GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 3° Corso di Esercizi Spirituali (3)

S. S. GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO:

III CORSO DI ESERCIZI SPIRITUALI (3)

[G. Siri: Esercizi Spirituali; Ed. Pro Civitate Christiana – Assisi, 1962]

IL NOSTRO ITINERARIO CON GESÙ’ CRISTO

3. Il peccato contro la SS. Eucaristia

Parliamo del peccato contro la SS. Eucaristia. È un discorso che mi pare necessario fare, non perché esista nel catalogo dei peccati secondo la teologia morale un peccato contro la SS. Eucaristia; specificamente parlando non esiste. Esisterà un peccato contro la Religione, esisterà insomma il peccato di empietà, il peccato di sacrilegio. Tuttavia può esistere nella vita di un uomo, e non solo nella vita di un uomo ma nella vita della comunità cristiana — io bado sempre a quella — può esistere un tale modo di contenersi e di pensare che potrebbe benissimo essere anche chiamato così: peccato contro l’Eucaristia. – C’è anche un altro motivo. Voi vivete in un certo modo, a un certo livello culturale. Ci sono dei peccati che si fanno facilmente al livello della vita comune, al livello della vita piena di necessità e d’istinti; ma ci sono dei peccati che è facile commettere al livello della cosiddetta cultura. E bisogna un po’ occuparsi di quelli. Io sto incontrando tanta gente che, si direbbe, è bravissima, si direbbe che è una lampada accesa davanti a Dio e della quale invece sono convinto che mi fa un sacco di peccati, di peccatacci culturali. Vengo ora a dipanare il primo punto. Perché ci sia un peccato bisogna che ci sia una legge, perché se non c’è una legge contro la quale si va a cozzare, non si fanno peccati. Se non ci fosse un’obbligazione portata dalla legge, non sarebbe ragionevole parlare di peccato, o per lo meno parlare di cosa che non sia perfetta e che non possa essere secondo Dio. Vi prego di osservare che continua il criterio della meditazione precedente: noi ci preoccupiamo molto degli atti, e dobbiamo farlo. Ma attenti bene: non si risolve il problema della vita e della propria santificazione guardando soltanto agli atti singoli. Bisogna arrivare agli stati d’animo abituali, alle abitudini e a tutto quello che in noi potrebbe essere anche, fino a un certo punto, subcosciente. Bisogna dilatare la preoccupazione morale a questi piani dell’attività interiore, se si vuole veramente andare verso Dio. Dunque ci vuole una legge. E la legge qual è? La legge ve l’ho già detta in poche parole facendo il discorso sull’iter cum Christo. La legge è questa: Gesù Cristo ci ha detto che noi dobbiamo essere con Lui. Ha detto chiaramente: « Voi in me e Io in voi » (cap. VI dell’Evangelo di S. Giovanni). E questa è parola eterna e dirimente. Noi dunque dobbiamo essere con Gesù Cristo in questa forma intima, in questa forma profonda. Ma con quale Gesù Cristo noi dobbiamo essere? Con un Gesù Cristo soltanto dipinto, con un Gesù Cristo creato dalla nostra fantasia o creato dal nostro più o meno vero o falso culturalismo? No. Noi dobbiamo essere con Lui, figlio di Maria Vergine e soprattutto Figlio del Padre, cioè con Lui Dio e Uomo, che ha Corpo, Sangue, Anima e Divinità. Stiamo attenti! Non abbiamo un coltello in mano per fare delle recisioni: dobbiamo essere con Gesù Cristo, Corpo Sangue Anima e Divinità. Stiamo attenti a non lasciar entrare nell’anima nostra qualche cosa di gnostico o qualche cosa di manicheo. Con Gesù Cristo, non con certe ombre slavate e lontane che talvolta qualcuno, anche scrittore moderno, cristianissimo, vorrebbe scambiare con Gesù Cristo. Siamo d’accordo, vero? La legge è questa: dobbiamo essere con Gesù Cristo e fino all’intimità, ma dobbiamo essere con quello che è Lui, e Lui così: Corpo Sangue Anima e Divinità. Nel momento del tempo, cioè prima