DOMENICA I DI QUARESIMA (2020)
(Messale Romano di S. Bertola e G. Destefani, comm. di D. G. LEFEBVRE O. S. B; L. I. C. E. – R. Berruti & C. Torino 1950)
Stazione a S. Giovanni in Laterano
Semidoppio. – Dom. privil. di I cl. – Paramenti violacei.
Questa Domenica è il punto di partenza del ciclo quaresima! (Secr.) cosicché l’assemblea liturgica si tiene oggi, fin dal IV secolo a S. Giovanni in Laterano, che è la basilica patriarcale del romano Pontefice edil cui nome rievoca’ la redenzione operata da Gesù, essendo questa Basilica dedicata anche al SS.mo Salvatore. Subito dopo il battesimo, Gesù si prepara alla vita pubblica con un digiuno di 40 giorni, nel deserto montagnoso, che si estende fra Gerico e le montagne di Giuda (Gesù si riparò, dice la tradizione, nella grotta che è nel picco il più elevato chiamato Monte della Quarantena). Là satana, volendo sapere se il figlio di Maria era il figlio di Dio, lo tenta (Vang.). Gesù ha fame e satana gli suggerisce di convertire in pane le pietre. Allo stesso modo opera con noi e cerca di farci abbandonare il digiuno e la mortificazione in questi 40 giorni. È la concupiscenza della carne. – Il demonio aveva promesso al nostro primo padre che sarebbe diventato simile a Dio; egli trasporta Gesù sul pinnacolo del Tempio elo invita a farsi portare in aria dagli Angeli per essere acclamato dalla folla. Tenta noi ugualmente nell’orgoglio, che è opposto, allo spirito di preghiera e alla meditazione della parola di Dio. È l’orgoglio della vita. – Come aveva promesso ad Adamo una scienza uguale a quelli di Dio, che gli avrebbe fatto conoscere tutte le cose, satana assicura Gesù che gli darà l’impero su tutte le cose se egli prostrato in terra lo adorerà (Lucifero, il più bello degli angeli, si credette in diritto, secondo alcuni teologi, all’unione ipostatica che l’avrebbe elevato alla dignità di figlio dì Dio. Egli cercò di farsi adorare come tale da Gesù, come l’anticristo si farà adorare nel tempio di Dio (II ai Tessal.). Il demonio allo stesso modo, cerca con noi, di attaccarci ai beni caduchi, quando stiamo per sovvenire il prossimo con l’elemosina e le opere di carità. È la concupiscenza degli occhi o l’avarizia. – Il Salmo 90 che Gesù usò contro satana, — poiché la spada dello Spirito, è la parola di Dio (Agli Efesini, VI, 17).— serve di trama a tutta la Messa e si ritrova nell’ufficiatura odierna. « La verità del Signore ti coprirà come uno scudo », dichiara il salmista. Questo salmo dunque è per eccellenza quello di Quaresima, che è un tempo di lotta contro satana, quindi il versetto 11 : «Ha comandato ai suoi angeli di custodirti in tutte le tue vie », suona come un ritornello durante tutto questo periodo, alle Lodi e ai Vespri. Questo Salmo si trova intero nel Tratto e ricorda l’antico uso di cantare i salmi durante la prima parte della Messa. Alcuni dei suoi versetti formano l’Introito col suo verso, il Graduale, l’Offertorio e il Communio. In altra epoca, quest’ultima parte era formata da tre versetti invece di uno solo e questi tre versetti seguivano l’ordine della triplice tentazione riferita nel Vangelo. – Accanto a questo Salmo, l’Epistola, che è certamente la stessa che al tempo di S. Leone, dà una nota caratteristica della Quaresima. S. Paolo vi riassume un testo di Isaia: « Ti esaudii nel tempo propizio e nel giorno di salute ti portai aiuto » (Epist. e 1° Nott.). S. Leone ne fa questo commento: « Benché non vi sia alcuna epoca che non sia ricca di doni celesti, e che per grazia di Dio, ogni giorno vi si trovi accesso presso la sua misericordia, pure è necessario che in questo tempo le anime di tutti i Cristiani si eccitino con più zelo ai progressi spirituali e siano animate da una più grande confidenza, allorché il ritorno del giorno nel quale siamo stati redenti ci invita a compiere tutti i doveri della pietà cristiana. Cosi noi celebreremo, con le anime e i corpi purificati, questo mistero della Passione del Signore, che è fra tutti il più sublime. È vero che noi dovremmo ogni giorno essere al cospetto di Dio con incessante devozione e rispetto continuo come vorremmo essere trovati nel giorno di Pasqua. Ma poiché questa forza d’animo è di pochi; e per la fragilità della carne, viene rilassata l’osservanza più austera, e dalle varie occupazioni della vita presente viene distratta la nostra attenzione, accade necessariamente che la polvere del mondo contamini gli stessi cuori religiosi. Perciò è di grande vantaggio per le anime nostre questa divina istituzione, perché questo esercizio della S. Quaresima ci aiuti a ricuperare la purità delle nostre anime riparando con le opere pie e con i digiuni, gli errori commessi negli altri momenti dell’anno. Ma per non dare ad alcuno il minimo motivo di disprezzo o di scandalo, è necessario che il nostro modo di agire non sia in disaccordo col nostro digiuno, perché è inutile diminuire il nutrimento del corpo, quando l’anima non si allontana dal peccato » (2° Notturno). – In questo tempo favorevole e in questi giorni di salute, purifichiamoci con la Chiesa (Oraz.) « col digiuno, con la castità, con l’assiduità ad intendere e meditare la parola di Dio e con una carità sincera » (Epist.).
Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Ps XC: 15; XC: 16
Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]
Ps XC: 1 Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorábitur. [Chi àbita sotto l’égida dell’Altissimo dimorerà sotto la protezione del cielo].
Invocábit me, et ego exáudiam eum: erípiam eum, et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum. [Mi invocherà e io lo esaudirò: lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni.]
Oratio
Orémus.
Deus, qui Ecclésiam tuam ánnua quadragesimáli observatióne puríficas: præsta famíliæ tuæ; ut, quod a te obtinére abstinéndo nítitur, hoc bonis opéribus exsequátur. [O Dio, che purífichi la tua Chiesa con l’ànnua osservanza della quaresima, concedi alla tua famiglia che quanto si sforza di ottenere da Te con l’astinenza, lo compia con le opere buone.]
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios. 2 Cor VI: 1-10.
“Fratres: Exhortámur vos, ne in vácuum grátiam Dei recipiátis. Ait enim: Témpore accépto exaudívi te, et in die salútis adjúvi te. Ecce, nunc tempus acceptábile, ecce, nunc dies salútis. Némini dantes ullam offensiónem, ut non vituperétur ministérium nostrum: sed in ómnibus exhibeámus nosmetípsos sicut Dei minístros, in multa patiéntia, in tribulatiónibus, in necessitátibus, in angústiis, in plagis, in carcéribus, in seditiónibus, in labóribus, in vigíliis, in jejúniis, in castitáte, in sciéntia, in longanimitáte, in suavitáte, in Spíritu Sancto, in caritáte non ficta, in verbo veritátis, in virtúte Dei, per arma justítiæ a dextris et a sinístris: per glóriam et ignobilitátem: per infámiam et bonam famam: ut seductóres et veráces: sicut qui ignóti et cógniti: quasi moriéntes et ecce, vívimus: ut castigáti et non mortificáti: quasi tristes, semper autem gaudéntes: sicut egéntes, multos autem locupletántes: tamquam nihil habéntes et ómnia possidéntes.” – Deo gratias.
OMELIA I
[A. Castellazzi: Alla Scuola degli Apostoli; Sc. Tip. Artigianelli, Pavia, 1929]
CORRISPONDENZA ALLA GRAZIA
Fratelli: “Vi esortiamo a non ricevere invano la grazia di Dio. Egli dice infatti: «Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto». Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle battiture, nelle prigioni, nelle sommosse, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni; con la purità, con la scienza, con la mansuetudine, con la bontà, con lo Spirito Santo, con la carità sincera, con la parola di verità, con la potenza di Dio, con le armi della giustizia di destra e di sinistra; nella gloria e nell’ignominia, nella cattiva e nella buona riputazione; come impostori, e siam veritieri; come ignoti, e siam conosciuti; come moribondi, ed ecco viviamo; come puniti, e non messi a morte; come tristi, e siam sempre allegri; come poveri, e pure arricchiamo molti; come privi di ogni cosa, e possediamo tutto”. (2 Cor VI, 1-10).
