SALMI BIBLICI: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS” (LXXXIX)

SALMO 89: “DOMINE, REFUGIUM FACTUS ES NOBIS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS -LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 89

[1] Oratio Moysi, hominis Dei.

    Domine, refugium factus es nobis

a generatione in generationem.

[2] Priusquam montes fierent, aut formaretur terra et orbis, a sæculo et usque in sæculum tu es Deus.

[3] Ne avertas hominem in humilitatem; et dixisti: Convertimini, filii hominum.

[4] Quoniam mille anni ante oculos tuos tamquam dies hesterna quæ præteriit, et custodia in nocte;

[5] quæ pro nihilo habentur eorum anni erunt.

[6] Mane sicut herba transeat; mane floreat, et transeat; vespere decidat, induret, et arescat.

[7] Quia defecimus in ira tua, et in furore tuo turbati sumus.

[8] Posuisti iniquitates nostras in conspectu tuo, sæculum nostrum in illuminatione vultus tui.

[9] Quoniam omnes dies nostri defecerunt; et in ira tua defecimus. Anni nostri sicut aranea meditabuntur;

[10] dies annorum nostrorum in ipsis septuaginta anni. Si autem in potentatibus octoginta anni, et amplius eorum labor et dolor; quoniam supervenit mansuetudo, et corripiemur.

[11] Quis novit potestatem iræ tuæ,

[12] et præ timore tuo iram tuam dinumerare? Dexteram tuam sic notam fac, et eruditos corde in sapientia.

[13] Convertere, Domine; usquequo? et deprecabilis esto super servos tuos.

[14] Repleti sumus mane misericordia tua; et exsultavimus, et delectati sumus omnibus diebus nostris.

[15] Lætati sumus pro diebus quibus nos humiliasti, annis quibus vidimus mala.

[16] Respice in servos tuos et in opera tua, et dirige filios eorum.

[17] Et sit splendor Domini Dei nostri super nos; et opera manuum nostrarum dirige super nos, et opus manuum nostrarum dirige.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO LXXXIX

È il salmo intitolato da Mosè, non perché da Mosè composto; ma perché Mose prega Dio. Argomento è orazione a Dio pel genere umano, il quale pel peccato originale cadde nelle massime sciagure, ed è nella necessità del soccorso di Dio a portare con pazienza i mali della vita ed arrivare alla beatitudine celeste. (1)

Orazione di Mosè nomo di Dio.

1. Signore, tu sei stato nostro rifugio per tutte quante le età.

2. Prima che fossero fatti i monti, e formata la terra e il mondo da tutta l’eternità e per tutta l’eternità, o Dio, sei tu.

3. Non ridur l’uomo nell’abiezione, tu che dicesti: Convertitevi, o figliuoli degli uomini. (2)

4. Perocché mille anni dinanzi agli occhi tuoi son come il dì di ieri che è trapassato;

5. E come una vigilia notturna; i loro anni saran come cosa che nulla si stima.

6. In un giorno passa com’erba: al mattino fiorisce, e passa; sulla sera cade, e si indurisce, e si secca.

7. Siam venuti meno sotto il tuo sdegno, e pel tuo furore viviamo in turbamento.

8. Hai collocate davanti a te le nostre iniquità, e la nostra vita davanti alla luce della tua faccia.

9. Così tutti i giorni nostri sono mancati, e noi sotto il tuo sdegno siam consumati.

10. Come tela di ragno saran considerati gli anni nostri: pei giorni di nostra vita si hanno i settant’anni. E pei più robusti gli ottant’anni; e il di più è affanno e dolore. Dappoiché é venuta in aiuto la (tua) benignità, e noi sarem tosto rapiti. (3)

11. Chi sa conoscere la grandezza dell’ira tua? e chi sa comprender la tua indignazione, come tu sei formidabile?

12. Fa adunque conoscere (a noi) la tua destra, e dà a noi un cuore illuminato dalla sapienza. (4)

13. Volgiti a noi, o Signore; e fino a quando (sarai sdegnato)? placati coi servi tuoi.

14. Sarem ripieni al mattino di tua misericordia, e saremo nella esultazione e nel gaudio per tutti i giorni nostri.

15. Avrem letizia per ragione dei giorni nei quali tu ci affliggesti, e per gli anni nei quai vedemmo miserie.

16. Getta il tuo sguardo sopra i tuoi servi e sopra le opere tue; e reggi tu i loro figliuoli.

17. E la luce del Signore Dio nostro sia sopra di noi; e governa tu in noi le opera delle nostre mani; e l’opra delle mani nostre, governa tu.

