SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMO 121: “Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME TROISIÈME (III)

PARIS – LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 121

Canticum graduum.

[1]  Lætatus sum in his quae dicta sunt mihi:

In domum Domini ibimus.

[2] Stantes erant pedes nostri in atriis tuis, Jerusalem.

[3] Jerusalem, quae ædificatur ut civitas, cujus participatio ejus in idipsum.

[4] Illuc enim ascenderunt tribus, tribus Domini, testimonium Israel, ad confitendum nomini Domini.

[5] Quia illic sederunt sedes in judicio, sedes super domum David.

[6] Rogate quæ ad pacem sunt Jerusalem, et abundantia diligentibus te.

[7] Fiat pax in virtute tua, et abundantia in turribus tuis.

[8] Propter fratres meos et proximos meos, loquebar pacem de te.

[9] Propter domum Domini Dei nostri, quæsivi bona tibi.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CXXI.

Il Salmo è della Gerusalemme terrena, figura della celeste; e degli Ebrei che bramano il ritorno da Babilonia in Gerusalemme, figura dei viatori che aspirano alla celeste.

Cantico dei gradi.

1. Mi son rallegrato di quel che è stato a me detto: Noi anderemo alla casa del Signore. [1]

2. I nostri piedi si so posati negli atrii tuoi, o Gerusalemme: [2]

3. Gerusalemme, che si edifica come una città. a cui per la concordia si ha parte. [3]

4. Perocché là salirono le tribù, le tribù del Signore, al testimonio d’Israele, a lodare il nome del Signore. [4]

5. Perocché ivi furon collocati i troni per giudicare, i troni sopra la casa di David. [5]

6. Domandate voi quelle cose che sono utili alla pace di Gerusalemme ; e (dite): Sieno nell’abbondanza coloro che ti amano.

7. Sia la pace nella tua moltitudine; e nelle tue torri sia l’abbondanza.

8. Per amore dei miei fratelli e dei miei propinqui, ho io domandata la pace per te.

9. Per amor della casa del Signore Dio nostro, ho desiderato il tuo bene.

(1) In ebraico, cantico dei gradi di Davide, cioè per coloro che a ragione retrodatano molto più dietro la composizione di questo salmo, cantico ad imitazione dei salmi di Davide.

(2)  Aspettando questa felice nuova, i nostri piedi si trovano già sul pavimento con i nostri pensieri con l’ardente desiderio di rientrare nella nostra patria.

(3) La traduzione letterale di questo versetto, secondo l’ebraico, sarebbe: Gerusalemme che fu costruita come una città, per cui tutte le case sono riunite e formano un mirabile insieme. Sant’Agostino qui e soprattutto ove si incontra l’espressione “in idipsum”, lo traduce sempre come se si avesse Dio, cioè Colui che è sempre lo stesso, che non cambia mai, e che tutti i Santi del cielo possiedono egualmente.

(4) Secondo il precetto fatto ad Israele di radunarsi tre volte all’anno presso il Santo tabernacolo; la testimonianza designa la legge.

(5) Là vi sono le sedi supreme della giustizia e del governo: « … i troni della casa di Davide, » vi

Sommario analitico

Il salmista qui esprime la gioia del popolo di Dio alla felice notizia del suo ritorno nella sua patria. Egli parla anche a nome della Chiesa, per la prosperità dei voti che augura, come pure a nome di ogni anima fedele che si sente vicina al termine del suo pellegrinaggio su questa terra.

I. – Egli gioisce:

1° a causa della certezza che gli viene data di giungere alla casa di Dio (1);

2° a causa della prossimità in cui si trova della città santa (2),

II. – Egli descrive e celebra l’eccellenza di questa città, eccellenza che proviene:

1° dalla bellezza dei suoi edifici,

2° dalla concordia e dall’unione dei suoi abitanti (3);

3° dal concorso del popolo di Dio che vi si reca da ogni parte (4);

4° dal potere giudiziario che vi esercita Gesù-Cristo e gli Apostoli (6);

5° dalla pace e dall’abbondanza che regnano nelle sue mura (6);

6° dalla solidità e dalla struttura dei suoi muri, e delle sue torri che nessun nemico può abbattere né distruggere.

III. Egli dichiara che questi desideri che forma per essa, hanno come principio:

1° L’amore che porta ai suoi fratelli (8);

2° lo zelo che ha per la Chiesa (9).

