SALMI BIBLICI: “QUI CONFIDUNT IN DOMINO, SICUT MONS SION” (CXXIV)

SALMO 124: Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.  

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 124:

Canticum graduum.

[1] Qui confidunt in Domino, sicut mons Sion:

non commovebitur in æternum, qui habitat

[2] in Jerusalem. Montes in circuitu ejus; et Dominus in circuitu populi sui, ex hoc nunc et usque in sæculum.

[3] Quia non relinquet Dominus virgam peccatorum super sortem justorum; ut non extendant justi ad iniquitatem manus suas,

[4] benefac, Domine, bonis, et rectis corde.

[5] Declinantes autem in obligationes, adducet Dominus cum operantibus iniquitatem. Pax super Israel! [1]

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXIV.

Anima il profeta i viatori alla patria, a gran fiducia in Dio, che è potentissimo e fedelissimo.

Cantico dei gradi.

1. Coloro che confidano nel Signore sono come il monte di Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme.

2. Ella è cinta dai monti; e il Signore cinge il suo popolo, e adesso e per sempre.

3 Perocché il Signore non lascerà che io salirò dei peccatori (domini) sopra l’eredità

dei giusti; affinché non istendano i giusti le loro mani all’iniquità.

4. Sii tu benefico, o Signore, coi buoni e con quelli di cuore retto.

5. Quelli poi che a storti sentieri si volgono, li porrà insieme il Signore con quelli che operan l’iniquità: pace sopra Israele. [1]

(1) La parola “obligationes” ha dato luogo a differenti interpretazioni. Noi ci contentiamo di fare osservare, per giustificare il senso che abbiamo adottato nella traduzione del testo e nelle spiegazioni che seguono, senso che è il più generalmente adottato, che questo versetto non fa che uno con il precedente, del quale è come il complemento, e se si vuol conciliare il testo latino, greco ed ebraico, non si può dubitare che questo termini non significhi l’obliquità e la tortuosità che prende la corda contrariata nella sua direzione, nell’avvolgersi in numerosi anelli. Questi nodi, queste tortuosità sono messi là per opposizione alla rettitudine di cui sta per parlare il salmista, e così c’è legame per sequela di idee. Se al contrario, si vuole intendere con questa parola, l’obbligo di fare qualche cosa, come sono i voti, i giuramenti, le promesse, i patti, ed altri impegni simili, non si potrà che indovinare appena ciò che ha voluto dire il Profeta. 

Sommario analitico.

In questo salmo il Profeta, giunto dopo l’esilio al termine del suo viaggio nella città santa, proclama la felicità di coloro che confidano nel Signore.

I. – Egli afferma la stabilità e la sicurezza di coloro che confidano in Dio, e che egli compara alla montagna di Sion:

1° essi saranno indistruttibili (1) ;

2° saranno in una sicurezza perfetta e durevole (2).

II. – Descrive la loro felicità che sarà il seguito:

1° della fine prossima delle persecuzioni dei loro nemici, di cui dà la ragione (3);

2° dei benefici che Dio spande sui giusti e su coloro che hanno il cuore retto (4);

3° del severo castigo che esercita sugli ipocriti e su coloro che seguono le vie tortuose;

4° della pace che farà regnare su Israele (5).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1.- 2.