L’Epistola di quest’oggi è tolta dal cap. VI della II lettera ai Corinti. Sulla fine del capo precedente l’Apostolo aveva annunciato due grandi verità: a) Gesù Cristo sulla croce era stato personalmente sostituito al peccatore, perché venisse la riconciliazione tra questo e Dio; b) Dio incarica gli Apostoli, quali ambasciatori di Cristo, di promuovere tra gli uomini questa riconciliazione. E ricorda come egli nella sua qualità di ambasciatore abbia veramente imitato Gesù Cristo, compiendo l’opera sua tra numerose privazioni e difficoltà. Così rispondeva anche, in modo indiretto ma efficace, a quei che denigravano il suo ministero. Da questo passo prendiamo occasione per parlare della corrispondenza alla grazia, che dobbiamo:
1 Accogliere a tempo,
2 Rendere fruttuosa,
3 Invocare da Dio.
1.
Nel tempo favorevole ti ho esaudito, e nel giorno della salute ti ho recato aiuto. Sono parole tolte da Isaia che il Signore rivolge al Messia, il quale prega e soffre per la redenzione degli uomini. Esse contengono l’assicurazione, che la preghiera del Messia è stata esaudita, e che il tempo messianico è il tempo dell’abbondanza delle grazie. S. Paolo, richiamate ai Corinti le parole d’Isaia, soggiunge: Ecco ora il tempo favorevole, ecco ora il giorno della salute. E la Chiesa richiama queste parole dell’Apostolo a tutti i fedeli, indicando loro, come tempo specialmente accetto a Dio, il tempo quaresimale nel quale le sue grazie abbondano. « Che cosa — commenta S. Leone M. — è più accetto di questo tempo, che cosa è più salutare di questi giorni, in cui si intima la guerra ai vizi e aumenta il progresso di tutte le virtù? » (Serm. 40, 2). L’invito, però, ad abbandonare i vizi e a progredire nella virtù, se nel tempo quaresimale è più insistente da parte della Chiesa, non manca mai negli altri tempi dell’anno. Fin che l’uomo vive è sempre visitato dalla grazia di Dio. E se la grazia di Dio non sempre opera, è perché l’uomo non l’accoglie. La divina grazia illumina la mente dell’uomo, ora facendogli conoscere la bruttezza del peccato, perché si decida a lasciarlo; ora facendogli vedere la bellezza della virtù, col richiamargli alla mente gli esempi di coloro che sprezzano i piaceri mondani, per servir da vicino gli insegnamenti del Vangelo. Altre volte lo scuote mettendogli innanzi la speranza dei beni futuri, o lo atterrisce col pensiero delle pene eterne. Più spesso lo turba con l’ammonizione del Battista: « Non ti è lecito » (Matt. XIV, 4). Non ti è lecito mantenere quella pratica, non ti è lecito covare nel cuore quell’odio; non ti è lecito ritenere quella roba; non ti è lecito una vita dimentica di Dio e del prossimo; non ti è lecito il cattivo esempio che dài. Ora cerca di attirarlo con i benefici; ora con le tribolazioni o con le croci. Il Crisologo, parlando della vocazione di S. Matteo, dice: « Dio lo vide, affinché egli vedesse Dio » (Serm. 30). Matteo non ebbe paura della vista di Dio, di guardare Gesù che veniva a lui. E quando Gesù gli disse: « Seguimi », Matteo si alzò e lo seguì (S. Matt. IX, 9). Alcuni son pronti come S. Matteo ad accogliere l’invito di Dio, a uscire dalla via del peccato, a lasciare le occasioni, a darsi al servizio del Signore. Ma la maggior parte si merita il rimprovero che leggiamo nei libri santi: « Invitai e vi siete rifiutati, stesi la mano e nessuno si diede per inteso » (Prov. I, 24). Paurosi di sorgere dallo stato in cui si trovano, non accettano l’invito che Dio loro offre. Approviamo pienamente l’atteggiamento di Santo Stefano, che rinfaccia agli Ebrei la loro continua resistenza allo Spirito Santo; e noi continuiamo a resistere agli inviti della grazia. Con quale conseguenza? Quella di attirar su noi l’ira del Signore nel giorno del giudizio, se continueremo a disprezzare le ricchezze della sua benignità. « Poiché coloro che disprezzano la volontà di Dio che invita, sentiranno la volontà di Dio che vendica » (S. Prospero d’Aquit., Resp. ad cap. obiect. vinc. 16).
2.
L’Apostolo a render più efficace l’esortazione, fatta ai Corinti, di non lasciar infruttuosa la grazia, mostra come egli si è diportato nell’adempimento del suo dovere. Noi non diamo alcun motivo di scandalo a nessuno, affinché il nostro ministero non sia screditato; ma ci diportiamo in tutto come ministri di Dio, mediante una grande pazienza nelle tribolazioni. E passa a narrare quanto ha sofferto e operato nel suo ufficio di collaboratore di Dio nell’opera della salvezza. La grazia aveva chiamato Paolo all’apostolato. Come si vede, egli non considera la grazia come un tesoro da nascondere sotto terra. Nessuno potrebbe rimproverargli d’aver ricevuto la grazia di Dio invano. – La grazia di Dio invita gli uomini a operare nello stato, cui ciascuno è chiamato. Non tutti, però, si sentono di operare secondo la volontà di Dio. Ci sono i pusillanimi che hanno paura di sbagliare in tutto, come se fossero abbandonati alle sole proprie forze; come se Dio, che vuole la loro cooperazione, non prestasse la sua assistenza. Costoro non corrispondono a una data vocazione, ricusano di entrare in quello stato, non accettano il tal posto, nel quale potrebbero far tanto bene, avendo avuto da Dio i doni necessari. Ci sono, e questi formano il maggior numero, gli infingardi i quali non fanno il bene che dovrebbero e potrebbero fare, per paura della fatica. Per essi Dio, che domanda la loro cooperazione, è un padrone duro, esigente, che richiede troppo, che vuole ciò che essi non potrebbero dare; e finiscono col non dar niente. E finiranno anche col perdere quello che da Dio han ricevuto. La sorte di costoro è quella del servo della parabola. Egli ha ricevuto dal padrone, che doveva partire, un talento. Scava la terra, e ve lo nasconde. Quando, dopo lungo tempo, il padrone ritorna e fa i conti col servo, questo gli dice: « Signore, sapevo che sei un uomo duro e mieti dove non hai seminato, e raccogli dove non hai sparso: ebbi paura e andai a nascondere il tuo talento sotto terra: eccolo qui ». E il padrone risponde, chiamandolo: « servo iniquo e infingardo »; e dice ai suoi: « Toglietegli il talento che ha, e datelo a colui che ha dieci talenti » (Matth. XXV, 14 segg.). Quelli che non fanno profitto delle grazie che Dio accorda loro, se ne vedranno un giorno privati, e riceveranno il meritato castigo. Al contrario, chi si serve delle grazie prime, cooperandovi diligentemente, ne riceverà delle maggiori. Nessuno confida danaro da trafficare a chi lo rinchiude in un forziere o lo seppellisce sotto terra. Lo si affida a chi sa farlo rendere, di più. È naturale che chi sa far fruttare la grazia ricevuta, ne riceva di sempre maggiori. E così egli va accumulando i meriti che porta con sé la docilità all’azione della grazia; va moltiplicando le azioni virtuose nel rinunciare alle proprie inclinazioni per seguire le ispirazioni della grazia; e nel giorno del rendiconto si vedrà arricchito oltre ogni aspettativa.
3.
