SALMI BIBLICI: “IN CONVERTENDO DOMINUS CAPTIVITATEM SION” (CXXV)

SALMO 125: “IN CONVERTENDO Dominus captivitatem Sion”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS. 

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 125:

Canticum graduum.

[1]  In convertendo Dominus captivitatem Sion,

facti sumus sicut consolati.

[2] Tunc repletum est gaudio os nostrum, et lingua nostra exsultatione. Tunc dicent inter gentes: Magnificavit Dominus facere cum eis.

[3] Magnificavit Dominus facere nobiscum; facti sumus laetantes.

[4] Converte, Domine, captivitatem nostram, sicut torrens in austro.

[5] Qui seminant in lacrimis, in exsultatione metent.

[6] Euntes ibant et flebant, mittentes semina sua. Venientes autem venient cum exsultatione, portantes manipulos suos.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXV.

Il profeta parla chiaramente del ritorno d’Israele dalla cattività in patria.

Cantico dei gradi.

1. Quando il Signore fe’ tornare quelli di Sion dalla cattività, noi fummo come uomini ricolmi di consolazione.

2. Allora fu ripiena di gaudio la nostra bocca, e la nostra lingua di giubilo.

3. Allora dirassi tra le nazioni: Il Signore ha fatte, cose grandi per essi.  Il Signore ha fatto grandi cose per noi, siamo inondati di letizia.

4. Riconduci, o Signore, i nostri dalla cattività, quasi torrente al soffio dell’austro.

5. Quei che seminano tra le lacrime mieteranno con giubilo.

6. Camminavano, e andavan piangendo a spargere la loro semenza.  Ma al ritorno verranno con festa grande, portando i loro manipoli.

Sommario  analitico

Nel salmo precedente gli esiliati di ritorno dalla cattività erano nella gioia alla vista di Sion, della sua magnifica situazione e della sua forte ed inespugnabile posizione. In questo salmo, essi ammirano i benefici di cui Dio li ha colmati per riportarli alla loro fortuna, alla loro primitiva felicità. Essi sono in questo la figura dell’anima che, ricordando i mali dai quali il Signore l’ha liberata, esplode con trasporto di riconoscenza e prega Dio di completare la liberazione del suo popolo. Ora, essi considerano tre tempi:

I. Il tempo passato in cui uscirono da Babilonia:

1° La loro gioia non era ancora perfetta, perché non erano certi di raggiungere la loro patria, per la lunga distanza e per tutti i pericoli (1);

2° Essi esprimono a Dio la loro riconoscenza con canti di gioia (2);

3° I popoli dei quali attraverseranno le regioni testimoniano essi stessi la loro ammirazione (2).

II. – Il tempo presente in cui gioiscono con sicurezza dei doni di Dio.

1° Essi proclamano che il Signore ha agito magnificamente con essi (2);

2° Essi non sono che all’inizio come consolati, ma già in una gioia perfetta (3).

III. – Il tempo a venire in cui i resti della cattività dovevano ritornare:

1° Essi la domandano a Dio (4);

2° Essi danno la ragione di questa preghiera: è giusto che la gioia sopravvenga alle lacrime; ora, gli esiliati hanno seminato nelle lacrime, bisogna dunque che essi mietano nella gioia (5, 6). 

