IL SEGNO DELLA CROCE (24)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (24)

Per Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMATERZA.

20 dicembre.

Ragioni del potere e dell’alta missione della croce. — Dogma fondamentale. — Quanto ha luogo nel mondo politico, è immagine di quell che avvade nel mondo morale. — La Riforma, prima figlia del risorgimento del paganesimo, abbatte tutte le croci. — La rivoluzione francese, seconda figlia del paganesimo, imita la sua sorella. — Secondo dovere: fare sovente il segno della croce. — Ragioni dedotte dallo stato attuale. — Terzo dovere: fare bene il segno della croce: condizioni. — Il segno della croce legno di eterna vittoria. — Costantino. — Lodi del segno della croce.

Tu non dimentichi, mio caro Federico, che di presente noi deduciamo le conseguenze pratiche, che emanano dal giudizio pronunziato fra noi ed i nostri avi. La prima è che noi dobbiamo fare risolutamente il segno della croce. Tuttavolta l’inappellabile sentenza del tribunale, fosse tale da essere norma di nostra condotta, pure, a mettere in rilievo tutta la dignità sua, ho voluto mostrarti, quanta vergogna, e quali pericoli e sventure ci verrebbero addosso da una teoretica e pratica rivolta contro di essa. I fatti t’hanno certiorato di tutto ciò. Tu hai visto il segno della bestia impresso su tutte le fronti, le labbra, i cuori e gli alimenti non santificati dal segno divino. D’onde trae ciò la origine sua? Ho promesso dirtelo, eccomi a compiere la mia promessa. – In nessun modo può mancare che il segno della bestia sia impresso in ogni uomo, ed in ogni cosa, che non trovasi dall’egida del segno liberatore dell’uomo e del mondo, difeso; avvegnaché non v’ha che un solo preservativo per l’uomo, contro satana, ed un solo parafulmine pel mondo: il segno della croce. Dove questo manca, satana agisce da padrone. Le quali cose, come ben altre volte abbiamo detto, dipendono e traggono tutta la loro evidenza dal dogma della umanità il più profondo, ed il più incontestabile, la servitù dell’uomo, e del mondo allo spirito del male, di poi l’originale peccato. Per mettere in piena evidenza quel che ho chiamato alta missione della croce, concedimi che io ti venga ricordando qualche tratto istorico, che è troppo poco considerato.  – Quello che si osserva nell’ordine della cosa pubblica è un riflesso di quanto ha luogo nel mondo morale. Ora quando una dinastia è assisa sul trono, dessa si studia d’innalzare il proprio stendardo, e scolpire il suo stemma da per tutto, poiché ciò è segno di sua dominazione. Come per opposto, se dal trono è rovesciata, primo atto del conquistatore è tor via gli emblemi della caduta dinastia per rimpiazzarli con i propri, cosi annunziandosi ai popoli l’inaugurazione dei nuovi regni. Da poi settanta anni in Francia ed altrove, quanti di questi mutamenti di colori e di stemmi non abbiamo veduto! Quindi il Verbo incarnato venendo sulla terra per Io possesso del suo regno trovò satana che con esso la faceva da re e da Dio, e le statue ed i trofei, gli stemmi di lui da per tutto erano innalzati; ma vintolo, i segni della sua dominazione disparvero, ed a loro vece brillò lo stemma del vincitore, la croce. Per la qual cosa, se un’anima od un paese, in pena delle sue colpe, è dannato di nuovo in servaggio di satana, il primo atto dell’infernale usurpatore è il far disparire la croce. Questa disparsa, comincia a far tirannico strazio del suo conquiso, non avendo più da temere il formidabile segno.  – Rileggi una pagina della storia della patria tua. Dal 1520 al 1530 quale miserevole spettacolo non ti presenta l’Allemagna? Dal Reno al Danubio, tutte le croci, che, dipoi la vittoria del Cristianesimo riportata sulla idolatria scendinava, sormontavano i monti e le colline, fiancheggiavano le vie, smaltavano le campagne, ornavano le case, coronavano le chiese, onoravano gli appartamenti e consolavano l’animo dolente dell’abitante del tugurio, furono abbattute, messe in pezzi, gettate al vento, ravvoltolate nel fango al grido di un popolo delirante. Qual cosa annunziava questo turbine distruttore? L’arrivo del vincitore, il ristabilimento del suo regno. Da quel momento lo spirito delle tenebre domina l’Allemagna, e vi regna, come nel vecchio mondo, con la voluttà e crudeltà d’ogni maniera, col brigantaggio, colla confusione del giusto e dell’ingiusto, coll’anarchia intellettuale d’ogni nome, e d’ogni forma. Né altro da questo è lo spettacolo che ti presenta la Prussia, la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra, la Svizzera, e tutte le contrade dove l’usurpatore ha preso il posto del legittimo re. Il che è tanto più significativo, chenon trovasi isolato nella storia, ma lo si vede riprodotto tutte le volte che satana prende nuovo possesso di un paese. Particolare, o generale che sta, lento o rapido, desso èil carattere della vittoria infernale, e ne misura l’esteriore. Nel 1830 noi numerammo a centinaia le croci abbattute: il 1830 fu un aborto del 93. In questa ultima epoca, epoca di trionfo completo pel paganesimo, fu ben altrimenti, poiché a migliaia le croci furono abbattute sul suolo francese, ed in tal tempo di lugubre memoria, ma istruttivo, vi fu un giorno più nefasto fra tutti. Sotto i colpi di orde fanatiche, il 1793 vide cadere nel sangue l’altare ed il trono. I massacri del convento del Carmine, e di S. Firmino, la proclamazione della repubblica, l’assassinio di Luigi XVI, le ecatombe del Terrore, le nefandezze del Direttorio, le apostasie, i sacrilegi, le dee della Ragione, furono le conseguenze di quel disgraziato giorno, che ricorderà eternamente l’ora precisa in cui satana entrò trionfalmente nel regno cristianissimo. Ora in quel momento, dice uno scrittore, un uragano straordinario scoppiò sopra Parigi. Un calore soffocante avea, lungo tutto il giorno, impedita la respirazione, e le nuvole addensate e di un sinistro colore aveano ricoperto e nascosto il sole come in un oceano sospeso nell’aria. Verso le dieci l’elettricità cominciò a sprigionarsi con spesso lampeggiare, simile a luminose palpitazioni del cielo. 1 venti squarciando le nubi, come onde di mare tempestoso, abbattevano le messi, spezzavano gli alberi, trasportavano altrove i tetti. In men che io il dica, le case fur chiuse e le strade deserte. Il fulmine per otto lunghe ore non cessò dal colpire uomini e femmine, che si conducevano a’ mercati di Parigi, e molte sentinelle furono ritrovate morte fra le ceneri delle loro garitte, e la forza del fulmine strappava da’ gangheri le inferriate balzandole a smisurata distanza. Le due alture che sormontano l’orizzonte di Parigi, Montmartre ed il monte Valeriane attrassero in gran parte l’elettrico delle nubi, che l’inviluppavano, ma scaricandosi questo su lutti i monumenti isolati surmontati da punte di ferro, abbattè tutte le croci, che trovavansi nelle campagne, sulle piazze, e lungo le strade, dal piano d’Issy per tutto il bosco di san Germano e di Versailles sino alla croce del ponte di Charenton. L’indomani, le braccia di queste coprivano da per tutto il suolo, come se un’armata invisibile avesse rovesciato nel suo passaggio tutti i segni del ripudiato culto cristiano. – Nell’ordine morale nulla avviene per azzardo, come nell’ordine naturale niente ha luogo per saldo; epperò i fatti che narro hanno un significato. Questo è rivelato dalle circostanze, che lo accompagnarono e seguirono, le quali mostrano evidentemente perché è la croce sia in un paese, e perché vi manchi: insegnano altresì alle nazioni, alle città, alle provincie, agli uomini d’ogni maniera, quanto debba esser loro a cuore il conservare il segno della croce, moltiplicarlo, ed onorare il segno protettore di tutta la creazione. – Fare il segno della croce soventemente è la seconda conseguenza pratica della emanata sentenza. E perché nol faremo noi? perché ciascuno a sua posta non tornerà ai pii usi dei padri nostri? Eglino non si reputavano sicuri un’istante, ed in tutte le azioni, tuttavolta queste facilissime si fossero, se non protetti dal segno salutare. Siam noi forse da più di loro nel coraggio? Le tentazioni nostre son forse minori nel numero e nella forza delle loro, i pericoli che ne circondano, meno gravi, e i doveri nostri, da meno dei loro? Tutte le volte che i padri nostri sortivano dalle abitazioni, s’incontravano con statue, pitture, oggetti osceni, erano nel mezzo di usi e di feste, in cui lo spirito del male si rivelava in ogni maniera? E quali sono i discorsi, le conversazioni, i canti che i casti orecchi è forza che sentano? Il  sensualismo ed il naturalismo delle idee e dei costumi pubblici e privati, con tutta l’apparenza delle belle forme, sono in continua cospirazione contro al soprannaturale della vita, contro lo spirito di mortificazione, di semplicità, della povertà e del distacco dalle cose periture e passeggere della terra. Eglino erano in continua tenzone per difendere la fede contro i sarcasmi, il disprezzo ed i sofismi della plebe, e della filosofia pagana; doveano rispondere ai giudici ne’ tribunali, e comprovare la loro credenza negli anfiteatri; ed in tutta questa pugna, il mezzo di che usavano a confortarsi, era il segno della croce, il solo segno della croce. E per noi Cattolici del secolo XIX, non è forse la condizione simile? Quanto ci circonda, non è forse, o cerca divenire pagano? Mi si mostri una parola di evangelo nella maggior parte degli uomini? Le città di Europa non sono di presente inondate di statue, di quadri, di fotografie esposte, forse a disegno, per accendere negli animi disonesti amori? Qual cosa mai manca per essere per filo ed a segno pagano la mensa, la mobiglia, gli abiti del mondo moderno? la schiavitù, e la ricchezza. Ma gli istinti sono gli stessi che aveano gli uomini del tempo dei Cesari! Simile spettacolo è continuata insidia! Guai a colui che di esso non si avvede, ma più ancora per chi non custodisce da esso notte e di i suoi sensi ed il suo cuore! Se torna difficile la difesa dei nostri costumi, quanto non è altresì malagevole sostenere le guerre per la difesa della fede! È un’epoca la nostra in cui le false idee, le menzogne, i sofismi circolano nella società come gli atomi nell’aria. Da per tutto è l’anfiteatro, in cui è da combattere per la Chiesa, per le nostre credenze, usi, tradizioni, pel soprannaturale cristiano: l’arena non è mai chiusa, e come un combattimento è per finire, tosto un altro ne comincia. I primi Cristiani posti in simili condizioni, un’arma sola conobbero vittoriosa, universale e famigliare, di che facevano continuo uso, il segno della croce. Potremmo noi trovarla migliore? E se fu tempo in che era necessario usare di questo segno per noi e le creature, l’è questo nostro; chi può però impedirci d’imitare i nostri avi? E che cosa può avere d’incompatibile il segno della croce eseguito sul cuore, o secondo l’antico uso, col pollice sulla bocca, con le nostre occupazioni?’ Se siamo vinti, chi n’è causa? Perditio tua ex te, Israel! – Far bene il segno della croce è la terza applicazione della sentenza pronunziata. La regolarità, il rispetto, l’attenzione, la confidenza, la devozione, devono accompagnare la nostra mano, quando essa forma l’adorabile segno.  La regolarità: questa vuole che il segno della croce nella sua forma perfetta, secondo la tradizionale usanza, sia fatto con la mano destra, e non con la sinistra, portandola lentamente dalla fronte al petto, da questo alla spalla sinistra, e quindi alla destra. In ciò nulla di arbitrario (Nominato Spiritu Sancto, dum ab uno ad alteram latus sit transversio. — Navarr. Comment, de oral. et oris canon c. XIX, n. 200); che se i primi Cristiani venissero fuori dalle loro tombe, non altrimenti eseguirebbero il segno della croce. Ascoltiamo un testimone oculare, «Noi facciamo il segno della croce su i catecumeni con la destra, comechè questa più nobile è reputata, tuttavolta non differisca dall’altra, che per sola postura e non per natura: parimente noi preghiamo rivolti all’oriente, essendo questa la parte più nobile della creazione. Le quali cose la Chiesa le ha apprese da coloro, che le insegnarono a pregare, gli Apostoli – S. Iustin. Q. XVIII). » – Sul conto della dignità della mano destra abbiamo un bel passo di santo Agostino. « Non rimproverate voi, dice egli, colui che vuol mangiare con la sinistra mano? Se voi stimate insulto fatto alla vostra mensa il mangiar dell’invitato con la mano sinistra, come non lo stimereste ingiurioso per la mensa divina far con la sinistra quello, che andrebbe fatto con la destra, e far con questa l’opera di quella (S. August, in psalm. 136). » E S. Gregorio aggiunge: « È questa una maniera di parlare degli uomini. Noi stimiamo più nobile ciò che trovasi a destra, di quello che trovasi a sinistra » (S. Gregor. Moral, lib. XX, c. 18). – Le parole che accompagnano il segno della mano, sono parimente di apostolica tradizione, poiché le si trovano descritte da tutta l’antichità. Santo Efrem scrive: « Su tutto che incontrate fate il segno delia croce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » (S. Ephrem De Panoplia). E santo Alessandro martire, condannato nel capo da Massimiano, sotto le cui bandiere militava, rivoltosi all’oriente, e segnatosi tre volte, disse: « Gloria ne venga a voi, o Dio dei padri nostri; Padre, Figlio e Spirito Santo » (Apud Surium, 13 Maii).   Questa maniera di segnarsi, che descriviamo, è più in uso fra i Cristiani de’ tempi nostri che presso gli antichi; poiché la forma di croce con che costumavano segnarsi , era quella del pollice sulla fronte : Frontem crudi signaculo terimus; comechè facile fosse ripeterla ed opporle ai nemico. Di presente un siffatto modo è in uso nella Spagna, ed in altri paesi ancora. Ma perché più tosto sulla fronte che non sul cuore? In questo, mio caro Federico, come in mille altre cose dell’antichità v’hanno dei misteri, ed io ne conto cinque: – Il primo, per onore del divino Crocifisso. Non senza ragione il Verbo incarnato ha voluto che il suo segno fosse impresso sulla fronte, dice santo Agostino; in essa ha sua sede il pudore, ed egli ha voluto che il Cristiano non abbia ad onta gli obbrobri del suo Maestro. Se voi lo eseguite, seguitandosi egli dice, alla presenza degli uomini, e se non la stimate vostra vergogna, mettete pure ogni vostra confidenza nella divina misericordia di lui » (S. August, in Psal. 30. Enar. IV, n. 8 ). Il secondo, è per onorare la nostra fronte. Il segno della croce è il segno della fronte, signaculum frontium (Tertull. contra Marcion., lib. V.). E santo Agostino: « Una fronte senza questo segno è come una testa senza capelli. Come il capo calvo è fatto segno alle burle, ed è cosa da averne rossore, così l’è parimente per una fronte senza questo segno; dessa è impudente. Non sapete voi che l’uomo per insultar l’altro uomo gli dice: Tu non hai fronte? Il che suona: Sei impudente: Dio mi preservi dall’avere la fronte nuda, il segno del mio Maestro la copra e la onori » (In psal. 131). – II terzo, è il miracolo della redenzione. Il segno della croce è un trofeo. Questo si eleva non fra le tenebre e negli infimi luoghi della città, ma lungo le pubbliche piazze, dove da tutti possa andar veduto, e con la sua presenza ricordare le gesta ed i trionfi del vincitore. « Ecco ragione, dice santo Agostino, da aver stabilito il Verbo divino, che la fronte dell’uomo, membro il più visibile ed il più nobile, venisse segnato dal trofeo della vittoria riportata sulle potenze infernali (In Joan. Trad. XXXVI.). » Passando la croce dal luogo del supplizio sulla fronte degl’imperatori, dovea proclamare eternamente il gran miracolo della conversione dell’universo. Il quarto, il diritto di Dio sopra dell’uomo. Il divino Crocifisso, preso possesso dell’uomo, lo ha segnato col suo stemma, come il proprietario contrassegna col suo tutto che gli appartiene. « Tosto che il Redentore ebbe reso libero l’uomo, scrive S. Cesario di Arles, impresse su di lui il proprio segno. Questo segno è la croce. Noi lo abbiamo sulla fronte impressovi dal vincitore per insegnare a tutti, che noi siamo sua possessione e suoi tempii viventi, e satana furioso, invidia a tanta nostra ventura, ed agogna ad involarci il segno del nostro riscatto, la carta di nostra libertà (Cæsar. Arelat. Humil. V, de Pascha.). » – II quinto è la dignità dell’uomo. La fronte e la parte più nobile dell’umano corpo, ed è come la sede dell’anima; però il demonio con ogni studio cerca di sformare la umana fronte più di ogni altro membro, perché chi è padrone del capo, l’è di tutto l’uomo. Il rendere deforme quest’organo con artificiali compressioni, è stato in voga in molti tempi, ed al presente esiste ancora in alcuni paesi. Sfigurare la divina immagine nell’uomo, indebolire le intellettuali facoltà, sviluppare gl’istinti i più volgari, furono i risultati di questo sformare del capo umanamente inesplicabile. Il perché, il riparatore di tutte le cose, Nostro Signore, ha voluto che il segno della croce fosse a preferenza marcato sulla fronte, per liberar l’uomo, o, rendendogli la libertà, elevarlo nella pienezza delle sue facoltà alla dignità del suo essere (Circa la disposizione delle dita nella formazione della croce, se ne citano tre. La prima con le dita tutte distese, come comunemente è in uso. La seconda distendendo solamente le prime tre, e chiudendo le altre, come costumasi dai Vescovi nel dare la pastorale benedizione, maniera usata nel tredicesimo secolo, e pare che di siffatto modo i sacerdoti facessero il segno della croce sulle oblate; poiché leggesi in Leone IV (de cura Pastorali): Calicem et oblatam recto cruce signate, idest, non in circulo et rotatione digitorum, ut plurimi faciunt; sed districtis duobus digitis et pollice intus recluso per quos Trinitas innuitur. Il terzo, avendo tutte le dita distese, usando solo del dito pollice per segnarsi. Questa maniera è in uso per amministrare alcuni sacramenti, ed i fedeli si segnano di siffatto modo alla lettura del Vangelo sulla fronte, sulle labbra e sul cuore, ad accennare gli affetti del Vangelo).- Il rispetto è un’altra condizione per ben fare il segno della croce: avvegnaché è un atto di religione degno di ogni venerazione. Questo dev’essere inspirato dalla sua origine, dalla sua antichità, dall’uso che ne ha fatto quanto il mondo ha visto di meglio, gli Apostoli, i martiri, i veri Cattolici della primitiva Chiesa e di tutti i secoli; per la gloria con che si presenterà l’ultimo giorno, quando, annunziato l’arrivo del supremo Giudice, dessa maestosa poserà dallato al tribunale supremo, per consolazione de’ giusti, ed eterna confusione de’ cattivi. – L’attenzione; senza di questa sarebbe un movimento da macchina, spesso inutile a noi, ed ingiurioso a Colui, di cui ricorda la maestà, l’amore ed i benefizi.  La fiducia; ma una fiducia da figlio, viva, forte, fondata sul testimone de’ secoli, la pratica della Chiesa, e su gli effetti meravigliosi prodotti da tal segno, liberatore dell’uomo e del mondo, che mette paura a satana.  – La devozione; che faccia corrispondere il cuore alle labbra. Eseguendo il segno della croce che fo io? Io mi proclamo il discepolo, il fratello, l’amico, il figlio di un Dio crocifisso; epperò sotto pena di mentire a Dio, io devo essere quello, che dico. Ascolta i nostri padri. « Quando tu ti segni, pensa a tutti i misteri raccolti nella croce. Non basta il farlo con le dita, è mestieri innanzi tutto farlo con la fede e buona volontà. Quando imprimi questo segno sul tuo petto, sopra i tuoi occhi, su tutte le tue membra, offriti a Dio come accettevole ostia. Segnandoti siffattamente, tu ti proclami soldato cristiano, ma se nelle stesso tempo, tu non pratichi, il più che da te si possa, la carità, la giustizia, la castità, questo segno non li varrà a nulla. »  « Nobilissima cosa è il segno della croce! Con esso sono da segnare i nobili e preziosi oggetti. Non sarebbe strano suggellare in oro la paglia ed il fango? Qual senso potrà avere questo segno sulle labbra e sulla fronte, se interiormente l’anima è immonda, ed in preda ai vizi (S.Ioan. Chrys. Homil. 51, in Matth.— S.Epfrem, Ds adorai, vivif. Cruc. D. A’. — S. Augustin. Serm. 215, de Temp. — Signum maximum atque sublime. Lactant. Divin. institut, lib. IV. c. 26)? »  – « Qual cosa mai, si dimanda santo Agostino, è il fure il segno della croce e peccare? E un porre il suggello della vita sulle labbra, e darsi un pugnale nel cuore da morirne (S. Cæsar. Serm. 278, inter Angustin). » Quindi il proverbio de’ primi Cristiani ripetutoci da Beda: «Fratelli, abbiate Gesù Cristo nel cuore, ed il suo segno sulla fronte. Habete Chrìstum in cordibus, et signum eius in frontibus » (Beda, tom. III, in collact. flor, et parab.).  Quindi santo Agostino aggiunge una bella parola: «Dio non vuole de’ pittori, ma degli operatori de’ suoi misteri. Se voi portate sulla fronte il segno della umiliazione di Gesù Cristo, portate altresì nel vostro cuore l’imitazione della umiltà di Lui » ( S. August. Serm 32). Ogni ragione ci assiste, ed è per siffatto nostro operare, né alcuno ardisca dire: il far bene o male il segno della croce, non è poi gran cosa. Altrimenti da ciò hanno pensato i secoli cristiani; altrimenti ha pensato la verità istessa. Ammettendo ancora che sia poca cosa un segno eli croce, il Verbo incarnato non ha forse detto: “Quello che è fedele nelle piccole cose, lo sarà altresì nelle grandi, e chi è infedele nelle piccole, l’è nelle grandi?” Non è forse questa fedeltà giornaliera e continua, che prepara, e forma la gloria eterna? Nel grande affare della propria salvezza, come negli altri è sempre vero che, ciò che basta non basta sempre; e che chi si contenta del solo necessario, lo farà difficilmente. – Fo io dieci volte al giorno il segno della croce? Se è ben fatto, dico dieci opere buone, dieci gradi di meriti e di felicità, dieci monete per pagare i miei debiti, e quelli de’ miei fratelli che sono sulla terra o nel purgatorio; dieci istanze per ottenere la conversione dei peccatori e la perseveranza finale, per allontanare dal mondo e dalle creature le infermità, i pericoli ed i mali di che sono afflitti. Misura i meriti raccolti a capo di una settimana, di un anno, di una vita di cinquanta anni. E potrà ciò stimarsi cosa da poco! – Tu conosci ora, mio caro Federico, il segno della croce, e come questo debbasi eseguire: lascia all’amor mio confidarti un pensiero solo, un pensiero, che accenna un po’ a santa ambizione. Suppongo che uno straniero arrivi a Parigi, e che dimandi chi sia il giovane che nella gran capitale esegua meglio il segno della croce: desidero che tu sii nominato. A questo prezzo io ti prometto una vita degna de’ nostri avi della primitiva Chiesa, ed una morte preziosa agli occhi di Dio, e forse ancora gli onori della canonizzazione: In hòc signo vinces, per questo segno vincerai! Questa parola divina sempre antica e sempre nuova, poiché è la formula di una legge, che il gran Costantino primamente meritò d’intendere, qual tipo dell’uomo, e della cristiana famiglia. L’immortale Imperatore procedeva a marce sforzate contro Massenzio, per battere in battaglia questo spaventoso tiranno fattosi padrone della capitale del mondo. Ad un tratto, nel mezzo di un cielo sereno, una croce luminosa tanto, da superare il chiarore del sole, si manifesta a tutta l’armata, che stupefatta legge intorno ad essa scritto: in hoc signo vinces: per questo segno avrai vittoria. La notte seguente il Figlio di Dio compare all’Imperatore con lo stesso segno in mano, e gli ordina farne un simile da usarne in battaglia, con promessa di sicura vittoria. Costantino ubbidisce. Il segno celeste risplendente di oro e di gemme brilla allo sguardo delle legioni e diviene il celebre Labarum. Ovunque siffatto segno apparisce, rincora lo stanco soldato, accende coraggio nel cuore delle legioni di Costantino, e spavento produce in quelle di Massenzio; le aquile romane fuggono al cospetto della croce; il paganesimo innanzi al Cristianesimo; satana, il vecchio tiranno del mondo innanzi Gesù Cristo, il Salvatore di Roma e del mondo. Così esser dovea!  Massenzio disfatto ed annegato, Costantino trionfatore entrò in Roma. Una statua lo rappresenta con in mano una croce, e la seguente iscrizione ricorda ai posteri la prodigiosa conquista.

È QIESTO IL SEGNO SALUTARE

VERO SIMBOLO DI FORZA

PER ESSO DAL GIOGO DELLA TIRANNIDE

HO LIBERATO LA CITTÀ VOSTRA

AL SENATO AL POPOLO ROMANO HO RESO LA LIBERTÀ

L’AVITO SPLENDORE E L’ANTICA MAESTÀ

AD ESSI HO RIDONATO

(Euseb. Vit. Costant. C. 33)

Costantino, sei tu, sono io, ed ogni anima battezzata, è il mondo cristiano. Gettati noi nel mezzo della grande arena della vita, noi alla testa dell’armata de’ nostri sensi e delle nostre facoltà, camminiamo all’incontro di un tiranno peggiore di Massenzio. La nostra Roma è il cielo; esso vuole sbarrarcene la via, e viene contro di noi capitanando intiere legioni infernali; la battaglia è inevitabile. Dio ha provveduto alla nostra vittoria come a quella di Costantino, ci ha fornito di mezzo per trionfare, il segno della croce: In hoc signo vinces. Al presente, come in altri tempi, questo segno mette spavento a satana, formido dæmonum. Facciamolo con fede, ed il cammino della eterna città ci sarà aperto! E noi vincitori, e vincitori per sempre, per dovere di gratitudine eleveremo al cospetto degli Angeli e degli eletti una statua che avrà la costantiniana iscrizione.

É QUESTO Il SEGNO SALUTARE

VERO SIMBOLO DI FORZA

PER ESSO HO VINTO sATANA

LIBERATA QUESTA ANIMA E QUESTO MIO CORPO

DALLA TIRANNIDE DI LUI

I MIEI SENSI LE MIE FACOLTÀ  TUTTO L’ESSERE MIO

PER ESSO ETERNALMENTE GIOISCONO

IN HOC VINCES!

Salve, dunque dirò con i padri e dottori dell’Oriente e dell’Occidente, salve, o segno della croce! Stendardo del gran Re, immortale trofeo del Signore, segno di vita e di salute, segno di benedizione, terrore di satana e delle sue legioni, baluardo inespugnabile ed arena invincibile, scudo impenetrabile, spada da re, onore della fronte, speranza de’ Cristiani, farmaco salutare, risurrezione dei morti, guida de’ ciechi, consolazione degli afflitti, gioia dei buoni e terrore dei cattivi, freno dei ricchi, umiliazione dei superbi, giudice degl’ingiusti, libertà degli schiavi, gloria dei martiri, purità dei vergini, virtù dei santi, fondamento della Chiesa, salve (Gretzer, lib. IV, e. 54).- E tu, mio caro Federico, tu hai ormai la mia risposta alle tue questioni. L’autorità di tutti i secoli le ha sciolte a tuo favore. Quest’apologia vittoriosa della tua nobile condotta, ti convincerà, io lo spero, contro le burle ed i sofismi. Da un canto, tu sai quanto sia importante e solidalmente fondata la pratica continua del segno della croce; dall’altro, tu sei in grado da apprezzare il giusto valore della intelligenza di coloro che non lo fanno, e di giudicare com’eglino meritano il carattere di chi arrossisce di farlo:

In hoc vinces.

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE GLI USURPANTI APOSTATI DI TORNO: S. S. BENEDETTO XIV – “MAGNÆ NOBIS”

« … in tutti i casi nei quali si chiedono facoltà o dispense alla Sede Apostolica per matrimoni di un uomo cattolico, o donna cattolica, con una donna eretica, o uomo eretico: la stessa Sede Apostolica, come sopra dicemmo, sempre disapprovò e condannò questi matrimoni, come anche ora li disprezza e detesta, se non sono preceduti dall’abiura dell’eresia ». È questo un passaggio chiave della Enciclica del S. Padre Benedetto XIV scritta ai Vescovi di Polonia e riguardo dei matrimoni tra Cattolici con eretici e acattolici. La questione è affrontata con riferimenti canonici precisi, quali il Sommo Pontefice Lambertini ben conosceva per il suo immenso bagaglio culturale teologico-canonico. Queste sono disposizioni ancora oggi in voga perché insopprimibili nel Magistero Pontificio, irreformabile ed eterno. Pensiamo allora agli infiniti matrimoni oggi celebrati da soggetti eretici (ad esempio i modernisti del Vaticano II con acattolici atei, eretici settari di ogni risma, sedevacantisti e fallibilisti lefebvriani compresi) o da settari scomunicati comunisti o sessuo-liberisti o aderenti a conventicole massoniche … tutti matrimoni da Dio aborriti come obbrobrio e desolazione, matrimoni maledetti e generanti una prole lontana dalla grazia divina e dalla via di salvezza. Ovviamente il problema non si pone per chi non ha alcuna idea delle leggi e delle disposizioni della Chiesa Cattolica, o ancor peggio, le tiene in gran disprezzo, credendo che un buonismo “fai da te” e un sentimentalismo becero, possano salvarlo dal fuoco eterno. Senza fede, né dottrina, non c’è nemmeno carità verso Dio, e – come dicono i teologi, a cominciare da s. Paolo – senza carità nulla può salvarci. Attenti a non trasformare una festa, che dovrebbe costituire l’inizio di una famiglia cristiana, in un trampolino o in una piattaforma di lancio per lo stagno di fuoco eterno.

Benedetto XIV

Magnæ nobis

È stato causa di grande meraviglia e di non minore dolore il fatto che dalla relazione di uomini degni di fede e da sicura comunicazione di uomini seri abbiamo imparato che in codesto Regno di Polonia ha preso forza una certa falsa, diffusa opinione: cioè che da questa Sede Apostolica (che Noi dirigiamo per divina volontà, pur senza Nostro merito) furono concesse e spedite, e tuttora si concedono e si sogliono spedire, certe dispense matrimoniali in cui sono tolti gli impedimenti canonici che si oppongono a contrarre matrimonio validamente, anche se uno dei contraenti, o ambedue, professano apertamente una setta eretica. E poiché questo è stato pensato e diffuso per offesa e intollerabile calunnia, penseremmo di venire meno all’officio del Nostro ministero apostolico se a Voi, Venerabili Fratelli, e a tutti coloro cui giungerà questa Lettera, non rendessimo manifesto quale sia in questo genere di cose la costante regola di agire di questa Sede Apostolica e la costante consuetudine; se non ammonissimo con forza e nel nome della divina misericordia, Voi tutti, anche singolarmente, di codesto Regno di Polonia (sempre eminente per fede e religione) nonché i Presuli ordinari, a leggere con attenzione le lettere delle dispense matrimoniali che vengono spedite da questa Sede e da questa Curia per gli abitanti di codesto Regno, e ad invitarvi a che vi adoperiate affinché esse vengano considerate con la massima cura dai Vostri Vicari e dai vostri funzionari. Noi abbiamo la certezza, e questo lo chiariremo subito, che se su questo argomento si è sbagliato, non accadde per colpa della Sede Apostolica e dei suoi ufficiali, ma degli Ordinari locali e dei loro ministri, che non si curarono di leggere quelle lettere o di riflettere su di esse. – Né è necessario affrontare la questione quando si può abbondantemente dimostrare l’antichità di quella regola per cui la Sede Apostolica sempre disapprovò i matrimoni dei cattolici con gli eretici. Ma quanto a questo saranno sufficienti alcune considerazioni, con le quali possiamo dimostrare che la stessa disciplina e regola furono costantemente osservate fino ai nostri tempi, e vigoreggiano non meno integre presso di Noi e la Sede Apostolica, e sono religiosamente custodite. È quello che di se stesso e dei suoi tempi ha attestato il nostro Predecessore di felice memoria Urbano VIII nella sua Lettera apostolica del 30 dicembre 1624 che si legge presso il cardinale Albizio nel libro intitolato De inconstantia in Fide, c. 37, n. 127, dove così scrive: “Giustamente crediamo che i matrimoni di cattolici con eretici si debbano sempre evitare e, per quanto sta in Noi, intendiamo tenerli lontani dalla Chiesa Cattolica“. Né meno chiaramente espose il suo parere il Nostro Predecessore di pia memoria Papa Clemente XI nella Lettera scritta il 25 giugno 1706 e stampata nella Raccolta dei suoi Brevi e Lettere, divulgata a Roma nel 1724 dove, a p. 321, così si legge: “Stimiamo essere di somma importanza per la Chiesa di Dio, per la Sede Apostolica, per i Nostri Predecessori e per i Sacramenti che non si trasgrediscano le regole secondo le quali i cattolici devono evitare il matrimonio con gli eretici, a meno che non richieda questo il bene di tutta la Comunità Cristiana“. In altra Lettera del 23 luglio 1707, pubblicata nella stessa Raccolta a p. 391, scrive: “La Chiesa aborrisce da questi matrimoni che portano con sé molte imperfezioni e non poco di spirituale pericolo“. – Crediamo anche che sia abbastanza chiaro il Nostro giudizio su questo argomento nel rescritto decretale emesso per Nostra autorità il 4 novembre 1741 e stampato nel tomo I del Nostro Bollario (n. 34, par. 3), le cui parole sono le seguenti: “Sua Santità si addolora moltissimo che vi siano tra i cattolici coloro che impazziscono per un insano amore, non detestano questi riprovevoli matrimoni che Santa Madre Chiesa sempre condannò e proibì e non pensano di astenersi. Loda assai lo zelo di quei Vescovi che, proponendo più severe pene spirituali, cercano di costringere i cattolici a non congiungersi con gli eretici con questo sacrilego vincolo; esorta ed ammonisce seriamente tutti i Vescovi e i Vicari apostolici, i Parroci, i Missionari e tutti gli altri fedeli Ministri di Dio e della Chiesa che stanno in quelle parti, soprattutto dell’Olanda e del Belgio, affinché i cattolici di ambo i sessi, per quanto possono, si astengano da siffatte nozze che tornano a danno delle loro anime, e si diano da fare per mutare le nozze stesse nel migliore dei modi e impedirle efficacemente“. In subordine, qualora sia già stato contratto il matrimonio di un cattolico con un eretico, si stabilisce: “Ciò deve indurre nell’animo dello sposo cattolico, sia maschio sia femmina, di fare Penitenza per il gravissimo peccato che ha compiuto e chieda perdono a Dio e cerchi secondo le sue forze di trarre al grembo della Chiesa cattolica l’altro coniuge lontano dalla vera Fede e così guadagnare la sua anima; ciò sarebbe quanto mai opportuno per impetrare il perdono per il crimine commesso, sapendo del resto, come si è detto sopra, che si è legati in perpetuo dal vincolo di questo matrimonio“. – A queste regole per così dire fondamentali della Sede Apostolica, risponde prima di tutto la stessa norma di comportamento confermata dall’uso costante. Infatti, tutte le volte che capita di ricorrere ad essa, sia per ottenere la semplice facoltà di contrarre matrimonio tra persone, una delle quali professa l’eresia, sia inoltre per ottenere la dispensa di qualche grado o di altro impedimento canonico, esistente tra i contraenti, non si concede né licenza né dispensa se non con questa espressa legge e con questa condizione: cioè che prima sia stata abiurata l’eresia. Ché anzi il Nostro Predecessore di venerata memoria, Papa Innocenzo X, andando più avanti, comandò e mise in guardia di non concedere siffatte dispense se non fosse stato informato, con documenti autentici, che l’errore eretico era stato abiurato dal contraente eterodosso. Ciò lasciò testimoniato il lodato cardinale Albizio, allora assessore della Congregazione dell’Inquisizione Universale, nel succitato trattato De inconstantia in Fide (cap. 18, n. 44). Il citato Predecessore Clemente XI nella Congregazione del Sant’Officio da lui presenziata il 16 giugno 1710 comandò che fosse proibito per lettera all’Arcivescovo di Malines di concedere alcuna licenza o dispensa per i matrimoni tra un contraente cattolico e un altro eretico se non si fosse avuta in precedenza l’abiura dell’eresia; e decretò che fossero duramente ammoniti i teologi che avevano espresso opinioni contrarie a questa prassi, come tramandò Vincenzo, di buona memoria, Cardinale di Santa Romana Chiesa, soprannominato Pietra, nel suo commento alla Costituzione XII di Giovanni XXII (tomo 4, p. 76, n. 14). – Ché se si trovano alcuni esempi di Romani Pontefici che concessero licenze di contrarre matrimonio, o anche di dispensa da un impedimento, senza porre la condizione di abiurare prima l’eresia, diciamo che queste condizioni prima di tutto furono rarissime; e la maggior parte di esse furono fatte per matrimoni fra Augusti Principi e non senza un grave motivo che riguardava il pubblico bene. Inoltre, furono sempre adottate le opportune cautele in modo che il coniuge cattolico non potesse essere pervertito dall’eretico, anzi sapesse che egli era tenuto, secondo le sue forze, a recuperare costui dall’errore. Inoltre la prole di ambo i sessi che fosse nata dal matrimonio sarebbe stata educata nella santità della Religione Cattolica. Infine, è facile riconoscere che nel genere di queste concessioni non c’è alcuna possibilità di errore per coloro che le eseguono, a meno che essi vogliano mancare scientemente in qualcosa e manchino al loro dovere volontariamente. Da ultimo, da ciò che è stato detto risulta apertamente che in tutti i casi nei quali si chiedono facoltà o dispense alla Sede Apostolica per matrimoni di un uomo cattolico, o donna cattolica, con una donna eretica, o uomo eretico: la stessa Sede Apostolica, come sopra dicemmo, sempre disapprovò e condannò questi matrimoni, come anche ora li disprezza e detesta, se non sono preceduti dall’abiura dell’eresia. – Tutte le volte che per qualche probabile causa si chiedono dispense per matrimoni che sono da contrarre tra eretici, questo non viene mai detto espressamente nella richiesta. Non potendo i Ministri della Sede Apostolica e gli Ufficiali saperlo indovinando, a chiudere la bocca di chi parla a vanvera e di chi calunnia basterebbe dire questo: che non si concede alcuna dispensa che non sia diretta ad un esecutore determinato, al quale viene dato il mandato di conoscere la verità di tutto ciò che è esposto, e faccia sortire, come effetto, la dispensa, servatis servandis. Non essendo lecito a costui di ignorare che i matrimoni dei Cattolici con gli eretici sono disapprovati e condannati dalla Sede Apostolica, facilmente può conoscere quale dei due contraenti che ha il difetto dell’eresia (e di cui non si ha alcuna menzione nella lettera di dispensa) fu nascosto alla Sede Apostolica; appartiene al suo ufficio sospendere l’esecuzione di questa lettera, e notificare per lettera, con la dovuta deferenza, al Romano Pontefice o ai suoi ufficiali il motivo di questa sospensione, così come il Nostro Predecessore Papa Alessandro III prescrive una volta di fare all’Arcivescovo di Ravenna in una sua lettera che, a perenne effetto, fu riportata nel Codice delle Decretali, capitolo Si quando, de Rescriptis, dove si legge: “Considerando diligentemente la qualità dell’affare per il quale ti si scrive, o osservi attentamente il mandato nostro, o per iscritto esponi una causa ragionevole per cui non puoi obbedire: perché se tu non lo farai, sopporteremo con sofferenza ciò che Ci è stato riferito con malvagia insinuazione“. – Ma non si ferma qui l’attenzione della Sede Apostolica e dei suoi Ufficiali. Se si chiede la dispensa per rimuovere l’impedimento canonico di un matrimonio per una ragionevole causa, si faccia presente che si appartiene a quelle regioni nelle quali i Cattolici vivono frammisti agli eretici, e non si può constatare con certezza che ambedue i postulanti o uno di essi soltanto professano la Religione Cattolica; i suddetti ufficiali, interpretando onestamente il pensiero del Pontefice, presumono sempre che l’uno e l’altro postulante siano Cattolici, perché le loro domande presentate nella richiesta (la chiamano Supplica) da sottoporre alla firma del Pontefice, si esprimono con queste parole: “I predetti richiedenti, che sono fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e vivono e intendono vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana, ecc.; con cui combaciano altre parole che si scrivono in parte al condizionale a maggiore cautela, e cioè: Finché i predetti richiedenti vivano fedeli praticanti della Fede Ortodossa, e intendano vivere e morire in obbedienza alla Santa Chiesa Romana“. – Premesso ciò, a buon diritto chiediamo: poiché le lettere di dispensa matrimoniale furono concepite con queste espressioni e furono spedite con questo senso, se poi venga in chiaro che i contraenti erano eretici, o uno Cattolico e l’altro eretico, e tuttavia la dispensa viene mandata ad esecuzione, di chi sarà la colpa e chi a buon diritto potrà essere accusato della dispensa accordata a chi era indegno? Forse colui che in buona fede e con le opportune cautele e con giuste condizioni la concesse, oppure colui che, non avendo tenuto in nessuna considerazione le condizioni o non avendo premesso nessun accertamento sui contraenti, permise che la dispensa, contro la volontà del concedente, ottenesse un ingiusto effetto? – Ma qualcuno dirà che non tutte le lettere di dispensa sono spedite munite di queste clausole dal momento che nello stesso Regno di Polonia, da alcuni anni in qua, qualche dispensa fu inviata da Roma senza alcuna condizione. L’aspetto di questi fatti che Noi abbiamo presenti nella mente, vogliamo qui chiarire. La dispensa era a favore dell’età di una ragazza cui mancavano sei mesi per raggiungere i dodici anni, che per le donne costituiscono l’età legittima per contrarre matrimonio. In quella concessione fu detto che “l’astuzia suppliva così l’età, che a buon diritto la ragazza poteva sposarsi“. Pertanto, più che una dispensa, questa era una lettera chiarificatrice, dal momento che la facoltà di sposarsi prima dell’età prescritta, ogni volta che l’astuzia supplisce l’età, deriva dalla stessa disposizione delle leggi e dei Canoni. Ché, anzi, i Vescovi e gli Ordinari con diritto personale possono pronunciarsi sulla questione, che è di fatto: se cioè la furberia, come si dice, supplisce l’età e di conseguenza si può concedere il permesso di contrarre matrimonio, non è necessario ricorrere alla Santa Sede se non per maggiori solennità dell’atto “e perché non succeda che per la minore età dei contraenti si discuta della validità del matrimonio“, come dice la formula che si suole usare nello scrivere le lettere declaratorie sulla minore età. Se infatti i Canonisti insegnano che è cumulativo il diritto tra la Sede Apostolica e i Giudici ordinari di conoscere e di pronunciarsi su questo argomento, cioè se l’astuzia supplisca l’età, è solo della Sede Apostolica il diritto di concedere la dispensa al matrimonio all’impubere che, a motivo dell’età, non è ancora maturo per la copula coniugale, ma tuttavia ha tale uso della ragione da capire l’importanza e la natura del matrimonio. Infatti, per la validità del matrimonio, come si richiede l’uso di ragione per diritto naturale e divino, così si richiede la potenza in atto all’atto coniugale dal diritto Canonico. Il Romano Pontefice è sopra il diritto Canonico: ma un Vescovo qualunque è inferiore al diritto e quindi non può derogare alle sue leggi. – Ma, tralasciata questa questione se la licenza di contrarre matrimonio prima dell’età legittima quando l’astuzia supplisca l’età, è da vedere se si tratta di una dispensa o piuttosto di una dichiarazione, e perciò se ci si debba accostare agli atti della grazia e della giustizia. Oltre a ciò, si deve vedere se nelle Lettere Apostoliche scritte su questo argomento (quantunque quelle parole e quelle condizioni che si è soliti apporre nelle altre dispense qui non si leggano) siano tuttavia presenti altre parole equipollenti. Secondo il valore di queste Lettere, l’Esecutore delegato (qualora un contraente o ambedue siano colpiti da eresia, e ciò non è espresso nella supplica al concedente, né per altra via si è potuto saperlo) è tenuto ad astenersi dal dare attuazione. Di questo non si può dubitare, se si sta attenti a ciò che in seguito è richiesto nelle Lettere all’Esecutore: “Di informarsi diligentemente dei permessi e di vedere se veramente e legittimamente consti che in questo impubere l’astuzia supplisca al difetto dell’età“. Allo stesso si comanda che permetta al richiedente, “purché non osti altro impedimento canonico, di contrarre matrimonio con un uomo non escluso per qualche norma oppure in forza di qualche dispensa apostolica, osservata la forma del Concilio di Trento“. Con queste parole s’impone all’Esecutore quella legge che poco consente all’impubere di godere l’effetto della dispensa o della declaratoria, se avrà indagato che lo stesso ha in animo di contrarre nozze vergognose con un eretico. – Il Nostro discorso si fa troppo lungo, più di quanto all’inizio di questa Lettera Ci eravamo proposti; ma non Ce ne pentiamo minimamente. Infatti, Ci sta molto a cuore, e interessa molto alla Religione Cattolica e alla Sede Apostolica, che non si ignori la realtà dei fatti e che le false dicerie diffuse contro la Sacra Cattedra di Pietro non siano credute; se si compiono cose contro i Sacri Canoni, non se ne attribuisca la responsabilità a chi non l’ha. – Perché la fine della Nostra Lettera torni là dove ebbe il principio, a Te, Venerabile Fratello e a tutti i Presuli Ordinari di codesto Regno, ancora raccomandiamo fortemente di disporre che dai vostri Ufficiali siano considerate attentamente le Lettere di dispensa che vi sono inviate per l’esecuzione, né vogliate ritenere superfluo – se in esse sembri esservi qualcosa di abnorme o di nuovo – dissertare sulla verità o falsità di esse. Infatti è molta la malizia dell’uomo sulla terra e a Noi non è dato sapere fin dove possa arrivare l’audacia dei falsari. Giunse inoltre al Nostro orecchio che vi fu un tale il quale, disattendendo l’impedimento di grado, unì in matrimonio un uomo eretico con una donna cattolica; ed avendo saputo che la sua azione era criticata, non si peritò di affermare che in tale occasione era dotato della Dispensa Apostolica che aveva ricevuta da Roma; ed essendo stato invitato a produrre la lettera di dispensa, non poté mai mostrarla perché non l’aveva mai ricevuta. Ma Noi, in verità, che abbiamo un giudizio più positivo dell’inclita Nazione Polacca (che abbracciamo con affetto di paterna carità) e dei Presuli consacrati di codesto Regno (che tutti e singolarmente teniamo in grande considerazione), non crediamo che un delitto così efferato sia mai stato tollerato. – A Te, Venerabile Fratello e al Gregge a Te affidato impartiamo con tutto il cuore la Benedizione Apostolica.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 29 giugno 1748, anno ottavo del Nostro Pontificato.

