SALMI BIBLICI: “DOMINE EXAUDI ORATIONEM MEAM, ET CLAMOR MEUS” – (CI)

SALMO 101: “DOMINE, EXAUDI ORATIÓNEM MEAM, ET CLAMOR MEUS”

CHAINE D’OR SUR LES PSAUMES

ou LES PSAUMES TRADUITS, ANALYSÉS, INTERPRÉTÉS ET MÉDITÉS A L’AIDE D’EXPLICATIONS ET DE CONSIDÉRATIONS SUIVIES, TIRÉES TEXTUELLEMENT DES SAINTS PÈRES, DES ORATEURS ET DES ÉCRIVAINS CATHOLIQUES LES PLUS RENOMMÉS.

[I Salmi tradotti, analizzati, interpretati e meditati con l’aiuto delle spiegazioni e delle considerazioni seguite, tratte testualmente dai santi Padri, dagli oratori e dagli scrittori cattolici più rinomati da …]

Par M. l’Abbé J.-M. PÉRONNE,

CHANOINE TITULAIRE DE L’ÉGLISE DE SOISSONS, Ancien Professeur d’Écriture sainte et d’Éloquence sacrée.

[Canonico titolare della Chiesa di Soissons, Professore emerito di Scrittura santa e sacra Eloquenza]

TOME DEUXIÈME.

PARIS

LOUIS VIVES, LIBRAIRE-ÉDITEUR 13, RUE DELAMMIE, 1878

IMPRIM.

Soissons, le 18 août 1878.

f ODON, Evêque de Soissons et Laon.

Salmo 101

Oratio pauperis, cum anxius fuerit, et in conspectu Domini effuderit precem suam.

[1] Domine, exaudi orationem meam, et clamor meus ad te veniat.

[2] Non avertas faciem tuam a me; in quacumque die tribulor, inclina ad me aurem tuam; in quacumque die invocavero te, velociter exaudi me. Quia defecerunt sicut fumus dies mei, et ossa mea sicut cremium aruerunt.

[3] Percussus sum ut fœnum, et aruit cor meum, quia oblitus sum comedere panem meum.

[4] A voce gemitus mei adhæsit os meum carni meæ.

[5] Similis factus sum pellicano solitudinis; factus sum sicut nycticorax in domicilio.

[6] Vigilavi, et factus sum sicut passer solitarius in tecto.

[7] Tota die exprobrabant mihi inimici mei, et qui laudabant me adversum me jurabant:

[8] quia cinerem tamquam panem manducabam, et potum meum cum fletu miscebam;

[9] a facie iræ et indignationis tuæ, quia elevans allisisti me.

[10] Dies mei sicut umbra declinaverunt, et ego sicut fœnum arui.

[11] Tu autem, Domine, in æternum permanes, et memoriale tuum in generationem et generationem.

[12] Tu exsurgens misereberis Sion, quia tempus miserendi ejus, quia venit tempus;

[13] quoniam placuerunt servis tuis lapides ejus, et terræ ejus miserebuntur.

[14] Et timebunt gentes nomen tuum, Domine, et omnes reges terræ gloriam tuam;

[15] quia ædificavit Dominus Sion, et videbitur in gloria sua.

[16] Respexit in orationem humilium et non sprevit precem eorum.

[17] Scribantur hæc in generatione altera, et populus qui creabitur laudabit Dominum.

[18] Quia prospexit de excelso sancto suo, Dominus de caelo in terram aspexit;

[19] ut audiret gemitus compeditorum, ut solveret filios interemptorum;

[20] ut annuntient in Sion nomen Domini, et laudem ejus in Jerusalem,

[21] in conveniendo populos in unum, et reges ut serviant Domino.

[22] Respondit ei in via virtutis suae: Paucitatem dierum meorum nuntia mihi:

[23] ne revoces me in dimidio dierum meorum, in generationem et generationem anni tui.

[24] Initio tu, Domine, terram fundasti, et opera manuum tuarum sunt cœli.

[25] Ipsi peribunt, tu autem permanes; et omnes sicut vestimentum veterascent.

[26]Et sicut opertorium mutabis eos, et mutabuntur;

[27] tu autem idem ipse es, et anni tui non deficient.

[28] Filii servorum tuorum habitabunt; et semen eorum in sæculum dirigetur.

[Vecchio Testamento Secondo la Volgata Tradotto in lingua italiana da mons. ANTONIO MARTINI Arciv. Di Firenze etc.

Vol. XI

Venezia, Girol. Tasso ed. MDCCCXXXI]

SALMO CI

Orazione che deve usare il povero angosciato, principalmente pei commessi peccati, che formano la maggior miseria, e che debbe effondersi al cospetto di Dio, supremo giudice e padre di tutti. É salmo penitenziale.

Orazione del povero che è in tribolazione, e spande la sua tribolazione dinanzi al Signore.

1. Signore, esaudisci la mia orazione, e a te giungano le mie grida.

2. Non rivolger da me la tua faccia: in ogni giorno di mia tribolazione dà udienza alle mie parole. In qualunque giorno io t’invochi, tu esaudiscimi prontamente.