ff. 1, 2. – « Coloro che confidano veramente in Dio sono come la montagna di Sion. Questa è il simbolo di una ferma speranza, invincibile, indistruttibile: avrete bene da moltiplicare le macchine, ma non riuscirete mai a rovesciare o distruggere una montagna. Così colui che attacca l’uomo, la cui speranza è in Dio, vedrà inutile tutti i suoi sforzi, perché la speranza in Dio, è un appoggio più sicuro di quanto possa essere una montagna (S. Chrys.) – « … come la montagna di Sion, » a causa della sua immobilità, della sua elevazione, della sua stabilità e soprattutto perché è una montagna cara e consacrata a Dio. La santa montagna di Sion, indistruttibile per la Potenza che Dio vi afferma, comunica la sua immobilità e la sua tranquillità ai suoi abitanti. – « Colà, non saranno mai abbattuti coloro che abitano in Gerusalemme. » Se noi qui intendiamo la Gerusalemme terrestre, tutti coloro che l’abitavano sono stati cacciati dalle guerre e dalla distruzione di questa città. Perché dunque coloro che abitano in essa non saranno mai distrutti, se non perché c’è un’altra Gerusalemme che è la madre nostra e verso la quale noi sospiriamo e gemiamo nel viaggio di questa vita, per avere la felicità di entravi? Noi erriamo lontano da essa e non abbiamo alcun cammino che ci conduca ad essa: il suo Re è venuto e si è fatto nostra via, affinché potessimo ritornare ad essa (S. Agost.) – Rappresentatevi la felicità della città dei cieli: coloro che vi sono entrati sono al riparo da ogni prova, e nulla oramai potrà distruggerli, né le passioni, né i piaceri, né le occasioni di peccato, né il dolore, né le sofferenze, né i pericoli, tutto ciò non esiste che nel passato (S. Chrys.). – La necessità di un senso superiore in senso letterale, appare qui in tutta la sua evidenza. Il nome della montagna di Sion, l’abitazione in Gerusalemme, le montagne che la circondano, tutto ciò richiede un senso spirituale, interiore se si vuole, ebbene questo salmo sia senza oggetto, ed il Profeta, attraverso il quale noi crediamo che lo Spirito Santo abbia parlato, potrebbe essere accusato di menzogna. Qual frutto, in effetti, riporterà colui che mette la sua fiducia nel Signore, di essere come la montagna di Sion, cioè che un uomo ragionevole diventi una pietra, una roccia, un albero, o altro, e di discendere dalla natura animata alla natura inanimata? Come sarebbe vero, allora che colui che abita in Gerusalemme non sarà mai abbattuto? E Gerusalemme ha potuto santificare e difendere i suoi abitanti e dare loro eterno rifugio, essa che ha visto compiersi in mezzo ad essa il massacro dei Profeti, il giudizio che condannò il Signore a morte, la fuga degli Apostoli e lo scandalo della croce? Quante volte i suoi abitanti sono stati condotti in cattività? Quante volte messi a morte? Infine questa città è stata distrutta da cima a fondo, e coloro che sono sopravvissuti alla sua distruzione, sono stati dispersi ai quattro venti del cielo … Questa montagna di Sion, è dunque la Chiesa, che ha per fondamento Gesù Cristo, dunque il Signore ha detto con il suo Profeta: « Io stabilirò per fondamento in Sion, una pietra solida, scelta, preziosa, angolare ed immutabile, e colui che crederà in questa pietra non sarà confuso » (Isai. XXVIII, 16). Nessun dubbio che l’Apostolo non abbia inteso questo fondamento se non in Gesù Cristo, sul quale si appoggia la Chiesa figurata con questa montagna. Questa Chiesa è la Gerusalemme, di cui l’Apostolo dice: « La Gerusalemme dell’alto è libera, ed essa è la madre nostra. » (Gal. IV, 25, 26). Noi dunque abbiamo qui, tutte insieme, Sion, la montagna del Signore, e Gerusalemme, la vera città di Dio (S. Hilar.) – Ed aspettando, coloro che abitano con il desiderio e la speranza questa Gerusalemme celeste, che non aspirano che al possesso di Dio, partecipano a questa felice immutabilità e non perdono mai, loro malgrado, l’oggetto della loro speranza e del loro amore. – « Delle montagne la circondano. » Per noi è gran cosa essere in una città circondata da montagne? È nostra suprema felicità possedere una città circondata da montagne da ogni parte? Non abbiamo dunque mai visto montagne? E cosa sono le montagne se non porzioni di terra elevate? Ma ci sono altre montagne, montagne amabili, montagne sublimi: i predicatori della verità, gli Angeli, gli Apostoli, i Profeti. Essi circondano Gerusalemme da ogni lato, e la circondano come una cinta di mura … Queste montagne sono illuminate da Dio; esse sono le prime a ricevere la luce, che da esse discende nelle valli e sulle colline; con queste montagne, noi riceviamo il dono della santa Scrittura, sia nei Profeti, sia nelle lettere apostoliche, sia nel Vangelo … Ma siccome le montagne stesse non sono difese dalle proprie forze, nè esse ci proteggono con la loro possanza, e non dobbiamo porre la nostra speranza in esse, … il Profeta aggiunge immediatamente: « ed il Signore è intorno al suo popolo, » affinché la vostra speranza non riposi sulle montagne, ma in Colui che rischiara le montagne. In effetti, poiché Dio abita nelle montagne, cioè nei Santi, è Egli stesso intorno al suo popolo come una muraglia di fortezza spirituale, perché non sia mai abbattuta. (S. Agost.) – È ciò che cantava il Profeta Isaia: « Sion è una città forte, il Salvatore ne è Egli stesso muraglia e la ripara. Aprite le sue porte, riceva nel suo seno un popolo che ama la verità. » (Isai. XXVI, 1). È ciò che Nostro Signore Gesù Cristo promette alla sua Chiesa, che è la vera Sion: « … ecco che io sono con voi fino alla consumazione dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20).