CATENA D’ORO DEI SALMI – Elenco numerico

CATENA D’ORO DEI SALMI – elenco e links

La catena d’oro dei SALMI o I SALMI TRADOTTI, ANALIZZATI, INTERPRETATI E MEDITATI CON L’AIUTO DI SPIEGAZIONI E RELATIVE CONSIDERAZIONI, RICAVATE TESTUALMENTE DAI SANTI PADRI, DAGLI ORATORI E SCRITTORI CATTOLICI PIU’ RINOMATI.

Da M. l’Abbate J.-M. PÉRONNE,

CANONICO TITOLARE DELLA CHIESA “DE SOISSONS” Professore emerito di sacra Scrittura e di Eloquenza sacra.

ELENCO NUMERICO E LINKS

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI NON…” (I)

SALMI BIBLICI: “QUARE FREMUERUNT GENTES …” (II)

SALMI BIBLICI: “QUID MULTIPLICATI SUNT…” (III)

SALMI BIBLICI: “CUM INVOCARENT” (IV)

SALMI BIBLICI: “VERBA MEA AURIBUS”(V)

SALMI BIBLICI: “DOMINE NE IN FURORE TUO” (VI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE DEUS MEUS” (VII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DOMINUS NOSTER” (VIII)

SALMI BIBLICI “CONFITEBOR TIBI DOMINE” (IX)

SALMI BIBLICI: “IN DOMINO CONFIDO” (X)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DOMINE” (XI)

SALMI BIBLICI: “USQUEQUO DOMINE” (XII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO” (XIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE QUIS HABITAVIT” (XIV)

SALMI BIBLICI: “CONSERVA ME DOMINE” (XV)

SALMI BIBLICI “EXAUDI, DOMINE JUSTITIAM MEAM” (XVI)

SALMI BIBLICI “DILIGAM TE, DOMINE” (XVII)

SALMI BIBLICI: “CÆLI ENARRANT GLORIA DEI” (XVIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDIAT TE, DOMINUS, IN DIE TRIBULATIONIS” (XIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE IN VIRTUTE TUA LÆTABITUR REX” (XX)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEUS MEUS, RESPICE IN ME” (XXI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGIT ME, ET NIHIL MIHI DEERIT” (XXII)

SALMI BIBLICI: “DOMINI EST TERRA, ET PLENITUDO EJUS” (XXIII)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINI, LEVAVI ANIMAM MEAM” (XXIV)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DOMINE, QUONIAM EGO” (XXV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS ILLUMINATIO MEA ET SALUS” (XXVI)

SALMI BIBLICI: “AD TE, DOMINE, CLAMABO; Deus meus…” (XXVII)

SALMI BIBLICI: “AFFERTE DOMINE, FILII DEI” (XXVIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DOMINE, QUONIAM SUSCEPISTI ME” (XXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE DOMINE, SPERAVI… INCLINA” (XXX)

SALMI BIBLICI: “BEATI QUORUM REMISSÆ SUNT INIQUITATES”

(XXXI)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE, JUSTI, IN DOMINO” (XXXII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICAM DOMINUM IN OMNI TEMPORA” (XXXIII)

SALMI BIBLICI: “JUDICA DOMINE, NOCENTES ME” (XXXIV)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INIUSTUS UT DELINQUAT IN SEMETIPSO” (XXXV)

SALMI BIBLICI: “NOLI ÆMULARI IN MALIGNANTIBUS” (XXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NE IN FURORE TUO ARGUAS ME” (XXXVII)

SALMI BIBLICI “DIXI CUSTODIAM VIAS MEAS” (XXXVIII)

SALMI BIBLICI: EXSPECTANS EXSPECTAVI DOMINUM” (XXXIX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS QUI INTELLEGIT SUPER EGENUM” (XL)

SALMI BIBLICI: “QUEMADMODUM DESIDERAT CERVUS” (XLI)

SALMI BIBLICI: “JUDICA ME, DEUS, ET DISCERNE CAUSAM” (XLII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, AURIBUS NOSTRIS AUDIVIMUS” (XLIII)

SALMI BIBLICI: “ERUCTAVIT COR MEUM VERBUM BONUM” (XLIV)

SALMI BIBLICI: “DEUS NOSTER REFUGIUM ET VIRTUS” (XLV)

SALMI BIBLICI: “OMNES GENTES, PLAUDITE MANIBUS” (XLVI)

SALMI BIBLICI: “MAGNUS DOMINUS, ET LAUDABILIS NIMIS” (XLVII)

SALMI BIBLICI. “AUDITE HÆC, OMNES GENTES” (XLVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS DEORUM, DOMINUS LOCUTUS EST” (XLIX)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, SECUNDUM MAGNUM” (L)

SALMI BIBLICI: “QUID GLORIARIS IN MALITIA” (LI)

SALMI BIBLICI: “DIXIT INSIPIENS IN CORDE SUO, DEUS …” (LII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, IN NOMINE TUO SALVUM ME FAC” (LIII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM, ET NE DESPEXERIS” (LIV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, QUONIAM CONCULCAVIT” (LV)

SALMI BIBLICI: “MISERERE MEI, DEUS, MISERERE MEI (LVI)

SALMI BIBLICI: “SI VERE UTIQUE JUSTITIAM LOQUIMINI (LVII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME DE INIMICIS MEI, DEUS MEUS” (LVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS REPULISTI NOS ET destruxisti nos” (LIX)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI DEUS, DEPRECATIONEM MEAM” (LX)

SALMI BIBLICI: “NONNE MEA SUBIECTA ANIMA MEA (LXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, DEUS MEUS, AD TE LUCE VIGILO” (LXII)

SALMI BIBLICI: “EXAUDI, DEUS, ORATIONEM MEAM CUM DEPRECOR” (LXIII)

SALMI BIBLICI: “TE DECET, DEUS, HYMNUS IN SION” (LXIV)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA” (LXV)

SALMI BIBLICI: “DEUS, MISEREATUR NOSTRI, ET BENEDICAT NOS” (LXVI)

SALMI BIBLICI: “EXSURGAT DEUS, ET DISSIPENTUR INIMICI EJUS” (LXVII)

SALMI BIBLICI: “SALVUM ME FAC, DEUS, QUONIAM INTRAVERUNT” (LXVIII)

SALMI BIBLICI: “DEUS IN ADJUTORIUM MEUM INTENDE” (LXIX)

SALMI BIBLICI: “IN TE, DOMINE, SPERAVI … ET ERIPE ME” (LXX)

SALMI BIBLICI: “DEUS, JUDICIUM TUUM REGIS DA” (LXXI)

SALMI BIBLICI: “QUAM BONUS ISRAEL DEUS” (LXXII)

SALMI BIBLICI: “UT QUID, DEUS, REPULISTI IN FINEM” (LXXIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBIMUR TIBI, DEUS” (LXXIV)

SALMI BIBLICI: ” NOTUS IN JUDEA, DEUS” (LXXV)

SALMI BIBLICI: “VOCE … Voce MEA AD DEUM, ET INTENDI” (LXXVI)

SALMI BIBLICI: “ATTENDITE, POPULE MEUS, LEGEM MEAM”(LXXVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, VENERUNT GENTES” (LXXVIII)

SALMI BIBLICI: “QUI REGIS ISRAEL, INTENDE” (LXXIX)

SALMI BIBLICI: “EXSULTATE DEO, ADJUTORI NOSTRO, JUBILATE DEO JACOB” (LXXX)

SALMI BIBLICI: DEUS STETIT IN SYNAGOGA DEORUM (LXXXI)

SALMI BIBLICI: “DEUS, QUIS SIMILIS ERIT TIBI?” (LXXXII)

SALMI BIBLICI: “QUAM DILECTA TABERNACULA TUA” (LXXXIII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIXISTI, DOMINE, TERRAM TUAM” (LXXXIV)

SALMI BIBLICI: “INCLINA, DOMINE, AUREM TUAM” (LXXXV)

SALMI BIBLICI: “FUMDAMENTA EJUS IN MONTIBUS SANCTIS” (LXXXVI)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, DEUS SALUTIS MEÆ” (LXXXVII)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAS DOMINI, IN ÆTERNUM CANTABO” (LXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS” (LXXXIX)

SALMI BIBLICI: “QUI HABITAT IN ADJUTORIO ALTISSIMI” (XC)

SALMI BIBLICI: “BONUM EST CONFITERI DOMINO” (XCI)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT, DECOREM INDUTUS EST”(XCII)

SALMI BIBLICI: “DEUS ULTIONUM DOMINUS” (XCIII)

SALMI BIBLICI: “VENITE, EXSULTEMUS DOMINO” (XCIV)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO CANTICUM NOVUM” (XCV)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT; EXSULTET TERRA” (XCVI)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM, QUIA” (XCVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINUS REGNAVIT: IRASCANTUR POPULI” (XCVIII)

SALMI BIBLICI: “JUBILATE DEO, OMNIS TERRA; SERVITE DOMINO”(XCIX)

SALMI BIBLICI: “MISERICORDIAM ET JUDICIUM CANTABO TIBI” – (C)

SALMI BIBLICI: “DOMINE EXAUDI ORATIONEM MEAM, ET CLAMOR MEUS” – (CI)

SALMI BIBLICI: ” BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO, … ET OMNIA” (CII)

SALMI BIBLICI: “BENEDIC, ANIMA MEA, DOMINO: DOMINE” (CIII)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, ET INVOCATE NOMEN EJUS” (CIV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI, DOMINO … QUIS LOQUETUR” (CV)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO, QUONIAM BONUS … DICANT QUI REDEMPTI” (CVI)

SALMI BIBLICI: “PARATUM COR MEUM, DEUS” (CVII)

SALMI BIBLICI: “DEUS, LAUDEM MEAM, NE TACUERIS” (CVIII)

SALMI BIBLICI: “DIXIT DOMINUS, DOMINO MEO” (CIX)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE…IN CONSILIO” (CX)

SALMI BIBLICI: “BEATUS VIR QUI TIMET DOMINUM” (CXI)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE, PUERI, DOMINUM” (CXII)

SALMI BIBLICI: “IN EXITU ISRAEL DE ÆGYPTO” (CXIII)

SALMI BIBLICI: “DILEXI, QUONIAM EXAUDIET DOMINUS” (CXIV)

SALMI BIBLICI: “CREDIDI, PROPTER QUOD LOCUTUS SUM” (CXV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, OMNES GENTES” (CXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEMINI DOMINO … DICAT NUNC ISRAEL” (CXVII)

SALMI BIBLICI: “BEATI IMMACULATI IN VIA” (CXVIII – 1)

SALMI BIBLICI: “AD DOMINUM CUM TRIBULARER” (CXIX)

SALMI BIBLICI: “LEVAVI OCULOS MEOS IN MONTES” (CXX)

SALMI BIBLICI: “LÆTATUS SUM IN HIS QUÆ DICTA SUNT MIHI” (CXXI)

SALMI BIBLICI: “AD TE LEVAVI OCULOS MEOS” (CXXII)

SALMI BIBLICI: “NISI QUIA DOMINUS ERAT IN NOBIS” (CXXIII)

SALMI BIBLICI: “QUI CONFIDUNT IN DOMINO, SICUT MONS SION” (CXXIV)

SALMI BIBLICI: “IN CONVERTENDO DOMINUS CAPTIVITATEM SION” (CXXV)

SALMI BIBLICI: “NISI DOMINUS ÆDIFICAVERIT DOMUM” (CXXVI)

SALMI BIBLICI: “BEATI OMNES QUI TIMENT DOMINUM” (CXXVII)

SALMI BIBLICI: “SÆPE EXPUGNAVERUNT ME” (CXXVIII)

SALMI BIBLICI: “DE PROFUNDIS” (CXXIX)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, NON EST EXALTATUM COR MEUM” (CXXX)

SALMI BIBLICI: “MEMENTO, DOMINE, DAVID, et” (CXXXI)

SALMI BIBLICI: “ECCE QUAM BONUM ET QUAM JUCUNDUM” (CXXXII)

SALMI BIBLICI: “ECCE NUNC BENEDICITE DOMINUM” (CXXXIII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE NOMEN DOMINI” (CXXXIV)

SALMI BIBLICI: ” CONFITEMINI, DOMINO … CONFITEMINI ” (CXXXV)

SALMI BIBLICI: “SUPER FLUMINA BABYLONIS” (CXXXVI)

SALMI BIBLICI: “CONFITEBOR TIBI, DOMINE, … QUONIAM AUDISTI (CXXXVII)

SALMI BIBLICI: “DOMINE, PROBASTI ME ET COGNOVISTI ME” (CXXXVIII)

SALMI BIBLICI: “ERIPE ME, DOMINE, AB HOMINE MALO” (CXXXIX)

SALMI BIBLIBI: “DOMINE, CLAMAVI AD TE, EXAUDI ME” (CXL)

SALMI BIBLICI: “VOCE MEA, … VOCE MEA, AD DOMINUM” (CXLI)

SALMI BIBLICI. “DOMINE, EXAUDI ORATIONEM MEAM; AURIBUS” (CXLII)

SALMI BIBLICI: “BENEDICTUS DOMINUS, DEUS MEUS” (CXLIII)

SALMI BIBLICI: “EXALTABO TE, DEUS MEUS, REX” (CXLIV)

SALMI BIBLICI: “LAUDA, ANIMA MEA DOMINUM” (CXLV)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM, QUAM BONUS” (CXLVI)

SALMI BIBLICI: “LAUDA JERUSALEM, DOMINUM” (CXLVII)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM DE CÆLIS ” (CXLVIII)

SALMI BIBLICI: “CANTATE DOMINO, CANTICUM NOVUM; LAUS … ” (CXLIX)

SALMI BIBLICI: “LAUDATE DOMINUM IN SANCTIS EJUS” (CL)

* * * *

TAVOLA ANALITICA DEI SALMI SECONDO IL LORO OGGETTO

1″ CLASSE. — Salmi profetici.

SALMI

II. Quare fremuerunt.…………………………………… Trionfo del Messia.

VIII. Domine Dominus noster. ……………………… Dignità di G.- C. riparatore dell’umanità.

XV. Conserva me ………………………… Resurrezione di Gesù-Cristo.

XXI . Deus, Deus meus ………………………. Passione di Gesù-Cristo.

XXXIX . Expectans expectavi…………………………….Passione di G.-C. considerata come sacrificio

XLIV. Eructavit…………………………… Unione di Gesù-Cristo con la sua Chiesa.

LXVIII. Salvum me fac ……………………… Passione di Gesù-Cristo.

LXXI. Deus judicium tuum …………………………… Regno del Messia.

LXXXVIII. Misericordias Domine ………. Promesse a Davide a riguardo del Messia

XCV Cantate Domino ………………… Regno del vero Dio su tutte le nazioni

XCVI Dominus regnavit ……………………… Trionfo e regno glorioso del Signore

XCVII Cantate Domino ………………… Avvento del Messia, vocazione dei Gentili

CVIII Deus laudem meam ………………… Punizione di Giuda e dei Giudei deicidi

CIX Dixit Dominus Domino meo …………… Generazione eterna, potenza del Verbo

CXVI Laudate Dominum omnes….………..………………….Vocazione dei Gentili

CXVII Confitemini Domino ……………… Unione dei Giudei e dei Gentili in G.-C.

CXXXI Mémento Domine ………………………Promesse del Messia fatte a David

2^ CLASSE. — Salmi di adorazione e di lode

XVIII. Cœli enarrant ……………..…Gloria di Dio attestata dai cieli e dalla legge

XXVIII. Afferte …………………Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XXXII. Exultate justi……………….Invito a rendere grazie a Dio per la sua potenza e per la sua provvidenza

XXXIII. Benedicam Dominum ..….… Invito a rendere grazie a Dio per la sua ammirevole Provvidenza su coloro che Lo temono

XLI. Quemadmodum ……………………………… Desiderio del santo Tabernacolo

XLII. Judica me Deus …….……………………………………….. identico soggetto

XLVI. Omnes gentes …………….. Invito a rendere omaggio a Dio per la sua potenza

XLIX. Deus Deorum …………………………………… Il vero culto di Dio

LXII. Deus, Deus meus ……………… Amore di Dio in terra d’esilio

LXXX. Exultate justi ……… Esortazione motivata al culto di Dio

LXXXIII. Quam dilecta ……………… Amore dei santi Tabernacoli

XCII. Dominus regnavit …………….…. Grandezza e Potenza di Dio nelle sue opere

XCIV. Venite exul …………………..…… Inno di lode e di adorazione

XCVIII. Dominus regnavit…………………………………………. Invito al culto del Signore

XCIX. Jubilate Deo …………………………… Esortazione al culto del vero Dio

CIII. Benedicum Dominus ……………. Inno a Dio alla vista delle meraviglie della creazione

CXII. Laudate, pueri ……………… Invito a lodare Dio per la sua grandezza e per la sua bontà

CXXXIII. Ecce nunc ……………………………. Esortazione a benedire il Signore

CXXXIV. Laudate ………… Invito a benedire Dio per la sua bontà e la sua potenza

CXLIV. Exaltabo te …………… Encomio ai divini attributi di Dio

CXLVIII. Laudate Dominum ……….. Invito a tutti gli esseri a lodare il loro autore

CXLIX. Cantate Domino ……………..…… Invito analogo fatto al popolo di Dio

CL. Laudate Dominum in. ……………………….. Lode universale.

3^ CLASSE. – Salmi di azioni di grazia

IX. Confitebor Domini.…………………………………… Cantico di azioni di grazia

XVII. Diligam ……………………………………. Id. Id. Dopo una grande sventura

XX. Domine in virtute.………………. Azioni di grazia del popolo dopo la vittoria del re

XXII. Dominus régit me………….. Azioni di grazia per ringraziare Dio per la tenera affezione ai suoi

XXIX. Exaltabo te…..……… Azioni di grazia davanti ad una sciagura imminente

XLVII. Magnus Dominus …………….. Azioni di grazia a causa dei favori segnalati che Sion ha ricevuto dal Signore

LXV. Jubilate ……………….…………… Azioni di grazia per le meraviglie operate per la liberazione del popolo di Dio

LXXV. Notus in Judœa………… Azioni di grazia per la pace resa al popolo di Dio

XCI. Bonum est . ..…………. Azioni di grazia per la potenza e la provvidenza di Dio

CII. Benedicat anima ………………. Azioni di grazia per la tenerezza paterna di Dio per gli uomini

CVI. Confitemini …………… Azioni di grazia per l’ammirabile protezione di Dio su tutti quelli che Lo invocano

CVII. Paratum ……………………..… Slancio di riconoscenza per grandi vittorie

CX. Confitebor tibi …………………….Azioni di grazia per quanto Dio ha fatto per     il suo popolo

CXIV. Dilexi ……………………………… Azioni di grazia dopo grandi tribolazioni

CXV. Credidi ……………………………………………Id. Id.

CXXIII. Nisi quia Dominus….. Az. di grazia dei prigionieri dopo la loro liberazione

CXXV. In convertendo …………………………………Id. Id.

CXXVIII. Sæpe expugnaverunt. ………………………Id. Id.

CXXXVIII. Confitebor ………………..Id. per la gloria ed i benefici del Signore

CXLIII. Benedictus Dominus………………………..… Id. di un eroe pio

CXLVI. Laudate Dominum ……………Id. per i benefici della Provvidenza

CXLVII. Lauda Jérusalem ……………………………..Id. Id.

4^ CLASSE. — Salmi penitenziali

VI. Domine ne in ……………………………………..Dolore, speranza del peccatore

XXIV. Ad te Domine, levavi. …………………….Il peccatore si riconosce colpevole e chiede grazia

XXXI. Beati quorum …………….Tormenti di una coscienza colpevole;  felici effetti del ritorno a Dio.

XXXVII. Domine ne in furore…….. Il peccatore geme e si umilia sotto la mano di Dio

L. Miserere mei …………………… Motivi di pentimento e di perdono

CI. Domine exaudi ……….. Gemiti del peccatore prigioniero nell’attesa del liberatore

CXXIX. De profundis …………………….……….. Appello alla misericordia divina

CXLII. Domine exaudi…………Il peccatore implorante il soccorso di Dio contro le conseguenze del peccato

5^ CLASSE — Salmi supplicatori (o di impetrazione, compresa la fiducia in Dio.)

III. Domine quid multi………... Fiducia in Dio, richiesta di soccorso che si implora.

V. Verba mea …………………………………… Preghiera del giusto al suo risveglio

VII. Domine Deus meus ……………….. L’innocente si appella alla giustizia sovrana

X (ebr.) Ut quid Domine …………………………... Esposizione dei mali dai quali si chiede a Dio di essere liberato

XI. Salvum me fac ……………. Preghiera contro la perfidia degli uomini del secolo

XII. Usquequo Domine ……………… Id. Quando Dio sembra abbandonarci

XVI. Exaudi Domine just. ……… Id. nelle persecuzioni, contro dei nemici potenti

XIX** Exaudiat te Dominas ……………..……. Invocazioni del popolo per il suo re

*XXV. Judica me Domine …………………… Grido dell’innocente verso il Signore

*XXVI Dominus illuminatio …………….……. Pio desiderio di un’anima che mette tutta la sua fiducia in Dio

XXVII Ad te Domine clam………………………. Preghiera per non essere coinvolti nella punizione dei reprobi

XXX. In te Domine speravi ………………………………… Fiducia motivata in Dio

XXXIV. Judica Domine ….………… Preghiera del giusto contro la violenza e la perfidia.

XXXVIII. Dixi: custodiam …………………L’uomo afflitto dalle cose di questa vita domanda a Dio perdono per i suoi peccati

XLIII. Deus auribus ………………….Preghiera a Dio fondata sul ricordo delle sue antiche misericordie

LIII. Deus in nomine ……………….……. Preghiera nell’afflizione con la promessa di azioni di grazia

LIV. Exaudi Deus orat ……………Preghiera motivata da un pericolo incombente

LV. Miserere mei ………………………………. Id. Id.

LVI. Miserere… quotiam ………………………. Id. Id.

LVIII. Eripe me …………………………………. Id. Id.

LIX. Deus repulisti nos…………………………. Id. pieno di fiducia

LX. Exaudi Deus depr…….…………. Preghiera per domandare a Dio dei nuovi favori

LXIV. Te decet …….…… Preghiera a Dio di affrettare la liberazione del suo popolo

LXVI. Deus misereatur…………….. Preghiera a Dio di spandere la luce di salvezza

LXIX. Deus in audjutorium …………………………. Il giusto invoca Dio a suo aiuto

LXX. In te Domine, speravi ………………………….. Preghiera a Dio di non essere abbandonato in vecchiaia

LXXIII. Ut quid Deus ………………..…… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXVIII. Deus venerunt ………………… Preghiera del popolo durante una grande persecuzione

LXXIX. Qui regis Israel ……………………. Canto nel pianto delle tribù in cattività

LXXXII. Deus quis similis………………………. Contro la lega dei nemici d’Israele

LXXXIV. Benedixisti, Domine ……………Per chiedere una liberazione completa e la venuta del Messia promesso

LXXXV. Inclina Domine ……………………….. Preghiera del debole   nell’afflizione

LXXXVII. Domine Deus salutis ……………….………. Preghiera e pianto toccante

CXIX. Ad Dominum ………………………………………..… Preghiera dell’esiliato

CXX. Levavi oculos …………………………………..…… Preghiera piena di fiducia

CXXI. Lætatus sum ………………… Invocazioni per la prosperità di Gerusalemme

CXXII. Ad te levavi …………………………………………….Momento di preghiera

CXXXVI. Super flumina ………………….Per chiedere a Dio la fine della cattività

CXXXIX. Eripe me, Domine ………………………... Preghiera del debole oppresso

CXL. Domine clamavi ………………….Per domandare a Dio il riserbo nelle parole

CXLI. Voce mea …………………………Preghiera del giusto solo e senza soccorso

6^ CLASSE — Salmi morali

I. Beatus vir ………………………………….. felicità dei giusti, infelicità dei malvagi

IV. Cum invocarem …………………………………… Esortazione al servizio di Dio

X. In Domino confido ………………………………….……….. Sicurezza del giusto

XIII. Dixit insipiens …………………………… Perversità degli empi, loro punizione

XIV. Domine quis ……………………………………….. Carattere degli eletti di Dio

XXIII. Domini est terra……………………………………………. Id. Id.

XXXV. Dixit intustus ……………………..……… Malizia e corruzione dei malvagi opposta alla bontà di Dio

XXXVI. Noli æmulari ……. Quanto poco la prosperità dei malvagi è degna d’invidia

XL. Beatus qui intelligit. ………………… Felicità di quelli che compatiscono i mali degli afflitti

XLV. Deus noster refugium. …………………… Sicurezza inalterabile inspirata alla protezione di Dio

XLVIII. Audite hæc ………………… Impotenza delle ricchezze nell’ora della morte

LII. Dixit insipiens ……………………………………… Stesso soggetto del sal. XIII

LVII. Si vere utique ……………………………………. Giustizia vendicativa di Dio

LXI. Nonne Deo ……….…………. Fiducia in Dio solo in tutti i pericoli, motivi….

LXIII. Exaudi Deus ……………….. Delitto e punizione della calunnia e dell’intrigo

LXXII. Quam bonus ……………………………Ragioni della prosperità dei  Malvagi e delle avversità dei giusti

LXXIV. Confitebimur …………………I malvagi minacciati dalla vendetta divina

LXXVI. Voce mea …………………………..Consolazioni ricevute al servizio di Dio

LXXXI. Deum stetit in …………………… Dovere dei grandi e dei giudici riguardo alla condizione dei poveri

LXXXIX. Domine refugium …………………………..Miseria e brevità della vita umana

XC. Qui habitat in …………………………………… Esortazione alla fiducia in Dio

XCIII. Deus ultionem ………………….…….Vendetta divina annonciata ai malvagi

C. Misericordiam …………………… Il giusto nella vita privata e nella vita pubblica

CXI. Beatus vir qui ……………………………………………….. Felicità del giusto

CXVIII. Beati immacolati …………………… Felici effetti dell’amore della legge di Dio

CXXIV. Qui confidunt …………… Protezione di Dio su quelli che confidano in Lui

CXXVI. Nisi Dominus ædificat ………... Necessità e felici effetti del soccorso dal  cielo

CXXVII. Beati omnes ……………………..….. Benedizioni legate al servizio di Dio

CXXX. Domine non est exal. ………………………………..Umiltà e fiducia in Dio

CXXXII. Ecce quam bonum …………………………Dolcezza dell’unione fraterna

CXXXVIII. Domine probasti me ………..….Scienza infusa da Dio. Effetti di questa sapienza in rapporto agli uomini

CXLV. Lauda anima mea ………………………….Fiducia in Dio e non nell’uomo

7^ CLASSE. — Salmi storici.

LXVII. Exurgat Deus ….……… Canto di trionfo in occasione del trasporto dell’Arca

LXXVII. Attendite ………………………….. Bontà e giustizia di Dio sul suo popolo

LXXXVI. Fundamenta …………………………………….. Elogio di Gerusalemme

CIV. Confitemini… etc……………………. Benefici di cui Dio ha ricolmato il suo popolo

CV. Confitemini.. quotiamo ……….…………………….Id. Id.

CXIII. In exîtu Israël ………………………………………………Uscita dall’Egitto

CXXXV. Confitemini.. quoniam …………… Condotta ammirabile della Provvidenza verso gli Israeliti.

DOMENICA III DI AVVENTO (2021)

III DOMENICA DI AVVENTO (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Stazione a S. Pietro

Semid. Dom. privil. di II cl. – Paramenti rosacei o violacei.

Il Signore è già vicino, venite, adoriamolo (Invitatorio). 1° Avvento. È Maria che ci dà Gesù: « Tu sei felice, o Maria, perché tutto quello che è stato detto dal Signore, si compirà in te » (Ant. Magn.). « Da Bethlem verrà il Re dominatore, che porterà la pace a tutte le Nazioni » (2° resp.) « e che libererà il suo popolo dal dominio dei suoi nemici » (4° resp.). Le nostre anime parteciperanno in un modo speciale a questa liberazione nelle feste di Natale, che sono l’anniversario della venuta in questo mondo del vincitore di satana. « Fa, chiede la Chiesa, che la nascita secondo la carne del tuo unico Figlio ci liberi dall’antica schiavitù che ci tiene sotto il giogo del peccato ». (Messa del giorno, 25 dic.). S. Giovanni Battista prepara i Giudei alla venuta del Messia: egli ci prepara anche all’unione, ogni anno più intima, che Gesù contrae con le nostre anime a Natale. « Appianate la via del Signore » dice il Precursore. Appianiamo dunque le vie del nostro cuore, e Gesù Salvatore vi entrerà per darci le sue grazie liberatrici. – 2° Avvento. S. Gregorio fa allusione alla venuta di Gesù alla fine del mondo allorché, spiegando il Vangelo, dice: «Giovanni, il Precursore del Redentore, precede Gesù nello spirito e nella virtù d’Elia, che sarà il precursore del Giudice » (9a Lezione). Dell’avvento di Gesù come Giudice parlano l’Epistola e l’Introito. Se proviamo gran gioia nell’avvicinarsi alle feste del Natale, che ci ricordano la venuta dell’umile bambino della mangiatoia, quanto più il pensiero della sua venuta in tutto lo splendore della sua potenza e della sua maestà, non deve empirci di santa esultanza, perché  allora soltanto la nostra redenzione sarà compiuta. S. Paolo scrive ai Cristiani: « Godete, rallegratevi nel Signore, ve lo ripeto ancora, perché il Signore è vicino ». E come nella Domenica Lætare (Questa pia pratica in uso per la benedizione della rosa a Roma, nella Domenica Lætare, si è estesa a tutti i sacerdoti che ne hanno desiderio per la celebrazione della Messa ed è passata alla Domenica Gaudete, perché queste due domeniche cantano la nostra liberazione dalla schiavitù del peccato per opera di Cristo), i sacerdoti che lo desiderano celebrano oggi con paramenti rosa, colore che simboleggia la gioia della Gerusalemme celeste, dove Gesù ci introdurrà alla fine dei tempi. « Gerusalemme, sii piena di gioia, perché il tuo Salvatore sta per venire » (2a Ant. vesp.). Desideriamo dunque questo Avvento, che l’Apostolo dice vicino, e, invece di temerlo, auguriamoci con santa impazienza che si realizzi presto. « Muovi, o Signore, la tua potenza, e vieni a soccorrerci » – « Ecco — dice l’Apocalisse — il Signore apparirà e con Lui milioni di Santi e sulla sua veste porterà scritto: Re dei Re e Signore dei Signori » (1° resp.). « Il Signore degli eserciti verrà con grande potenza » (4° resp.). « Il Suo Regno sarà eterno e tutte le Nazioni Lo serviranno » (6° resp.). (All). « Vieni, o Signore, non tardare » (Ant. delle Lodi). « Per adventum tuum libera nos, Domine »].

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Phil IV:4-6
Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni]

Ps LXXXIV: 2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Jacob.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: hai liberato Giacobbe dalla schiavitù].

Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus enim prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne petitiónes vestræ innotéscant apud Deum.

[Godete sempre nel Signore: ve lo ripeto: godete. La vostra modestia sia manifesta a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi per alcuna cosa, ma in ogni circostanza fate conoscere a Dio i vostri bisogni.]

Oratio

Orémus.
Aurem tuam, quǽsumus, Dómine, précibus nostris accómmoda: et mentis nostræ ténebras, grátia tuæ visitatiónis illústra:

[O Signore, Te ne preghiamo, porgi benigno ascolto alle nostre preghiere e illumina le tenebre della nostra mente con la grazia della tua venuta.]

Lectio

Lectio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Philippénses

Philipp IV: 4-7
Fratres: Gaudéte in Dómino semper: íterum dico, gaudéte. Modéstia vestra nota sit ómnibus homínibus: Dóminus prope est. Nihil sollíciti sitis: sed in omni oratióne et obsecratióne, cum gratiárum actióne, petitiónes vestræ innotéscant apud Deum. Et pax Dei, quæ exsúperat omnem sensum, custódiat corda vestra et intellegéntias vestras, in Christo Jesu, Dómino nostro.
R. Deo gratias.

[“Rallegratevi sempre nel Signore: da capo ve lo dico, rallegratevi. La vostra benignità sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non siate ansiosi di nulla: ma in ogni cosa le vostre domande siano manifestate a Dio nell’orazione, nella preghiera e nel rendimento di grazie. E la pace di Dio, che supera ogni mente, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Gesù Cristo „ (Ai Pilipp. IV, 4-7]

(L. Goffiné, Manuale per la santificazione delle Domeniche e delle Feste; trad. A. Ettori P. S. P.  e rev. confr. M. Ricci, P. S. P., Firenze, 1869).

Che significa rallegrarsi nel Signore?

Significa ringraziare Dio del benefizio che ci ha dato di una felice eternità, e della continua protezione che ci presta: e rallegrarsi dei mali e delle persecuzioni che si possono avere a sopportare per il Signore, come se ne rallegrarono gli Apostoli, e specialmente s. Paolo. – Docili all’esortazione di s. Paolo, la nostra vita sia esemplare, e mai la nostra sollecitudine per i beni temporali sia eccessiva; confidiamoci nella Provvidenza: gratissimi a Dio per i suoi benefizi esponiamo a Lui le nostre necessità. E può questo Dio di bontà, che ha cura dei più piccoli animali abbandonare i suoi figli, se ricorrono a Lui come al migliore dei padri?

SERVITE DOMINO IN LÆTITIA!

Ecco un testo latino, biblico, molto popolare, forse troppo, nel senso che forse c’è chi, malignamente o ingenuamente (non importa), lo fraintende. Però, a parte gli equivoci e i malintesi, il testo in sé è bello ed è di indubbia marca religiosa, giudeo-cristiana. Un’onda di letizia corre dal Vecchio al Nuovo Testamento, dalla Legge al Vangelo di Gesù Cristo. Nostro Signore non è il maestro arcigno e burbero, non è l’asceta truce o il filosofo altero. No. Di fronte ai discepoli del Battista, che digiunano troppo, i suoi discepoli digiunano meno, poco. Di fronte ai Farisei accigliati per ostentazione di virtù o per piccineria di spirito, il volto del Maestro, Gesù, e dei suoi discepoli è non solo sereno, addirittura ilare. E San Paolo riprende questa tradizione evangelica, come egli suole, quando grida nell’Epistola che oggi leggiamo, ai Filippesi: allegri, allegri in Dio. « Gaudete, iterum dico gaudete. » Il quale cristiano gaudio non è — sarebbe quasi superfluo il dirlo se io non volessi circoscrivere bene questa gioia cristiana di fronte ad altri stati spirituali affini ma non da confondersi con essa — l’incomposta rumorosa sfrenata ilarità del mondo: una ilarità fatta di incoscienza e di voluttà più o meno accentuata. La gioia cristiana sta molto più in qua, sta molto più in su della follia pagana. Quella è divina, questa è brutale. Quella si esprime nel sorriso, nel riso magari; questa nella sghignazzata. Paolo la descrive benissimo con due tratti contrastanti: la letizia nostra è: divina; in Domino e composta, « modestia vestra nota sit omnibus hominibus. » Ma come la gioia cristiana si oppone alle accigliatezze o tristezze farisaiche e alla gioia pagana, così non va confusa colla serenità pura e semplice, colla imperturbabilità — per usare la frase precisa — del filosofo stoico, greco. Non turbarsi mai. Nell’alto cielo non arrivano i turbamenti atmosferici della terra. Ma questa imperturbabilità oltreché tutta umana, oscilla, nello stoicismo, tra l’egoismo e l’orgoglio; egoista la imperturbabilità se nutrita dal desiderio di non soffrire; orgogliosa se ispirata da desiderio di parere; è qualcosa di negativo, di freddo; anche il marmo non si turba mai, nella sua glaciale, marmorea freddezza e durezza. Il Cristianesimo ha portato al mondo l’attività di fronte alla passività, la possibilità di fronte alla negabilità. Quello che è la carità attiva e calda del Cristianesimo di fronte alla inerte compassione buddistica, questo è la gioia cristiana di fronte alla stoica imperturbabilità. Il Cristianesimo ci vuole, sì, sereni, della serenità di un bel viso terso, ma ci vuole anche lieti, giocondi, allegri, positivamente contenti. Non gli basta che noi non si maledica; vuole che benediciamo, e molto, la vita. Non solo non dobbiamo essere corrucciati coi nostri fratelli, ma dobbiamo verso di loro nutrire la nostra benevolenza. Il nostro non deve essere un viso olimpico, serenamente olimpico per disprezzo di tutti e di tutto, disprezzo altezzoso e quasi corrucciato, o disprezzo umoristico, disprezzo sempre…: Noi non dobbiamo disprezzare nulla e nessuno. Dobbiamo amar tutti e tutto, meno il male. – Una luce divina deve nutrire questa nostra gioia: la luce della bontà di Dio. Il mondo, per noi che lo vediamo in quella luce divina del Dio Creatore, Creatore buono, il mondo è bello. – Per noi che vediamo la storia nella luce di Dio, il Dio Redentore, caritatevole, l’avvenire è santo. Non siamo dei fatui che non vedono le ombre nel quadro, nel mondo e nella vita: ma su quella ombra grandeggia la luce di Dio. La luce trionfa. Lietamente noi abbracciamo la vita — non dice l’accettiamo, che è di nuovo una espressione di passività: l’abbracciamo, che vuol dire attività — colle sue lotte e coi suoi sacrifici e dolori. Alla lotta andiamo giocondi, sicuri della vittoria; i sacrifici li accettiamo lieti, sicuri della ricompensa. « Servite Domino in Lætitia: » ripetiamolo pure il vecchio ritornello, con nuova e più lucida coscienza, e, soprattutto, applichiamolo.