(1) Diversi interpreti hanno attribuito questo salmo a Mosè, perché ne porta il nome; ma Sant’Agostino e, dopo di lui un gran numero di commentatori, respingono questa opinione per ragioni desunte dalla durata assegnata alla vita dell’uomo nel versetto 10, e pensano che il nome di Mosè sia stato attribuito a questo salmo per conferirgli maggiore autorità. – Questo salmo deve al nome di Mosè che porta, il posto che occupa nel breviario, nell’ufficio delle “laudes” del giovedì, ove è stato avvicinato al cantico di Mosè dopo il passaggio del mar rosso, che ebbe luogo, si dice, il giovedì.

(2) Nel testo ebraico, il Salmista oppone l’eternità di Dio alla brevità della vita degli uomini. Voi siete – egli dice – immortale ed immutabile, l’uomo passa sotto gli occhi vostri; Voi riducete allo stato più umile, alla distruzione, alla morte, e dite: andate e tornate, figli di Adamo nella polvere dalla quale siete stati tratti (Gen. III, 19).

(3) Le miserie che accompagnano la vita e ne accorciano il corso sono un effetto della giusta collera di Dio, ma la morte, che è il termine di queste miserie, può essere vista come un effetto della sua bontà, della sua compassione.

(4) Il senso di questo versetto, nella Vulgata, potrebbe essere la conseguenza di ciò che precede: Fate almeno che, riconoscendo la vostra mano in questi castighi, noi ne siamo istruiti in saggezza

Sommario analitico

Il Salmo CI, composto sulla fine della cattività di Babilonia, indica che i Salmi che compongono questo libro siano stati raccolti poco prima dell’epoca in cui, sotto Esdra, fu formato il canone dei Giudei (Le Hir.). – In questo salmo, in cui il profeta considera il genere umano dopo la caduta di Adamo e contempla le miserie di questa vita mortale e passeggera.

I. – Egli si volge a Dio:

1° Come verso il rifugio che gli è preparato dall’inizio del mondo (1);

2° come verso l’Autore eterno della salvezza dell’uomo;

3° Come verso la causa prima della sua conversione (2).

II. –  Deplora la brevità della vita:

1° Comparata con la primitiva immortalità (3);

2° considerata in se stessa e nei simboli della sua breve durata (5, 6);

3° Egli espone la causa di questa brevità della vita: la collera di Dio (7);

4° l’occasione di questa collera, il peccato (8, 9);

5° i lavori inutili che abbreviano ordinariamente la vita (10).

III. – Egli desidera che Dio:

1° che Dio, per un effetto della sua dolcezza, lo distolga dal male e gli faccia conoscere la grandezza della sua collera;

2° gli insegni la vera saggezza (10-12);

3° ponga su di lui degli sguardi di misericordia (13);

4° gli faccia provare i dolci e soavi effetti di questa misericordia, in cambio dei mali che egli ha sofferto (14-15);

5° diriga lui e tutta la sua vita con la sua luce divina, conduca e faccia prosperare tutte le sue opere (16, 17).

Spiegazioni e Considerazioni

1. – 1, 2.