La grazia, da alcuni, viene respinta quando Dio l’offre; da altri non si prende in considerazione; altri la perdono dopo averla ricevuta. E allora, avessero pure per il passato imitato San Paolo nello zelo per le opere buone, non possono ripetere con lui, siamo stimati come privi d’ogni cosa e possediamo tutto. Quando si è perduta la grazia si è perduto tutto, in merito alla vita eterna. Ma fin che siamo su questa terra siam sempre in tempo a trar profitto dalla grazia di Dio. Opera della grazia di Dio è il risorgere dal peccato; opera della grazia di Dio è il non cadervi: opera della grazia di Dio è il progredire generosamente nella via della perfezione. Se abbiamo perduta la grazia, dobbiamo implorarla da Colui che ne è la fonte. « Tutti. — dice S. Agostino — con piena fede e certa fiducia, si accostino all’Autore della vita, affinché quelli che hanno la vita vivano d’una vita più piena e perfetta, e quelli che sono morti tornino a vivere » (Serm. 98, 7). Durante questa vita mortale Dio non abbandona mai il peccatore del tutto. Egli torna sovente a invitarlo alla conversione. Preghiamolo ardentemente che ci faccia sentire la sua voce; che ci scuota; che ci dia la forza di accoglierla. Diciamogli con grande fiducia: « Seconda col tuo aiuto i nostri voti, che tu pel primo c’inspiri » (Oremus nella Messa di Pasqua). Se, per nostra fortuna, serviamo fedelmente il Signore, ricordiamoci che « dipende dalla sua misericordia, se noi possiamo perseverare a prestargli servizio » (S. Ilario, Tract. in Ps CXVIII, 10). Rallegrati della grazia del Signore, se la possiedi, « non devi stimare, però, di possedere un dono di Dio, come per diritto ereditario, così da essere sicuro come se non lo potessi mai perdere » (S. Bernardo, In Cant. cantic. Serm. 21,5). Anche qui c’è bisogno dunque della preghiera. Dobbiamo rivolgerci a Dio e supplicarlo che ci tenga sempre lontani da ciò che è nocivo, e che ci diriga con la sua grazia. Anche coloro che s’adoperano sul serio a render fruttifera la grazia di Dio, vanno soggetti a momenti di stanchezza e di sfiducia. Sarà sempre quella che è chiamata l’arma dei deboli, che bisogna usare in quei momenti. « Quando adunque ti senti abbattere dalla tiepidezza, dall’accidia e dalla noia, non devi sfiduciarti o desistere dall’esercizio spirituale, ma chiedi la mano di Colui che aiuta » (S. Bern. 1. c.). Se la voce di Dio non l’abbiamo ascoltata per il passato, ascoltiamola ora. Essa verrà ancora a scuoterci. Camillo de Lellis sente a 18 anni la voce della grazia che lo invita a lasciare il mondo, quando, rimasto orfano di padre, con una piaga al piede che lo rende inabile al servizio militare, edificato dal contegno di due cappuccini, fa voto di entrare nel loro ordine. Ben presto, però, dimentica il proposito. Scacciato dall’ospedale degli incurabili a Roma pel suo carattere rissoso e insubordinato, si dà alle armi. Guarito per virtù dei sacramenti da un’infermità che lo riduce in fin di vita, si getta a nuove avventure, mettendosi al servizio della Spagna. Giunto a Napoli, dopo esser stato liberato da una terribile tempesta per la protezione della Vergine, si dà così pazzamente al giuoco, da perdervi armi e abiti. Costretto dalla necessità a condur calce nella costruzione di un convento in Manfredonia tra gli insulti e gli scherni, egli il discendente di nobile prosapia, che era andato in cerca di celebrità e gloria nella professione delle armi, non si decide ancora a ritornare a Dio. Un giorno, lungo una via deserta che conduce al convento di Manfredonia, ripensa alle gravi parole udite la sera innanzi da uno zelante padre cappuccino. Dio gli manda un raggio splendente della sua grazia, e Camillo, novello Saulo, sceso dal giumento, si getta a terra ed esclama : « O me infelice! Perché non ho conosciuto prima il mio Dio e non l’ho servito?… Perché ho sempre resistito ostinatamente alla sua grazia?…» (Der heil. Kamillus T. Lellis und sein Orden. Freiburg, 1914, p. 11). Se, come Camillo De Lellis, per il passato abbiam sempre resistito ostinatamente alla grazia del Signore, pieghiamoci finalmente come lui e diamoci vinti. Meglio tardi che mai. Rinunciamo oggi stesso, in questo momento, al peccato. Cominciamo oggi stesso, in questo momento, nelle circostanze in cui ci ha posti la Provvidenza, a servir Dio. Mettiamoci subito a fare quanto avremmo voluto aver fatto in punto di morte. Con la Chiesa preghiamo Dio che ci faccia docili. « La tua grazia, te ne preghiamo o Signore, ci preceda sempre e ci segua: e ci conceda di esser sempre occupati in opere buone » (Oremus della messa della Dom. XVI di Pentecoste).
Graduale
Ps XC, 11-12
Angelis suis Deus mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.
In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum.
[Dio ha mandato gli Ángeli presso di te, affinché ti custodíscano in tutti i tuoi passi. Essi ti porteranno in palmo di mano, ché il tuo piede non inciampi nella pietra.]
Tractus.
Ps XC: 1-7; XC: 11-16
Qui hábitat in adjutório Altíssimi, in protectióne Dei cœli commorántur.
V. Dicet Dómino: Suscéptor meus es tu et refúgium meum: Deus meus, sperábo in eum.
V. Quóniam ipse liberávit me de láqueo venántium et a verbo áspero.
V. Scápulis suis obumbrábit tibi, et sub pennis ejus sperábis.
V. Scuto circúmdabit te véritas ejus: non timébis a timóre noctúrno.
V. A sagitta volánte per diem, a negótio perambulánte in ténebris, a ruína et dæmónio meridiáno.
V. Cadent a látere tuo mille, et decem mília a dextris tuis: tibi autem non appropinquábit.
V. Quóniam Angelis suish mandávit de te, ut custódiant te in ómnibus viis tuis.
V. In mánibus portábunt te, ne umquam offéndas ad lápidem pedem tuum,
V. Super áspidem et basilíscum ambulábis, et conculcábis leónem et dracónem.
V. Quóniam in me sperávit, liberábo eum: prótegam eum, quóniam cognóvit nomen meum,
V. Invocábit me, et ego exáudiam eum: cum ipso sum in tribulatióne,
V. Erípiam eum et glorificábo eum: longitúdine diérum adimplébo eum, et osténdam illi salutáre meum.
[Chi abita sotto l’égida dell’Altissimo, e si ricovera sotto la protezione di Dio.
Dica al Signore: Tu sei il mio difensore e il mio asilo: il mio Dio nel quale ho fiducia.
Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e da un caso funesto.
Con le sue penne ti farà schermo, e sotto le sue ali sarai tranquillo.
La sua fedeltà ti sarà di scudo: non dovrai temere i pericoli notturni.
Né saetta spiccata di giorno, né peste che serpeggia nelle tenebre, né morbo che fa strage al meriggio.
Mille cadranno al tuo fianco e dieci mila alla tua destra: ma nessun male ti raggiungerà.
V. Poiché ha mandato gli Angeli presso di te, perché ti custodiscano in tutti i tuoi passi.
Ti porteranno in palma di mano, affinché il tuo piede non inciampi nella pietra.
Camminerai sull’aspide e sul basilisco, e calpesterai il leone e il dragone.
«Poiché sperò in me, lo libererò: lo proteggerò, perché riconosce il mio nome.
Appena mi invocherà, lo esaudirò: sarò con lui nella tribolazione.
Lo libererò e lo glorificherò: lo sazierò di lunghi giorni, e lo farò partécipe della mia salvezza».]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum S. Matthaeum.
Matt IV: 1-11
“In illo témpore: Ductus est Jesus in desértum a Spíritu, ut tentarétur a diábolo. Et cum jejunásset quadragínta diébus et quadragínta nóctibus, postea esúriit. Et accédens tentátor, dixit ei: Si Fílius Dei es, dic, ut lápides isti panes fiant. Qui respóndens, dixit: Scriptum est: Non in solo pane vivit homo, sed in omni verbo, quod procédit de ore Dei. Tunc assúmpsit eum diábolus in sanctam civitátem, et státuit eum super pinnáculum templi, et dixit ei: Si Fílius Dei es, mitte te deórsum. Scriptum est enim: Quia Angelis suis mandávit de te, et in mánibus tollent te, ne forte offéndas ad lápidem pedem tuum. Ait illi Jesus: Rursum scriptum est: Non tentábis Dóminum, Deum tuum. Iterum assúmpsit eum diábolus in montem excélsum valde: et ostendit ei ómnia regna mundi et glóriam eórum, et dixit ei: Hæc ómnia tibi dabo, si cadens adoráveris me. Tunc dicit ei Jesus: Vade, Sátana; scriptum est enim: Dóminum, Deum tuum, adorábis, et illi soli sérvies. Tunc relíquit eum diábolus: et ecce, Angeli accessérunt et ministrábant ei.”
[Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, finalmente gli venne fame. E accostatoglisi il tentatore, disse: Se tu sei Figliuol di Dio, di’ che queste pietre diventino pani. Ma egli rispondendo, disse: Sta scritto: Non di solo pane vive l’uomo, ma di qualunque cosa che Dio comanda. Allora il diavolo lo menò nella città santa, e poselo sulla sommità del tempio, e gli disse: Se tu sei Figliuolo di Dio, gettati giù; imperocché sta scritto: che ha commesso ai suoi angeli la cura di te, ed essi ti porteranno sulle mani, affinché non inciampi talvolta col tuo piede nella pietra. Gesù disse: Sta anche scritto: Non tenterai il Signore Dio tuo. Di nuovo il diavolo lo menò sopra un monte molto elevato; e fecegli vedere tutti i regni del mondo, e la loro magnificenza; e gli disse: Tutto questo io ti darò, se prostrato mi adorerai. Allora Gesù gli disse: Vattene, Satana, imperocché sta scritto: Adora il Signore Dio tuo, e servi lui solo. Allora il diavolo lo lasciò; ed ecco che gli si accostarono gli Angeli, e lo servivano” (Matth. IV, 1- 11).]