Spiegazioni e Considerazioni

I. — 1, 2.

ff. 1, 2. – Noi sospiriamo nell’esilio; noi gioiremo nella città. Ma noi incontriamo nel nostro esilio dei compagni che hanno già visto questa città e che ci invitano a correre verso di essa. È in essa che gioisce il Profeta quando dice: « Ho gioito quando mi hanno detto: andremo nella casa del Signore. » Fratelli miei, la vostra carità porti il vostro pensiero su ciò che accade quando si parla di una festa di martirio, e di qualche luogo santo in cui la folla, in certi giorni, affluisce per la celebrazione di una solennità, e di come queste masse popolari si eccitino mutualmente! Come si esortano al desiderio con queste parole: Andremo, vi andremo, ma… dove? In quale posto? Dicono gli uni; e gli altri rispondono: in tal luogo, in tale luogo santo. Se ne parla, ci si scalda e l’ardore dell’uno particolare forma una medesima fiamma; e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che si sono mutualmente abbracciati, li conduce verso questo luogo santo, se ne parla, ci si riscalda, e dall’ardore particolare di ciascuno forma una medesima fiamma, e questa fiamma unica, prodotta dai discorsi di uomini che sono tra di loro accomunati, li introduce verso questi luoghi santi, e questo pensiero li santifica. Se dunque un santo amore fa così correre gli uomini verso qualche luogo di questo mondo, cosa deve essere l’amore che introduce verso il cielo delle anime riempite di uno stesso desiderio, e che dicono: « Noi andremo nella casa del Signore! » Corriamo dunque, corriamo poiché arriveremo alla casa del Signore; corriamo senza affaticarci, perché perverremo in un luogo che non conosce la fatica. Corriamo alla casa del Signore! La nostra anima gioisca in coloro che ci dicono tali parole. In effetti, coloro che ci parlano così hanno visto prima di noi questa patria, e gioiscano da lontano coloro che vengono dopo di essi: « Noi andremo alla casa del Signore. » E cosa risponde ciascuno di noi? « Ho gioito in coloro che mi hanno detto: noi andremo alla casa del Signore. » Io ho gioito nel profeta, ho gioito negli Apostoli; perché tutti loro ci hanno detto: « Noi andremo nella casa del Signore. » (S. Agost.). – Quali sono i divini messaggeri a cui Dio ha incaricato di annunciare questa buona novella? È Gesù-Cristo, che ci ha dichiarato che vi sono più dimore nella casa di suo Padre; che Egli andava a prepararci un posto, e che voleva che noi fossimo con Lui; (Joan. XIV); è l’Apostolo san Paolo che ci ha detto che per qualche momento di tribolazione sulla terra, un carico immenso di gloria ci è riservato in cielo; (II Cor. IV, 47); è il Principe degli Apostoli, san Pietro, che ci parla dell’eredità incorruttibile, immutabile ed imprescrittibile che dobbiamo attenderci dopo i giorni del nostro esilio; (I Pietr. I, 4); è l’Apostolo diletto, davanti al quale tutte le porte del cielo sembrano essere aperte perché possa contemplarne gli splendori, e che ce ne descrive le magnificenze con un linguaggio incomparabile; (Apoc.); è questo nugolo di testimoni che la Chiesa onora, queste schiere innumerevoli di Santi che ha visto intorno al trono dell’Agnello, e che dispongono tutto in favore di questa santa patria, in cui tutte le nostre lacrime devono essere asciugate. – Quanto diversi sono i sentimenti nel peccatore e nel giusto, quando bisogna dire che è arrivata per loro la fine della vita. La morte è per l’uno la notizia più triste che si possa annunciare, perché non avendo durante la propria vita regolate le aspirazioni celesti nel suo cuore, egli non può sperare di salire verso la casa del Signore, e non gli si osa portare questa notizia se non con la precauzione più grande. Per l’altro è invece la notizia più gradita che egli possa ricevere, e lo si colma di gioia quando gli si viene a dire che è sul punto di andare nella casa del Signore. –  « I nostri piedi si sono fermati nei tuoi atri, o Gerusalemme. » Coloro che ci hanno annunciato che noi andremo nella casa del Signore non sono nell’ignoranza di ciò che sia questa città verso la quale camminiamo; essi non hanno annunciato delle cose incerte, essi non ci hanno promesso ciò che non conoscono … Questa casa, oggetto di tutti i nostri desideri, abbiamo appreso con gioia che essa ha come fondamento, dodici pietre preziose, che essa è costruita con pietre viventi, tagliate dapprima per l’edificio elevato da Mosè sotto la legge, poi continuata con la sofferenza dei Profeti, dal Signore, nel suo corpo, con il martirio degli Apostoli, con la forza e la virtù dello Spirito Santo. Ecco gli architetti ed i costruttori, ecco l’edificio e la città. Essi si son fermati nei suoi atri, essi che ne sono i guardiani, ai quali sono state rimesse le chiavi di questa città: «Io vi darò le chiavi del regno dei cieli. » (S. Hilar.) – I nostri piedi si sono altre volte fissati nei tuoi atrii. » Sì, noi abbiamo affollato gli atri della celeste Gerusalemme, quando noi abitavamo il Paradiso celeste nella persona di Adamo, nostro progenitore, « ma il paradiso terrestre era come il vestibolo del Paradiso celeste, e questo stato di innocenza era come la soglia e la porta dello stato di gloria. Forse è anche a causa di questo che lo Spirito-Santo non ha voluto scrivere: « i nostri piedi si sono stabiliti nelle tue piazze, ma nei tuoi atri, o sotto le tue porte, » affin di farci comprendere che si tratti, in questo salmo, della Gerusalemme celeste (Bellarm.) – È vero anche il dire, in un altro senso, che dopo la nuova della nostra redenzione, cioè dopo l’Annunciazione del Vangelo, i veri Cristiani si considerano come già negli atri della celeste Gerusalemme. I loro piedi, cioè i loro pensieri e le loro affezioni, sono già fissate nel cielo. « La nostra conversazione è nel cielo, dice l’Apostolo; noi siamo i concittadini dei Santi, e noi apparteniamo alla casa di Dio. Noi non dobbiamo più gustare le cose della terra, ma unicamente quelle che sono sopra di noi. (Filip. III, 20; Colos. III, 2). –  Quale deve essere la disposizione di coloro che camminano verso questa casa? Voi sapete ora quale sia la casa del Signore. Nella casa del Signore, si glorifica con le lodi Colui che ha fondato questa casa; si costituisce Egli stesso come delizie di tutti coloro che abitano la sua casa; Egli è la loro unica speranza quaggiù, il loro unico Bene lassù. Quale deve essere la disposizione di coloro che corrono verso questa casa? Credere di esservi di già. Pensare alla felicità di cui un giorno dovrete gioire; e benché siate ancora lungo il cammino, figuratevi già di esservi insediato, che già possediate, nella società degli Angeli, una gioia imperitura, e che si compia in voi questa parola: « Felici coloro che abitano nella vostra casa, essi vi glorificheranno nei secoli dei secoli. (Ps. LXXXIII, 5). » – « I nostri piedi si sono fissati negli atri di Gerusalemme. » Di quale Gerusalemme? In effetti c’è sulla terra una città con questo nome, ma essa non è che l’ombra dell’altra Gerusalemme. E qual grande felicità sarebbe il restare in questa Gerusalemme dei Giudei, che essi non hanno potuto conservare, e che è caduta in rovina? … A Dio non piace che siano tali, per questa Gerusalemme terrestre, i sentimenti di colui che ha tanto amore, tanto ardore, tanto desiderio di giungere a questa Gerusalemme, nostra madre (Galat. IV, 26), che l’Apostolo dice essere «terna nei cieli. » (S. Agost.). 