II. — 3-5

ff. 3 – 5. –  « Dio non lascerà riposare la verga dell’empio sull’eredità dei giusti. » La “verga” nella Scrittura è l’insieme della potenza. Mosè ricevette da Dio una verga per operare i suoi prodigi; Aronne ricevette ugualmente una verga, simbolo della sua preminenza sugli altri sacerdoti. Noi vediamo nella Scrittura la verga del Faraone, la verga di Nabucodonosor, appesantirsi sul popolo di Dio. Il Signore è dunque intorno al suo popolo, perché la verga dei peccatori non riposi sull’eredità dei giusti. Le tribolazioni vengono, ma non durano; le persecuzioni ci assalgono, ma sono di breve durata. Vi sono molti che vogliono ridurre in cattività la libertà della nostra fede, ma nessuno giunge a dominare su questa fede che abbiamo in Cristo; perché il Signore resta eternamente intorno al suo popolo, per paura che stanco e soccombente sotto il peso di questa verga, non stendiamo le nostre mani verso l’iniquità. Tutto ciò che soffriamo dai nostri nemici è breve e, benché la battaglia sia di breve durata, il prezzo della vittoria è eterno. (S. Hilar.) Benché Dio permetta che i peccatori dominino sui giusti con l’autorità, che non servano, nella maggior parte del tempo, che ad opprimere coloro che sono loro soggetti, non permette che i loro dominatori si affermino e sussistano per sempre, né che la loro autorità si estenda ai beni spirituali ed interiori, che sono la sorte, la porzione e le vere ricchezze dei veri Cristiani. Dio pure lo vuole perché, benché giusti che siano, sarebbe da temere che, per debolezza o per partecipare alla prosperità temporale degli empi, le loro mani non servano a commettere delle azioni inique (Duguet.) – Ora, in effetti, i giusti sono talvolta nella sofferenza, e gli ingiusti hanno talvolta autorità sui giusti. Come mai? Accade, ad esempio, che i malvagi pervengano alle dignità del mondo; e quando sono giunti a diventare giudici o re, Dio permettendo, per formare il suo popolo al bene, non si possono loro rifiutare gli onori dovuti al loro rango. In effetti, Dio ha organizzato la sua Chiesa in modo tale che ogni potenza stabilita in questo mondo debba essere onorata, anche in uomini che meritano tutt’altro. Ma sarà sempre così, e gli ingiusti avranno sempre autorità sugli ingiusti? No, certo, la verga dei peccatori fa sentire il suo peso per un tempo, sulla sorte dei giusti, ma non per l’eternità, non per sempre. Verrà un tempo in cui il Cristo, apparendo nella sua gloria, radunerà intorno a sé tutte le nazioni, le separerà, come un pastore separa i capri dalle pecore, e metterà le pecore a destra ed i capri alla sinistra (Matth. XXV, 33). Allora voi constaterete un buon numero di servi tra le pecore, ed un buon numero di padroni tra i capri; e di contro un buon numero di padroni tra le pecore, e un certo numero di servi tra i caproni; poiché se noi consoliamo i servi, non tutti i servi sono buoni, o per il fatto che reprimiamo l’orgoglio dei padroni, tutti i padroni sono cattivi: ci sono dei padroni buoni e fedeli e ce ne sono altri di cattivi: vi sono dei buoni e fedeli servitori, e ve ne sono di cattivi. Ma, intanto che buoni servi si sono ridotti a servire cattivi padroni, che essi sopportino, per un tempo questa necessità: « … perché Dio non lascerà sempre la verga dei peccatori pesare sulla sorte dei giusti. » Perché? « per timore che i giusti non tendano le mani verso l’iniquità. » I giusti, dunque sopportino per qualche tempo, la dominazione degli ingiusti, comprendano che essa non durerà per sempre, e si preparino a possedere l’eterna eredità. Quale eredità? Quella in cui essendo abolita ogni dominazione, ogni potenza, Dio sarà in tutti. (II Cor. XV, 28). Conservandosi per questa eredità, e contemplandola con gli occhi del cuore, possedendola già con la fede, preservandola in modo da raggiungerla, essi non stendono la mano verso l’iniquità; perché se essi vedessero che la verga dei peccatori pesasse per sempre sulla sorte dei giusti, essi non direbbero a se stessi nei loro pensieri: « a cosa mi serve essere giusto? Il malvagio dominerà sempre su di me ed io resterò sempre schiavo? Io anche commetterò l’ingiustizia, perché non mi serve a nulla conservare la giustizia. » È per prevenire un tale linguaggio che è data l’assicurazione che la verga dei peccatori non si poserà che per un tempo sulla sorte dei giusti (S. Agost.). – In ogni circostanza dipende da noi, di principio, ottenere i favori di Dio o incorrere nei suoi castighi. Tuttavia, malgrado la parte che Dio ci lascia prendere, la sua bontà non brilla con meno splendore, e la sua liberalità nei nostri riguardi è ben superiore a tutto ciò che possiamo fare … i cuori retti di cui parla il salmista, sono i cuori nemici della dissimulazione e dell’artificio, le anime senza trucco e senza inganno. Tale è anche la virtù, semplice e retta, mentre il vizio ama servirsi di vie deviate, sempre diverse e senza uscita. (S. Chrys.) – I cuori retti sono soprattutto quelli che conformano il loro giudizio e la loro volontà alla regola rettissima del giudizio e della volontà di Dio, benché non sappiano perché Dio permetta questo e non quello. Essi acconsentono a Dio in ogni cosa: Dio piace a loro e loro piacciono a Dio. –  Ci sono due tipi di persone che non sono affatto di Dio: – 1) coloro la cui via è manifestamente sregolata e ammantata di crimini; – 2) coloro che, pur facendo professione di osservare la sua legge, abbandonano la via retta per le vie tortuose, per seguire le devianze e le false massime del secolo, che approvano spesso ciò che è cattivo e degno di biasimo. Dio li tratterà come i primi, e li aggiungerà a coloro che commettono l’iniquità. (Dug.) –  Il salmista termina con una preghiera; tale è la condotta ordinaria dei Santi: all’esortazione, ai consigli, essi aggiungono la preghiera, per far discendere su coloro che essi hanno istruito i potenti soccorsi del cielo. Ora, la pace che si augura loro, non è la pace esteriore, ma una pace di ordine più elevato. Egli ne indica l’origine, e domanda a Dio che l’anima non si divida contro se stessa, favorendo la guerra interiore che gli fanno le passioni. (S. Chrys.) – Questa pace è la prerogativa dei soli figli della Chiesa, che sono l’Israele di Dio. Israele significa “chi vede Dio”, e Gerusalemme significa “visione della pace”. Chi sono coloro che non saranno mai abbattuti? Coloro che abitano in Gerusalemme. coloro, di conseguenza, che abitano la visione della pace non saranno mai abbattuti, e « … che la pace sia su Israele. » Israele è colui che vede Dio, è dunque anche colui che vede la pace; Israele è dunque anche Gerusalemme, perché è il popolo di Dio, come Gerusalemme è la città di Dio (S. Agost.)

TUTTA LA MESSA (LA “VERA” UNICA CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (10)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (10)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S.

Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE

Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

5 — La preghiera per la pace

268 — Per chi il Sacerdote chiede il prezioso dono della pace?

Il Sacerdote, umilmente inchinato, con le mani giunte ed appoggiate all’altare e gli occhi fissi sull’ostia, chiede il prezioso dono della pace per sé e per tutta la Chiesa.

Preghiera:

« Dómine Jesu Christe, qui dixísti Apóstolis tuis: Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: ne respícias peccáta mea, sed fidem Ecclésiæ tuæ; eámque secúndum voluntátem tuam pacificáre et coadunáre dignéris: Qui vivis et regnas Deus per ómnia sæcula sæculórum. Amen. »

[Signore Gesú Cristo, che dicesti ai tuoi Apostoli: Vi lascio la pace, vi do la mia pace, non guardare ai miei peccati, ma alla fede della tua Chiesa, e degnati di pacificarla e di riunirla secondo la tua volontà. Tu che sei Dio e vivi e regni per tutti i secoli dei secoli. Amen.]