(P. G. Semeria: Le epistole delle Domeniche, Op. naz. Per il mezzogiorno d’Italia, Milano, 1939. – Nihil obstat sac. P. De Ambroggi – Imprim. P. Castiglioni vic. Gen. Curia Arch, Mediolani, 1-3-1938)

Graduale

Ps LXXIX: 2; 3; 79:2

Qui sedes, Dómine, super Chérubim, éxcita poténtiam tuam, et veni.

[O Signore, Tu che hai per trono i Cherubini, súscita la tua potenza e vieni.]

Qui regis Israël, inténde: qui dedúcis, velut ovem, Joseph.

[Ascolta, Tu che reggi Israele: che guidi Giuseppe come un gregge. Allelúia, allelúia.]

Alleluja

Allelúja, allelúja,

Excita, Dómine, potentiam tuam, et veni, ut salvos fácias nos. Allelúja.

[Suscita, o Signore, la tua potenza e vieni, affinché ci salvi. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem

Joann l: XIX-28

“In illo tempore: Misérunt Judæi ab Jerosólymis sacerdótes et levítas ad Joánnem, ut interrogárent eum: Tu quis es? Et conféssus est, et non negávit: et conféssus est: Quia non sum ego Christus. Et interrogavérunt eum: Quid ergo? Elías es tu? Et dixit: Non sum. Prophéta es tu? Et respondit: Non. Dixérunt ergo ei: Quis es, ut respónsum demus his, qui misérunt nos? Quid dicis de te ipso? Ait: Ego vox clamántis in desérto: Dirígite viam Dómini, sicut dixit Isaías Prophéta. Et qui missi fúerant, erant ex pharisæis. Et interrogavérunt eum, et dixérunt ei: Quid ergo baptízas, si tu non es Christus, neque Elías, neque Prophéta? Respóndit eis Joánnes, dicens: Ego baptízo in aqua: médius autem vestrum stetit, quem vos nescítis. Ipse est, qui post me ventúrus est, qui ante me factus est: cujus ego non sum dignus ut solvam ejus corrígiam calceaménti. Hæc in Bethánia facta sunt trans Jordánem, ubi erat Joánnes baptízans.”

“In quel tempo i Giudei mandarono da Gerusalemme a Giovanni i sacerdoti ed i leviti, per domandargli: Chi sei tu? Ed ei confessò, e non negò, e confessò: Non son io il Cristo. Ed essi gli domandarono: E che adunque? Se’ tu Elia. Ed ei rispose: Noi sono. Se’ tu il profeta? Ed ei rispose: No. Gli dissero pertanto: Chi se’ tu, affinché possiamo render risposta a chi ci ha mandato? Che dici di te stesso? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. E questi messi erano della setta de’ Farisei. E lo interrogarono, dicendogli: Come adunque battezzi tu, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro, e disse: Io battezzo nell’acqua; ma v’ha in mezzo a voi uno, che voi non conoscete: questi è quegli che verrà dopo di me, il quale è prima di me; a cui io non son degno di sciogliere i legaccioli delle scarpe. Queste cose successero a Betania di là dal Giordano, dove Giovanni stava battezzando”.

(Jo. I, 19-28).

Omelia

(G. Colombo: Pensieri sui Vangeli e sulle feste del Signore e dei Santi; VI ediz. – Soc. Ed. Vita e pensiero.- Milano 1956)

UMILE CONOSCENZA DI NOI STESSI

S. Antonio fu un giorno rapito in estasi: quando ritornò in sé, i suoi buoni religiosi gli si fecero intorno per domandargli quello che aveva visto. « Figli miei! — rispose il santo, — io ho visto il mondo tutto avvolto in fili invisibili entro i quali i miseri uomini incespicavano precipitando in abissi spaventosi ». Allora, i religiosi dissero: « Ma se tutto il mondo è fasciato da queste misteriose reti, chi mai ne potrà scampare? ». Rispose il santo: « Coloro che sono umili, e nella luce dell’umiltà hanno conosciuto se stessi ». Or si capisce come S. Agostino levasse a Dio questa preghiera: « Signore, ch’io conosca me, ch’io conosca te! ». Si capisce anche come S. Bernardo potesse scrivere a Papa Eugenio parole come queste: « Non sarai sapiente, se non conoscerai te stesso. Perché tanta curiosità d’indagare il mondo esteriore e tanta trascuratezza di scrutare il nostro mondo interiore? Ritorna in te; considerati qual sei. Non essere come l’occhio che tutto vede e sé non vede. Ti dico che nessuna ignoranza è peggiore di quella d’ignorarsi. Se ignorerai la filosofia, la letteratura, la meccanica, le leggi, la medicina ti potrai ancora salvare: ma se ignori te stesso, non ti salverai ».. Sed si te ignoras, non salvaberis. Se uno vi fu al mondo che non ha meritato i rimproveri di S. Bernardo questi è S. Giovanni Battista. Mentre battezzava sulle sponde boscose del Giordano, gli arriva una delegazione di sacerdoti e leviti: « Noi veniamo a te da Gerusalemme — dissero — e siamo mandati dai capi della città e del popolo per chiederti se il Messia aspettato sei tu ». L’occasione era grande: bastava che egli accennasse col capo affermativamente, e tutti lo avrebbero proclamato. Ma il Battezzatore non ebbe un attimo d’incertezza: negò replicatamente di essere il Messia. « No! io non lo sono. No! ». «Almeno sarai Elia, quello che dovrà precederlo ». E Giovanni ancora: « No! ». « Allora sei un profeta ». E Giovanni sempre: «No ». « Che risposta dobbiam dare a chi ci ha mandato? ». « Dite — esclama Giovanni — che io sono la voce che nel deserto grida: Spianate la via al Signore » Poteva essere più umile e più sincero? che cosa è una voce se non un brivido che passa in un attimo e svanisce nell’aria? e che cosa è l’uomo davanti a Dio se non questo?… – Ma quando egli credette d’essersi abbassato sotto il livello d’ogni uomo, Gesù lo esaltò sopra tutto il mondo: « È più che un profeta! è un angelo! è il più grande dei nati da donna ». Che S. Giovanni ora ci aiuti a conoscere noi stessi, egli che così bene si era conosciuto. Dobbiamo scrutare chi siamo:

chi siamo per natura,

chi siamo per grazia.

1. CHI SIAMO PER NATURA

Per natura noi siamo un composto di anima e di corpo. Non dunque appena corpo, come molti dicono con la pratica della loro vita. Che cos’è il corpo. Il profeta Isaia udì una voce dirgli: « Grida! ». « Gridar che cosa? » rispose meravigliato. E quella voce insistè: « Grida che ogni corpo è come il fieno, che ogni carne è come fiore. Il fieno secca, il fiore cade, e che rimane? ». (Is., XL, 6-8). Entriamo, nel cimitero, avviciniamoci ai sepolcri e vedremo che cosa è il nostro corpo. Homo putrido et filius hominis vermis (Iob., XXV, 6). « Questo già lo sapevo » penseranno tra voi moltissimi. Ma se conoscete davvero che cos’è il vostro corpo, perché a lui sacrificate i diritti dell’anima? Perché lo circondate di mollezze e di vanità? Perché lo adornate, lo pitturate, lo vantate? Che cos’è l’anima. È una creatura nobile ed immortale, sorella degli Angeli, simile a Dio: è un gran tesoro che noi portiamo in vaso fragile. Oh se conoscessimo davvero l’eccellenza della nostra anima, come ce la sapremmo guardare da ogni minima sozzura!… – Dice la Storia Sacra che Nabucodonosor, da gran re che era, si trovò cambiato in bestia schifosa. Scacciato dalla sua reggia, andava carponi a cibarsi di erba come un bue: sul suo capo che aveva portato la corona imperiale i capelli divennero irsuti come penne d’aquila; sulle sue mani che tennero lo scettro, le unghie s’alzarono come gli artigli d’uccello rapace (Dan., IV). Questa pagina paurosa dei libri santi si avvera troppo spesso anche tra noi: molti non comprendono l’onore di un’anima bella e la costringono coi peccati a diventare bestia schifosa. Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai cani per la loro incredulità: ad essi Gesù nega le sue cose sante. Nolite dare sanctum canibus (Mt., VII, 6). – Ci sono di quelli che si sono fatti simili ai porci per la loro disonestà: ad essi Gesù nega le sue gemme. Neque mittatis margaritas ante porcos. Povera gente, che inconscia della propria dignità, si è abbassata ai giumenti, fino ad assimilarsi a loro!

2. CHI SIAMO PER GRAZIA

a) Per grazia siamo diventati Cristiani.

Un giorno intorno a noi fu celebrata una misteriosa e sublime cerimonia. Contavamo pochi giorni di vita e i nostri pii genitori ci fecero portare alla Chiesa. « Rinunci a satana e a tutti i suoi piaceri? — ci domandò il Sacerdote rappresentante di Cristo Redentore. — Non si può servire a Dio e al demonio: scegli ». « Rinuncio al demonio e servirò Dio in tutti i giorni di mia vita » risposero per nostro bene i padrini. E noi l’abbiamo dimenticato e in molti giorni della nostra vita, forse anche oggi, siamo ritornati a servire al demonio e a chiedergli i suoi piaceri. Ci rivestì anche di veste bianchissima e bella dicendoci: « Prendi questa veste immacolata, ricordati che con questa un giorno dovrai comparire davanti al tribunale di Dio ». E noi l’abbiamo dimenticato. Dov’è ora la nostra innocenza? dov’è quella veste spirituale? oh quanti strappi, quante macchie, quante toppe! Come faremo in simile guisa a ricomparire un giorno davanti al Signore? Infine il Sacerdote offrendoci un lume ardente: « Portalo, — ci disse, — acceso sempre, che ti farà luce nell’ora oscura della morte». Quel lume era la fede: e noi l’abbiamo lasciato languire leggendo stampe che i Cristiani dovrebbero odiare, accettando discorsi che i Cristiani dovrebbero respingere, esponendoci ai venti delle passioni. Ora il nostro lume fumiga appena, e forse è spento; chi ci illuminerà nella estrema agonia? Quando uscimmo dal Battistero, una mirabile trasformazione era avvenuta in noi. Gli Angeli non ci riconoscevano più nel nuovo splendore per quelle miserabili creature di prima. L’ombra del Maligno era sparita dall’anima nostra ove, come in un tabernacolo di luce, era disceso ad abitare lo Spirito Santo. Da poveri figli dell’uomo che eravamo fummo elevati ad essere figli di Dio: Dio guardandoci riconosceva in noi un po’ della sua natura, trovava in noi una meravigliosa somiglianza col suo Unigenito Gesù Cristo. Ci dichiarava allora suoi veri figli, fratelli di Gesù Cristo stesso, col quale ci costituiva eredi de’ suoi possessi eterni.

b) O Cristiano, riconosci la grandezza di quello che sei!

I ricchi si vantano delle loro terre e dei castelli e delle grosse eredità che aspettano: ed il Cristiano possiede non terra ma cielo, non castelli diroccati ma la città divina costrutta di gemme, non eredità passeggere ma eterne. I sapienti insuperbiscono per la loro intelligenza, eppure non riescono a comprendere che poche cose create: il Cristiano ha un lume nel quale un giorno vedrà e comprenderà i misteri di Dio. I nobili decantano l’antichità e il pregio della loro stirpe; il Cristiano è della stirpe di Dio. Genus Dei sumus (Atti, XVII, 29). I principi si gloriano se qualche volta il Re passa la soglia della loro casa; ma lo Spirito Santo abita dentro l’anima del vero Cristiano, in dolcissima e stabile dimora… Dio è in noi!… O Cristiano, conosci te stesso! O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù!… – Le antiche cronache francesi narrano che il conte Béranger, che fu poi suocero di Luigi IX, s’era impaniato in cattivi affari fino a ridursi nella miseria più nuda. Ed ecco presentarsi a lui un pellegrino ignoto; egli lo riceve in casa ed avendolo conosciuto per un esperto maggiordomo gli affida i suoi affari malandati e la sovraintendenza della sua casa. Sembrerebbe incredibile, eppure quel pellegrino seppe agire con tanta sagacia e avveduta destrezza che, in pochi anni, i debiti furono estinti, le rendite furono triplicate, le casse della contea di Provenza riempite d’oro e d’argento, le quattro figlie del conte sposate degnamente a quattro re. L’invidia allora mosse le male lingue e le calunnie maligne giunsero fino alle orecchie del conte, il quale parve dubitare dell’onestà del suo maggiordomo. Il buon pellegrino, impotente a difendersi dalle accuse, rassegnò il suo ufficio e i conti esatti nelle mani del conte Béranger, e prima che altri lo scacciassero, partì da quella casa che aveva salvato dalla miseria e dal disonore. Non fu una vergogna questa per il conte? Supponete ora che non solo l’abbia lasciato partire, ma che dopo qualche mese, sentendone bisogno, l’abbia richiamato, e che ancora dopo qualche tempo senza motivo l’abbia preso per le spalle e scacciato con queste parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito!», e che così abbia fatto per dieci o venti volte; che pensereste voi? Non direste forse che quel conte, crudele e stupido, meriterebbe una fine vergognosa?… Ecco quello che abbiamo fatto tante volte, non con un pellegrino ignoto, ma con lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo che è venuto dentro di noi per il Battesimo, che ci ha pagato i nostri debiti, che ci ha nobilitati, arricchiti, resi degni delle nozze eterne del Re dei re, che noi abbiamo scacciato ripetutamente con amare e blasfeme parole: « Via di qua, ospite inutile e sgradito, lascia il tuo posto a satana! ». Pensate che ingiuria! Pensate alle terribili conseguenze! O Cristiano, conosci te stesso. O Cristiano, non degradarti nel fango di quaggiù! – S. Agostino (Epist. XXII) dice che, dopo morte, l’anima nostra nuda e tremante batterà alla porta del Paradiso. « Chi sei? » rintronerà dal di dentro la voce di Cristo. « Fui un uomo » risponderà essa. E allora la medesima voce sussurrerà: « Come hai trattato il tuo corpo di fango? come hai trattato la tua anima immortale? ». Che risponderemo?… «Sono Cristiano » aggiungerà l’anima; e Cristo di rimando: « Fammi vedere le tue mani se sono piagate come le mie, fammi vedere la tua fronte se è coronata della mia corona. E la veste battesimale dov’è? E il lume acceso di fede dov’è? Mostrami la tua faccia affinché ti possa riconoscere per mio fratello.. per figlio di mio Padre… per tempio dello Spirito d’Amore… ». Che risponderemo allora? – Giovanni Battista era un uomo veramente straordinario, correvano di bocca in bocca il suo nome, le sue virtù, le sue gesta. Si parlava di lui «come d’un profeta, come del Messia. Ed il Sinedrio decise di inviare a lui un’ambasciata per chiedere spiegazione di quanto succedeva. «Tu chi sei, dunque? ». E Giovanni non tacque ma confessò chi era, poiché egli non era un illuso sul proprio conto, o un distratto dalla propria realtà. Quanto sarebbe opportuno che capitasse di frequente a molti Cristiani, a noi, ingolfati in cento preoccupazioni pur necessarie, ma sempre terrene e devianti, una bella terribile ambasciata che ci obblighi ad una visione o revisione profonda, reale del nostro « io » e delle nostre partite. Ma se ascoltiamo, è un complesso di voci che davvero premono attorno a noi, suscitate da Dio e nascoste nelle pieghe della nostra coscienza, ovvero nel rude richiamo di certi contrattempi o nelle voci di chi ci critica e ci assale, o nelle circostanze diverse della vita. Una vera ambasciata che interroga spesso, rompendo gl’incantesimi: «Chi sei tu? Perché fai questo? Ne sei degno? Sai quello che compi? ». Se fossimo noi stessi, poi, che ci rivolgiamo tali domande e sapessimo rispondere con sincera franchezza, quale profitto nella nostra vita morale! L’esame di coscienza è argomento tanto utile: vediamo la necessità e le diverse specie. – a) Per conoscersi. Colpisce il modo con cui Giovanni risponde ai suoi interlocutori. La sua coscienza è un libro aperto, ordinato, edificante. La sua risposta è sincera, chiara e di inconfondibile umiltà e verità. Non sono il Cristo; gli preparo, tuttavia, la strada. Battezzo, ma in acqua: è il preludio del grande Sacramento. Non sono né Elia, né un profeta, ma una voce soltanto. Vedete, piuttosto, il Messia che è già tra voi e nessuno s’accorge. Esame e risposta pronta. Un segno, invece, di grossa trascuratezza morale in molti Cristiani è la riottosità e talora la ripugnanza a mettersi di fronte al proprio « io ». Passare anche un solo minuto a faccia con se stessi par di morire. Ed è vero. Morirebbe quella personalità fittizia, bizzarra, insignificante che ci siamo fatta di giorno in giorno dall’uso di ragione in poi. – Son proprio gli antichi pagani che ce ne dànno la lezione. Essi ritenevano l’esame di coscienza un mezzo importantissimo per acquistar la sapienza. Chi non ricorda il loro motto « conosci te stesso »? Lo scolpivano anche sul tempio. Seneca scrive di sé: « Io mi sforzo di ripensare alla mia responsabilità quotidiana, ogni sera quando il lume è spento e i servi dormono. Misuro le mie parole e le mie opere; non mi dissimulo nulla e mi castigo dove ho mancato per non ricadervi ». Sapienza antica, ma vera e quanto perfezionata dal Cristianesimo! S. Paolo raccomandava ai Galati: « ciascuno esamini le proprie azioni ». S. Agostino, incamminandosi nella vita della luce ritrovata, mormorava in preghiera: « Noverim te Domine, noverim me! » Preghiera che dovremmo ripetere anche noi se aspiriamo ad un po’ di perfezione. – b) Per correggersi. – Non abbiam mai visto certe carte geografiche antiche, in certi punti segnate così: « Terra sconosciuta », «Zona ignorata »? Quanti di noi potrebbero dire così della loro coscienza! Quante pieghe del nostro cuore ancora inesplorate! Si arrischia davvero di morire senza esserci conosciuti almeno a sufficienza. Non sono pochi gli illusi che credono di essere galantuomini mentre hanno la coscienza letteralmente coperta di idee false e di pregiudizi sulla Religione, sul proprio carattere, sui doveri dello stato, della necessità delle opere buone, sull’obbligo dell’istruzione religiosa. E quando non si conosce una zona, come si può valorizzarla, bonificarla? Come ottenere rendimento? Se il medico non esamina bene l’ammalato, non gli sarà facile curarlo. È pretesa stolta di correggersi, di profittare nella virtù, se non ci si esamina. L’ottavo Sacramento (l’ignoranza) che spesso, si dice, salva molti Cristiani, è da vedere « se » e « quando » vale nel caso individuo, dopo tutti i richiami del Signore, che sono una vera ambascia che ci assedia. S. Ignazio di Lojola dice che la malattia, la quale ci dispensa dalla preghiera ordinaria, non ci esonera dall’esame di coscienza. S. Giovanni d’Avila, vero maestro di spirito, dichiarò apertamente: « Se voi fate con costanza l’esame di coscienza, i vostri difetti non possono durare a lungo ». Sicché potremmo affermare che più siamo consapevoli delle nostre condizioni di coscienza e più sarà elevata la nostra perfezione. DIVERSI ESAMI DI COSCIENZA. Solitamente se ne distinguono tre sorta: l’esame per la Confessione, l’esame quotidiano e quello particolare. – a) Non si pretenderà sempre dalla comune dei fedeli l’esame particolare. Ma non si dica che sia una piccineria da convento. È un breve piccolo esame che si compie ogni tanto  nella giornata su un fatto o su una virtù. Ad es. « la mattina appena lavato e fatto il segno della croce: a mezzo giorno, cambiando gli abiti dopo il lavoro: «quante volte sono scivolato nella critica? Mi guarderò meglio, riprendendo il lavoro ». Piccole cose ma non è di piccoli punti il prezioso ricamo? Non è a piccoli moti d’ala che l’uccello si eleva verso il cielo? Non è a piccole esplosioni che la motocicletta divora la via? – b) Se durante il giorno il lavoro ci assorbe, è pur bello e doveroso per un Cristiano piegare il ginocchio, a sera, e prendere in mano come un libro la propria coscienza e rileggere sia pure a volo d’uccello quanto si è compiuto. Fissati i punti neri, sulle prime si constata che le colpe difficilmente diminuiscono; ma a poco a poco la volontà reagirà con frutto. Bisogna rintracciare anche i punti d’oro (non solo evitare il male, ma è necessario far il bene) e chiedersi se non si è sciupato tempo prezioso. Meglio accorciare le preghiere se si è stanchi, ma non tralasciare l’esame di coscienza! Il vantaggio dell’esame quotidiano la sera renderà molto facile l’esame di confessione. – c) Almeno qui, fossimo premurosi e seri! Proprio quelli che non si esaminano mai, non riescono a trovar mai nulla di grave. I Santi, invece, abituati a gettar fasci di luce nella loro coscienza scoprivano sempre difetti e rendevano di conseguenza sempre più rifulgente il loro spirito. Ecco perché S. Carlo conduceva persino in visita pastorale il suo direttore spirituale: per non lasciarsi sfuggire nulla e risplendere sempre agli occhi del suo Dio. – La sincerità ci deve sempre guidare. Con Dio e con noi stessi. Non c’è che tender l’orecchio per sentirci richiamati dalla legge di Dio, dai nostri doveri, dai giudizi dei nostri amici e familiari. Quando è utile, sì, far tesoro anche di questi. Tu quis es? Come ci sentiremo impacciati a rispondere anche a loro. Ci parrà di rimpiccolire. Anche di fronte a una vostra virtù essi possono sempre aggiungere un « però » un « ma » che ci confonde. – Dunque la scena dell’ambasciata a S. Giovanni ci ricordi l’importante dovere dell’esame di coscienza. – Prepariamoci al S. Natale con umiltà. Quando sulle rive del Giordano venne San Giovanni a predicare e a battezzare, le speranze del Popolo si rivolsero segretamente a lui come all’atteso dei popoli. Ma di questo favore popolare ognora crescente si insospettì il sinedrio di Gerusalemme che gli mandò una delegazione di preti e di leviti. Gli chiesero: « Tu chi sei? ». Giovanni più che alla loro domanda espressa, rispose al loro segreto sospettoso decisamente, « No: io non sono il Messia ». I delegati, sicuri ormai sul punto capitale, proseguirono la loro inchiesta. « Non sei forse Elia? ». «No: io non sono Elia ». « No: io non sono il Profeta ». « Non sono che una voce che vien dal deserto a dire: fate la strada al Signore che viene ». Rimasero delusi. E qualcuno obbiettò: «Se non sei il Messia, non sei Elia, non sei il Profeta, perché battezzi? ». Allora disse chi era, un semplice precursore, e il battesimo una cerimonia di preparazione. Ma in mezzo a loro, benché ancora sconosciuto, già stava Uno a cui si sentiva indegno perfino di slegare le stringhe dei calzari. – Davanti alla rude umiltà di San Giovanni Battista viene spontanea questa osservazione, Il primo peccato nell’universo fu di superbia. A redimere il mondo rovinato dalla superbia ci volle l’umiltà di Colui che, essendo Dio per natura, s’abbassò fino alla nostra misera condizione di uomini. Volendo poi mandare avanti chi gli preparasse la strada, era conveniente che scegliesse un uomo come Giovanni, che sapeva stare al suo posto. Questi infatti non s’arrogò il posto di Dio: « No, io non sono il Cristo ». Questi infatti non s’arrogò il posto del prossimo: « No, io non sono Elia; no, io non sono il profeta ». Umiltà con Dio, umiltà col prossimo prepareranno nel nostro cuore la strada al Signore che viene nel santo Natale.

1. Umiltà con Dio.

Nella Storia Sacra si racconta che a Nabucodonosor venne in mente di farsi una statua d’oro e di innalzarla in mezzo a un vasto piano. Nel giorno dell’inaugurazione fece dare questo bando: « Magistrati e Popolo, siete avvisati: appena udrete la poderosa orchestra suonare con trombe, flauti, arpe, cetre, zampogne, sull’istante vi butterete per terra adorando la statua del Re. Se qualcuno non lo farà, una fornace di fuoco inestinguibile già arde per lui ». Evidentemente una folle superbia spingeva Nabucodonosor a credersi Dio, e a scimmiottare il castigo divino dell’inferno. Non passò molto tempo che la vendetta del Signore lo raggiunse. Fu preso da un male strano e bestiale per cui urlava e morsicava come una belva, mangiava fieno come un bue, e gli crescevano sulle dita le unghie come artigli. Chi volle farsi Dio, si trovava ad essere bestia. (Dan., III, 1-7; IV, 26-30). L’orgoglio è quella profonda depravazione che induce l’uomo a mettersi al posto di Dio. – a) Sono io il Messia! gridano tante anime, non a parole ma con la pratica della vita: a esempio, con lo spirito d’indipendenza dalle leggi di Dio. Perché il Signore deve proibirmi questo piacere? Che c’entra lui con l’uso che del matrimonio io credo di fare nel segreto della mia famiglia? Così della propria volontà si fanno una statua d’oro da adorare. –  b) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito d’egoismo che le inclina ad operare per sé, come se fossero fine a se stesse. Perché devo perdere un guadagno se mi viene da un lavoro di festa? Che mi viene in tasca a frequentare la Chiesa, le prediche? Così, del proprio interesse si fanno una statua d’oro da adorare. – c) Sono io il Messia! gridano tante anime con il loro spirito di vana compiacenza che si diletta nelle proprie qualità come se Dio non ne fosse l’autore; che si vanta per qualche opera buona come se essa non fosse, prima di tutto, principalmente il risultato dell’azione divina in loro. Così della propria stima si fanno una statua d’oro da adorare. – E in conclusione, tante anime, arrogandosi il posto di Dio, misconoscendo la loro realtà di creature che devono ubbidire, servire, adorare il Signore, sono diventate più felici, più elevate? Né più felici, né più elevate. Dio le vede cadute nell’abbiezione di Nabucodonosor. Si sono preclusa la comprensione e la grazia dell’umile nascita di Gesù nella stalla di Betlemme.

2. Umiltà col prossimo.

San Giovanni Battista ricusò di innalzarsi nella stima dei suoi contemporanei, proclamandosi Elia o il Profeta. Quanti invece tenendosi per grandi uomini, disprezzano il prossimo col cuore, con la parola, con gli atti. – a) Col cuore perché hanno invidia dei buoni successi altrui; si rattristano come di un torto fatto a loro; e giungono perfino a desiderarne il male. Essi sono il grande Elia, il Profeta atteso, e guai a chi fa ombra su di loro. – b) Con la parola perché vedendo il prossimo sbagliare, lo diffamano ripetendo a tutti con maligna mormorazione quel che hanno veduto o saputo. E non vedono i loro sbagli e i loro peccati; si credono zelanti come Elia, santi come il Profeta. – c) Con gli atti perché non riconoscono nessuna superiorità più in su della loro, e vogliono a tutti soprastare. Se si ricordassero che coi loro peccati hanno meritato l’inferno, e dovrebbero stare sotto i piedi del demonio, con quanta più delicata carità tratterebbero il prossimo. Ma essi si credono come Elia destinati al Paradiso prima ancora di morire. – Il santo Natale s’avvicina. Moviamo incontro a Gesù Bambino col sentimento della nostra nullità e miseria. Egli è colui che redimendoci dalla maledizione e dalla schiavitù ci ha riaperto le porte del paradiso, di cui avevamo smarrito la chiave. A S. Gerardo Maiella, quand’era fanciullo, capitò un caso tanto bello che quasi non parrebbe vero, ma è degno di fede perché fu esaminato e riconosciuto dalla Chiesa quando si trattò la causa della sua beatificazione. Gerardo faceva da servitorello al Vescovo di Lacedonia. Un giorno fu visto con la faccia pallida e piena di spavento vicino al grande pozzo sulla piazza del mercato. Con negli occhi una muta angoscia guardava in quell’oscura profondità. Neppur lui sapeva dire come fu: ad un certo momento udì un tonfo, ed erano le chiavi di casa sgusciategli dalle dita. E adesso che fare? che cosa gli avrebbe detto il suo padrone, malaticcio e nervoso? Forse l’avrebbe messo alla porta. Dove sarebbe andato, solo, senza lavoro, senza tetto? Di colpo gli balenò un’idea. Attraversa correndo la piazza, entra nella cattedrale, e prende, dalla cuna in cui giaceva, la statuetta del Bambino Gesù. « Bambino Gesù — supplica Gerardo quasi stringesse non una figura di gesso, ma proprio Lui di carne, vivo e respirante. — Tu soltanto puoi aiutarmi. Tu e nessun altro: fammi dunque ripescare la chiave! ». Poi legò il Bambino Gesù alla corda del pozzo e lo fece calare dolcemente. Come lo sentì nell’acqua gli gridò dentro con tutta la forza della sua speranza: « Bambino Gesù! portami su la chiave ». E cominciò a ritirare la corda. – Un grido di gioia: già sull’orlo era apparso il Bambino Gesù e nella manina teneva la chiave. Gerardo la prese da lui, e poi sospinto come da un vento di allegrezza e di riconoscenza corse a riportarlo nella sua cuna. Cristiani, questo fatto è la conclusione più bella al Vangelo che abbiamo spiegato in questa terza settimana d’Avvento. – Gli uomini per la loro superbia avevano perduto la chiave della loro casa, cioè del Paradiso. Il demonio con l’astuzia e con la menzogna l’aveva fatta sgusciare dalle loro mani, e con riso beffardo l’aveva gettata in un abisso, donde era impossibile riprenderla. – Venne Gesù Bambino, ci ripescò la chiave, e ci riaprì il cielo: non da noi, ma solo da Lui venne la nostra salvezza. Umiliamoci! Il triste tempo della chiave perduta è finito: la chiave del Paradiso c’è per tutti che la vogliono. Rallegriamoci con riconoscenza amorosa! E se qualcuno sentisse di non potersi rallegrare perché nel suo cuore s’è spalancato ancora un pozzo di peccati e la chiave di nuovo gli è caduta dentro, con una umile, sincera confessione faccia calare Gesù Bambino in quel suo pozzo. Riavrà la chiave.

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Ps LXXXIV:2
Benedixísti, Dómine, terram tuam: avertísti captivitátem Iacob: remisísti iniquitatem plebis tuæ.

[Hai benedetto, o Signore, la tua terra: liberasti Giacobbe dalla schiavitù: perdonasti l’iniquità del tuo popolo.]

Secreta

Devotiónis nostræ tibi, quǽsumus, Dómine, hóstia iúgiter immolétur: quæ et sacri péragat institúta mystérii, et salutáre tuum in nobis mirabíliter operétur.

[Ti sia sempre immolata, o Signore, quest’ostia offerta dalla nostra devozione, e serva sia al compimento del sacro mistero, sia ad operare in noi mirabilmente la tua salvezza.]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Is XXXV: 4.
Dícite: pusillánimes, confortámini et nolíte timére: ecce, Deus noster véniet et salvábit nos.

[Dite: Pusillanimi, confortatevi e non temete: ecco che viene il nostro Dio e ci salverà.]

Postcommunio

Orémus.
Implorámus, Dómine, cleméntiam tuam: ut hæc divína subsídia, a vítiis expiátos, ad festa ventúra nos præparent.

[Imploriamo, o Signore, la tua clemenza, affinché questi divini soccorsi, liberandoci dai nostri vizii, ci preparino alla prossima festa.]

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (1)

ORDINARIO DELLA MESSA

LO SCUDO DELLA FEDE (185)

A. D. SERTILLANGES, O. P.

CATECHISMO DEGLI INCREDULI (XXII)

[Versione autoriz. Dal francese del P. S. G. Nivoli, O. P. – III ristampa. S. E. I. – Torino 1944]

LIBRO QUARTO

I SACRAMENTI

I. — I Sacramenti in generale.

D. Qual è l’ufficio dei sacramenti nella Chiesa?

R. I Sacramenti sono i mezzi di azione soprannaturale della Chiesa; perciò essi partecipano del suo doppio carattere, visibile e invisibile, individuale e sociale. Sono dei segni, dei simboli, dunque delle cose esterne, e hanno un effetto nascosto; la società religiosa v’interviene, ma non senza il concorso dell’adulto che li riceve.

D. Perché dici l’adulto?

R. Perché il bambino approfitta di un soccorso sociale al quale non può ancora rispondere; vi risponderà più tardi.

D. A che pro adoperare simboli e mezzi visibili, in materia di vita religiosa?

È la natura umana che lo vuole. Tutto ci viene per i sensi, comprese le idee e i sentimenti, qualsisiano i loro oggetti e la loro natura; i simboli e i gesti significativi hanno nella nostra vita una parte immensa, dei quali sono seriamente obbligati a tener conto coloro che si stupiscono dei riti religiosi. Anche la vita civile ha i suoi riti che non differiscono dai nostri se non per la loro sorgente e la loro efficacia.

D. Quando è Dio che opera, l’efficacia non dovrebbe dipendere da nulla di esterno, e meno ancora quando è l’anima che coopera.

R. La verità è semplicemente al contrario. Dio agisce riguardo all’uomo coi mezzi dell’uomo, perché, unendo la nostra vita alla sua, Egli intende di rispettare i caratteri di questa vita, sopraelevata e non distrutta. Lo spirituale affatto solo non è l’uomo. E poiché l’uomo è spirito senza dubbio, ma spirito incarnato — e ciò nell’unità di una sola sostanza — quello che è normale, in religione, è che l’anima umana sale verso Dio con la carne e servendosi della carne, e Dio discende pure verso l’uomo per la carne e valendosi della carne. La carne sarà così un passaggio naturale, per lo scambio religioso, tra Colui che, avendo fatto l’uomo, deve accostarlo come Egli lo ha fatto, e colui che, essendo fatto così, deve rispondere all’azione divina secondo la sua propria natura.

D. Ciò però urta molti.

R. Urta coloro che sono traviati da un falso razionalismo o da un orgoglio spirituale. Non c’è qualcosa di strano in ciò che Dio, per santificare l’uomo, umilmente si acconci a certi procedimenti dell’uomo, e sia l’uomo che non lo voglia?

D. Ne senti tu davvero utilità?

R. Certi sacramenti visibili ed esterni hanno un’utilità religiosa manifesta; essi eccitano e spiegano tutti i sentimenti primordiali della natura umana; rispondono a tutta la vita; la dose del divino e dell’umano è ivi stabilita in conformità con la nostra debolezza e con le nostre risorse; riguardo al soprannaturale, che, dal canto suo, non si vede, ci offrono delle garanzie che contribuiscono alla tranquillità della coscienza e alla pace del cuore. Socialmente essi esprimono e affermano i nostri vincoli, mettono in comune i nostri sentimenti di fede, di buona volontà e di speranza, e così assicurano la coesione del gruppo cristiano, affermandolo davanti a tutti,

D. I tuoi sacramenti non sono solamente segni e gesti; ma adoperano anche materie.

R. Quest’uso delle materie significative e attive ha la stessa importanza che il resto. Dio non usa forse la natura per crearci? Ebbene l’adopera per ricrearci secondo la grazia. E le due cose si spiegano, perché il mondo esterno non è così esterno come apparisce; la materia non è che l’uomo prolungata; il potere dell’anima la foggia, se l’unisce per una parte, non l’abbandona per la morte se non per riprenderla — come uno statuario che della medesima creta facesse degli abbozzi senza fine — e, col lavoro intelligente, se la sottomette in una certa misura. Ora, nello stesso modo che utilizziamo col lavoro le forze di Dio immanenti alla natura, così utilizziamo coi sacramenti la forza propria di Dio artefice di grazia. È dunque normale che nei due casi la materia intervenga come passaggio. Nel caso del lavoro è inevitabile; nel caso dei sacramenti, ciò conviene.

D. Tuttavia Dio è spirito.

R. Dio è spirito; ma noi siamo carne, e nello stesso modo che per passare dalla carne allo Spirito, dalla natura a Dio, Cristo ci offre nella sua Persona un pezzo di collegamento: così i sacramenti — che non fan altro che prolungare gli effetti dell’incarnazione — rilegano nel suo nome la carne allo spirito, a fine di compiere l’opera sua. Il principio è dovunque lo stesso, e l’omogeneità dei mezzi è perfetta.

D. Credi che i sacramenti abbiano un’azione effettiva, e non solamente morale?

R. I sacramenti hanno un’azione effettiva, vale a dire che il loro effetto non dipende unicamente da quello che vi apportiamo noi, ma da ciò che vi apporta Iddio. Però non tutti pensano che quest’azione sia di forma fisica, cioè si valga, per esercitarsi, degli elementi esteriori: materie, parole o gesti.

D. Quale opinione ha le tue preferenze?

R. Di gran lunga quella che crede a un’azione reale degli elementi; è quella di S. Tommaso d’Aquino e dei dottori più fedeli ai dati profondi del dogma.

D. Per quale ragione?

R. Perché questo quadra meglio con l’idea dell’incarnazione, fondamento di tutta la vita cristiana. L’incarnazione è il primo dei sacramenti, il solo, si potrebbe dire; perché tutto quello che noi chiamiamo così non è che un prolungamento della sua azione a un tempo simbolica e reale: simbolica, poiché l’incarnazione è Dio manifestato; reale, perché è Dio che si dà. Ora, siccome l’unione di Dio con l’umanità è reale, e non solamente morale, pare si debba trovare nel prolungamento lo stesso carattere che nel punto di partenza.

D. Allora come concepisci l’azione dei sacramenti?

R. L’influsso divino che ci santifica si vale, come passaggio, dell’umanità di Cristo strumento congiunto della Divinità per la salvezza degli uomini; si vale poi dell’intermedio del ministro e delle realtà sacramentali, strumento di Cristo, e fa capo all’anima del fedele per mezzo del suo corpo.

D. Quest’interpretazione ti pare più cristiana dell’altra?

E. Sono cristiane entrambe; ma questa si riallaccia meglio con quello che dicevamo sopra della giustizia originale, della caduta, dell’incarnazione e della redenzione, di cui i sacramenti sono l’organo. La ritroveremo a proposito dei novissimi.

D. Come puoi credere a questo approdo divino, e ciò attraverso a un Cristo scomparso, attraverso a un ministro distinto dal soggetto che subisce l’azione, attraverso a materie, a gesti e a parole?

R. Non si ha da approdare. Dio è in noi; Dio è presente in tutto, e i suoi strumenti per via di Lui sono presenti a tutto ciò che Egli mette in moto. L’apparenza di serietà che la difficoltà presenta dipende solo da un’immaginazione spaziale; Spinoza, fervente sostenitore dell’immanenza divina, non la comprenderebbe. Ora non la comprende meglio un filosofo cristiano; difatti anche noi, senza essere per nulla panteisti, crediamo all’immanenza di Dio. Immanenza e trascendenza non si oppongono affatto, ti dicevo; esse si completano. Dio è infinitamente lontano da noi per la sua natura; ci è infinitamente vicino, più vicino di noi stessi, per la sua intima azione. I sacramenti qualificano quest’azione in un modo particolare e in condizioni definite in cui Cristo, un ministro umano, materie, gesti espressivi hanno la loro parte, ma non ne cambiano in nulla il carattere. Dio dà a noi l’essere ad ogni istante, come il sole al raggio: non è forse possibile modificare a piacimento e secondo certe leggi questa luce dell’essere?

D. Non posso capire un effetto spirituale risultante da un atto fisico.

R. L’anima nostra è spirituale, e sboccia, nel corso della generazione, da un atto fisico. Un’idea è spirituale, e si desta, nella mente di un uditore, a proposito di un suono.

R. Ma il soprannaturale è qualcosa di più.

R. Te l’ho detto, il soprannaturale non è che un caso particolare dei piani, dei gradi che dalla materia pura a Dio contrassegnano l’esistenza; esso non può dunque recare nuova difficoltà, benché procuri un nuovo dono.

D. Io temo che questo dono, così concesso, riduca la faccenda della salute a un meccanismo comodo.

R. La comodità non è tanto grande; perché il lavoro del cielo si mette qui sotto la dipendenza di quello della terra; il contributo di Dio si misura da quello dell’uomo e non fa altro che

supplire a ciò che l’uomo non può fornire. Sforzo aiutato: tale sarebbe dunque la vera definizione dell’opera sacramentale, e il sacramento stesso è un contratto di scambio, non un beneficio gratuito.

D. Credi tu che Gesù abbia voluto i sacramenti?

R. Non si può mettere in dubbio che Egli abbia voluto e istituito il Battesimo e l’Eucaristia, i nostri due riti essenziali; questi devono a Lui assolutamente tutto, perfino la precisione delle formule. Gli altri, precisati dalla Chiesa nel suo Nome e non operanti che per la sua grazia, devono dunque Lui per lo meno l’autorità della loro istituzione e la loro efficacia, il che basta perché Egli si dica il loro autore.

D. Mi sembra evidente che i riti sacramentali siano tolti per la maggior parte dai riti del paganesimo, anzi dalle pratiche dei primitivi.

R. Queste non sono altro che apparenze superficiali. La Chiesa si è servita dei gesti e delle appellazioni come si prendono parole dal dizionario; ma il testo, soprattutto lo spirito del testo, è essenzialmente differente.