OMELIA II.
[Mons. J. Billot; Discorsi Parrocchiali – Cioffi ed. Napoli, 1840]
Sulla tentazione che è la cagione del peccato.
“Ductus est Jesus in desertum a spiritu, ut tentaretur e diabolo”. Matth. IV.
Quale strano spettacolo, fratelli miei, si è questo che l’odierno Vangelo ci rappresenta, Vi si vede Gesù Cristo, la santità stessa, alle prese col tentatore. L’avreste mai creduto, che il padre della menzogna osasse misurare le sue forze con quelle di un Dio, e avesse intrapreso di sollecitare al peccato Colui che di sua natura è impeccabile? Tale è nondimeno il progetto che la sua temerità gl’inspira. Questo nemico comune della gloria di Dio e della salute degli uomini, vedendo Gesù Cristo estenuato da un digiuno di quaranta giorni, si accosta a Lui e gli dice: se voi siete il Figliuolo di Dio, dite che queste pietre divengano pani. Non dipendeva senza dubbio che dal Salvatore il fare quel miracolo per soccorrere la sua santa umanità, come ne fece molti altri in favore di coloro che a Lui s’indirizzavano nei loro bisogni. Ma non volle in ciò soddisfare il suo nemico; si contenta di rispondergli che l’uomo non vive solamente di pane, ma della parola di Dio. Il demonio, vinto da questa risposta, fece un altro tentativo; lo trasportò, dice il Vangelo, nella santa città, ed avendolo posto sul tetto del tempio, gli disse di gettarsi in giù, perché è scritto che Dio ha comandato ai suoi Angeli di prendersi cura di lui. È anche scritto, ripigliò Gesù Cristo « Tu non tenterai il Signore tuo Dio ». Il tentatore, vinto per la seconda volta, doveva, mi pare, ritirarsi, ma non si disamina punto per questa seconda sconfitta. Egli trasporta ancora Gesù Cristo su di un alto monte, e mostrandogli i regni del mondo: io vi darò tutte queste cose, gli dice, se voi v’inginocchiate avanti di me per adorarmi. Ritirati, satanasso, replicò Gesù Cristo, perché è scritto: tu adorerai il Signore tuo Dio e non servirai che a Lui solo. Questo racconto, fratelli miei, vi sembrerebbe incredibile, se non fosse riferito così fedelmente nel santo Vangelo. Non ne siamo sorpresi, mentre tutto ciò che Gesù Cristo ha sofferto l’ha sofferto per noi; Egli ha permesso al demonio di tentarlo per impedirci, dice s. Agostino, di esser vinti dalla tentazione. Egli era nostro capo ed ha voluto con ciò impegnarci e darci i mezzi a vincere la tentazione. Noi non abbiamo, dice s. Paolo, un pontefice che non possa compatire alle nostre infermità, poiché Egli ha provato ogni sorta di tentazioni, trattone il peccato. Non è dunque un male l’essere tentati, poiché Gesù Cristo e i santi lo sono stati; ma il sommo male dell’uomo è il soccombere alla tentazione. Bisogna dunque apprendere a resistervi, e perciò conoscere le diverse tentazioni cui l’uomo è maggiormente soggetto; primo punto: quali sono i mezzi di vincerle; secondo punto.
I. Punto. La vita dell’uomo sulla terra è una tentazione, una guerra continua, dice il santo Giobbe; egli è assalito in ogni parte, in ogni tempo, in ogni luogo; egli è obbligato di combattere, di resistere. Concepito nell’iniquità, porta dentro di sé un principio di corruzione e di peccato: ora sente ne’ suoi membri una legge che combatte contro quella dello spirito; ora trova nelle creature oggetti che irritano ed infiammano la funesta concupiscenza che gli resta del peccato originale; e sempre il demonio, che procura di trar vantaggio dalle sue debolezze, gira intorno di Lui, come un leone che ruggisce, per divorarlo. Non v’è né età né sesso né stato di vita, sebben perfetto, che sia sicuro dai suoi assalti; le solitudini eziandio più impenetrabili, i luoghi più santi non sono inaccessibili a questo nemico comune della salute degli uomini. Non v’ha né astuzie né artifizi che egli non impieghi per perdergli; senza mai scoraggiarsi per le sue sconfitte, pianta sempre nuove batterie contro quei medesimi che l’hanno vinto, Quanto e dunque a piangere la sorte dell’uomo, fratelli miei, in questa misera vita, ove egli è sempre in rischio di perire! Ma ciò che deve consolarci si è, che Dio, il quale non permette la tentazione che per nostro vantaggio, ci dà tutti gli aiuti necessari per resistervi. Combatte Egli stesso con noi per farci riportar la vittoria. Si, fratelli mici, è per nostro bene che Dio permette che siamo tentati, perché la tentazione ci dà occasione di umiliarci e di ricorrere a Dio; ella serve a provare la nostra virtù, ella ci fa meritare la corona che Dio ci ha promessa. Tali sono i vantaggi che potete ricavarne. Qual cosa più propria infatti ad umiliar l’uomo che la tentazione, la quale gli fa conoscere la sua miseria, quel che è, e di che è egli capace? Da questa ne viene che l’uomo, conoscendosi cotanto debole e si ripieno di miserie, ricorre a Dio: sente il bisogno che egli ha del suo aiuto, senza cui nulla può; gli chiede con confidenza la grazia di trionfare nelle sue battaglie. Tali furono, fratelli miei, i vantaggi che il grande Apostolo ricavò dagli assalti umilianti che egli risentiva per parte d’una carne ribelle alla legge del suo Dio: per tema, dice egli che la grandezza delle mie rivelazioni non mi faccia insuperbire, lo stimolo della carne mi è stato dato, come un angelo di satanasso. E perciò ho pregato tre volte il Signore d’allontanarlo da me: propter quod ter Dominum rogavi (2 Cor. XII). La tentazione serve ancora a provare a purificare le virtù dell’uomo. Siccome conosce nella guerra il valore del soldato, cosi nella tentazione il Cristiano mostra l’affetto ch’egli ha pel suo Dio. Ed in vero quando è mai che si producono atti di virtù più eroiche e più ferventi? Non è forse quando si combattono i vizi che loro sono contrari? Quando si resiste alle tentazioni che ne assaltano? Quando è mai che la vostra fede è divenuta più viva, la vostra speranza più ferma, la vostra carità più ardente, la vostra purezza più soda? Non è forse quando avete resistito ai combattimenti che il nemico della salute vi ha dati per rapirvi queste virtù? Avreste voi acquistati tanti meriti, riportate tante vittorie, se la tentazione non vi avesse animati a combattere? Voi avete trovata la vostra salute nelle guerre che i vostri nemici vi hanno suscitate, e le vostre vittorie vi hanno assicurata la corona che Dio promette a coloro che avranno legittimamente combattuto. Perciocché per meritare questa corona convien vincere; per vincere convien combattere, e per combattere, convien esser assalito; non è che dopo aver resistito agli assalti e riportata la vittoria che voi sarete coronati. Gran motivo di consolazione, fratelli miei, per le anime timide e poco sperimentate nella via della salute, che inquietano e s’affliggono nelle tentazioni, che credono tutto perduto quando sono tormentate da pensieri importuni, da rappresentazioni ridicole, da movimenti contrari alla legge di Dio. Non vi conturbate, si può dire loro dopo Gesù Cristo, la virtù non consiste nell’essere esente da tentazioni; ma si a vincere le tentazioni; si è questa vittoria che ha fatti i santi e che renderà santi voi medesimi. Ma quali sono le tentazioni ordinarie che avete a combattere? – Tra le varie tentazioni cui è soggetta la vita dell’uomo io ne osservo tre principali di cui il demonio si serve il più sovente per perdere gli uomini, cioè la tentazione del piacere, la tentazione della vanagloria, la tentazione dell’interesse; tali furono i tre oggetti che lo spirito maligno propose a Gesù Cristo per tentarlo nel deserto: io li rammento in poche parole per applicarli al mio soggetto. Il demonio tentò Gesù Cristo con l’attrattiva del piacere allorché gli disse di cangiare pietre in pane per ristorare la fame che l’aveva estenuato. Lo tentò di vanagloria e presunzione, come osserva s. Cipriano, eccitandolo a gettarsi giù dal tempio, sulla fidanza che gli Angeli lo sosterrebbero nell’aria, e che perciò diverrebbe Egli al popolo oggetto d’ammirazione. Finalmente tentò di vincerlo con mire d’interesse e con lo splendore delle ricchezze, promettendogli i regni del mondo in ricompensa degli omaggi che gli domandava. Tali sono, fratelli miei, le attrattive funeste di cui si serve il demonio per fare cadere gli uomini nei suoi lacci. Sono quelle tre sorgenti della corruzione generale di cui parla il diletto discepolo nella sua prima epistola: tutto ciò che è nel