che si passi questa barriera, che si entri nell’eternità, che si plani in un altro ordine, dove sta Gesù Cristo? È lì, nel tabernacolo. Perché con Gesù Cristo, Corpo Sangue e Anima in cielo finora non ci siamo; ci saremo, a Dio piacendo. Egli è lì, nel tabernacolo. Dunque la vita del Cristiano deve vivere accanto e secondo l’Eucaristia: questa è la legge che è evidente nell’Evangelo. Bisogna leggersi e rileggersi forse per tutta la vita la narrazione che i sinottici fanno della istituzione dell’Eucaristia, l’ambientazione che danno a questa istituzione, e leggersi sempre quel divino commento che è il discorso che sta ai capp. V e VI del Vangelo di S. Giovanni, e poi tutto il discorso che Gesù ha fatto nell’Ultima Cena dove Giovanni, fedele al suo principio di non ripetere, non parla dell’istituzione ma ci dà lo sfondo intellettuale e lo sfondo d’amore di questa istituzione; ed è tutto il discorso fatto da Gesù Cristo e che si completa al cap. XVII dello stesso Evangelo nella famosa grande orazione sacerdotale che Gesù rivolge al Padre perché la sentano i discepoli, mentre sta andando « trans torrentem Cedron », mentre va a cominciare il patimento definitivo all’orto di Getsemani. Allora si capisce; si capisce che l’Evangelo continua, e continua perché è rimasto Gesù Cristo in terra, in modo invisibile d’accordo. Il fatto della visibilità l’ha ceduto alla sua Chiesa, ed è per questo che la Chiesa ha un Capo visibile in terra, Vicario di Gesù Cristo, che è il Papa. E ha ceduto tutti gli strumenti della visibilità alla sua Chiesa, che sono il Sacrificio, i Sacramenti e tutti gli altri poteri, cioè ha ceduto tutti quegli strumenti della visibilità per la parte materiale che involgono, per la parte soprannaturale divina di grazia che involgono e in quanto sono legati con la visibilità. – Ma Lui è rimasto quaggiù. È la profezia di Malachia, che il Sacrificio sarebbe stato offerto dall’alba al tramonto, dall’Oriente all’Occidente, sempre. Non più Sacrificio momentaneo, ma Sacrificio eterno, concetto ripreso da S. Paolo nella Lettera agli Ebrei. E pertanto — dirò una cosa che forse può far sorridere — in questo mondo c’è Kennedy, c’è Crusciov, ci sono tutti gli altri, che nel giro di pochissimi anni non ci saranno più. Vi prego di ricordarvi che in questo mondo c’è Nostro Signore Gesù Cristo: con questo ho detto tutto; e che Nostro Signore Gesù Cristo è il Figlio di Dio fatto Uomo, cioè Egli è l’infinito ed è il più umano di tutti, l’unico veramente umano perché, a un modo che è stato suo e a un modo che non è ripetibile dagli altri, è andato in croce per tutti gli uomini. Voi sapete che a questo mondo c’è l’anno geofisico; ma se c’è l’anno geofisico, i missili, i polaris ecc., a questo mondo c’è qualche cosa di molto più grande, di molto più interessante, di molto più dirimente, di molto più necessario, e si chiama Gesù Cristo. C’è Lui in Corpo Sangue Anima e Divinità. E allora? E allora bisogna tirare le conseguenze. Non c’è altro da fare: altrimenti sbagliamo tutto e sbagliamo tutti. Questa è la legge. Ecco perché ho potuto parlare del peccato contro l’Eucaristia. E questo peccato contro l’Eucaristia noi lo commettiamo a tre piani diversi. – Il primo è il piano del culto divino. Cominciate a guardare le nostre chiese. In quante di esse, ditemi, il popolo va a fare la visita al SS. Sacramento? E quanti sono talvolta i sacri pastori, i Sacerdoti, i parroci che si impegnano a creare la corte permanente a Gesù Cristo? Perché Gesù Cristo sta in chiesa anche se chiusa; se ce lo mettiamo, ci sta. Si è messo nelle nostre mani: rispetta la consegna, non fugge mai. C’è una fiammella che rimane lì. Ma quante sono le chiese intorno alle quali c’è un popolo che viene educato a ricordarsi che c’è il Signore, e che questa è la cosa