269 — Quando Nostro Signore ha pronunciato queste parole?

Fu durante la celebrazione della prima Messa nel Cenacolo che Nostro Signore disse: Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace.

Tutta la preparazione alla Santa Comunione è organizzata nel segno della pace: la pace interiore attraverso il regno della grazia e dell’amore di Dio, la pace esteriore in armonia e in unione con il prossimo.

270 — Cosa simbolizza il bacio della pace scambiato dai Chierici nella gran Messa?

Il bacio della pace scambiato dai chierici che assistono alle Messe cantate simboleggia la carità che deve unire tutti coloro che riceveranno Nostro Signore nella Santa Comunione … perciò, quando presenti la tua offerta all’altare, e ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te – disse Nostro Signore – lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e vai prima a riconciliarti con tuo fratello, poi vieni a presentare la tua offerta.

Nella Chiesa primitiva, sia nella vita quotidiana che nelle assemblee liturgiche, i fedeli si scambiavano il bacio della pace come segno di carità e di unione.

6 — Le preghiere avanti la Comunione

271 — Cosa domandiamo a Dio con la prima preghiera avanti la Comunione?

Attraverso questa preghiera chiediamo a Dio la liberazione da tutte le nostre iniquità, da tutti i nostri mali, e l’aiuto che ci permette di essere sempre attaccati ai comandamenti di Dio e di non essere mai separati dal nostro Redentore.

Preghiera:

« Dómine Jesu Christe, Fili Dei vivi, qui ex voluntáte Patris, cooperánte Spíritu Sancto, per mortem tuam mundum vivificásti: líbera me per hoc sacrosánctum Corpus et Sánguinem tuum ab ómnibus iniquitátibus meis, et univérsis malis: et fac me tuis semper inhærére mandátis, et a te numquam separári permíttas: Qui cum eódem Deo Patre et Spíritu Sancto vivis et regnas Deus in saecula sæculórum. Amen.»

[Signore Gesú Cristo, Figlio del Dio vivente, Tu che per volontà del Padre, con la cooperazione dello Spirito Santo, con la tua morte hai restituito al mondo la vita, liberami, mediante questo sacrosanto Corpo e Sangue tuo, da tutte le mie iniquità, e da tutti i mali: e rendimi sempre fedele ai tuoi comandamenti, e non permettere che io mai mi separi da Te, che sei Dio e vivi e regni con lo stesso Dio Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli. Amen.]

272— Chi per primo ha chiamato Nostro Signore il Figlio di Dio vivente?

Gesù era in Galilea. Interrogando i suoi discepoli, dicendo: « Cosa dicono gli uomini toccando il Figlio dell’uomo? Essi Gli risposero: Alcuni dicono che è Giovanni Battista, altri Elia, altri Geremia, o uno dei profeti. Gesù dice loro: « E voi chi dite che io sia? » Simon Pietro rispose e disse: « Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. » Gesù gli rispose e gli disse: « Tu sei benedetto, Simone, figlio di Giona, perché la carne e il sangue non ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. » (S. Matth XVI, 13-17).

273 — Cosa domandiamo a Dio nell’ultima preghiera prima della Comunione?

Con questa preghiera chiediamo a Nostro Signore di salvarci dalla disgrazia di una cattiva Comunione e di concederci in abbondanza i benefici di una buona Comunione.

Preghiera:

« Percéptio Córporis tui, Dómine Jesu Christe, quod ego indígnus súmere præsúmo, non mihi provéniat in judícium et condemnatiónem: sed pro tua pietáte prosit mihi ad tutaméntum mentis et córporis, et ad medélam percipiéndam: Qui vivis et regnas cum Deo Patre in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia saecula sæculórum. Amen. »

[La comunione del tuo Corpo, Signore Gesú Cristo, ch’io indegno ardisco ricevere, non mi torni a delitto e condanna; ma per la tua bontà mi giovi a difesa dell’anima e del corpo e come spirituale medicina, Tu che sei Dio e vivi e regni con Dio Padre nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.]

274— Quale si chiama una cattiva Comunione?

Per fare una buona Comunione, bisogna essere in stato di grazia, avere una giusta intenzione e digiunare dalla mezzanotte.

Chi fa la Comunione in stato di peccato mortale fa una cattiva comunione, commette un grande sacrilegio; è colpevole del corpo e del sangue del Signore e mangia e beve la propria condanna, secondo l’espressione di san Paolo.

Ma non basta essere liberi dal peccato mortale per ricevere la Santa Comunione con dignità. La voluta mancanza di una maggiore purezza di intenzione, di rispetto, di carità e di devozione, che assicura al comunicante l’abbondanza delle grazie divine, rende la Comunione meno buona e lo dispone gradualmente alla comunione indegna.

Confidando nella bontà paterna del Salvatore, il sScerdote chiede che questa comunione sia per lui una fonte di bene.

275 — Come la Comunione è protezione e rimedio per la nostra anima?

Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue – disse Nostro Signore – avrà la vita per mezzo mio, e vivrà per sempre. La Comunione è per l’anima ciò che il pane e il vino sono per il corpo: aumenta la vita spirituale aumentando la grazia santificante, rafforzando le virtù soprannaturali; ci eccita a tutte le opere buone; ci arma di zelo e di coraggio per consacrarci interamente al servizio di Dio.

276 — Com’è che la comunione è profittevole per la nostra anima?