3. Imperocché i giorni miei quasi fumo sono svaniti; e le ossa mie si sono inaridite come legno combustibile.

4. Sono appassito com’erba, e il mio cuore si è inaridito: perché mi sono scordato di mangiare il mio pane. (1)

5. Pel gridare e pel sospirare mi è rimasta attaccata alle ossa la mia carne.

6. Son divenuto simile al pellicano del deserto; son divenuto simile al corvo notturno nel suo tristo albergo.

7. Passai senza sonno le notti, e fui simile all’uccello, che solo si sta sopra i tetti.

8. Tutto dì mi facevan rimproveri i miei nemici; e quei che già mi lodavano, congiuravano contro di me.

9. Perché in luogo di pane da mangiare, io ebbi la cenere, e la mia bevanda mescolai colle lacrime, (2)

10. Al veder l’ira tua e la tua indignazione; perocché tu, innalzandomi, mi gettasti per terra. (3)

11. I miei giorni son passati com’ombra, e io come erba seccai.

12. Ma tu, o Signore, duri in eterno, e di generazione in generazione va la ricordanza di te.

13. Tu svegliato avrai pietà di Sionne. Perché il tempo di averne pietà, il tempo è venuto.

14. Imperocché le rovine di lei sono care ai tuoi servi e la polvere di lei ameranno. (4)

15. E le genti temeranno il nome tuo, o Signore, la tua gloria tutti i re della terra. (5)

16. Imperocché il Signore edificherà Sionne, ed ivi sarà veduto nella sua gloria.

17. Egli ha avuto riguardo all’orazione degli umili, e non ha disprezzata la loro preghiera.

18. Scrivansi queste cose per la generazione futura; e il popolo, che sarà creato, darà lode al Signore;

19. Perché egli ha mirato dal suo santo cielo: il Signore dal cielo ha mirato sopra la terra,

20. Per udire i gemiti di quo’ che sono nei ceppi, per dar libertà a’ figliuoli degli uccisi.

21. Affinché predichino il nome del Signore in Sionne e le lodi di lui in Gerusalemme,

22. Quando i popoli si riuniranno insieme, e i re, per servire al Signore.

23. Disse a lui l’uomo nel corso di sua vegeta età: Fammi inteso del piccol numero de’ miei giorni.

24. Non non mi richiamare alla metà de’ miei giorni. Gli anni tuoi sono eterni.

25. Tu da principio, o Signore, fondasti la terra, e opera delle mani tue sono i cieli.

26. Eglino periranno, ma tu sei immutabile; ed essi invecchieranno tutti come un vestito.

27. E come un mantello li cangerai, e saranno cangiati; ma tu sei quell’istesso, e gli anni tuoi non verran meno.

28. I figliuoli de’ servi tuoi avran ferma sede, e la loro posterità sarà stabilita pei secoli.

(1) In ebraico, la parola tradotta con cremium, significa « luogo in cui brilla qualcosa », il focolare, o la pietra del focolare. – Noi preferiamo, con San Girolamo e Columella, intendere rami secchi o facili da bruciare, di cui ci si serve per accendere il forno.

(2) La particella “quia” non ha rapporto con ciò che precede e la si può prendere per idea. – Cahen pensa che si tratti qui della cenere che dalla testa del Profeta cadeva sul pane. Ma si può dire con verosimiglianza che la cenere è intesa qui per “lutto”, perché nel lutto, si dimorava seduti sulla cenere.

(3) Voi mi avete elevato per precipitarmi dall’alto con una caduta più crudele.

(4) I vostri servi amino finanche le rovine, le pietre, la polvere nelle quali è ridotta una città a loro sì cara.

(5) Per la comprensione di questo versetto e dei seguenti bisogna ricordare che il ritorno dalla cattività è considerato come precursore della venuta del Messia, e la conversione di tutti i popoli al culto del vero Dio.

Sommario analitico

Questo salmo può essere considerato come una preghiera che Davide penitente indirizza al Cristo a nome del popolo giudaico, o che questo popolo, prigioniero a Babilonia, indirizza al Verbo, conduttore particolare del popolo di Dio, per ottenere il ristabilirsi di Gerusalemme (1)

 [(1) Secondo qualche esegeta moderno questo salmo potrebbe essere stato composto alla fine della cattività di Babilonia, perché l’autore suppone che Gerusalemme sia distrutta (vv. 15, 18, 21, 22), ed il tempo fissato dal ritorno dalla cattività secondo Geremia, prossimo ad arrivare (v. 14). Tuttavia lo stile risente della decadenza della lingua; esso è poco elevato, il parallelismo ricade sulle parole (vv. 18-20) (Le Hir.). Nulla c’è di più malinconico di questo salmo, tutte le immagini e le metafore traspirano tristezza e lutto. In effetti si tratta delle rovine di Sion, delle pietre disperse di Gerusalemme, dei dolori e dell’esilio del popolo prigioniero, del sangue dei martiri non vendicato, dei loro figli proscritti, dell’asservimento della patria, della gloria di Dio eclissata tra le nazioni, di questa gloria eclissata tra le nazioni, di questa gloria che i re stranieri devono adorare, che i barbari devono temere, di questa gloria i cui amati sono eterni. –  Questi pianti sublimi, questi slanci di speranza, queste suppliche piene di pentimento ed amore, hanno fatto annoverare questo salmo tra i salmi penitenziali].

I. – Il salmista chiede a Dio:

1° che sia esaudito e che la sua preghiera abbia accesso fino a Lui nei cieli (1).

2° Che Dio getti su di lui uno sguardo favorevole (2) .

3° Che sia prontamente esaudito in qualunque giorno preghi.

II.- Come motivo gli espone il triste stato in cui è ridotto:

1° la brevità della sua vita;

2° la mancanza assoluta di forza e di grazie (3, 4);

3° l’abbandono e la solitudine in cui si trova (6, 7);

4° l’odio degli uomini, sia dei nemici che degli amici (8, 9);

5° la giusta ira di Dio contro di lui (8, 10);

6° la sua morte vicina (11).

III. – Coltiva la speranza che Dio verrà in suo soccorso, perché Egli è eterno e fedele alle sue promesse (12), e vede in estasi il compiersi di questa promessa con l’incarnazione in cui Dio fa apparire:

1° della sua misericordia, discendendo dal suo trono sulla terra, ai tempi annunciati dai Profeti (13, 14);

2° della sua gloria che brilla negli omaggi che hanno reso a Gesù-Cristo i re ed i popoli (15);

3° della sua potenza nell’edificazione della Chiesa, lo splendore dei miracoli e la conversione dei popoli (10);

4° della sua bontà, nell’accoglienza favorevole fatta alla preghiera degli umili (17).

IV. – Mostra la gratitudine del popolo cristiano verso Gesù-Cristo, e la gloria di cui ricolma i suoi eletti nel cielo:

1° Davide desidera che l’Incarnazione di Gesù-Cristo e le meraviglie di cui è la sorgente, siano scritte dai Profeti e dagli Evangelisti; – a) egli fa vedere il frutto di questa predizione scritta, la gloria di Dio e di Gesù-Cristo per mezzo dei Cristiani (18); – b) la materia di questa lode, è la bontà di Dio, che getta una sguardo favorevole sugli infelici figli di Adamo (19), – presta orecchio ai loro lamenti, – li libera dai loro lacci (20), – li eccita a lodare il nome del Signore (21), – li riunisce in un santo concerto per servire Dio (22). 

2° Il profeta introduce il popolo, parlando egli stesso a Dio: – a) chiede a Dio di conoscere il termine così breve della vita umana (23); – b) chiede il tempo sufficiente per fare penitenza dei propri peccati (24).

3° Egli loda Dio a motivo della sua immutabilità e della sua eternità, che fa risaltare in opposizione con la mutabilità e la mortalità delle creature:  – a) Dio le ha tratti dal nulla per dare loro l’essere (25); – b) esse sono sottomesse all’alterazione, al cambiamento (20); – c) Dio, al contrario, resta eternamente lo stesso (27); – d) Dio rende i suoi servi partecipi della sua immutabilità e della sua felicità (28). 