più grande che si possa dire, che si possa fare, che si possa pensare in questo mondo? Vi prego di guardare tanti tabernacoli e certi altari come sono ridotti! Ecco il peccato contro l’Eucaristia! La Chiesa nel can. 1289 C. D. C. ha disposto come deve essere il tabernacolo. La Chiesa nel decreto della Congregazione dei Riti del 1° luglio del 1958 ha ripreso tutte le disposizioni canoniche circa il tabernacolo e in un certo senso le ha ampliate. È evidente che la Chiesa si preoccupa della consuetudine di taluni, protestanti di fatto mentre agiscono nella Chiesa Cattolica, di far scomparire il tabernacolo e di considerare l’altare come puro soltanto quando è privo del tabernacolo. Come se il tabernacolo fosse una mostruosità o un grande incomodo, da sopportarsi proprio unicamente per lo scopo che, se viene un accidente a qualcheduno, bisogna dargli il viatico! – State attenti a queste forme culturalistiche che si insinuano! Si vuol mettere in rilievo soltanto l’atto comunitario, che sarebbe la S. Messa cantata, parlando sempre di quello, solo di quello, e ostentando il più fiero disprezzo per tutto il resto. E si dimentica l’aspetto sostanziale della pietà cattolica, che il culto della Chiesa continua giorno e notte perché giorno e notte c’è Nostro Signore Gesù Cristo presente e pertanto ci deve essere l’atto di adorazione. E ci deve essere un divino colloquio tra Lui e le anime. E così, spennando da una parte, spennando dall’altra, si cerca di far passare sotto banco un certo qual ritorno alla negazione di Lutero. Perché questa è la via, quella di spennare. E per quella via si arriva esattamente al 1517. – Vedete, su questo punto io mi fermo, perché, ripeto, il parlarne ha precisamente lo scopo di creare in voi un senso di difesa contro certe infiltrazioni che hanno anche apparenza culturalistica e che sono, di fatto, ben altra cosa. Ben altra cosa! Vi prego di aprire gli occhi. Molte cose che certe persone accettano, ben intenzionate certo, io non voglio mettere in dubbio le buone intenzioni, danno l’impressione che non s’accorgano più che c’è Gesù Cristo, che è qui. Non se ne accorgono più. Vi fanno anche, con tutta comodità, un concerto in chiesa. Naturalmente all’ultimo momento se ne ricordano e allora un prete, molto alla svelta, con un po’ di cotta e stola e di velo omerale, va a prendere Nostro Signore Gesù Cristo e lo porta via perché non incomodi e si possa fare il concerto. – Dacché sono Vescovo, non ho mai permesso un affare del genere, mai! A Gesù Cristo non si va a dire: « Levati di lì, che adesso facciamo i nostri comodi ». E se, Lui presente, certi comodi non si possono fare, non si fanno. Nei momenti grandi bisogna ritornare lì. La salvezza della Chiesa dopo il Concilio di Trento è stata fuori dalla stia. È chiaro questo. Ma che si debba ancora stare lì a dire: la vera carità è questa! Guastano tutto. La libertà! Dio, prima della libertà! Capite? La parola libertà ha un valore subordinatamente a Dio che l’ha creata e ce l’ha data. La parola personalità ha certamente un valore e l’ha perché l’ha avuto da Dio, che se l’avessero data gli uomini, non ne avrebbe nessuno di valore, e rimane pertanto cosa subordinata a Dio. Vedete, si lascia accantonare Gesù Cristo con questa tolleranza. Tolleranza! Sì, certo, pazienza. Non diciamo tolleranza, che è un’altra cosa. Pazienza sì. Pazienza senza fine. Ma la parola tolleranza è una parola molto equivoca; e non diciamo di più. Pazienza, sì. Non dico: tolleranza no; dico che tolleranza è una parola molto equivoca e può essere presa bene e male, a seconda dei casi, a seconda della chiarezza teologica che si ha in testa e a seconda del giudizio obiettivo dei valori che si ha nella propria anima. – L’umanesimo. C’è l’umanesimo. Se ne parla molto adesso. Quando