ff. 1, 2. – Davide, prima di raccontare il triste destino dell’uomo, e deplorare le calamità del genere umano, comincia con il lodare Dio, affinché non si imputino alla durezza del Creatore le sventure e le prove di cui sta per parlare, ma alle colpe di colui che è stato creato (S. Girol., Epist. 139). – Dio è per noi un rifugio sicuro in tutte le nostre tribolazioni, qualunque esse siano; è un rifugio aperto a tutti, in ogni tempo e per l’eternità. « Signore, Voi siete stato il nostro rifugio di generazione in generazione, » per insegnarci come il Signore sia divenuto nostro rifugio, cominciando per noi ad essere ciò che non era in precedenza, benché sia sempre stato il nostro rifugio, il Profeta aggiunge: « prima che le montagne fossero fatte, e che la terra ed il pianeta non fosse formato, Voi siete fin dall’eternità, ed in tutti i secoli ». Voi dunque, che siete da sempre, Voi che siete da prima che noi fossimo e che il mondo fosse … Voi siete diventato il nostro rifugio dal giorno in cui ci siamo come convertiti a Voi (S. Agost.). –  « Prima che le montagne fossero fatte … Voi siete Dio. » Prima dell’esistenza di questi esseri che, nella vostra creazione, sono i più grandi ed i più elevati, prima che la terra fosse costituita perché vi fosse un essere che vi conoscesse e vi lodasse sulla terra; e non è esagerato dire che quasi tutti gli esseri abbiano cominciato sia nel tempo, sia con il tempo, ma piuttosto « … dal secolo fino al secoli Voi esistete. » La Scrittura non dice forse a ragione: Voi siete stato fin dai secoli, e sarete fino al secolo? essa pone il verbo al presente, per far comprendere che la sostanza di Dio è assolutamente immutabile, e che non si possa dire di Lui. Egli è, Egli è stato, Egli sarà, ma soltanto.: Egli è! Da ciò vengono queste parole: « Io sono Colui che sono » (Es. IV, 16) – « Voi siete sempre lo stesso, ed i vostri anni non verranno mai a mancare » (Ps. CI, 27, 28). Ecco che l’eternità è diventata vostro rifugio, ed è verso di essa che noi dobbiamo fuggire l’incostanza dei tempi, per restare sempre in essa (S. Agost.). – Fin tanto che noi siamo quaggiù, viviamo in mezzo a grandi e numerose tentazioni, ed è da temere che esse ci distacchino da questo rifugio. Così, cosa chiede l’uomo di Dio nella sua preghiera? « Non allontanate l’uomo nella sua bassezza », fate che l’uomo non si allontani dalle vostre eterne grandezze per desiderare ciò che passa, e prendere gusto a ciò che è terrestre, egli aggiunge poi: perché Voi avete detto: « convertitevi figli dell’uomo », come se dicesse: Io vi domando ciò che voi avete ordinato, glorificando così la grazia divina, affinché chi si glorifica, si glorifichi nel Signore, senza il cui soccorso noi non possiamo, con la nostra sola volontà, vincere le tentazioni di questa vita (S. Agost.). – Chiediamo spesso a Dio che non permetta che noi ci perdiamo nel fango dei nostri desideri e delle nostre passioni, e non ci seppelliamo interamente nella morte con l’oblio completo del sovrano Bene, perché Egli stesso ci ha chiamati a convertirci a Lui con la voce esterna delle Scritture, e con la voce interna della sua grazia.

II. — 3 – 9.

ff. 3-6. – Ecco il motivo per il quale noi dobbiamo allontanarci da tutto ciò che passa e scorre, al fine di arrivare al nostro rifugio, ove dimorare senza mai cambiare: e per quanto tempo si possa desiderare di vivere, « mille anni davanti ai vostri occhi, sono come il giorno di ieri che è passato. » Non è detto lo stesso per il giorno come il giorno di domani che deve ancora venire, perché tutto ciò che è limitato dal tempo che finisce, deve essere considerato come già passato (S Agost.). – « Il numero dei giorni dell’uomo, anche il più lungo, è di cento anni, e questi pochi anni sono come una goccia d’acqua nel mare, come un granello di sabbia nel giorno dell’eternità. Ecco perché il Signore è paziente verso gli uomini, e spande su di essi la sua misericordia » (Eccl. XVIII, 8, 7). Che sono cento anni, che sono mille anni, se un solo momento li cancella? Consideriamo allora come brevissimo, o piuttosto come un niente ciò che finisce, poiché infine, anche quanto si fossero moltiplicati gli anni oltre tutti i numeri conosciuti, visibilmente questo non sarà nulla quando saremo giunti a questo termine fatale. (Bossuet) – « I loro anni saranno come le cose che sono considerate un nulla. » Considerate un nulla, in effetti, sono le cose che non esistono prima di essere giunte e che, al loro arrivo, non saranno già più; perché esse non vengono per essere, ma per non essere. Il mattino, cioè l’inizio, che l’uomo trascorre come l’erba, il mattino, che fiorisce e che passa; la sera, cioè il poi, che cade, si dissecca e appassisce; cade nella morte e si dissecca nel suo cadavere, si dissecca nella polvere (S. Agost.). – La scrittura compara incessantemente la durata della nostra vita con ciò che vi è di più mobile, di più fuggitivo, di più leggero: è un’ombra, un sogno, un fiore che appare e appassisce ben presto, un fulmine che svanisce; ciò che è passato è ingoiato nel nulla, ciò che è futuro non è che in nostra potenza, quel che chiamiamo presente ci sfugge, e all’ultimo momento della nostra vita, di questa carriera non resta, per quanto lunga possiamo immaginarla, che il ricordo consegnato in parte alla nostra anima, ma ben più incisa nell’intelletto di Dio. È questo ricordo solo che ci deve interessare, e secondo il quale dobbiamo regolare tutti i nostri passaggi (Berthier).