Solo l’anima è depositaria della grazia, ma l’aumento dell’amore di Dio nell’anima, il rafforzamento delle virtù e la forza di resistere alle tentazioni, effetti felici della Comunione fervente, producono un indebolimento delle inclinazioni al male e delle passioni della carne e, di conseguenza, diventano fonte di spiritualità. E così il corpo liberato dalle sue schiavitù, troverà il suo bene nell’ordine stabilita da Dio fin dall’inizio.

277 — Come termina la preparazione alla comunione?

Il Cacerdote adora Nostro Signore con la genuflessione. Alzandosi dice:

« Panem cœléstem accipiam, et nomen Dómini invocábo.»

[Prenderò questo pari celeste, invocherò il Nome del Signore].

Poi prende l’Ostia consacrata, che tiene tra il pollice e l’indice della mano sinistra; pone la patena tra questo indice ed il resto della mano; inchinandosi, dice tre volte di fila, a metà strada, con devozione e umiltà, battendosi il petto;

«Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.»

[Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solo una parola e la mia anima sarà guarita.]

Riconosciamo qui la risposta del centurione di Cafarnao a Nostro-Signore, quando gli disse che sarebbe andato a casa sua per guarire il suo servo.

7 — La santa Comunione

278 Quali gesti e quali preghiere fa il Sacerdote nel comunicarsi?

Il Sacerdote prende tra le dita della mano destra le due metà della Sacra Ostia e traccia il segno della croce davanti a sé, dicendo:

«Corpus Dómini nostri Iesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen.»

[Possa il corpo di nostro Signore Gesù Cristo preservare la mia anima per la vita. Così sia.]

Poi, inchinandosi profondamente, si comunica con rispetto al Corpo di Nostro Signore.

Subito dopo, il Sacerdote mette la patena da un lato, unisce le mani e rimane per qualche istante in raccoglimento nella meditazione dei misteri divini. Poi purifica la patena e il caporale dai frammenti più piccoli, che mescola con il calice, mentre recita i seguenti versetti del Salmo CXV:

«Quid retríbuam Dómino pro ómnibus, quæ retríbuit mihi? Cálicem salutáris accípiam, et nomen Dómini invocábo. Laudans invocábo Dóminum, et ab inimícis meis salvus ero.»

[Che cosa restituirò al Signore per tutto il bene che mi ha dato? Prenderò il Calice della Salvezza e invocherò il Nome del Signore. Nella lode invocherò il Signore e sarò salvato dai miei nemici.]

Alle parole « Prenderò il Calice … », il Sacerdote prende il calice e, a formula completata, si segna con il segno della croce, dicendo:

« Sanguis Dómini nostri Iesu Christi custódiat ánimam meam in vitam ætérnam. Amen. »

[Possa il Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo custodire la mia anima fino alla vita eterna. Così sia.]

Poi, tenendo la patena sotto il mento con la mano sinistra, fa la Comunione nel Sangue di Nostro Signore.

279 — Quando devono comunicarsi i fedeli?

I fedeli dovrebbero comunicarsi preferibilmente alla Comunione del Sacerdote, perché le preghiere della Messa che precedono la Comunione preparano le anime a un atto così sublime e le preghiere della Messa che seguono la Comunione esprimono i migliori sentimenti di gratitudine a Nostro Signore. Tuttavia, la pratica della Comunione frequente, aumentando il numero dei comunicanti ha reso piuttosto difficile la realizzazione di questo ideale liturgico.

280 — Quali preghiere si recitano prima di distribuire la comunione ai  fedeli?

Mentre il Sacerdote apre il tabernacolo, il servente recita il Confiteor. Il Sacerdote recita, rivolto verso il popolo, il Misereatur e l’Indulgentiam. Poi prende un’ostia dal ciborio e, tenendola un po’ alta, dice, rivolgendosi all’uditorio:

Agnus Dei, qui tollis peccáta mundi: miserére nobis.
[Agnello di Dio che togli i peccati dal mondo, abbi pietà di me], e tre volte:

«Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur ánima mea.»

[Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solo una parola e la mia anima sarà guarita.]

281 — Quale preghiere dice il Sacerdote comunicando ogni fedele?

Depositanto l’Ostia santa sulla lingua di ogni fedele, il Sacerdote dice:

Corpus Dómini nostri Iesu Christi custódiat ánimam tuam in vitam ætérnam. Amen.

[Il Corpo di nostro Signore Gesú Cristo custodisca l’anima mia per la vita eterna. Amen.]

282— Cosa devono fare i fedeli che non possono comunicare?

I fedeli che non possono fare la comunione sacramentalmente  devono unirsi a Gesù-Ostia attraverso la comunione spirituale.

Per poter comunicare spiritualmente si deve:

a) fare un atto di fede viva nella presenza reale di Nostro Signore nella Santa Eucaristia, accompagnato da un atto d’amore;

b) desiderare sinceramente di ricevere la Santa Eucaristia in modo sacramentale, se possibile, e quindi di essere intimamente uniti a Nostro Signore.

8 — Le abluzioni

283 — Cosa si intende per abluzioni?

Le abluzioni si riferiscono alla purificazione delle labbra, delle dita, del calice e talvolta anche del ciborio da parte del Sacerdote.

Questo nome viene dato anche al vino e all’acqua con cui il sacerdote toglie le piccole particelle che potrebbero rimanere attaccate alle dita, così come il vino consacrato che bagna le pareti del calice.

284 — Quali sono le cerimonie e le preghiere delle abluzioni?

Mentre l’accolito versa un po’ di vino nel calice, il Sacerdote, in piedi al centro dell’altare, fa la seguente preghiera:

« Quod ore súmpsimus, Dómine, pura mente capiámus: et de munere temporáli fiat nobis remédium sempitérnum. »

[Ciò che con la bocca abbiamo ricevuto, fa, o Signore, che l’accogliamo con anima pura, e da dono temporaneo ci diventi rimedio sempiterno.]