Spiegazioni e considerazioni

I. – 1-2

ff. 1, 2. – Appena i Giudei prigionieri ed esiliati ebbero appreso il decreto che rendeva loro la libertà e il ritorno in patria, stentarono a credere alla loro gioia, non credevano ai propri occhi ed alle proprie orecchie, era per essi un sogno: essi provarono ciò che provano coloro che vedono realizzarsi per loro una grande consolazione dopo una immensa tribolazione, e che passano dalla tristezza e dalle lacrime alla gioia ed all’allegria. Questa consolazione è la porzione di coloro che rivolgono tutti i loro pensieri a Dio, e che disprezzano le vane speranze del secolo, calpestando tutte le soddisfazioni terrestre, dirigendo i loro passi nella via della pace, perché comprendono qual bene ineffabile è l’essere staccato dalle catene del demonio e dalle profondità dell’inferno, per prepararsi alla voce di Dio e, sotto la sua guida, a possedere la patria celeste, la vera libertà e l’eterna pace (Bellarm.). – La cattività del corpo è una cosa penosa e dura, perché ci impedisce la libertà e ci sottomette alla dominazione dei vincitori; ma se solo il corpo è ridotto in schiavitù, la libertà dell’anima fedele resta tutta intera … Ma deplorabile com’è la cattività dell’anima se la domina l’avarizia, essa si serve del corpo per soddisfare le sue ruberie e le sue rapine; se essa si lascia vincere dalla voluttà, trascina il corpo con sé nella schiavitù; se la lussuria, la collera, l’odio, la temerarietà, l’invidia, trionfano in essa, sotto tali padroni il corpo con l’anima sono schiavi dei più duri tiranni, e la cattività dell’anima è sempre seguita dalla schiavitù del corpo … È da questa duplice cattività che il Signore ci libera con la remissione dei peccati (S. Hilar.). – La consolazione non è fatta che per gli infelici; la consolazione non è fatta che per coloro che gemono e che piangono. Perché siamo dunque consolati, se non perché gemiamo ancora? Quando questa realtà sarà passata, il nostro gemere si muterà in una gioia eterna nella quale non avremo più bisogno di consolazione, perché alcuna miseria ci colpirà più. (S. Agost.) – « Noi fummo come consolati; » cioè l’ammirazione della grandezza del bene che ci arrivò era sì eccessiva che ci impediva di sentire la consolazione che ricevemmo, e ci sembrava che noi non fossimo veramente consolati, che non avessimo una consolazione di verità, ma solo in figura ed in sogno (S. Francesco de Sales, Tract. de l’am. De Dieu, L. IX, c. XII) – Dalla consolazione interiore nasce la gioia esteriore, che si riconosce dall’espressione di felicità dipinta sul volto e dagli accenti di gioia ed allegria: le nostre parole sono impotenti a rendere a Dio delle degne azioni di grazie. I crimini hanno fatto posto all’innocenza, i vizi alle virtù, l’ignoranza alla conoscenza delle verità divine, la morte all’immortalità, e questo grazie a Dio, che ci rimette le colpe delle quali ci siamo pentiti e ci rende la speranza dei beni immortali. (S. Hilar.) – È l’ammirazione di cui il mondo stesso non può dispensarsi per coloro che, dopo avere seguito le sue leggi, sembrano giragli il dorso e marciare verso la patria celeste, attraverso la via rude della virtù e dell’imitazione di Gesù Cristo; perché il mondo che non ama più, è vero, coloro che non sono del mondo, non può tuttavia dispensarsi dall’ammirarli e dal riconoscere che Dio è in essi e con essi. (Bellar.)