ff. 7, 9. – L’uomo innocente non avrebbe provato la morte, ma è per l’invidia del demonio e a causa del peccato al quale egli ha condotto l’uomo, che la morte è entrata nel mondo. È dunque la collera di Dio, divampata per la malizia del peccato, che ha abbreviato la vita dell’uomo, e l’ha ridotta ad uno stato di debolezza. – È  lo stesso peccato che ha riempito di disturbi l’uomo, che godeva in principio di una pace profonda, nella conoscenza e nell’amore del suo Creatore (Duguet). – Nessuno deve essere persuaso che tutte le sue iniquità non siano presenti all’occhio di Dio, e che lo splendore di questa Maestà eterna rischiari finanche le pieghe più intime ed oscure della sua coscienza. Ciascuno di noi, al momento della morte, può dire: ecco il mio secolo finito; e con questo secolo, quale che sia la sua lunghezza o la sua brevità, tutti i secoli del mondo sono ugualmente assorbiti ed annientati. Non resta se non la luce di Dio, ed essa si stende su tutti i momenti della vita. Si saranno persi di vista gli smarrimenti dell’infanzia, le irruenze della giovinezza, gli intrighi dell’età matura, la debolezza della caducità, non ci si ricorderà né dei pensieri di frode, né dei desideri nascosti, né delle parole sconsiderate, né delle azioni momentanee, molto meno ancora delle circostanze che hanno cambiato o aggravato la specie dei peccati. Ma nulla sfugge alla conoscenza di Dio, come Egli tenga conto della minima azione fatta per compiacerlo, come raccolga tutti i dettagli della vita del peccatore per accusarglieli. (Berthier). – I suoi occhi eternamente aperti osservano tutte le direzioni, contano tutti i passi di un peccatore, e considerano i suoi peccati come sotto un sigillo, per presentarglieli nell’ultimo giorno … si nasconde agli uomini durante il momento così breve di questa vita, che passa come un’ombra, ma quando questa ombra sarà passata, la luce del volto di Dio, alla quale tutta la nostra vita sarà esposta, manifesterà tutto, metterà in evidenza le cose più nascoste nel fondo dei cuori. (Bossuet). – Anima cristiana, leva gli occhi, contempla in silenzio queste verità teologiche: che Dio, nella sua santità, conosce il tuo peccato, lo considera, lo esamina, e ne misura tutte le dimensioni; tanto che Egli vede nell’infinità delle bellezze e le grandezze delle sue perfezioni divine, sia che veda nelle bruttezze, le bassezze e gli obbrobri della vostra vita criminale. Egli compara il tuo stato al suo; trova che non c’è più né altezza né gloria nelle più sublimi elevazioni della tua saggezza e del tuo amore verso il suo Verbo, e che non c’è che il niente dove  sei caduta allontanandovi da Lui. Egli vede gli uni gli altri nella stessa visione. Che cos’è questo, gran Dio, esclama il Profeta tremante di orrore? (Ps. LXXXIX, 8). Occorre dunque che questo sia in un giorno così splendido nel quale contempliate le disgrazie e le onte della nostra vita miserabile e che, tra gli splendori del paradiso, il secolo della nostra ingratitudine, sia uno spettacolo della vostra eternità? Ecco come Dio conosce ciò che passa tra noi, ecco ciò che pensa di un solo e minimo peccato. (BOSSUET, liêflex. sur le triste état des pécheurs.)- Signore, Voi avete chiamato le nostre opere a comparire davanti alla vostra giustizia, avete posto il nostro secolo nello sguardo luminoso del vostro volto. Guardate la luce di questa fiamma, tutti i nostri giorni non sono stati che una sequela di cadute, e dovremo molto meditare per riempire i nostri anni di un lavorio che non ci sarà profittevole, un vero lavoro di ragnatela. – Riflessione, questa, tardiva che faranno alla morte tutti coloro che, per una lunga vita, avranno goduto della più grande prosperità. Essi diranno allora, vedendosi spogliati di tutti i loro beni: ahimè, tutti i nostri giorni si sono consumati, sono svaniti, e ci troviamo noi stessi consumati. Consideriamo allora il corso così precipitoso di una vita che tende alla morte in tutti i momenti, non attacchiamo il cuore ad un qualcosa che passa sì prontamente (Duguet). Perché rattristarci sulla rapidità dei destini dell’uomo? La vita è breve! E che importa! Che bisogno abbiamo di restare per tanto tempo sulla terra? Il cielo è nelle buone opere, non alle lunghe opere. Temete il viver male, non temete di vivere poco. Voi siete qui per lavorare. Se lavorate bene, avete paura di ricevere troppo presto la ricompensa? Al contrario, desideratela: Dio permette che voi la desideriate; ciò che Egli permette è giusto e saggio. Se lavorate male, di che si lamenta il vostro cuore, più virtuoso delle vostre opere? Convertitevi e desiderate di morire presto, per non ricadere nel peccato. « Colui che vuol vivere per raggiungere la perfezione – diceva un santo dottore – desideri morire, ed è perfetto. » Ma non crediate che la vita sia così breve: voi lasciate per tanto tempo dopo di voi, il bene o il male di cui avete riempito i vostri giorni. Non avete rovinato che un cuore, quanti ne rovineranno altri! Non avete preservato che un’anima, quante anime essa non preserverà (L. V., Rome et Lorette, n, 58.).