II. — 3-7.

ff. 3. – « Gerusalemme che è costruita come una città. » Queste parole possono intendersi del tempo successivo alla cattività. Gerusalemme non era allora che un vasto deserto ed un ammasso di rovine; le sue torri erano abbattute, le sue mura rovinate; triste retaggio di un’antica patria. Alla vista di questa solitudine, i Giudei reduci dalla cattività richiamano il ricordo della sua antica prosperità e del suo antico splendore … il testo stesso del salmista, viene in appoggio a questa spiegazione: « Gerusalemme che è costruita come una città; » perché allora non era ancora una città (S. Giov. Chrys.). – Questa città di Gerusalemme non è ancora completamente costruita; essa si costruisce tutti i giorni con pietre viventi, sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti, di cui Gesù-Cristo è Egli stesso la principale pietra d’angolo (S. Girol.). – Il salmista sembra rispondere a questa domanda: Di quale Gerusalemme parlate? Di Gerusalemme che si costruisce come una città. Quando parlava così, la città di Gerusalemme era interamente costruita, non la si costruiva. Egli parla di non so quale città si costruisce al presente, e verso la quale corrono le pietre viventi, di cui l’Apostolo S. Pietro ha detto: « E voi siate assemblati come pietre viventi in un tempio spirituale. » (I Piet. II, 5), che è il tempio santo di Dio. Che significano queste parole: « Siate uniti come pietre viventi? » Voi siete viventi, se credete; e se credete, diventate il tempio di Dio; perché l’Apostolo S. Paolo ha detto: « il tempio di Dio è santo, e siete voi questo tempio. » (I Cor. III, 47). La città è dunque presentemente in costruzione; le pietre sono tagliate nelle montagne dalle mani dei predicatori della verità, esse sono squadrate per entrare nell’edificio eterno. Ecco dunque questa « Gerusalemme che si costruisce come una città; » il suo fondamento è Gesù-Cristo, perché l’Apostolo San Paolo ha detto: « Nessuno può porre un altro fondamento che quello che è stato posto, il quale è il Cristo Gesù. » (Ibid. 11). Dopo aver gettato le fondamenta, si elevano le mura al di sopra, ed il peso delle muraglie tende verso il basso, per cui il fondamento è posto in basso; ma se il nostro fondamento è in cielo, è in cielo che bisogna costruire l’edificio del quale facciamo parte … Noi siamo un edificio spirituale, il nostro fondamento è in alto. Corriamo dunque verso questo fondamento, per far parte della costruzione; perché della Gerusalemme celeste è stato detto: « I nostri piedi sono fissi negli atri di Gerusalemme. » Ma di quale Gerusalemme? « Della Gerusalemme che si costruisce come una città. » Perché non dice: Gerusalemme, città che si costruisce, ma: « che si costruisce come una città, » se non è perché questo assemblaggio di mura che formava, Gerusalemme era una città visibile, o secondo la proprietà volgare del termine, una città; ma la Gerusalemme del Profeta non è costruita come una città, perché coloro che entrano nella sua costruzione non sono che « come pietre viventi, » perché essi non sono realmente delle pietre. E così come essi sono come delle pietre e non delle pietre, così Gerusalemme è “come” una città, perché essa si costruisce, e non è una città (S. Agost.). – Gerusalemme celeste, in cui regna questa pace felice, in cui tutti i cuori sono legati ed uniti insieme; come nella Gerusalemme terrestre, i suoi numerosi edifici sono strettamente collegati tra di loro, senza la minima interruzione, e si prestavano una mutua protezione. La Chiesa della terra è ora privata di questa felicità di cui gioiva altre volte quando « la moltitudine di coloro che credevano non aveva che un cuore ed un’anima, e nessuno considerava ciò che possedeva come proprietà personale, ma in cui tutte le cose erano in comune. » (Act. IV, 32). – Questa partecipazione dello stesso bene, come traduceva Sant’Agostino, trasportava di ammirazione il santo dottore. Egli considerava questo bene nella sua immutabilità e nella sua eternità: ciò non può essere che l’essenza stessa di Colui che è sempre ciò che è; partecipazione che sorpassa tutti gli sforzi del nostro spirito, ma che eleva nello stesso tempo le nostre idee ed infiamma i nostri desideri.