D. Dove sta la differenza?

R. Là si tratta di gesti cabalistici, qui di atti essenzialmente spirituali. Là si pretende di costringere un’oscura potenza; qui s’invoca Dio secondo le profferte paterne di Dio e in conformità di disposizioni con queste profferte. Là si prefiggono dei fini del tutto temporali, dei quali i cittadini sono il termine più elevato e spesso unico; qui si mettono in sintesi il divino e l’umano immortale, conforme a una dottrina sublime dei rapporti umano-divini. Da un lato, superstizione, o ad ogni modo religione nell’infanzia, anzi grossolanamente deviata; dall’altro, uso di simboli e di mezzi meravigliosamente appropriati all’espressione e al servizio delle più alte concezioni religiose, rispondenti a ciò che noi siamo davanti a Dio, gli uni verso gli altri, di fronte al fine soprannaturale e, sopra la terra, di fronte a un corpo sociale chiamato a un’alta vita e a incessanti progressi.

D. Certi storici però pretendono di trarre i tuoi sacramenti dai riti primitivi per via di evoluzione.

R. Qui c’è equivoco, oppure parzialità o ignoranza. L’equivoco può venire dal fatto che si confonde una evoluzione spontanea, automatica senza nuovo contributo, con ciò che Bergson potrebbe chiamare una evoluzione creatrice. Se l’uomo venisse dalla scimmia quanto al corpo, si potrebbe ben dirlo un prodotto dell’evoluzione di questo ramo zoologico; ma ciò non sarebbe se non quanto al suo corpo; tra le due ci sarebbe la creazione dell’anima, fatto nuovo, fatto propriamente umano, che rende l’umanità trascendente alle sue origini fisiche. Così i sacramenti, pur precedendo a se stessi nella loro materia, in queste o in quelle particolarità d’intenzione o di riti, sarebbero nondimeno tutt’altro che i loro pretesi antecessori. Un capolavoro e una grossolana cromolitografia possono aver dei tratti comuni; il primo può prendere dalla seconda; ma il genio forma la differenza, e sarebbe assurdo il dire che come opera d’arte il primo procede dalla seconda.

D. Ciononostante, come spieghi tu i rapporti evidenti fra tutti i riti?

R. I rapporti delle cose anche più differenti, si spiegano per la somiglianza relativa delle circostanze in cui son nate e dei fini a cui devono servire. Ho già osservato che la vera religione deve contenere una gran quantità di elementi delle false, perché queste ultime, nate dai bisogni umani nell’ordine religioso, li esprimono in una certa misura, e come il Cristianesimo, destinato a soddisfarli del tutto, non li esprimerebbe nella loro perfezione, adottando così l’espressione imperfetta? Tal è il caso dei sacramenti, dove una gran parte della religione si concentra.

D. Ciò si può prestare a confusione.

R. Per coloro che non riflettono punto o che non vogliono vedere, ma non per gli altri. Quello che mette i riti cattolici fuori di parità, per rapporto a ciò che descrivono certi etnografi compiacenti, è, ancora una volta, il senso del simbolo, la portata spirituale dei riti, l’esigenza di una collaborazione morale del soggetto, la grandezza degli antecedenti dogmatici, delle mire, dei sentimenti collettivi e individuali, e, più di tutto, l’unione intima e indissolubile di tutte queste cose.

D. Questi sacramenti che tu attribuisci a una causa sovrumana, non dovrebbero avere degli effetti folgoreggianti? Come mai non ne hanno neppure dei percettibili?

R. Quando guardi le stelle, hai forse la percezione dei loro prodigiosi movimenti? La nostra cecità le chiama fisse, e invece quante migliaia di chilometri al secondo non percorrono! Dopo una buona confessione, un’anima ha fatto un balzo di gran lunga più importante sopra le vie della vita eterna.

D. Dopo qualche istante, la rotazione del cielo si scorge.

R. Dopo qualche istante, in una vita, l’azione sacramentale si nota, supposto che rette disposizioni l’accompagnino. Dopo qualche istante, nella storia dei popoli, la loro fedeltà religiosa, funzione della vita sacramentale dei loro elementi, si scorge anche maggiormente.

D. Dici che i sacramenti rispondono, per la loro stessa concezione, a tutto l’insieme della nostra vita: come vi si applicano?

R. Vi sono sette sacramenti, ed è facile vedere che essi abbracciano la vita con un amplesso spirituale completo. La vita corporale nasce, cresce, si nutre, si difende dalle cause di corruzione e di morte, si propaga per generazione e si ordina socialmente in vista della prosperità e della pace. Nell’ordine spirituale, ci vuole altresì una nascita: il Battesimo la procura; una crescenza: ecco l’effetto della Confermazione; una nutrizione: l’Eucaristia vi provvede; uno sforzo di difesa e di eventuale guarigione: ecco lo scopo combinato della penitenza e dell’estrema unzione; una propagazione o nutrizione di specie conforme ai suoi fini religiosi: ecco il matrimonio; finalmente un governo e assetto regolare dei suoi organi: tal è l’oggetto del sacramento dell’ordine.

D. Questi vari riti sono di uguale importanza?

R. Ce ne sono due principali: il Battesimo che corrisponde all’ingresso nella vita, e l’Eucaristia che ne riproduce il fenomeno essenziale: la nutrizione.

D. E quale dei due ha il sopravvento?

R. È l’eucaristia, nello stesso modo che, in biologia, la nutrizione ha la precedenza sulla stessa nascita, visto che la nascita non è che una prima nutrizione. Nello spirituale, tutto viene in certo modo dall’Eucaristia, perché tutto viene da Cristo e dalla virtù di Cristo, immanenti all’Eucaristia. Onde sembra che Gesù abbia voluto riassumere tutte le condizioni della vita spirituale e della salute dicendo: Se voi non mangiate la carne del Figliuol dell’Uomo e non bevete il suo sangue, non avete la vita in voi stessi. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

D. È dunque Cristo îl vero sacramento?

R. Egli è il vero sacramento. Ed anche gli altri sono veri, ma secondo che lo prolungano e operano mediante la sua Persona. Ogni anima si unisce a Dio, sua salute, a mezzo di contatti successivi che Cristo ha stabilito e di cui l’Eucaristia è il centro di convergenza, come il Battesimo ne è il punto di partenza.

IL SEGNO DELLA CROCE (23)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (23)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMASECONDA.

19 dicembre.

Sentenza del giudizio istituito fra noi ed i primi Cristiani, e doveri, che ne derivano. — Primo dovere: fare risolutamente il segno della croce, farlo soventemente, e bene. — Ragioni. — Vergogna e pericoli che seguono dal non farlo. — Sanità fisica e morale del mondo attuale. — Necessità in che è l’uomo di portare o il segno di Dio, o quello di satana. — Natura del segno di satana.

Caro Federico

Pronunziata l’inappellabile sentenza negli affari civili, a qual partito dovranno appigliarsi le parti? Null’altro è da fare, che eseguirla sotto pena di rivolta, e di tutte le tristizie, che questa mena seco. Simile cosa è per le quistioni dottrinali. Quando l’autorità infallibile ha deciso il punto in questione, resta solo prendere a norma di condotta il pronunziato del supremo tribunale, sotto pena di rivolta peggiore, e di tutti i tristi effetti, che potrebbero seguirla. Un giudizio era stato iniziato fra noi ed i primi Cristiani, che avea a scopo determinare, se la ragione fosse per essi, che facevano il segno della croce, e lo eseguivano soventemente e bene; o per i Cristiani moderni, che più non lo fanno, o raramente e male. La causa è stata con ogni studio esaminata, la discussione pubblica, i difensori sono stati intesi. Il fiore della umanità constituita in supremo tribunale, avendo ad assessori, la fede, la ragione, l’esperienza, il sentire dei popoli ancora pagani, ha pronunziato in favore dei Cristiani della Chiesa primitiva. Che fare adunque? È da rinnovare la gloriosa catena delle nostre antiche tradizioni, sì sventuratamente rotta, e fare il segno della croce, farlo sovente, e bene. Fare risolutamente e manifestamente il segno della croce. E perchè nol faremo noi? Perchè reputeremmo onta il farlo? Farlo, o non farlo non è mica indifferente, mio caro; farlo è onore, tralasciarlo disonore. Facendolo, noi saremo i successori, e ci troveremo nel mezzo di tutti i grandi uomini, e de’ grandi secoli dell’Oriente e dell’Occidente, con l’immortale nazione cattolica, col fiore dell’umana famiglia. Non facendolo, noi avremo per predecessori, compagni, e successori, tutti i meschini eretici, la nullità degl’increduli, i poveri ignoranti, le piccole e grandi bestie. Come facendo il segno della croce noi ci copriamo, unitamente alle creature che ci appartengono, di un’armatura invincibile: cosi tralasciandolo, ci disonoriamo, ed esponiamo noi stessi e quanto ci appartiene a gravissimi pericoli; vivendo l’uomo ed il mondo necessariamente sotto la influenza dello spirito del bene, o sotto quella dello spirito del male. Quest’ultimo tiranno dell’uomo e delle creature, fa loro sperimentare le sue maligne influenze, ed il corpo e l’anima, lo spirito e la materia sono da esso viziati. Fu questa sempre fondamentale credenza del genere umano. Il perchè, da poi diciotto secoli, i capi della spirituale battaglia ci dicono di coprir noi e le creature di questo segno, scudo impenetrabile alle ignee frecce dell’inimico: Scutum in quo ignitæ diaboli extinquuntur sagittæ. E noi, soldati infedeli alla consegna, noi getteremo volontariamente la nostra armatura? Noi con un petto scoperto resteremo da insensati, esposti ai colpi dell’armata nemica! E ciò, per non dispiacere ad alcuni, ed a chi? – Mi dicono: il mondo attuale non fa il segno della croce e non ne riporta nocumento alcuno. Una tal cosa può con certezza affermarsi? Qual è oggi la sanità pubblica dell’uomo, e della natura? Non intendi di continuo ripetere in Alemagna, ed in Francia come da per tutto: Non v’è più sanità! Questa parola divenuta popolare, è solo una parola? Ottimisti, come voi vi dite, credete dunque che le leggi divine fatte per l’uomo, spirito e materia, non abbiano in questa vita duplice sanzione, una morale e l’altra fisica? Voi credete che la profanazione del giorno consacrato al riposo dell’uomo e delle creature; che il disprezzo della legge del digiuno e dell’astinenza, non possano mettere in pericolo che la sola salute dell’anima? Voi credete che il movimento febbrile degli affari, le agitazioni politiche, la sete de’ piaceri, carattere distintivo di un mondo, che ha intrapreso la discesa del cielo sulla terra; che gli sregolati costumi, l’usanza di cangiare la notte in giorno, e questo in quella; che il soddisfare alla sensualità nella scelta de’ cibi, lo spaventevele consumo di spiriti, i cinque cento mila caffè, e bettole, sieno di nessuna cattiva influenza per la sanità pubblica? D’onde procede lo scemarsi delle forze nelle generazioni moderne? Sarebbe facile trovare di presente molti giovani capaci di maneggiare le armi de’ nostri avi del medio evo, o di portare la loro armatura? Le riforme si numerose, eseguite da’ consigli di revisione, per difetto di taglia e buona conformazione; l’impotenza di osservare i digiuni, ancorché sì addolciti, che sperimentano le stesse persone religiose, non ha alcun senso? Che cosa dice l’aumento considerabile e tuttodì crescente delle farmacie, e dei medici, e de medium medici, le cui anticamere saranno, fra breve, frequentate come le sale delle sommità medicali? – In fine, i casi continui e crescenti di suicidio e di pazzia, arrivati ad un numero incalcolabile sino al presente, sono de’ sintomi, che ci rassicurano sul conto del prosperare della sanità pubblica? Dando a tutti questi fatti, e ad altri ancora, il senso il più ristretto, non dimostrano essi, per lo meno, che la salute pubblica non è più quella di altri tempi? – E la vigoria della sanità della natura, su cui non è più eseguito il segno liberatore, è dessa in progresso? Qual cosa mai ci dicono la malattia delle patate, quella delle uve, degli alberi, de’ vegetali, delle piante, e delle erbe istesse, da negare il foraggio necessario? Tutti questi malati, in numero di cento, sorpresi simultaneamente da gravi ed ostinate, sconosciute malattie, attestano per la perfetta sanità delle creature? Questo fenomeno, altrettanto più sinistro che non v’ha uguale nell’istoria, sembra piuttosto presentare la natura come un grande ospedale, ove, come nella specie umana, tutto è malato, languido, ed alterato.

(*) Sottometto alla considerazione del lettore una serie di alberi, di arbusti, di piante e di vegetali di presente malati, con l’indicazione delle malattie da che sono distrutti.

T. indica la lebbra o macchie nere. — O. l’oidium [fungo]. — R. ruggine. — I. insetti; piccoli vermi che si trovano nell’epidermide delle foglie, o sulla superficie.

Alberi.

La quercia T. I.

Il faggio T. I.

L’olmo T. R. 1.

Il carpino T. I.

La betula T. R.

Il frassino T. I.

Il pioppo d’Italia T. S.

Il pioppo del Canada T. R.

Il castagno T.

L’acero T.

Il salice T. R.

L’ebano T. I.

II tiglio T.

Il platano T.

Il pomo T. I.

Il pero T. I.

Il rosaio T. R. 0 . I.

Le spine T. 0. I.

La glicina cinese T.

Il lampone T. R.

I rovi T. R. 0.

II pruno 0.

L’uva spina T. I.

Il ribes nero e rosso T.

Il berbero comune 0.

La collulea T.

Il ciliegio T.

Il susino T.

L’albicocco T. 0.

Lo gelso T. 0,

L’arancio T. 0.

La vite T. 0.

Arbusti.

Il gelsomino di Valenza T.

Il sambuco T.

La palla di neve T.

La omelia T.

La siringa comune T.

L’altea T. I.

L’avellana T. I.

Il melo ciliegio T.

Il vinco T. R.

Piante selvatiche diverse

Peonia di diverse specie T.

Il millefoglio T. 0.

Il danther T.

La campanula R.

L’ortica T. 0.

Il cardo benedetto R.

Peonia di diversespecie T. R. 0.

La camomilla T.

La viola T.

Il flox T.

L’erithrynum phristagalli T.

Le oculate 0.

Le margherite T.

La diclytera spectabilis T.

La regina dei prati T.

Il girasole T.

La primavera T.

Il macerone R.

Il gladiolus T. R.

La cicoria T. R. 0.

La scabiosa T.

L’aigmaine T.

Il lungo dragone R.

Vegetali.

Il frumento T. R.

La segala R.

L’avena T. R.

L’orzo R.

La patata T.

I faggiuoli T. R.

I selleri R.

L’acetosa R.

La scorzonera R.

I cavoli T. R.

La rapa R. I.

La bietola rossa R.

Le fave T. R.

II trifoglio T. 0.

Il giunco T. R.

La canna R.

Erbe dei prati di diversa specie R.

Erbe selvatiche di diversa specie T. R. 0.

[Siamo debitori di questa nomenclatura alla gentilezza di un dotto naturalista, il sig. F. Verecruysse di Courtrai. Egli stesso ba raccolto, in quest’anno 1868 delle foglie di tutti gli individui malati, dei quali gli è piaciuto mandarci dei saggi. Ci conceda egli dunque di offrirgli un pubblico attestato di tutta la nostra riconoscenza].

Non lo si può negare, il mondo attuale è malato più che in altri tempi, sia che lo consideri nell’uomo, come nelle creature a lui immediatamente sottoposte. Che cosa mai è la malattia e l’infermità, se non mancanza ed indebolimento di vita? Il Verbo creatore è la vita, è tutta la vita; epperò dilungarsi da Lui è un venir meno nella vita, uno scemarla, come appressarsi ad esso, è un’aurnentarla e rinvigorirla. Le creature materiali essendo incapaci di bene e di male, sono malate, solo perchè seguono la condizione dell’uomo. L’uomo essendo il centro ed il compendio della creazione, racchiude in sè stesso tutte le leggi che reggono le creature inferiori, se egli le viola, l’effetto della violazione si fa sentire in tutta la natura. N’è testimonio il peccato di Adamo. Alla stessa causa, riprodotta nel corso dei secoli è necessario attribuire le malattie delle creature, sempre in ragion diretta della intensità della causa, che le produce. Non sembra egli che Isaia avesse gli occhi fissi alla nostra epoca allorché disse: « La terra è stata infettata dai suoi abitanti. Di là hanno origine, le lagrime, l’afflizione, i languori della terra, la decadenza del pianeta; la malattia della vite, ed i gemiti dei coltivatori: » ? – Luxit et defluxit terra, et infirmata est defluxit orbis et terra infecta est ab habitatoribus suis, quia…. mutaverunt ius etc. XXIV, 4 e seg. Abacuc, Geremia e gli altri profeti parlano con gli stessi termini di quest’agonia della natura. – A giudizio della Chiesa, e di tutti i secoli cristiani, l’atto esteriore, il tratto di unione il più che altro universale e comune, che metta le creature a contatto con la vita, è il segno della croce. Ora, voi ve ne beffate, non lo eseguite, né volete usarne; per tutto che vi riguarda, voi lo rimpiazzate, come usate riguardo alla preghiera, ed ai pellegrinaggi di altri tempi, con i bagni di mare, con le acque tiepide, calde, fredde, sulfuree, ferruginose di Vichy, della Svizzera e de’ Pirenei. Per le creature, collo stabio artificiale, col muover guerra alla vita degl’insetti, col prosciugare i terreni, col solforare le piante. Benissimo: non sono queste da trasandare, ma è mestieri non omettere le altre: Hæc oportet facere et illa non omittere. Così il mondo moderno disprezzatore della divina ed umana saggezza, senza farsene coscienza alcuna, crede poter violare una legge religiosamente osservata da poi il principio del Cristianesimo, e rispettata dallo stesso paganesimo, che la formolava dicendo: È da pregare per avere sanità fisica e morale: Orandum est ut sit mens sana in corpore sano. Non v’ha dunque ragione da muovere lamenti; noi raccogliamo quello ch’è, e dev’essere. Che se la sanità fisica dell’uomo e della natura prosperasse, come si pretende, senza il segno della croce, resterebbe la morale, che avanza in importanza immensamente la prima. Qual è lo stato sanitario del mondo morale al presente? Se per minuto ed a segno, volessia tale dimanda rispondere, andrei troppo per le lunghe;però ti ricorderò solo, che l’uomo morale come il fisico,è nell’alternativa di vivere sotto l’influenza salutare dello spirito buono, e sotto quella malefica dello spirito cattivo; e che il segno redentore ci rende partecipi alla prima, e l’assenza di esso ci sommette, ed abbandona alla seconda. È questo l’insegnamento della Chiesa, confermato dalla pratica de’ secoli cristiani. Sperienza di simil fatta, per diciotto secoli doratura, è un nulla per noi? Voi non volete più il segno liberatore,nessuna fede avete in lui, più non lo si vede sulla vostra fronte, sulle labbra, sul cuore, sui vostri alimenti. E bene! satana v’imporrà il suo. Su tutte coteste fronti, su tutte le labbra di simil fatta, e nei cuori, si vedrà, e senza bisogno di microscopio, il segno della bestia. Questo segno si rivela sulla fronte per lo spirito di orgoglio e di rivolta, per la collera, il disprezzo, l’imprudenza, la vanità, l’alterazione de’ lineamenti; il non esser atto alle scienze spiritualiste, lo aver nessun gusto per le scienze morali; il pallore delle goti impressovi dalla impurità, o il rosso prodotto dall’intemperante uso de’ vini; un certo che di livido nella fisionomía, di basso, di scolorito e bestiale. In fine, quel cinismo negli occhi spiranti adulterio, ed un peccato che non tocca mai la fine, provocatore continuo delle anime incostanti (Animalia autem homo non percipit ea, quæ sunt spiritus Dei. – I. Corint. II, 14. — Oculos habentes plenos adulterii, et incessabilis delicti, pellicientes animas instabiles. – II. Petr.II, 14). Come sono contrassegnate da esso ? Le riconosci dall’esser sempre mosse ad un riso immoderato, od impudico, scioccamente empio, o crudelmente burliero, loquaci, senza alcuna regola, con discorso di nessuna importanza, sempre privo di scopo; parole invereconde, irreligiose, bestemmiatrici, piene di odio, di maldicenza e gelosia, spiranti concupiscenze,traspirano sepolcrali esalazioni, velenose più che tossico di vipera (Sepulcrum patens est guttur eorum. – Psal. V, 11. — Despumantes suas confusiones. – Judæ Ep. v. 13). Il cuore marcato da questo segno è ingombro di mali pensieri, di desideri, di fornicazioni e di tradimenti, di profondo egoismo, di ruberie, di avvelenamenti, di morti; sovra di esso hanno impero le cortigiane, e le femmine rifiuto della umanità (De corde enim exeunt cogitationes malæ, homicidia, adulteria, fornicationes, furta, falsa testimonia, blasphemiæ. Matt. XV, 19).  – Sugli alimenti lo riconoscerai alle loro pessime influenze. Non essendo stati questi liberati dal segno redentore, dessi servono da veicolo a satana per trasmettere tutte le sue tristi influenze, a giudizio de’ pagani stessi. Questi, messi per la nutrizione, a contatto con la inferior parte dello spirito, vi eccitano gli sregolati appetiti, solleticano gl’istinti, commuovono le passioni. Di che segue la ricerca di soddisfare alla sensualità nel vitto e nella bevanda, il dispotismo della carne, il disgusto del lavoro, la impotenza di resistere alle tentazioni, lo affievolirsi, e qualche volta ancora l’imbrutimento della ragione, la mollezza della vita, il sibarismo de’ costumi, l’adorazione del dio ventre, terminando col disprezzo di sè, col soffocare la coscienza ed il senso morale con l’infanticidio, e col suicidio (Inimicos crucis Christi, quorum finis interitus: quorum Deus venter est et gloria in confusione ipsorum. Philip. Ill, 18).Volgi intorno Io sguardo, mio caro amico, e cerca le fronti, le labbra, i cuori, le mense ove si conserva la santità, la dignità, la sobrietà umana e cristiana; il vivere mortificato e puro; i cuori forti contro le tentazioni; gli animi dedicati alla carità ed alla virtù; le forme di vivere, che possono senza rossore rivelarsi agli amici ed ai nemici: tu le troverai solo, dove la croce regna protettrice! – Quanto dico quest’oggi sia per te come un dato di esperienza, domani ti apporterò di esso le ragioni e le prove.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento,

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA.

CAPITOLO II.

LA QUINTA ETÀ DELLA CHIESA

Dopo le prime quattro età, in cui la virtù, la divinità, la saggezza e la potenza di Gesù Cristo e della sua Chiesa sono state rese manifeste, viene un’età che non è mai stata eguagliata, a causa del crollo, della defezione e dell’apostasia che ne sono i tratti caratteristici (Sic Holzhauser, vol. 1, p. 153, Wüilleret). Quest’epoca è rappresentata dalla quinta Chiesa, dal quinto sigillo, dalla quinta tromba e dalla quinta lode; comincia con Lutero e finisce nel nostro secolo (Holzhauser fa giungere quest’epoca fino alla nascita dell’Anticristo [nativitatem]. M. de Wüilleret traduce: nascita, natività, in luogo di apparizione. Questa traduzione ci sembra arbitraria – t. 1, p. 186. Wüilleret. – L’Anticristo può apparire e agire come tale solo molto tempo dopo la sua nascita).

ARTICOLO 1.

I. La quinta Chiesa è quella di Sardi. Questo nome indica cosa essa sia. Non ci sembra che significhi un principio di bellezza, come dice Holzhauser (vol. 1, p. 254, Wüilleret); crediamo invece che indichi qualcosa di cattivo, di amaro, poiché σαρδονιος γελως [=sardonios ghelos], riso sardonico, significa un riso forzato, simile a quello di persone che avevano mangiato un’erba che cresce sulle coste dell’isola di Sardegna, e che stringevano i denti in modo da sembrar ridere, mentre esalavano l’ultimo respiro.

II. Questa spiegazione del nome di Sardi è, inoltre, resa probabile e quasi certa da tutta la storia di questa Chiesa, come ce la offre San Giovanni nella sua Apocalisse, capitolo III, da 1 a 6, che Holzhauser sviluppa come noi. Il Figlio dell’Uomo, che ha i sette spiriti di Dio (i sette doni dello Spirito Santo) e che tiene in mano le sette stelle (le sette Chiese), si rivolge alla triste Chiesa di Sardi, ai suoi Pastori come al suo gregge, e specialmente ai primi (Hæc dicit qui habet septem spiritus Dei et septem stellas, Apoc. c. III, v. 1). Ed Egli dice loro: Io conosco le vostre opere (scio opera tua, v. 1), e non le trovo compiute davanti al mio Dio (Non enim invenio opera tua plena coram Deo meo, v. 2), perché le fate senza zelo, senza fervore, con negligenza, quasi meccanicamente e per abitudine. La vostra pietà si è raffreddata, il vostro coraggio è svanito; avete abbandonato la via dei miei consigli per seguire le idee umane, i calcoli umani; avendo come oggetto solo il vostro benessere, la vostra tranquillità, la vostra comodità, avete perso di vista il diritto che vi dominava e che genera necessariamente il dovere. Vi siete creati dei motivi malvagi che credete essere molto buoni, e così permettere al male e all’errore di sussistere, di vivere in pace con essi, quando avreste potuto e dovuto impedirli o preservare il popolo da essi. Siete arrivati al punto di fare un patto con loro, e di aderirvi con una pseudopolitica disastrosa che ha rotto tutti i legami sociali, e ha dato al popolo l’inganno e l’oblio di tutti i principi. Avendo una fede indebolita, avete avuto paura degli uomini nelle rivoluzioni che hanno scosso la terra; avete voluto mantenere la mia Religione sacrificando una parte della verità che avete insegnato, e siete stati così ciechi da credere che il crimine e l’errore trionfanti potessero mai piacermi e difendere e proteggere la mia legge. Così grande è il numero di coloro che mi hanno rinnegato, sono diventati apostati e sono morti; grande è il numero degli uomini che devono ancora morire alla verità, se voi non vi risvegliate e non li confermate (Esto vigilans, et confirma ma cætera quæ moritura erant, v. 2). Voi vi credete vivi, e così il mondo, perché i templi sono aperti e vi si esercita il culto; ma voi siete morti, perché lo zelo della mia casa e la gloria del mio Nome non vi animano più e non sono più i vostri conduttori (Nomen habes quod vivas, et mortuus es, v. 1). Richiamate dunque alla vostra memoria, che ricorda così bene le cose della terra e del tempo, ciò che avete ricevuto, gli insegnamenti che vi sono stati dati da questo mirabile Concilio di Trento (sic Holzhauser, t. 1, p. 174, 175, Wüilleret), e tutte le grazie che vi sono state date; non lasciate i precetti del diritto divino sepolti sotto le rovine (Lettera dell’Arcivescovo di Friburgo in Brisgovia – Universo, 22 aprile 1855); ma metteteli in pieno giorno, poneteli in pratica, fate penitenza per riconciliarvi con me (In mente ergo habe qualiter acceperis, et audieris, et serva, et pœnitentiam age, v . 3). – A causa di questa tiepidezza, questa defezione, questa indifferenza, che è penetrata nelle professioni più sante, che ha raggiunto i popoli e non ha lasciato loro altro che il nome di Cristiani, il numero dei miei fedeli che non hanno sporcato le loro vesti e non hanno piegato il ginocchio al moderno Baal, è diventato così piccolo che potrebbero facilmente essere contati e chiamati per nome (Sedes habes pauca nomina in Sardis, qui non inquinaverunt vestimenta sua, v. 4). Quanto a questi, li farò camminare con me in vesti bianche, perché sono degni (Et ambulabunt mecum in albis, quia digni sunt, v. 4). Io farò lo stesso con tutti coloro che hanno vinto sul loro esempio (Qui vicerit sic vestietur vestimentis albis, v. 5). Non cancellerò i loro nomi dal libro della vita (… et non delebo nomen ejus de libro vitæ, v. 5); e poiché non mi hanno rinnegato né apostatato, ma mi hanno servito fedelmente e mi hanno confessato pubblicamente e altamente davanti agli uomini, Io a mia volta riconoscerò e confesserò i loro nomi davanti al Padre mio e ai suoi Angeli (Et confitebor nomen ejus coràm Patre meo, et coram Angelis ejus, v. 5). – Tale è la chiesa di Sardi! Abbiamo forse sbagliato a chiamarla triste e miserabile? La storia moderna e attuale non conferma in tutto e per tutto la profezia di San Giovanni?

III. Il quinto sigillo dà alla quinta età lo stesso carattere della quinta Chiesa. Non appena si aprì, le anime dei martiri che si trovavano sotto l’altare, così come i fedeli che erano ancora vivi sulla terra, gridarono a Dio per lamentarsi e gli dissero: “Fino a quando, o Signore, che sei santo e vero, vuoi rimandare il giudizio di quegli uomini che si comportano secondo le loro proprie passioni, il proprio spirito, il proprio amore, la propria volontà, come se Tu non fossi il loro Maestro, il loro Padre, il loro Re, il loro Creatore, il loro Dio? Per quanto tempo lascerete i vostri fedeli nell’obbrobrio e nell’oppressione? Quando vendicherete il nostro sangue sugli abitanti della terra che lo hanno versato ingiustamente e crudelmente?” (Et cùm aperuisset sigillum quintum, vidi subtus altare animas interfectorum propter verbum Dei, et testimonium quod habebant, et clamabant voce magnâ dicentes: Usquequò, Domine (sanctus et verus), non judicas, et non vindicas sanguinem nostrum de üs qui habitant in terrâ – E quando ebbe aperto il quinto sigillo, vidi sull’altare le anime di coloro che erano stati uccisi a causa della parola di Dio e della testimonianza che egli gli aveva reso, ed essi gridavano con gran voce, dicendo: Fino a quando, o Signore, santo e verace, rinvierai il giudizio e vendicherai il nostro sangue su coloro che abitano sulla terra? – Apoc. cap. VI, v. 9, 10). – Sembrerebbe che a questo reclamo dei suoi amati, l’Onnipotente stia per rispondere lanciando le sue saette vendicative; ma non è così, Egli dà a coloro che hanno sofferto per Lui, e a coloro che ancora soffrono, vesti bianche per confermarli nel bene, proprio come promette alla quinta Chiesa (Et datæ sunt illis singulæ stolæ alba, ibid. cap. XI); raccomanda loro di rimanere ancora un po’, e di aspettare il numero di coloro che devono servire Dio come loro (Et dictum est illis ut requiescerent adhuc tempus modicum, donec compleantur conservi eorum, ibid. v. 11), e il numero dei loro fratelli che devono subire il martirio come loro (Et fratres eorum qui interficiendi sunt sicut et illi , ibid . v . 11). Così la quinta Chiesa e il quinto sigillo ci mostrano la divina Provvidenza che, per ragioni infinitamente sagge di cui non siamo giudici, e che dobbiamo adorare quando non possiamo capirle, lascia che il mondo vada come vuole, verso le sue idee puramente umane, le sue inclinazioni naturali, senza produrre nessuno di quei grandi colpi che svegliano gli uomini assopiti e li fanno uscire dal loro torpore e dalla loro indifferenza. I santi e i giusti alzano le loro voci e le loro lacrime al cielo; Dio non li ascolta ancora, anzi, li invita a pazientare per un po’; non sembra intervenire in nulla nelle cose della terra, né per giudicare, condannare e punire i malvagi che dominano e opprimono i giusti, né per trarre questi ultimi dalla sofferenza e dalla schiavitù.

IV. È a questa pietosa quinta età, che vede il regno dell’uomo viziato e l’oppressione del vero Cristiano che ha ogni sorta di difficoltà per praticare la sua religione, persino per vivere, che sembra riferirsi più particolarmente la parabola della zizzania e del buon grano, di cui si parla in San Matteo, cap. XIII, v. 24 a 30 (Holzhauzer – t. 1, p. 147, Wüilleret – applica questa parabola alla quarta età. Si applica, in generale, a tutte le età; ma ci sembra che sia molto più in armonia con la quinta età, e inoltre ritorna sulla nostra opinione nel volume 1, p. 178). Perché questo cattivo seme si è mescolato con il grano puro? Perché gli uomini, i contadini che dovevano sorvegliare il campo del padre di famiglia, di Dio, cioè molti pastori e sacerdoti, dormivano (Cùm autem dormirent homines, ibid. v. 25). Chi ha seminato questa pula? È stato il diavolo? Sì, è il diavolo, non immediatamente e da solo, poiché non è ancora stato scatenato per la seconda volta sulla terra, ma dall’uomo viziato, l’uomo carnale, che è il contrario dell’uomo spirituale e interiore, il nemico di Dio (Cum autem dormirent homines, venit inimicus ejus, et superseminavit zizania in medio tritici, ibid. v. 25, et ait illis: inimicus homo hoc fecit, v. 28). L’Onnipotente ordina di sradicarla immediatamente, come hanno proposto i suoi servi (Servi autem dixerunt ei: Vis, imus et colligimus ea? v. 28), come hanno chiesto i martiri e i giusti dopo l’apertura del quinto sigillo (Apoc. cap. VI, v. 9, 10)? No, Egli teme che sradicando la zizzania si sradichi contemporaneamente il buon grano, che mandando piaghe sulla terra per punire una quasi intera generazione di indifferenti e apostati, raggiunga contemporaneamente i veri fedeli (Non, ne fortè colligentes zizaniu, era dicetis simul cum eis et triticum , v. 29): per questo ordina ai suoi servi di lasciar crescere i due semi fino alla mietitura, che non è lontana, cioè di lasciar andare il mondo e i giusti, ciascuno secondo le proprie inclinazioni e idee, fino al tempo in cui mieterà la terra e azionerà il torchio della sua ira (Sinite utraque crescere usque ad messem, v. 30); perché allora comincerà col cogliere la zizzania, che sarà facilmente riconoscibile, per gettarla nel fuoco, e raccoglierà il grano nel suo granaio (Et in tempore messis dicam messoribus: Colligite primùm zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum; triticum autem congregate in horreum meum, v. 30). – I servi del padre di famiglia non si accorsero subito della semina delle erbacce tra il grano; passò ancora del tempo; le erbacce dovevano crescere e farsi conoscere sviluppandosi. Fino ad allora c’era stata una tale somiglianza tra il bene e il male che si poteva a malapena distinguere, e ciò che era male era ritenuto buono; allo stesso modo i principi erronei che invasero il mondo nella quinta età sembravano venire dal cielo, mentre venivano dalla natura viziata e dall’inferno. Questa somiglianza ha ingannato e inganna ancora molti, anche i servi del padre di famiglia, il cui sonno letargico e colpevole ha permesso all’uomo nemico (inimicus homo) di diffondere questo seme detestabile.

(*)

La Sorella della Natività sostiene quanto abbiamo appena detto in vari passaggi delle sue rivelazioni:

T. 1, p. 291 « La filosofia moderna assumerà l’apparenza del rispetto per la religione; vorrà persino persuadere la gente che si tratta solo di proteggerla e di riportarla alla sua primitiva perfezione (È così vero che, dal 1789 in poi, come anche prima del 1830, si esaltano i buoni e poveri parroci di campagna, nello stesso tempo in cui si inveisce contro l’episcopato.). La devastazione di questa filosofia deve avere il suo tempo (cosicché il filosofismo non durerà fino alla fine), la Religione e la Chiesa sopravviveranno. Non tutto è senza speranza per lo stato religioso… Abbiamo, inoltre, la prima causa dell’umiliazione della Chiesa negli scandali e nella vita sregolata dei cattivi ecclesiastici. »

T. 2, p. 271: « I crimini di cui egli (J.-C.) sembrava più colpito … erano le infedeltà e le prevaricazioni dei cattivi sacerdoti … che profanano i Sacramenti, disonorano il suo sacerdozio, e fanno bestemmiare il suo santo Nome… Essi «hanno fatto furti dei beni della mia Chiesa… a spese dei poveri di cui hanno rubato la sussistenza, e hanno detto in cuor loro: Questi beni sono nostri senza alcuna colpa o usurpazione. »

T. 2, p. 77: « Vedo chiaramente nella Chiesa due partiti che stanno per desolare la Francia: l’uno è sotto il colpo della persecuzione, e l’altro sotto il colpo dell’anatema di Dio e della sua Chiesa. I due partiti si sono già collocati, uno a destra e l’altro a sinistra del loro giudice (Queste parole destra e sinistra sono abbastanza note e diffuse per sapere dove sono il bene e il male), e rappresentano sia il Paradiso che l’Inferno. Come sul Calvario, alcuni mi adorano – dice Gesù Cristo – altri mi insultano e mi crocifiggono; ma la mia passione trionferà sugli uni e farà trionfare gli altri. »

T. 4, p. 407. « Tutta la Chiesa è in azione per abbattere questo albero (l’albero della rivoluzione, di cui parleremo più avanti); vorrebbero sradicarlo, ma Io non lo voglio. I fedeli chiedono il mio aiuto con le loro preghiere e i loro gemiti accorati; le loro lacrime saranno ascoltate. Anticiperò il tempo di tagliare questo albero (Ciò concorda con le parole di Nostro Signore in San Matteo, capitolo XXIV, v. 22: Sed propter electos breviabuntur dies illi. ). » 

T. 2, p. 78 «Nel frattempo, lascio che la loro empia cabala renda alla loro odiosa memoria tutti gli onori dovuti al coraggio e alle belle azioni degli uomini virtuosi (Questo ci ricorda quell’ossario di canaglie e di empi moderni che si chiama Pantheon.); ma le cose cambieranno volto … la mia giustizia avrà il suo turno; essa trionferà su alcuni e farà trionfare altri (È la giustizia che probabilmente sarà esercitata, perché la misericordia e la grazia avranno resistito). Infine, la virtù oppressa deve apparire e prevalere; tutto deve tornare all’ordine.

T. 4, p. 400: « Dobbiamo essere pazienti per molto tempo; se il Signore tarda a venire in nostro soccorso, sottomettiamoci alla sua santa e adorabile volontà, e speriamo fermamente che prima o poi verrà. »

T. 4, p. 401: « Consoliamoci ancora una volta, quando l’ora del Signore sarà arrivata, siccome ha promesso che farà questo bel miracolo, tutto andrà bene (Il cambiamento in meglio sarà dunque un bel miracolo. Chi conosce lo stato attuale vedrà necessariamente un grande miracolo nel disegno generale della società). »

T. 1, p. 304: « La nuova costituzione apparirà a molti molto diversa da ciò che è; sarà benedetta come un dono del cielo, anche se è solo un dono dell’inferno che il cielo permette nella sua giusta collera; sarà solo dagli effetti che si sarà costretti a riconoscere questo dragone (si noti la conformità che ha la Suor della Natività con l’Apocalisse c. XII, v. 12, dove si parla del dragone che attacca la Chiesa.) che vuole distruggere e divorare tutto… La mia Chiesa che un giorno dovrà abbattere e distruggere il principio vizioso di questa costituzione ».

T. I ciechi si abbandonano ancora e si abbandoneranno già ad una gioia che sarà seguita da molte lacrime. « Essi benedicono una rivoluzione che è solo una punizione visibile. » Vantano la libertà quando toccano la schiavitù.  » *)

ARTICOLO III.