ff. 10, 11. – Nulla c’è di più preoccupante della ragnatela, niente di più fragile che il proprio lavoro. Esso si risolve nel tendere dei fili che sono distrutti in un momento. –  I nostri giorni trascorrono nei vani lavori simili a quelle tele che il ragno produce dalla sua sostanza e che lo affaticano. C’è molta arte nel lavoro di questo insetto, sembra quasi che esso rifletta per formare un tessuto così fine e ben  ordinato. È per questo che il Salmista si serve del termine “meditare”. Cosa facciamo durante la nostra vita? Riflessioni per ergere delle opere così frivole come le tele leggere del ragno, per intraprendere grandi lavori che terminano nel prendere delle mosche, per formare delle trame e tendere dei filamenti in cui siamo noi stessi avviluppati, e che si rompono tanto facilmente quanto più li abbiamo tessuti con difficoltà (Berthier, Duguet). – Qual è l’uomo la cui vita non si consumi tra vani progetti, tra vane meditazioni! Si fanno sogni che non si avverano; si formano dei desideri che non si realizzano o non soddisfano mai; si inseguono dei beni passeggeri, ci si agita, ci si sforza, ci si tormenta. E cosa ne viene all’uomo da tutto questo lavoro … domanda l’Ecclesiaste? (I, 3). Gli anni dell’uomo trascorrono nel meditare inutili pensieri; essi meditano, ci dice il Re-Profeta, come il ragno che tesse la sua tela. Ogni anno che passa è una tela nuova che si tesse e che si strappa. Le mosche frivole che si catturano nelle nostre trappole, valgono i nostri duri lavori? … così i nostri anni si succedono rapidamente e ci trascinano con esse; esse consumano lentamente la nostra vita. « Cosa viene all’uomo dal suo lavoro? » Ahimè, egli si consuma lavorando, tutte le cure che lo occupano lo divorano. Ogni nuovo affanno per il suo cuore, aggiunge una ruga nuova alla sua fronte. Simile al ragno tesse lui stesso i fili effimeri delle sue opere, e come esso, si dissecca, stendendo la tela. Tuttavia, ci affrettiamo a ridirlo, sono soprattutto i peccatori che si impegnano in pene superflue, perché a loro si applicano le parole di Davide: « allontanandosi da Dio, essi si sono resi inutili » (Ps. XXXVIII). E sempre è l’anima dei peccatori che lo stesso Profeta ha visto in questo versetto del Salmo: « Signore, avete punito l’uomo a causa delle sue iniquità, Voi avete fatto seccare la sua anima come il ragno » (Ps. XXXVIII, 13).  (Mgr. DE LA BOUILLERIE, Symb. II, p. 444, etc.).- Il Profeta aveva considerato l’eternità di Dio e vi oppone la durata sì breve della nostra vita, che è di settanta anni, o al più di ottanta anni, ma ancor circa la metà del genere umano perisce prima di raggiungere la giovinezza, e non c’è che la decima parte degli uomini fatti per giungere a settanta anni. (Berthier).