mondo, ci dice, si riduce alla concupiscenza della carne, alla concupiscenza degli occhi e alla superbia della vita. Per la cupidigia della carne, egli intende l’amore dei piaceri peccaminosi; per la cupidigia degli occhi, l’avidità che si ha per le ricchezze; finalmente la superbia della vita è il desiderio d’innalzarsi agli onori. Ecco i nemici formidabili, che noi abbiamo a combattere e di cui servesi il demonio per tentarci e per vincerci. Possiamo noi conoscerne tutti gli artifizi e tutta la forza, per metterci al coperto da’ loro colpi e riportare su di essi un intera vittoria! Il nemico più a temersi che noi abbiamo è l’allettamento del piacere. Egli è tanto più pericoloso per noi, quanto che simpatizza, per cosi dire, con la nostra natura. Noi portiamo dentro di noi un peso che vi ci strascina e contro cui e ben difficile difenderci; mentre, essendo noi composti di una natura sensibile, cerchiamo volentieri ciò che può lusingarla, e siccome troviamo nei piaceri di che soddisfare i nostri sensi, vi ci abbandoniamo facilmente, quando a noi si presentano. Inoltre ciò che accresce la nostra miseria si è, che per la caduta del nostro primo padre, la nostra natura è stata talmente disordinata che, in vece di contentarsi dei piaceri permessi, essa si porta al presente anco ai piaceri vietati; noi proviamo dentro di noi medesimi una funesta cupidigia che si ribella incessantemente contro la legge dello spirito, che ci allontana dal bene che vorremmo fare e ci sollecita al male che far non vorremmo Ed è perciò ancora che il demonio, il quale conosce la nostra debolezza, ci assalta il più sovente, come un conquistatore che, per impadronirsi di una piazza pianta le sue batterie dalla parte meno fortificata, e se ne rende padrone quando gli abitanti sono con lui d’intelligenza per dargliela: così il demonio, che conosce la nostra propensione per li piaceri vietati, irrita le nostre passioni, e con l’intelligenza ch’egli ha, con esse si assicura la conquista del nostro cuore. Nel che egli è molto più a temere, dice s. Agostino, di un nemico che ci attacca a forza aperta, mentre noi stiamo più sulle difese con chi ci perseguita con furore che contro chi ci tradisce con le carezze. Or quante vittorie questo nemico sì pericoloso non ha egli di già riportati e non riporta ancora ogni giorno in questa maniera sul debole cuor dell’uomo? Non è forse con l’attrattiva del piacere che il serpente infernale è venuto a capo di sedurre i nostri primi parenti, facendo loro mangiare il frutto vietato? Non è altresì per questo mezzo che fece perire gli abitanti dalla terra col diluvio universale, che fu il castigo con cui Dio punì i piaceri d’una carne che aveva corrotto le sue vie e che non meritava più di possedere lo spirito di Dio? Cinque grandi città sono ridotte in cenere per essere state imbrattate dei piaceri brutali che furono la conseguenza della crapula e dell’ubriachezza in cui i loro abitanti s’erano immersi. Un Davide, un Salomone, quei personaggi sì ripieni dello spirito di Dio, cadono in gran disordini per essere stati vinti dagli allettamenti di un piacere che ha irritate le loro passioni. – Ma non cerchiamo, fratelli miei, altre prove delle impressioni funeste che la lusinga del piacere fa sul cuore, e i delitti e i disordini che regnano al giorno d’oggi tra gli uomini. Non si cercano che i piaceri d’una vita molle e sensuale, ed è per contentarsi su questo punto che si formano tante partite di sollazzo nel mondo, che si stringono tanti rei commerci, che si fanno tante brigate, tanti giuochi, tanti banchetti, tanti spettacoli. Ma quali ne sono le conseguenze? Voi lo sapete, fratelli miei, per una trista esperienza. Non è forse ricercando i vostri piaceri in quelle compagnie, in quei conviti, in quegli spettacoli, che vi siete resi colpevoli di mille disordini? Non è forse ivi che la morte è entrata nella vostr’anima per altrettante finestre quanti sono i vostri sensi che hanno avuto i loro piaceri? Non è forse per contentare questi sensi, e principalmente quello del gusto che vi siete abbandonati ad eccessi d’intemperanza in quei banchetti in cui l’abbondanza e la delicatezza dei cibi irritavano un appetito che voi non avete saputo moderare? Cosi è che servesi il demonio delle lusinghe del piacere per accecare e pervertire gli uomini; o piuttosto cosi è che gli uomini, accecati da passioni che non cercano che il piacere, cadono nei lacci del demonio; poiché, bisogna confessarlo, benché potente, benché formidabile sia questo nemico della nostra salute per tentare e perdere gli uomini non ne verrebbe mai a capo, se gli uomini non volessero pur da sé stessi cedere alla tentazione. E non solamente gli uomini soccombono facilmente alla tentazione che si presenta, ma vanno ancor a cercarla non è necessario che il demonio li solleciti a gettarsi nel precipizio, come tentò Gesù Cristo di gettarsi giù dal tempio: Mitte te deorsum; vi corrono da sé stessi e si fanno incontro al pericolo, esponendosi all’occasione di offender Dio nella falsa speranza che avranno aiuti o per sostenersi o per rialzarsi dalla loro caduta, facendone penitenza. – Ah! fratelli miei, non basta forse che voi abbiate fieri combattimenti a sostenere dalla parte delle podestà dell’inferno, senza che aumentiate la loro forza con la vostra facilità a cercare l’occasione di perdervi? Dovete voi stessi essere i vostri propri tentatori, precipitandovi a bella posta nei lacci che vi sono tesi dai vostri nemici? Ah! siate più vigilanti su di voi medesimi per evitarli e non esporvi temerariamente al rischio di perire. – Un altro scoglio molto pericoloso che allontana gli uomini dai sentieri della salute e a cui la virtù più soda fa sovente naufragio, è la Vanagloria. Per essa l’angelo ribelle perdettesi, volendo uguagliarsi a Dio; e per essa altresì si sforza egli di perdere gli uomini: non dice già loro, come a Gesù Cristo, di gettarsi giù; l’incita al contrario a sollevarsi in su del pinacolo, a cercare la gloria, a chieder gli onori, gl’impieghi di cui non sono capaci, perché sa benissimo che queste persone attorniate di gloria, innalzate a quegl’impieghi, a quelle dignità, non potranno sostenere quell’alto grado a cui saranno innalzate, e cadranno da se stesse, oppresse dal peso di cui saranno aggravate: Deiecisti eos dum allevarentur (Psal. LXXI). Che fa dunque il demonio, o piuttosto che fanno gli uomini per sollevarsi alla gloria, agli onori cui aspirano? Si persuadono d’avere il merito e i talenti necessari per coprire un posto distinto nel mondo; in questa persuasione tentano tutti i mezzi immaginabili per pervenirvi. Sono essi venuti a capo dei loro disegni? Abbagliati dalla gloria che li circonda, perdono di vista il nulla e le miserie che dovrebbero umiliarli; non pensano a compiere i doveri di cui sono incaricati: non essendone capaci, nemmeno procurano di diventarlo; quindi i mancamenti considerabili che commettono nel loro impiego, e dei quali l’orgoglio loro non permette di accorgersi. Questo stesso orgoglio che li ha elevati fa loro rimirar con disdegno quelli che sono al di sotto di essi; e gonfi di un merito che credono avere, non hanno che del disprezzo per gli altri; quindi quell’aria altera che affettano riguardo a coloro che sono in una condizione inferiore; quelle vendette che meditano contro quelli da cui si credono insultati o che loro non rendono gli onori che s’avvisano meritare. Così l’ambizione e la vanagloria perdono gli uomini, che si lasciano accecare da quei falsi splendori che il demonio loro presenta per guadagnarli. Lo credereste, fratelli miei? Questo veleno della vanità è sì sottile che fa sovente cadere la virtù stessa più soda. Che fa il nemico della salute per far perdere agli uomini il merito delle loro migliori azioni? Loro procura encomi ed applausi da parte di coloro che li conoscono; l’induce a fare le loro azioni con questa mira o per lo meno a compiacersi negli elogi che loro si tributano, affinché perdono la ricompensa che Dio loro promette. Ah quante virtù han fatto naufragio in questo scoglio fatale della vanagloria. Quanti digiuni, limosine, orazioni hanno perduto il loro merito e la loro corona, perché l’amor proprio ne era il principio! di modo che conviene star sulle guardie nel tempo medesimo che