Spiegazioni e Considerazioni

I. —1, 2.

ff. 1, 2. – Tutte le qualità della preghiera sono racchiuse in questi due versetti: 1° la necessità: l’uomo senza il soccorso di Dio, non può uscire dalla schiavitù del peccato e per le vie ordinarie della Provvidenza, il soccorso celeste non è accordato che alla preghiera; 2° l’umiltà, l’uomo peccatore sente la sua miseria e si presenta così davanti a Dio come un povero spoglio di ogni risorsa se Dio non lo rimira con occhio favorevole: 3° il fervore: le istanze che fa il profeta o coloro in nome dei quali parla, sono vive, reiterate più volte, e messe sotto tutti i giorni più propri a toccare il cuore di Dio; 4° la costanza: egli si impegna a pregare durante tutto il corso delle tribolazioni, e, in questa vita, la morte solo è il termine delle nostre miserie; 5° la confidenza: egli osa chiedere a Dio di rendersi attento, di non voltare il suo sguardo, di accelerare il momento della sua visita (Berthier). –  Queste istanze così pressanti sono naturali nella bocca di un uomo infelice, che vede il tempo sfuggitigli e che teme di cadere per sempre nell’abisso, se non viene prontamente soccorso (Bellarm.). – Le preghiere sono più toccanti ancora quando si elevano dal seno di una nazione che si sente deperire. – I ritardi sono funesti per noi: tutti i momenti costano la vita a diversi tra noi, e tutti coloro che periscono, periscono senza risorse. La maledizione che abbiamo preferito alla salvezza che ci veniva offerta, consuma e divora tutto il nostro popolo. Aspettate che non vi lasci né germe né speranza per farla cessare? Odiatela o vedrete dopo la nostra perdita. (Duguet).

II. — 3-11.

ff. 3. – Che significa: « In qualunque giorno sono nella tribolazione? » Non è presentemente nella tribolazione? Egli parla così come rappresentante dell’unità del corpo della Chiesa; se un solo membro soffre, tutti i membri sono partecipi delle sue sofferenze (I Cor. XII, 26). Voi soffrite oggi, io soffro come voi; un altro è afflitto domani, io sono afflitto con lui domani; dopo questa generazione, i discendenti dei discendenti sono nella tribolazione; io la condivido con essi, fino alla fine dei secoli; qual siano coloro che soffrono nel mio corpo, io sono con essi nella tribolazione (S. Agost.). 

ff. 4, 5. – « I miei giorni sono dissipati come il fumo. » Quali giorni? Se si possono chiamare dei giorni; perché parlando di giorni, si intende parlare di luce, mentre i miei giorni sono dissipati come il fumo. “I miei giorni”, la successione dei tempi. Perché “come il fumo”, « se non rappresentare gli slanci dell’orgoglio. » Vedete il fumo, immagine del fumo, immagine dell’orgoglio: esso sale, si gonfia e svanisce, si dissipa dunque e non dura. (S. Agost.). –  Questi giorni che rendevo i miei giorni, quelli delle mie passioni, passandoli nel peccato, sottraendoli alla volontà di Dio, sono svaniti come il fumo; sono trascorsi neri e tenebrosi come esso, senza lasciare traccia se non in un crudele e pungente rimorso. (Bellarm.) – Le potenze dell’anima che lo sostengono, come le ossa sostengono il corpo, perdono il loro vigore e l’unzione di grazia, bruciate come sono dall’ardore della concupiscenza. (Dug.). – « Io sono battuto come il fieno. » Gesù-Cristo ci ha detto che il fieno dei prati brilla al mattino e la sera non è buono se non per essere gettato nella fornace. » Ma se la tempesta dal mattino si è abbattuta sul prato, se la grandine ha distrutto lo stelo che sosteneva il fiore, se il fieno è stato colpito, non durerà neanche dal mattino fino a sera. – Diverse sono le cause di questa siccità che il profeta compara al fieno esposto agli ardori del sole: 1° i falsi piaceri, che gettano nel languore e nella siccità delle cose divine e degli esercizi di pietà; 2° la privazione del cuore delle acque celesti della grazia, che provengono dalla preghiera e dalla parola divina; 3° l’allontanamento dalla divina Eucaristia, che è ancor più particolarmente il pane dell’anima che si dimentica di ricevere, e alla quale ci si avvicina senza le disposizioni dovute (Dug.). – « Perché ho dimenticato di mangiare il mio pane. » Un tale oblio si incontra ben raramente nel mondo fisico;  è invece ordinario nel mondo morale. Il vero pane dell’anima, è la verità, la verità che viene dal cielo e che tende al cielo. Ove sono coloro che cercano questo pane con un vero desiderio di trovarlo? Colui che l’avversità prova, che è obbligato a dedicarsi ai suoi penosi e continui lavori per sopperire ai bisogni propri e della famiglia, troppo spesso, in luogo di portare la propria croce con coraggio, fa della sua situazione un argomento contro la Religione (Rendu). – Dio, la sostanza per eccellenza, è il solo vero nutrimento della creatura ragionevole; così il peccatore che si allontana da Lui con la sua disobbedienza, cade nell’infermità, e non potendo prendere più questo nutrimento che doveva fare la sua gioia, lo si ascolta gridare: il mio cuore è stato come l’erba dei campi che si taglia: esso si è disseccato, perché io ho dimenticato di mangiare il mio nutrimento. (S. Agost.  De natur. et grat., c. XII). – E perfino nella prosperità, bisogna che il cuore umano sia ben al riparo sotto l’ombra delle ali di Dio, e ben umettato dalla rugiada divina della grazia, per non disseccare come l’erba dei campi e respingere come insipido il pane del cielo (Bellarm.). – Quante anime vediamo tutti i giorni indebolirsi per strada, lasciarsi andare alla disperazione ed a tutte le sue conseguenze più orribili, perché esse non hanno conosciuto questo principio di forza soprannaturale di cui il Cristiano dispone tutti i giorni nella divina Eucaristia! Quante anime deboli si trascinano nelle vuote ombre di un languore morale, perché avendo conosciuto il dono di Dio, se ne sono allontanate; esse hanno dimenticato di mangiare il loro pane, come dice il Profeta, e la loro anima è cadente, come il corpo dell’uomo che da molto tempo dimentica di assumere il proprio nutrimento (Mgr. Landriot- Euch., 3a Conf.). O uomo! Nutriti nuovamente del pane che avevi obliato! Dio stesso, che è il pane vivente, è disceso dal cielo. Mangia questo pane e vivrai (S. Aug.). – Divina Eucarestia, io medito ai vostri piedi queste belle parole del Santo Dottore; non è infatti che quando ho dimenticato di nutrirmi di Voi, che io sono stato colpito come il fieno ed il mio cuore si è disseccato? Io ho avuto la sventura di affidarmi alla vita presente come ad una gloria e ad una bellezza durevole, ed ho follemente pensato  che i piani o i sogni dell’orgoglio impedissero al fiore di svanire. Riconosco di essermi ingannato: solo la carne del Salvatore può ravvivare la mia, che si consuma ogni giorno, perché essa solo ha il segreto della resurrezione della vita. – O santa Eucarestia, io torno a voi con felicità, non dimenticherò più questo celeste alimento. Esso riparerà le mie forze, e farà circolare nel mio cuore una linfa immortale, ed il fieno disseccato dalla mia vita rifiorirà per l’eternità. (Mgr DE LA BOUILLERIE, Symbolisme, 459). – Alla voce dei miei gemiti, « le mie ossa si sono attaccate alla mia carne. » Alla voce che io comprendo, alla voce che io conosco, « alla voce dei miei gemiti e non alla voce dei gemiti di coloro verso i quali ho compassione; perché molti gemono, ed anche io gemo di ciò che essi gemono per una cattiva causa. Un uomo ha perso dei soldi ed egli geme; un altro ha perso la fede e non si lamenta. Ma io discerno tra essi il denaro e la fede, e gemo su colui che malamente geme a proposito. » Un uomo commette una frode e se ne rallegra. Dov’è il suo guadagno? Ove la sua perdita? Egli ha guadagnato del danaro, ed ha perso la giustizia. Ecco ciò che fa gemere colui che geme giustamente; ecco ciò che fa gemere colui che si avvicina al Cristo, nostro Capo, e che si attacca con rettitudine al Corpo di Cristo. Ma questo non è ciò che fa gemere gli uomini carnali, ed anche se non gemono, essi fanno sì che noi gemiamo su di essi; perché noi tutti non possiamo che disprezzarli, sia che non si lamentino, sia che si lamentino per una cattiva causa. (S. Agost.).