II. — 3-6

ff. 3-6. –  « Il Signore ha fatto per noi grandi cose. » Essi stessi si sono fatti questo grande bene? Essi si sono fatti un grande male, perché si sono venduti al peccato. Il Redentore è venuto ed il loro bene è venuto con Lui, ed il Signore ha fatto loro del gran bene. » (S.Agost.) – Non succede tutti i giorni che un peccatore sia ristabilito nella giustizia, e gusti in questi primi momenti i frutti della sua riconciliazione con Dio; la sua anima ammira il cambiamento che è avvenuto in se stessa, e le delizie della pace interiore e ricolmata di una gioia tutta divina preferibile a tutte le gioie del mondo. (Berthier) – I primi arrivati dalla cattività pregano il Signore per il ritorno completo di tutti i prigionieri, ed il salmista disegna l’immagine di un torrente che, spinto dal vento del mezzogiorno, avanza d’ordinario le sue acque con abbondanza e rapidità, e chiede a Dio che tutti i prigionieri che restano ancora in terra straniera ritornino prontamente ed in gran numero, trasportati come gli oggetti che scorre e trasporta con sé il torrente ingrossato, sotto il vento impetuoso del mezzogiorno, per le piogge del cielo e le nevi sciolte che scendono dalle montagne. – Quanto più questa preghiera è necessaria ai pellegrini spirituali; perché, benché un certo numero siano già pervenuti alla patria, sono molti che sono ancora in viaggio, che si sono dati ad amare le loro catene, e dediti interamente alle cose della terra, non sognano più la patria. (Bellarm.) – Gli stessi giusti, anche perfetti, per quanto staccati dal mondo, gemono sempre nell’attesa della loro perfetta liberazione. Essi sentono vivamente i legami che li stringono loro malgrado, e chiedono incessantemente a Dio che finisca di rompere le catene che li tengono ancora prigionieri. (Dug.) – Il vento bruciante del mezzogiorno, è lo Spirito di Dio che soffia sui ghiacciai della nostra anima, li fa sciogliere e li trasforma in un torrente rapido che poi scorrono fino alla vita eterna (S. Agost.) – Quando il Giudei furono condotti in cattività, erano simili a coloro che spandono la semenza. I loro giorni erano giorni di pene, di tormenti, di tribolazioni; essi erano esposti ai rigori dell’inverno, alle tempeste, alla guerra, alle piogge, alle frane, ed essi versavano lacrime abbondanti, perché la lacrime sono, per le anime afflitte, ciò che le piogge sono per la semenza (S. Chrys.) – Colui che semina, spesso semina nelle lacrime; egli getta grano nella terra, senza sapere se questo grano fruttificherà, e trema dall’aver dispensato senza profitto le sue pene, le sue fatiche e il suo bene; e tuttavia non lascia di seminare senza curarsi della pioggia che cade, né del vento freddo che soffia, né dei rigori della stagione, perché egli aspetta le messe, ed anche quando, malgrado l’inverno di questa vita mortale, dobbiamo seminare piangendo la semenza che Dio ama, quella della nostra buona volontà e delle nostre buone opere, pensando alle gioie della messe. (S. Agost.). – Non si può raccogliere che a condizione di seminare. Ora ogni semenza ha un costo, la radice delle opere sante è necessariamente irrorata dalle lacrime del sacrificio: felici sono le lacrime che cadendo sul solco, fanno fruttificare la semenza ed accrescere, per l’avvenire, le speranze della raccolta. (S. Ambr.) – Seminiamo dunque in questa vita, che è piena di lacrime. Ma cosa seminiamo? Le buone opere. Le opere di misericordia sono la nostra semenza; l’Apostolo ha detto di queste semenze: « Non tralasciamo di fare il bene; perché se siamo instancabili, raccoglieremo la messe a suo tempo. Ecco perché, quando ci è dato tempo, facciamo del bene a tutti, principalmente a coloro che fanno parte della famiglia della fede. » (Galat. VI, 9, 10) Cosa ha detto egli a proposito delle elemosine? « Io vi dico, chi semina poco, raccoglierà scarsamente. » (II Cor. IX, 6). Di conseguenza, colui che semina molto raccoglierà con abbondanza, e chi semina poco, poco raccoglierà, e colui che non semina del tutto la semenza? Voi non avreste, per seminare, un campo più vasto che il Cristo, che ha voluto che si seminasse attraverso di Lui. La vostra terra è la Chiesa; pensateci più che potete. Ma direte voi, che i vostri mezzi di azione sono ristretti. Ne avete la buona volontà? Voi non avrete nulla se non avrete la buona volontà, così non vi rattristerete di nulla se avete la buona volontà. In effetti, cosa seminate? La misericordia; e cosa raccogliete? La pace. Gli Angeli hanno forse detto: Pace ai ricchi sulla terra? No, essi hanno detto: « Pace sulla terra agli uomini di buona volontà. » (Luc. II, 14), (S. Agost.) –  Gettiamo la nostra semenza in mezzo alla miseria presente; un giorno raccoglieremo nella gioia. Alla fine della nostra vita, nel giorno della resurrezione dei morti, ciascuno raccoglierà i suoi covoni, cioè i frutti delle proprie semenze, la corona di gioia e di felicità. Questa sarà l’ora del trionfo dei santi che, nel loro trasporto di gioia, insorgeranno verso questa morte, in seno alla quale gemono e diranno: O morte! Dov’è la tua forza? O morte! Dov’è il tuo pungiglione! » (I Cor. XV, 55). Ma perché essi gioiranno? Perché porteranno i loro covoni, per aver altra volta camminato tra le lacrime, spargendo in terra le loro semenze (S. Agost.).