si fanno le migliori azioni. – Finalmente la terza origine della depravazione del cuor dell’uomo è la tentazione dell’interesse. Chi è infatti che non si lasci abbagliare dallo splendore delle ricchezze, che non cerchi del bene quando non ne ha, o che non si affezioni a quello che ha? Quis est hic, et laudabimus eum (Eccli. LI). L’interesse è il motivo della maggior parte delle azioni degli uomini. Si vuole aver roba, per qualunque verso, sia egli giusto o ingiusto, poco importa: si vuole vivere nel mondo in una maniera agiata e comoda: si vogliono stabilire vantaggiosamente i figliuoli, e per questo è necessaria della roba. Se non se ne ha se ne vuole acquistar molta ed in poco tempo, ma per arrivarvi quante ingiustizie verso del prossimo! Bisogna opprimere la vedova e il pupillo, usar vessazioni contro i deboli; si presenta l’occasione d’impadronirsi dell’avere altrui, d’ingrandire la sua eredità col pregiudizio degli altri, di comprare a vilissimo prezzo a cagione dell’altrui necessità, d’aumentare il capitale con gli interessi di un danaro imprestato, d’impiegare in somma tutti gli artifizi che la cupidigia può ispirare, la cui numerazione non finirebbe mai? Tutto si mette in opera, purché si accumuli roba e si faccia la sua fortuna. A quanti disordini non conduce questa perversa avidità? Quanti neri attentati non fa ella commettere? Di quanti iniqui intrighi, di quante disonestà il danaro non è allettamento e sostegno? Non è forse sovente in vista di un sordido interesse, di un preteso stabilimento, che altri sacrifica il suo onore, la sua virtù, la sua salute? Quante volte la debole virtù si è veduta soccombere sotto la lusinghiera speranza di un compenso che le si è promesso e con cui si è pagata la sua malvagia facilità ad abbandonarsi all’iniquità? Hæc omnia tibi dabo. Ma si è principalmente con l’amor della roba che il demonio tiene l’avaro schiavo nelle sue catene. Che non gli fa egli fare per averne? Hæc omnia tibi dabo, si procidens adoraveris me. Egli adora il demonio in quel danaro di cui fa il suo idolo, l’affetto ch’egli ha per questo gli fa trasgredire in mille occasioni la legge del Signore, lo rende insensibile alle miserie dei poveri, che gli domandano da parte di Dio la porzione che loro è dovuta. Preferisce egli adunque il suo danaro al suo Dio, ed ecco ciò che si chiama adorar il demonio in vista del bene e dal danaro: hæc omnia. Schiavo infelice di un padrone sì crudele, tu pagherai ben caro gli omaggi che gli rendi, tu sarai ridotto alla più orribile indigenza nell’inferno, che sarà la tua abitazione. – Molte cose avrei ancora a dirvi, fratelli miei, sulle diverse tentazioni che il demonio suscita agli uomini. Egli tenta gli uni di disperazione della loro salute e gli altri di presunzione; distoglie questi dai loro doveri coi cattivi esempi e consigli perniciosi dei ministri di cui si serve per pervertirli, addormenta quelli nel peccato perché non hanno alcun vizio enorme a rimproverarsi: e quante volte non si trasforma egli in angelo di luce per far prendere il falso pel vero in materia di devozione? Ma egli è tempo d’insegnarvi i mezzi di resistere alla tentazione.
II. Punto, Io l’ho detto, fratelli miei, benché potente sia il nemico della nostra salute per tentarci e perderci, noi non siamo mai vinti che per colpa nostra: noi possiamo uscir sempre con vantaggio dalla tentazione. Dio è fedele, dice l’apostolo s. Paolo, e non permette giammai che siamo tentati al di sopra delle nostre forze; Egli proporziona il suo aiuto alle forze del nostro nemico; siccome non permette la tentazione che per provare la nostra virtù, il tentatore non ha potere su di noi che quanto Dio conosce in noi più o meno di forze per resistergli: Non patietur tentare vos supra id quod potestis (1 Cor. X). E perciò s. Agostino paragona il demonio ad un cane incatenato, che può bensì abbaiare e fare strepito, ma non può mordere, se non coloro che gli si avvicinano: latrare potest, mordere non potest nisi volentem. Può ben sollecitarci al male, ma non può costringervici. Tutti i demoni anche uniti insieme contro di noi per perderci, non saprebbero riuscirvi, se noi vogliamo. – La nostra sorte è sempre nelle nostre mani; sostenuti dalla grazia del nostro Dio, non possiamo scoprire tutte le loro astuzie, resistere a tutti i loro sforzi; Omnia possum in eo qui me confortat (Phil. IV). Noi siamo facili, è vero, ad esser sorpresi, fiacchi a resistere, dice s. Bernardo, ma non abbiamo che a cooperare alla grazia che sostiene la nostra fiacchezza, e non saremmo giammai vinti. Quali sono dunque questi mezzi? Due sono i principali, a cui ridurre si possono tutti gli altri, la vigilanza cioè e l’orazione. Vegliate e pregate, dice Gesù Cristo, per non entrare in tentazione, cioè, come spiega s. Girolamo, per non soccombervi: Vigilate et orate ut non intretis in tentationem (Matth. XXVI). In che consiste questa vigilanza sì necessaria a non esser sorpreso e vinto dalla tentazione? Ella consiste, fratelli miei, a prepararci alla tentazione, ad allontanarci dagli oggetti della tentazione, a reprimere, a mortificare le nostre passioni, che somministrano l’armi ai nostri nemici per vincerci. Tali sono i mezzi che Gesù Cristo c’insegna nell’odierno Vangelo col suo ritiro nel deserto, con l’allontanamento dal mondo, col digiuno di quaranta giorni che vi praticò. – Il primo dovere della vigilanza cristiana è di prepararsi alla tentazione; si è quello che lo Spirito Santo stesso c’insegna quando ci avverte di perseverare nella giustizia e nel timore, e di preparare la nostr’anima alla tentazione: fili, accedens ad servitutem Dei, sta in iustitia et timore, et præpara animam tuam ad tentationem (Eccl. II). – Che vuol dir dunque prepararsi alla tentazione? Si è temerla e nello stesso tempo tenersi fermo contro i suoi assalti: sta in iustitia et timore. Per prepararsi alla battaglia, bisogna temere e diffidar di se stesso, ma non bisogna perdersi di coraggio. Il timore ed il vigore sono ugualmente necessari: l’uno arresta la temerità e l’altro scaccia la pusillanimità, l’uno c’impedisce di attaccare di fronte il nemico, e l’altro di soccombere quando egli ci assale. Bisogna temere la tentazione, diffidar delle proprie forze, tenersi in guardia quando ella viene; tutto ci consiglia questo timore: il genere di combattimento, la nostra propria debolezza, la forza dei nostri nemici, l’importanza della vittoria. Quando in una guerra si tratta di una piazza importante e si ha a fare con potenti nemici, si teme con ragione. di perdere la vittoria: chi occupa questa piazza non va già il primo alla battaglia, si tiene soltanto sulla difesa se è assalito, per non perdere ciò che possiede. Lo stesso convien fare nelle guerre della salute; tanto più, fratelli miei, che non si tratta qui di perdere una città,una provincia, un regno, ma la salute eterna che vale più che tutte le corone della terra. Noi abbiamo a fare con potenti nemici, mentre non solamente abbiamo a combattere contro la carne ed il sangue, dice l’Apostolo, ma contro i principati e le potenze dell’inferno, contro i padroni di questo mondo, di questo luogo di tenebre, contro i maligni spiriti che sono nell’aria: Non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem, sed adversus principes et potestàtes, adversus mundi rectores tenebrarum harum (Eph. VI), Ah quanto sono potenti questi nemici, quanto sono astuti, quanto sono formidabili per la loro malizia ed il loro numero! Guai a chi li andasse assalire di fronte, non potrebbe aspettarsi che una vergognosa sconfitta. Diffidiamo dunque di noi medesimi; convinti di nostra debolezza, contentiamoci di tenerci sulle difese: quando Dio non domanda assalti da noi, ci basta allora di resistere coraggiosamente e di armarci di coraggio per difenderci contro i loro sforzi, come dice l’Apostolo, Confortamini in Domino et in potentia virtutis eius (ibìd.). Benché potenti siano nei loro assalti, non temiamo; possiamo trionfare con l’aiuto di Dio, che non ci manca giammai. Se noi combattessimo soli, non avremmo alcuna speranza di trionfare dei nostri nemici, ma il Dio che ha vinto per noi combatte ancora con noi; Egli ci sostiene con la forza del suo braccio onnipotente; e se Dio è per noi, chi potrà essere contro di noi? Si Deus prò