ff. 6-10. « Io sono divenuto simile al pellicano che abita in solitudine, come il gufo che si rifugia nei tuguri. Io ho vegliato ed ero come il passero solitario sui tetti. » Questi tre uccelli raffigurano le tre grandi categorie di penitenti: alcuni cercano la solitudine assoluta, come Santa Maddalena, Santa Maria Egiziaca, San Paolo primo eremita, Sant’Antonio, S. Ilarione, ed essi possono dire con il salmista: « Io mi sono allontanato, sono fuggito ed ho dimorato in solitudine. » (Ps. LIV). Là, in questi luoghi solitari, simili al pellicano che distrugge gli animali pericolosi e soprattutto i serpenti del deserto, si nutrono delle loro continue vittorie sul demonio. – Altri restano nel seno delle città, ma si rinchiudono in strette celle, come il gufo nel suo muro in rovina; essi riempiono la solitudine delle notte con il grido della loro penitenza, di questo grido che li sottrae al timore dei giudizi di Dio, ed essi ne santificano la durata con la successione dei loro cantici e dei loro inni spirituali. – Altri, forzati dai loro beni a restare in seno alla loro famiglia, o ai loro impieghi pubblici, abitano sui tetti come l’uccello solitario; vale a dire che oltrepassano il livello nel quale essi vivono, le folle e gli abitanti delle città. Essi sono nel mondo senza essere del mondo; essi si sottomettono agli affari, agli onori, alle ricchezze, ma non sono loro sottomessi, li dominano, ne dispongono, li distribuiscono, non permettono loro di prendere su di essi il minimo potere, conservando il cuore solitario e libero per il cielo. La missione di questi ultimi, è di vegliare e predicare sui tetti. Di vegliare sui pericoli loro e di chi li circonda, e nello stesso tempo di edificarli e parlare loro con le parole e con gli esempi. (Bellarm.). – Il passero vegliante e solitario sulla sommità dei tetti, è immagine dell’anima che si allontana fuggendo per stabilirsi nella solitudine. Esso ha fissato la sua dimora sul tetto, « al di sopra della dimora degli uomini », cioè al di sopra delle loro passioni e delle criminali cupidigie, ed avendo scelto questo rifugio, non lo lascia più, fedele all’avviso del Signore: « … colui che è sui tetti non scenda a prendere ciò che è nella casa. » Là, l’anima in alto e solitaria, aspira a Voi, o mio Dio! Di notte, essa vi desidera, ed al mattino veglia ancora attendendo l’ora della quale è scritto: (Matth. XXIV, 17) « Beato il servo che veglia, pronto a ricevere il suo padrone al momento del suo arrivo. » (Mgr DE LA BOUILL. Symb. II, 158). – Non vi meravigliate dunque se ho detto che il primo istinto che avverte un uomo toccato da Dio, sia quello di ritirarsi dal mondo. La stessa voce che ci chiama alla penitenza, ci chiama anche al deserto, cioè al silenzio, alla solitudine, al ritiro. Ascoltate questo santo penitente: « io sono – egli dice – simile al pellicano dei deserti, o un gufo dei luoghi solitari e rovinosi, io ho trascorso la notte vegliando, e mi trovo come un passero tutto solo sul tetto di una casa. » In luogo di questa aria sempre compiacente che il mondo ci ispira, lo spirito di penitenza ci mette nel cuore un non so che di rozzo e di selvaggio. Non è più quest’uomo dolce e galante che legava tutte le parti; non è più questa donna accomodante e compiacente, troppo abile mediatrice ed amica troppo affettuosa, che facilitava le sue segrete corrispondenze; non sono più questi espedienti, queste aperture, queste facilitazioni; si apprende un altro linguaggio, si apprende a dire no; a dire io non posso più; a ripagare il mondo con risposte negative, asciutte e vigorose! Non si può vivere più come gli altri, né con gli altri; non ci si vuole più avvicinare, non si vuol piacere, compiacere se stesso. Un peccatore che comincia ad avvertire il suo male, è disgustato contemporaneamente e dal mondo che lo ha deluso e da se stessi che si è lasciato prendere da un’esca sì grossolana.  Egli si ricorda ahimè dei tanti crimini commessi con malvagia compiacenza; egli non cerca più che di sottrarsi da questo sottile contagio che si respira con l’aria del mondo, nelle sue conversazioni, nei suoi costumi. Lontano dal mondo, lontano dalle compagnie, non ha più che Dio davanti ai suoi occhi per affliggersi in sua presenza, per dirgli dal fondo del cuore: « … io ho peccato contro di Voi, e nei vostri confronti soltanto », e voglio affliggermi alla vostra sola presenza; solo ed invisibile testimone dei miei singhiozzi e dei miei rimpianti, ascoltate la voce delle mie lacrime (BOSSUET, pour le 4me D. de l’Avent). – Il gufo nascosto nei recessi oscuri degli edifici è pure una delle immagini di cui si serve la filosofia di San Tommaso per aiutarci a concepire lo spirito umano nei suoi rapporti con la verità: esso è, rispetto alla verità, come l’uccello di notte davanti ad una luce molto viva. Questo è vero soprattutto dello spirito piombato nell’ombra della morte che avvolge i peccatori e, a questo titolo, questa spiegazione si riporta al nostro soggetto. Il vero Cristiano, illuminato dalla doppia luce della fede e della grazia, è il solo uomo della luce, il solo che, camminando nella grande luce della verità rivelata, giudica sanamente il valore delle cose, avanza senza mai deviare dal suo scopo, e profitta pienamente dei benefici del sole che lo illumina. E il peccatore, al contrario, ci sembra piuttosto simile alla civetta che « aprendo i suoi grandi occhi glauchi – ci dice Sant’Ambrogio – non avverte l’orrore delle tenebre e sembra non cominciare a vivere che nella notte più oscura. Appena si fa giorno, i suoi occhi abbagliati si offuscano e non vedono più nulla. » (Mgr DE LA BOUILL., Symb. II, 184). «… ah, continua lo stesso Padre, io parlo soprattutto degli occhi del cuore, che i sapienti del mondo aprono per non vedere, essi che fuggono lontano dalla luce, e brancolano nel buio, brancolano nella notte dei demoni, ed immaginano di aver contemplato tutte le altezza quando, con la loro bussola, hanno descritto dei cerchi del pianeta o misurato l’estensione dell’orizzonte. Ma ahimè! Privi della fede e colpiti da una cecità che ignorano, passano nella loro vita in un giorno splendente di Vangelo sotto i raggi luminosi della Chiesa, e non vedono nulla. Essi dilatano la loro bocca come se sapessero tutto; ma il loro occhio non è aperto se non per la vanità e si offusca davanti all’eternità. Le loro interminabili dispute non fanno, il più sovente, che tradire la loro ignoranza, e se cercano di prendere il loro volo in discorsi sottili, come il gufo, cadono e spariscono alla luce del giorno. »    (S . AMB., Hex. v., 24. de noct. avib., n° 86). –  « I miei nemici mi fanno ogni giorno continui rimproveri, e coloro che mi facevano delle lodi imprecavano contro di me. » È l’opposizione, il sollevamento del mondo sensuale ed egoista contro la vita di rinuncia, di abnegazione, di penitenza. – Mai questa legge di rinunzie, di mortificazione, di penitenza fu più misconosciuta che ai giorni nostri; mai si videro tanti uomini, tanti Cristiani che S. Paolo chiamava ai suoi tempi gemendo, « i nemici della croce di Gesù-Cristo », tanti uomini – aggiungeva – il cui ventre è loro dio, e per ventre non bisogna solamente intendere, dice un eloquente Vescovo dei nostri tempi (Mgr. Pie), il vizio odioso della golosità, agli eccessi del quale molti sanno sottrarsi, né tutti quegli appetiti grossolanamente bestiali che alcuni sanno moderare fino ad un certo punto, ma in generale, la vita molle e sensuale. L’attaccamento a tutto ciò che è piacevole alla carne, a tutto ciò che la Scrittura chiama “le delizie di questa vita” e, di conseguenza, la ricerca famelica di tutti i vantaggi temporali che procurano queste delizie. – Seguite questo torrente del secolo, datevi alla gioia ed ai piaceri, camminate nella via larga, passerete nel mondo per un uomo onesto, sarete lodato, stimato, applaudito; ma se cambiate vita, per tenere una condotta più regolare, per abbracciare la santa austerità della vita cristiana, sarete fatto oggetto di continui rimproveri, e coloro che vi davano lodi un tempo, saranno i primi a sommergervi con i loro insulti ed invettive, ad accusarvi – come diceva S. Agostino – di corrompere tutte le regole e pervertire i costumi del genere umano. – La preghiera, il digiuno, la vita austera, sono tre cose che il mondo non può soffrire, perché condannano il loro oblio di Dio, la loro sensualità, la loro mollezza. (Duguet). – Si pratica questa austerità per lenire la collera e l’indignazione di Dio. –  Dio aveva cominciato con l’elevare l’uomo ad una meravigliosa altezza, facendolo a sua immagine. L’uomo si è rivoltato contro il suo Creatore ed ha meritato di essere cacciato. Dio si è degnato di riparare a questa grande rovina; ha stabilito l’uomo in una condizione ancora più alta della precedente, rendendolo partecipe della natura divina. – Se dopo tali testimonianze di bontà, torniamo ad essere nuovamente ingrati, è la nostra stessa elevazione che ci abbaglia, e dimenticando la mano divina che ci sostiene, cadiamo da questa altezza e ci infrangiamo. « … Voi non mi avete elevato che per precipitarmi ed infrangermi. » Voi dunque, benché la vostra dignità sia elevata, non lasciatevi gonfiare dall’orgoglio, ma tremate ed umiliatevi sotto la mano potente che distrugge, quando gli piace, la testa dei grandi e dei suoi servi. Temete di gettare troppo tardi questo grido lamentevole: « … La vostra collera e la vostra indignazione mi hanno elevato per distruggermi. » È il posto più elevato che vi è toccato, ed esso non è il più sicuro; è il più glorioso ma non è il meno esposto.  (S. BERN. Epist. 238, ad Eug. n° 4). – Quanto grande è la sventura di un’anima che si separa da Dio! Quando si lascia rompere un vaso facendolo cadere, esso perde tutto, talmente che non gli resta nulla, né forma, né valore alcuno. Così è per colui che ha perso la grazia di Dio.