ff. 4. –  « È là che sono salite le tribù, le tribù del Signore. » Nel popolo di Israele c’erano dodici tribù; ma esso conteneva buoni e malvagi … Così il Profeta dicendo: « là sono salite le tribù, » ha aggiunto: «le tribù del Signore. » Quali sono le tribù del Signore? Quelle che hanno conosciuto il Signore. In effetti, tra le dodici tribù perverse, vi erano dei giusti che facevano parte delle buone tribù che hanno conosciuto l’Architetto della città, ed esse erano, in mezzo a queste tribù, come il buon grano mescolato alla paglia. Tra esse sono salite, non mescolate alla paglia, ma purificate, poste nel rango degli eletti, e come appartenenti al Signore (S. Agost.). – « Ecco – diceva Gesù-Cristo – che noi saliamo a Gerusalemme, ed il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai principi dei sacerdoti ed agli scribi, che lo condanneranno a morte. » (Matth. XX, 18). Questa Gerusalemme era riprovata, ed Egli aveva pianto su di essa; questa Gerusalemme non era più la figura della Gerusalemme celeste, ma la figura del mondo corrotto, che perseguiterà sempre Gesù-Cristo e coloro che vogliono essere suoi discepoli. Le tribù del Signore che aspirano alla vera Gerusalemme non salgono verso questa Gerusalemme omicida: esse se ne allontanano per osservare la legge e cantare le lodi del Signore in quella Gerusalemme che gli Apostoli chiamano la nuova, la santa Gerusalemme, la Gerusalemme che è sopra di noi (Berthier). – Queste tribù del Signore, non sono le tribù di Israele o di Giuda. Siamo noi stessi queste tribù del Signore, ed è a noi che il Profeta fa questo invito: « Venite e salite alla montagna del Signore, ed Egli ci insegnerà le sue vie e noi cammineremo nei suoi sentieri, perché è da Sion che uscirà la legge, e la parola del Signore da Gerusalemme. » (Isai. XI, 3) – È da Gerusalemme che è uscita la parola del Signore per arrivare fino ai Gentili. Essi entrano nella città santa come testimonianza per Israele (S. Hilar.).

ff. 5. – « Là sono stabilite le sedi della giustizia. » È notevole che ciò su cui batte il Re-Profeta nel ritorno del popolo alla città santa ed al tempio del Signore, sia il vantaggio di possedervi dei tribunali, dei tribunali ove siedono degli uomini considerevoli che fanno parte della casa di Davide, e che esercitano in nome del principe, questa nobile parte della potenza reale: la distribuzione della giustizia. Nelle nostre chiese cattoliche, due cose soprattutto incutono, fin dall’entrata nel tempio, un profondo rispetto: il Tabernacolo, in cui il Dio che ha fatto il cielo e la terra si degna di riposare solitario e nascosto, ed il confessionale, ove il Cristiano viene spontaneamente ad autoaccusarsi, ed è giudicato sulle proprie confessioni e, con un sincero pentimento, merita un giudizio favorevole. A questo duplice aspetto, è impossibile dispensarsi da una emozione profonda: sì, si dice a se stesso, è certo qui la casa di Dio e la porta del cielo (Rendu). – Potere di rendere la giustizia appartenente a Colui che è il Messia, uscito dalla casa di Davide. – Egli ha comunicato ai Vescovi ed ai Sacerdoti, suoi ministri, il suo potere per conoscere e giudicare delle cose che riguardano le coscienze. È letteralmente nella celeste Gerusalemme che sono stati stabiliti i troni di giustizia, sia perché il trono di Gesù-Cristo e quello degli eletti che regnano con Lui sono stati posti nel cielo in maniera immutabile, sia perché i Santi stessi, regnando e giudicando con Gesù-Cristo, sono i troni di Dio. E questi troni sono fondati sulla casa di Davide, perché tutta la potenza reale e giudiziaria dei Santi proviene da Gesù-Cristo che, secondo il Vangelo, è Figlio di Davide, ha ricevuto il trono di Davide suo padre, e regnerà eternamente sulla casa di Giacobbe (Bellarm.).