III. — 11-17.

ff. 12, 13. – Effetto della misericordia di Dio, è abbreviare il corso della nostra vita. Una vita breve, ma tutta impiegata al servizio di Dio, è ben lunga. Una vita lunga, ma che si consuma in bagattelle, è ben corta, ma quale lunghezza di mali produrrà (Dug.). – Dalla severità con cui Dio ha punito il peccato del primo uomo, il Profeta trae le conclusioni della divina severità in generale. Chi potrà temervi tanto da eguagliare il suo timore alla vostra giustizia e i mille mezzi che avete per punire i peccatori? – « Chi sa apprezzare la potenza della vostra collera e misurare la vostra collera sul timore che Voi ispirate? » – Non appartiene – dice il Profeta – che ad un piccolo numero di uomini il conoscere la potenza della vostra collera; perché nei riguardi della maggior parte degli uomini, più voi li risparmiate, più vi irritate contro di essi, di modo che è piuttosto alla vostra collera che alla vostra dolcezza che occorre attribuire la pena ed il dolore con i quali voi castigate ed istruite coloro che Voi amate, per paura che siano destinati alle pene eterne. Quanto è difficile trovare un uomo che sappia misurare la vostra collera sul timore che Voi ispirate, e considerare come un effetto della vostra collera la pazienza con la quale risparmiate coloro contro i quali vi irritate maggiormente, di modo tale che il peccatore prosperi nella sua via e riceva un castigo più severo nell’ultimo giorno. Non c’è che un piccolo numero di coloro che sono istruiti per comprendere che la vana ed ingannevole felicità degli empi è la prova di una collera più violenta da parte di Dio (S. Agost.). –  « Fate conoscere la vostra destra; » cioè fate conoscere il vostro Cristo, del quale è stato detto: « … A chi è stato rivelato il braccio del Signore. » (Isai. LIII, 1). Fatelo conoscere in modo tale che i suoi fedeli apprendano in Lui a sollecitare ed a sperare da Voi, di preferenza, le ricompense che non sono espresse nell’Antico Testamento, ma rivelate dal Nuovo. Fate che essi non pensino che bisogna stimare come gran prezzo la felicità che danno i beni terreni e temporali, bramarla e amarla con passione, per timore che i loro piedi non siano tremanti quando la vedranno posseduta da coloro che non vi adorano, e per timore che essi non scivolino e non cadano in errore nel calcolare la vostra collera (S. Agost.). –  C’è una saggezza di spirito ed una saggezza del cuore che San Paolo chiama la saggezza del mondo: questa conviene ai filosofi, ai politici e a tutti i falsi saggi del mondo. La vera saggezza del cuore, consiste nell’essere ben persuaso che tutta la falsa saggezza del mondo non è che una follia, secondo la qualifica stessa del grande Apostolo, e che non si può essere veramente saggio se non quando si riconosce che si ama e si preferisce Dio ad ogni cosa. – Dio si ritira talvolta e per qualche tempo dai suoi servi; ma quando i suoi fedeli sono in questo stato pietoso, Egli si lascia piegare in loro favore.