Questa è la prima abluzione.

Dopo aver consumato il vino, il sacerdote si mette dal lato dell’Epistola e purifica con il vino e l’acqua i pollici e gli indici sopra il calice, dicendo:

« Corpus tuum, Dómine, quod sumpsi, et Sanguis, quem potávi, adhaereat viscéribus meis: et præsta; ut in me non remáneat scélerum mácula, quem pura et sancta refecérunt sacraménta: Qui vivis et regnas in sæcula sæculórum. Amen.»

[O Signore, il tuo Corpo che ho ricevuto e il tuo Sangue che ho bevuto, aderiscano all’intimo dell’ànima mia; e fa che non rimanga macchia alcuna di peccato in me, che questi puri e santi sacramenti hanno rinnovato, o Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.]

9 — L’antifona della Comunione

285 — Cosa richiama la preghera intitolata Communio?

Dopo aver preso le abluzioni il sacerdote asciuga il calice, lo rimette al centro dell’altare, come all’inizio della Messa, e va, dalla parte dell’Epistola, a leggere la Communio. Questa preghiera ricorda il canto di un salmo eseguito un tempo dal coro durante la distribuzione della Comunione al clero e ai fedeli.

La Communio si riferisce quasi sempre alla festa del giorno e dimostra che la Comunione, se ricevuta con le dovute disposizioni, ci fa partecipare in modo speciale al beneficio del mistero che si celebra.

10 — Il Postcommunio

286 — Perché il Sacerdote dice il Dominus vobiscum prima del Postcommunio?

Il Sacerdote dice: Dominus vobiscum peima del Postcommunio per augurare ai fedeli che insieme, celebrando e assistendo, possano essere una cosa sola nel Signore Gesù per rendere infinite grazie a Dio Padre, con Lui e per mezzo di Lui.

287 — Cosa chiediamo a Dio nel Postcommunio?

Nel Postcommunio chiediamo a Dio che l’Eucaristia operi in noi tutti i suoi effetti affinché, uniti a Cristo, facciamo nostri i suoi sentimenti di ringraziamento.

288 — Quali effetti l’Eucaristia produce in noi?

L’Eucaristia cementa la nostra unione con Cristo, realizza l’unione dei fedeli tra di loro ed effre un pegno della gloriosa risurrezione.

289 — Si mostri come l’Eucaristia cementi la nostra unione al Cristo.

Nostro Signore ha istituito la Santa Comunione sotto forma di cibo per nutrirci e dissetarci con la sua vita divina e per incorporarci sempre più intimamente a Lui (Giovanni, VI, 53-58). L’Eucaristia, principio di vita, è anche « sacramento della carità »; essa infonde nel comunicante la consueta carità (virtù): « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui », dice il Signore, e S. Giovanni scrive: « Dio è amore e chi dimora nell’Amore dimora in Dio e Dio in lui ». E questa virtù della carità fiorisce attraverso l’Eucaristia in una meravigliosa efflorescenza di atti. “Dandoci se stesso nell’Eucaristia, Cristo espande la nostra carità, ci guarisce dal nostro egoismo, rafforza la tendenza della nostra volontà verso il Bene sovrano e ci dispone a sacrificare la nostra vita per i nostri fratelli, come ha fatto Egli stesso sulla croce. Le specie sacramentali possono sparire, ma l’effetto spirituale, operato dalla venuta di Cristo nell’anima, rimane: ogni Comunione ci lascia più profondamente uniti a Lui.

Il Concilio di Firenze (1438-1445) afferma in modo conciso: « L’effetto di questo Sacramento è l’unione dell’uomo con Cristo », e nel Decreto agli Armeni è scritto: « E poiché è per grazia che l’uomo è incorporato in Cristo e unito alle sue membra, ne consegue che con questo Sacramento la grazia è accresciuta in coloro che lo ricevono degnamente: e ogni effetto che il cibo e le bevande materiali hanno sulla vita corporea, sostenendola, sviluppandola, riparandola, questo sacramento lo produce nella vita spirituale ».

290 — Si mostri come l’Eucaristia realizzi l’unione dei fedeli tra di loro..

San Cirillo di Gerusalemme (+ 356) scrive nel suo commento al Vangelo di San Giovanni: « Il Figlio unigenito, Sapienza e Consiglio del Padre, ha inventato un  un mezzo meraviglioso con il quale per i Cristiani diventa possibile formare un’unità tra di loro e con Dio, per unirci gli uni con gli altri, anche se ognuno di noi ha un corpo e un’anima distinti. Quando Egli dà ai Cristiani il suo corpo da mangiare nell’Eucaristia, li rende concorporei con se stesso e gli uni con gli altri. Essi sono fisicamente uniti, poiché sono legati insieme nell’unità di Cristo attraverso la partecipazione al suo Corpo Sacro. Tutti noi che condividiamo lo stesso pane, formiamo un solo corpo, perché Cristo non può essere diviso ».

291 — Si mostri que l’Eucaristia ci dà come un pegno della Resurrezione gloriosa.

Questa è la promessa stessa di Nostro Signore: « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e Io lo resusciterò nell’ultimo giorno” (Giovanni, VI, 54-55). – E papa Leone XIII, nella sua enciclica Miræ Caritatis del 28 maggio 1902, commenta così questa promessa: « L’augusto Sacramento dell’Eucaristia è insieme causa e pegno di felicità e di gloria, non solo per l’anima, ma anche per il corpo ».

292 — Di quante orazioni si compone il Postcommunio?