uno vuol fare una cosa per cui gli sembra di diventare una persona per bene, scrive un articolo sull’umanesimo. Ora lasciamo stare le divagazioni letterarie sull’umanesimo. Vi dico solo questo: quando si parla di umanesimo in una casa cristiana, s’intende aduggiare un certo modo di pensare le cose che è semipelagiano. Attenti bene, che è semipelagiano. Perché il senso non capito per mancanza di conoscenza teologica, ma inconsapevolmente in fondo accettato, quando si fa troppo questo discorso, che nei suoi termini esatti può essere fatto ma nei suoi termini equivoci no, quando lo si fa troppo questo discorso, s’intende dire che ad arrancare fino al porto della vita possiamo farcela con le nostre forze; che esistono forze umane, date da Dio, certo, oh, sì! in natura, da poter portare: civiltà, umanità, pace, ordine, giusti ritmi fino al porto e cioè fino a una situazione soddisfacente, decorosa, morale, senza proprio estremo bisogno che c’entri la grazia di Dio. Il che è manifestamente falso se lo si dice chiaro come l’ho detto io; ma talvolta si tratta di quelle cose dette a tre quarti, dette a metà, dette a un centesimo, così che non sono mai errori, che non sono mai chiare, che non affondano mai radici in un humus di chiarezza e di sicurezza teologica, per cui si finisce alle volte ad avere delle impostazioni mentali ad angoli che sono completamente sbagliate. – Perché Gesù Cristo sta lì sempre? Perché ha istituito l’Eucaristia sacramentum permanens, perché? Non bastava il Sacrificio offerto una volta al mese, una volta all’anno, tanto più che il Sacrificio ha valore divino? I frutti sono applicati limitatamente, ma il valore è infinito. Bastava una volta all’anno, a Pasqua, una volta al mese, tutte le domeniche, via. No! Il Sacrificio realizza la profezia di Malachia: «dall’alba al tramonto, dall’Oriente all’Occidente », continuo. È il sacramentum permanens, perché l’Eucaristia non è soltanto Sacrificio, è anche Sacramento. Perché Dio ha voluto che il Sacrificio sia continuo e che, non bastando la continuità del Sacrificio, nella divina mente, alla necessità degli uomini, Iddio ha voluto che fosse per di più sacramentum e che fosse permanens? È chiara tutta la mentalità dell’Evangelo: Voi ne avete bisogno. « Se non ci sono Io, ha detto Gesù, sine me nihil potestis facere ». E la vita adombrata da Lui nella parabola della vite ha le sue sorgenti nel tronco della vite, che è Lui (Gv. cap. XV).La spiritualità qualche volta può essere compromessa dal modo con cui s’intende la vita comunitaria. Badate che la parola « comunitario» può essere la parola più onesta di questo mondo, perché se dice che dobbiamo andare a braccetto tutti e vivere in comunità, liturgia in comunità, niente da dire. Quello che c’è da dire è che, come mai l’abbiamo dovuta inventare noi adesso, da quindici anni, perché prima non se ne parlava? Ne ha parlato qualcuno rarissimamente,ma nessuno vi faceva caso, nel decennio fra il trenta e il quaranta. Poi dopo la guerra è saltata fuori. Adesso tutto è comunitario. E prima cosa eravamo? Quando eravamo in chiesa, quando si cantava la Messa, quando cantavamo l’Ufficio insieme, quando facevamo le processioni, le feste, quando facevamo le associazioni, quando tentavamo di mettere insieme la gente per fare la carità, che cos’era?Abbiamo visto prima la tolleranza: s’aggiusti da sé, noi non ci abbiamo a far niente; poi l’umanesimo: facciamo a meno di Lui. Vediamo adesso che cosa è questo « comunitarismo » quando la parola diventa equivoca. – Ci sono state delle fondazioni, delle forme associative quanto mai equivoche, spiritualissime, santissime, mistiche, impregnate di mistica per tutti i versi, in cui si è arrivati a questo punto, per dirvi dove il senso comunitario può andare a finire. In esse la