ff. 7-11. – « I miei giorni sono declinati come l’ombra. » I miei giorni, comparati all’ombra, non gli somiglino se non perché diventano più deboli, più languidi, fino a che non spariscono affatto. Le ombre crescono a misura che il sole discende all’orizzonte; ma esse si indeboliscono sempre più, di modo tale che quando quest’astro tramonta, non si riesce più a distinguerle. Ecco l’immagine del declino dei nostri giorni. La loro ombra decresce come l’ombra diminuisce di forza e di apparenza, e si spengono interamente al momento della morte. (Berthier). – Non attendete la morte per dire, con il movimento forzato da un inutile pentimento: « I miei giorni sono svaniti come l’ombra, » ma già da ora dite spesso a voi stesso: tutte le cose passeranno e svaniranno come l’ombra. Che cos’è dunque questa vita per la quale si ha tanto amore, per la quale solo si lavora? (Duguet). – I vostri giorni sembreranno non aver declino, se voi stessi non vi siete allontanato dal giorno vero; se voi ve ne siete allontanato, allora i vostri giorni sono declinati. Cosa c’è da meravigliarsi se i vostri giorni sono divenuti simili a voi? I vostri giorni son declinati, perché avete deviato dalla retta via, siete divenuti simili al fumo perché vi siete gonfiato d’orgoglio. In effetti, il profeta aveva detto più in alto: « I miei giorni sono svaniti come il fumo; » ed ora dice: « … i miei giorni sono declinati come l’ombra. » Da mezzo a quest’ombra, bisogna riconoscere il giorno; dal centro di quest’ombra bisogna percepire la luce, per non dire poi nei rimpianti tardivi di una infruttuosa penitenza: « A cosa è servito il nostro orgoglio? Ci ha portato queste ricchezze che sono per noi sì vane? Tutte queste cose son passate come un’ombra. » (Sap. X, 8, 9). Dite oggi: tutte queste cose passeranno come un’ombra affinché voi stessi non passiate come un’ombra. « I miei giorni son passati come un’ombra, ed io mi son seccato come il fieno. » Già il profeta aveva detto: « il mio cuore è stato colpito come il fieno, esso si è disseccato. » Ma il fieno rinverdirà, arrossato dal sangue del Signore. « Io mi sono disseccato come il fieno, » io, uomo, per aver violato la vostra legge, e per un giusto giudizio da parte vostra.  (S. Agost.)