I. Abbiamo visto, nella quinta Chiesa, l’indebolimento e il crollo dello spirito cristiano nei Pastori e nei fedeli; nel quinto sigillo, il dominio dei malvagi e l’oppressione dei buoni, che è lo stato pubblico ed esterno del mondo; vedremo, nella quinta tromba, la condotta dei malvagi, che costituisce il primo male (V., Apoc. cap. VIII, v. 12; cap. IX, v. 12). Quando il quinto Angelo suona la tromba, una stella cade dal cielo sulla terra, e riceve la chiave del pozzo dell’abisso (Et quintus Angelus tuba cecinit, et vidi stellam de cælo cecidisse super terram, et data est ei clavis putei abyssi, Apoc. cap. IX, v. 1). Essa apre questo pozzo e fa uscire un fumo nero e denso come quello che sale da una grande fornace, e che oscura l’aria e il sole (Et aperuit puteum abyssi, et ascendit fumus putei sicut fumus fornacis magnæ; et obscurutus est sol et aer de fumo putei , ibid. v. 2). Da questo fumo le locuste escono e si spargono sulla terra, e ricevono un potere simile a quello dello scorpione (Et de fumo putei exierunt locustæ in terram, et data est illis potestas, sicut habent potestatem scorpiones terræ, ibid. v. 3). È loro proibito toccare il fieno della terra, qualsiasi cosa verde e gli alberi; ma hanno potere su coloro che non hanno il segno di Dio sulla fronte (Et præceptum est illis ne læderent fænum terræ, neque omne viride, neque omnem arborem, nisi tantùm homines qui non habent signum Dei in fronti bus suis, ibid. v. 4). Queste locuste però non hanno il potere di uccidere questi uomini, ma solo quello di tormentarli per cinque mesi; e i tormenti che fanno soffrire sono simili a quelli che si provano quando si viene punti da uno scorpione (Et datum est illis ne occiderent eos, sed ut cruciarent mensibus quinque, et cruciatus eorum ut cruciatus scorpionis, cùm percutit hominem, ibid. v. 5). – Questa stella che cade dal cielo è un prete, è Lutero. Era molto arrabbiato perché la Santa Sede non aveva incaricato l’ordine religioso di cui faceva parte di predicare le indulgenze in Germania, cosa che gli avrebbe permesso di farsi conoscere e di affermarsi, e insorse contro le indulgenze stesse. La logica, che è inflessibile quando i primi principi sono falsi, come quando sono veri, lo porta ad attaccare la soddisfazione, la penitenza, la contrizione ed il Sacramento istituito dal nostro divino Maestro per il perdono e la remissione dei peccati. Dopo questa negazione, non gli restava che, poiché ogni uomo pecca, anche il giusto, e poiché la santità e la giustizia di Dio sono infinite, negare a tutti la felicità eterna che è il fine della redenzione, e condannarli tutti alle fiamme eterne, rendendo vane le sofferenze e la soddisfazione del Salvatore; e, per evitare questa terribile conseguenza che nasce dalle premesse che ha posto, come dalla giustizia infinita di Dio, arriva a negare il peccato stesso; lo fa commettere dalla Divinità nell’uomo, in virtù del sistema irrazionale dell’indifferenza delle opere e della santificazione per la sola fede; e contraddicendosi poco dopo, riconoscendo l’esistenza del peccato, sostiene che Cristo lo ha cancellato per sempre con il suo sangue sulla croce, senza che l’uomo debba fare nulla per espiarlo. Rifiutando il purgatorio, egli basa la salvezza su una predestinazione gratuita, arbitraria, senza motivazioni, che non soffre alcun danno per i crimini che si commettono, e non può essere aiutata o procurata dalle buone opere che si fanno. Va anche oltre: Trova un bene nella perpetrazione del male, in quanto rende più efficace e abbondante la soddisfazione data da Gesù Cristo; addirittura spinge i suoi seguaci a peccare, a peccare fortemente, a peccare sempre, per rendere questa soddisfazione più eclatante; condanna la virtù, glorifica il vizio e, per dare lui stesso l’esempio, seduce una suora, la fa uscire dal suo convento e conclude la missione che il diavolo gli ha affidato, come finiscono le commedie, con un matrimonio che egli non contrae prima di divenire padre, assicurandosi che la sua femmina non sarà sterile. – Questo monaco focoso, bruciato dall’impurità, è citato davanti al tribunale di Roma; egli insorge contro di esso, ne nega il potere e si pone, egli che è il crimine e l’immondizia personificata, come superiore al Sovrano Pontefice, di cui nega la delega divina. Lo si cita davanti al tribunale del senso comune, del senso morale, e soprattutto davanti a quello della parola divina contenuta nelle Sacre Scritture; egli non comprende più questo senso comune, non sente più questo senso morale, sfigura il significato ovvio dei testi sacri, sopprime la maggior parte di quelli che lo confondono, e pone, come principio fondamentale ed essenziale della sua cosiddetta Riforma, che ogni individuo abbia il diritto, e persino il dovere di interpretare e spiegare i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento secondo il proprio capriccio, di farsi la propria religione, e così facendo distrugge l’unità di fede, morale e culto, cioè tutto ciò che costituisce la Religione. satana non era stato liberato sulla terra quando apparve quell’uomo vile e malvagio che divenne il suo strumento; egli era ancora nell’abisso che l’Angelo aveva chiuso su di lui (Apoc. XX:1, 2, 3); era dunque necessario che Lutero, per penetrare in esso e trarne fuori le mostruose dottrine, ricevesse la chiave dell’abisso e ne aprisse il pozzo. Lutero fece tutto questo; si spinse quasi fino al limite estremo del male; fece uscire da questo pozzo quegli errori, così numerosi e così terribili, che, come un fumo denso, si diffusero sull’Europa, oscurando il senso comune che è l’aria dell’uomo ragionevole, e la verità religiosa, che è il sole delle intelligenze. Era infine l’uomo nemico (inimicus homo) che supersemina la zizzania in mezzo al buon grano. Da questo oscuramento uscirono le locuste, che sono quei monaci, preti, pastori impudenti o avidi dei beni della terra, che, in così gran numero, seguirono la rivolta in Francia, Germania, Scandinavia, Inghilterra, Scozia, Danimarca, Svizzera; … questi governanti che volevano soddisfare tutte le loro passioni, liberarsi di tutti i vincoli, mettere le mani sui beni della Chiesa e aumentare il loro potere e la loro tirannia, diventando i capi e i padroni dei loro popoli nello spirituale come lo erano già nel temporale; e infine questo popolo che respirava solo dissolutezza e lussuria ed era impaziente di liberarsi da ogni legge, da ogni religione, da ogni dominio, da ogni pudore. Questi scagnozzi dell’inferno non potevano però distruggere la Chiesa di Gesù Cristo, perché non potevano toccare il fieno della terra che nutre le anime, tutto ciò che è verde perché ha la vita della grazia, e gli alberi che rappresentano la Gerarchia sacerdotale. Si limitavano a tormentare gli uomini, a pungerli, a farli soffrire. Per centocinquant’anni hanno afflitto l’Europa con le molte guerre che hanno istigato e che hanno condotto anche tra di loro. La desolazione era ovunque; cercavano la morte, la sospiravano per sfuggire a tanti mali, e la morte non veniva (Et in diebus illis quærent homines mortem, et non invenient eam, et desiderabunt mori, et fugiet mors ab eis, Apoc. cap. IX, v. 8). I riformati facevano tutte queste cose, perché erano bellicosi e guerrieri, sembravano cavalli preparati per la battaglia, sebbene fossero solo uomini; avevano addosso corazze di fuoco; il rumore delle loro ali era come quello di un gran numero di carri trainati da cavalli che corrono alla guerra; e portavano corone d’oro, che avevano preso dal bottino della terra, perché avevano il dominio su di essa e si erano fatti arbitri della verità e quindi loro stessi padroni (Et similitudines locustarum, similes equis paratis in prælium … et facies earum, tanquàm facies hominum, ibid, v. 7; et habebant loricas sicut loricas ferreas, et vox alarum earum sicut vox curruum equorum multorum currentium in bellum, ibid, v. 9; et super capita eorum coronæ similes auro, v. 7). Tuttavia, questi uomini che sembravano così induriti, e quindi così insensibili, si erano dati alla dissolutezza e a tutti i piaceri dei sensi; così che, pur avendo denti da leone, avevano i capelli delle donne (Et habebant capillos sicut capillos mulierum, et dentes earum sicut dentes leonum erant, v . 8 (Holzhauser – t . 1, p. 370, Wüilleret -, vede la forza in questi capelli di donna, perché sono lunghi. Questo non ci sembra ammissibile. La forza è rappresentata ben diversamente). Si potrebbe obiettare che se la stella che cade dal cielo fosse Lutero, il fondatore della Riforma, noi saremmo in contraddizione con noi stessi, perché, essendo egli un eretico, dovrebbe essere rappresentato dal cavallo nero del terzo sigillo; ma questa obiezione può essere respinta come insensata, se consideriamo il principio vitale e fondamentale del protestantesimo, che non è un’eresia propriamente detta, che non attacca questo o quel punto della Religione, lasciando intatti tutti gli altri, come hanno fatto tutti gli eresiarchi precedenti, ma è, al contrario, la protesta contro la verità, che permette la negazione di essa nella sua totalità, ponendo in luogo dell’autorità della Chiesa di Gesù Cristo, dell’utorità di Dio, quella della ragione individuale come arbitra e padrona del senso delle sacre Scritture, in modo tale che la Riforma è dunque esattamente rappresentata da questo fumo denso che sale dal pozzo dell’abisso e oscura l’aria e il sole, e, come conseguenza forzata, deve aver portato gli uomini al filosofismo, al razionalismo, cioè alla sovranità della ragione umana in tutto e ovunque, e al rovesciamento della sovranità di Dio.

II. Anche queste locuste, regnando per cinque mesi, forniscono circa centocinquanta giorni (o circa centocinquanta anni, prendendo un giorno per un anno come Ezechiele). E queste locuste, che regnarono per cinque mesi, che sono circa centocinquanta giorni (o circa centocinquanta anni, prendendo un giorno per un anno, come fa Ezechiele), avevano dietro di loro la coda dei filosofi e dei razionalisti simile alla coda di uno scorpione, che termina con un pungiglione. Queste code ricevettero il potere di nuocere agli uomini per altri cinque mesi, cioè altri centocinquanta anni (Et habebant caudas similes scorpionum, et aculei erant in caudis earum: et potestas earum nocere hominibus mensibus quinque, Apoc. cap. IX, v. 10). E infatti il filosofismo è iniziato sotto il regno di Luigi XIV, dopo la revoca dell’Editto di Nantes, e ha regnato incontrastato, senza una seria opposizione, fino al nostro secolo, il che non indica che sia finito negli ultimi venti o trenta anni; poiché, da un lato, le operazioni morali non si concludono in un giorno fisso; e dall’altro, vedremo presto che la contraddizione si è poi abbattuta su di essa, che gli oppositori le si sono coraggiosamente posti davanti, sono cresciuti e hanno posto il principio della sua sconfitta. La quinta tromba, quindi, concorda molto bene con la quinta Chiesa e il quinto sigillo nel caratterizzare questa pietosa quinta età e nel darle il tempo e la durata approssimativa che le assegniamo. Il venerabile Holzhauser, che condivide il nostro sentimento sulla quinta Chiesa, non fa lo stesso per quanto riguarda il quinto sigillo e la quinta tromba. Egli vede in questo sigillo (vol. 1, p. 281, ecc., Wüilleret) la continuazione delle persecuzioni romane da Traiano a Diocleziano. In questo, egli fa ingiustizia ai martiri di questo primo tempo, i quali, lungi dal lamentarsi della tribolazione che pesava su di essi, correvano con gioia alla morte, e avrebbero sacrificato per il Nome di Gesù Cristo mille vite, se le avessero avute; egli falsa la storia della Chiesa e gli annunci certi che essa possiede; Perché: 1° i tempi che devono fornire il complemento dei martiri sono quelli che saranno vicini alla fine del mondo, e non i due secoli che sono quasi nei primi giorni della Chiesa, e che non vedono nemmeno la fine delle persecuzioni romane, che ne formano, propriamente parlando, una sola, quella del Paganesimo. 2. D’altra parte, l’ultima persecuzione, che fu così forte e durò così a lungo da poter essere considerata come il complemento di quelle dei primi tempi, non si trova nelle supposizioni di Holzhauser. – Per quanto riguarda la quinta tromba, egli sostiene (vol. 1, p. 347, ecc., Wüilleret) che essa rappresenti l’arianesimo e i popoli barbari che, avendo adottato questa eresia, infestarono l’impero romano fino all’anno 527 della nostra era. In questo si contraddice, poiché aveva già visto Ario nella prima tromba; e pone un’impossibilità cronologica, poiché questa eresia, essendo nata nel quarto secolo, e dovendo, secondo lui, durare trecento anni (la somma dei centocinquanta anni delle locuste e dei centocinquanta anni delle loro code), avrebbe dovuto finire solo nel settimo secolo, e non nell’anno 527, che appartiene al sesto. Malgrado questa divergenza, Holzhauser (t. 1, p. 161, Wüilleret) paragona gli eretici della quinta età alle cavallette in cui vede più tardi l’imperatore Valente e gli ariani).

III. Dopo aver parlato delle locuste e del loro regno, delle loro code e del tempo del loro potere, San Giovanni aggiunge che esse avevano per re l’Angelo (l’Inviato) dell’abisso, chiamato in ebraico Abaddon, in greco Apollyon e in latino Exterminans, ossia lo Sterminatore (Et habebant super se regem Angelum abyssi, cui nomen hebraïce è Abaddon, græce autem Apollyon, latine habens nomen Exterminans, Apoc . cap. IX, v. 10, 11). Quando arriva da loro questo re? Il Profeta parla di lui solo quando ha fatto la storia delle locuste e delle loro code, il che autorizza a pensare che arrivi dopo le locuste e negli ultimi giorni del potere delle loro code. – Un re non è solo il capo e il conduttore del suo popolo; è anche il suo domatore, il correttore, il suo padrone; gli ordina di fare le cose che non farebbe da solo. Così questo re, che sarà l’angelo, l’Inviato dell’Abisso, addomesticherà e disciplinerà queste locuste e code indipendenti che non riconosceranno alcuna autorità, alcuna superiorità, e che, in aperta rivolta contro i poteri legittimi e regolari, si abbasseranno servilmente davanti ad un potere diverso, uscito da mezzo ad essi. Come si chiama questo re? Egli è chiamato lo Sterminatore, che è tradotto in ebraico come Abaddon, e in greco come Apollyon. In questo ritratto, in questa storia, non possiamo non riconoscere colui che, alla fine del secolo scorso e nei primi quindici anni del nostro (Napoleon – ndr.), trovando la rivoluzione e l’anarchia al potere, le ha domate, disciplinate, irreggimentate, ha dato loro una gerarchia, un’organizzazione, persino una nobiltà, e ha portato un certo ordine esterno da ciò che era in se stesso anche il disordine. Tutto il mondo lo ha conosciuto, perché nessun uomo è stato grande come lui. Il suo nome si è diffuso in tutto il mondo, dallo stretto di Behring alla Terra del Fuoco, dal Giappone fino al Messico. Egli fece la guerra, da solo o con i suoi luogotenenti, nelle quattro parti della terra. Alessandro, Annibale, Cesare, i più grandi capitani dell’antichità, Tamerlano, Maometto II, Solimano, Gengis-Kan hanno conquistato, come lui, molti paesi; ma nessuno di loro ha, in così poco tempo, combattuto così tante battaglie, ottenuto così tante vittorie e ucciso così tanti uomini. Salito dall’abisso, cioè dai ranghi dei filosofi e dei rivoluzionari, sarebbe forse arrivato allo scisma dichiarato dopo la prigionia del Santo Padre; ma egli aveva uno spirito di giustizia e un forte istinto d’autorità e d’ordine per giungere all’eresia. La lettera che precede il suo nome, lo inizia e lo completa, non crea un nuovo nome; indica soltanto che è lo sterminatore dei tempi moderni; poiché ce ne sono stati in diverse epoche della Chiesa, e la sua scomparsa dalla scena del mondo segna la fine del primo “guai” – Apoc. cap. IX, v. 12) (Væ unum abiit (Holzhauser – t. 1, p. 381 a 383 Wüilleret – vede in questo sterminatore Lutero, e vede Lutero di nuovo nel sesto Angelo che viene dopo nello stesso capitolo IX, v. 13, e che arriva solo quando il primo “guai” è passato, e lo sterminatore non c’è più. Tutto questo è contraddittorio. Una cosa esclude l’altra).

ARTICOLO IV.

La quinta lode, l’onore (honorem, cap. V, v. 12), è appropriata alla quinta età. Era giusto che il cielo e i fedeli della terra lo restituissero all’Agnello per compensarlo degli insulti, dei disprezzi e delle bestemmie che venivano vomitati contro di Lui da ogni parte.

ARTICOLO V.

Non è solo l’Apocalisse che caratterizza così deplorevolmente le ultime tre età della Chiesa, tranne la parte che costituisce la Chiesa di Filadelfia, e tra le altre la quinta età di cui ci siamo occupati in questo capitolo. Alcuni passi delle Lettere degli Apostoli fanno lo stesso, e corroborano la profezia di San Giovanni. – È certo che ci sia una correlazione necessaria tra il clero e il popolo. Se il primo è tiepido e pigro, il secondo lo sarà ancora di più e diventerà indifferente. Se i primi si comportano secondo le vedute umane, o come un buon padre di famiglia al quale, nell’interesse dei suoi figli, è permesso avere una certa ambizione, cercare i beni della terra, procurarsi l’agio, la comodità e qualche piacere, il popolo che lo imita, andrà più lontano di lui, perderà di vista i consigli e i precetti del Salvatore, e diventerà apostata. La quinta Chiesa ci rivela il raffreddamento e l’indebolimento del sacerdozio. Il quinto sigillo ci mostra il dominio del male e l’oppressione del bene, e la quinta tromba ci mostra il completo trionfo dell’apostasia e del razionalismo. San Paolo annunciò tutte queste cose, quando disse ai Tessalonicesi (II Ep ., cap. II, v. 3): « Non lasciatevi ingannare da nessuno, perché la seconda venuta del Figlio dell’uomo non arriverà finché non avrà luogo prima l’apostasia, e poi l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, sarà rivelato. (Ne quis vos seducat ullo modo, quoniam nisi venerit discessio primùm, et revelatus fuerit homo peccati, filius perditionis). – Nel primo capitolo della sua Epistola ai Romani, lo stesso Apostolo dipinge un quadro molto simile della nostra epoca e dei tempi che la seguiranno, quando dice: « Dio li ha abbandonati al loro senso reprobo, così che fanno ciò che non è giusto. Sono pieni di ogni sorta di iniquità, di malizia, di fornicazioni, di avidità, di malvagità, di invidia, di omicidi, di contesa, di frode, di malignità; sono mormoratori, detrattori, odiosi ed odiatori, ribaldi, orgogliosi, gonfi, inventori di cose malvagie, disobbedienti ai loro genitori; senza sapienza, senza ritegno, senza affetto, senza parola, senza misericordia » (Tradidit illos Deus in sensum reprobum , ut faciant eu quæ non conveniunt, v. 28; repleti omni iniquitate, malitia, fornicatione, avaritia, nequitia, plenos invidiaæ, homicidio, contentione, dolo, malignitate, susurrones, v. 29; detractores, odibiles, contumeliosos, superbos, elatos, inventores malorum, parenti bus non obedientes, v. 30; insipientes, incompositos, sine affectione, absque foedere, sine misericordia, v. 31).  – L’Apostolo non biasimava solo coloro che vivevano nei primi tempi della Chiesa, ma anche coloro che, avendo poi posseduto la verità, l’avrebbero apostatizzata nei secoli successivi (Qui enim justitiam Dei cognovissent, non intellexerunt quoniam qui talia agunt digni sunt morte – Coloro che, avendo conosciuto la giustizia di Dio, non compresero che coloro che fanno tali cose sono degni di morte); e includeva tra i colpevoli sia quelli che fanno il male, sia quelli che vi aderiscono direttamente o indirettamente con la loro negligenza e debolezza (Et non solùm qui ea faciunt, sed etiam qui consentiunt facientibus. v. 31). Se queste parole sono applicabili a tutte le epoche, ne è altrimenti con quelle che San Paolo rivolge ai Colossesi, cap. II, v. 8, dove parla di quella filosofia menzognera che ha regnato per più di un secolo, e di cui abbiamo ancora l’estremo della coda (Videte ne quis vos decipiat per philosophiam et inanem fallaciam secundum traditionem hominum, secundum elementa mundi, et non secundùm Christum – Badate che nessuno vi inganni con la filosofia e il vano inganno secondo le tradizioni degli uomini, con gli elementi del mondo, ma non secondo Cristo). Né si poptrà applicare ad alcuna epoca che precede la quinta l’avvertimento che San Paolo dà al suo discepolo Timoteo nella seconda epistola, cap. III, v. 1 a 6, nei seguenti termini, ripetizione delle parole che egli indirizzava ai Romani: « Hoc autem scito, quòd in novissimis diebus instabunt tempora periculosa: erunt homi nes seipsum amantes, cupidi, elati, superbi, blasphemi, parentibus non obedientes, ingrati, scelesti, sine affectione, sine pace, criminatores, incontinentes, immites, sine benignitate, proditores, protervi, tumidi, et volup tatum amatores magis quàm Dei; habentes speciem quidem pietatis, virtutem autem ejus abnegantes – Sappiate che negli ultimi giorni verranno tempi molto pericolosi. Gli uomini saranno amanti di se stessi, avari, orgogliosi, bestemmiatori, disobbedienti ai loro genitori, ingrati, senza affetto, senza fede, calunniatori, intemperanti, disumani, senza amore del bene, traditori, leggeri, pieni di orgoglio, amanti del piacere più di Dio, pii in apparenza, ma rifiutando la verità e la virtù.» – San Pietro parla allo stesso modo degli ultimi secoli del mondo, quando dice, nella sua 2a Epistola, cap. III, v. 3: « Hoc primùm scientes quòd venient in novissimis diebus in deceptione illusores, juxtà proprias concupiscentias ambulantes – Sappiate prima che verranno, negli ultimi giorni, uomini abili nell’inganno, secondo le proprie concupiscenze »; li aveva già così raffigurati nella stessa Epistola, cap. II, v. 10 – 22; e San Giuda rinnova questo annuncio nella sua Epistola cattolica, vv. 12-19. – Tali saranno gli ultimi tempi e la maggior parte degli spiriti, come dissero gli Apostoli divinamente ispirati più di milleottocento anni fa. Tali sono nella quinta età, secondo l’Apocalisse di San Giovanni; tali sono anche gli uomini in seguito allo stabilimento della Riforma fino ad oggi. L’empietà e la seduzione sono ovunque. I popoli smarriti hanno perso l’orientamento e non sanno cosa sono né dove vanno, in mezzo a questo diluvio di sofismi. Un gran numero di falsi profeti è sorto, professando dottrine in apparenza filantropiche, ma che sono molto perniciose (Et multi pseudoprophetæ surgent et seducent multos, Ev. Matth. XXIV, v. 11), e poiché l’iniquità abbondò, la carità di molti si raffreddò (Et quoniam abundavit iniquitas, refrigescet charitas multorum, ibid. 12). Ciò che distingue gli studiosi del nostro tempo non è il traviamento della mente, ma la perversione del cuore e la ribellione della volontà. La verità li illumina da tutte le parti e li abbaglia; ha dato loro le sue prove, la prima e più forte delle quali è la sua esistenza, da più di milleottocento anni, in mezzo ad un mondo che la respinge istintivamente, e che è costretto a subirla perché viene dal cielo; e questi sventurati si fanno volontariamente una verità fabbricata, che è una menzogna manifesta che essi giudicano in cuor loro essere tale, ma che sostengono per odio contro Dio ed il suo Cristo, finché il buon senso li costringe a ritirarla. Lungi dal tornare alla Chiesa quando si vedono così abbandonati, essi corrono dietro ad altri sistemi, altre dottrine, altre menzogne, ed è a loro che si possono applicare queste parole di San Paolo a Timoteo: «Semper discentes, et nunquàm ad scientiam veritatis pervenientes. Quemadmodùm autem Jannes et Mambres restiterunt Moysi, ità et hi resistunt veritati, homines corrupti mente, reprobi circà fidem – Gente sempre discente, e che non arriva mai alla verità. Come Jannės e Mambres hanno resistito a Moyes, così questi uomini resistono alla verità; sono corrotti nella mente e nel cuore, riprovati nella fede. », v. 7 e 8. (Holzhauser applica, come noi, agli uomini della quinta età le parole di San Giuda, Epit. cath. v. 12 a 19, che sono la ripetizione di quelle degli altri Apostoli – t. 1, p. 158, Wüilleret).

(*)

Nel volume 1, da p. 264 a 267, la Suora della Natività si esprime come segue:  « Abbatterò, dice Gesù Cristo, abbatterò questa superbia audace… Questa superbia, la più insopportabile ai miei occhi, non è di natura ordinaria, come quella di un uomo che si vanti dei suoi talenti o della sua ricchezza. Questa è solo una piccola gloria che non ha quasi nulla a che vedere con l’orgoglio che attacca Dio stesso per contestare i suoi diritti e rifiutargli obbedienza; infatti, questo tipo di orgoglio è della stessa natura di quello che in cielo sollevò Lucifero “contro l’Altissimo… e che deve caratterizzare la rivolta dell’anticristo, che già anima e ha sempre animato i suoi precursori. – Questa superbia è di natura tale da lusingare e corrompere i sensi, da incantare l’immaginazione, da abbagliare la ragione e l’intendimento … Sempre incline alla novità, e disposta all’errore, si fa … dei sistemi di libertinaggio e di empietà. L’evidenza può pure colpire i suoi occhi, la verità può tentare il suo cuore, ma essa non si convince … chiude gli occhi alla luce … e continua a combattere ostinatamente contro la verità come il più terribile insulto allo Spirito di Dio… Sì, questi mostri, credono di essere religiosi profanando i templi, e distruggendo la religione… Si glorieranno del nome di patrioti, rovesciando tutte le leggi civili che costituiscono la sicurezza della patria, tutti i principi del patriottismo e dell’umanità. Il massacro stesso dei cittadini e dei ministri della Religione sarà, per questi volontari ciechi, un atto religioso; e il rovesciamento di tutte le leggi il più sacro dei doveri. Questo è quanto risuona nelle parole seguite da tutti i partiti rivoluzionari (naturalmente, quando non dominano): « L’insurrezione è il più sacro dei doveri. » – La parola patriota non era ancora usata quando, diversi anni prima del 1789, la Suora dettò questo passaggio. » *)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (7)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2021)

FESTA DELL’IMMACOLATA CONCEZIONE (2021)

(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)

Doppio di 1a classe. – Paramenti bianchi.

Festa di precetto.

Avendo da tutta l’eternità deciso di fare di Maria la Madre del Verbo Incarnato (Ep.), Dio volle che dal primo istante del suo concepimento Ella schiacciasse la testa del serpente, e la circondò di un ornamento di santità (Intr.) e fece della sua anima, che preservò da ogni macchia, un’abitazione degna del suo figliuolo (Oraz.). La festa dell’Immacolata Concezione si celebrava nel sec. VIII in Oriente il 9 dicembre; nel sec. IX in Irlanda il 3 maggio e nell’XI sec. in Inghilterra l’8 dicembre. I benedettini con S. Anselmo, e i francescani con Duns Scoto (+ 1308) si dimostrarono favorevoli alla festa dell’Immacolata Concezione, celebrata dal 1128 nei monasteri anglo sassoni. Nel sec. XV papa Sisto IV, fece costruire nel Vaticano la cappella Sistina in onore della Concezione della Vergine. E l’8 dic. 1854 Pio IX proclamò ufficialmente questo grande dogma; interpretando la tradizione cristiana, sintetizzata dalle parole dell’Angelo: « Ave Maria, piena di grazia, il Signore è teco ». ( Vang.) « Sei tutta bella, o Maria, e macchia originale non è in te » dice con grande verità il verso alleluiatico. Come l’aurora, messaggera dei giorno, Maria precede l’astro che ben presto illuminerà il mondo delle anime. (Com.). Ella introduce nel mondo suo Figlio e per la prima volta si presenta nel ciclo liturgico. Domandiamo a Dio di « guarirci e di purificarci da tutti i nostri peccati » (Secr. e Post.), affinché siamo resi più degni di accogliere Gesù nei nostri cuori.

Incipit

In nómine Patris, ✠ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Is LXI: 10
Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ha ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.


Ps XXIX: 2
Exaltábo te, Dómine, quóniam suscepísti me: nec delectásti inimícos meos super me.

[Ti esalterò, o Signore, perché mi hai rialzato: e non hai permesso ai miei nemici di rallegrarsi del mio danno.]


Gaudens gaudébo in Dómino, et exsultábit ánima mea in Deo meo: quia índuit me vestiméntis salútis: et induménto justítiæ circúmdedit me, quasi sponsam ornátam monílibus suis.

[Mi rallegrerò nel Signore, e l’ànima mia esulterà nel mio Dio: perché mi ha rivestita di una veste di salvezza e mi ha ornata del manto della giustizia, come sposa adorna dei suoi gioielli.]

Oratio

Orémus.
Deus, qui per immaculátam Vírginis Conceptiónem dignum Fílio tuo habitáculum præparásti: quǽsumus; ut, qui ex morte ejúsdem Filii tui prævísa eam ab omni labe præservásti, nos quoque mundos ejus intercessióne ad te perveníre concédas.

[O Dio, che mediante l’Immacolata Concezione della Vergine preparasti al Figlio tuo una degna dimora: Ti preghiamo: come, in previsione della morte del tuo stesso Figlio, preservasti lei da ogni macchia, cosí concedi anche a noi, per sua intercessione, di giungere a Te purificati.]

Lectio

Léctio libri Sapiéntiæ
Prov VIII: 22-35
Dóminus possedit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio. Ab ætérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret. Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat et flúmina et cárdines orbis terræ. Quando præparábat coelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando æthera firmábat sursum et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terræ. Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciæ meæ esse cum filiis hóminum. Nunc ergo, filii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. Beátus homo, qui audit me et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. Qui me invénerit, invéniet vitam et háuriet salútem a Dómino.

[Il Signore mi possedette dal principio delle sue azioni, prima delle sue opere, fin d’allora. Fui stabilita dall’eternità e fin dalle origini, prima che fosse fatta la terra. Non erano ancora gli abissi e io ero già concepita: non scaturivano ancora le fonti delle acque: i monti non posavano ancora nella loro grave mole; io ero generata prima che le colline: non era ancora fatta la terra, né i fiumi, né i càrdini del mondo. Quando preparava i cieli, io ero presente: quando cingeva con la volta gli abissi: quando in alto dava consistenza alle nubi e in basso dava forza alle sorgenti delle acque: quando fissava i confini dei mari e stabiliva che le acque non superassero i loro limiti: quando gettava le fondamenta della terra. Ero con Lui e mi dilettava ogni giorno e mi ricreavo in sua presenza e mi ricreavo nell’universo: e le mie delizie sono lo stare con i figli degli uomini. Dunque, o figli, ascoltatemi: Beati quelli che battono le mie vie. Udite l’insegnamento, siate saggi e non rigettatelo: Beato l’uomo che mi ascolta e veglia ogni giorno all’ingresso della mia casa, e sta attento sul limitare della mia porta. Chi troverà me, troverà la vita e riceverà la salvezza dal Signore.]

Graduale

Judith XIII: 23
Benedícta es tu, Virgo María, a Dómino, Deo excélso, præ ómnibus muliéribus super terram.

[Benedetta sei tu, o Vergine Maria, dal Signore Iddio Altissimo, piú che tutte le donne della terra].

Judith XV: 10
Tu glória Jerúsalem, tu lætítia Israël, tu honorificéntia pópuli nostri. Allelúja, allelúja

[Tu sei la gloria di Gerusalemme, tu l’allegrezza di Israele, tu l’onore del nostro popolo. Allelúia, allelúia]

Cant. IV: 7
Tota pulchra es, María: et mácula originális non est in te. Allelúja.

[Sei tutta bella, o Maria: e in te non v’è macchia originale. Allelúia].

Evangelium

Sequéntia +︎ sancti Evangélii secúndum Lucam
Luc I: 26-28
In illo témpore: Missus est Angelus Gábriël a Deo in civitátem Galilææ, cui nomen Názareth, ad Vírginem desponsátam viro, cui nomen erat Joseph, de domo David, et nomen Vírginis María. Et ingréssus Angelus ad eam, dixit: Ave, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus.

[In quel tempo: Fu mandato da Dio l’Àngelo Gabriele in una città della Galilea chiamata Nàzaret, ad una Vergine sposata ad un uomo della casa di David, di nome Giuseppe, e la Vergine si chiamava Maria. Ed entrato da lei, l’Àngelo disse: Ave, piena di grazia: il Signore è con te: Benedetta tu fra le donne.]

OMELIA

[J. B.- Bossuet: La Madonna, discorsi nelle sue feste – trad. F. Bosio; 1944 – V. Gatti ed. Brescia].

IMMACOLATA CONCEZIONE – I DISCORSO

Sulla devozione alla Vergine

(Predicato davanti ai Reali a S. Germano 8 dicembre 1669)

Fecit mihi magna qui potens est.

Non intendo tenervi oggi un discorso, voglio fare una istruzione molto semplice e pratica sulla devozione alla Vergine Santa, per mostrarvi chiaramente le grandi utilità che da essa possono venire all’anima cristiana. Insieme però voglio mostrarvi come certe pratiche, che si vogliono dir pie e devote, sono invece una vera e propria corruzione di questa devozione. Non vi annoio con un esordio, ma entro subito in argomento: la mia istruzione la divido in due punti: nel primo fisserò le vere basi della devozione a Maria: nel secondo mostrerò le regole sicure ed immutabili che devono guidare l’anima cristiana in questa pratica di eccellente pietà. Frutto sarà per noi aver imparato ad onorare cristianamente la Vergine, non solo nella solennità d’oggi o nelle feste che ci vengono segnate dalla liturgia durante l’anno, ma in ogni giorno della nostra vita cristiana. – La Concezione della Vergine è il primo incontro nostro con Maria nostra Madre, che seguiremo con perseveranza in tutti i misteri che si compiono e svolgono in Lei. Vi dico questo, perché voglio che i sentimenti di devozione vostri siano degni dell’anima cristiana e che la vostra devozione si basi sulle massime del Vangelo. Vi prego, fratelli, di non oppormi che il piano è troppo vasto, e che avreste preferito un discorso più legato al soggetto della festa d’oggi: La Concezione della Vergine. Ricordate, fratelli carissimi, che l’utilità delle anime, figlie di Dio, è la legge suprema che governa il pulpito! – È vero, io potevo benissimo scegliere un argomento più stretto alla solennità d’oggi, ma non dovete però negarmi che nessun argomento potrà essere più fecondo di bene, per l’uditorio regale che mi sta dinanzi, che questa istruzione pratica. Siate dunque cortesi ed ascoltatemi attentamente mentre vi espongo il fondamento e la pratica della devozione a Maria.

I° punto.

Nella sua lettera ai Corinti, S. Paolo ci avverte che « nessuno può porre altro fondamento da quello posto: Cristo Gesù ». Obbedienti alla parola dell’Apostolo, poniamo fondamento e base della devozione nostra alla Vergine, Gesù il suo Figlio divino! Chi mai, fratelli, potrà onorare degnamente Maria dopo che, prodigiosamente feconda, abbracciò come suo Figlio il Figlio stesso di Dio? In alto i cuori, in alto le nostre menti: contempliamo la grandezza sublime della vocazione di Maria, destinata ab æterno da Dio per esser la portatrice di Cristo al mondo. Ricordiamo, fratelli, che Dio, chiamandola a questa sublime missione, non intese fare di Lei uno strumento cieco, un canale di questa sua opera di misericordia, la redenzione, ma la volle agente volontario che vi contribuisse fattivamente non solo per le sue mirabili qualità, ma per un atto vero e proprio di volontà. Ecco perché quando l’Angelo viene ad annunciare il disegno divino, il mistero non si compie fino a che Maria rimane incerta. La grande opera della Redenzione che da secoli tiene in ansiosa attesa mille popoli, anche quando il momento segnato da Dio Padre è giunto… rimane ancora sospesa fino a che la Vergine non abbia detto il suo: fiat mihi!… Quanto era necessario per noi uomini, questa volontà di Maria per la nostra salvezza! Ma, Ella appena pronuncia l’umile suo « fiat » — i cieli si aprono… il Verbo si fa carne, gli uomini hanno un Salvatore. La carità di Maria fu dunque, mi esprimerò così, la sorgente feconda da cui l’onda della grazia cominciò il suo corso per versarsi abbondante su tutta la natura umana. E, come dice S. Ambrogio, e dopo di lui S. Tommaso, « Uterus Mariæ, spiritu ferventi, qui supervenit in eam, replevit orbem terrarum cum peperit Salvatorem » (Della Verginità, XII). E S. Tommaso: Maria ebbe tanta pienezza di grazia da innalzarsi vicinissima. all’Autore stesso della grazia, così da ricevere in sè Lui ch’è pieno d’ogni grazia… partorendolo poi, comunicò in certo modo la grazia a tutti gli uomini (Som., p. III, qst. 27). Tantam gratiæ obtinuit plenitudinem, ut esset propinquissima auctori gratiæ; ita quod eum, qui est plenus omni gratia, in se reciperet, ei eum pariendo, quodammodo gratiam ad omnes derivare. Fu dunque necessario, Cristiani miei, che Maria concorresse colla sua carità perché il mondo avesse il — Liberatore —. Verità troppo nota questa: mi dispenso dallo spiegarla di più; ma insisto invece su di una conseguenza che forse non avete mai meditata, o certo non abbastanza: ed è questa: una sola volta Dio volle darci il Salvatore per mezzo della Vergine; e la sua volontà si muterà mai, perché Dio mai non si pente d’aver prodigato i suoi doni. Rimane allora fissa ed immutabile questa verità: avendo noi ricevuto per Maria il principio universale della grazia, Ella coopererà fattivamente in tutte le applicazioni della grazia agli uomini qualunque sia lo stato in cui si trovano. Nell’amor suo materno, la Vergine contribuì tanto all’opera della nostra redenzione, nel mistero della incarnazione, centro irradiatore della grazia, che è necessario Ella continui questa sua cooperazione in tutte le altre operazioni che non sono che logica conseguenza della redenzione. La teologia insegna che la grazia di Gesù Cristo ha in particolare tre operazioni: Dio chiama —Dio giustifica — Dio fa che perseveriamo. — Vocazione, giustificazione, perseveranza. La vocazione rappresenta il nostro primo muoverci; la giustificazione il progresso nostro nella via della salute, la perseveranza ci fa giungere alla fine della nostra giornata facendoci gustare quello che in terra non è possibile: il riposo e la vera gloria! Nessuna di queste tre fasi del nostro cammino spirituale è possibile senza che c’entri Gesù Cristo, anzi senza di Lui: ma le Scritture ci danno diritto a dire che con Lui c’entra anche Maria. Vi dico che le Scritture sante insegnano queste verità, e mi è facilissimo dimostrarvelo. La grazia della vocazione ci è raffigurata nel Vangelo, nella luce con cui, ancor nel seno materno, fu illuminato il precursore. Studiate bene questo miracolo e ci vedrete chiara l’immagine del peccatore invitato a salute. Il buio del seno materno avvolge Giovanni… quale notte non ti circonda o fratello mio, quando sei schiavo del peccato? qual notte, quali tenebre! Nulla può vedere, sentire il Battista nel seno materno: la tua cecità, la tua sordità, o peccatore, sono tali e quali: il cielo inutilmente grida al tuo orecchio con minacce terribili… la verità stessa, che tanto luminosamente brilla nel Vangelo, non riesce a rischiararti! – Ecco, senza che il Battista vi pensi né lo chiami, Gesù viene a lui: lo previene, lo sveglia », parla al suo cuore… scuote questo cuore addormentato fino allora insensibile. Oh non ci fa, questa scena, pensare, o fratelli al gesto con cui Dio nella sua bontà ci mosse a buoni affetti e pensieri, toccandoci del tocco del suo Spirito? Una luce improvvisa e sfolgorante alla quale, non si poteva fuggire, squarciò le tenebre del nostro cuore e della mente come un lampo! Colla luce un qualche cosa, che noi stessi non sapevamo che fosse, ci toccò al cuore!… Dio? … Dio? … non lo cercavamo, volevamo staccarcene di più anzi …  Egli invece ci si avvicinava e ci chiamava a penitenza! Ah è Dio che in mezzo al frastuono di gioie e di piaceri pone nella gioia, nel piacere tanto bramati, quelle gocce di amaro disgusto, che inquietano il cuore nel letargo pauroso che si vuol dire pace. È Dio che grida: Torna, torna ai pensieri ed agli amori di una volta! – La presenza di Gesù fa sussultare il Battista nelle viscere materne… Maria concorse a quest’opera misteriosa, lo dice Elisabetta sua madre: appena la tua voce sonò al mio orecchio, il fanciullo sussultò nel mio seno! S. Ambrogio scrive: « (Maria) levavit Joannem in utero constitutum, qui ad vocem eius exilivit… prius sensu devotionis, quam spiritus infusione vitalis animatus ». — Fu Maria che elevò Giovanni al di sopra della natura, quando ancora era chiuso nel seno di sua madre: tocco il fanciullo dal suono della sua voce, fu attratto da un influsso di pietà prima che ancora dilatasse la bocca per respirare l’aria che dà la vita.E continua lo stesso S. Ambrogio, dicendo che la grazia, di cui era ripiena Maria, era tanto grande ed in tal misura, che non solo conservò in Lei il privilegio di una verginità senza pari, ma quanti Ella avvicinava segnava del segno della innocenza.— Cuius tanta gratia, ut non solum in sè virginitatis gratiam reservaret; sed etiam in his quos viseret integritatis signum conferret…. (Della Virg. c. VII). Alla voce di Maria esultò il fanciullo: prevenuto prima di esser nato: qual meraviglia che abbia poi custodito una grande integrità di vita, questo fanciullo, che Maria, stata per tre mesi in casa di Elisabetta, aveva unto quasi dell’olio profumato della sua presenza e della sua purità? — Ad vocem Mariæ exultavit infantulus, obsequeutus ante quam genitus! Nec inumerito mansit integer cor pore, quem oleo quodam suæ præsentiæ et integritatis unguento, Domini Mater exercuit. Vediamo ora dove e come venga rappresentata la giustificazione. Gli Apostoli vengono con Gesù alle nozze di Cana: essi sono il soggetto di questa opera del Cristo. Ma leggiamo il Vangelo, e vediamo con quali parole chiude la narrazione…: questo fu il primo miracolo di Gesù, fatto in Cana di Galilea, col quale si manifestò, ed i suoi discepoli credettero in Lui. Erano già stati chiamati alla sequela di Gesù i dodici: ma la loro fede nel Maestro era ancor morta, non era capace di produrre quella giustificazione, della quale parla S. Paolo, ricordando Abramo che credette, e questo gli fu riputato a giustizia. (Ad Rom.). Non basta, intendiamoci, la fede alla giustificazione: ma, come insegna il Concilio di Trento, essa è come la radice, il principio della grazia. Vedete bene come in termini più precisi e chiari il Vangelo non poteva esprimere il fatto della grazia santificante… né però poteva meglio dichiararci quale parte vi ebbe Maria. Questo primo miracolo, su cui si fondò la fede dei discepoli nel Maestro, lo sappiamo tutti che fu ottenuto dalle preghiere e dall’interessamento di Maria compassionevole verso i poveri sposi! Gesù quasi la rimprovera per una tale premura:« quid mihi et tibi mulier? non è ancor giunta la mia ora ».Le parole non sono proprio tali da lasciar sperare, anzi suonano come un bel — non me ne curo,— Maria però non le intende così. Ella conosce bene i ritardi misericordiosi, i rifiuti e le fughe misteriose dello Sposo delle anime: conosce gli abbandoni con cui talvolta le prova e sa che tutto questo è mezzo con cui Egli vuol provare ed esercitare le anime a Lui care nell’umiltà, nella costante fiducia nella preghiera. Maria, ce lo dice il fatto, non s’è ingannata! e che non poteva Ella ottenere da un figliolo che nulla le sa negare?… e cosa non le concederà, dice S. Grisostomo, quando avrà accanto nella sua gloria quella Madre alla cui preghiera anticipò l’ora della rivelazione della sua potenza divina? Come non rifletteremo, Cristiani miei, con gioia a questo particolare: Gesù non volle fare il suo primo miracolo se non dietro la preghiera di sua Madre! E ricordiamo bene di quel miracolo… un miracolo che proprio proprio non era il più necessario: che necessità c’era del vino a quel banchetto?…era già sulla fine… avevano già bevuto abbastanza i commensali… Maria lo desidera lo domanda e basta: Gesù lo compie. Vedete però insieme come la Vergine s’interponga, intervenga in un modo molto efficace in questo fatto che è viva immagine della giustificazione del peccatore. Non fu certo a caso… fu lo Spirito Santo che voleva farci intendere una grande verità. S. Agostino ce la mostra questa verità quando alla considerazione di questo mistero scrive che Maria col suo amore cooperò alla nascita spirituale dei figliuoli di Dio — …carne mater Capitis nostri, spiritu mater membrorum eius quia cooperata est charitate ut filii Dei nascerentur in Ecclesia. Mirate fratelli l’accordo che c’è tra noi e quelli che studiarono questo mistero fino dai primi secoli della Chiesa, e prima di noi studiarono ed interpretarono la Sacra Scrittura! Ma io non dico: basta! non basta che Maria abbia cooperato alla nascita dei figli di Dio alla loro giustificazione… Gesù dà ad essi la perseveranza! Vi ha, Maria, parte in quest’opera di amore che assicura all’anima la vita eterna? Oh sì e quanta!… Venite figli della grazia misericordiosa del Signore… figli dell’adozione e della predestinazione eterna, anime che fedeli volete seguire costanti il Salvatore, fino alla fine della vita che lo porta nella gloria, venite e presto accorrete alla Vergine, ricorrete a Lei e con tutte le altre anime ricoveratevi sotto l’ali materne del suo amore! Io le vedo queste anime, e vedo che Giovanni, il discepolo prediletto, me le rappresenta in un modo mirabile là al Calvario. Gli altri discepoli hanno cessato dal seguire Gesù: vedendolo trascinare ai tribunali sono fuggiti: Giovanni solo con Maria segue Gesù fino alla croce: attaccato a questo legno di vita, davvero egli è pronto a morire col Maestro: ecco perché vi dico che è l’immagine delle anime perseveranti. Osservate: Giovanni ha seguito Gesù fino alla croce e Gesù lo consegna, quasi un dono, a sua Madre: Mulier ecce filius tuus! Fratelli ho mantenuto la mia parola: Tutti coloro che sanno bene leggere le parole spesso misteriose dei Libri santi, conoscono bene che dagli esempi recativi Maria si rivela colla sua intercessione ed amore la Madre dei — chiamati — dei giustificati, dei perseveranti — e tutti ammettono che il suo amore è strumento fattivo a tutte le operazioni della grazia nelle anime. – La festa d’oggi ci ricorda la sua Concezione… gaudeamus facciamo davvero festa poiché oggi il Cielo ci diede una protettrice. Sapreste trovare chi possa più efficacemente parlare in nostro favore di questa nostra Madre? A Lei spetta l’onore ed il dovere di parlare al cuore del suo Figliolo in cui la sua parola sveglia una eco tanto benefica per noi. La gloria, come la grazia, non soffocano non distruggono i sentimenti della natura: ma li nobilitano, li perfezionano. Maria, che non temette il rifiuto del suo Gesù in terra, non lo può temere ora che siede gloriosa alla destra del suo Figliolo divino! L’amore del Figlio opera secondo la parola e di desideri della sua mamma… è la natura stessa che sprona a questa accondiscendenza: — si è facili ad ascoltare la voce di chi già conquistò il nostro cuore con l’amore. — Affectus ipse pro te orat, natura ipsa tibi postulat… cito annuunt qui suo ipsi amore superantur. (Salv. Lett. IV). Vi pare, fratelli miei, che la base ch’io posi alla devozione che il Cristiano deve avere alla Vergine, sia ben solida? Allora sventura a chi la nega, ai tristi che vorrebbero togliere al popolo cristiano una sorgente così feconda di aiuto pietoso. Sventura a chi la vuol sminuire: egli viene ad affievolire i sentimenti della pietà figliale…Ma fratelli lasciatemi… imprecare! Sventura alla sciagurato che ne abusa! Ah no,no fratelli io non voglio imprecare a nessuno: tutti, questi infelici, sono figli della Chiesa ossequienti ai suoi decreti, ma nella pratica non conoscono le norme di vita ch’essa dà: Non imprecazioni ma istruzione: insegniamo loro le regole che la Chiesa dà per chi vuol vivere la sua fede! Quale cecità sarebbe mai la nostra o fratelli cari, se dopo aver posto verità così sode alla devozione per Maria, come fondamento, vi costruissimo pratiche vane e superstiziose?Vediamo come vuole la Chiesa la devozione…per purgare la nostra, se ne è il caso, da ogni superstizione o fanatismo, ed imparare a regolarla sulle sue parole. Vedremo cioè qual culto dobbiamo a Dio, alla Vergine, a tutti gli spiriti beati.