ff. 6. – « Chiedete tutto ciò che può contribuire alla pace di Gerusalemme. » Il Profeta esorta gli esiliati che tornano a Gerusalemme a salutare da lontano la città santa, chiedendo per essa la pace e l’abbondanza, questi due beni, i più grandi di tutti, e che fanno il benessere delle città, perché la pace senza l’abbondanza non è che il possesso tranquillo della miseria, e l’abbondanza senza la pace è una felicità dubbia ed incerta. (Bellarm.). – Così, non è solo la liberazione da tutti i mali che egli ha predetto, ma il felice sommarsi di tutti i beni: la pace, l’abbondanza, la fertilità. In effetti a cosa servirebbe la pace a coloro che soffrono la povertà, l’indigenza e la fame, e di quale utilità sarebbe l’abbondanza in mezzo agli orrori della guerra? (S. Crys.). – Domandate la pace, come la intendono e la desiderano i figli di Dio: e la pace ancora, ma certo meglio, di come la desiderano i figli di questo secolo. Pregate per ciò che si riferisce alla pace di Gerusalemme, cioè alla città che si chiama con il nome stesso della pace, perché ne contiene tutti gli elementi e tutte le garanzie; e, come il Profeta Geremia raccomandava ai Giudei che dimoravano in Babilonia: « Cercate la pace della città temporale nella quale siete destinati a vivere, benché il suo nome esprima agitazione e confusione, non omettete di pregare il Signore per essa, perché la sua pace, sarà la nostra pace. » (Jerem XXIV, 7). – In mezzo a questa pace esteriore, il bene spirituale si opera in larghe proporzioni, il regno di Dio vi trova il suo progresso, e dal canto loro, le cose umane hanno tanto da guadagnare; di modo che se la pace esteriore profitta alla casa di Dio, la prosperità di essa serve egualmente gli interessi dei nostri fratelli e dei nostri prossimi. (Mgr. Pie, T. V, 321).

ff. 7. – « Che la pace sia nella forza. » O Gerusalemme! O città costruita come una città! « che la pace sia nella tua forza, » che la pace sia nella tua carità; perché la tua forza, è la carità. Ascoltate il Cantico dei cantici: « l’amore è forte come la morte. » (Cant. VIII, 6). Grande parola, fratelli miei: « l’amore è forte come la morte. » La forza della carità non poteva essere descritta in termini più magnifici: « L’amore è forte come la morte. » In effetti, fratelli miei, chi può resistere alla morte? Mi si presti attenzione con la vostra carità: si resiste al fuoco, all’acqua, al ferro; si resiste alle potenze, ai re; la morte si presenta sola, chi le resiste? Nulla di più forte c’è di essa. Ecco perché le è stata comparata la carità, ed è stato detto: « L’amore è forte come la morte … » Se dunque esso è forte, è potente, di gran forza, anzi è la forza stessa; ed è con l’aiuto di questa forza che i deboli sono retti dai robusti, la terra dal cielo, il popolo dalle autorità; che la pace sia dunque nella tua forza, o Gerusalemme, che la pace sia nella tua carità; e che con questa forza, con questa carità, con questa pace, « l’abbondanza sia nelle tue torri, », cioè in ciò che hai di più elevato. Saranno pochi in effetti coloro che saranno seduti come giudici; ma molti saranno posti alla destra e formeranno il popolo di questa città. Molti si saranno legati a ciascuna di queste sedi sì elevate, e saranno ricevuti da essi nei tabernacoli eterni, e l’abbondanza regnerà nelle torri della città. Ora, Dio stesso, Colui che è, al quale partecipano tutti gli abitanti della città, è Egli stesso la pienezza delle delizie e l’abbondanza delle ricchezze di Gerusalemme e, con Lui, l’abbondanza regnerà nelle sue torri. Ma come? Per mezzo della carità che è essa stessa la forza della città. (S. Agost.). – Il Profeta desidera e domanda l’abbondanza dei beni celesti su coloro sui quali è sicuramente il merito e che, come torri forti, difendono la città con la loro solidità e servono da ornamento con la loro altezza. (S. Gerol.).