III. – 12 – 17

ff. 12-15. – Ma di Voi, Signore, che dire? « I miei giorni hanno declinato come l’ombra, ma Voi, Signore, dimorate in eterno . » Che l’eterno si degni di salvare colui che non deve durare che un tempo! Perché se sono decaduto, Voi non mi avete svegliato; Voi avete tutta la vostra forza per liberarmi, come l’avete avuta per umiliarmi. Ma Voi, Signore, dimorate in eterno, e la vostra memoria passerà da generazione in generazione. » La vostra memoria, perché Voi non dimenticate; dalla generazione, non in una sola generazione, ma « da generazione in generazione; » perché noi abbiamo ricevuta la promessa della vita presente e quella della vita futura. (S. Agost.). – Ogni grandezza umana si cancella, il mondo passa, la vita svanisce. Dio solo è eterno ed immutabile, ed il solo la cui memoria passerà a tutte le età. A chi dunque attaccarsi, ad una grandezza che sparisce in un momento? Ad un mondo che passa come un lampo, ad una vita che svanisce come l’ombra? No, a Colui che solo sussiste eternamente e le cui ricompense, non più della memoria, non passeranno mai (Duguet). – Indubbiamente noi non conosciamo i momenti fissati nei disegni di Dio, e per non avere pure misura certa da applicare ai tempi che Dio si è riservato, è inutile lavoro ed una curiosità condannevole gettarci nelle supposizioni di cui Egli ci nasconde i principi. Ma, qualunque sia l’intervallo tra la promessa ed il tempo in cui Dio la realizzerà, per quanto sconosciuto, non siamo meno certi che questo tempo sia demarcato nei suoi decreti in maniera fissa e precisa; questo tempo gli è sempre presente e niente potrà ritardarlo. – Questo tempo che Dio rende presente allo spirito del Profeta è quello dell’Apostolo che ha detto: « … Quando è giunta la pienezza dei tempi, Dio ha inviato suo Figlio. » ora è il tempo della pazienza di Dio, dell’orgoglio, dell’ingiustizia dei malvagi, delle sofferenze e delle umiliazioni dei giusti.  Ci sarà un altro tempo che Dio solo ha fissato, nel quale l’ingiustizia sarà distrutta ed i giusti sottratti all’oppressione. (Dug.). – In altri salmi, il Profeta, a nome del suo popolo, provato dai suoi nemici, aveva eccitato Dio a levarsi, a dissipare i suoi nemici, a metterli in fuga davanti al suo volto. Egli era andato anche più lontano: lo aveva interpellato e, in qualche modo rimproverato di non levarsi, che sembrasse dormire abbandonando il suo popolo fino alla fine (Ps. XLIII, 23). Ora, questo non è più l’accento del rimprovero, e neanche quello dell’apprensione e del dolore: è il tono dell’assicurazione, ed il linguaggio dell’affermazione: « Voi state per levarvi, Signore, abbiate pietà di Sion, perché è il tempo di averne pietà, sì, questo tempo è venuto. » Tutte le fasi dell’antico popolo di Dio figuravano, profetizzandoli, i destini del popolo cristiano. Nel camminare attraverso i secoli, c’è un giorno, un’ora in cui la Chiesa di Gesù-Cristo si ritrova posta in condizioni analoghe a tutte quelle attraversate dall’antico Israele. Ed è questa analogia, questa identità di situazioni che chiama oggi sulle nostre labbra il versetto quattordicesimo del salmo CI. Si, il tempo è arrivato, Signore, di aver pietà di Sion; questo tempo è giunto perché la crisi subirà dalla società cristiana sembra arrivata nel suo periodo più elevato; questo tempo è giunto, perché il rimedio proposto dagli empirici del quarto d’ora avrebbe per risultare di annientare le ultime risorse e le ultime possibilità di guarigione. (Mgr. Pie, t. VIII, p. 9). – « Perché le sue pietre sono state gradite ai vostri servi. » Quale pietre, le pietre di Sion!  Ma non c’è in Sion chi non sia una pietra. A chi appartengono coloro che non sono pietre? Che risponde il Profeta? « … Essi avranno pietà della sua polvere. » Riconosciamo dunque in Sion delle pietre, e riconosciamo in Sion della polvere. Il profeta non dice: essi avranno pietà delle sue pietre, ma: « i vostri servi si sono compiaciuti delle pietre, ed avranno pietà della sua polvere. » Le pietre di Sion sono i Profeti, sono gli Apostoli che dopo aver abbandonato le cure del secolo, si sono interamente dedicati a fondare la Chiesa. Ma i prevaricatori che si sono allontanati dal Signore e che hanno offeso il loro Creatore con azioni malvagie, sono tornati nella terra donde erano stati tratti; essi sono divenuti polvere, sono divenuti degli empi. Ma attendete, Signore, sopportateli, Signore, abbiate pazienza: che il vento non si alzi più e non spazzi questa polvere dalla faccia della terra. Che vengano i vostri servi, che vengano, che riconoscano le vostre parole nelle pietre di Sion; che abbiano pietà della sua polvere e che l’uomo sia formato a vostra immagine (S. Agost.). – I grande edificio della Chiesa cristiana, opera della mano di Dio, non può mai essere rovinato, ma più pietre possono separarsene. Coloro che restano sempre attaccati come pietre viventi di questo edificio, devono amare con una carità compiacente queste rovine e queste pietre morte, gemere per esse, ed avere una vera compassione per molti altri che, pur restando esteriormente uniti alla Chiesa con il carattere di Cristiano, ne sono separati dalla corruzione dei loro costumi. (Dug.). – Non è vero che se, per caso impossibile, gli uomini giungano a dimenticare, vengano a perdere il Vangelo portato da Gesù-Cristo sulla terra, le pietre che restano sul nostro suolo ce ne renderanno ancora tutta la sostanza? « Se questi tacciono, le pietre stesse grideranno (Luc. XIX, 40). È a questo titolo che lo studio dei monumenti o anche delle loro rovine cessa d’essere una passione di entusiasmo, una fantasia da uomo disoccupato, e diviene uno studio serio, pratico e religioso. Il salmista ci dice che se il tempio rovina, i servitori di Dio ne amino ameno le pietre: « Le sue pietre e le sue rovine sono state gradite ai vostri servi. » Si, c’è un odore di vita, un profumo di fede e di virtù, che esala da questi detriti. (Mgr PIE, Discours, etc., p. 167).

ff. 16, 17. – « E le nazioni temeranno il vostro Nome, Signore, e tutti i re della terra la vostra Gloria. » Il Compimento perfetto di queste parole era riservato alla venuta del Cristo; allora, nel momento in cui si è elevata la nuova Sion, i popoli della terra sono stati colpiti da un timore salutare, ed hanno onorato il Nome del Signore; nello stesso tempo, tutti i re hanno riconosciuto il Re dei re ed adorato la sua maestà. (Bellarm.). La costruzione della santa Sion è l’opera di tutti i secoli che sono trascorsi dopo Gesù-Cristo, e che trascorreranno fino alla fine del mondo. Questo edificio non sarà terminato che nell’ultimo giorno. Nell’attesa ciascuno di noi deve contribuirvi a porre la sua pietra come diceva Sant’Agostino. Non sarà più tempo di lavorare quando Gesù-Cristo verrà a fare la separazione delle pietre vive dalle pietre di scarto, e verrà in tutta la sua gloria per dare l’ultima mano a questo tempio eterno (Berthier). « Egli ha posto uno sguardo favorevole sulla preghiera degli umili. » È quanto si compie ora nella costruzione di Sion: coloro che la costruiscono pregano e gemono … se c’è qualcuno che abbia ancora altri sentimenti, se qualcuno avesse ancora fino al presente, altri pensieri, mangi cenere come pane. E mescoli la sua  bevanda con le proprie lacrime. Egli ancora è in tempo, finché Sion si elevi, finché ora le pietre si raccolgono nella sua costruzione. Quando l’edificio sarà definitivamente completato, quando la casa sarà dedicata, a cosa servirà accorrere, cercare un posto troppo tardi, pregare invano, battere inutilmente alla porta? (S. Agost.).  