II° punto.

Norma fondamentale del modo con cui noi dobbiamo onorare la Vergine Santa ed i beati è che l’amore nostro deve tendere come a primo termine a Dio! se non fosse così il nostro culto sarebbe puramente umano, non un atto di religione, mentre i Santi uniti a Dio nella gloria non possono gradire atti d’onore puramente umani. La religione ci unisce a Dio, da qui il suo nome, come dice S. Agostino nel suo trattato — Della vera religione, Religio, quia, nos religet omnipotenti Deo. – Ogni devozione sia della Vergine sia dei Santi, è pratica superstiziosa se non ci guida, ci porta a Dio per amarlo qui e possederlo eternamente nella beata eternità. Regola generale dunque del culto — deve venire da Dio ed a Dio tornare, diffondendosi sopra la Vergine ed i Santi senza staccarsi da Lui. È meglio però scendere più al pratico: ed ecco che vi faccio un confronto tra il culto del Cristiano e quello dell’idolatra. Vi parrà non sia proprio il caso di combattere qui l’idolatria in tanta luce di Cristianesimo, lo so, ma vedrete però che sullo sfondo nero dell’errore brillerà più luminosa la verità. Base della aberrazione umana nell’onore di Dio fu l’errore degli antichi, i quali non conoscendo la grandezza del Nome di Dio, — il quale e nella Potenza e nella Sapienza e nella Maestà rimane in una indefettibile unità, — moltiplicarono le divinità dividendo la divinità nei suoi attributi e le loro funzioni; ed in seguito negli elementi e parti del mondo: cui distinsero i più grandi ed i meno grandi proprio come si può dividere una somma a seconda del diritto d’ogni pretendente. A Giove, padre degli dei, diedero come sede il cielo come luogo più nobile, il resto del creato lo designarono ai suoi fratelli ed alle sue sorelle come proprio si trattasse di una eredità di cui la parte migliore è data al primogenito, il resto diviso fra gli altri fratelli. Cosa ridicola, quasi che il mondo si potesse dividere in vari lotti… e Dio che l’aveva creato e ne era l’assoluto padrone potesse venir costretto a darne una parte in dominio ad altri, o ad ammettere altri nel suo governo. Spezzata l’unità di Dio, con questa sacrilega divisione e commisurazione del suo Essere uno indivisibile ed incomunicabile, la molteplicità continuò senz’ordine né misura fino a ficcar dei in ogni luogo: nel focolare, nelle gole dei camini, nelle scuderie, come rimprovera S. Agostino ai Greci ed ai Romani: « Se ne posero tre a guardia della porta di casa mentre un sol uomo basta per custodirla e difenderla »; dove basta un uomo i Greci posero tre dei! – Qual fine poteva avere questa pluralità di dei se non l’oltraggio a Dio nella sua adorabile ed essenziale unità, avvilendone la divina Maestà? Non dovete pensare, o fratelli, ch’io vi narri queste cose per contarvi qualche cosa che possa soddisfare la curiosità; no, miei cari, ma voglio che in queste aberrazioni constatiate una terribile verità: « il genere umano, prima del Cristo, era in balìa della potestà delle tenebre » ed insieme una consolante verità: « Gesù Cristo ci liberò da essa colla sua passione e colla luce del suo Vangelo diradò le orribili tenebre in cui vivevano gli uomini! » … Siamogli grati: gratias agamus Domino Deo nostro! super inenarrabili dono eius semper.Noi non adoriamo che un solo Dio, onnipotente, creatore e dispensatore di tutte le cose al cui servizio e nel cui Nome siamo stati consacrati nel Santo Battesimo! (Oh grazia troppo spesso non stimata, non conservata… o fedeltà troppo sovente violata!). Lui solo crediamo e Lui adoriamo riconoscendo e proclamando la sua sovranità sola ed assoluta, l’Essere suo infinito, la sua Bontà senza confini. Ma noi abbiamo culto anche per la Vergine, per i Santi! È vero: ma non un culto che importi, nella devozione, una sudditanza una dedizione al servizio della Vergine o dei Santi, perché liberi noi in tutto, abbiamo dalla religione una sola sudditanza: noi siamo soggetti solo a Dio: Egli è il solo, l’unico, l’assoluto vero sovrano. L’onore, dice S. Ambrogio, da noi dato alla Vergine ed ai Santi nel nostro culto e colla nostra devozione, è un onore, un culto di fraterna carità… « Honoramur eos charitate, non servitute », e come dice S. Agostino: noi onoriamo in essi i prodigi della mano di Dio, la comunicazione della sua grazia, l’effusione della sua gloria in quella santa e gloriosa dipendenza per cui eternamente sono soggetti all’Essere Supremo, a Dio nostro e loro Signore, cui quindi, come a termine unico, è indirizzato il nostro culto: poiché Egli solo è il principio e la sorgente di ogni bene che abbiamo e riceviamo, il termine di ogni nostra aspirazione e brama. Non ci si può quindi accusare che onorando con sentimenti di vivo amore e riverenza la Vergine ed i Santi, noi togliamo a Dio ed a Gesù Cristo parte del culto che loro dobbiamo. I nemici della Chiesa che qui si erigono a paladini dell’onore di Dio sono ridicoli! Ci mettono davanti un Dio geloso dei suoi doni degli splendori ch’Egli stesso sparse sopra le sue creature!… è oscena bestemmia il voler ammettere una debolezza in Dio! La Vergine, gli Angeli, i Santi che sono mai, o fratelli, se non l’opera della sua mano e della sua grazia? Pensereste voi, che se il sole avesse intelligenza. sarebbe geloso nel veder la luna che splendente « governa, come dice Mosè, la notte », con una luce così chiara, perché tutto il suo splendore viene da lui, che ci illumina e rischiara colla riflessione dei suoi raggi? Noi ammettendo nella Vergine il più alto grado di perfezione, non possiamo pensare che Gesù ne sia geloso… e non è da Lui che viene tutto lo splendore di santità che riempie Maria? non è Egli ancora onorato nella sua Madre, da Lui voluta piena di grazia!? – Funesto errore… poveri ed infelici i fratelli nostri, li dobbiamo compatire… ritorcere proprio su essi quella compassione con cui ci guardano, e ricambiare con pietoso compatimento l’accusa che fanno di idolatria alla purezza del nostro culto. Dimenticano essi che con noi chiamano idolatri S. Ambrogio, S. Agostino, S. Grisostomo dei quali essi dicono che noi, ed è vero, seguiamo e gli insegnamenti e gli esempi! Le irragionevoli accuse che con tanto astio muovono alla Chiesa, non devono provocarci né a sdegno né a vendetta: devono solo farci deplorare gli eccessi a cui li trasporta la loro ostinata cecità, ed eccitarci ad un intenso lavoro di preghiere e di opere perché anch’essi vengano al lume della indefettibile verità. V’è un Dio solo… uno solo deve essere il suo Cristo, il Mediatore universale che ci salvò col suo Sangue. Filosofi Pagani pensarono che la divinità se ne stesse in un cielo inaccessibile perfino alla preghiera umana: e che essa solo attraverso cause seconde ed istrumentali, non mai immediatamente quindi, s’ingerisse e curasse delle vicende umane, dal contatto delle quali la sua purezza infinita sarebbe stata insozzata, anzi, dicevan essi, la divinità non volendo che creature così miserabili potessero arrivare al suo trono, aveva creato dei mediatori, tra sé e noi, mediatori che quei filosofi chiamavano divinità intermediarie- Noi rifiutiamo questa dottrina: il Dio cui serviamo, ci creò a sua immagine e somiglianza, anzi ci aveva così creati dapprincipio ch’Egli godeva scender a parlare con l’uomo e che l’uomo potesse parlar a Lui: e noi lo crediamo, come crediamo che se oggi non abbiamo questa beata comunicazione con Lui nostro creatore, fu per colpa nostra poiché siamo diventati peccatori. Il Sangue di Gesù redentore ci riconciliò con Dio: ed è per questo Redentore che noi oggi possiamo ancora avvicinarci a Dio: e nel Nome di Gesù possiamo pregarlo per noi e per gli altri, e Dio che ama la carità fraterna, fino a farne un comando, ci ascolta favorevole sia che preghiamo per noi che per gli altri. Viene conseguenza logica di questa nostra fede, che i Santi e la Vergine che regnano con Gesù Cristo siano intercessori graditi a Lui, quando pregano per noi. Cari a Dio, noi sentiamo che tutti quelli che sono amici di Dio sono anche amici nostri!… Sì, proprio così… tutti gli spiriti beati sono nostri amici, nostri fratelli. A loro noi possiamo parlare con grande confidenza, e quantunque invisibili all’occhio del nostro corpo, la nostra fede ce li fa presenti, e la loro carità ce li rende propizi ed essi cooperano a tutti i desideri che la pietà ci inspira. Sentite ora, fratelli, una dottrina ancor più alta e più utile. Gli idolatri adorano divinità colpevoli di delitti senza numero: l’onorarli era delitto poiché non si potevano imitare senza vergogna. Fissate bene nella vostra mente invece quanto insegna il Cristianesimo: il Cristiano deve imitare coloro che onora: tutto quanto è oggetto del suo culto deve insieme essere modello della sua vita pratica. – Il Salmista dopo aver sfogato il suo zelo contro gli idoli muti ed insensibili adorati dai pagani, ha questa imprecazione: « similes eis fiant qui faciunt ea et omnes qui confidunt in eis ». Si faccian simili ad essi quelli che li fanno ed in essi pongano la loro speranza. Questa imprecazione contiene anche una verità che è bisogno dell’uomo: farsi simile a chi si onora! A quegli idolatri il Salmista augurava diventassero simili ai loro dei, come essi muti ed insensibili… Ma noi che adoriamo un Dio vivente, noi dobbiamo essere Santi — perché Santo è il Dio nostro che adoriamo — misericordiosi perché il Padre nostro celeste è misericordia infinita — dobbiamo perdonare perché Egli perdona a noi e come a noi perdona. Dobbiamo amare e far del bene agli amici ed a quelli che ci fanno del male perché Egli fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi. Lo dovremo adorare… ma in spirito e verità perché Egli è Spirito… dobbiamo essere perfetti, ci avverte il Figlio di Dio, perché è perfetto il Padre nostro che sta nei cieli. Ed ora, ditemi: quando noi onoriamo colle nostre solennità i Santi e la Vergine, forse lo facciamo per aumentare la loro gloria? Oh no, essi già ne sono ricolmi;… le nostre solennità sono fatte per muoverci alla loro imitazione: onorandoli per l’amore loro al Signore, ci impegniamo d’imitarli. Questo, e nessun altro, è il fine che la Chiesa ha nell’istituire e nel far celebrare le feste dei Santi e della Vergine: ce lo dice chiaramente, nella colletta della messa di S. Stefano: dacci grazia, o Signore, d’imitare chi onoriamo: imitari quod colimus. – Quante sono le feste che noi celebriamo, dice S. Basilio di Seleucia, altrettanti sono i modelli che ci vengono posti dinnanzi da imitare, immagini da ricopiare. Le solennità dei Martiri, dice S. Agostino, sono incitamenti al martirio; e continua: i Martiri non sono inclinati ad appoggiare colla loro preghiera le nostre suppliche se non vedono in noi qualcosa delle loro virtù. È tradizione e costante dottrina della Chiesa cattolica che essenza del culto dei beati comprensori è approfittare dei loro esempi. Sarebbe vano il nostro incenso bruciato davanti alle reliquie dei Martiri se non li imitassimo nella loro pazienza: il nostro culto ai Santi Confessori se non li imitassimo nell’astinenza e nella mortificazione; inutile il nostro onorare i Santi Vergini ed in modo speciale la Regina dei Vergini, Maria, se non ci sforzassimo d’essere umili, puri modesti come lo furono queste anime caste, come lo fu la Vergine Santa. Eccovi allora il dovere vostro, o figliuoli di Dio, che desiderate esser accettati in figli dalla Madre del nostro Salvatore: siatene imitatori fedeli se volete esserne fedeli devoti. Quante volte noi cantiamo il cantico con cui Maria lodò il Signore perché le aveva fatte cose grandi! si riempia l’anima nostra, ci avverte S. Ambrogio, della sua pietà: si fonda l’anima nostra con l’anima della Vergine per cantar le lodi del Signore ed esultare della sua bontà — sit in singulis Mariæ anima, ut magnificet Deum: sit in singulis spiritus Mariæ ut exultet in Deo. Ogni giorno noi ammiriamo quella purezza verginale resa da Dio misteriosamente feconda nella concezione del Verbo: ebbene, continua S. Ambrogio: sappiate che ogni anima casta e pura che conserva fedele la sua purità, concepisce in sé la Sapienza eterna, e come Maria viene riempita daDio. — Omnis enim anima accipit Dei Verbum, si tamen immaculata et immunis a vitiis, intemerato castimoniam pudore custodiat. Permettete, o signore, ch’io vi ponga innanzi, modello al vostro sesso, Colei che ne è la gloria più luminosa. Si brama sempre conoscere le qualità, ammirare i ritratti delle persone illustri: ma da chi potrò avere io i tocchi delicati per ritrarvi la pudica grazia e le caste ed immortali bellezze della divina Maria?Ogni giorno i Pittori tentano ritrarre la Vergine: ma le loro tele purtroppo s’assomigliano, non alla Vergine, ma all’idea che di Lei essi si sono fatta. Il ritratto che io qui voglio abbozzare, e che vi pregherei signori, ed in modo particolare voi signore, di ricopiare nella Vostra vita, lo tolgo dal Vangelo e fu tracciato, diciamolo francamente, dallo stesso Santo Spirito. La pagina del Vangelo, notatelo bene, non si occupa di descriverci le misteriose e sublimi comunicazioni della Vergine colla divinità, niente di tutto questo, ma ci descrive le sue virtù ordinarie, quasi per darcene un modello di uso facile ed alla mano, alla portata della nostra vita quotidiana. Caratteristica tutta propria della Vergine è la sua modestia, il suo pudore! Quanta cura in lei per non farsi vedere benché bella, di non farsi bella benché giovane: di non menar vanto benché fosse di stirpe regale e nemmeno di arricchire benché fosse tanto povera! Ella cerca Dio e Dio le basta e forma tutto il suo bene. Un poco diversa, nevvero, da tante i cui occhi sono sempre in giro, e che con sguardi provocanti, atti e movenze affettate cercano e tentano farsi notare! – Il ritiro è la delizia di Maria: è così poco avvezza a trattar con uomini che si turba alla vista d’un Angelo e nel suo turbamento va pensando cosa voglia dire il suo misterioso saluto! Notate però: è turbata e pensa! benché sorpresa d’improvviso dalla apparizione Ella è presente a se stessa: l’improvvisa apparizione non solo non distrae la sua mente, ma ne sveglia l’attenzione. Le anime pure sono fatte così: sempre timide, mai sicure esse tremano e temono anche là dove nulla c’è da temere, acquistano così la sicurezza quando davvero c’è il pericolo. Dappertutto temono insidie: le ingiurie le temono meno delle lodi e dei complimenti, l’offesa meno della carezza, preferiscono ciò che allontana a ciò che seduce e attrae. – La donna mondana invece tende lacci, ma disgraziatamente incappa negli stessi lacci che tende agli altri. Maria, osserviamolo, pensa ma non parla: non intavola una conversazione, non vuole discussioni, non ha domande inutili o curiose! Invece quante si rodono per cavar segreti al cuore altrui e penetrare nei segreti più gelosi! Vengano qui ed imparino ad esser caute e non curiose ed inquiete custodendosi piuttosto che effondersi tanto facilmente nella loro intimità. – Maria non apre la bocca se non quando ve la costringe la necessità: è il bisogno di custodire e proteggere la sua castità che la fa parlare e muovere timida una domanda. – Le viene proposta la maternità del Figlio dell’Altissimo: siamo sinceri: qual donna non si sarebbe esaltata davanti ad una fecondità così gloriosa? Maria riflette, e domanda: Come potrò diventar madre io che ho fisso in cuore di mantenermi vergine? Se la sua integrità deve soffrirne Ella è pronta al rifiuto dell’offerta che un Angelo le fa in nome di Dio! La grandezza della gloria offerta non la seduce: è più preoccupata del dovere di fedeltà che della grandezza: Ella teme per la sua castità. Oh amore indescrivibile della purezza posta al di sopra non solo d’ogni promessa ed offerta umana, ma al di sopra delle stesse promesse ed offerte divine! – L’Angelo allora le spiega il prodigio della sua maternità: Maria parla una seconda volta. S’umilia e s’adatta alla volontà di Dio: Ecce ancilla Domini… si faccia di me secondo la tua parola, risponde gioiosa della promessa che la sua castità non avrà ombra di danno, mentre proclama la sua obbedienza. Bisogna bene restar estasiati davanti alla modestia di Maria in questo atto che rende attoniti gli uomini e gli Angeli! Non s’invaghisce: convinta d’esser l’ultima delle creature, meraviglia che il Signore siasi degnato di posare il suo sguardo su di Lei! Lontanissima dal pensare d’esser oggetto di stupore al cielo ed alla terra e che dinanzi a Lei si curveranno e uomini e Angeli, ecco che va a visitare la cugina Elisabetta, e, più desiderosa di godere delle gioie altrui che manifestare i favori di Dio, va a moltiplicare la gioia in quella casa visitata dalla bontà generosa del Signore. È vero: alla acclamazione della sua parente unirà il suo canto di lode: ma perché Ella vede che la luce dello Spirito di Dio già svelò ad Elisabetta la sua maternità. Ella ascolta… e tutto gelosamente conserva nel suo cuore. – Quale rimprovero per quei vanitosi, che ad un piccolo trionfo o bene avuto van stancando le orecchie del prossimo dicendo e quanto hanno fatto e detto, e quanta lode e merito fu loro attribuito! – Nella sua incomparabile modestia Maria mostra chiaramente al mondo vano che la felicità può ben stare senza strepito, né suono di trombe e rullio di tamburi, e la gloria può esser anche là dove non c’è rinomanza e reclame… nel fondo cioè della propria coscienza che testimonia il dovere compiuto. Questa, o signori, è la Vergine, della quale, ve lo ripeto, non sarete assolutamente devoti se non ne sarete costanti imitatori. Scoprite oggi in suo onore una immagine santa: siete voi stessi questa immagine, siatene l’immagine viva nella vita vostra d’oggi e d’ogni giorno. – « Ognuno, dice S. Gregorio Nisseno, è il pittore e lo scultore della sua vita »: modellate allora la vostra su questo modello così perfetto: siatene le copie autentiche: la vostra condotta sia plasmata su questo modello meraviglioso. – Umili, pudiche, caste dovete essere: disprezzate le follie del mondo e di ogni moda nemica dell’onestà. Gli abiti di società siano rispettosi del vostro pudore, e delicatamente nascondan quanto mai non deve essere mostrato: forse piacerete meno in società… che importa? piacerete di più a Colui cui solo importa piacere! Il viso solo deve essere scoperto, poiché nel viso deve brillare l’immagine di Dio… anzi sia esso pure coperto: siano la modestia e la semplicità il velo candido attraverso al quale brillerà l’immagine di quel Dio che ci fece simili a Sé. – Quando voi ne imiterete le virtù, Maria potrà davvero dire che voi l’onorate… allora pregherà per voi perché vi vedrà intente e premurose di piacere al suo Gesù e simili alla Madre ch’Egli scelse per sua. Fin qui, Cristiani, io mi sono sforzato di mostrarvi che la vera devozione, alla Vergine ed ai Santi, è quella soltanto che ci induce a sottometterci sul loro esempio a Dio e cercar con essi il vero ed unico bene: cioè la salvezza eterna nella pratica di quelle virtù di cui essi ci sono maestri ed esempio. – Con questo concetto esatto di devozione non è difficile distinguere e condannare le false devozioni che disonorano la Religione cristiana. Prima fra tutte le piaghe della devozione è il cercare ch’essa ci serva più che alla salute eterna, ai nostri interessi temporali. Provate a smentirmi! Ditemi quanti si curano di far voti, promesse, preghiere alla Vergine ed ai Santi per chieder loro aiuto per fuggir il peccato, per togliersi da un vizio o da una cattiva abitudine, per ottener una sincera confessione e conversione? Gli affari importanti che da ogni parte vengono raccomandati a noi sacerdoti sono affari importanti per la vita del tempo. Volesse Iddio che fossero sempre interessi onesti, ma quante volte si osa invitar Dio e la Vergine, i Santi a farsi ministri e cooperatori di interessi nei quali diventerebbero veri complici di delitti! Con una tranquillità esasperante noi guardiamo il dominio di una passione che lentamente ci uccide… e mai il nostro labbro si schiude a domandare al Signore che ce ne liberi! Ma se capita una malattia, se va male un interesse di famiglia, oh allora cominciamo: subito le novene a tutti i Santi e si portan fiori e ceri a tutti gli altari, e si annoia il cielo con lamenti preghiere voti e promesse!… sì, perché nulla v’è che più stanchi il cielo di certe devozioni fanatiche ed interessate. Allora le preghiere si rafforzano… si comincia allora a ricordarsi che vi sono degli infelici che gemono nelle prigioni; dei poveri che languiscono nei tuguri, malati che non hanno chi si curi di loro e sono privi di tutto! Si diventa pietosi, compassionevoli, caritatevoli… oh pietosa carità quanto sei interessata!… è il soccorrere al bisogno proprio che fa pensare con riconoscenza a noi pronto perfino a far miracoli per soddisfare al nostro amor proprio! Ah che purtroppo, o Signore, sono di questa razza molti degli adoratori che affollano le vostre chiese e si inginocchiano supplichevoli davanti agli altari della vostra Madre e dei vostri Santi! – Vergine cara, Santi del cielo, non sono proprio devoti vostri a questo modo molti che vi sollecitano a farvi loro intercessori!? Vogliono vi addossiate i loro affari, vi vorrebbero coinvolti nei loro pasticci ed imbrogli coi quali sognano migliorare la loro fortuna! Si vede che essi dimenticano che viveste disprezzando il mondo e le sue ricchezze ed onori!… vorrebbero tornaste nel mondo e vi apriste il vostro ufficio di avvocati e procuratori! Ah, Gesù… purtroppo sono tali i sensi di devozione di tanti che pur si dicono tuoi discepoli: tu puoi certamente ripetere la parola con la quale Pietro e gli altri ti descrivevano l’ardore della folla: Turbæ te comprimunt! La folla di questi devoti ti preme da ogni parte… essa attornia i tuoi altari ed i tuoi tabernacoli domandandoti come i Giudei, non altro che una terra feconda ricca di fiumi in cui scorra latte e vino… beni temporali cioè! Quasi noi fossimo ancora nelle deserte pianure del Sinai o sulle rive sterili del Giordano… nelle ombre della legge di Mosè, e non nella luce meridiana che emana dal Vangelo in cui suona il tuo avviso: « Regnum meum non est de hoc mundo! » – Scusate… non fatemi dire però ed io non l’intendo affatto, che sia proibito pregare la Vergine ed i Santi per i nostri bisogni temporali: quando Gesù stesso ci insegnò a domandare al Padre celeste il pane quotidiano, e la Vergine si diede premura di segnalare a Gesù che al banchetto di nozze mancava il vino!… Domandiamo, e con confidenza, il pane quotidiano: ed in questa parola racchiudiamo pure tutte le necessità di questa povera nostra esistenza, anche i comodi, se volete; non mi oppongo: ma quando preghiamo, non dimentichiamo d’esser Cristiani e che da questa vita noi camminiamo ad una vita migliore ed eterna. Gesù insegna la grande preghiera al suo Padre: notate però dove Egli colloca questa petizione: — panem nostrum quotidianum — proprio nel mezzo… le domande che precedono e quelle che seguono riguardano tutte la vita spirituale. Prima ci fa domandare la glorificazione del suo Nome, l’avvento del suo regno, l’esecuzione perfetta ed universale della sua volontà sulla terra: dopo vuole che umilmente domandiamo il perdono dei peccati, la sua assistenza per non cadere nei lacci del nemico, la liberazione dal male… ai bisogni materiali accenna quasi di passaggio per ricordarci che tutte le nostre premure devono essere rivolte alla vita dello spirito. – La domanda riguarda certamente il pane materiale; ma riguarda anche insieme il pane spirituale: il Pane Eucaristico: vero pane dei figli di Dio! Questo per ricordarci come il Maestro divino voleva insegnarci che la cura del corpo non deve occupare da sola neppure un momento della nostra vita, mentre il pensiero della vita eterna e dei beni che non periranno deve esserci dinanzi agli occhi sempre. – O Cristiani, ma via, siamo sinceri e diciamolo francamente: noi cominciamo a pregare proprio quando ci assillano e attristano i bisogni od i mali della vita temporale: così a forza di interessare e Dio e i Santi di questi nostri bisogni, noi ci attacchiamo sempre di più alla vita del tempo. E l’effetto? è disastroso: noi ci alziamo dalla nostra preghiera, non più tranquilli e rassegnati alla volontà divina, più fervorosi nel suo servizio, ma più ardenti nel desiderio delle cose terrene. Ecco perché quando gli affari, nonostante la preghiera vanno male, si odono scoppi di pianto: ma non un pianto rispettoso che vien dal dolore e che non ci sottrae alla volontà del Signore, ma dalla stizza e la pena che ci divora dentro perché non siamo stati ascoltati. Noi lo dimentichiamo troppo spesso… il Dio che noi preghiamo non è un idolo del quale possiamo fare quel che vogliamo, ma il vero Dio che fa quel che vuole. È verissimo che nella Scrittura c’è: « Dio fa la volontà di coloro che lo temono ». Bisogna però che davvero lo temano e pienamente si sottomettano alla sua volontà. Dice S. Tommaso che l’orazione è una elevazione della mente a Dio — « Elevatio mentis in Deum ». Quindi è chiaro, conchiude ilsanto Dottore, che non prega chi ben lungi dall’elevarsi a Dio pretende che Dio si abbassi a lui, ochi non va all’orazione per eccitar l’uomo a voler ciò che Dio vuole, ma per indurre Dio a far ciò che vuole l’uomo! Maestà, sopportereste voi una tale prepotenza in un vostro suddito? La sopporteremmo noi stessi in chi viene a chiederci un favore?Ma noi uomini figli della carne siamo astuti: Dio non possiamo piegarlo, ci sarà più facile, pensiamo, piegar la Vergine ed i Santi e tirarli dalla nostra parte a forza di adularli colle nostre lodi ed il nostro ossequio e stancarli con le nostre preghiere. Non ditemi che esagero: è così: noi trattiamo la Vergine ed i Santi come fossero uomini come noi e crediamo poterli conquistare con una certa esattezza e assiduità in piccoli servigi, inchini e lodi e piccoli doni, dimenticando ch’essi sono uomini divini, che, come dice Davide: — sono entrati nella potenza del Signore, negli interessi della sua gloria, nei sentimenti della sua giustizia e della sua gelosia contro i peccatori, insieme nei sentimenti della sua bontà e della sua misericordia —. Oh Dio, e saranno sempre gli uomini ingrati e così ciechi da irritare le loro ferite con gli stessi rimedi? – Qual è la devozione alla Vergine Madre che vedo praticata da tanti Cristiani? È vero si creano leggi e le osservano: si impongono obblighi e li mantengono… ma intanto disprezzano o non curano le tue leggi sacrosante alle quali li vuoi soggetti attirandosi così la terribile maledizione, gridata dal profeta Isaia (LVIII, 12, 13, 14): « Guai a voi che nella vostra pietà cercate non la mia volontà ma la vostra: il Signore vi dice: detesto le vostre pratiche legali: e le vostre preghiere mi fanno male al cuore: faccio fatica ad ascoltarle ». E sarà religione questa? Crediamo aver fatto tutto per la Vergine, quando la proclamiamo regina degli Angeli e dei Santi, e la cantiamo Immacolata fino dal primo istante della sua Concezione! Sono belle le vostre lodi, o fratelli: ma la sua santità passa sopra senza misura ad ogni nostra immaginazione! Sentite: se la macchia del peccato originale vi fa tanta pena ed orrore che sentite il bisogno di non ammetterla nell’anima della Vergine neppur un istante, perché non combattete in voi l’avarizia, l’ambizione, la sensualità che sono le tristi conseguenze di questa colpa? Vedo quell’anima irrequieta perché recitando la sua corona saltò un’Ave Maria, o lasciò qualcuna delle sue preghiere solite: fa bene; io ammiro tanta esattezza! Ma chi tollererà però che lo stesso giorno in cui si fu esattissimi nella preghiera si disobbedisca tranquillamente a tre o quattro precetti del decalogo, e si calpestino i doveri sacri della carità cristiana? Fatale inganno con cui il demonio tiene in una pericolosa illusione i Cristiani: non potendo sradicare dal fondo del cuore cristiano il principio religioso, troppo profondamente radicatovi, cerca insinuarne la pratica in una forma che ne è una vera deturpazione, una profanazione, perché ingannati da questo pietismo credono con piccole pratiche aver soddisfatto ai gravi obblighi che Dio impone colla sua legge ed i doveri del proprio stato. – Oh preghiamo, fratelli, preghiamo la Vergine che ci tolga a questo magico incanto e ci apra gli occhi! Invochiamola ed Ella ci sarà forte aiuto nelle tentazioni, ci otterrà quella castità che ci è tanto necessaria. Alla mensa della nostra vita, manca il vino… cioè il santo amore: Ella ce lo otterrà, e ci otterrà forza per ritornare all’intensità della vita cristiana, la nostra vita languida. Però sentite come parla Maria alle nozze di Cana: ai servi dice: « Fate quello ch’Egli dirà » ho pregato ho interceduto per voi, ma a voi tocca fare quello ch’Egli vi dirà: a questa condizione è legato il miracolo, effetto delle mie preghiere. Anch’io, fratelli, dirò a voi: tutto potete attendervi da Maria se siete veramente pronti a fare quanto Gesù domanda a voi: cioè ad obbedire alla sua legge ed ai doveri della vostra condizione. Vi vedo incerti: mi pare sentirmi dire: ma dove volete arrivare? Dunque dovremo lasciar da parte tutte le pratiche delle nostre devozioni, tutte le preghiere… e fino a che non mi decido a convertirmi al Signore, vivrò come un infedele? No, dite pure le vostre preghiere, fate pure le vostre devozioni… preferisco vedervi far pratiche di pietà anche imperfette, che vedervi disprezzare ogni pratica pia, dimentichi di esser Cristiani. Il medico che vuol guarire da una malattia prescrive rimedi energici ed anche certi altri rimedi più blandi. Usate di questi se non avete il coraggio di adattarvi a quelli… egli però vi avverte che così non guarirete! V’irritate? con chi? con il medico? no, voi siete ingiusti; irritatevi contro di voi! Ve lo dice chiaro: se non accettate le sue prescrizioni, la vostra salute non è più in sua mano, è lasciata al vostro capriccio! Non s’irrita con voi però: questa vostra ira la considera una conseguenza cattiva del vostro male; ed ecco che buono vi esorta: non fate così: prendete almeno questi rimedi, male non ve ne possono fare, potranno anche sostenere l’organismo indebolito. Ma badate che alla fine voi finirete male se non volete far lo sforzo di accettar le ricette di rimedi forti! – Dico anch’io così a voi, fratelli: Praticate pure le vostre divozioni, dite pure le vostre preghiere… meglio queste che dimenticare completamente Dio. Ma non vi permetto però di appoggiare su queste cosette, la sicurezza della vostra vita: potranno, è vero, impedire un male peggiore, l’empietà dichiarata, il disprezzo di Dio… ma badate però che voi non guarirete mai… anzi invece di un aiuto alla vostra guarigione saranno piuttosto un ostacolo. Sentite come parla lo Spirito Santo di queste devozioni false: « Essi non cercano la giustizia, e nemmeno giudicano con retto giudizio: mettono la loro confidenza in cose da nulla e si fermano a cose vane. Hanno ordito una tela, ma è tela di ragno: non servirà certo a vestirli, né essi saranno coperti dal lavoro delle loro mani… sono opere inutili e vani sono i loro pensieri! Nella via che battono v’è devastazione e dolore » (Isaia, LIX). Ecco la sentenza, e non è mia, è dello Spirito Santo, contro coloro che fanno consistere la devozione unicamente in piccole pratiche e sfilze di orazioni, e così — lasciatemelo dire francamente — trascurano di fare vere opere di penitenza secondo il comando del Vangelo. Il pietismo loro non darà opere che possan coprire le loro colpe: sarà svelata la loro cattiveria, e avranno vergogna della loro nudità. Questi servi saranno condannati dalla loro stessa bocca: e gli esempi dei Santi da essi invocati, suoneranno terribile condanna delle loro opere. Volete esser devoti della Vergine, di una devozione feconda di bene per l’eternità? Siate puri, retti, caritatevoli! fate giustizia alla vedova ed all’orfano, prendete le difese dell’oppresso, aprite larga la mano al povero ed al vecchio abbandonato. Badate bene nel fare opere di sopraerogazione e di non dimenticare quelle che sono comandate come assolutamente necessarie. Attaccatevi e statevi fedeli alla legge del Signore, seguendo il comando di Maria: Qualunque cosa Gesù vi dirà, fatelo. — Voi allora otterrete quello che domandate e Gesù promette a quelli che non avranno detto « Signore, Signore », ma avranno fatta la volontà del Padre che sta nei cieli. – Sia benedetta la Vergine gran Madre di Dio!

CREDO …

IL CREDO

Offertorium

Orémus
Luc 1: 28
Ave, María, grátia plena; Dóminus tecum: benedícta tu in muliéribus, allelúja.

[Ave, o Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta fra le donne. Allelúia].

Secreta

Salutárem hóstiam, quam in sollemnitáte immaculátæ Conceptiónis beátæ Vírginis Maríæ tibi, Dómine, offérimus, súscipe et præsta: ut, sicut illam tua grátia præveniénte ab omni labe immúnem profitémur; ita ejus intercessióne a culpis ómnibus liberémur.

[Accetta, o Signore, quest’ostia di salvezza che Ti offriamo nella solennità dell’Immacolata Concezione della beata Vergine Maria: e fa che, come la crediamo immune da ogni colpa perché prevenuta dalla tua grazia, cosí, per sua intercessione, siamo liberati da ogni peccato].

Praefatio

de Beata Maria Virgine
Vere dignum et justum est, æquum et salutáre, nos tibi semper et ubique grátias ágere: Dómine sancte, Pater omnípotens, ætérne Deus: Et te in Conceptióne immaculáta beátæ Maríæ semper Vírginis collaudáre, benedícere et prædicáre. Quæ et Unigénitum tuum Sancti Spíritus obumbratióne concépit: et, virginitátis glória permanénte, lumen ætérnum mundo effúdit, Jesum Christum, Dóminum nostrum. Per quem majestátem tuam laudant Angeli, adórant Dominatiónes, tremunt Potestátes. Coeli coelorúmque Virtútes ac beáta Séraphim sócia exsultatióne concélebrant. Cum quibus et nostras voces ut admitti jubeas, deprecámur, súpplici confessióne dicéntes: Sanctus …

[È veramente degno e giusto, conveniente e salutare, che noi, sempre e in ogni luogo, Ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre Onnipotente, Eterno Iddio: Te, nella Concezione immacolata della Beata sempre Vergine Maria, lodiamo, benediciamo ed esaltiamo. La quale concepì il tuo Unigenito per opera dello Spirito Santo e, conservando la gloria della verginità, generò al mondo la luce eterna, Gesù Cristo nostro Signore. Per mezzo di Lui, la tua maestà lodano gli Angeli, adorano le Dominazioni e tremebonde le Potestà. I Cieli, le Virtù celesti e i beati Serafini la celebrano con unanime esultanza. Ti preghiamo di ammettere con le loro voci anche le nostre, mentre supplici confessiamo dicendo: Santo …]

COMUNIONE SPIRITUALE

Communio

Ps LXXXVI: 3, Luc I: 49
Gloriósa dicta sunt de te, María: quia fecit tibi magna qui potens est.

[Cose gloriose sono dette di te, o Maria: perché grandi cose ti ha fatte Colui che è potente].

Postcommunio

Orémus.
Sacraménta quæ súmpsimus, Dómine, Deus noster: illíus in nobis culpæ vúlnera réparent; a qua immaculátam beátæ Maríæ Conceptiónem singuláriter præservásti.

[I sacramenti ricevuti, o Signore Dio nostro, ripàrino in noi le ferite di quella colpa dalla quale preservasti in modo singolare l’Immacolata Concezione della beata Maria].

PREGHIERE LEONINE (dopo la Messa)

RINGRAZIAMENTO DOPO LA COMUNIONE (2)

ORDINARIO DELLA MESSA

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (5)

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (5)

Tratte dall’Apocalisse, dal Vangelo, dalle Epistole degli Apostoli, e dalle Profezie dell’Antico Testamento

Messe in relazioni con le rivelazioni della Suora della Natività

di Amedeo NICOLAS

PARTE SECONDA.

LA QUINTA, SESTA E SETTIMA ETÀ.

Divisione della seconda parte.

Abbiamo attraversato le prime quattro età della Chiesa, e la storia è stata trovata conforme ai testi sacri che abbiamo applicato ad esse. Ci resta da spiegare le ultime tre età, che sono molto più importanti per noi, non per la loro durata, ma per gli eventi che le segnalano.

Troviamo la quinta età nella quinta Chiesa, nel quinto sigillo, la quinta tromba e la quinta lode; la sesta età nella sesta Chiesa, nel sesto sigillo, una parte della sesta tromba e la sesta lode; e la settima età nella settima Chiesa, nel settimo sigillo, il resto della sesta tromba, la settima tromba e la settima lode. Diremo perché la sesta tromba è così divisa in due parti e due epoche; e assegneremo, per quanto possibile, delle epoche alle sette ultime piaghe menzionate nei capitoli XV e XVI dell’Apocalisse.