ff. 8, 9. – « Io ho parlato di pace, a causa dei miei fratelli e dei miei vicini. » Si vedono in questi due versetti i due caratteri dell’amore. Il Profeta desidera la pace di Gerusalemme, non per se stesso, ma per i suoi fratelli ed i suoi vicini, o per i suoi amici; egli desidera per Gerusalemme tutti i beni, non ancora per se stessa, ma per l’onore della casa di Dio. (Berthier.) – « A causa dei miei fratelli e dei miei prossimi, io ti auguro la pace. » O Gerusalemme, città in cui gli abitanti sono partecipi di Colui che è, che sono ancora in questa vita e su questa terra; io, povero, esiliato, gemente, che non godo ancora della tua pace e che predico tuttavia la pace, io non la predico in vista di me, come fanno gli eretici, che cercano la loro gloria quando dicono: la pace sia con voi, e che non possiedono la pace che predicano ai popoli. Se, in effetti, essi avevano la pace, non avrebbero distrutto l’unità, « Io d’altra parte – egli dice – ho parlato di pace a tuo vantaggio; » ma perché? « A causa dei miei fratelli e dei miei vicini, » e non per il mio onore, non per la mia fortuna, non per la mia vita; « perché, per me, vivere è il Cristo, e morire è un guadagno. » – « A causa della casa del Signore, mio Dio, io ho cercato i beni per te. » Non è a causa mia che ho cercato i beni, perché allora li avrei cercati, non per te, ma per me; ma io li ho cercati «a causa della casa del Signore mio Dio, » a causa della Chiesa, a causa dei Santi, a causa degli esiliati, a causa degli indigenti, affinché possano salire verso questa casa, mentre noi diciamo loro: « Noi andremo alla casa del Signore. » È a causa di questa casa del Signore mio Dio che ho cercato i beni per te! » (S. Agost.). 

TUTTA LA MESSA (L’UNICA “VERA” CATTOLICA ROMANA) MOMENTO PER MOMENTO (5)

TUTTA LA MESSA MOMENTO PER MOMENTO (5)

[Aldéric BEAÜLAÇ, p. S. S.

Vicario & subdiacono (Montréal)

“TOUTE LA MESSE

Par questions et réponses”

TUTTA LA MESSA in Domande e risposte

(Nouvelle édition revue et corrigée)

3425, RUE ST-DENIS MONTREAL

Cum permissu Superioris,

EUGENE MOREAU, p.s.s.

Nihil obstat’.

AUGUSTE FERLAND, p.s.s.

censor deputatus

Marianopoli, die 28a martii 1943

Imprimi potest’.

ALBERT VALOIS, V. G.

Marianopoli, die 28a martii 1943

6 — La purificazione delle mani

155 — Perché il Sacerdote si lava le dita?

La cerimonia della lavanda delle mani ricorda l’antica pratica di offrire doni all’altare. Il ricevimento di questi doni – pane, vino, cera, olio, frutta, ecc. – ed il maneggio dell’incensiere sporcavano le mani del celebrante. In passato, quindi, la lavanda delle mani era un rito di utilità; oggi rimane un rito simbolico.

156 — Cosa figura la lavanda delle mani?

La lavanda delle mani è la purificazione da tutte le contaminazioni: contaminazioni delle mani che presto toccheranno l’Ostia consacrata, contaminazioni dell’anima che sta per ricevere Gesù in sé.

La rubrica prescrive, nella Messa privata, il lavaggio della punta delle dita per marcare la cura che il Sacerdote deve prendere di purificare il suo cuore anche dalle colpe più leggere, dall’ombra stessa del peccato.

157 — Quale preghiera recita il Sacerdote purificandosi le mani?

Il Sacerdote recita una parte del salmo XXV che racchiude il voto di celebrare il sacrificio immacolato dell’Agnello di Dio con la più gran purezza, con il più grande fervore possibile.

Preghiera:

Lavábo inter innocéntes manus meas: et circúmdabo altáre tuum. Dómine: Ut áudiam vocem laudis, et enárrem univérsa mirabília tua. Dómine, diléxi decórem domus tuæ et locum habitatiónis glóriæ tuæ. Ne perdas cum ímpiis, Deus, ánimam meam, et cum viris sánguinum vitam meam: In quorum mánibus iniquitátes sunt: déxtera eórum repléta est munéribus. Ego autem in innocéntia mea ingréssus sum: rédime me et miserére mei. Pes meus stetit in dirécto: in ecclésiis benedícam te, Dómine.

[Laverò fra gli innocenti le mie mani: ed andrò attorno al tuo altare, o Signore: Per udire voci di lode, e per narrare tutte quante le tue meraviglie. O Signore, ho amato lo splendore della tua casa, e il luogo ove abita la tua gloria. Non perdere insieme con gli empi, o Dio, l’anima mia, né la mia vita con gli uomini sanguinari: Nelle cui mani stanno le iniquità: e la cui destra è piena di regali. Io invece ho camminato nella mia innocenza: riscattami e abbi pietà di me. Il mio piede è rimasto sul retto sentiero: ti benedirò nelle adunanze, o Signore.]

