolare quei sentimenti e quelle disposizioni interiori con le quali è necessario che la nostra anima si configuri al Sommo Sacerdote del Nuovo Testamento. Nondimeno, sebbene esse dimostrino in modo esteriore che il Sacrificio, per natura sua, in quanto è compiuto dal Mediatore di Dio e degli uomini, è da ritenersi opera di tutto il Corpo Mistico di Cristo; non sono però necessarie per costituirne il carattere pubblico e comune. Inoltre, la Messa «dialogata» non può sostituirsi alla Messa solenne, la quale, anche se è celebrata alla presenza dei soli ministri, gode di una particolare dignità per la maestà dei riti e l’apparato delle cerimonie; benché il suo splendore e la sua solennità si accresca massimamente se, come la Chiesa desidera, vi assiste un popolo numeroso e devoto. Si deve osservare ancora che sono fuori della verità e del cammino della retta ragione coloro i quali, tratti da false opinioni, attribuiscono a tutte queste circostanze tale valore da non dubitare di asserire che, omettendole, l’azione sacra non può raggiungere lo scopo prefissosi. Non pochi fedeli, difatti, sono incapaci di usare il «Messale Romano» anche se è scritto in lingua volgare; né tutti sono idonei a comprendere rettamente, come conviene, i riti e le cerimonie liturgiche. L’ingegno, il carattere e l’indole degli uomini sono così vari e dissimili che non tutti possono ugualmente essere impressionati e guidati da preghiere, da canti o da azioni sacre compiute in comune. I bisogni, inoltre, e le disposizioni delle anime non sono uguali in tutti, né restano sempre gli stessi nei singoli. Chi, dunque, potrà dire, spinto da un tale preconcetto, che tanti Cristiani non possono partecipare al Sacrificio Eucaristico e goderne i benefici? Questi possono certamente farlo in altra maniera che ad alcuni riesce più facile; come, per esempio, meditando piamente i misteri di Gesù Cristo, o compiendo esercizi di pietà e facendo altre preghiere che, pur differenti nella forma dai sacri riti, ad essi tuttavia corrispondono per la loro natura. – Per la qual cosa vi esortiamo, Venerabili Fratelli, perché, nella vostra Diocesi o giurisdizione ecclesiastica, regoliate e ordiniate la maniera più adatta con la quale il popolo possa partecipare all’azione liturgica secondo le norme stabilite dal «Messale Romano» e secondo i precetti della Sacra Congregazione dei Riti e del Codice di Diritto Canonico; così che tutto si compia col necessario ordine e decoro, né sia consentito ad alcuno, sia pur Sacerdote, di usare i sacri edifici per arbitrari esperimenti. A tale proposito desideriamo anche che nelle singole Diocesi, come già esiste una Commissione per l’arte e la musica sacra, così si costituisca una Commissione per promuovere l’apostolato liturgico, perché, sotto la vostra vigilante cura, tutto si compia diligentemente secondo le prescrizioni della Sede Apostolica. Nelle comunità religiose, poi, si osservi accuratamente tutto ciò che le proprie Costituzioni hanno stabilito in questa materia, e non si introducano novità che non siano state prima approvate dai Superiori. In realtà, per quanto varie possano essere le forme e le circostanze esteriori della partecipazione del popolo al Sacrificio Eucaristico e alle altre azioni liturgiche, si deve sempre mirare con ogni cura a che le anime degli astanti si uniscano al Divino Redentore con i vincoli più stretti possibili, e a che la loro vita si arricchisca di una santità sempre maggiore e cresca ogni giorno più la gloria del Padre celeste.