Diverse cose possono complicare questa seconda parte in modo straordinario; sono: il drago menzionato nei capitoli XII, XIII, XVI e XX; le due bestie menzionate nel capitolo XIII; quella menzionata nei capitoli XI, XVI, XVII e XX; la grande Babilonia menzionata nei capitoli XVII, XVIII e XIX; e lo pseudo-profeta le cui funzioni e destino sono indicati nei capitoli XVI e XX. Ora, poiché le complicazioni sono i più grandi nemici della chiarezza, soprattutto in una materia come questa, non mischieremo ciò che diremo su di esse con l’esposizione delle ultime tre età della Chiesa, e le svilupperemo in un capitolo particolare, che sarà il primo nell’ordine. Inoltre, poiché il passaggio dalla quinta alla sesta età ha un carattere molto distinto, lo spiegheremo anche in un altro capitolo a parte.

CAPITOLO PRIMO

IL DRAGO, LE BESTIE, LA GRANDE BABILONIA E LO PSEUDOPROFETA.

I. Non si può essere incerti sul drago che ha sette teste, dieci corna e sette diademi sulle sue sette teste (Apoc. cap. XII; v. 3); che si pone davanti alla donna, la Chiesa, per divorare il suo figlio quando nasce (v. 4); che, dopo una grande battaglia in cielo, è gettato sulla terra (v. 7, 8, 9); e che, furioso per la sua sconfitta, torna a perseguitare la donna che ha dato alla luce un figlio (v. 13). San Giovanni dichiara che esso non è altro che satana, il serpente antico, che sedusse i nostri primi genitori nel paradiso terrestre (Et projectus est draco ille magnus, serpens antiquus, qui vocatur Diabolus et Satanas, qui seducit universum orbem – E il grande drago, il serpente antico, che si chiama diavolo e satana, che sedusse l’intero universo, fu gettato giù. v. 9).  – Poiché è questo il caso, è certamente di satana che stiamo parlando nei v. 2 e 4 del capitolo XIII dell’Apocalisse (Et dedit illi draco virtutem suam et potestatem magnam, v. 2, et adoraverunt draconem qui dedit potestatem bestiæ – E il drago gli diede la sua forza e grande potere. ed essi adorarono il drago che aveva dato il suo potere alla bestia – v. 4); è lui il drago del cap. XVI, v. 13 (Et vidi de ore draconis et spiritus tres immundos – E vidi tre spiriti immondi uscire dalla bocca del drago … ) ; è colui che viene gettato nel lago di fuoco, nel cap. XX, v. 9 (Et Diabolus qui seducebat eos missus est in stagnum ignis et sulphuris – E il diavolo che li sedusse fu gettato nel lago di fuoco e zolfo) .

II. Se è facile dire cosa sia il drago, non è facile caratterizzare le varie bestie di cui si parla nell’Apocalisse; e, per farlo, siamo obbligati a esporre prima le bestie del profeta Daniele.

Nel capitolo VII, v. 2, Daniele vede quattro bestie che sorgono dal mare, ed erano molto diverse tra loro.

La prima, che era come una leonessa e aveva due ali d’aquila (v. 4), rappresentava il primo degli imperi formati sulla terra, quello dei Babilonesi, o dei Caldei e degli Assiri, perché le quattro bestie sono quattro imperi successivi (Hæ quatuor bestiæ magnæ quatuor sunt regna quæ consurgent de terra – Queste quattro bestie sono quattro imperi che sorgeranno dalla terra – ibid. v. 17).

La seconda, come un orso dalla montagna (ibid. v. 5), rappresentava il secondo impero, quello dei Medi e dei Persiani, che uscì, come un orso, da regioni quasi barbare.

La terza, che assomigliava a un leopardo, aveva quattro ali di uccello e quattro teste – (ibid. v. 6), era l’impero dei Greci o di Alessandro, che fu stabilito così rapidamente (in sei anni) che il suo fondatore sembrava avere le ali, e che, dopo la morte del conquistatore, fu diviso tra i suoi quattro luogotenenti principali, che presero: uno il regno di Egitto, l’altro quello di Siria, il terzo quello di Bitinia, e il quarto quello di Macedonia o Grecia.

La quarta bestia, molto diversa dalle prime tre, era molto più grande di loro. Terribile, ammirevole, di una forza straordinaria, aveva grandi denti di ferro con cui divorava e strappava tutto ciò che incontrava, calpestando ciò che non aveva strappato o divorato; la sua testa era sormontata da dieci corna (ibid. v. 7). – Questa bestia è ovviamente l’Impero romano, che sorse dopo l’Impero greco, e che fu molto più esteso e potente di quelli che lo avevano preceduto (Holzhauser – tom. 2, p. 39 a 47 Wüilleret – pensa che questa bestia sia l’impero maomettano. Se si esamina attentamente il testo di Daniele, ci si convince che questo è impossibile. Sarebbe necessario rimuovere l’Impero romano che occupa un posto così grande nella storia).

Se si leggono le altre parti della profezia di Daniele, si vedrà che queste quattro bestie corrispondono esattamente alle quattro parti della statua che Nabuchodonosor vide in sogno (ibid. capitolo II, v. 31 a 44). La testa, che era d’oro, è l’Impero dei Babilonesi, quello di Nabucodonosor, come dice Daniele stesso (ibid. v. 32, 38); il petto d’argento è quello dei Medi e dei Persiani (ibid. v. 32, 39); il ventre e le cosce di ottone sono l’Impero dei Greci (ibid. v. 32, 39); e le gambe di ferro rappresentano l’Impero romano (ibid. v. 33, 40). Per quanto riguarda i piedi, che fanno parte delle gambe, la parte che era di ferro rappresenta l’Impero Romano d’Oriente che si conservò ancora a lungo (ibid. v. 33, 41, 42); e quella che era formata di argilla è l’Impero d’Occidente che cadde così rapidamente sotto i colpi dei barbari del Nord, e fu sostituito dall’Impero Cristiano (ibid. v. 33, 41, 42). – La quarta bestia del settimo capitolo di Daniele – l’Impero romano – aveva dieci corna; ora, poiché le corna servono, da un lato, come difesa agli animali che le possiedono, e ne esprimono la forza, e che, dall’altro lato, le sormontano, sono sulla loro testa, il che implica una specie di preminenza, di dominio, si deve pensare che queste dieci corna, che sono dieci re, come dice il Profeta (Porro cornua decem ipsius regni decem reges erunt, ibid. v. 24), siano i dieci regni fondati da questi popoli barbari, che all’inizio hanno diviso l’Impero romano, di cui hanno formato le migliori truppe, e che hanno finito per prenderlo e dividerlo tra loro. Essendo questi dieci regni stabiliti come dieci corni di forza, un corno molto piccolo, che non era del numero dei dieci, nacque, si formò e sorse in mezzo ad essi (Considerabam cornua, et ecce cornu aliud parvulum ortum est de medio.eorum, ibid. v. 8); e tre dei primi dieci e grandi corni furono rimossi in sua presenza (ibid., v. 8). Questo piccolo corno è un nuovo impero che partì dal nulla, sorse dal tempo dei dieci regni, si impadronì di tre di essi e divenne più potente di tutti gli altri (Et alius consurget post eos, et ipse potentior erit prioribus, et tres reges humiliabit, ibid. v. 24). Questo nuovo corno è certamente l’impero di Maometto, il primo a sorgere nel mondo, dopo la fondazione dei dieci regni stabiliti sulle rovine dell’Impero romano, e si impadronì, nel corso del tempo, dell’Impero d’Oriente, della Persia e della Tartaria.

III. Tornando all’Apocalisse, diciamo che questo piccolo corno, che diventa più potente degli altri (Et majus erat cæteris, Dan. cap. VII. v. 20), è la bestia a sette teste con dieci corna e dieci diademi sulle sue dieci corna di cui San Giovanni parla nel cap . XIII, v. 1-10; abbiamo diverse ragioni per questo. – L’impero maomettano, più grande dell’impero turco o ottomano, che ne è solo una parte, comprende realmente tutti i possedimenti dell’antico impero di Alessandro, rappresentato dal leopardo; ecco perché si dice nel capitolo XIII dell’Apocalisse, v. 2, che la bestia è come un leopardo (similis pardo). È più esteso dell’impero dei Medi e dei Persiani; per questo ha solo i piedi di un orso e la testa di un leone (Et bestia quam vidisti similis erat pardo, et pedes ejus sicut pedes ursi, et os ejus sicut os leonis, Apoc. XIII. v. 2). – Quindi, questa prima bestia di San Giovanni è il piccolo corno di Daniele. Il corno di Daniele diceva grandi cose (Et os loquens ingentia, aspiciebam propter vocem sermonum grandium quod cornu illud loquebatur … et os loquens grandia – E una bocca che diceva grandi cose … Ho guardato a causa delle parole orgogliose che questo corno pronunciava … La sua bocca diceva grandi cose – Dan., cap. VII. v . 8. 11. 20). Faceva guerra ai santi e prevalse su di loro (Et ecce cornu illud faciebat bellum adversùs sanctos et prævalebat eis, Dan. cap. VII. v. 21). Parlava con insolenza contro l’Altissimo, distruggeva i suoi santi e pensava che potesse cambiare i tempi (con l’Egira), la legge divina (con il Corano), e i santi dell’Altissimo furono consegnati nelle sue mani per la durata del suo potere, cioè per un tempo, due tempi e la metà di tempo (Et sermonem contrà Excelsum loquetur, et sanctos Altissimi conteret, et putabit quòd possit mutare tempora et leges, et tradentur in manu ejus ad tempus, et tempora, et dimidium temporis, Dan. cap. VII. v. 25). – E la prima bestia di San Giovanni diceva grandi cose (Et datum est ei os loquens magna – Gli fu data una bocca che diceva grandi cose – Apoc. cap. XIII. v. 5 ). Ha la bestemmia sulle sette teste e nella bocca (Et super capita ejus nomina blasphemi, et datum est ei os loquens … blasphemias, – Sulla sua testa ci sono nomi di bestemmie. Le diedero una bocca che proferiva bestemmie – ibid. v. 1. 5). Tutte le sue parole sono blasfeme (Et aperuit os suum in blasphemias ad Deum, blasphemare nomen ejus, et tabernaculum ejus, et eos qui in cælis habitant – ed ella aprì la bocca per bestemmiare Dio, il suo nome, il suo tabernacolo e coloro che abitano nei cieli – v. 6). Essa ha un grande potere che riceve dal drago (Et dedit illi draco virtutem suam et potestatem magnam, ibid. v. 2) . Essa se ne serve, la usa per fare guerra ai santi, per sconfiggerli e per esercitare il suo dominio su ogni tribù, ogni lingua, ogni popolo, ogni nazione (Et datum est illi bellum fa’ cere cum sanctis et vincere eos , et data est illi potestas in omnem tribum , et populum , et linguam, et gentem, ibid. v. 7). Quindi, il piccolo corno di Daniele è la prima bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse, poiché c’è identità di comportamento tra loro; ed entrambi rappresentano l’impero maomettano. Il corno di Daniele è così tanto la bestia di San Giovanni, che il profeta giudeo chiama lui stesso bestia, quando dice, al capitolo VII, v. 11: Aspiciebam propter vocem sermonum grandium quos cornu illud loquebatur; et vidi quoniam interfecta esset bestia, perisset corpus ejus, et traditum est ad comburendum igni. – Io guardavo a causa dei discorsi pieni di orgoglio che questo corno pronunciava, e vidi che la bestia era stata uccisa, il suo corpo perito, ed era stato gettato alle fiamme – Il corno di Daniele ha una durata di un tempo, più tempi e le metà di un tempo – Et tradentur in manu ejus usque ad tempus, et tempora et dimidium temporis, Dan. cap. VII. v. 25); questo, prendendo un tempo per un anno, due tempi per due anni, e la metà di un tempo per sei mesi, come sono universalmente tutti d’accardo, fornisce tre anni e mezzo. Ora questi tre anni e mezzo fanno quaranta due mesi, che sono esattamente la durata della bestia di San Giovanni (Et data est ei potestas facere menses qua dragintà duos – E gli si diede il potere di agire per quarantadue mesi – Apoc. cap. XIII. v. 5). – Il destino finale del corno e della bestia li identifica di nuovo; il corno di Daniele è ucciso; il suo corpo perisce ed è consegnato al fuoco (Et vidi quoniam interfecta esset bestia, et perisset corpus ejus, et traditum est ad comburendum igni . – Dan. cap. VII. v. 11 – ; e la bestia dell’Apocalisse è fatta prigioniera, perché teneva prigionieri gli altri; perisce di spada, perché ha ucciso gli altri (Qui in captivitatem duxerit in captivitatem vadet; qui in gladio occidet, oportet eum gladio occidi – Chi ha fatto prigionieri sarà condotto in cattività; chi ha ucciso di spada sarà ucciso di spada – Apoc. cap. XIII. v. 10). Poi sarà bruciata dal fuoco, quando, risorgendo dall’abisso, riapparirà sulla scena del mondo (Et apprehensa est bestia, et cum ea pseudopropheta … vivi missi sunt hi duo in stagnum ignis ardentis sulphure, Apoc. XIX, V. 20; et descendit ignis de cælo, et devoravit eos; et diabolus qui seducebat eos missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudopropheta crucibuntur die ac nocte in sæcula sæculorum (E la bestia fu presa, e con lui il falso profeta … Sono stati gettati vivi nello stagno di fuoco e di zolfo … Il fuoco scese dal cielo e li divorò, e il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e il falso profeta saranno tormentati per i secoli dei secoli – ibid. cap. XIX. v. 9. 10). – Dato che è quasi certo che l’undicesimo corno di Daniele è la prima bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse, e che questo corno e questa bestia sono l’impero maomettano, possiamo sviluppare le altre particolarità che San Giovanni è l’unico a riportare, perché era più vicino a questa bestia, e che Daniele non ha enumerato, perché un altro doveva farlo dopo di lui nella continuazione dei tempi (Holzhauser – tom. 2, p. 39 a 47, Wüilleret – dice, come noi, che la bestia con sette teste e dieci corna del capitolo XIII dell’Apocalisse è l’impero maomettano).

IV. La prima bestia dell’Apocalisse ha, come il drago, sette teste e dieci corna; ma, invece di avere sette diademi sulle sue sette teste, ha dieci diademi sulle sue dieci corna. Cosa possono significare tutte queste cose? Le sette teste del drago rappresentano, in termini morali, i sette peccati capitali; la bestia che ha sette teste ha lo stesso carattere, poiché ha lo stesso numero di teste. Queste sette teste della bestia possono rappresentare, da un altro punto di vista, i sette paesi o regni che formano l’impero maomettano (Holzhauser dice erroneamente, secondo noi, che le sette teste della bestia siano i vari governanti che regneranno sull’impero turco o maomettano – Tom. II. p. 40, Wüilleret -, Leggendo Ezechiele (capitolo XXXVIII, v. 2.) che dice di Gog, l’Anticristo, che è il principe della testa di Mosoch e Thubal che rappresentano i popoli di cui sono i ceppi, si capisce che le teste sono i popoli (principem capitis Mosoch et Thubal) e come le dieci corna siano i difensori, e poi i distruttori della bestia, come abbiamo detto di quelli, in numero uguale, che sottomisero l’Impero Romano. Queste corna della bestia di San Giovanni sono dieci re che conserveranno e difenderanno l’impero di Maometto, probabilmente a causa della grande difficoltà che troveranno nel dividerlo, e che finiranno per rovesciarlo da cima a fondo, come fecero i barbari del Nord nei confronti dell’Impero d’Occidente, che era l’Impero Romano propriamente detto (Holzhauser ci sembra in errore, quando fa di queste dieci corna dieci popoli sottomessi ai Turchi –  tom. II, p. 40, Wüilleret).

V. Una delle sette teste è ferita a morte (Et vidi unum de capitibus suis quasi occisum in mortem, et plaga mortis ejus curata est – E vidi una delle sue teste come colpita a morte, e la sua ferita mortale fu guarita- Apoc. cap. XIII. v. 3). Questa ferita mortale, che è guarita, può indicare sia le crociate dei Cristiani contro i saraceni, che tolsero loro la Palestina e la Siria, di cui tornarono padroni solo dopo circa cento anni, sia la distruzione dell’impero turco, una delle sette teste della bestia, che sarà richiamata al potere dall’anticristo, quando risorgerà dall’abisso, come è detto nel capitolo XVII di San Giovanni. – Applicando alle crociate questa ferita inferta a una delle sette teste della bestia (un’applicazione meno plausibile della seconda), il resto della profezia di San Giovanni si accorda molto bene con la storia; poiché questa bestia, così colpita, diventa solo più potente; nonostante la prova subita, distrugge l’Impero d’Oriente, si impadronisce di Costantinopoli e di tutta quella che oggi si chiama la Turchia d’Europa; attacca l’Italia, dalla quale è tenuta lontana solo dalla sconfitta di Lepanto; invade l’Ungheria e va ad assediare Vienna, capitale dell’Impero tedesco. Tutto l’universo ammira la sua grandezza e potenza (Et admirata est universa terra post bestiam, et adoraverunt bestiam dicentes: Quis similis bestiæ, et quis poterit pugnare cum eà (Sic Holzhauser (tom. 2, p. 46, Wüilleret – Apoc. cap. XIII, v. 3. 4) – Se questa ferita mortale rappresenta la distruzione dell’Impero turco (ipotesi più probabile), già iniziata con la perdita della Grecia propriamente detta, la quasi-indipendenza di tutti i principati danubiani, la conquista dell’Algeria e l’ultima guerra in Oriente e in Crimea, la sua completa guarigione sarà la sua restaurazione e risurrezione operata dell’anticristo; E poiché l’impero di quest’ultimo sarà ancora più vasto e potente di quello turco, persino di quello della religione di Maometto, si dirà di lui, con ancora più verità: Et admirata est universa terra post bestiam, et adoraverunt draconem qui dedit potestatem bestiæ; et adoraverunt bestiam dicentes: Quis similis bestiæ, et quis poterit pugnare cum ea – e tutta la terra si meravigliò della bestia, e adorarono il drago che aveva dato il suo potere alla bestia, e adorarono la bestia, dicendo: Chi è come la bestia, e chi potrà combattere contro di essa? – Apoc. cap. XIII. v. 4).

VI. Il capitolo XVII dell’Apocalisse ci presenta un’altra bestia che ha anch’essa sette teste e dieci corna, ed è anche piena di nomi blasfemi (Plenam no minibus blasphemiæ, Ap. cap. XVII, v. 3). – Questa bestia è di colore scarlatto (Bestiam coccineam, ibid. v. 3), il che non autorizza a pensare che la prima bestia non sia dello stesso colore; perché non le fu dato altro colore, e la bandiera turca ha la stessa tonalità. Non è detto che abbia dieci diademi sulle dieci corna, il che non può far pensare che queste dieci corna non siano dieci re, dato che sono veramente tali (Et decem cornua quce vidistis decem reges sunt – E le dieci corna che avete visto sono dieci re – Apoc. cap. XVII. v. 12 -. Le sette teste di questa bestia, che porta la grande Babilonia, sono sette montagne sulle quali la prostituta è seduta e intronizzata; esse sono anche sette re che sostengono e difendono l’empietà (Septem capita septem montes sunt, super quos mulier sedet, et reges septem sunt – Le sette teste sono sette montagne, sulle quali la donna è seduta. Sono anche sette re. – ibid. v. 9).  – Cos’è questa bestia, quali sono le sue sette teste? Questa bestia era e ha cessato di essere; ritorna in vita dall’abisso, e non dal mare, e perisce nella sua interezza poco dopo (Bestia quam vidisti fuit et non est, et ascensura est de abysso, et in interitum vadit – La bestia che avete visto era e non è più. Deve risalire dall’abisso e andare nella morte – ibid. cap. XVII. v. 8).  – Le sette teste di questa bestia ci presentano qualcosa di analogo a ciò che si dice della bestia stessa. Cinque delle sue teste sono cadute; una sola esiste ancora, e quando arriverà la settima, che non è ancora venuta al momento in cui il Profeta si colloca, rimarrà per un breve tempo (Quinque ceciderunt, unus est, et alius nondum venit; et cùm venerit, oportet illum breve tempus manere, ibid. v. 10). Tuttavia, la bestia che era, che non è più e che ritorna in vita, è essa stessa l’ottava testa, sebbene sia del numero delle sette, e va alla morte (Et bestia quæ erat et non est , et ipsa octava est , et de septem est, et interitum vadit – ibid. v. 11 – M. de Wüilleret dice che questa bestia è il drago, … ci sembra in errore). Questi vari passaggi dell’Apocalisse sono molto enigmatici; ma nella loro oscurità forniscono alcuni dati che possono servire da filo conduttore. Se si ricorda che la bestia del capitolo XIII, con sette teste e dieci corna, è l’impero di Maometto che deve finire, e la cui distruzione è già iniziata, si sarà portati a pensare che la bestia del capitolo XVII, che è in tutto simile alla prima, sia identica ad essa; che l’impero maomettano era già distrutto al tempo del Profeta, e che deve poi tornare in vita per mezzo dell’anticristo, che lo renderà più potente che mai, e farà sì che gli abitanti della terra siano in ammirazione quando vedranno la bestia che aveva cessato di essere, così che questo passaggio del capitolo XIII. v. 3: – Et plaga mortis ejus curata est, et admirata est universa terra post bestiam, – sarebbe ripetuto e confuso con il v. 8 del capitolo XVII: (Et mirabuntur ejus curata est, et admirata est universa terra post bestiam. Et mirabuntur inhabitantes terram quorum non sunt scripta nomina in libro vitæ à constitutione mundi, videntes bestiam quæ erat et non est – E gli abitanti della terra i cui nomi non sono scritti nel libro della vita dalla creazione del mondo, saranno nell’ammirazione quando vedranno la bestia che era, e che non è). Questa ripetizione e confusione che abbiamo appena menzionato non avrebbe luogo se le Crociate fossero rappresentate dalla piaga morale menzionata nel capitolo XIII, v. 3. Le cinque teste che sono cadute (Quinque ceciderunt, cap. XVII. v. 10), la settima testa che non è ancora venuta, cosicché la bestia ha, in questo momento, solo una testa su sette, la sesta, indicherebbe che la distruzione dell’impero Maometano non sarà totale, che questo impero sarà ridotto al settimo della sua potenza, avendo solo una testa, mentre prima ne aveva sette; il che si accorda molto bene con queste teste, che sono monti e re, cioè potenze, e quindi popoli; poiché non ci sono re e potenze senza popoli; e la settima testa, che è anche l’ottava (et ipsa octava est), che è del numero dei sette, e che diventa la bestia stessa (Et bestia quæ erat et non est: et ipsa octava est, et de septem est, v. 8 – e la bestia che era e non è: ed è l’ottava, ed è di sette), avendo sette corna e dieci teste, sarebbe l’anticristo che si leva dall’imo profondo, perché egli sale dall’abisso, si assoggetta un popolo, ne fa una potenza, diviene il dominatore ed il capo dei Turchi, non appartenendo però a questa nazione (… è probabilmente perché l’anticristo non sarà un maomettano per nascita o per nazione, egli è un’ottava testa che si aggiunge alle teste naturali. È perché egli si identifica con i maomettani facendo risorgere il loro impero, che diventa la settima testa della bestia, o dell’impero maomettano, e la stessa bestia), ristabilisce il loro impero, lo fa elevare con la forza del dragone ad una grandezza fino ad allora inaudita, e che i Romani non hanno mai raggiunto, mette a morte Enoch ed Elia che vengono uccisi, non dalla bestia che sale dal mare né dalla bestia che sale dalla terra, ma dalla bestia che sale dagli abissi, che è quella del cap. XVII (Et cùm finierint testimonium suum, bestia quæ ascendit de abysso faciet adversùs eum bellum, et vincet illos, et occidet eos – E quando avranno finito la loro testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà loro guerra, li vincerà e li metterà a morte. – Apoc . cap. XI. v. 7).

VII. Per quanto riguarda le sette teste dell’Anticristo, divenute la bestia, esse ci sembrano rappresentare i sette poteri che obbediranno direttamente al suo potere temporale. Il profeta Ezechiele ce ne dà una lista, dicendoci che una di queste nazioni è una testa, e con questo egli conferma molte delle nostre più importanti considerazioni. “Figlio dell’Uomo – dice a questo Profeta – volgi la tua faccia contro Gog (Gog è l’Anticristo, come abbiamo visto in §. 6 dell’Introduzione), la terra di Magog, il principe della testa di Mosoch e Thubal, e gli dirai: Questo è ciò che dice il Signore, etc., Ti volterò da tutte le parti, ti metterò una briglia nelle fauci, ti farò uscire dal tuo paese, tu e tutto il tuo esercito, etc.; i Persiani, gli Etiopi e i Libici saranno con loro, tutti coperti da scudi ed elmi in testa. Gomer e tutte le sue truppe, la casa di Thogorma, che abita in Aquilone, e tutte le sue forze, e molti altri popoli saranno con voi (Fili hominis pone faciem tuam contra Gog, terram Magog, principem capitis Mosoch et Thubal, et vaticinare de eo. Et dices ad eum: Hæc dicit Dominus Deus: Ecce ego ad te, Gog, principem capilis Mosoch et Thubal. Et circumagam te, et po nam frænum in maxillis tuis, et educam te, et omnem exercitum tuum, ecc. ecc. Persæ, Æthiopes et Libyes cum eis omnes sculati et galeati. Gomer et universa agmina ejus, domus Thogorma, latera aquilonis, et totum robur ejus, populique multi tecum. (Ezech. cap. XXXVIII, v. 2, 3, 4, 5, 6). – Se leggiamo attentamente questo notevole passaggio, troveremo le sette montagne o potenze, o i sette re che formano le sette teste dell’Anticristo. La prima testa è Magog, che rappresenta i Tartari e i Turchi, discendenti di Magog, figlio di Japhet; la seconda è la Russia, composta da Moscovia, derivata da Mosoch, figlio dello stesso Japhet, e la Circassia, abitata dai discendenti di Thubal, un altro figlio di Japhet; e la riunione di questi due paesi sotto una sola testa indica che diventeranno un solo popolo, cosa che è già stata realizzata dalle recenti conquiste dei Russi. La terza testa è il regno di Persia; la quarta è l’Etiopia, che comprende l’Egitto, la Nubia, l’Abissinia e la maggior parte dell’Africa; la quinta è la Libia, che contiene tutto il resto della parte settentrionale dell’Africa. La sesta testa è Gomer, i cui discendenti popolarono la Turchia dell’Europa, e la settima è la casa di Thogorma, che abitò l’Asia Minore, e specialmente la Frigia, e si diffuse in altri paesi.

VIII. Le dieci corna della bestia nel capitolo XVII non portano originariamente diademi. Non si deve concludere da questo che non siano re; si può pensare, più giustamente, che non siano inizialmente dei re che regnarono al tempo del figlio di perdizione, e che rappresentino solo dei capi militari simili ai luogotenenti di Alessandro; ma, siccome li si vede chiamare in seguito re (Decem cornua que vidisti decem reges sunt, cap. XVII, v. 12), poiché lo stesso versetto dice che non hanno ancora regnato, ma che il potere sarà dato loro, come ai re, per un’ora dopo la bestia, cioè dopo la caduta dell’uomo del male, siamo giustificati nel pensare che dopo la morte dell’anticristo, loro maestro, si impadroniranno del suo imopero, lo divideranno, regneranno per un’ora, cioè per pochissimo tempo (Questo tempo potrebbe essere di quindici giorni o di trenta giorni, a seconda che consideriamo il giorno di ventiquattro ore, o di dodici ore durante le quali, in tempo medio, il sole è all’orizzonte. Se un giorno è un anno, nel senso biblico, mezz’ora ne è la 24° parte o la 12° di un anno.), combatteranno contro l’Agnello, saranno vinti da lui; e quando saranno diventati obbedienti al Dio che vince, aborriranno la prostituta, cioè la legge empia e satanica del figlio della perdizione, e desoleranno i suoi seguaci e la grande città che essi abitano, Et decem cornua quæ vidisti decem reges sunt qui regnum nondùm acceperunt, sed potestatem tanquàm reges una horâ accipient post bestiam. Hiunum consilium habent, et virtutem et potestatem suam bestice tradent; Deus enim dedit in corde eorum ut faciant quod placi tum est illi: ut dent regnum suum bestiæ, donec con summentur verba Dei. Hi cum Agno pugnabunt, et Agnus vincet illos, quoniam Dominus dominorum est, et Rex regum, et qui cum illo sunt vocati, electi et fideles, et decem cornua quæ vidisti in bestia: hi odient fornicariam, et desolatam facient illam et nudam, et car nes ejus manducabunt, et ipsam igni concremabunt – Le dieci corna che avete visto sono dieci re che non hanno ancora regnato, ma che riceveranno il potere, come re, per un’ora dopo la bestia. Essi hanno una sola intenzione, daranno la loro forza e il loro potere alla bestia; perché Dio ha messo nei loro cuori di fare ciò che gli piace, e di dare il regno alla bestia finché le parole di Dio non si siano adempiute. Combatteranno contro l’Agnello, ma l’Agnello li sconfigge, perché Egli è il Signore dei signori, il Re dei re, e coloro che sono con Lui sono chiamati gli eletti, i fedeli. Le dieci corna che avete visto sulla testa della bestia odieranno la prostituta, la desoleranno, la spoglieranno, mangeranno la sua carne e la bruceranno nel fuoco), Apoc . cap. XVII, v. 12, 13, 17, 14, 16).

IX. Abbiamo parlato molto dell’anticristo; è opportuno sapere qualcosa della sua persona. L’anticristo sarà certamente un uomo pieno di talento, di genio e di scienza. Sembra che egli sia tra coloro che sono invitati al banchetto di nozze dell’Agnello, e che sia colui che viene espulso, perché non ha un abito nuziale (Intravit autem Rex ut videret discumbentes, et vidit ibi hominem non vestitum veste nuptiali; et ait illi: Amice, quomodò huc intrasti non habens vestem nuptialem ? At ille obmutuit. Tunc dixit Rex ministris : Ligatis pedibus ejus mittite eum in tenebras exteriores (Il re entrò per vedere quelli che partecipavano al banchetto, e vide un uomo che non era vestito con l’abito nuziale, e gli disse: Amico, come sei entrato qui senza l’abito nuziale? Egli rimase in silenzio. Allora il re disse ai suoi ministri: “Legategli i piedi e gettatelo nelle tenebre esteriori” (Matth. XXII, v. 11, 12, 13). – Se è così, l’anticristo sarà battezzato e professerà prima il Cattolicesimo, nel quale sarà nato, poiché è privato solo della veste nuziale dell’innocenza o della penitenza. Perché la prevaricazione dell’anticristo sia la più grande che si sia mai vista, perché sia l’uomo del peccato, il figlio della perdizione (homo peccati, filius perditionis, II. Thessal., cap. II, v. 3), egli deve essere cattolico e apostata, deve aver ricevuto tutte le grazie che Dio concede agli altri uomini, anche quelle straordinarie, e deve abusarne di tutte e farne uso contro Colui che gliele ha date. Da chi nascerà, quale sarà la sua patria? Ci sono molte opinioni divergenti su questi vari punti. Alcuni lo fanno nascere da una donna per opera di satana, così come Nostro Signore Gesù Cristo è nato dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo. – Noi non possiamo accettare questa come un’ipotesi ragionevole, perché c’è una differenza infinita tra lo Spirito Santo e il demonio, e quest’ultimo non ha potere creativo. Altri gli danno per madre una donna maomettana, perché deve resuscitare l’impero dell’Islamismo, e per padre un giudeo della tribù di Dan. Hanno tre ragioni per questo: il primo, che è quello di ripristinare il dominio dei Turchi, una cosa che può essere fatta da un Cristiano, politico o rinnegato; la seconda, che questa tribù d’Israele (quella di Dan) non è denominata, nel capitolo VIII dell’Apocalisse, come quella che fornisce gli eletti segnati dal segno dell’Agnello, e che Giacobbe disse di Dan, che sarebbe stato come un colubro nella via, come una vipera nella via, che morde il piede del cavallo, così che chi lo cavalca cade all’indietro (Fiat Dan coluber in via, cerastesin semita, mordens ungulos equi ut cadat ascen sm ejus retro, Genes. , cap. XLIX, v. 17). Queste ragioni non sono molto solide, perché l’omissione di questa tribù può venire dalla sua totale estinzione, e perché le parole di Giacobbe furono così ben verificate e compiute in Sansone, membro di questa tribù di Dan, che divenne giudice d’Israele (Dan judicabit populum suum, sicut et alias tribus in Israel, Gen, cap. XLIX, v 16), ed era per i Filistei un vero serpente, una vera cerasta, così che si possa pensare, con il R. P. Carrière e il commentatore Menochius, che il santo Patriarca avesse in vista solo Sansone negli annunci profetici che fece in punto di morte. Il terzo, perché i Giudei devono seguirlo e riconoscerlo come il Messia, secondo le parole di Nostro Signore Gesù Cristo: Ego veni in nomine Patris mei et non accepistis me, si alius venerit in nomine suo, illum accipietis – Io sono venuto nel nome del Padre mio, e voi non mi ricevete. Se un altro viene nel suo nome, lo riceverete – , Ev. S. Giovanni, cap. V, v. 43), e che non avrebbero riconosciuto come tale un uomo che non fosse della loro nazione. Questa terza ragione non è più plausibile delle altre; perché, da un lato, è impossibile sapere di cosa siano capaci uomini come loro, così bendati; e, dall’altro, coloro che lo partoriranno potrebbero essere Cristiani battezzati, ma di razza giudaica e maomettana (Ci sono molti Cristiani discendenti da Giudei, che sono Cattolici di nome, e ancora Giudei di cuore [i c.d. marrani]. Potremmo citare alcuni fatti molto deplorevoli.). Altri pensano che nascerà in Francia, campo di battaglia del bene e del male, di Dio e del demonio, e che sarà il frutto del libertinaggio di persone non sposate tra loro. Altri, infine, vedono l’abominio della desolazione nella sua concezione e nascita, e gli danno per padre e madre Cattolici consacrati a Dio. – Noi non possiamo decidere tra queste diverse opinioni. Ma se consideriamo, da un lato, che questo malvagio, questo miserabile deve essere l’abominio della desolazione nel luogo santo (Cùm videritis abominationem desolationis stantem in loco sancto – Quando vedrete l’abominio della desolazione nel luogo santo -, Ev. Math. cap. XXIV, v. 15), propenderemmo fortemente per quest’ultima ipotesi; e se invece consideriamo che la rivoluzione francese, iniziata alla fine del XVII secolo, è una figura abbreviata della grande tribolazione che l’anticristo produrrà, che ha distrutto gli altari, proscritto la religione cattolica, massacrato i Vescovi e i preti, e abolito il Sacrificio perpetuo (juge sacrificium, Dan. cap. XII, v. 11); e se riflettiamo che è dalla Francia che procedono il bene e il male; che se i disegni di Dio sono eseguiti dai francesi (gesta Dei per Francos), quelli del diavolo si realizzano per mezzo dello stesso popolo; come abbiamo visto finora, saremo portati a dire che l’anticristo sarà francese, e che la nazione che è stata l’anticristo-popolo, darà vita all’anticristo-individuo. Sulla base di tutto ciò che abbiamo detto sul drago e sulle bestie, non ci resta che parlare della seconda bestia del capitolo XIII dell’Apocalisse e della grande Babilonia.

 ⃰⃰⃰   ⃰ * ⃰ 

[Ecco alcune parole della suor della Natività relative all’anticristo. (*)

T. II, p. 10. « Sappi, figlia mia, che verso la fine degli ultimi secoli, sorgerà una falsa religione contraria all’unità di Dio e della Sua Chiesa (da questo possiamo concludere che il filosofismo e il razionalismo si estingueranno presto) ».

Ibidem, p. 11: « I suoi seguaci, per avere successo, dapprima affetteranno un grande rispetto per il Vangelo e per la Cattolicità; appariranno libri di spiritualità che saranno scritti da loro con un calore di devozione, e porteranno le anime ad un punto di perfezione che sembrerà elevarle al terzo cielo … Avranno altari e templi… contraffaranno i sacramenti… La loro ipocrisia farà loro inventare austerità sorprendenti…; ma tutto questo sarà solo un’apparenza… Essendo la loro religione fondata solo sui piaceri dei sensi … per meglio contraffare le sante istituzioni della Chiesa, stabiliranno delle pretese religiose che si dedicheranno alla continenza con le parole, e si nomineranno per eccellenza le Spose dei Cantici, o le Spose dello Spirito Santo (Tutte queste cose assomigliano notevolmente alla setta di Vintras chiamata l’Opera della Misericordia, che ha sedotto tanti sacerdoti, anche quelli costituiti con dignità, uomini e donne religiosi, e persone di pietà. Queste “Spose” dello Spirito Santo respirano Vintras attraverso tutti i puri. È inoltre certo che in diverse diocesi sono stati istituiti conventi di donne, con nomi molto rispettabili, dove sono avvenuti fatti straordinari e sospetti. I Vescovi hanno chiuso questi conventi e disperso i loro membri. Conosciamo i fatti e le persone). Pretese rivelazioni, predizioni del futuro, estasi, rapimenti nel corpo e nell’anima accadono loro frequentemente.

Ib., p. 15: « Questi pretesi santi, illuminati e “rapiti” in Dio … si riuniranno di notte con le cosiddette Spose dei Cantici, in luoghi segreti favorevoli ai loro perversi disegni… Che orrori percepisco!

« Una di queste vestali… darà alla luce l’anticristo… che avrà probabilmente come padre uno dei principali capi di queste assemblee notturne (dei sacerdoti malvagi potrebbero essere nel numero dei suoi capi).

T. I. p. 318: « Per quanto riguarda la sua persona, Gesù Cristo mi mostrò che lo aveva posto tra gli uomini redenti dal suo sangue, e che gli avrebbe concesso, fin dalla sua infanzia, tutte le grazie necessarie e anche quelle prevenienti e straordinarie nell’ordine della salvezza. »

Ibidem. P. 319 « In un’età più avanzata non gli rifiuterà le grazie forti di conversione, di cui abuserà come delle prime.

 T. 4. P. 440: « Lo istruirò (dice satana) e lo prenderò sotto la mia guida fin dalla sua infanzia; non avrà che dieci anni quando sarà  più potente e più dotto di tutti voi. Dall’età di dieci anni, lo condurrò in aria, gli farò vedere tutti i regni e gli imperi della terra. Lo renderò padrone del mondo. Sarà un perfetto sapiente dell’arte della guerra… Infine farò di lui un dio che sarà adorato come il Messia atteso. Egli non agirà in tutta la sua potenza e non farà brillare le sue vittorie e i suoi trionfi prima dei trent’anni (Se l’anticristo inizia la sua vita pubblica a trent’anni, non significa che perseguiterà subito la Chiesa; gli ci vorrà del tempo per stabilire il suo potere); ma prima di questo tempo farà valere i suoi talenti in segreto (Noi pensiamo che l’anticristo sarà francese; la Suora non lo dice espressamente, ma lo dà ad intendere; perché il suo libro è specialmente per la Francia, che lei considera a buon diritto, come il laboratorio del mondo per il bene come per il male. – Ella dice a sufficienza che sarà cattolico; e per iscritto, nel vol. I, ella afferma a sufficienza che egli sarà cattolico; e scrivendo, nel vol. 1, p. 250, che i nemici hanno forzato le barriere e “sono entrati anche nella cittadella dove hanno posto l’assedio”, rende plausibile l’opinione che l’anticristo nasca da Cattolici consacrati a Dio).