7 — La preghiera alla Santa Trinità

158 — Cosa fa il Sacerdote dopo la lavanda delle mani?

Il Sacerdote ritorna al centro dell’altare, alza gli occhi verso il crocifisso e subito li abbassa, mette le mani giunte sull’altare, e poi, in questo atteggiamento, recita una preghiera alla Santissima Trinità.

Preghiera:

Súscipe, sancta Trinitas, hanc oblatiónem, quam tibi offérimus ob memóriam passiónis, resurrectiónis, et ascensiónis Jesu Christi, Dómini nostri: et in honórem beátæ Maríæ semper Vírginis, et beáti Joannis Baptistæ, et sanctórum Apostolórum Petri et Pauli, et istórum et ómnium Sanctórum: ut illis profíciat ad honórem, nobis autem ad salútem: et illi pro nobis intercédere dignéntur in coelis, quorum memóriam ágimus in terris. Per eúndem Christum, Dóminum nostrum. Amen.

[Accetta, o Santissima Trinità, questa offerta che ti facciamo in memoria della passione, risurrezione e ascensione di nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della beata sempre Vergine Maria, di san Giovanni Battista, dei santi Apostoli Pietro e Paolo, di questi [martiri le cui reliquie sono nell’Altare], e di tutti i Santi, affinché ad essi sia d’onore e a noi di salvezza, e si degnino d’intercedere per noi in Cielo, mentre noi facciamo memoria di loro in terra. Per il medesimo Cristo nostro Signore. Amen.]

159 — La preghiera alla Santa Trinità riassume tutti gli elementi dell’offerta?

Questa preghiera riassume tutti gli elementi dell’offerta, perché dice a chi si rivolge l’offerta, la parte che il cielo deve prendere in essa, e l’aiuto che la Chiesa sulla terra può aspettarsi da essa.

È a Dio solo che viene offerto il santo Sacrificio. Tuttavia, può essere offerto a Lui in onore di un Santo – cioè per ringraziare il Signore per il trionfo concesso al suo servo – per assicurarci la protezione di un amico di Dio.

Il Concilio di Trento, infatti, citando proprio questa preghiera, afferma: « E sebbene la Chiesa sia stata abituata a volte a celebrare alcune messe in onore e in memoria dei Santi, essa insegna tuttavia che non è a loro che si offre il Sacrificio, ma solo a Dio che li ha incoronati. Per questo il Sacerdote non ha l’abitudine di dire: “Io offro il sacrificio a voi, … Pietro o Paolo; ma, nel rendere grazie a Dio per le loro vittorie, egli implora il loro patrocinio affinché gli stessi di cui ricordiamo la memoria sulla terra, si degnino di intercedere per noi in cielo. »

160 — Perché il Sacerdote menziona i misteri della Passione, della resurrezione e dell’Ascensione di Nostro Signore?

La Messa viene celebrata in memoria della Redenzione le cui parti principali sono: la Passione, la Risurrezione e l’Ascensione di Nostro Signore. Nella Passione, l’Agnello Immacolato è stato immolato; nella Risurrezione, è glorificato; nell’Ascensione, viene a sedersi alla destra del Padre per completare la nostra redenzione e salvezza.

161 — Quali sono i Santi menzionati in questa preghiera?

In questa preghiera, il Sacerdote fa menzione speciale agli stessi Santi che ha invocato nel Confiteor e ai Santi le cui reliquie sono poste nella pietra dell’altare.

162 — Perchè il Sacerdote chiede a Dio per mezzo del Cristo che i Santi preghino per noi?

Chiediamo a Dio per mezzo del Cristo non solo l’effetto delle preghiere che i Santi fanno, ma anche l’ispirazione e il desiderio di farle, perché possiamo chiedergli tutti i mezzi che gli piace usare per manifestare la sua gloria. Dobbiamo chiederlo per mezzo di Gesù Cristo, attraverso il quale solamente, ci deve venire tutto il bene.

« Ci sono intercessori in cielo – dice Bossuet – che pregano con noi: ma essi stessi sono ascoltati solo dal Grande Intercessore e Mediatore Gesù Cristo attraverso il quale tutti hanno accesso, sia gli Angeli che gli uomini, sia i Santi che vi regnano che quelli che combattono ».

163— Quale onore procura ai Santi la menzione del loro nome alla Messa?

La Messa, Sacrificio impetratorio, ottiene da Dio un aumento della gloria accidentale dei Santi, cioè un aumento del loro culto sulla terra. Inoltre, la menzione dei loro nomi nella Messa li associa più strettamente al trionfo dell’Agnello Immacolato in cielo.

8 — Orate Fratres

164— Cosa fa il Sacerdote dopo aver recitato la preghiera alla Santissima Trinità?

Il Sacerdote bacia l’altare, si rivolge ai fedeli, poi, stendendo mani e braccia, invita i presenti alla preghiera.