ff. 14, 15. – Il Profeta, anticipando per esperienza i beni a venire e considerandoli già come compiuti, esclama: « Noi siamo ricolmi fin dal mattino della vostra misericordia. » Questa profezia è dunque per noi, nel mattino dei lavori e dei dolori di questa notte, « … come a lampada che brilla in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori » (II Piet. I, 19). – Fin tanto che questa promessa si compia, alcun bene ci è sufficiente e non deve farci soffrire, per timore che il nostro desiderio non resti in cammino, intendendosi cioè finché non sia soddisfatto. « Noi siamo nella gioia per tutta la durata dei nostri giorni. » Questo è il giorno che non ha fine. Tutti i giorni sono radunati in uno solo; ecco perché noi saremo saziati; perché non ci sarà un giorno che fa posto ad altri giorni, là dove non c’è nulla che non sia ancora da venire, e che non sia già venuto. Tutti i giorni sono riuniti insieme. Perché non c’è che un solo giorno che arriva e non passa mai, e questo giorno è l’eternità. (S. Agost.). – Rallegriamoci quaggiù in proporzione alle nostre sofferenze. Perché le gioie del cielo vi saranno proporzionate. Vedete i radiosi volti di questa folla di Santi che numerosi circondano, affollandosi, il trono dell’Altissimo, saziate le vostre anime con la contemplazione della loro grave ed intellettiva bellezza; ammirate questi fieri sguardi con cui si dipinge la loro purezza senza macchia, e la calma intensità del loro amore tutto celeste. Ebbene, per la maggior parte di essi, è il dolore che li ha condotti attraverso la tempesta fino a queste rive felici; è il dolore che ha confezionato le corone da cui la loro testa è ornata; il dolore profondo, acuto e prolungato che ha fatto contemplare ad essi, senza veli, la splendida ed eterna Maestà di Dio (FABER, Le Créât, et la créât., p. 217). – Non è vero che per molti tra noi, per misericordia di Dio, le più grandi dolcezze che abbiamo gustato nella nostra vita siano nate in queste grandi contraddizioni? E consultando il fondo della nostra anima, noi possiamo dire con il Salmista: « non ci resta che un sentimento di gioia al ricordo dei giorni nei quali siamo stati umiliati, e degli anni in cui abbiamo incontrato il male. »

ff. 16, 17. – « Gettate uno sguardo sui vostri servi. » 1° Lo sguardo di Dio è sovranamente desiderabile, essendo per noi la sorgente di vita e di ogni bene: « La grazia e la misericordia del Signore riposano sui suoi Santi, ed il suo sguardo sui suoi eletti. » (Sap. IV, 15). – 2° Noi abbiamo bisogno di Dio come guida nella via del cielo: « … e dirigete i loro figli. » – 3° Noi abbiamo bisogno in questa via, della luce divina: « … e che la luce del Signore si spanda su di noi. » – 4° L’uomo deve agire, ma deve dirigere tutte le sue opere verso Dio: « Conducete dall’alto le opere delle nostre mani. » – Tutte le nostre buone opere sono le opere delle mani di Dio, sulle quali Egli getta volentieri gli occhi. Guai a colui che le attribuisce a sé e le considera come opere delle sue mani. Se Dio le conduce e le dirige, non saranno più le opere delle nostre mani, ma delle mani di Dio (Dug.). – Tutte le nostre buone opere si riassumono in una sola opera buona, che è la carità; perché la carità è la pienezza della legge (Rom. XIII, 10). In effetti, dopo aver prima detto: « E rendete rette in noi le opere delle nostre mani, » il Profeta dice in un secondo luogo. « Rendete retta l’opera delle nostre mani, » come per mostrare che tutte le nostre opere non sono che un’opera unica, che cioè debbano tendere ad un’opera unica. Le nostre opere in effetti, sono rette quando tendono a quest’unico fine, perché la fine di ogni precetto, dice San Paolo (1 Tim. I, 5), è la carità che proviene da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera (S. Agost.).

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.