Ibid. p. 447:  « Non posso segnare qui tutto ciò che sarà detto di più lusinghiero e di più compiuto sulla sua persona, la sua bellezza, le sue ricchezze. Sarà circondato da uno splendore divino più luminoso del sole, e sarà accompagnato da una corte celeste di angeli che lo seguiranno. Intere regioni di angeli gli renderanno omaggio come al loro re, e lo adoreranno come il vero Dio Onnipotente e il tanto desiderato Messia… Questi saranno i demoni che, sotto le spoglie degli angeli di luce, profetizzeranno la venuta di “quest’uomo di iniquità”. » *)

   ⃰    ⃰ 

 X. Dal momento che si riconosce che la prima bestia del capitolo XIII di San Giovanni è l’impero maomettano; che quella del capitolo XVII è l’Anticristo che rinnova il potere di Maometto e lo accresce; che, di conseguenza, queste due bestie sono una sola, tranne che per la questione del tempo, è certo che la seconda bestia dello stesso capitolo XIII, che ha solo una testa e due corna, non può essere il figlio della perdizione. – D’altra parte, si sarà notato che le sette teste dell’anticristo, i sette popoli che fanno la sua forza, non avanzano più in là, verso l’Occidente, della Turchia d’Europa. Da questo si potrebbe dedurre che l’uomo del male regnerà solo in Oriente, e che la parte occidentale dell’Europa non lo conoscerà e non avrà nulla da soffrire da lui. – Ma non sarà così: l’impero cristiano o romano, l’impero occidentale, potrà lottare più a lungo contro l’inferno, perché è più stabilito nella verità. Essa non permetterà all’anticristo di sorgere in mezzo ad essi; questi andrà in Oriente per stabilire la sua fatale fortuna; ma l’Occidente avrà in mezzo a sé una bestia molto malvagia che stabilirà ed estenderà il potere e il culto dell’uomo del peccato; ed è di quest’altra bestia che si parla nel capitolo XIII di San Giovanni, vv. 11-17. – Questa bestia, non essendo l’anticristo, sarà uno dei suoi luogotenenti, un vero pseudoprofeta che parla e agisce in nome e per conto di un altro. È di essa che parla il capitolo XVI, v. 13, quando dice: (Et vidi de ore draconis, et de ore bestiæ, et de ore pseudoprophetæ spiritus tres immundos in modum ranarum – E vidi dalla bocca del drago, da quella della bestia e da quella del falso profeta tre spiriti immondi come rane); e il capitolo XX, v. 9, 10, quando San Giovanni annuncia la caduta del drago e della bestia nei seguenti termini: Et Diabolus qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis et sulphuris, ubi et bestia et pseudoprophetæ (perché se ce n’è uno che è il principale, ci saranno molti che saranno subordinati): cruciubuntur die ac nocte in sæcula sæculorum (E il diavolo che li aveva ingannati fu gettato nel lago di fuoco e di zolfo, dove la bestia e i falsi profeti saranno tormentati giorno e notte nei secoli dei secoli). – Stabilita l’identità tra questo grande falso profeta e la seconda bestia del capitolo XIII, vediamo cos’è questa bestia e cosa fa. Questa nuova bestia non sale dal mare, come Maometto che sale dalle rive del Mar Rosso, dal mare dove sono tutti i tipi di rettili; non viene dall’abisso, dove sono i malvagi, i demoni e le genti di bassa condizione; viene dalla terra, dal mezzo dei Cristiani, da una famiglia considerevole. Essa è nella schiera dei dottori, dei conduttori spirituali, sebbene sia un falso profeta; ha una sola testa e due corna, proprio come l’Agnello a cui assomiglia, e sembra, per queste ragioni, essere un sacerdote, un Vescovo, un principe della Chiesa, forse anche un antipapa, come pensa Holzhauser (vol. II, p. 60. etc., Wüilleret). Assomigliando all’Agnello in tanti modi, dovrebbe parlare come lui; ma parla come il drago, come satana; perché, per ambizione, ha rinnegato la sua fede, e si è dato al male e all’inferno (Et vidi aliam bestiam ascendentem de terra, et habebat cornua duo similia Agni, et loquebatur sicut draco – E vidi un’altra bestia che saliva dalla terra, che aveva due corna come quelle dell’Agnello, e parlava come il drago – Apoc. cap. XIII, v. 11). – Questo grande apostata riceverà da satana il potere della prima bestia, l’anticristo, che verrà nello stesso momento; egli userà tutto questo potere in Occidente, in presenza del figlio della perdizione, cioè durante la vita di quest’ultimo, e lo farà adorare quando avrà risuscitato e rafforzato l’antico impero di Maometto (Et potestatem prioris bestiæ omnem faciebat in conspectu ejus, et fecit terram et habitantes in ea adorare bestiam primam cujus curata est plaga mortis – E usò tutta la potenza della prima bestia in sua presenza, e fece adorare a tutta la terra e ai suoi abitanti la prima bestia la cui ferita mortale era stata guarita. (Sic Holzhauser, tom. II, p. 60, 61, ecc, Wüilleret -, ibid. v. 12). Egli compirà grandi prodigi, fino a far scendere il fuoco dal cielo davanti agli uomini (Et fecit signa magna, ut etiam ignem faceret de cœlo descendere in conspectu hominumœ, ibid. v. 13). Egli sedurrà gli abitanti della terra a causa dei prodigi che gli sarà dato di fare in presenza della bestia (Et seduxit habitantes in terrâ propter signa quæ data sunt illi facere in conspectu bestiæ, ibid. v. 14). – A causa della lontananza e della dimora in Oriente dell’uomo del male, che non potrà, per questo motivo, farsi adorare di persona in Occidente, si farà un ritratto di questo mostro (Dicens habitantibus in terrâ ut faciant imaginem bestiæ quo habet plagam gladii, et vixit , ibid. v. 14). Egli spingerà il suo prestigio fino ad animare questo ritratto, facendolo parlare (cosa che i demoni potranno produrre facilmente), e ordinerà a tutti di adorarlo sotto pena di perdere la vita (Et datum est illi ut daret spiritum imagini bestiæ, et ut loqueretur imago bestiæ, et faciat ut quicumque non adoraverint imaginem bestiæ occiduntur, ibid. v. 15). Andando oltre, l’anticristo stesso, a causa della grande resistenza che incontrerà, esigerà che i piccoli e i grandi, i ricchi e i poveri, gli uomini liberi e gli schiavi abbiano il segno della bestia nella mano destra o sulla fronte, proprio come era necessario avere la coccarda tricolore, e un certificato di civismo per poter uscire, e per avere il diritto di esistere sotto la prima repubblica francese (Et faciet omnes pusillos et magnos, et divites et pauperes, et liberos et servos habere characterem bestiæ in dextera manu, aut in frontibus suis, ibid. v. 16); e proibirà persino di vendere e comprare, cioè di compiere gli atti più necessari della vita materiale, a coloro che non hanno il segno della bestia, o il suo nome, o il numero del suo nome, così che sarà necessario apostatare o morire di fame, proprio come si è visto in Francia (Et ne quis possit emere aut vendere, nisi qui habet characterem, aut nomen bestiæ, aut numerum nominis ejus, ibid. v. 17). – Queste sono le atrocità a cui si abbandonerà questa seconda bestia, che è il principale pseudoprofeta del figlio della perdizione, e la terza persona di questa trinità veramente infernale; egli sarà subalterno, e non agirà per se stesso; inoltre non è il suo proprio nome che farà portare agli abitanti della terra; non è il suo numero personale di cui si parla nello stesso capitolo XIII, v. 18, quando si dice: “Hic sapientia est; qui ha a bet intellectum computet numerum bestiæ; numerus enim hominis est, et numerus ejus sexcentisexaginta sex – Ecco la sapienza. Chi ha intelletto conti il numero della bestia, perché questo numero è il numero dell’uomo, e questo numero è seicentosessantasei).

XI. Questi versetti 17 e 18 hanno bisogno di qualche spiegazione sui numeri a cui si riferiscono. Nel primo, si parla del numero del nome dell’Anticristo (aut numerum nominis ejus); e nel secondo, è il numero della bestia stessa (numerum bestiæ), e non il numero del suo nome. San Giovanni aggiunge che questo numero della bestia è il numero dell’uomo (numerus enim hominis est). Il significato di questi vari passaggi non è identico, come molti hanno creduto, perché non sono formati dagli stessi termini; e, d’altra parte, i Profeti non fanno ripetizioni inutili, soprattutto se sono ravvicinate tra loro. Prendendo le parole nel loro senso naturale, diremo che il numero del nome della bestia è quello che sarà fornito dalle lettere che comporranno il suo nome, come è in latino e greco, dove le lettere dell’alfabeto sono anche i numeri (Essendo l’Apocalisse stata composta e scritta in greco, il nome dell’anticristo sarà probabilmente fornito dal valore in numero delle lettere greche a cui si riferisce la quantità 666, saremo portati a sapere cosa significa questa quantità.); e che il numero personale della bestia, il numero dell’uomo, misura il tempo della sua vita sulla terra; ora, per quanto riguarda quest’ultimo numero, il numero 666 non si applica né ai giorni né alle settimane; perché nel primo caso, l’anticristo, vivendo solo 666 giorni, meno di due anni, non potrebbe compiere la sua missione satanica; e nel secondo caso, non potrebbe nemmeno farlo, perché vivrebbe solo 13 anni o giù di lì. Questo numero non si applica agli anni, perché l’uomo del male vivrebbe 666 anni, e dal diluvio la vita umana non arriva che al sesto di questo numero; quindi si applica ai mesi: l’Anticristo deve vivere 666 mesi che forniscono un periodo di cinquantacinque anni e mezzo. Un’altra ragione per pensarlo è che nello stesso capitolo XIII, sono citati solo i mesi per la prima bestia (Et data est ei potestas facere menses quadraginta duos – E gli fu dato il potere di agire per quarantadue mesi); e non si vede perché, mentre nel v. 5 si tratta solo di mesi, il numero del v. 18 si applicherebbe a qualcos’altro. Perciò è probabile che l’anticristo vivrà cinquantacinque anni e mezzo (Holzhauser è della stessa opinione – t. II, p . 73 a 77 Wüilleret), ma non motiva la sua opinione e non distingue i due numeri di cui abbiamo parlato.

XII. Passiamo ora alla grande Babilonia. La grande meretrice, la grande Babilonia che siede su molte acque (Veni et vide; ostendam tibi damnationem meretricis magnæ quæ sedet super aquas multas – Vieni, ti mostrerò la condanna della grande meretrice che siede su molte acque; Apoc. cap. XVII, v. 1. – Le acque che avete visto su cui siede la prostituta sono i popoli, le nazioni e le lingue.) ibid. v. 15), è principalmente la legge anticristiana del figlio della perdizione e dei suoi precursori e predecessori, con la quale i re della terra hanno fornicato, dalla quale gli uomini si sono ubriacati (Cum quà fornicati sunt reges terra, et inebriati sunt qui inhabitunt terram de vino prosti tutionis ejus – Con la quale i re della terra hanno fornicato, e gli abitanti della terra si sono ubriacati col vino della prostituzione – v. 2). È anche quel grande popolo del mare che, attualmente nelle Indie, riceve una punizione così terribile e giusta, la grande città che regna sui re della terra, la capitale dell’anticristo che sosterrà il suo partito, anche dopo la sua caduta, e che sarà spogliata, messa a ferro e fuoco (Et mulier quam vidisti est civitas magna quæ habet regnum super reges terræ, cap. 17, v. 18). Hi odient fornicariam, et desolatam facient illam, et nudam, et carnes ejus man ducabunt, et ipsam igni concremabunt – E la donna che avete visto e la grande città che regna sui re della terra . – Questi odieranno la prostituta – ibid. v. 16). – La grande meretrice, che rappresenta l’empietà, la legge anticristiana, è esistita dall’instaurazione del Cattolicesimo ed esisterà fino alla fine. È una conseguenza forzata di queste parole di San Giovanni nella sua prima Epistola, capitolo II, v. 18: Filioli, novissima hora est, et sicut audistis quia Antichristus venit, et nunc Antichristi multi facti sunt; unde discimus quia no vissima hora est; e di questo passo del capitolo IV, v. 3, ibid. Et omnis spiritus qui solvit Jesum ex Deo non est; et hic est Antichristus de quo audistis quoniam venit, et nunc jam in mundo est.). Così, dal punto di vista materiale, la grande Babilonia sarebbe stata prima Gerusalemme, deicida, poi Roma pagana e persecutrice; essa sarebbe diventata poi la Costantinopoli cattolica, scismatica e infine maomettana; sarebbe stata la chiesa anglicana, coperta d’oro e di ricchezze, che soffia ovunque anticattolicesimo; il governo della Gran Bretagna che, credendosi al sicuro nella sua isola, tiene lo scettro dei venti rivoluzionari e anticristiani, e li scatena sul continente per aumentare, con l’abolizione della concorrenza, la produzione delle manifatture inglesi, e i profitti dei mercanti di questa nazione, secondo l’espressione di Canning nel 1826 (Celsa sedetrex Æolus arcesceptra tenens), della Gran Bretagna i cui popoli la desoleranno, la spoglieranno, mangeranno la sua carne e la bruceranno nel fuoco. (M. de Wüilleret pensa che la prostituta sia Gerusalemme, che è diventata la capitale dell’Anticristo – t . 2. p . 233, Wüilleret). Nell’Indostan, attualmente mangiano la carne e bruciano i bambini. Potrebbe ancora essere Parigi, e potrebbe diventarlo in futuro qualsiasi altra città empia che, come la nostra capitale, delizierebbe la terra e la corromperebbe. Dal punto di vista intellettuale e morale, la grande prostituta sarebbe stata il Giudaismo, dopo la morte di Gesù Cristo, il Paganesimo persecutore così fertile per crimini e disordini, le eresie sorte, in particolare, nella terza età, lo scisma greco che ebbe luogo nella quarta età, l’infedeltà maomettana, la riforma protestante, il filosofismo, il razionalismo, il naturalismo, la rivoluzione e il socialismo. L’anticristo sarebbe stato il popolo Giudo rifiutato da Dio, gli imperatori romani, i governanti eretici del basso impero, i monarchi scismatici, i califfi, i Sudan, i sultani, i re protestanti, i filosofi, sarebbero ora i razionalisti e i rivoluzionari del nostro secolo,a qualsiasi colore o sfumatura essi appartengano, e tutti questi anticristi di bassa lega, sarebbero esitato nel grande anticristo, a colui che eserciterà la grande tentazione nel mondo.  Così, il capitolo XVII dell’Apocalisse, che sembra fatto solo per gli ultimi tempi, come il capitolo XVIII, si applica a tutta la durata del Cristianesimo, e di conseguenza al nostro tempo.

XIII. Per completare questo argomento e non doverci ritornare, dobbiamo ancora segnare la durata della prima bestia del capitolo XIII di San Giovanni, cioè dell’impero maomettano, e della bestia del capitolo XVII, che è la bestia precedente tornata in vita; lo faremo, utilizzando per questo le profezie di Daniele combinate con l’Apocalisse di San Giovanni. Una figura meravigliosa vestita di lino appare a Daniele vicino al fiume Tigri (Eram juxta fluvium magnum qui est Tigris, etc.; et vidi: Et ecce virunus ves titus lineis, et renes ejus accincti auro obrizo – Ero vicino al grande fiume Tigri, e guardai e vidi un uomo vestito di lino e con i lombi cinti di oro purissimo. – Dan. cap. X, v. 4, 5); e gli disse: “Verrà un tempo come non si è mai visto da quando i popoli sono stati stabiliti fino ad allora. Questo è il tempo in cui Israele sarà salvato (Et veniet tempus, quale non fuit ex quo gentes cæperunt usque ad tempus illud, et in tempore illo salvabitur populus tuus omnis qui inventus fuerit scriptus in libro – Verrà un tempo come non è mai esistito da quando le nazioni furono stabilite. In quel tempo sarà salvato ogni membro del tuo popolo che si trova scritto nel libro – Dan. cap. XII, v. 1); poi gli mostra due uomini che stavano in piedi sulle rive del fiume, uno su una riva, l’altro sull’altra (Et vidi ego Daniel; et ecce quasi duo aliæ stabant, unus hinc super ripam fluminis, et alius inde ex alterâ ripâ fluminis – Io, Daniele, guardai ancora, e vidi come se fossero altri due uomini che stavano in piedi, uno su una riva del fiume, l’altro sull’altra riva.- Dan. cap. XII, v. 5). – Il Profeta chiede all’Angelo in quale momento la visione che gli mostra sarà finita e completata (Usque quò finis horum mirabilium? Dan. cap. XII, v. 6), e l’inviato celeste risponde che avverrà alla fine di un tempo, di due tempi e della metà di un tempo, quando il tempo della dispersione del popolo d’Israele sarà finito (Quiu in tempus, et tempora et dimidium temporis, et cum completa fuerit dispersio manu populi sancti, complebuntur universa hæc – Tutte queste cose saranno compiute in un tempo, due tempi e la metà di un tempo mezzo, e quando la dispersione del tuo popolo santo sarà completata. – Dan, cap. XII, v. 7). Ora, poiché la dispersione dei Giudei finirà prima dei giorni dell’anticristo, si presume che uno di questi due uomini, l’ultimo dei due nell’ordine cronologico, sia il figlio della perdizione stesso, e che di conseguenza il primo sia Maometto, e che ci siano tra questi due uomini le stesse relazioni che esistono tra la prima e la grande bestia del capitolo XIII di San Giovanni, e quella del capitolo XVII. Anche Daniele quasi li identifica quando dice di aver visto, non due uomini ben distinti, ma “come due uomini” (quasi duo alii). Il tempo di cui si è parlato passa; Daniele chiede di nuovo all’Angelo che cosa arriverà dopo (Et ego audivi, et non intellexi, et dixi: Domine mi, quid erit post hæc – Ho sentito, e non ho capito, e gli ho detto: Mio Signore, che cosa arriverà dopo? – Dan. cap. XII, v. 8). E gli annuncia che molti saranno scelti, resi bianchi e come il fuoco, purificati e messi alla prova; che gli empi sprofonderanno ancora di più nella loro empietà, e avranno perso ogni intelligenza (Eligentur et dealbabuntur, et quasi ignis probabuntur multi; et impie agent impii, nequc intelligent, Dan. XII, v. 10); che il Sacrificio perpetuo sarà abolito, e che l’abominio, che aveva messo la desolazione ovunque, sarà allora esso stesso desolato (Et à tempore cum ablatum fuerit juge sacrificium, et posita fuerit abominatio in desolationem, dies mille ducenti nonaginta – Passeranno 1290 giorni dal momento in cui il sacrificio perpetuo sarà stato abolito, e l’abominio sarà stato messo in desolazione). E gli dichiara che il significato di queste parole sarà frainteso fino al tempo segnato dalla saggezza divina (Et ait: Vade, Daniel, quia clausi sunt signatique sermones, usque ad præfinitum tempus – E dice: Vai, Daniele, perché queste parole sono chiuse e sigillate fino al tempo segnato. – Dan. cap . XII, v. 9).

XIV. Tutte queste cose menzionate nei v. 8, 9, 10 e 11 del capitolo XII di Daniele, rappresentano molto bene il regno dell’anticristo che farà tanti apostati, e perseguiterà così crudelmente i veri Cristiani. Si può e si deve concludere che i tempi menzionati sopra (tempus, tempora e dimidium temporis) sono fino al giorno in cui l’anticristo si costituirà come tale, e inizierà la sua guerra contro il Signore e contro il suo Cristo, e non fino alla sua morte, e che questi tempi sono il numero esatto di anni che passeranno da Maometto all’inizio della persecuzione dell’anticristo, e appaiono come la misura della larghezza del fiume che separa i due uomini che l’Angelo mostrava a Daniele. – Si può pensare che riconosciamo Maometto e l’anticristo arbitrariamente nei due uomini che Daniele vede sulle due rive del fiume, ma non è così. Abbiamo serie ragioni per farlo; esse derivano dal testo stesso e dalla sua relazione con i passaggi dell’Apocalisse che si riferiscono a questi due personaggi. È certo che nel capitolo XII Daniele si occupa dell’anticristo, poiché parla nel v. 11 dell’abominazione della desolazione negli stessi termini di N.S. J.-C. in San Matteo. Da ciò possiamo e dobbiamo concludere che questo tempo, quando gli empi diventeranno ancora più malvagi, quando i giusti dovranno soffrire così tanto (v. 10), questo tempo, come non è mai esistito prima (v. 1), è davvero quello dell’anticristo. E ciò che rende più probabile questa conclusione è che nello stesso capitolo si parla della resurrezione dei morti, dell’eternità beata per gli eletti e miserabile per i reprobi (v. 2, 5), che sarà l’esecuzione dell’ultimo giudizio; e da ciò nasce la conseguenza che uno di questi due uomini che sono in questa visione sia certamente l’anticristo – In questo stato, quale può essere l’altro personaggio, diverso dal figlio della perdizione, ma che si confonde quasi con lui (quasi duo ali, v. – In questo stato, l’altro personaggio, diverso dal figlio della perdizione, ma che è quasi identico a lui (quasi duo ali, v. 5), è Maometto, il cui impero l’anticristo farà risorgere e accrescere; Maometto che è il suo tipo, la sua immagine, il suo principale precursore; non è forse Maometto, che San Giovanni rappresenta sotto forma di una bestia a sette teste, con dieci corna e dieci diademi sui suoi dieci corni, proprio come ha fatto per l’uomo del male egli stesso? E se questo è così, cosa può significare il tempo menzionato nel v. 7, se non l’intervallo tra Maometto e l’inizio della persecuzione del suo restauratore? Detto questo, torniamo allo sviluppo del testo sacro. Tutti gli interpreti concordano che queste parole: Tempus, tempora et dimidium temporis, usate da Daniele (cap. VII, v. 25, cap. XII, v. 7) e da San Giovanni (cap. XII, v. 14), prevedono tre anni e mezzo, perché un tempo è un anno, due tempi sono due anni, e mezzo tempo sono sei mesi. Ora, poiché tre anni e mezzo sono composti da un certo numero di giorni, e poiché i giorni, nelle abitudini profetiche, sono presi il più delle volte per anni (Diem pro anno, diem, inquam, pro anno, dedi tibi – vi ho dato un giorno per un anno, un giorno, dico, per un anno. Ezech. cap. IV, v. 6); poiché, invece, a seconda che l’anno sia lunare o solare, o contenga dodici mesi di trenta giorni ciascuno, conta trecentocinquantaquattro giorni e una frazione, o trecentosessantacinque giorni, o trecentosessanta, bisogna prendere tre anni e mezzo per millecentoquarantuno anni, nella prima ipotesi; per millecentosessanta anni nella terza, e per millecentosettantotto anni e mezzo nella seconda, contando un anno bisestile su quattro anni (Holzhauser – tomo I, p . 481, Wüilleret – trova nel sistema solare solo 1277 giorni e mezzo, perché ha dimenticato l’anno bisestile che si trova ogni tre anni e mezzo). Ci sarà dunque tra Maometto e l’inizio della grande guerra dell’anticristo contro la Chiesa milleduecentoquarantuno anni, o milleduecento sessanta anni, o milleduecento settantotto anni e mezzo. – Si possono fare quattro serie di calcoli a seconda che si prenda come punto di partenza la nascita di Maometto (nel 569), l’anno in cui iniziò la sua predicazione (609), l’anno in cui pose le basi del suo impero (621), o l’anno in cui morì (633); e queste quattro serie saranno suddivise in tre conteggi particolari, a seconda che i tre anni e mezzo in questione daranno milleduecentoquarantuno giorni, o milleduecentosessanta, o milleduecento settantotto giorni e mezzo. Contando questi tre anni e mezzo dalla nascita di Maometto (569), otteniamo la prima serie, e aggiungendo milleduecentoquarantuno anni, dodici cento sessanta anni, e milleduecento settantotto anni e mezzo, otteniamo 1810, 1829, e 1847 e mezzo, che sono già passati, e non hanno visto l’inizio del regno dell’anticristo.  Partendo dalla predicazione di Maometto (609), e aggiungendo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni, o dodici milleduecentosettantotto anni e mezzo, otteniamo 1850, 1869, e 1887 e mezzo, che non sono ammissibili, perché il 1850 è già passato, che il 1869 e il 1887 e mezzo sono troppo vicini a noi, e che il figlio della perdizione deve vivere cinquantatré anni e mezzo, come abbiamo visto, e cominciare a perseguitare la Chiesa all’età di cinquantadue anni, come diremo tra poco. – Se prendiamo come base l’anno 621 che vide l’inizio dell’impero di Maometto, e aggiungiamo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni e  milleduecentosettantotto anni e mezzo, arriviamo a 1862, 1881 e 1889 anni e mezzo, che non possono concordare con i cinquantacinque anni e mezzo dell’anticristo, che non è ancora nato, e l’inizio della sua persecuzione al cinquantaduesimo anno della sua età. Ma se contiamo dalla morte di Maometto nel 633 e aggiungiamo milleduecentoquarantuno anni, milleduecentosessanta anni e milleduecentosettantotto anni e mezzo, otteniamo 1874, 1893 e 1911 e mezzo.  – Tra questi tre modi di contare gli anni, preferiamo quello che, con la Chiesa Cattolica, segue il sistema solare e conta, in tre anni e mezzo, milleduecentosettantotto giorni e mezzo, perché è il calcolo e il sistema del Cattolicesimo, e fu stabilito da esso, e perché, per questa ragione, è probabile che i Profeti lo avessero in vista nei loro annunci, per cose che sono di così grande interesse per la Religione di Cristo. Siamo quindi portati a credere che l’anticristo inizierà la sua persecuzione dei Cattolici verso la metà dell’anno 1911 [Bisogna aggiungere un secolo che il Signore ha accordato a satana per compiere la sua azione demolitrice sulla Chiesa, come a  S.S. Leone XIII fu rivelato in visione nel 1885, e la ss. Vergine annunziò a Fatima. D’altra parte, come sottolineato in precedenza – v. Introduzione § II – anche a Suor della Natività Gesù annunziò per il Giudizio,  due date possibili: o verso la fine  del secolo 1900, o in quello del 2000 « … se passa questo secolo (il 1900), il secolo del 2000 non passerà senza che esso giunga » – “Vie et Révévelations de la Sœur de la Nativité”, 2a Ed. Beaucé éd., Parigi, 1819 – T. IV, p. 125 -ndr.-). Così, secondo le nostre congetture, ci saranno milleduecentosettantotto anni e mezzo dalla morte di Maometto al giorno in cui l’Anticristo si porrà come nemico della Chiesa e la perseguiterà; e noi prendiamo questa morte come punto di partenza, perché è in questo momento, alla fine di Maometto, che inizia la distanza tra lui e il primo giorno della persecuzione dell’uomo del male. Quanto tempo durerà questa persecuzione? Milleduecentonovanta giorni da quando il sacrificio perpetuo sarà abolito (Et à tempore cùm ablatum fuerit juge sacrificium, et posita fuerit abominatio in desolationem dies mille ducenti nonaginta, Dan. XII, v. 11). Così l’Anticristo, che vivrà per un totale di cinquantacinque anni e mezzo, perseguiterà la religione per tre anni, sei mesi e undici giorni e mezzo, finché sarà fulminato; e morirà nel primo mese (o il secondo) dell’anno 1915, il che pone la sua nascita a metà dell’anno 1859. I quarantacinque giorni successivi alla sua caduta saranno ancora molto infelici, a causa dei dieci capi militari che si succederanno al potere, e che avranno continuato, per un certo tempo, a combattere contro l’Agnello (Apoc., cap. XVII, v. 14); ma infine, la calma sarà ristabilita dopo questi quarantacinque giorni, secondo queste parole: Beatus qui exspectat et pervenit usque ad dies mille trecentos triginta quinque – Beato chi riuscirà a giungere fino al 1338° giorno. – Dan . cap. XII, v . 11 ).

XV. In quale anno l’impero maomettano sarà distrutto e ridotto a una sola testa? Questo è l’ultimo punto che rimane da esaminare dopo aver esaminato tutte le questioni che riguardano questo capitolo. San Giovanni ci dice, nella sua Apocalisse, capitolo XIII, v. 5, che la prima bestia con sette teste e dieci corna avrà potere per quarantadue mesi, che dà anche tre anni e mezzo, e quindi milleduecentoquarantuno giorni nel sistema lunare, milleduecento sessanta giorni nel sistema greco, che conta l’anno come trecentosessanta giorni e il mese come trenta giorni, e milleduecentosessantotto giorni e mezzo nel sistema solare (Et data est ei potestas facere menses quadra ginta duos , cap. XIII, v. 5). Quando abbiamo calcolato il tempo tra Maometto e la persecuzione dell’anticristo, abbiamo preso come base il sistema solare, il sistema cattolico, perché questo tempo è di interesse primario e diretto per la Chiesa, e per questo deve essere calcolato secondo il suo proprio metodo. Ma se si tratta della durata dell’impero di Maometto, che è di interesse primario e diretto per i suoi seguaci, è logico e ragionevole prendere come mezzo di calcolo il loro calendario, che è lunare, e dire che i quarantadue mesi che danno milleduecentoquarantuno giorni forniscono milleduecentoquarantuno anni; Questo, aggiungendo milleduecentoquarantuno anni al 621, punto di partenza dell’Egira (Parliamo qui dell’Egira, perché è la durata dell’impero maomettano che fu fondato dodici anni prima della morte di Maometto), ci dà circa l’anno 1862 per la distruzione di questo impero o l’inizio effettivo di questa distruzione. – Abbiamo fissato questi punti secondo le relazioni che esistono tra il sistema solare e quello lunare; e abbiamo dovuto farlo, perché i modi di contare dei maomettani non sono né fermi né in accordo tra loro. Sappiamo certamente che il primo anno d’Egira è il 622; saremmo dunque arrivati, secondo il nostro calendario, all’anno solare 1235; e tra i musulmani, alcuni dicono che siamo nel 1858, nel mille e settimo anno, e altri dicono che siamo solo nell’anno 1265. Tra i Cristiani, possiamo citare Chalcondile, suddito della Porta, che, nella sua Storia dei Turchi (vol. 2, p. 826), si esprime come segue. “La battaglia di Lepanto fu combattuta una domenica, il settimo giorno di ottobre, nell’anno di grazia 1571, d’Egira 977º. Così, l’Egira ha già perso ventotto anni nel nostro modo di contare; perché c’erano, secondo il nostro Calendario, solo novecentoquarantanove anni, la differenza tra il 1571 e il 622 essendo novecentoquarantanove, e saremmo ora (nel 1858) nell’anno 1274 dell’Egira. D’altra parte, gli atti emanati dall’orgogliosa potenza che è stata a lungo chiamata la Sublime Porta e dallo Scià di Persia, alla fine dell’anno 1856, ci danno lo stesso tempo; poiché ci portano (nel 1858) all’anno 1274 dell’Egira. Ma Abd-el Kader conta in modo diverso, e ci dice che siamo (nel 1858) nell’anno 1265 di Maometto. La sua lettera al sindaco di Amboise, datata 1 gennaio 1854, riportata nei giornali francesi, e in particolare nel Nouvelliste di Marsiglia, del 31 dello stesso mese, è datata il 4 di Rabi – el – tani dell’anno 1260 d’Egitto. Ora, se il 1854 è il 1260° anno dell’Egitto, il 1858, dopo aprile, è il 1265° anno. Preferiamo la stima del Sultano e dello Scià di Persia, perché è più ufficiale e deve essere, per questo, più esatta; e ci permettiamo di far notare che, se l’impero turco cade nel 1862 o nel 1863, saranno rimasti milleduecentoquarantuno anni solari e dodici milleduecentosettantotto lunari. Così che non c’è altra differenza tra la distanza che separa la morte di Maometto dall’inizio della persecuzione dell’anticristo e quella che segna la durata dell’Impero turco, che i dodici anni del regno di Maometto stesso, e che i millesettantotto anni e mezzo del primo calcolo sono solari, mentre quelli del secondo sono lunari.

CONGETTURE SU LE ETÀ DELLA CHIESA E GLI ULTIMI TEMPI (6)

IL SEGNO DELLA CROCE (22)

IL SEGNO DELLA CROCE AL SECOLO XIX (22)

PER Monsig. GAUME prot. apost.

TRADOTTO ED ANNOTATO DA. R. DE MARTINIS P. D. C. D. M.

LETTERA VENTESIMAPRIMA.

18 dicembre.

Imitazione generale. — lmitazione della santità di Dio. — La santità. — lI segno della croce santificatore dell’uomo e delle creature. — Imitazione della carità di Dio. —- Natura della carità di Dio. — Quale debba essere in noi. — Il segno della croce insegnandolo a noi, è nostra guida eloquente e sicura. — Prove irrefutabili.

Caro Amico,

In grazia del segno della croce, ciascuna delle Persone dell’adorabile Trinità è d’innanzi a noi, e lasciasi copiare. Desse, sotto il gran nome di Dio, offrono alla nostra imitazione tutte le perfezioni insieme raccolte. Io ne scelgo due, che, brillando a gran lustro, è mestieri imitare di presente più che in ogni altro tempo: la santità, e la carità.

La santità. — Santità vuol dire unità, esenzione di tutto ch’è straneo. Dio è santo perchè uno; e l’è tre volte, perchè tre volte uno. Uno in potenza, perchè essa è infinita; uno in saggezza, perchè essa è infinita; uno in amore, essendo questo infinito. In Dio nulla limita, nè altera questa triplice unità; epperò santo, perfettamente, completamente santo in sè stesso. Egli lo è nelle sue opere; in nessuna di esse potendo Egli soffrire la riunione colpevole, il disordine, o, per dirlo col suo nome, il peccato. Gli angeli cacciati dal Cielo e l’uomo dal Paradiso terrestre, il mondo allagato dal diluvio, Sodoma consunta dal fuoco, l’Impero romano scrollato da’ colpi de’ Barbari, la vittima del Calvario crocifissa fra due ladri, le calamità pubbliche e private, l’inferno con il suo fuoco eterno, sono tutte testimonianze della santità di Dio nelle sue creature. Grande lezione, che m’insegna di continuo il segno della croce! Io nol posso eseguire senza ch’ esso mi dica: Immagine di un Dio santissimo, ed inesorabilmente santo, tu devi esserlo perfettamente ed inesorabilmente nella tua memoria, nella tua intelligenza, e nella tua volontà. Santo nell’anima e nel mio corpo, in me stesso, e nelle mie opere, solo o in compagnia, giovane o vecchio, forte o debole, santo in tutto, da per tutto, e sempre; poiché è questa la sublime unità che devo in me realizzare. Ouomo, esclama Tertulliano, tu sarai grande, se arrivi a comprendere te stesso: O homo, tantum nomen, si intelligas te!  – Ciò non è tutto: io devo attuare fuor di me nel mio esteriore questa santità, come Dio esternamente la realizza nel creato; su quanto mi circonda deve splendere la santità, o unità di mia vita. Esempii, parole, preghiere, tutto in me deve esser tale, da poter allontanare il male, il dùellismo dal mio prossimo, immagine di Dio come me, ed al pari di me creato per l’unità. In questo dovere, sì vivamente ricordato dalla croce, prendono loro origine i prodigi dei sacrifizi, che di continuo rinascono nel seno del Cattolicismo. Dimanda a’ nostri apostoli dell’uno e l’altro sesso, qual cosa mai li meni al sacrifizio delle intelligenze le più nobili, delle vite le più pure, e del sangue il più generoso. Tutti ti risponderanno, la parola del Maestro: Noi abbiamo intesa la parola del Verbo redentore, che ordinava si contrassegnassero tutte le membra dell’umana famiglia col segno della Trinità. Questa parola immortale come Lui, risuona nel fondo del nostro cuore, e dove v’ha una fronte da segnare del segno liberatore, noi accorriamo, lavoriamo, moriamo! Ascolta il generalissimo di queste legioni eroiche, il S. Paolo de’ tempi moderni. Tu sai, che per i suoi giganteschi lavori questo nomo straordinario conquista un mondo alla civiltà ed alla fede; ma qual molle potente afforzava il suo coraggio, e quello de’ suoi successori, sino alla temerità, ed il desiderio sino all’entusiasmo ed alla pazzia? 0sanctissima Trinitas. O santissima Trinità! Questo grido di guerra si frequente sulle sante labbra del Saverio, come la sua espirazione, ti rivela il pensiero comune. — Col suo sguardo illuminato dalla fede l’apostolo ha considerato i popoli dell’India, della Cina, e del Giappone; e li ha visti assisi nelle ombre della morte, contrassegnati del disonorevole segno della bestia, e mancanti del glorioso carattere della Trinità. A vista di sì immensa degradazione il suo zelos’infiamma, e dal suo petto scappa fuori il grido di guerra: Osanctissima Ttinitas, o Trinità! è onta per voi, e sventura per l’opera vostra! E perchè le sfigurate immagini fossero riparate imprimendo su tutte le fronti il segno divino, Saverio si slancia da gigante, e lo spazio dispare sotto la corsa de’suoi piedi. Egli si beffa de’ pericoli, e non conosce altri limiti per la sua ambizione riparatrice, che quelli del mondo; anzi, il mondo stesso tornava piccolo per lui, e lo corse tanto da farne tre volte il giro (Vita di s. Fr. Sav. t. II, lib. VI, p. 208-213); e, se la morte non gli consente percorrerlo in tutte le direzioni, egli mostra a’ suoi successori le nazioni da conquistare. II suo desiderio ècompreso.— Migliaia di apostoli trasportati sulle ali de’ venti, come dice Fenelon, arriveranno in tutte le isole, nel fondo delle foreste, su tutte le spiaggie, per quanto lontane ed inospitali si fossero. Prima loro cura sarà il segnare del segno santificante la fronte dell’uomo degradato sino all’antropofagia, al grido del loro capo: 0sanctissima Trinitàs! Che tale sia il motivo che anima i conquistatori dell’evangelio, n’è pruova, che il loro ministero ètutto nel segnare le infedeli nazioni del suggello delle adorabili persone, e nel mantenere inviolabile la divina somiglianza.  – Il segno della croce fa di più ancora, santifica quanto tocca: gli uomini e le cose. Ora santificando le creature, dopo aver santificato l’uomo, la guida divina mena tutto al suo fine; avvegnaché è articolo di fede universale, che i segni religiosi hanno il potere di modificare le creature inanimate, e noi lo abbiamo veduto precedentemente. La verità di tale credenza è guarentita dalla sua universalità, e la grande maestra della verità la reputa come parte del deposito affidato alle sue cure, e ciascun giorno la insegna e la pratica. Da poi diciotto secoli in tutte le parti del pianeta, la Chiesa Cattolica santifica col segno della croce l’acqua, il sale, l’oglio, il pane, la cera, le pietre, il legno, le creature insensibili.  – Che cosa vuol dire teologicamente che il segno della croce santifica l’uomo e le creature? In riguardo dell’uomo non pretendo che il segno della croce conferisca la grazia santificante, o che sia strumento atto a conferirla come i sacramenti: ma voglio dire, che comunica una specie di santificazione simile a quella de’ catecumeni, sui quali sì fa il segno della croce innanzi ricevano il Battesimo; poiché, dice santo Agostino, che v’hanno diverse sorti di santificazione (lib. II. de Peccat. merit, et remiss, c. CXXVI.).Il segno della croce èun atto a cui Dio attacca l’applicazione de’meriti del suo Figlio come alla elemosina, che, per comune credenza, è buona, pia, salutare e santificante, tuttavolta non abbia la virtù del Battesimo, e della Penitenza. – In quanto poi alle creature, santificarle non è dare, od aggiungere ad esse una qualità fisica ed inerente ; ma èun ricondurle alla loro purità nativa, e comunicarle una virtù superiore alia naturale. Il perchè v’hanno due effetti della santificazione. Il primo, le purifica sottraendole alle influenze del demonio: il secondo, le rende atte a produrre effetti superiori alle forze naturali di esse. Siffattamente purificate, diventano nelle mani dell’uomo strumenti di salute, armi contro il demonio, preservativi contro i pericoli dell’anima e del corpo. Si potrebbero ben apportare molti fatti miracolosi, pubblici e privati, antichi e moderni, dovuti a queste creature insensibili santificate dal segno della croce ; ma per amor di brevità li tralasciamo. Solo avvertiamo, che se le giovani generazioni degli studenti a vece di brontolar favole pagane di Roma, e della Grecia, studiassero la Storia della Chiesa, ed i fasti de’ Santi, i tuoi compagni conoscerebbero de’ fatti ben più singolari di quelli di Alessandro e di Socrate, per Io mezzo delle cose benedette operate (Gretzer p. 896 et seg.). Non è per sola imitazione della santità di Dio, ma altresi per quella della carità, che il segno della croce, guida eloquente e sicura, ci mena, ci sorregge, e spinge nella nostra via. La Carità. — Lo Dio di cui siam figli, e che dobbiamo imitare è carità, Deus churitas est. Questa parola dice tutto, dice quello che Dio è in sè stesso, e nelle sue opere. Il Padre essendo Dio, è carità; il Figlio perchè Dio, l’è parimenti; lo Spirito Santo comecché Dio, non può non esserlo: la Trinità tutta è carità. Conosci tu un nome più bello di questo? E questo nome è ripetuto al nostro cuore ciascuna volta che eseguiamo il segno della croce. Carità vuol dire unione ed effusione. Fra le tre Persone divine tutto è unione ed unità: unità di pensieri, unità di operazione, unità di felicità e di essenza. L’ombra istessa di disaccordo non può turbare questa perfetta, ineffabile armonia; poiché uno ed istesso amore, amore perfetto, eterno ed inalterabile, è il legame delizioso della Trinità. Effusione, essenzialmente comunicativa è la carità; epperò tende a diffondersi esteriormente, e la carità divina con forza ed abbondanza infinita. Ora, le opere di Dio sono la creazione, la conservazione, la redenzione, la santificazione, e la glorificazione. Così creare è amare, conservare l’è parimente; riscattare non è altro per fermo; santificare l’è altresì; glorificare è ancora amare. Ogni carità viene dal cuore. Conosci tu un nome più delizioso? E questo c’è detto ogni volta, che facciamo il segno-delia croce. – Dio è carità. Questa parola dice a tutti i membri della umana famiglia di qualsiasi età e condizione, quello che dobbiamo essere: immagine di Dio, noi dobbiamo somigliargli. Somigliargli è esser carità in noi stessi, e nelle nostre opere. In noi stessi; per Io mezzo soprannaturale della grazia, che unisce fra loro tutte le nostre facoltà, le nobilita, fortifica le une colle altre, e le fa intendere allo stesso scopo, ed attuare in noi la simiglianza perfetta con Dio. Nelle nostre opere; unendoci a tutti gli uomini, per divina ragione come membra dello stesso corpo, facendo battere il nostro cuore all’unisono col loro; spargendosi diffusamente su tutto, che loro appartiene, realizza l’ultimo voto del divino maestro: «Padre, ch’eglino siano uniti, come noi lo siamo. »  Mi arresto a questi brevi cenni, o Federico, tu potrai ben svilupparli. Essi bastano a mostrare l’importanza del segno della croce come guida: ma se i tuoi compagni avessero la sventura di dubitarne, presenta loro le seguenti quistioni: È vero, si, o no, che nulla v’ha di più atto del segno della croce, a ricordarci di Dio, e della Trinità?  – È vero, sì, o pur no, che l’uomo èfatto ad immagine di Dio? – È vero, si o no, che il primo dovere, e la tendenza naturale di qualsiasi essere è di riprodurre in sè il tipo su eui è stato fatto?  – È vero, si o no, che l’uomo che non agogna a formare in sè l’immagine di Dio, egli s’informa all’immagine del demonio, e delle sue sregolate passioni; dimodoché, se non diviene di giorno in giorno più santo, più caritatevole, più di Dio, egli diviene, di giorno in giorno, più perverso, più egoista, più del demonio, più bestia, animalis homo? – È vero si o pur no, che l’uomo tende di continuo, a sua saputa ed insaputa, a rendere tutto a sua immagine, e che da questa azione permanente procede la santificazione, o la perversione, l’ordine o il disordine, la salute o la ruina degl’individui, delle famiglie, delle società, delle credenze e de’ costumi? Per poco ch’eglino abbiano di logica, e soprattutto d’imparzialità, la loro risposta, non ne dubito, sarà quella che dev’essere. Eglino diranno con noi, che niente è meglio fondato, o per parlare come oggidi è in uso, niente è più profondamente filolofico dell’uso frequente del segno della croce. Eglino continueranno dicendo, che, non i primi Cristiani, nè i veri fedeli di tutti i secoli, né la Chiesa Catttolica, nè, in fine, il fiore della umanità caddero in errore, conservando invariabilmente l’uso di questo segno misterioso. Eglino conchiuderanno, che l’errore, il torto, e la vergogna stanno per gli sprezzatori di questo segno; poiché col non eseguirlo, col vergognarsi di farlo, e beffandosi di quelli che lo praticano, si cacciano nel fango della umanità, si rendono inferiori a’ pagani, si assomigliano alle bestie.  Qual cosa mai resta per essi e per noi? Le mie ultime lettere te lo apprenderanno.