La Comunione

L’augusto Sacrificio dell’altare si conclude con la Comunione del divino convito. Ma, come tutti sanno, per avere l’integrità dello stesso Sacrificio, si richiede soltanto che il Sacerdote si nutra del cibo celeste, non che anche il popolo – cosa, del resto, sommamente desiderabile – acceda alla santa Comunione. Ci piace, a questo proposito, ripetere le considerazioni del Nostro Predecessore Benedetto XIV sulle definizioni del Concilio di Trento: «In primo luogo […] dobbiamo dire che a nessun fedele può venire in mente che le Messe private, nelle quali il solo sacerdote prende l’Eucaristia, perdano perciò il valore del vero, perfetto ed integro Sacrificio istituito da Cristo Signore e siano, quindi, da considerarsi illecite. Né i fedeli ignorano – almeno possono facilmente essere istruiti – che il Sacrosanto Concilio di Trento, fondandosi sulla dottrina custodita nella ininterrotta Tradizione della Chiesa, condannò la nuova e falsa dottrina di Lutero ad essa contraria». «Chi dice che le Messe nelle quali il solo sacerdote comunica sacramentalmente sono illecite e perciò da abrogarsi, sia anatema ». – Si allontanano dunque dal cammino della verità coloro i quali si rifiutano di celebrare se il popolo cristiano non si accosta alla mensa divina; e ancora di più si allontanano quelli che, per sostenere l’assoluta necessità che i fedeli si nutrano del convito Eucaristico insieme col Sacerdote, asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza, e fanno della santa Comunione compiuta in comune quasi il culmine di tutta la celebrazione. Si deve, difatti, ancora una volta notare che il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della Vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio, e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell’Augusto Sacramento; e mentre è assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente. Come, però, la Chiesa, in quanto Maestra di verità, si sforza con ogni cura di tutelare l’integrità della fede cattolica, così, in quanto Madre sollecita dei suoi figli, vivamente li esorta a partecipare con premura e frequenza a questo massimo beneficio della nostra religione. Desidera innanzi tutto che Cristiani – specialmente quando non possono facilmente ricevere di fatto il cibo Eucaristico – lo ricevano almeno col desiderio; in modo che con viva fede, con animo riverentemente umile e confidente nella volontà del Redentore Divino, con l’amore più ardente, si uniscano a Lui. Ma ciò non le basta. Poiché, difatti, come abbiamo sopra detto, noi possiamo partecipare al Sacrificio anche con la Comunione sacramentale per mezzo del convito del Pane degli Angeli, la Madre Chiesa, perché più efficacemente « possiamo sentire in noi di continuo il frutto della Redenzione », ripete a tutti i suoi figli l’invito di Cristo Signore: « Prendete e mangiate […] Fate questo in mia memoria ». Al qual proposito, il Concilio di Trento, facendo eco al desiderio di Gesù Cristo e della sua Sposa immacolata, esorta ardentemente «perché in tutte le Messe i fedeli presenti partecipino non soltanto spiritualmente, ma anche ricevendo sacramentalmente l’Eucaristia, perché venga ad essi più abbondante il frutto di questo Sacrificio». Anzi il nostro immortale Predecessore Benedetto XIV, perché sia meglio e più chiaramente manifesta la partecipazione dei fedeli allo stesso Sacrificio divino per mezzo della Comunione Eucaristica, loda la devozione di coloro i quali non solo desiderano nutrirsi del cibo celeste durante l’assistenza al Sacrificio, ma amano meglio cibarsi delle ostie consacrate nel medesimo