nobis, quis contra nos? Verità ben consolante, fratelli miei, che deve incoraggiarci, rallegrarci nelle guerre che abbiamo a sostenere per parte del demonio. Noi possiamo resistergli, dispregiarlo, calpestarlo con la stessa facilità, dice s. Gregorio, che faremo d’una formica; basta, per sconcertarlo, mostrargli risoluti facendogli vedere che siamo sempre pronti a difenderci e che non lo temiamo. In tal guisa convien prepararci alla tentazione; e siccome la nostra forza viene principalmente dalla grazia di Dio che ci sostiene, convien meritarla questa grazia con l’allontanamento da tutto ciò che può portarci alla tentazione: secondo dovere della vigilanza che Gesù Cristo ci ha insegnato con la sua fuga nel deserto. – Questo Dio Salvatore non aveva bisogno di ritirarsi nella solitudine: poteva egualmente vincere il tentatore nel mondo; non aveva Egli a temere le malvagie impressioni degli oggetti che vi si vedono e che portano alla tentazione; ma siccome era venuto per essere nostro modello e conosceva la nostra debolezza, Egli ha voluto apprenderci col suo esempio a fuggire le occasioni del peccato per non essere vinti. Imperciocché indarno, fratelli miei, pretendereste trionfare del vostro nemico, se vi esponete al rischio di esser vinti. Dio vi ha promesso per verità di sostenervi nelle tentazioni inseparabili dal vostro stato, che la malizia dei vostri nemici vi suscita e che Dio permette per provare la vostra virtù. Ma credere che vi sosterrà in quelle cui vi abbandonerete di vostra spontanea volontà, e che comanderà ai suoi Angeli di aver cura di voi allorché vi getterete nel precipizio, è una illusione, è una presunzione che ne ha perduti molti e che perderà voi, se non vi pensate. Osservate, fratelli miei, che quando il demonio sollecitò Gesù Cristo a gettarsi giù dal tempio sulla speranza che gli Angeli avrebbero cura di Lui, Gesù Cristo gli rispose che non conveniva tentare Dio: Non tentabis Dominum (Matth. IV). Or ecco ciò che fa il peccator temerario esponendosi all’occasione di cadere. Egli tenta Dio, aspettando un aiuto di cui la sua temerità lo rende indegno, a che Dio gli ha fatto intendere che non gli darebbe. E certamente qual grazia dovete sperare in quelle tentazioni che dipende dalla volontà vostra di evitare? – È una grazia il fuggire: fuggite dunque, non v’è altro mezzo per vincere il vostro nemico: Fuge et vicisti. Perocché se voi vi accostate troppo da vicino al lupo infernale, benché sia incatenato, vi morderà, e voi diverrete sua preda. Quante volte non avete voi già provata questa disgrazia? La maggior parte dei vostri peccati non derivano che dalla vostra facilità di esporvi al pericolo e all’occasione di offender Dio. Sì, fratelli miei, se volete dir il vero, confesserete che non avete perduta la grazia del vostro Dio se non perché avete frequentate quelle persone che sono state uno scoglio funesto alla vostra virtù: converrete che se voi siete caduti in quel disordine e se avete contratto un tal abito, si è per aver voluto essere di quelle partite di piacere ove avete trovati oggetti che hanno sedotto il vostro spirito e corrotto il vostro cuore. Fuggite dunque, fratelli miei, fuggite, e così riporterete la vittoria sulla tentazione: Fuge, et vicisti. Ma questa vittoria non sarà ancora compita, se voi non mortificate le passioni che vi portano al peccato. Voi potete fuggire i nemici stranieri, ma questi sono nemici domestici che non potete evitare; bisogna dunque contenerli, arrestarne gl’impeti con una mortificazione costante: al che v’obbliga ancora la vigilanza cristiana. – Questa è anche la lezione che Gesù Cristo ha voluto darci, preparandosi con un digiuno di quaranta giorni al combattimento e alla vittoria che riportò sullo spirito tentatore. Non già ch’Egli avesse bisogno di fare quest’astinenza rigorosa per vincere il suo nemico: ma siccome volle con l’esempio del suo ritiro apprenderci il segreto d’evitare i colpi dei nemici esterni, così ha voluto con quello della mortificazione insegnarci il mezzo di trionfare dei nemici interni. Questi nemici, come voi sapete, sono le nostre passioni, è la nostra carne soggetta alla concupiscenza, che la porta continuamente a ribellarsi contro la legge di Dio, unusquisque tentatur a concupiscentia sua (Jiac. I). Convien dunque mortificare queste passioni, castigare questa carne e ridurla in schiavitù, affinché non abbia alcun ascendente su lo spirito, poiché il mezzo di vincere un nemico si è d’indebolirlo, noi non indeboliremo le nostre passioni che mortificando la nostra carne e trattandola con rigore. Voi lo sapete, fratelli miei, per una fatale esperienza; quando accordate alle vostre passioni tutto ciò che esse vi domandano, quando nulla ricusate al vostro corpo di tutto ciò che può contentare i suoi appetiti, allora è che la tentazione fa sentirsi con più violenza: una carne impinguata e nutrita delicatamente è molto più propria a secondare i disegni del demonio che quella indebolita con le austerità della penitenza; perché lo stimolo di questa carne immortificata gli serve di strumento per accendere il fuoco delle passioni: impinguatus recalcitrabit (Deut.XXXII). Volete voi dunque indebolire il demonio? indebolite la vostra carne, il cui troppo grande vigore gli somministra armi contro di voi; con questo mezzo voi troverete la vostra forza nella fiacchezza medesima. Si è per darvi questa forza che la Chiesa, proponendovi l’esempio del nostro divin maestro, v’ordina questo digiuno di quaranta giorni, che deve servirvi di rimedio contro i vizi e d’alimento per tutte le virtù: Vitia comprimit, mentem elevat, virtutem largitur et præmia. Niun mezzo più proprio per sostenervi contro le ribellioni della carne che domarla col digiuno. Quindi il demonio nulla teme cotanto (dice s. Agostino, che sperimentato l’aveva), quanto i digiuni, le preghiere, le austerità dei servi di Dio: Credite mihi experto; pertimet satanas recte viventium vigilias, orationes, jejunia. Entrate dunque con piacere in questa santa Quaresima, e passatela in tutto il fervore di cui sarete capaci. Questo è un tempo favorevole per la salute, come la Chiesa ce lo annunzia nell’epistola di s. Paolo: Ecce nunc tempus acceptabile. Impiegate momenti sì preziosi a gemere sulle vostre iniquità, fatene penitenza ed osservate il digiuno prescritto, senz’ascoltare le doglianze d’una natura sempre ingegnosa a trovar pretesti per dispensarsene. Provate le vostre forze, vedrete che sono più grandi che non pensate: Exhibeamus noi in vigiliis, in jejuniis. Se la malattia e qualche altra scusa legittima ve ne dispensa, siate più assidui all’orazione: in orationibus. Offrite a Dio tutte le pene annesse al vostro stato, sopportate pazientemente le tribolazioni della vita: in tribulationibus, in multa patientia. Supplite al digiuno che sostenere non potete con le limosine che farete ai poveri: multos locupletantes. Date alla carità, dice s. Paolo, ciò che sottraete alla cupidigia: tamquam nihil habentes. Staccatevi da tutto ciò che possedete; con questo riporterete la vittoria sull’amore dei beni della terra. Ma il digiuno più salutevole e da cui non è alcuno esente si è quello delle passioni. Fate morire queste passioni, privandole dei piaceri che le nutriscono e degli oggetti che le lusingano: quasi morientes, ut castigati. Questo è un mezzo sicuro di riparar i colpi dei vostri nemici e di vincere le tentazioni. Vegliate sopra tutti i vostri sentimenti per renderli inaccessibili ad ogni oggetto pericoloso; mortificate i vostri occhi con la modestia, la vostra lingua col silenzio, le vostre orecchie chiudendole ai discorsi degli empi e dei maldicenti: quando avrete ridotti con la mortificazione tutti i vostri sentimenti in schiavitù, potrete lusingarvi d’aver riportata un’intera vittoria sui vostri nemici esterni ed interni. Gli esterni non potranno avvicinarsi a voi per nuocervi, e gl’interni non troveranno mezzo per darvi in preda agli oggetti lusinghieri che sono nel mondo e sottomettervi al loro impero. Studiate principalmente le vostre inclinazioni predominanti per arrestarne gl’impeti e i movimenti mentre queste sono quelle che il demonio studia egli stesso particolarmente per tentarvi e perdervi. Vi presenta oggetti che lusingano il vostro umore, vi conduce in occasioni dove