IV. — 18-28.

ff. 18-22. – « Che questo sia scritto per le generazioni future, il popolo che sarà creato, celebrerà il Signore. » Affinché i Giudei non possano più rivendicare unicamente per essi il diritto di queste promesse, ed applicarle esclusivamente alla fine della cattività ed alla ricostruzione di Gerusalemme, lo Spirito Santo scriveva in termini eloquenti ciò che San Pietro, più tardi interpreterà in questi termini: « I Profeti hanno predetto la grazia che dovete ricevere. Fu loro rivelato che ciò non era per essi stessi, ma per voi, essi erano dispensatori di misteri che i predicatori del Vangelo vi hanno annunciato » (I Pietr. I) – Possa questa profezia compiersi per la generazione futura della nostra patria, di questa Francia sì crudelmente provata. Ah! Senza dubbio agli occhi dell’osservatore attento si manifestano segni certi di dissoluzione e di rovina prossima; ma anche segni più consolanti, presagi di resurrezione nelle opere sante che dopo più di mezzo secolo elevano sul suolo della Francia il loro florido stelo. Quali benedizioni non attireranno sulla Francia queste istituzioni di carità che qui è impossibile enumerare, come si è detto, e che hanno messo il dito sulle ombre stesse del bisogno, moltiplicato le mani per curare le cicatrici e le piaghe. Si, chiediamo che la generazione che cresce sia questo popolo nuovo creato per lodare il Signore, una nuova generazione di veri Cristiani e di veri francesi che riporterà la nostra nazione al primo posto tra tutti i popoli della terra. – Questo popolo che sarà creato, loderà il Signore che ha guardato la nostra valle di lacrime dall’alto del suo trono, non con sguardo inutile, ma discendendo tra noi, facendosi piccolo, conversando in mezzo a noi. Perché si è umiliato scendendo tra noi? Per ascoltare  da vicino le grida di coloro che il principe di questo mondo teneva prigionieri, e liberarli. Voi sapete quali sono coloro che sono stati uccisi e sapete quali sono i loro figli. La Chiesa è stata dapprima oppressa. Quando si tenevano prigionieri i Cristiani e li si mettevano a morte, ma, dopo questa persecuzione, il Nome del Signore è stato annunziato con una grande libertà in Sion, cioè nella Chiesa. (S. Agost.). – Quando Dio guarda dall’alto della sua santa dimora, i suoi occhi si abbassano con una compiacenza particolare sui figli di coloro che sono stati incatenati o massacrati per causa sua – e quando spiega la lunghezza del suo braccio – è per benedire e proteggere i figli di coloro che sono uccisi. I tempi giungeranno in cui coloro che la grazia avrà liberato, cominceranno a servire il Signore, e sarà allora che tutti i popoli, fino ad allora divisi, si fonderanno in un unico corpo, non avranno più che un solo Dio, un solo spirito, una sola fede, un solo Battesimo, un solo cuore ed una sola anima, e che gli stessi re si uniranno a questo coro unico della Chiesa, per farne parte. (Bellarm.). – « I popoli ed i re si assembleranno e si uniranno per servire l’Eterno. » Beato il popolo in cui il re e la nazione hanno uno stesso simbolo, una stessa dottrina, una stessa fede! Il Monarca e la Nazione si uniscono allora in un sublime concerto al servizio del Signore. In questo religioso abbraccio della potenza reale e della potenza popolare, la guerra civile è soffocata, i litigi domestici spenti, la questione del potere non è più una questione. Uniti davanti a Dio, il capo ed i soggetti restano strettamente abbracciati tra loro, e fanno regnare le felicità e la pace al seguito della Religione. (Mgr PIE, Discours, etc., I, 65). – Lo scopo per il quale Dio salva i prigionieri ed i figli di coloro che sono stati messi a morte, è alfine che essi annuncino il nome del Signore (Bellarm.). – Ed in effetti l’uso più santo della libertà si acquista con l’affrancamento dalla servitù del peccato e dalla dominazione del principe delle tenebre, è annunciare e far conoscere il Nome e la potenza di Dio nella vera Sion, che è la Chiesa, e rendere pubbliche le sue lodi in questa nuova Gerusalemme (Duguet).

ff. 23, 24. – « Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni. » È la Chiesa che risponde qui al Signore nella via della sua forza. Ha trovato risposta in se stessa? Ma cosa poteva esservi in essa, o quale voce essa aveva e per essa, se non la sola voce del peccato, la sola voce dell’iniquità? Ma quando è stata giustificata « … Essa gli ha risposto, » non per i suoi meriti, ma per la potenza di Dio. Ed in qual modo ha risposto: « Nella via della sua forza. » Questa via è il Cristo stesso … Cosa domanda essa a Dio? « Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni. » Che significano queste parole che mormorano contro me ed io non so quali uomini si sono separati da me? Essi osano dire che io sono stato e non sono più: « Annunciatemi il piccolo numero dei miei giorni. » Io non parlo di giorni eterni, che sono senza fine ed io vi sarò; no! io parlo dei giorni temporali; annunciatemi i miei giorni temporali e non l’eternità dei miei giorni; annunciatemi il tempo in cui sarò in questo mondo a causa di coloro che dicono: essa è stata, essa non è più. Il Signore glielo ha in effetti annunziato, e questa parola non è rimasta senza risposta. E chi me lo ha annunziato, se non la mia Via stessa? E come me lo ha annunziato? « … Ecco Io sono con voi fino alla consumazione dei secoli. » (Matth. XXVIII, 20), (S. Agost.). – È anche la via del profeta; rispondendo a Dio che gli aveva ordinato di vivere per la generazione futura gli diceva nel fiore e nella pienezza dell’età: Fatemi conoscere il piccolo numero dei miei giorni; fate che io sia ben persuaso della rapidità dei miei giorni, affinché, non essendo deviato dalla mia giovinezza e sorpreso dalla morte, io non sia più estromesso da questo popolo che sarà creato e vi loderà eternamente in Gerusalemme (Bellarm.). Grande grazia di Dio, è il ben considerare la brevità di questa vita, composta da un piccolissimo numero di giorni alfine di utilizzare tutti i momenti per l’eternità. – Non c’è nessuna disgrazia più funesta, pur tuttavia comune, che quella di essere tolto dal mondo a metà dei giorni che ci si riprometteva, in mezzo ad una vita leggera, dissipata, indifferente, criminosa, e senza aver fatto nessuna penitenza. – Cadere in questo stato nelle mani di Dio, qual cosa orribile, e chi potrebbe comprenderlo! Noi siamo perduti se Egli non ci richiami prima di essersi riconciliato con noi; non abbiamo alcuna speranza se pone termine ai nostri giorni prima che i giorni cattivi della vita passata siano espiati e riparati (Dug.). – Domandiamo a Dio di perdonarci il passato; domandiamogli soprattutto di proteggere l’avvenire, di moltiplicare nei nostri giorni l’occasione di opere buone, di non toglierci nel mezzo della nostra corsa, di essere immagine vivente di questo Dio eterno nella sua durata, di farci vivere per cancellare il male, per amarlo, per servirlo, per essere suo figlio sottomesso e fedele, per rendere ai nostri fratelli il bene che Egli ci ha fatto. – « I vostri anni si estendano in tutte le generazioni. »