Preghiera:

Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.

[Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.]

Il popolo risponde immediatamente all’invito del Sacerdote, attraverso la voce del servente:

Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.

[Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.]

Il sacerdote aggiunge a bassa voce: Amen, esprimendo così la sua adesione al pio desiderio degli astanti.

165 —Perché il Sacerdote bacia l’altare prima dell’Orate Fratres?

Il sacerdote bacia l’altare in questo momento, perché è nel Nome di Gesù, che l’altare rappresenta, che inviterà i fedeli a pregare.

Le parole Orate Fratres qui prendono il posto della formula ordinaria Oremus e servono come introduzione all’orazione successiva chiamata secreta. In passato, la cerimonia dell’offertorio durava a lungo e poteva distrarre l’attenzione dei fedeli; da qui il richiamo alla preghiera.

Oráte, fratres: ut meum ac vestrum sacrifícium acceptábile fiat apud Deum Patrem omnipoténtem.
M. Suscípiat Dóminus sacrifícium de mánibus tuis ad laudem et glóriam nominis sui, ad utilitátem quoque nostram, totiúsque Ecclésiæ suæ sanctæ.

[Pregate, fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.
M. Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio, a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa.]

166 — A chi si indirizza questa parola “Fratelli”?

Questa parola “fratelli” si rivolge a tutti i fedeli, senza distinzione di condizione o di sesso. Nelle parole degli Apostoli e dei Padri, questo termine designa i membri della Chiesa, rigenerati dallo stesso Sacramento (il Battesimo), nutriti per la vita eterna alla stessa mensa (l’Eucaristia), e uniti gli uni agli altri dai comuni vincoli della stessa fede, speranza e carità.

167— Spiegate questa espressione: “questo mio e vostro sacrificio”.

Nei Sacrifici della croce e nella Messa, è lo stesso Sacerdote che offre; è la vittima stessa che viene offerta, Nostro Signore Gesù Cristo. Ma Cristo si è creato con il Battesimo dei membri che la Cresima ha perfezionato. « Voi siete tutti insieme il corpo di Cristo e singolarmente le sue membra », dice San Paolo. « Non immaginiamoci che Cristo – osserva sant’Agostino – sia nella testa e assente dalle membra. No, è interamente nella testa e nel corpo ». Ecco perché, rinnovando in modo non cruento sui nostri altari il Sacrificio della croce, Cristo non è e non può essere separato da noi, prima di tutto dai suoi Sacerdoti, che ha fatto partecipi del suo Sacerdozio attraverso il Sacramento dell’Ordine, poi dai suoi fedeli intimamente associati a questo Sacerdozio come membri del suo Corpo, «… razza eletta, un sacerdozio regale, un sacerdozio santo, incaricato di offrire le ostie spirituali, gradite a Dio », come li chiama San Pietro. Benché i membri, uniti alla testa, come il ramo al tronco, partecipano all’altare in vari gradi, essi celebrano con Cristo, potendo ciascuno dire, in tutta verità, la MIA Messa, perché Cristo ha voluto che fosse la NOSTRA, dal momento in cui si è unito ai fedeli come membri del Suo Corpo Mistico.

9 — Secreta

168 — Perché questa orazione è chiamata secreta?

Questa preghiera, recitata a bassa voce, si chiama da tempo Secreta, o preghiera silenziosa.

Secondo diversi liturgisti, la parola stessa non significa a “bassa voce”, perché ancora oggi nel rito ambrosiano la preghiera corrispondente viene pronunciata ad alta voce. Secondo essi, la parola “secreta” viene dal latino secernere, che ha il participio secretum e significa “separare”, essendo questa preghiera recitata, alla separazione dei catecumeni dai fedeli, sul pane e sul vino destinati al sacrificio e separati dalle offerte destinate alla distribuzione. Secondo altri liturgisti, la parola “secreta” significa “segreta” o “misterioso”! Costoro considerano la secreta come appartenente al gruppo successivo di preghiere, in cui si trova il “Mistero della fede” per eccellenza: la Consacrazione.

169 — La secreta somiglia alla colletta?

Per quanto riguarda la forma, il numero, l’ordine e la conclusione, valgono le stesse regole che per le collette. Ma il soggetto delle une e delle altre è diverso: nelle collette, in generale, non si fa menzione del Sacrificio; le secrete, al contrario, hanno come obiettivo l’oblazione e contengono più o meno gli stessi pensieri dell’intero offertorio.

170 —Come terminano le secrete?

Il Sacerdote termina la secreta con le parole: per omnia sæcula sæculorum, [per tutti i secoli dei secoli], alle quali il servente risponde Amen. Questo Amen conclude tutta questa parte della Messa. Così sia! un atto di fede, sublime nella sua semplicità, di tutto il popolo cristiano, che approva ciò che è stato fatto, preparato e detto, e si costituisce nel tempo stesso, nell’amore che si offre, ostia con Cristo.

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