Sacrificio, sebbene, come egli dichiara, si partecipi veramente e realmente al Sacrificio anche se si tratta di pane Eucaristico prima regolarmente consacrato. Così, difatti, scrive: « E benché partecipino allo stesso Sacrificio, oltre quelli ai quali il Sacerdote celebrante dà parte della Vittima da lui offerta nella stessa Messa, anche quelli ai quali il Sacerdote dà l’Eucaristia che si suol conservare; non per questo la Chiesa ha proibito in passato o adesso proibisce che il Sacerdote soddisfi alla devozione e alla giusta richiesta di coloro che assistono alla Messa e chiedono di partecipare allo stesso Sacrificio che anch’essi offrono nella maniera loro confacente: anzi approva e desidera che ciò sia fatto, e rimprovererebbe quei Sacerdoti per la cui colpa o negligenza fosse negata ai fedeli quella partecipazione». Voglia, poi, Dio, che tutti, spontaneamente e liberamente, corrispondano a questi solleciti inviti della Chiesa; voglia Dio che fedeli, anche ogni giorno se lo possono, partecipino non soltanto spiritualmente al Sacrificio Divino, ma anche con la Comunione dell’Augusto Sacramento, ricevendo il Corpo di Gesù Cristo, offerto per tutti all’Eterno Padre. Stimolate, Venerabili Fratelli, nelle anime affidate alle vostre cure, l’appassionata e insaziabile fame di Gesù Cristo; il vostro insegnamento affolli gli altari di fanciulli e di giovani che offrano al Redentore Divino la loro innocenza e il loro entusiasmo; vi si accostino spesso i coniugi perché, nutriti alla sacra mensa e grazie ad essa, possano educare la prole loro affidata al senso e alla carità di Gesù Cristo; siano invitati gli operai, perché possano ricevere il cibo efficace e indefettibile che ristora le loro forze e prepara alle loro fatiche la mercede eterna nel cielo; radunate, infine, gli uomini di tutte le classi e «costringete a entrare»; perché questo è il pane della vita del quale hanno tutti bisogno. La Chiesa di Gesù Cristo ha a disposizione solo questo pane per saziare le aspirazioni e i desideri delle anime nostre, per unirle intimamente a Gesù Cristo, perché, infine, per esso diventino «un solo corpo» e si affratellino quanti siedono alla stessa mensa per prendere il farmaco della immortalità con la frazione di un unico pane. È assai opportuno, poi – il che, del resto, è stabilito dalla Liturgia – che il popolo acceda alla santa Comunione dopo che il Sacerdote ha preso dall’altare il cibo divino; e, come abbiamo scritto sopra, sono da lodarsi coloro i quali, assistendo alla Messa, ricevono le ostie consacrate nel medesimo Sacrificio, in modo che si verifichi « che tutti quelli che, partecipando a questo altare, abbiamo ricevuto il sacrosanto Corpo e Sangue del Figlio tuo, siamo colmati d’ogni grazia e benedizione celeste ». Tuttavia, non mancano talvolta le cause, né sono rare, per cui venga distribuito il pane Eucaristico o prima o dopo lo stesso Sacrificio, e anche che si comunichi – sebbene si distribuisca la Comunione subito dopo quella del Sacerdote – con ostie consacrate in un tempo antecedente. Anche in questi casi come, del resto, abbiamo ammonito prima il popolo partecipa regolarmente al Sacrificio Eucaristico e può spesso con maggiore facilità accostarsi alla mensa di vita eterna. Che se la Chiesa, con materna accondiscendenza, si sforza di venire incontro ai bisogni spirituali dei suoi figli, questi nondimeno, da parte loro, non devono facilmente sdegnare tutto ciò che la sacra Liturgia consiglia, e, sempre che non vi sia un motivo plausibile in contrario, devono fare tutto ciò che più chiaramente manifesta all’altare la vivente unità del Corpo.