fa che vi lasciate vincere; se voi amate la gloria e l’onore, vi offrirà i mezzi di acquistarli: ma per vincerlo in questo punto, siate, come dice il grande Apostolo, così indifferenti per la gloria, come pel disprezzo: sicut qui ignoti vel cogniti. Se voi vi lasciate possedere dal desiderio delle ricchezze e dall’amore dei piaceri, egli ne presenterà alla vostra cupidigia e per soddisfarla vi farà trasgredire la santa Legge del vostro Dio. Ma per preservarvi dalle sue astuzie e dalle sue insidie, che dovete voi fare? Ricorrere a questa santa sua legge, come Gesù Cristo ce lo insegna nel Vangelo: scriptum est. – Se voi siete tentati di dare il vostro cuore ad altri che a Colui che l’ha formato, leggete, meditate la legge, dove è scritto che Dio solo convien amare con tutto cuore; Scriptum est: Diliges Dominum Deum tuum (Matth. XXVII). – Siete sollecitati, minacciati anche come la casta Susanna? Vi vedete ridotti a difficili estremità o di peccare contro Dio o d’esser esposti alla calunnia dei malvagi? – Se voi non soccombete alla passione di quel dissoluto, o se voi non violate in qualche altro punto i Comandamenti di Dio, in questa critica circostanza qual condotta tenere? Leggete la legge; voi troverete che è meglio cadere nelle mani degli uomini che in quelle del Dio vivente, incorrere la disgrazia degli uomini che quella di Dio. – Siete voi tentati da uno spirito d’orgoglio d’innalzarvi al di sopra degli altri? Ma è scritto, scriptum est, che Dio umilia i superbi, e dà la sua grazia agli umili. – Siete voi tentati da uno spirito d’interesse di arricchirvi anche con grave danno del vostro prossimo? Ma è scritto, scriptum est, che beati sono i poveri, e che non s’entra nel cielo con la roba altrui. – L’odio s’impossessa del vostro cuore, e l’ira vi trasporta a vendicarvi d’un nemico? Ma è scritto scriptum est, che beati sono i pacifici, e che Dio non perdonerà che a coloro che avranno perdonato. – Pensieri contrari alla sana virtù conturbano la vostra immaginazione? Sentite lo stimolo mortale che vi porta a piaceri vietati? Ma è scritto, scriptum est, che bisogna aver il cuor puro per veder Dio: Beati mundo corde, quonìam ipsi Deum videbunt (Matth. V). Così, fratelli miei, dovete diportarvi riguardo a tutte le vostre passioni; bisogna loro sempre opporre le verità eterne come uno scudo invincibile, che vi metta al coperto di tutti i loro colpi e che ne arresti gl’impeti. Bisogna soprattutto resistere ai primi assalti: s’uccide molto più facilmente il serpente quando è piccolo che quando è in tutta la sua forza; dacché il suo capo è entrato, è difficile di farlo uscire, dice s. Gregorio Nisseno. S’estingue più agevolmente una scintilla che un incendio che ha di già invaso tutta la casa. Abbiate dunque gran cura di soffocare le prime scintille delle vostre passioni, di rinunziare alle inclinazioni nascenti, di resistere ai primi desideri ed anche al primo pensiero, che è sempre peccato quando è volontario. Ma invano, fratelli miei, combatterete, se il Signore non combatte con voi; invano veglierete, vi porrete in guardia contro la tentazione, se il Signore non vi dà il suo aiuto per riportarne vittoria: Nisi Dominus custodierit civitatem, frustra vigilat qui custodit eam (Ps. CXXVI). Bisogna dunque chiedergli questo soccorso con ferventi preghiere; voi dovete, come il profeta, innalzare i vostri occhi verso il santo monte, per trarre su di voi quelle grazie potenti che vi renderanno vittoriosi nella battaglia. Levavi oculos meos ad montes unde veniet auxilium mihi (Ps. CXX). Il Signore è prontissimo ad aiutarvi, Egli si è anche impegnato a tenervi sotto l’ombra delle sue ali per mettervi al coperto dal furore dei vostri nemici: scapulis suis obumbrabit tibi. Ma sotto qual condizione vi promette il suo aiuto? A condizione che voi glielo domanderete con viva fiducia e che leverete la vostra voce verso lui per invocare il suo santo nome: Clamabit ad me, et ego exaudiam eum (Ps. XC). Il che anche Gesù Cristo ci ha appreso nell’orazione che ci ha insegnata per mezzo dei suoi Apostoli. Et ne nos inducas in tentatìonem; non permettete, o Signore, che noi soccombiamo alla tentazione. Oimè! fratelli mici se voi avete provata la vostra debolezza in tante occasioni, se avete ceduto a tale o tal altra tentazione, prendetevela contro la vostra negligenza a pregare: egli è impossibile evitare il peccato e vivere santamente, se non siete assidui all’orazione. Bisogna pregare prima della tentazione per prepararvi al combattimento, pregare durante la tentazione per sostenervi in essa, pregare passata la tentazione per ringraziar Dio delle vittorie riportate. Bisogna dunque pregar sovente per vincere il tentatore. Ma in che consiste l’esercizio dell’orazione sì necessario per riportar questa vittoria?
Pratiche. Consiste 1. nel richiamarvi alla memoria sovente la presenza di Dio. Ricordatevi nelle tentazioni che Dio vi vede, ch’Egli ètestimonio dei vostri combattimenti e che ne sarà la ricompensa; questo pensiero, Dio mi vede, è efficacissimo per impedirvi di cedere alla tentazione; molti Santi se ne sono serviti utilmente: diventiamo bentosto perfetti quanto abbiamo il costume di camminare alla presenza di Dio: Ambula coram me, et esto perfectus (Gen. XVII).
2. Pensate spesso ai novissimi, che sono la morte, il giudizio, l’inferno, il paradiso, e voi non peccherete giammai! Memorare novissima tua et in æternum non peccabis [Ecc. VII). Potreste voi infatti risolvervi a commettere quell’azione peccaminosa, quell’ingiustizia, se pensate seriamente che, dopo averla commessa, la morte può sorprendervi in quello stato, e che se moriste in istato di peccato, voi sareste per sempre perduto?
3. Alzate sovente nella tentazione il vostro cuore a Dio, secondo le circostanze in cui vi trovate ed il genere di peccato onde siete tentati: rendetevi familiari le orazioni giaculatorie. Nelle tentazioni contro la fede, protestate a Dio che voi credete fermamente tutto ciò che vi ha rivelato per mezzo della sua Chiesa. Siete voi tentati da cattivi pensieri contro la purità? Chiedete a Dio quel cuor puro che gli domandava il re profeta: Cor mundum crea in me Deus (Psal. L). Siete voi presi da moti di collera? Ricordatevi la penitenza di Gesù Cristo nei dolori ch’Egli ha sofferti per voi, e ditegli con gli Apostoli: calmate, o Signore, questa tempesta; salvatemi, mentre altrimenti io perirò: Domine, salva nos, perimus: Così di tante altre. Tenetevi soprattutto attaccati ai piedi di Gesù Cristo, abbracciateli strettamente strettamente e ditegli spesso che voi non volete lasciarli: rinnovate questa protesta altrettante fiate, quante ritornerà la tentazione; dopo essergli stati uniti sulla terra, voi lo sarete eternamente nel cielo: dopo aver riportata la vittoria, riceverete la corona immortale. Così sia.
Credo …
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/12/il-credo/
Offertorium
Orémus Ps XC: 4-5:
Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus. [Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]
Secreta
Sacrifícium quadragesimális inítii sollémniter immolámus, te, Dómine, deprecántes: ut, cum epulárum restrictióne carnálium, a noxiis quoque voluptátibus temperémus.
[Ti offriamo solennemente questo sacrificio all’inizio della quarésima, pregandoti, o Signore, perché non soltanto ci asteniamo dai cibi di carne, ma anche dai cattivi piaceri.]
Comunione spirituale:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/comunione-spirituale/
Communio
Ps XC: 4-5
Scápulis suis obumbrábit tibi Dóminus, et sub pennis ejus sperábis: scuto circúmdabit te véritas ejus.
[Con le sue penne ti farà schermo, il Signore, e sotto le sue ali sarai tranquillo: la sua fedeltà ti sarà di scudo.]
Postcommunio
Orémus.
Qui nos, Dómine, sacraménti libátio sancta restáuret: et a vetustáte purgátos, in mystérii salutáris fáciat transíre consórtium. [Ci ristori, o Signore, la libazione del tuo Sacramento, e, dopo averci liberati dall’uomo vecchio, ci conduca alla partecipazione del mistero della salvezza.]
Ultimo Evangelio e preghiere leonine:
https://www.exsurgatdeus.org/2019/10/20/preghiere-leonine-dopo-la-messa/
https://www.exsurgatdeus.org/2018/09/13/ringraziamento-dopo-la-comunione-1/
https://www.exsurgatdeus.org/2019/05/20/ordinario-della-messa/