direzione spirituale la si faceva in comune. Vi piacerebbe? Spero di no, perché dovrei credere che foste ammalati. In comune, così: è la comunità degli iniziati che giudica il caso del singolo e dice: « Tu, per camminare verso Dio, devi fare così… ». Con questa conclusione che le donne facevano la direzione spirituale agli uomini e persino ai preti. Ho portato questo esempio per dire fin dove si può arrivare. Ora è chiaro che Gesù Cristo il Sacramento della Penitenza l’ha messo in mano al Sacramento dell’Ordine e alla autorità giurisdizionale della Chiesa, perché per assolvere ci vogliono due cose: bisogna che uno sia prete validamente ordinato e per di più bisogna che abbia la giurisdizione dall’autorità della Chiesa; perché non l’ha di per sé. La giurisdizione di per sé, di natura sua, per diritto divino, l’hanno soltanto i Vescovi e il Papa. I sacerdoti non l’hanno. Con l’aver istituito il Sacramento della Penitenza, Nostro Signore ha fatto capire che la questione del bene e del male nelle anime e la direzione delle anime è affidata al Sacramento dell’Ordine, e non soltanto al sacramento dell’Ordine, intendiamoci, ma al sacramento dell’Ordine quando è unito al crisma di una delegazione dell’autorità gerarchica della Chiesa. – E il concetto comunitario può arrivare a delle sfumature che possono camminare tanto da andare a finire anche in Russia. E sfumature alle volte che finiscono con l’eliminare tutto il contatto diretto, immediato tra le anime e Dio. Perché esiste una pietà pubblica nella Santa Chiesa Cattolica, ma ne esiste anche una privata. E la pietà privata è quella che prepara il materiale alla pietà pubblica. – Il concetto comunitario, quando diventa equivoco nella spiritualità, a che cosa tende? Tende a sovrapporre la comunità a Gesù Cristo. È la comunità che conta, non è più Gesù Cristo. È la stessa sfasatura che succede su altri piani: è la collettività che conta, più che la legge, mentre è vero il rovescio, perché la comunità non sta in piedi se non c’è la legge, oltre tutto: perché se non esiste l’autorità, la collettività non ha il principio per cui diventa unita: è anarchica e pertanto non è più comunità. – Il peccato, il peccato contro l’Eucaristia può farsi dunque sul piano teologico. Io vi ho voluto dire questo: guardate che per stare stretti intorno a Nostro Signore Gesù Cristo che è lì — è anche in cielo, certo, come Dio è dappertutto, certo, ed è per questo che potreste parlare con Lui dappertutto, ma il punto qualificato, il punto massimo del Sacrificio, del Sacramento permanente è lì — per poterci stringere, per adeguarci a questo fatto del Sacrificio Sacramento continuo e del Sacramento permanente e che diventa nel pensiero di Gesù Cristo l’asse proposto agli uomini per la loro salute., per stare con Lui, abbiamo bisogno di difenderci da una quantità di forme di maleducazione nei suoi confronti, di mancanza d’amore, di tenerezza, di affetto, e dall’infiltrazione di molte mode e di molti errori che costituiscono sempre, in modo certamente da nanerottoli e ridicolo, il gesto del capo degli angeli ribelli: « Sarò simile a Dio », e pretenderebbero di sbalzare Dio dal suo trono. Intendiamoci, l’ho detto perché vi difendiate da una serie di infiltrazioni che non arriveranno mai a quella forma, lo so, ma che in realtà partono dallo stesso principio e che a Gesù Cristo, che deve essere la nostra vita, la nostra anima, il nostro tutto, l’oggetto del nostro amore, tendono a sostituire qualche altra cosa, magari noi stessi, quella piccola cosa, povera cosa, che siamo noi. Guardate che il male proveniente da certe radici, le suggestioni date da certe sorgenti tendono a questo: sostituire noi stessi a Lui, il che sarebbe il rovesciamento di tutto.

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