Il ringraziamento

L’azione sacra, che è regolata da particolari norme liturgiche, dopo che è stata compiuta, non dispensa dal ringraziamento colui che ha gustato il nutrimento celeste; è cosa, anzi, molto conveniente che egli, dopo aver ricevuto il cibo Eucaristico e dopo la fine dei riti pubblici, si raccolga, e, intimamente unito al Divino Maestro, si trattenga con Lui, per quanto gliene diano opportunità le circostanze, in dolcissimo e salutare colloquio. Si allontanano, quindi, dal retto sentiero della verità coloro i quali, fermandosi alle parole più che al pensiero, affermano e insegnano che, finita la Messa, non si deve prolungare il ringraziamento, non soltanto perché il Sacrificio dell’altare è per natura sua un’azione di grazie, ma anche perché ciò appartiene alla pietà privata, personale, e non al bene della comunità. Ma, al contrario, la natura stessa del Sacramento richiede che il cristiano che lo riceve ne ricavi abbondanti frutti di santità. Certo, la pubblica adunanza della comunità è sciolta, ma è necessario che i singoli, uniti con Cristo, non interrompano nella loro anima il canto di lode « ringraziando sempre di tutto, nel nome del Signor Nostro Gesù Cristo, il Dio e il Padre ». A ciò ci esorta anche la stessa sacra Liturgia del Sacrificio Eucaristico, quando ci comanda di pregare con queste parole: «Concedici, ti preghiamo, di renderti continue grazie … e non cessiamo mai di lodarti ». Per cui, se si deve sempre ringraziare Dio e non si deve mai cessare dal lodarlo, chi oserebbe riprendere e disapprovare la Chiesa che consiglia ai suoi Sacerdoti e ai fedeli di trattenersi almeno per un po’ di tempo, dopo la Comunione, in colloquio col Divin Redentore, e che ha inserito nei libri liturgici opportune preghiere, arricchite di indulgenze, con le quali i sacri ministri si possono convenientemente preparare prima di celebrare e di comunicarsi, e, compiuta la santa Messa, manifestare a Dio il loro ringraziamento? La sacra Liturgia, lungi dal soffocare gli intimi sentimenti dei singoli Cristiani, li agevola e li stimola, perché essi siano assimilati a Gesù Cristo e per mezzo di Lui indirizzati al Padre; quindi essa stessa esige che chi si è accostato alla mensa Eucaristica ringrazi debitamente Dio. Al Divin Redentore piace ascoltare le nostre preghiere, parlare a cuore aperto con noi, e offrirci rifugio nel suo Cuore fiammeggiante. Anzi, questi atti, propri dei singoli, sono assolutamente necessari per godere più abbondantemente di tutti i soprannaturali tesori di cui è ricca la Eucaristia e per trasmetterli agli altri secondo le nostre possibilità affinché Cristo Signore consegua in tutte le anime la pienezza della sua virtù. Perché, dunque, Venerabili Fratelli, non loderemmo coloro i quali, ricevuto il cibo Eucaristico, anche dopo che è stata sciolta ufficialmente l’assemblea cristiana, si indugiano in intima familiarità col Divin Redentore, non solo per trattenersi dolcemente con Lui, ma anche per ringraziarlo e lodarlo, e specialmente per domandargli aiuto, affinché tolgano dalla loro anima tutto ciò che può diminuire l’efficacia del Sacramento, e facciano da parte loro tutto ciò che può favorire la presentissima azione di Gesù? Li esortiamo, anzi, a farlo in modo particolare, sia traducendo in pratica i propositi concepiti ed esercitando le cristiane virtù, sia adattando ai propri bisogni quanto hanno ricevuto con regale liberalità. Veramente parlava secondo precetti e lo spirito della Liturgia l’autore dell’aureo libretto della Imitazione di Cristo, quando consigliava a chi si era comunicato: « Raccogliti in segreto e goditi il tuo Dio, perché possiedi Colui che il mondo intero non potrà toglierti ». Noi tutti, dunque, così intimamente stretti a Cristo, cerchiamo quasi di immergerci nella sua santissima anima, e ci uniamo con Lui per partecipare agli atti di adorazione con i quali Egli offre alla Trinità Augusta l’omaggio più grato ed accetto; agli atti di lode e di ringraziamento che Egli offre all’Eterno Padre, e a cui fa eco concorde il cantico del cielo e della terra, come è detto: « Benedite il Signore, tutte le opere sue »: agli atti, infine, partecipando ai quali imploriamo l’aiuto celeste nel momento più opportuno per chiedere ed ottenere soccorso in nome di Cristo: ma soprattutto ci offriamo e immoliamo vittime, con le parole: «Fa che noi ti siamo eterna offerta». Il Divin Redentore ripete incessantemente il suo premuroso invito: «Restate in me». Per mezzo del Sacramento della Eucaristia, Cristo dimora in noie noi dimoriamo in Cristo; e come Cristo, rimanendo in noi, vive ed opera, così è necessario che noi, rimanendo in Cristo, per Lui viviamo e operiamo.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.