Il Postcommunio è costituito da una o più orazioni, così come la Colletta e la Secreta. Le stesse prescrizioni liturgiche, relative alla Colletta ed alla Secreta, per quanto riguarda il numero, l’ordine, l’inizio e la conclusione, si applicano interamente al Postcommunio.

11 — La preghiera sul popolo

293 — Quando si dice la Preghiera sul popolo?

Dopo il Post-communio delle Messe quaresimali, il nostro Messale menziona una preghiera chiamata Preghiera sul popolo.

Prima dell’introduzione dell’attuale rito di benedizione di fine Messa, la Preghiera sul Popolo serviva a chiedere la protezione di Dio sui presenti prima che fossero licenziati con l’“Ite Missa est”. Essa aveva come scopo l’implorazione della misericordia di Dio, così come indicano la preghiera stessa ed il rito che l’accompagna: essa è introdotta dall’invito: « Umiliate il vostro capo davanti a Dio », che si fa sempre quando si implora la benedizione di Dio o la si dà nel suo Nome.

12 — Il congedo dei fedeli

294 — Cosa fa il Sacerdote dopo il Postcommunio?

Dopo il Postcommunio, il Sacerdote chiude il Messale, si reca al centro dell’altare che bacia, saluta il popolo dicendo: Dominus vobiscum e aggiunge, secondo l’ufficio celebrato, Ite, missa est, Benedicamus Domino o Requiescant in pace. All’Ite missa est e Benedicamus Domino i fedeli, attraverso la voce del servoente rispondono: Deo gratias e al Requiescant in pace, Amen

295— Che significa l’espressione « Ite, missa est » ?

L’espressione « Ite, missa est » significa: andate, è il congedo.

Nell’antichità era consuetudine tra i Cristiani congedare il popolo alla fine del Sacrificio; i catecumeni venivano licenziati alla fine della cosiddetta Messa dei catecumeni, e i fedeli alla fine della cosiddetta Messa dei fedeli. Il congedo finale era così solenne e impressionava talmente i presenti, che esso ha dato gradualmente il suo nome al Sacrificio stesso, che così si chiama Messa.

296 — Perché il Sacerdote in certi giorni dice: « Benedicamus Domino »?

Il Sacerdote sostituisce l’« Ite Missa est » con il « Benedicamus Domino » ogni volta che non c’è « Gloria in excelsis », come nei giorni di penitenza e nelle festività semplici. In questi giorni i fedeli restavano in chiesa per dire altre preghiere e non c’era un congedo  solenne.

Alle Messe del Requiem non c’è il congedo, perché di solito gli astanti rimangono in preghiera fino all’assoluzione. Il Sacerdote sostituisce: ite missa est con la formula Requiescant in pace, [riposino in pace]; in questo modo egli desidera il luogo della pace, cioè il cielo, per le anime dei defunti che beneficiano del Sacrificio.

297 — Si spieghi la risposta dei fedeli.

Gli assistenti rispondono « Deo gratias » dopo l’ Ite missa est e il Benedicamus Domino per imitare gli Apostoli, che, dopo la benedizione di Gesù sul Monte dell’Ascensione, sono tornati, pieni di gioia, lodando, benedicendo e ringraziando Dio incessantemente. È il ringraziamento che continua. “Niente di più breve, niente di più grande – diceva sant’Agostino – di questo ringraziamento: Deo gratias“.

13 — Il Placeat

298 — Quale rubrica osserva il Sacerdote recitando il Placeat?

Dopo la risposta dei fedeli, il Sacerdote unisce le mani e le preme sull’altare, poi, con il capo chinato, recita il Placeat. Questa preghiera contiene una sintesi precisa dei quattro fini del Santo Sacrificio: l’adorazione, il ringraziamento, la propiziazione e l’impetrazione.

Preghiera:

Pláceat tibi, sancta Trínitas, obséquium servitútis meæ: et præsta; ut sacrifícium, quod óculis tuæ majestátis indígnus óbtuli, tibi sit acceptábile, mihíque et ómnibus, pro quibus illud óbtuli, sit, te miseránte, propitiábile. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[O santa Trinità, Ti piaccia l’omaggio della mia servitù, e concedi che questo sacrificio, offerto da me, indegno, agli occhi della tua Maestà, sia a Te accetto, ed a me e a quelli per i quali l’ho offerto, torni giovevole, per tua misericordia. Per Cristo nostro Signore. Amen].

14 — La Benedizione

299  Qual è l’origine della benedizione?

Quando Gesù lasciò i suoi discepoli durante l’Ascensione, alzò le mani e li benedisse. Allo stesso modo, lasciando il Vescovo l’assemblea, benediceva il clero officiante, dicendo: Che il Signore vi benedica. Anche il popolo voleva essere benedetto dal Pontefice al suo passaggio. Questa benedizione è diventata così una cerimonia ufficiale e il Vescovo la impartiva a tutti prima di lasciare l’altare. Più tardi i Sacerdoti hanno imitato questo gesto del Vescovo al termine della loro Messa.

Recitato il Placeat, il Sacerdote bacia l’altare che rappresenta Cristo stesso, alza gli occhi verso la croce, fonte di benedizione, si rivolge ai fedeli e li benedice dicendo:

Benedícat vos omnípotens Deus,  Pater, et Fílius, et Spíritus Sanctus.
R. Amen.

[Vi benedica Dio onnipotente. Padre, Figlio ✠ e Spirito Santo.
R. Amen.]

Non si benedice chi è presente alle Messe dei morti per dimostrare che tutti i frutti del Sacrificio sono da applicare ai defunti.

15 — L’ultimo Evangelio

300 — Quale Evangelio si legge alla fine della Messa?