ff. 25-28. – « In principio avete fondato la terra e i cieli sono l’opera delle vostre mani. » Ciò che conosciamo di più durevole in questo mondo è il cielo e la terra. Fin dalla creazione perseverano nello stesso stato; non cessano di spandere su di noi i beni che la Provvidenza ha messo nel loro seno. Tuttavia, questi grandi corpi, sì fedeli alle leggi che Dio ha loro imposto, invecchieranno, come dice il Profeta, cesseranno di essere ciò che sono, e la gloria di essere immutabile ed inalterabile, resterà in Dio solo, perché Lui solo è eterno. (Berthier). Tutto invecchia, uomini e cose; tutto anche cambia, si deforma, si rinnova, come aggiunge il Profeta, « mutabuntur,» il tempo dispone così per la sua opera la distruzione di una doppia potenza: cambia, poi ricostruisce sulle rovine cancellando fino all’ultima vestigia delle cose che sono state … Il tempo distrugge con la mano sinistra e costruisce con la mano destra, egualmente nemici nei due casi, poiché l’edificio che eleva non fa che spingere più avanti l’edificio che rovescia, e se fonda, è per distruggere ancora. (Lacordaire). «Tutti invecchieranno come un vestito, o Dio, Voi lo cambierete come ci si cambia di abito, e saranno cambiati; ma Voi resterete sempre lo stesso, I vostri anni non finiranno. » – Quand’anche l’uomo vivesse un gran numero di anni, non resterebbe mai un solo giorno nello stesso stato, perché ha la sua condizione mortale di essere continuamente soggetto alla legge del cambiamento, triste mutevolezza di cui Giobbe diceva: «  come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e non resta mai nel medesimo stato. » (Giob. XIV, 2). Dio al contrario, che è il solo veramente eterno, veramente immortale, resta eternamente ciò che è, perché non c’è nulla in Lui di transitorio, niente che sia soggetto al cambiamento, niente che sia opposto alla sua eterna divinità (S. GRÉG., in hunc psalm.). « Ma Voi resterete sempre lo stesso. » Voi siete il solo sul quale il tempo non possa nulla, perché solo Voi siete l’eterno. E cosa fate per disfarvi dei vostri potenti avversari? Una sola cosa, il tempo. « … essi periranno, Voi resterete sempre lo stesso. » La tomba è il segno più vero, il più infallibile marchio per discernere ciò che è umano da ciò che è divino. – « La figura di questo mondo passa (I Cor. VII). Le cose che passano sono temporali, quelle che non passano sono eterne. » Noi vediamo la terra coperta di alberi, popolata di animali, abbellita da edifici; noi vediamo le acque scorrere e spesso diventare turbinose nel loro corso; vediamo l’atmosfera a volta brillante, a volte oscura; vediamo gli astri in continuo movimento: tutto questo passa ed avrà fine. « Noi aspettiamo nuovi cieli ed una terra nuova, secondo la promessa, dice S. Pietro (2 Ep. III). I cieli saranno cambiati quanto alla forma esteriore, Voi toglierete la loro immagine attuale per darne loro una nuova, così come l’uomo lascia un vecchio mantello per prenderne uno nuovo. Ma Voi, non cambierete mai, qualunque sia la durate del tempo. » (Bellarm.). –  Voi sentite parlare di vestiti, di mantello, e pensate che sia diverso per i corpi? Speriamo dunque che i nostri corpi siano cambiati, ma per Colui che era prima di noi e che sussiste dopo di noi, di cui riteniamo ciò che siamo e che saremo quando saremo cambiati: Egli stesso ci cambia e non è cambiato, ci fa e non è fatto, ci conduce e rimane. E come la carne ed il sangue comprenderanno questa parola: « Io sono colui che sono »? – « Ma Voi siete sempre lo stesso, ed i vostri anni non finiranno. » Ma noi, nei confronti di questi anni di Dio, cosa siamo, con i nostri anni strapazzati? Che sono questi brandelli di anni? Noi tuttavia non dobbiamo disperare, perché nella sua Maestà e nell’eccellenza della sua saggezza, Dio aveva detto: « Io sono colui che sono », e tuttavia per consolarci ci ha pure detto: « Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. » (Es. III, 15). E noi siamo razza di Abramo (Gal. II, 29); e malgrado la nostra bassezza, benché siamo terra e cenere, noi speriamo in Dio. Noi siamo schiavi, ma nostro Signore si è degnato di prendere per noi la forma di uno schiavo (Filip., XVII, 7); noi mortali, Egli immortale, ha voluto morire e ci ha mostrato l’esempio della Resurrezione. Speriamo dunque di pervenire a questi anni stabili, nei quali non c’è il corso del sole che forma il giorno, ma nei quali tutto resta com’è, perché solo questo sarà veramente. (S. Agost.). – « I figli dei vostri servi vi abiteranno. » E dove? Se non negli anni che non finiranno mai. « E la loro razza sarà stabile per i secoli dei secoli, per il secolo eterno, per il secolo che sarà per sempre. » Il Profeta dice: « I figli dei vostri servi. » Non dobbiamo noi temere di non essere i servi di Dio e che i nostri figli non abitino il cielo, senza che noi stessi vi abitiamo? Ma se siamo al contrario i figli dei servi di Dio, i figli degli Apostoli, che diremo? Figli degli Apostoli, nati dopo di loro e gloriosi per essere loro successi, avremo la colpevole audacia di dire: Noi vi abiteremo e gli Apostoli non vi abiteranno? Lungi dalla nostra pietà filiale un tale pensiero! Lungi dalla fede dei figli! Lungi dall’intelligenza degli uomini fatti! (S. Agost.) – I servi di Dio, gli Apostoli, i loro figli, cioè i semplici fedeli e tutti coloro che saranno nati alla fede e che avranno perseverato nella grazia, perverranno alla felice immortalità della vita futura.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.