Come regola generale, alla fine della Messa si legge l’inizio del Vangelo secondo San Giovanni. Ci sono alcune eccezioni: le Messe private della Domenica delle Palme, dove si prende il Vangelo della Benedizione delle Palme, la terza Messa di Mezzanotte, dove si prende il Vangelo dell’Epifania, le Messe delle feste dette la Domenica, i giorni festivi e le veglie che hanno il loro Vangelo, che viene letto alla fine di queste Messe.

In princípio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum. Hoc erat in princípio apud Deum. Omnia per ipsum facta sunt: et sine ipso factum est nihil, quod factum est: in ipso vita erat, et vita erat lux hóminum: et lux in ténebris lucet, et ténebræ eam non comprehendérunt.

Fuit homo missus a Deo, cui nomen erat Joánnes. Hic venit in testimónium, ut testimónium perhibéret de lúmine, ut omnes créderent per illum. Non erat ille lux, sed ut testimónium perhibéret de lúmine.

 Erat lux vera, quæ illúminat omnem hóminem veniéntem in hunc mundum. In mundo erat, et mundus per ipsum factus est, et mundus eum non cognóvit. In própria venit, et sui eum non recepérunt. Quotquot autem recepérunt eum, dedit eis potestátem fílios Dei fíeri, his, qui credunt in nómine ejus: qui non ex sanguínibus, neque ex voluntáte carnis, neque ex voluntáte viri, sed ex Deo nati sunt. Genuflectit dicens: Et Verbum caro factum est, Et surgens prosequitur: et habitávit in nobis: et vídimus glóriam ejus, glóriam quasi Unigéniti a Patre, plenum grátiæ et veritatis. Deo gratias.

[In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutto è stato fatto per mezzo di Lui, e senza di Lui nulla è stato fatto di tutto ciò che è stato creato. in Lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini. e la luce splende tra le tenebre, e le tenebre non la compresero. Ci fu un uomo mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Questi venne in testimonio, per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era egli la luce, ma per rendere testimonianza alla luce. Era la luce vera, che illumina tutti gli uomini che vengono in questo mondo. Era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, ma il mondo non lo conobbe. Venne nella sua casa e i suoi non lo accolsero. Ma a quanti lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio, essi che credono nel suo nome: i quali non da sangue, né da voler di carne, né da voler di uomo, ma da Dio sono nati. ci inginocchiamo E il Verbo si fece carne ci alziamo e abitò fra noi; e abbiamo contemplato la sua gloria: gloria come dal Padre al suo Unigénito, pieno di grazia e di verità. Rendiamo grazie a Dio.]

[Il Vangelo di San Giovanni – scrive padre Marco – è sempre stato oggetto di una venerazione speciale e straordinaria nella Chiesa Cattolica. I primi Cristiani lo portavano appeso al collo, o scritto nel cuore, come il simbolo più espressivo della loro fede, e il preservativo più potente contro i malefici incantesimi del diavolo; lo facevano recitare sopra di loro nelle loro malattie, e spesso venivano visti chiedere che fosse deposto con i loro resti nella tomba. È stato questo vivace senso di devozione che ha portato alcuni Sacerdoti a recitarlo per la prima volta alla fine della Messa, o all’altare stesso, o al ritorno in sacrestia, o allo svestirsi dai paramenti sacri. Anche i fedeli vollero ascoltarlo prima di lasciare l’altare e Pio V sancì questa usanza, che divenne generale.]

16 — Le preghiere dopo la Messa

301 — Che fa il Sacerdote dopo la lettura dell’ultimo Evangelio?

Dopo la lettura dell’ultimo Vangelo, il Sacerdote ritorna al centro dell’altare, saluta la croce e scende in fondo alla scalinata dove, in ginocchio, dice, in latino o in lingua volgare, le preghiere prescritte dal Papa.

Queste preghiere non vengono recitate durante la Messa alta, e vengono omesse durante le Messe basse dove c’è una certa solennità: predica, matrimonio, ecc.

Il Sacerdote prende quindi il calice, si genuflette ai piedi dell’altare, si copre con la beretta e torna in sacrestia per recitare il Canto Benedettino.

302 — Come bisogna fare la sua azione di grazie?

Le preghiere che il celebrante e i fedeli che offrono con lui il Santo Sacrificio, hanno appena recitato, costituiscono l’azione ufficiale di grazia della Chiesa. Non se ne potrebbero far di migliori. Ognuno, secondo la sua particolare attrattiva, vorrà prolungarla per qualche tempo, sia ispirandosi a qualche preghiera della Messa, sia utilizzando altre formule, soprattutto quelle suggerite dal Messale. Quella di San Bonaventura è notevole per la sua elevazione:

« Di te, a cui gli Angeli desiderano guardare, la mia anima è costantemente affamata, il mio cuore è nutrito, e possa la dolcezza delle tue delizie riempire le profondità della mia anima. Che abbia sete di Voi senza esitazione: Voi siete la fonte della vita, la fonte della sapienza e della conoscenza, il focolaio della Luce eterna, il torrente delle delizie, l’abbondanza della casa di Dio. A Te essa aspiri costantemente, ti cerchi, ti trovi, ti raggiunga; te contempli, de te parli, che operi ogni cosa a lode e gloria del tuo Nome, con umiltà e discernimento, con devozione e delizia, con facilità e affetto, con perseveranza fino alla fine; Tu solo sia sempre la mia speranza, la mia gioia, il mio riposo e la mia tranquillità, la mia pace e la mia dolcezza, il mio profumo e la mia dolcezza, il mio cibo, il mio sostentamento, il mio rifugio, il mio aiuto, la mia saggezza, la mia condivisione, il mio tesoro in cui la mia mente e il mio cuore siano fissi e incrollabili per sempre. Amen ».